Bollettino_Salesiano_201706

Bollettino_Salesiano_201706

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IL
GIUGNO
2017
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Le case
di don
Bosco
Sassari
Salesiani
nel mondo
Mozambico
A tu per tu
Don Alfred
Maravilla

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
La fisarmonica
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
Nota: anno 1847. Don Bosco decide di iniziare a fare al-
cuni corsi di canto. All’inizio compra una vecchia e malan-
data fisarmonica per la modica cifra di 12 lire che, tempo
dopo, riuscirà a sostituire con un organino a manovella,
già dotato di alcuni canti liturgici in memoria. Vista la
monotonia nel dover ripetere sempre le stesse canzoni,
sarà don Giovanni Vola a sostituirlo con un clavicembalo.
La frase più nota di don Bosco in relazione alla musica
era questa: “Un oratorio senza musica è come un corpo
senz’anima” (Memorie Biografiche III, 122-124).
Per quei tempi ero un’ottima fisarmoni-
ca. Il mio proprietario era un musicista
ambulante che mi lasciò come acconto
per una nuova fisarmonica. Fui accanto-
nata in un angolo della bottega, con altri
vecchi strumenti.
Una mattina del mese di novembre, qualcuno mi
stava guardando e si fece fare un prezzo: solamen-
te 12 lire!
Il mio nuovo proprietario era un giovane sacerdo-
te che tutti chiamavano don Bosco. Mi riparò e,
il giorno seguente, mi trovavo già tra le sue mani,
accompagnando delle allegre melodie per i suoi
ragazzi che, con grande entusiasmo, lo accompa-
gnavano nel canto.
La felicità che sognavo e vedevo diventare realtà,
però, durò ben poco.
Stavo ormai cadendo a pezzi e temevo il peggio.
Un giorno don Bosco, infatti, arrivò con un orga-
netto. Era migliore di me, senza dubbio, poiché
in esso erano già memorizzati alcuni canti della
liturgia: Tantum Ergo, Ave Maria...
Ritornai nel mio oscuro silenzio, a quella vita di
abbandono cui noi vecchie fisarmoniche siamo
destinate. Quello che però mi faceva più male non
era questo, ma gli sguardi altezzosi che ogni volta
mi rivolgeva l’organetto. Che voglia di gridargli
che la sua musica era meccanica e senza anima,
che perché suonasse bastava solo girare una ma-
novella.
Lui continuava a burlarsi di me, proprio come
fanno gli orgogliosi prepotenti.
Mi accantonarono in un lato dello sgabuzzino,
e iniziai a prendere sempre più polvere.
Passarono alcune settimane e a un tratto mi
accorsi che non sentivo più le monotone canzoni
dell’organino. Poi, con sorpresa, un giorno, vidi
arrivare un gruppo di ragazzi che lo portavano
con sé, me lo posero accanto e se ne andarono.
Nell’angolo polveroso, entrambi ci facevamo la
stessa domanda: chi avrebbe accompagnato i
ragazzi nel canto? Avrebbero smesso del tutto
di cantare a causa dei nostri litigi di strumenti
musicali?
Aguzzammo l’udito. Oh sì, i ragazzi stavano can-
tando ed erano accompagnati da un clavicembalo!
Dimenticammo i nostri diverbi e facemmo la
pace. In fondo ci sentivamo orgogliosi di essere
stati entrambi, anche se in periodi diversi, “l’a-
nima dell’Oratorio”. Tutti e due avevamo sentito
don Bosco ripetere più volte “un Oratorio senza
musica è un corpo senz’anima”.
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Giugno 2017

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IL
GIUGNO 2017
ANNO CXLI
Numero 6
IL
Mensile di
GIUGNO
2017
informazione e
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
Le case
di don
Bosco
Sassari
Salesiani
nel mondo
Mozambico
A tu per tu
Don Alfred
Maravilla
In copertina: L’entusiasmo genuino dei
ragazzi è la vitamina del sistema educativo
salesiano (Foto di SergiyN, iStock).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 CHE COSA PENSANO I GIOVANI
8 SALESIANI NEL MONDO
Mozambico
12 VOLONTARI
Siamo famiglia... in missione
16 FINO AI CONFINI DEL MONDO
18 A TU PER TU
Don Alfred Maravilla
22 TEMPO DELLO SPIRITO
La tranquillità dell’anima
24 LE CASE DI DON BOSCO
Sassari
28 FMA
30 LE CHIESE DI DON BOSCO
Il Santuario del Sacro Cuore
di Bologna
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Ferdinando Colombo,
Roberto Desiderati, Emilia Di
Massimo, Ángel Fernández Artime,
José J. Gómez Palácios, Claudia
Gualtieri, Cesare Lo Monaco,
Giovanni Lubinu, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto,
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Giampietro Pettenon, O. Pori Mecoi,
Luigi Zonta, Fabrizio Zubani.
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DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Gesù si è fermato
a Kakuma
Ho visto, in mezzo ad una sofferenza immane,
i Salesiani che tengono aperta una casa di speranza,
consolazione, convivenza ed educazione.
A miche e amici lettori, desidero condivi-
dere con voi l’impressione che ho pro-
vato vivendo una profonda esperienza
umana. Si tratta della visita che ho po-
tuto fare, con altri Salesiani, al campo
dei rifugiati delle Nazioni Unite a Ka-
kuma (Kenia), qualche settimana fa. Potete facil-
mente immaginare quanto forte sia l’impatto con
un campo di rifugiati. A questo si aggiunge una
motivazione particolare e importante. Non sono
andato là per incontrare i rifugiati del Sud Sudan,
Ruanda, Burundi e Congo, tra gli altri, ma per
salutare e abbracciare i miei fratelli salesiani di
questa magnifica comunità in cui cinque Salesia-
ni provenienti da Tanzania e Kenia vivono con
queste 150mila persone. Molti sono i bambini, i
ragazzi e i giovani.
La comunità vive in mezzo al campo dei rifugiati
già da molti anni. È qualcosa di inusuale, però è
proprio così. E non è solo permesso, ma auspica-
to dal comitato responsabile delle Nazioni Unite,
perché l’opera salesiana è un importante elemento
generatore di convivenza, socialità, educazione e
formazione.
Ho incontrato una Valdocco
del secolo XXI
Ecco il perché.
Arrivando nella città di Kakuma, alla frontiera
del sofferente Sud Sudan, oggi insanguinato da
terribili conflitti tribali interni, ci si trova in mez-
zo alla popolazione Turkana. Sono 340mila per-
sone che vivono in questa zona nord est del Ke-
nia, arida e arroventata. Attraversato il letto di un
fiume totalmente inaridito, si arriva al campo dei
rifugiati delle Nazioni Unite. In questo campo si
incontrano le più svariate razze e tribù, le più di-
verse abitudini e confessioni religiose. In mezzo
a questa “Babele” umana, i nostri fratelli salesiani
continuano ad essere per molti di essi, ciò che fu
don Bosco per i giovani di Valdocco. Qui ho in-
contrato un’altra Valdocco del secolo e con
lineamenti totalmente africani.
Più di 250 giovani frequentano ogni giorno la
scuola di formazione professionale, dove operano
alcuni istruttori e gli stessi salesiani, per impara-
re un mestiere: falegnameria, impianti elettrici,
elettronica, ebanisteria, amministrazione, segre-
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teria ecc. Professioni semplici che possono per-
mettere a questi giovani di vivere dignitosamente
quando lasceranno il campo, una volta ristabilite
condizioni di pace e di sopravvivenza nei luoghi
dove vogliono stabilirsi.
Ogni giorno, viene anche provvisto il cibo per
questo giovani e per molti altri. Gli alimenti sono
forniti in gran parte dalle Nazioni Unite che ga-
rantiscono tutti questi servizi. Abbiamo mangia-
to con loro: enormi piatti di riso conditi da tanta
gioia e da grandi sorrisi.
Mi mostravano i loro laboratori e quello che sta-
vano imparando. La stragrande maggioranza di
loro era per lo più formata da giovani adulti.
Sentii che quella casa era una vera e propria scuo-
la di vita. Imparare un mestiere è importante, ma
molto di più vale ciò che imparano ogni giorno:
vivere insieme nella diversità, in pace e concordia,
unire gli sforzi per un medesimo fine, rispettare
le opinioni, le espressioni culturali e religiose.
Ho avuto l’opportunità di salutare la responsabile
delle Nazioni Unite per quanto riguarda l’opera
salesiana. Era venuta a unirsi a noi e condividere
il piatto di riso. Sono stato molto felice di sentire
dalle sue labbra che valuta e stima tantissimo la
presenza dei nostri fratelli e questa collaborazione
tra Nazioni Unite e Congregazione Salesiana in
questo angolo di mondo.
completa sintonia e collaborazione, con noi e con
una comunità di religiose con le quali condividia-
mo da anni la missione in mezzo ai Turkana.
Il sogno è fondare una seconda comunità salesia-
na, non più nel campo profughi ma nel territorio
Turkana, al di là del letto in secca del fiume e po-
ter così sviluppare meglio la scuola professionale
in estensione e livello, per servire anche i giovani
della regione Turkana.
La comunità gestisce anche una parrocchia per
i cattolici nel campo profughi e altri nove cen-
tri religiosi in questo vasto territorio. In questa
cura della fede per le persone che la chiedono e si
preoccupano della loro fede nel Signore Gesù, si
sente davvero che la Pasqua si è realizzata anche
nel campo profughi, perché Gesù è risorto per
tutti e specialmente per gli ultimi, i più poveri, gli
sfollati, i respinti e gli ignorati di questo mondo.
Sono tornato con il cuore pieno di gioia
per aver toccato con le mie mani, in
mezzo a tanta povertà, una commoven-
te umanità e la presenza reale del Dio
Amore.
Vi auguro tutto il bene possibile, ma soprattutto
che non perdiate mai la sensibilità per i giovani,
le donne e gli uomini come questi, che ci hanno
accolto come amici e fratelli.
Andare al di là del fiume in secca
L’ho ringraziata per averci permesso di lavorare
in mezzo a quei giovani, non con una funzione
semplicemente assistenziale o per la sopravviven-
za, come poteva essere all’inizio, ma in prepara-
zione per la vita e la costruzione di una speranza
concreta per un futuro più o meno prossimo.
E mi è piaciuta molto l’atmosfera gioiosa della casa
e dell’ambiente. I giovani si sentono davvero a casa
nelle molte ore che la frequentano. E non siamo
soli, anche se i Salesiani sono gli unici non rifugiati
a poter risiedere nel campo. È stato bello sentire la
vicinanza del giovane vescovo, che ci ha assicurato
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CHE COSA PENSANO I GIOVANI
CLAUDIA GUALTIERI
Che cosa significa
essere “giovani”?
Il premio Nobel 2016 per
la Letteratura, Bob Dylan,
affermò: “Essere giovani
vuol dire tenere aperto
l’oblò della speranza anche
quando il mare è cattivo
e il cielo si è stancato di
essere azzurro.”
Che cosa, invece, significa
per i nostri ragazzi
essere giovani oggi?
Mattia, 21 anni:
«Vuol dire avere magari la
voglia di scalare le montagne
ma poi fermarsi nelle quattro
mura della propria stanza».
Essere giovani oggi significa essere una
forza con una grande energia ma su cui
la società non vuole investire per il pro-
prio futuro. La società non investe nei
giovani perché non li reputa una fonte
da cui trarre vantaggio in futuro, quin-
di si ferma al presente. Oggi, infatti, i
giovani non hanno più il senso di re-
sponsabilità, il concetto di progettare
il proprio futuro, dare un contributo al
mondo con le proprie mani.
Essere giovani vuol dire preferire la
massa, non urlare; vuol dire avere ma-
gari la voglia di scalare le montagne
ma poi fermarsi nelle quattro mura
della propria stanza. Oggi “giovane”
non vuol dire più vitalità ma inerzia.
È vero però che allo stesso tempo c’è
anche la voglia di riscattarsi, di voler
dimostrare di valere qualcosa, di ar-
marsi di cultura e di possedere tanti
modi per ottenerla alla portata del
nostro smartphone. Noi giovani vo-
gliamo riscattarci perché è nell’uomo
il desiderio di dimostrare ciò che vale
e di dare il massimo; inoltre questo
bisogno di riscatto è dovuto alla poca
fiducia che si ha in noi che tuttavia
vogliamo in qualche modo dimostra-
re di essere migliori. Per questo pur-
troppo ci abbattiamo e non troviamo
la forza di riprovare. Oggi essere gio-
vane vuol dire avere il desiderio di
dare il meglio di sé ma non avere le
possibilità o il coraggio di provarci.
Francesca, 17 anni:
«I giovani oggi si scontrano
con il dramma di non essere
mai contenti».
Essere giovani è una sfida. Oggi, in-
fatti, è necessario cercare di trovare
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un obiettivo, ovvero lo scopo della
propria vita. Noi giovani abbiamo bi-
sogno di un obiettivo perché la nostra
vita la stiamo costruendo ora e pro-
prio per questo dobbiamo cercare di
mettere un obiettivo davanti a noi,
perché è vero che abbiamo tanto tem-
po davanti, ma la “vocazione” della
propria vita è una, e bisogna capire
qual è.
Purtroppo certe volte questo obiet-
tivo sembra mirare al successo o al
possedere denaro e dunque non esi-
ste un vero obiettivo che ci si prefissa
dall’inizio, ma lo si cambia ogni volta
perché esce fuori qualcosa che sembra
essere meglio. Tuttavia è bene distin-
guere ciò che noi pensiamo sia meglio
da ciò che davvero lo è. La stessa cosa
avviene negli affetti: tutti cerchiamo
di trovare sempre il meglio però non
ci accorgiamo che forse il meglio lo
abbiamo già.
I giovani oggi si scontrano con il
dramma di non essere mai contenti.
Di tutto ciò c’è ovviamente un aspet-
to positivo cioè che ti fai il carattere e
impari a darti autostima ma allo stesso
tempo di negativo c’è che esiste chi ti
tarpa le ali cercando di dirti che i tuoi
sogni è bene che restino nel cassetto.
Secondo me, il modo migliore per
capire la propria vocazione è fermarsi
e immaginare come si può essere se-
guendo una strada e capire se ci rende
davvero felice. Essere felice non si-
gnifica avere soldi, ma sentirti fiero
di quello che sei e andare volentieri al
lavoro, svegliarti accanto alla persona
della tua vita. Essere soddisfatto di
chi sei e di quello che fai nel rispetto
di tutti.
Gioia, 20 anni:
«Spero che i lati negativi di
questa generazione si trasfor-
mino in punti di forza».
Io penso che la gioventù di oggi si
sia trasformata, penso che sia molto
diversa da quella di 30, 40 e 50 anni
fa per come mi è stata raccontata.
Una delle cause rilevanti, secondo
me, è stata l’affermazione del pro-
gresso tecnologico che penso abbia
completamente modificato il modo
di pensare e di agire dei giovani.
Penso che i ragazzi del ventunesi-
mo secolo, oramai, abbiano grandi
difficoltà a vivere senza cellulare o
qualsiasi altro oggetto elettronico;
penso che preferiscano dire ciò che
pensano tramite uno smartphone,
poiché è più facile, anziché prendere
un po’ di coraggio e farlo personal-
mente; penso che vadano dietro alla
moda dimenticandosi ciò che davve-
ro gli piace; penso che si siano omo-
logati pensando di essere accettati
maggiormente dagli altri ed hanno
paura di mostrarsi per ciò che sono
realmente. Purtroppo oggi se sei di-
verso significa che sei strano, anor-
male e vieni deriso, messo da parte.
Penso, inoltre, che i ragazzi d’oggi
siano caratterialmente più deboli,
più vulnerabili, e penso che abbiano
serie difficoltà ad affrontare le situa-
zioni complicate. Ciò accade perché
non sono abituati ai sacrifici e al la-
voro; ciò accade perché non riescono
a prendere in mano la loro vita prefe-
rendo restare a casa dai genitori ma-
gari anche senza studiare o lavorare,
piuttosto che darsi da fare per dare
un senso alla propria vita.
I giovani di oggi hanno tante paure,
sono pieni di insicurezze ed hanno
difficoltà ad accettare le novità, po-
sitive o negative, che subentrano nella
loro vita.
Ciò non toglie che oggi i giovani ab-
biano maggiori possibilità lavorative
ed una moltitudine di mezzi in più da
utilizzare rispetto a quelli del passa-
to, tra cui i vari mezzi di trasporto e
internet stesso. Se solo quest’ultimo
fosse usato bene, per cose utili insom-
ma, sarebbe una gran vittoria. C’è an-
che da dire però che rispetto alle ge-
nerazioni precedenti i ragazzi di oggi
hanno a loro disposizione anche vari
concorsi che permettono loro di rea-
lizzarsi in qualcosa che gli piace e non
sono obbligati a svolgere per forza il
lavoro, per esempio, del padre o del-
la madre, come accadeva nel passato.
Come in ogni generazione ci sono dei
pro e dei contro, ma ciò che spero è
che i lati negativi di questa genera-
zione si trasformino in punti di forza.
Affinché avvenga ciò, penso sia im-
portante impegnarsi e dare il meglio
di sé in ogni cosa e capire che cosa
conta realmente nella vita.
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SALESIANI NEL MONDO
GIAMPIETRO PETTENON - info@missionidonbosco.org - www.missionidonbosco.org
MozambicoDon Bosco!
Io lo conosco.
Vada pure, l’impronta
in Mozambico
Cari amici sono arrivato a Maputo, capi-
tale del Mozambico. Il primo aneddo-
to che vi racconto mi è capitato appena
sbarcato in aeroporto, alla verifica del
passaporto. La poliziotta, gentile e cor-
tese, mi chiede di prendere le impronte
l’ha lasciata
lui anche per voi .
dista meno di cento chilometri da Maputo) han-
no ereditato la guida in strada a sinistra. Comun-
que l’impressione è quella di un paese tranquillo
digitali con un mini scanner (cinese) che rileva ed ordinato in cui la povertà c’è, e si vede, ma ci
un dito alla volta.
sono anche tanta dignità e rispetto.
Parto con il pollice destro, tutto bene. Passo a quel- Concludo questa prima parte con un altro aned-
lo sinistro, niente da fare. L’impronta non si vede. doto che mi è capitato la sera in cui siamo arrivati.
Riproviamo. Nulla di visibile. Proviamo con le altre A cena con i salesiani abbiamo mangiato salsic-
dita della mano destra e poi di quella sinistra. Non ce. Il padre superiore ci ha raccontato che ha visto
c’è verso di lasciare un’impronta in Mozambico! come un macellaio in un’altra città le produceva,
Io non so se ridere o cominciare a preoccuparmi con carne di maiale e di pollo. Bene penso io, così
quando la poliziotta, leggendo la carta che avevo sono un po’ più leggere. Ma il buon padre ci ha
appena compilato nella quale avevo indicato che
soggiornavo presso la casa Don Bosco, esclama:
“Don Bosco! Io lo conosco. Vada padre, l’impronta
in Mozambico l’ha lasciata lui anche per voi”.
Potenza del nome di don Bosco! È un lascia
passare formidabile in ogni parte del mondo.
La capitale del Mozambico, Maputo, ha circa
due milioni di abitanti. Sono persone gentili ed
accoglienti, ordinate e silenziose. Beh, poi tanto
bravi tutti quanti non devono essere, a giudicare
dai numerosi recinti delle case con il doppio filo
Il signor Pettenon,
direttore di
Missioni don
Bosco, con alcuni
dei giovani che
frequentano
la scuola
professionale di
Iharrime. Sono
gentili, ordinati
e silenziosi.
spinato sulla sommità e dai numerosi terrazzi de-
gli appartamenti protetti da sbarre ed inferriate.
Ascoltarli parlare in portoghese per me è come
ascoltare una canzone pop inglese. Bella, orec-
chiabile, musicale ma non si capisce niente di
quello che dicono.
Come dai portoghesi hanno ereditato la lingua,
così dagli inglesi del vicino Sud Africa (il confine
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detto che il macellaio prima ha macinato la carne
di maiale, poi quella del pollo, poi ha continuato
macinando le zampe del pollo ed infine ha maci-
nato anche il cartone che conteneva maiale e pollo!
Confesso che il boccone di salsiccia che avevo
mangiato ha cominciato a girare per la bocca ma
non ne voleva sapere di scendere nello stomaco.
Un bicchiere d’acqua ha favorito il passaggio, ma
ho deciso di concludere il pasto passando subito
ad una banana e, siccome mi vergognavo di la-
sciare nel piatto un po’ di salsiccia, l’ho coperta
con la buccia di banana.
Suor Lucilia
“mamma” di tante bambine
Da Maputo siamo saliti per circa 400 km verso
nord per visitare l’opera salesiana di Iharrime, nel
distretto di Inhambane. I salesiani hanno un bel
centro di formazione professionale inaugurato nel
2002 che forma circa 300 allievi (maschi e fem-
mine) nei settori meccanico, elettrico, falegname-
ria ed edile. Accolgono poi una trentina di questi
ragazzi e e ragazze in un ostello adiacente la scuola,
perché questi allievi vengono da troppo lontano e
non possono fare i pendolari. Man mano che la
Provvidenza si fa’ presente costruiscono una picco-
la casetta per 6 studenti (3 × 5 metri) in muratura
e con il tetto in lamiera in cui ci stanno tre letti a
castello (ogni casetta costa € 3000,00). Non tutti
però hanno già la casetta in muratura, alcuni dor-
mono ancora in capanne fatte di foglie di palma
intrecciate. Vedendo queste piccole case fragili e
accanto quelle in muratura, mi è venuta in mente la
favola dei tre porcellini. Solo che qui il lupo cattivo
sono la pioggia e il vento forte, che di notte sferza
questa zona costiera con rovesci improvvisi d’acqua
e vento molto forte. I salesiani accanto alle casette
stanno progettando anche un locale adibito a cu-
cina e una tettoia comune sotto la quale far man-
giare i ragazzi. I salesiani danno solo la stanza per
dormire e garantiscono l’assistenza salesiana, ma i
ragazzi devono farsi da mangiare da soli e ora lo
fanno sotto una frasca traballante e poi mangiano
seduti su un mattone di cemento sotto gli alberi.
Dall’alta parte della strada c’è una splendida
opera delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice,
sorta poco dopo la nostra, ma diventata enorme
in poco tempo, grazie all’intraprendenza di una
suora portoghese unica: suor Lucilia.
Madre Yvonne,
superiora
generale delle
Figlie di Maria
Ausiliatrice, con
l’intraprendente
suor Lucilia che
dirige la scuola
frequentata
da migliaia di
studenti.
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SALESIANI NEL MONDO
sentata alle suore spacciandosi per la zia delle
bambine. Ha detto che sia il padre sia la madre
erano morti e chiedeva di accoglierle in collegio.
Le due più grandicelle erano state istruite dalla
madre a non dire una parola sulla loro situazione,
ma la più piccola quando ha visto la mamma che
le lasciava dalle suore e se ne andava, si è messa a
piangere chiamandola “mamma, mamma”. Suor
Lucilia, capito che cosa era accaduto, davanti ad
una scena così drammatica, non ha saputo negare
un posto alle tre piccole che ora frequentano la
scuola e vivono serenamente dalle suore, ma con
la madre “risuscitata”.
Noi di Missioni Don Bosco abbiamo un gemel-
laggio con questa opera salesiana e manteniamo
in collegio circa 100 bambine con la borsa di stu-
dio/adozione a distanza del valore di 1 euro al
giorno (30 euro mensili, 360 euro annui).
I centri di formazione
professionale
L’apprendimento
di un lavoro
costituisce lo
strumento principe
per dare speranza
e dignità ai giovani
africani. Ma
mantenere questi
laboratori non è
cosa facile.
Com’è tipico delle case delle suore, tutto è in or-
dine, pulito, con i fiori... Ma la cosa più bella sono
i 2300 studenti (maschi e femmine) che ogni
giorno frequentano le scuole primarie, secondaria
e pre-universitaria.
Hanno poi un grande convitto che accoglie 120
ragazze. Di queste, 70 sono in convitto perché
abitano lontano dalla scuola, le altre 50 invece
sono affidate alle suore perché orfane. Suor Lu-
cilia mentre ci presentava l’opera ha incontra-
to e salutato una bambina, e ci ha raccontato la
sua storia. Sono tre sorelline e sono accolte fra
le orfane, anche se la mamma è viva. È stata la
mamma che con uno stratagemma commovente e
straziante è riuscita a collocare le sue figlie dalle
suore. Sapendo che in collegio le suore accolgono
solo orfane, lei rimasta vedova e abitando vicino
ad un fratello del marito defunto, un uomo vio-
lento e rozzo, temendo che potesse far del male
alle piccole man mano che crescevano, si è pre-
Le opere salesiane in Mozambico hanno tutte un
centro di formazione professionale. La cosa non
stupisce, visto che è proprio l’apprendimento di
un lavoro che costituisce lo strumento principe
per dare dignità alla vita dei giovani che si af-
facciano alla vita adulta. Certamente si tratta di
un impegno grande e gravoso perché mantenere i
laboratori non è cosa facile.
Abbiamo visitato l’opera salesiana di Matola, un
municipio della cintura urbana di Maputo, con
gli immancabili laboratori di elettricità, salda-
tura e falegnameria. Lo frequentano 120 allievi,
maschi e femmine. Il direttore ci ha detto che i
ragazzi di questo centro trovano subito un lavoro
alla fine del percorso formativo perché, così rife-
riscono gli imprenditori che li accolgono per lo
stage, gli ex allievi formati dai salesiani hanno
qualità che non si trovano da altre parti.
Padre, gli dicono, quello che noi cerchiamo non
sono le competenze tecniche. In soli tre mesi di
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IL MOZAMBICO
lavoro in azienda i giovani imparano il compito
che devono svolgere. Quello che noi cerchiamo
dai giovani che escono dalle vostre scuole, e che
soltanto i vostri manifestano così fortemente, è il
rispetto delle attrezzature, la puntualità, la colla-
borazione nel lavoro di squadra, non rubano... È
interessante come le medesime caratteristiche le
cerchino gli imprenditori del Mozambico e quelli
di Treviso, Vicenza o Cuneo. Al di là del colore
della pelle, della religione professata, della lati-
tudine, ovunque... il bene è bene e si riconosce
subito. È il male che purtroppo spesso si insinua
travestito, camuffato da bene, per ingannarci.
Moamba: come Babbo Natale
Altra opera salesiana che abbiamo visitato, e un
altro centro di formazione professionale che ab-
biamo trovato, è a Moamba.
Oggi è frequentato da 300 allievi e di questi ben
100 sono convittori. Questo significa che quando
l’attività formativa finisce, alle due del pomerig-
gio, due terzi se ne vanno a casa. Ma cento di que-
sti restano da noi, e rientrano in famiglia solo una
volta al mese. È facilmente comprensibile questo,
in un paese in cui le strade e i mezzi di trasporto
pubblico sono quasi inesistenti. Al di fuori delle
Il Mozambico è uno Stato dell’Africa Orientale. Ha una popolazione di circa 25,2
milioni di abitanti e una superficie di 801 590 km². La capitale è Maputo. La
popolazione, rurale per i 4/5, vive in piccoli villaggi di capanne, attorniati da
recinti per il bestiame. I centri urbani invece hanno un aspetto tipicamente euro-
peo, ed ospitano la popolazione bianca, quasi tutta portoghese e oggi pressoché
interamente rimpatriata. Centro
principale è la capitale, Maputo
(1 070 000 abitanti), dotata di un
ottimo porto che ne fa uno dei
centri principali dell’Africa meri-
dionale. La religione principale
è quella animista (circa il 50%),
seguita da quella musulmana
(circa 16%) e quella cattolica
(circa 14%).
strade nazionali, che si con-
tano sulle dita delle mani,
non c’è asfalto. Le buche e
le pozze d’acqua, dopo la
pioggia, sono spesso trappo-
le micidiali per gli automezzi che le percorrono...
A Moamba ci stavano aspettando come i bambini
aspettano l’arrivo di Babbo Natale. E la letterina
con il dono richiesto non ci ha messo molto ad es-
sere presentata. Ci hanno portato dietro l’edificio
della cucina e dei refettori a vedere che cosa ave-
va combinato l’ultima tromba d’aria, passata solo
venti giorni prima del nostro arrivo. Abbiamo
trovato un groviglio enorme di lamiere contorte
in mezzo all’orto e anche sul tetto dei refettori.
Il vento fortissimo, in un attimo, ha divelto com-
pletamente il tetto di lamiera del padiglione delle
camere del convitto e l’ha lasciato cadere come un
grande velo metallico sopra le aiuole di verdura
dell’orto e appoggiato al tetto del fabbricato adia-
cente. Nessuno si è fatto male, perché il disastro
è capitato a mezzogiorno e tutti i ragazzi erano a
scuola, lontani dal padiglione coinvolto.
Da una prima stima dei danni occorrono circa
20 000 euro per ordinare le lamiere nuove e fare un
fissaggio migliore. Penso proprio che Babbo Na-
tale non sarà in grado di fare molto per questi gio-
vani, ma sicuramente la Provvidenza non si lascerà
battere in generosità da nessuno e saprà trovare le
strade per aiutarli.
I problemi sono
enormi e anche la
natura si accanisce
con rovesci
d’acqua e trombe
d’aria che spesso
distruggono quello
che con fatica si
era costruito.
Giugno 2017
11

2.2 Page 12

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VOLONTARI
O. PORI MECOI
Siamo famiglia...
in missione
Mary e Agostino:
«Tutte le volte che siamo
partiti per delle esperienze di
missione, Dio ci ha sempre
detto qualcosa di importante».
Siamo Mary e Agostino, di 36 e 31
anni. Ci siamo sposati quasi 3 anni
fa, nel maggio del 2014. Io, Mary,
sono cresciuta come giovane anima-
trice nell’Oratorio Salesiano di Casale
Monferrato, dal 2010 sono salesiana
cooperatrice e sono un avvocato. Io,
Agostino, lavoro come educatore nel
Centro di Formazione Professionale di
San Benigno Canavese. Ci siamo co-
nosciuti e fidanzati proprio grazie alle
esperienze estive di missione: nel 2007
siamo finiti per “Dio-incidenza” nello
stesso gruppo destinato in Nigeria.
La prossima estate accompagneremo
un gruppo di giovani in Romania,
nella piccola cittadina di Horgesti.
I salesiani di Bacau stanno avviando lì
Vogliono testimoniare con
il dono del tempo, delle
vacanze, di una fetta
di vita, che l’amore che
li unisce si può irradiare
sui giovani e sui poveri.
Nel nome di don Bosco.
una nuova esperienza e ci hanno chie-
sto una mano. Si tratterà di organiz-
zare due settimane di giochi e attività
per i bambini del paese.
La proposta è arrivata nel momento
più inaspettato: avevamo appena ri-
cevuto un preventivo per le vacanze
estive e poi… “Volete accompagna-
re un gruppo in Romania?”. Tutte le
volte che siamo partiti per delle espe-
rienze di missione, Dio ci ha sempre
detto qualcosa di importante, che ci
ha segnati. Questa proposta è sicura-
12
Giugno 2017
«Don Bosco e il
carisma salesiano
sono il nostro modo
di essere cristiani
nel mondo».

2.3 Page 13

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«Cerchiamo di accompagnare i giovani a vivere
un’esperienza significativa e intensa, che sia
umana e spirituale».
mente un modo per parlarci, per dirci
qualcosa di nuovo: ecco perché abbia-
mo accettato!
I nostri parenti oramai sono abituati:
Moldova, Nigeria, RD Congo, Ruan-
da e Madagascar. Ci conoscono, sanno
che cosa facciamo e ci sostengono.
È la prima volta che siamo
dall’altra parte: accompagna-
re noi dei giovani. Sentiamo
forte questa responsabilità.
La difficoltà più grande sarà permet-
tere ai ragazzi che ci vengono affidati
di avere un autentico incontro con il
Signore. Abbiamo la fortuna di avere
degli ottimi esempi di guide: sicura-
mente prenderemo spunto da loro!
Le cose più importanti da fare sono
due. Innanzitutto trovarsi come
gruppo per crescere nella fraternità
e organizzarsi anche nella raccolta
fondi. In secondo luogo affidandoci
al Signore nella preghiera. Le ragaz-
ze che accompagniamo stanno anche
frequentando il “corso partenti”: un
corso di mondialità e missionarietà
organizzato e gestito dall’équipe di
animazione missionaria dell’ispetto-
ria. Don Bosco e il carisma salesiano
sono il nostro modo di essere cristia-
ni nel mondo: questa esperienza non
potremmo farla se non con lui! Non
partiamo per costruire ospedali o di-
ghe, partiamo per fare delle “estate
ragazzi”: per stare vicino ai giovani,
soprattutto i più poveri ed essere noi
per loro e loro per noi un riflesso del
volto di Dio.
Peppe e Federica:
«Nella nostra famiglia,
crediamo molto alla frase
del vangelo “gratuitamente
avete ricevuto, gratuitamente
date”».
Giuseppe, 35 anni, di Venaria, Fede-
rica, 32 anni, di Cuneo e Benedetta, 1
anno. Siamo animatori dell’ispettoria
e sposati da 5 anni. Da uno, la nostra
famiglia si è arricchita di Benedetta.
Accompagneremo un gruppo a vivere
l’esperienza di servizio a Catania, in
un centro di prima accoglienza dal 1
al 15 agosto. In precedenza io sono
stato 3 volte nell’est Europa, 3 volte
in Africa ed 1 volta in Sicilia. Federi-
ca anche ha vissuto esperienze di ser-
vizio sia in Moldavia sia in Burundi.
Il nostro compito sarà quello di ac-
compagnare, di essere una presenza
che permetta a noi e a loro di vivere
un’esperienza significativa e inten-
sa, che possa essere catalogata nella
vita di ciascuno non solamente come
un’estate intelligente ma come un’e-
sperienza umana e spirituale molto
forte. Il nostro compito sarà quello di
trasmettere lo spirito missionario di
don Bosco, di responsabilizzare e di
essere a disposizione come presenze
con le quali confrontarsi e condivide-
re le esperienze intense che vivremo.
Nella nostra famiglia, crediamo mol-
to alla frase del vangelo “gratuita-
mente avete ricevuto, gratuitamente
date”. Abbiamo ricevuto, anche se
in realtà diverse e con modalità dif-
ferenti, moltissimo dalle persone che
ci hanno accompagnato, e continuia-
mo a ricevere moltissimo ancora oggi.
Abbiamo preso questa decisione per
poter essere al servizio dei più giova-
ni che vogliono vivere un’esperienza,
insieme ad un’altra famiglia di ani-
matori con un bimbo piccolo e per
poter dare una mano, da più adulti,
all’ispettoria alla quale apparteniamo.
Crediamo e speriamo di poter inse-
gnare, fin da adesso, a nostra figlia, la
sobrietà, la disponibilità e l’accoglien-
za come chiavi di lettura delle espe-
rienze che vivrà nella sua vita.
Giugno 2017
13

2.4 Page 14

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VOLONTARI
A dire la verità, i nonni sono un po’
preoccupati. Come genitori, direi
che ci hanno un po’ fatto l’abitudine,
avendoci visto partire diverse volte e
tornare sempre felici e più motivati.
Con la bimba, aumentano un po’ le
loro apprensioni, ma è comprensibile.
Noi siamo tranquilli, e al ritorno lo
saranno anche loro.
I ragazzi hanno seguito un anno
di cammino di formazione, ini-
ziando il percorso senza sapere
la destinazione dell’esperienza
estiva. Da qualche settimana invece
ci stiamo incontrando con loro. Abbia-
mo deciso di fare le riunioni e gli in-
contri a casa, per respirare aria di fami-
glia, creare dinamiche belle tra di noi,
far respirare ai bambini la loro presenza
e a loro la presenza dei bambini. Fun-
ziona bene, direi. Come famiglia, in-
vece, ci stiamo pregando su parecchio.
Non siamo agitati per la partenza, stia-
mo solo preparando il cuore e la mente
all’esperienza per poterla vivere fino in
fondo e renderla preziosa. Pur essendo
partiti diverse volte, ogni esperienza
però ha sempre un significato profondo
e non sa mai, alla fine, di deja vu.
Dio e don Bosco sono il “contenitore”
della nostra vita di singoli, di coppia e
di famiglia. Sono quasi vent’anni, più
di metà vita, che camminiamo nei cor-
tili di don Bosco, prima facendo for-
mazione per noi, poi formando qual-
cun altro, oggi dando un po’ di tempo
a disposizione e cercando di essere una
piccola testimonianza per gli altri. A
don Bosco dobbiamo, per motivi di-
versi, l’averci cambiato la vita e reso le
persone che siamo oggi, con una fede
in cammino ma consapevole, e l’averci
fatto incontrare. Io e Federica ci sia-
mo conosciuti ad un campo estivo nel
quale eravamo nella stessa équipe di
formazione. A Dio dobbiamo il dono
della nostra vita, le presenze che ci
hanno aiutato a crescere, comincian-
do dai nostri genitori, e le tante rela-
zioni che arricchiscono la nostra vita.
Gli dobbiamo in particolare la vita di
Benedetta, nata in modo avventuroso
e “fortunato”, che ci ha resi mamma e
papà. In casa nostra la croce sopra la
porta d’ingresso è fatta con il legno dei
barconi arrivati a Lampedusa: un re-
galo dei nostri amici. Ogni volta che la
guardiamo, oltre a ricordarci che non
siamo soli, ci dice che ci sono gli altri,
i poveri e gli emarginati, che non dob-
biamo mai dimenticare.
Veronica e Tony:
«Riconosciamo la necessità di
metterci insieme al servizio
degli altri e siamo affascinati
dalle tante testimonianze di
vita delle famiglie cristiane».
Siamo Veronica e Tony, ci siamo spo-
sati a settembre del 2014 e abbiamo
un bimbo di 18 mesi che si chiama
Michele.
Veronica ha 29 anni, è medico e lavo-
ra presso l’ospedale Amedeo di Savoia
dove frequenta la scuola di specialità in
malattie infettive, Tony ha 33 anni, è
ingegnere informatico e Ph.D. in com-
puter science, lavora presso l’Ispettoria
dei Salesiani del Piemonte come pro-
gettista, presso la scuola paritaria sa-
lesiana Valsalice come amministratore
di rete e ha un’impresa individuale di
consulenza informatica.
Ci siamo conosciuti in Terra Santa
nel 2010 durante un pellegrinaggio
organizzato dalla famiglia salesiana
e abbiamo deciso di farci aiutare da
una guida nel discernimento vocazio-
nale, nonostante per motivi di studio
vivessimo in Spagna e in Francia. Ac-
compagnati da don Michele ci siamo
fidanzati l’anno dopo con il rito del-
la benedizione dei fidanzati e siamo
partiti per un mese in terra di missio-
ne in Cameroun con le Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice. Questa esperienza è
stata fondamentale per la nostra cre-
scita spirituale e ci ha spronato a con-
14
Giugno 2017

2.5 Page 15

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tinuare il nostro cammino. Tre anni
dopo abbiamo affidato il nostro Sì
al Signore nella chiesa di Riva pres-
so Chieri accanto a tanti giovani del
movimento giovanile salesiano.
Sicuramente la nostra prima missione
sarà quella di dedicare ai giovani che
accompagneremo il tempo e l’attenzio-
ne che abbiamo ricevuto quando sia-
mo stati noi a percorrere le strade del
mondo “con don Bosco” la prima volta.
A livello di famiglia, cercheremo di
fare di questa esperienza un luogo
privilegiato di ascolto dei desideri di
Dio sulla nostra vita. Riconosciamo
la necessità di metterci insieme al
servizio degli altri e siamo affascinati
dalle tante testimonianze di vita delle
famiglie cristiane che in vario modo,
con la creatività e la forza che solo il
Signore può ispirare, tengono aperte
le porte di casa al prossimo.
Insieme ad un’altra famiglia di amici,
e ai ragazzi che accompagniamo, vi-
vremo un’esperienza di condivisione
di due settimane con gli operatori e
gli ospiti del centro di accoglienza per
giovani migranti Don Bosco Island
recentemente sorto a Catania, in Si-
cilia, grazie all’impegno dei salesiani
di don Bosco e delle Figlie di Maria
Ausiliatrice.
Una domenica ci siamo sve-
gliati e ci siamo detti che ci
avrebbe fatto bene rivivere
un’esperienza insieme in terra
di missione come nel 2011 a Bafia
in Camerun, stavolta come famiglia e
come accompagnatori.
I nostri famigliari sono molto felici
per la nostra scelta e molto tranquilli
per via della destinazione. In più Ve-
ronica è nata a Chieri ma la sua fami-
glia proviene da Naro in provincia di
Agrigento, per cui pensare alla Sicilia
è come pensare a casa. Tony ha intra-
preso nel 2006 il suo percorso nell’a-
nimazione missionaria salesiana, per
cui anche nella sua famiglia la felicità
ha preso il posto delle preoccupazioni
della prima esperienza.
Sicuramente il confronto diretto con
una realtà dura come quella dei mi-
granti ci metterà fortemente in discus-
sione non solo come cittadini europei
ma soprattutto come famiglia cristiana.
Ci siamo preparati in maniera sem-
plice, con la preghiera e iniziando ad
incontrare il nostro gruppo con regola-
rità per stringere i nostri legami prima
della partenza ed abituarci insieme ad
affidare a Dio questa esperienza.
Dio ci ha sempre accompagnati fin
dal nostro incontro in Terra Santa. Il 4
agosto 2010 abbiamo scritto una pre-
ghiera davanti al muro occidentale del
tempio di Gerusalemme, e quella pre-
ghiera è diventata dopo quattro anni
«A livello di famiglia, cercheremo di fare di questa
esperienza un luogo privilegiato di ascolto dei
desideri di Dio sulla nostra vita».
il nostro “per sempre”. Ora abbiamo
scelto di rinnovare la nostra promessa
chiedendo al Signore un aiuto per ca-
pire come non chiudere al prossimo le
porte della nostra famiglia.
Don Bosco significa davvero molto
per noi, soprattutto per Tony che ha
frequentato l’oratorio sin da picco-
lo, dove ha scoperto la passione per
i linguaggi multimediali e l’infor-
matica, è entrato come animatore
nel Movimento Giovanile Salesia-
no ed ha conosciuto molti giovani
dell’ispettoria nei vari campi estivi
e nelle molteplici occasioni di for-
mazione proposte dall’ispettoria.
Veronica ha conosciuto il carisma
salesiano sia nella sua parrocchia di
Riva presso Chieri, dove Domenico
Savio è stato battezzato, sia soprat-
tutto attraverso l’animazione mis-
sionaria salesiana.
Giugno 2017
15

2.6 Page 16

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MONDO
2
3
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
1
ECUADOR 1
SPAGNA 2
FINO AI CO
Studenti delle
“Don Bosco ancora cambia le vite”:
popolazioni indigene si Fondazione Progetto Don Bosco
laureano all’Università
Politecnica Salesiana
È stato Paúl Naikiai Jintiach, giovane della popolazio-
ne indigena shuar dell’Amazzonia, l’incaricato di pro-
nunciare di fronte al pubblico il discorso ufficiale da
parte degli studenti laureati. Il giovane ha ringraziato
l’Università Politecnica Salesiana ( ): “Questo spazio
è stata la mia casa. Oggi ci congediamo da questa bella
università e iniziamo una nuova fase, da professionisti”
ha detto.
Il 31 marzo, dal campus Sud dell’ , sede di Quito,
sono usciti 52 nuovi dottori professionisti: in Inge-
gneria dei Sistemi, Elettronica, Ambientale, Civile
e Gestionale.
Il Direttore del Corso d’Ingegneria Elettronica ha
parlato dell’importanza dell’aspetto umano nel lavoro
professionale. “Ciò che ci definisce è la componen-
te umana, perché rafforza la fiducia, l’impegno e la
responsabilità. Avete una missione importante per la
società”.
Paúl Naikiai Jintiach e Luis Andrango, i due neo
ingegneri provenienti dalle missioni indigene salesiane,
hanno dichiarato che “qui abbiamo capito il vero signi-
ficato delle parole amicizia, unità, solidarietà, fiducia e
professionalità”.
Don Bosco ancora oggi cambia la vita di tanti minori
nel Nord di Tenerife: la Fondazione Progetto Don Bo-
sco, che ha sede presso l’Istituto Salesiano “San Isidro”
di La Orotava, da anni realizza un intenso lavoro con
i bambini e i giovani, offrendo loro un presente e un
futuro migliori.
Maria, una ragazza 23enne di La Orotava, senza forma-
zione e senza lavoro, viveva nella casa dei genitori del suo
compagno, insieme con la figlioletta di 3 anni. I Servizi
Sociali l’hanno inviata al Progetto Don Bosco e lì ha
iniziato un percorso formativo. Ora lavora in un hotel.
Mohamed è un giovane saharawi di 25 anni. Giunse da
bambino nelle Isole Canarie, a bordo di un barcone. Vi-
veva in un centro per minori, ma a 18 anni si è trovato a
vivere per strada ed è finito nei guai con la giustizia; alla
fine è arrivato in uno degli “Appartamenti Don Bosco”.
Ha ricevuto una formazione come cameriere e ora lavora.
Il protagonista della terza storia si chiama Pablo. È un
bimbo di Tenerife di 5 anni. Non parlava con nessuno,
a malapena pronunciava qualche parola: sua madre era
stata vittima di violenza. Tre mesi dopo il suo arrivo
presso la Fondazione, ha sorriso per la prima volta. Ora si
è integrato e partecipa alle attività come tutti i coetanei,
ha riacquistato la parola e il sorriso.
16
Giugno 2017

2.7 Page 17

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ETIOPIA 3
Il progetto “Print your future”
Procede presso il “Don Bosco ”, il Centro di
Formazione Tecnico Professionale salesiano di Meka-
nissa, nei pressi di Addis Abeba, il progetto “Print your
future” (Stampa il tuo futuro), un progetto di formazione
nelle arti grafiche e tipografiche che sta già ottenendo
due importanti risultati: la crescita nella professionalità
degli allievi e la diffusione del nome di don Bosco e dei
Salesiani come sinonimi di educazione e opportunità di
sviluppo.
Attualmente vengono impartiti i corsi serali agli allievi,
che alternano lezioni teoriche e sessioni pratiche, rivolte
prevalentemente a lavoratori ed operatori dell’industria
tipografica, per migliorarne le competenze ed offrire loro
maggiori opportunità di impiego.
Questa offerta formativa si va ad inserire in una struttura
come quella del “Don Bosco ”, già funzionante ed
accreditata dall’Agenzia per la Formazione Tecnico-
Professionale di Addis Abeba, che offre corsi a molti
giovani poveri e vulnerabili dell’area.
L’attivazione di questi corsi ha avuto come prima conse-
guenza positiva l’incremento del numero di giovani che
gravitano intorno alla scuola. “In questo momento ‘Don
Bosco Mekanissa è a tutti gli effetti un hub per
giovani e giovanissimi della zona” hanno commentato
gli organizzatori.
MYANMAR 4
4
Il centro salesiano
di Mandalay in aiuto
ai bambini di strada
Il centro salesiano “Don Bosco Friend of Youth” (Don
Bosco Amico della Gioventù) di Mandalay fornisce ripa-
ro, cibo, assistenza sanitaria ed educazione formale e non
formale a decine di ragazzi. Nell’ambito delle sue attività
il responsabile dell’opera, don Peter Myo Khin, va con i
suoi collaboratori nelle stazioni ferroviarie e degli autobus
per incontrare e quindi aiutare i bambini e i ragazzi che
vivono per le strade di Mandalay, la seconda città più
grande del paese.
Il centro funziona 24 ore al giorno. “Questo è un
luogo sicuro per i ragazzi e li trattiamo come mem-
bri di una famiglia” continua don Myo Khin. Patrick
Zaw Tan, responsabile del progetto, ha un colloquio
personale con ciascun ospite. “Cerchiamo di dare loro
una formazione entro le prime due settimane dall’ar-
rivo – spiega –. Ma è un processo difficile”. “L’edu-
cazione può cambiare la vita di una persona, le sue
abitudini e gli atteggiamenti” aggiunge il signor Zaw
Tan. Uno dei ragazzi, ad esempio, viveva per strada
dopo essere scappato da una famiglia disgregata e in
cui veniva picchiato dal nonno. Ora invece studia e
vuole andare all’università per poter poi diventare una
guida turistica.
Giugno 2017
17

2.8 Page 18

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A TU PER TU
LINDA PERINO
«Ho fissato
il mio cuore al largo»
Incontro con don Alfred Maravilla
Nuovo superiore della Visitatoria Papua Nuova Guinea-Isole Salomone (PGS)
La vita missionaria per me è uno
stato permanente d’inquietudine.
Significa essere sempre disposti
a osare l’improbabile in modo da
imparare a confidare nel Signore
18
Giugno 2017
Com’è nata la tua vocazione
salesiana?
Vengo da una famiglia piccola. I miei
genitori hanno avuto solo due figli.
Io, il primogenito, e mio fratello ar-
rivato tre anni dopo di me. Era una
usanza della mia famiglia trovarsi
per celebrare i compleanni e le gran-
di feste come il Natale, la Pasqua, la
Festa di Ognissanti, ecc. Quindi ci
trovavamo spesso con i miei cugini,
nonni e parenti per queste celebra-
zioni. Per la scuola secondaria i miei
cugini erano andati dai salesiani, al-
lora i miei genitori hanno voluto che
anch’io andassi dai salesiani insieme
a loro, anche se preferivo andare dai
fratelli di De la Salle perché alcuni
dei miei compagni di scuola erano
andati da loro. Posso dire che i Sa-
lesiani mi hanno sedotto! Conoscere
i salesiani fu una cosa sorprendente
per me. Questi preti e chierici che
giocavano a pallone con noi mi han-
no fatto capire che là c’era qualcosa
di diverso. Piano piano mi hanno

2.9 Page 19

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coinvolto nel centro giovanile. Il re-
sto è ormai storia.
Perché hai scelto
di essere missionario?
Quando ho conosciuto i Salesiani
tutta la Congregazione era piena di
fervore missionario non solo a mo-
tivo del Progetto Africa, ma anche
perché don Egidio Viganò, all’epoca
Rettor Maggiore, aveva chiesto ad
ogni Ispettoria di “adottare” un ter-
ritorio missionario. Molti Salesiani
della mia Ispettoria erano già parti-
ti come missionari in Thailandia ed
Etiopia. Poi don Viganò aveva dato
alla nostra Ispettoria la responsabili-
tà di iniziare la presenza salesiana in
Papua Nuova Guinea. Il mio cuore
era inquieto perché sentivo anch’io
quella chiamata interiore a lasciare le
rive conosciute e fissare il mio cuore
al largo.
Come l’hanno presa
i tuoi genitori?
La mia mamma mi chiedeva: “Perché
vuoi essere missionario in un posto
lontano, mentre qui nelle Filippine ci
sono tanti poveri e quelli che hanno
bisogno di essere re-evangelizzati?”
Con fatica cercavo di spiegarle che la
mia vocazione missionaria è una vo-
cazione dentro la mia vocazione sa-
lesiana. È un’ansia dentro di me per
rispondere alla chiamata del Signore.
Non credo di averla convinta con le
mie parole. Ma le ho sentito dire ai
suoi amici che è contenta che sono
missionario, perché anche se sono
lontano da loro, mi vedono sempre
molto felice.
Alfred Maravilla è nato a Silay City,
Negros Occidental, nelle Filippine, il
31 luglio del 1962. Dopo aver svolto
il Noviziato a Canlubang, è partito
missionario in Papua Nuova Gui-
nea ( ), dove il 24 marzo 1988, a
Gabutu, ha emesso i voti perpetui.
Dopo aver studiato Teologia a Cre-
misan, in Israele, ha ricevuto l’ordi-
nazione sacerdotale nella sua città
natale, il 15 agosto 1992. Dal 2008
ha lavorato nel Settore per le Missio-
ni nella Casa Generalizia di Roma,
occupandosi in particolare della for-
mazione e dell’accompagnamento dei
missionari.
Don Maravilla, che parla filippino,
inglese, italiano, spagnolo, francese e
pidgin malese, succede a don Pedro
Baquero, nominato vescovo di Kere-
ma, , da papa Francesco lo scorso
20 gennaio.
Non hai mai avuto paura?
Ma devo dire anche che quando la
mia domanda missionaria venne ac-
cettata, la mia gioia iniziale si tra-
sformò ben presto in incredulità, in
quanto mi resi conto di essere stato
inviato in Papua Nuova Guinea. “So-
pravvivrò in un posto così difficile,
con la malaria, con il clima e culture
inizialmente difficili da capire per noi
stranieri?”. Ero partito dopo un anno
Don Alfred Maravilla nella sua missione. «La
sfida è il coraggio di vedere le nuove periferie».
Giugno 2017
19

2.10 Page 20

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A TU PER TU
di tirocinio. Avevo ventitré anni! I
miei timori e le ansie divennero ben
presto una ferma volontà di imparare
bene la lingua e la cultura della “mia
gente”. Insieme con altri quattro sale-
siani avviammo una nuova presenza
nella Capitale. Don Bosco era ancora
praticamente sconosciuto nel paese.
È dura essere un pioniere. Abbiamo
dovuto improvvisare tutto. Ma erano
anni pieni d’iniziative, d’entusiasmo e
di gioia.
Quali sono state
le tue prime esperienze
salesiane?
Per la Teologia mi hanno mandato a
Cremisan. Sono stati anni bellissimi
non solo perché potevo studiare la
teologia in Terra Santa, ma soprattut-
to perché l’esperienza e la fatica inter-
culturale in una comunità salesiana
multiculturale in un ambiente mul-
tireligioso mi hanno fatto spalancare
i miei orizzonti missionari! Dopo la
mia ordinazione sono stato invia-
to immediatamente per la licenza in
missiologia alla Gregoriana. Sono
due anni dove si respira l’universalità
della Congregazione e della Chie-
sa. Dopo gli studi sono stato inviato
nuovamente nell’opera dove avevo
iniziato la mia avventura missiona-
ria. Questa volta abbiamo lavorato
per formare i nostri collaboratori laici
autoctoni. Abbiamo avviato anche il
primo gruppo di Salesiani Coopera-
tori e dell’ .
Letteralmente vedevo davanti ai miei
occhi il carisma salesiano mettere ra-
dici. Insegnavo anche la missiologia
nel seminario interdiocesano. Facevo
parte della commissione episcopale
per il dialogo ecumenico. Per cinque
anni sono stato direttore del Centro
Liturgico-Catechetico della confe-
renza episcopale. Adesso, guardando
indietro, mi rendo conto che accom-
pagnare l’opera di evangelizzazione
delle ventitré diocesi ha allargato i
miei orizzonti ecclesiali e missionari.
Ora sei il nuovo superiore
della Visitatoria.
Mentre stavo lavorando alla mia tesi
a Roma in teologia fondamentale
all’improvviso, ricevetti una telefo-
nata dal neo eletto Consigliere per le
missioni, don Vaclav Klement e mi
chiese di far parte del Settore Mis-
sioni. Accettai solo dopo un inten-
so discernimento. Ora, dopo aver
La chiesa parrocchiale di Herehere. I salesiani
sono molto conosciuti per l’educazione tecnica
e per il lavoro tra i giovani marginalizzati.
20
Giugno 2017

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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OASI NELL’IMMENSO OCEANO
La Nuova Guinea è la seconda isola per estensione al mondo (785 000 km²), dopo la
Groenlandia. Si trova nell’oceano Pacifico, e fa parte dell’Oceania vicina, dal momento che è
prossima all’Asia sud-orientale. Politicamente l’isola della Nuova Guinea è divisa tra lo stato
della Papua Nuova Guinea (classificato come parte dell’Oceania) e quello asiatico dell’Indo-
nesia (regione dell’Irian Jaya).
La Papua Nuova Guinea è un paese affascinante, selvaggio, ma anche pericoloso. Lo sta-
to è molto tradizionale e possiede molti popoli con diverse tradizioni; si trova nella penisola
di Papua. La maggior parte del territorio è costituito da foresta pluviale che negli ultimi anni
è diminuita molto a causa della deforestazione.
Le Isole Salomone, formate da sei isole principali e da un migliaio di altri isolotti, è uno
degli stati insulari del Pacifico con minor densità di popolazione, dove poco più di mezzo
milione di persone vive su una superficie di 26mila chilometri quadrati. Nonostante la bas-
sa densità di popolazione, però, per alcuni abitanti delle Isole Salomone trovare un posto
sicuro dove vivere è diventato difficile. Nell’arcipelago ci sono grandi isole vulcaniche in cui
le persone si possono trasferire. Gli spostamenti, però, possono creare delle tensioni. La
maggior parte del territorio è controllata dai proprietari storici, e quindi spostare un gruppo
di persone in un territorio altrui ha provocato un conflitto etnico.
Dire don Bosco equivale a lavorare
per i giovani marginalizzati. Abbia-
mo una continua richiesta dai vescovi
e dal governo per aprire nuovi centri
professionali.
La visitatoria della Papua Nuova
Guinea e Isole Salomone ha solo
una quarantina di confratelli, 18
aspiranti universitari, 3 prenovizi, 2
novizi, e 3 postnovizi e 2 salesiani
sacerdoti autoctoni. La sfida è non
restare nelle nostre opere ma avere il
coraggio di vedere le nuove periferie.
I confratelli sono pochi ma il cuore
missionario di don Bosco ci spinge
ad andare avanti per cercare ancora
nuovi modi per aiutare i giovani po-
veri. Questo è lo spirito missionario
di don Bosco che rinnova la nostra
Congregazione.
incontrato i missionari in cinque
continenti e spesso in situazioni dif-
ficili, sono grato per la prospettiva
mondiale della Congregazione che
ho avuto.
Avevo già iniziato a preparare la con-
clusione del mio servizio nel Setto-
re per le Missioni, quando il Rettor
Maggiore mi ha chiamato nel suo uf-
ficio per chiedermi di essere il Supe-
riore della nuova Visitatoria di Papua
Nuova Guinea-Isole Salomone. Men-
tre mi stava spiegando la sua scelta, la
mia mente era turbata da molte do-
mande e dubbi. Ma ho anche sentito
una voce interiore che mi sussurrava
di osare prendere il largo ancora una
volta.
Quali sono le opere
salesiane in Papua
e Isole Salomone?
I salesiani sono conosciuti nei due
paesi (Papua Nuova Guinea e Isole
Salomone) per l’educazione tecnica.
Che cosa significa oggi
essere missionari?
La vita missionaria per me è uno stato
permanente d’inquietudine. Significa
essere sempre disposti a osare l’im-
probabile in modo che si impari a
confidare nel Signore, che ci invita a
fissare costantemente i nostri cuori al
largo.
Giugno 2017
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3.2 Page 22

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TEMPO DELLO SPIRITO
F.B.
Otto passi per raggiungere
la tranquillità dell’anima
Viviamo nel «regno del rumore».
Oggi, parole come concentrazione
o raccoglimento sembrano senza senso.
Come si può raggiungere una vera tranquillità
dell’anima che ci permetta di crescere
spiritualmente, senza dover fuggire su una
montagna solitaria? Ecco otto semplici passi.
Irumori ci assediano. Rumori fuori: dalla sve-
glia del mattino, al frullatore della colazione,
al telefono, ascoltiamo musica in auto o sui
mezzi pubblici. In città risuonano le accele-
rate dei motori, le sirene delle ambulanze, i
clacson, i lavori in corso feriscono le nostre
orecchie. Gli occhi sono assediati da informazio-
ni di ogni sorta: vetrine, manifesti pubblicitari,
luci, oggetti in movimento continuo, display e
schermi televisivi. Siamo mitragliati da informa-
zioni continue.
Rumori dentro: preoccupazioni, nervosismi, ansie,
sofferenze, scontri, piccole e grandi malattie.
Che cosa possiamo fare per conquistare la tran-
quillità?
1. Eliminare i pensieri negativi.
La vita è fatta di sofferenze e nella maggior parte
dei casi tali sofferenze sono provocate da ciò che
non è andato secondo le nostre aspettative. Ci sono
quattro sofferenze “inevitabili”: nascere, invecchia-
re, ammalarsi e morire. Aspetti della vita che ef-
fettivamente non vanno quasi mai come speriamo.
La vita non ci viene incontro. Anche nella Bibbia,
dice Qoelet: «Tutto è vanità, come inseguire il ven-
to. In questa vita sembra tutto inutile».
Eppure in ogni giornata ci sono tanti eventi, pic-
coli e grandi, che dipendono da noi. Facciamo
ogni giorno la lista e affrontiamoli con decisione.
Ricordando la classica preghiera: «Signore, con-
cedimi la serenità per accettare le cose che non
posso cambiare, il coraggio per cambiare le cose
che posso, e la sapienza per comprendere la diffe-
renza delle une dalle altre».
22
Giugno 2017

3.3 Page 23

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2. Le relazioni personali non devono essere
opprimenti.
Non possiamo vivere senza legami. Dovrebbero
essere la principale fonte di serenità, invece sono
spesso la causa di tante amarezze.
La prima cosa da fare quando cadiamo preda
dell’irritazione causata da altri è respirare pro-
fondamente, calmarci e concentrarci per torna-
re ragionevoli. E osservare noi stessi in modo
distaccato, come se fossimo un’altra persona.
Qualsiasi cosa vi irriti rimandate le lamentele a
un secondo momento: prima di tutto calmatevi,
poi cercate la soluzione al problema.
3. Recarsi in luoghi che trasmettono
tranquillità, come una chiesa, e ritagliare
alcuni minuti per stare in silenzio.
Pochi minuti di silenzio possono consentire di
ritrovare se stessi, riordinare i pensieri, assapora-
re un attimo di serenità. Si possono conquistare
con poco: una visita in chiesa, una camminata per
raggiungere il posto di lavoro, una pausa paziente
in una sala d’aspetto.
4. Concentrarsi su qualcosa e portare a
termine ciò che si è incominciato.
In ogni momento della nostra vita abbiamo cose
da fare e spesso non riusciamo a organizzarci per
dare la precedenza a quelle importanti. Portare a
compimento ciò che abbiamo iniziato è sempre
una soddisfazione che si dilata sulla giornata.
5. Lasciar perdere le cose che non servono
veramente.
La ricchezza di una persona si misura da quello
di cui non ha bisogno. Quando state per acqui-
stare qualcosa chiedetevi sempre se si possa evi-
tare o rimandare e se vi sarebbe veramente utile.
Nella nostra giornata sprechiamo e consumiamo
in modo insensato. Illusi dalla pubblicità, com-
priamo prodotti che finiscono nella pattumiera.
E anche questo causa stress.
6. Non paragonarsi agli
altri e vedere le cose
senza pregiudizi.
L’impulso al paragone è in-
sito nel nostro sistema di
pensiero. «È più giovane di
me e fa carriera più in fretta»,
«Quello si è già sposato, io non
ci sono ancora riuscito» e così
via. Davvero la felicità di una
persona si può paragonare
a quella di un’altra? Di
solito pensiamo di
essere superiori a
qualcuno per certi
aspetti e inferiori
per altri, provan-
do di conseguen-
za superbia o invidia. E non c’è niente di buono
in questi sentimenti. Possiamo paragonarci agli
altri solo per migliorare noi stessi.
7. Vivere con gentilezza.
La più grande delle virtù è la “buona educazio-
ne”. Significa circondarsi di un alone di pace. È
importante salutare cortesemente. Sia che si tratti
di una persona che non vedete da tempo oppure
che incontrate tutti i giorni, infondete nel vostro
saluto tutta la felicità di incontrarla. Siate bravi
ascoltatori e conversate rispettando l’interlocu-
tore. Cercate di essere positivi e generosi: è gra-
tificante per voi che le persone amino la vostra
compagnia.
8. Pregare.
La tranquillità che nasce dalla contemplazione e
dalla preghiera è la vetta più alta della nostra vita
psichica. È bussare alla porta dell’Assoluto. È sa-
pere di vivere con una presenza luminosa e fedele,
buona e compassionevole. La preghiera che chiu-
de ogni giornata è la radice della serenità assoluta:
«Signore, alle tue mani affido il mio spirito».
Foto Shutterstock
Giugno 2017
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3.4 Page 24

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LE CASE DI DON BOSCO
GIOVANNI LUBINU
Sassari
“Nostra Signora del Latte Dolce”:
con questo nome pieno di tenerezza,
una comunità di salesiani impegna la vita
in una città generosa e buona, ferita
dalla crisi economica.
La bella chiesa
parrocchiale.
La parrocchia
dei salesiani ha
un’intensa attività
liturgica, spirituale
e caritativa.
L a presenza dell’opera salesiana a Sassari ha
avuto inizio nel 1973; in seguito, i salesia-
ni completano la costruzione della chiesa
parrocchiale e dell’oratorio-centro gio-
vanile, che vengono inaugurati nel 1976.
La parrocchia Nostra Signora del Lat-
te Dolce svolge, pertanto, la sua attività da oltre
quarant’anni, da quando è nato il quartiere in cui
è sita. Si tratta di un quartiere popolare nel quale,
intorno agli anni settanta, confluirono abitanti
di zone periferiche della città. L’oratorio, già da
allora, risultò essere un fondamentale punto di
riferimento per le famiglie nel vuoto sociale do-
vuto anche al debole intervento delle istituzioni,
ricreando il tessuto culturale giovanile attraverso
l’aggregazione variegata delle attività (sportive,
musicali, teatrali).
Nel tempo, non risulta variata né la funzione del-
la Parrocchia e dell’Oratorio né la situazione so-
ciale del “Latte Dolce”.
Secondo gli ultimi dati diffusi dall’ , il quar-
tiere conta circa 16 000 individui, 2480 famiglie e
circa 1700 giovani in un’età compresa fra i 16 ed
i 30 anni.
I dati sulla povertà, resi noti dalla Regione Sarde-
gna, rivelano una situazione di indigenza diffusa
in numerosi nuclei familiari residenti nel territo-
rio. Basti considerare che il tasso di disoccupa-
zione nella provincia di Sassari è il più alto fra
le province sarde, attestandosi oltre il 17% ed in
continua crescita rispetto agli anni precedenti. La
disoccupazione giovanile (15-24 anni), nella stes-
sa provincia, supera il 35%.
In tale contesto si svolge la vita della Parroc-
chia, animata ed organizzata attraverso il la-
voro di diverse Commissioni che, periodica-
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Giugno 2017

3.5 Page 25

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mente, si incontrano per la programmazione
e la verifica delle attività. Gli ambiti in cui si
è maggiormente impegnati sono: l’animazione
liturgica e spirituale, che coinvolge diverse per-
sone, tra cui un buon numero di Ministranti
adulti, Ministri straordinari della comunione
eucaristica e giovani ministranti; la dimensione
della carità, seguita da un gruppo di volonta-
ri che, in stretta collaborazione con la Caritas
Diocesana, si preoccupa di rilevare le necessità
delle famiglie del quartiere. Attualmente sono
seguiti circa 50 nuclei familiari per un totale di
160 persone.
Parrocchia, Oratorio
e Santuario
Un posto di particolare rilievo è occupato, ovvia-
mente, dall’Oratorio, con le sue varie attività, per
l’organizzazione delle quali si riunisce mensil-
mente il consiglio oratoriano.
Oltre alla dimensione della prima accoglienza
nell’ambiente più informale dei cortili e della
sala giochi, a cui si cerca sempre di dare comun-
que una connotazione educativa, un notevole
impegno viene profuso nell’attività della cate-
chesi d’iniziazione cristiana, con tutte le dif-
ficoltà che caratterizzano il senso religioso dei
nostri tempi. Tuttavia, c’è un discreto gruppo di
ragazzi che continua a seguire un cammino di
formazione anche dopo la Cresima (sono i co-
siddetti “Gruppi Apostolici”), per una crescita
personale e comunitaria, volta anche al servi-
zio verso gli altri nell’appassionante esperienza
dell’animazione.
Molto importante e qualificante per l’Oratorio è
anche l’attività di “Estate Ragazzi”, che vede ogni
anno tanti ragazzi ed adulti impegnati in un pre-
zioso servizio alle famiglie del quartiere (e non
solo), durante tutto il mese di luglio.
Particolarmente importante per la Parrocchia
e per tutto il quartiere è la presenza del nostro
Santuario, risalente alla fine del secolo e
intitolato alla Madonna del Latte Dolce, la cui
festa si svolge, con grande partecipazione, la se-
conda domenica del mese di ottobre. Del 1238 è
l’elemento più significativo e cioè l’affresco che
ritrae la Madonna, tra Santa Caterina d’Ales-
sandria e Santa Lucia, nell’atto di allattare il
bambino Gesù.
Le sfide e il coraggio
per affrontarle
Al di là e prima delle varie attività, però, ven-
gono le persone e cioè la Comunità Educativa
Pastorale, l’insieme di tutti coloro che operano
per l’educazione e l’evangelizzazione, special-
mente dei giovani più poveri, secondo lo stile
di don Bosco. Tale comunità, attraverso il pro-
prio Consiglio, anima e coordina le iniziative
dell’Opera salesiana attraverso la riflessione,
il dialogo, la programmazione e la revisione
dell’azione educativo-pastorale. La Comunità
Educativa Pastorale trova il proprio nucleo ani-
matore nella Comunità salesiana, composta dal
parroco don Giovanni Lubinu e da altri quattro
confratelli, impegnati sia nella Parrocchia sia
Il gruppo degli
animatori
dell’Oratorio.
L’“Estate Ragazzi”
è importante e
qualificante per
il quartiere.
Giugno 2017
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3.6 Page 26

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LE CASE DI DON BOSCO
Una celebrazione
parrocchiale.
Sotto: La piccola
chiesa, dove è
nata la devozione
alla “Madonna
del Latte Dolce”.
È frequentata
e amata dai
sassaresi.
nell’Oratorio e attenti a favorire il coordina-
mento e la corresponsabilità di tutti al servizio
dell’unità.
La e la famiglia Salesiana si trovano in que-
sto momento a dover affrontare una serie di sfide
e criticità.
Tra queste, la difficoltà più rilevante è data dalla
scarsa frequenza alle messe della domenica da
parte delle famiglie e, di conseguenza, dei ra-
gazzi. A frequentare e partecipare alle diverse
attività organizzate (gruppi di lettura della Pa-
rola di Dio, liturgie Penitenziali, Adorazioni
Eucaristiche ecc.) sono sempre le medesime per-
sone.
Risulta inoltre difficile sia far continuare il cam-
mino dei ragazzi dopo il Sacramento della Cresi-
ma sia contattare e riavvicinare coloro che hanno
terminato la formazione della catechesi negli anni
passati.
Per rispondere a questi e altri problemi, la Comu-
nità Educativa, negli ultimi mesi, ha realizzato
un Progetto Educativo Pastorale della Parroc-
chia, in modo da definire obiettivi, linee guida,
azioni e attività da porre in essere per migliorare
la situazione.
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3.7 Page 27

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Giugno 2017
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3.8 Page 28

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FMA
EMILIA DI MASSIMO
Dove abita la fiducia
Una casa nella Repubblica Ceca
dove tutte le porte sono aperte e tutti hanno le chiavi
Chiavi inutili
Hanno le chiavi di casa e la fiducia:
non ne abuseranno e non lasceran-
no entrare nessun estraneo. Quando
qualcosa accadrà, verranno a dircelo.
Ricambiano la fiducia e sanno che
possono contare su di noi. Le ca-
mere non si chiudono e la maggior
parte non chiude a chiave neanche
gli armadi: credono che gli altri sia-
no “onesti cittadini”. Lasciano aperta
anche la biblioteca, la sala dei com-
puter, gli strumenti musicali, i mate-
riali didattici: se prendono in prestito
qualcosa, lo restituiranno. L’atmosfe-
ra presuppone l’onestà e nello stesso
tempo la promuove. Ma dove si trova
questa isola felice? Centro Europa,
Repubblica Ceca, dove sono presenti
le Figlie di Maria Ausiliatrice.
Lavori in corso
Suor Ludmila Rybecká, direttrice
del pensionato di Hradec Králové,
racconta: «Attualmente è in atto un
processo di graduale trasformazione
della nostra opera ed è per noi un’e-
sperienza di come Dio conduce, fa-
cendo fare piccoli passi. Cerchiamo
di non respingere nessuna possibilità
di compiere il bene, anche se appare
difficile. Onesti cittadini e buoni cri-
stiani è il nostro motto. Onesti cit-
tadini: l’onestà è qui uno dei valori
chiave. Tutto è basato sulla fiducia:
noi verso le studentesse, loro verso di
noi e loro tra di loro. Buoni cristiani:
la nostra offerta si differenzia perché
alcune giovani sono credenti, altre in
cerca della fede, altre ancora proven-
gono da chiese non cattoliche, alcune
sono atee; così cerchiamo di garanti-
re che ciascuna possa trovare ciò che
è adatto a lei per quanto sta vivendo
oggi. Ciò che chiediamo da tutte loro
è il rispetto dei valori cristiani fonda-
mentali: la vita, la famiglia, la verità,
l’aiuto reciproco, la solidarietà, il ser-
vizio e, ovviamente, l’onestà. Offria-
mo varie possibilità per approfondire
e condividere la fede: la preghiera, i
sacramenti, la fraternità, i colloqui, i
ritiri, la cultura».
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Giugno 2017

3.9 Page 29

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Momenti di vita delle case delle Figlie di Maria
Ausiliatrice nella Repubblica Ceca. L’elemento
dominante è il sorriso.
Suor Helena Kotásková, dirigente del-
la scuola professionale, ci dice: «Una
delle opere principali è la scuola profes-
sionale di Karlín, a Praga, frequentata
dai giovani che hanno abbandonato la
scuola secondaria o i corsi professiona-
li, o dai ragazzi che hanno terminato
la scuola secondaria inferiore con voti
bassi o che non hanno finito la scuola
dell’obbligo; sono ragazzi provenienti
perlopiù da ambienti familiari poveri.
La scuola accoglie allievi con bisogni
educativi speciali, quelli socialmente
svantaggiati, gli orfanotrofi, i disabili,
ed offre loro l’indirizzo infermieristi-
co, di ristorazione, di sartoria.
Ogni anno alcuni studenti trovano la
strada verso Dio e chiedono il sacra-
mento del battesimo. Molti ritrovano
la fiducia in se stessi, scoprono il pro-
prio valore e sono in grado di formare
una famiglia».
All’origine:
un quadro ed un altare
Suor Jurgita Jagminaitė ci aiuta a fare
memoria storica, individuando il col-
legamento tra le Figlie di Maria Au-
siliatrice lituane prima della seconda
guerra mondiale, durante la clande-
stinità, e l’attualità: «Sono convinta
che le preghiere e l’offerta delle no-
stre prime sorelle abbiano preparato
l’oggi. Vorrei condividere un fatto che
mi ha colpita molto. Nella nostra cat-
tedrale di Kaišiadorys ci sono il qua-
dro e l’altare di Maria Ausiliatrice e
anche il quadro di don Bosco. È una
coincidenza?
In questa città, durante il comunismo
e anche dopo, abitava suor Stefanija,
deceduta nel 1995. Secondo me, Ma-
ria Ausiliatrice con don Bosco e que-
sta sorella, hanno preparato la strada
e ci aspettavano a Kaišiadorys!».
Racconta suor Jurgita: «L’anno scor-
so ho conosciuto una famiglia, in cui
crescevano quattro bambini di 7, 9, 12
e 13 anni. Era una famiglia povera in
tutti i sensi. Abbiamo saputo che que-
sta famiglia non aveva abbastanza cibo
ed era a rischio sotto tanti punti di vi-
sta; abbiamo cercato di sostenerli per
quanto potevamo. Visitando questa fa-
miglia ho visto che la mamma di que-
sti bambini era gravemente ammalata:
un cancro in stadio avanzato; è morta
qualche mese dopo. Parlando con l’as-
sistente sociale, abbiamo scoperto che
i bambini non erano stati battezzati.
Mi sono messa d’accordo con il padre
e l’assistente sociale e abbiamo comin-
ciato la preparazione per il battesimo e
per la prima comunione. È stato bello
vederli capire, imparare, condividere
anche la loro vita. Questi bambini han-
no fame non solo del pane ma anche
dell’affetto, della comprensione. Per
questo la nostra storia continua così:
cercando di dare quello che possiamo e
quello che può essere d’aiuto per la loro
crescita umana e cristiana»”.
Giugno 2017
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3.10 Page 30

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LE CHIESE DI DON BOSCO
FERDINANDO COLOMBO
Il Santuario del
Sacro Cuore di Bologna
Don Filippo Rinaldi, Rettor Maggiore dei
salesiani scrisse a don Antonio Gavinelli:
1907 (anno della sua morte), progettò di erigere
un tempio “che da tutta la Diocesi di Bologna
fosse consacrato al Sacro Cuore di Gesù, quale
«Porta tutto al S. Cuore; diffondi la devozione monumento comune di pietà sul principio del se-
al S. Cuore; mentre crescono le mura,
colo ventesimo”.
Il papa Leone XIII ne approvò l’idea con un
cresca l’amore al Sacro Cuore». Nel centro breve scritto ufficiale e concorse all’impresa con
dell’Italia, questa splendida chiesa continua ripetute e generose offerte. Dietro l’esempio del
Papa, numerosi furono i donatori dalla diocesi,
la sua missione. dall’Italia, ed anche dall’estero.
L a domenica 11 giu-
gno 1899, papa
Leone XIII, che, un
mese prima, aveva
indetto il giubileo
dell’anno santo, ave-
va solennemente consacrato
il mondo, credente e non
credente, al Sacro Cuore
di Gesù, in vista del nuovo
secolo, che avrebbe chiuso
il millennio. In quel giorno
volle che ogni diocesi, ogni
parrocchia, ogni comuni-
tà religiosa facesse l’atto di
consacrazione.
Rispondendo all’appello
del Papa il cardinale Do-
menico Svampa, arcivesco-
vo di Bologna dal 1894 al
Contemporaneamente nasce
l’Opera salesiana
Don Rua impose la consacrazione al Sacro Cuo-
re a tutte le case, a tutti i salesiani, consiglian-
dola anche a tutti i giovani dei suoi collegi. Lo
storico Cena annota: “Da quel giorno la congre-
gazione iniziò un progressivo aumento della de-
vozione al Sacro Cuore di Gesù” (Annali, vol. 1,
pag. 95).
A Bologna, don Bosco era stato molte volte e
contava, tra i tanti, una grande benefattrice, la
contessa Zambeccari. C’era anche un cardinale
d’eccezione, il cardinale Svampa, ammiratore di
don Bosco e dei salesiani. C’era inoltre, come a
Modena, un fervente gruppo di cooperatori. Per
questo, fu scelta Bologna per il grande primo
Congresso Internazionale dei Salesiani Coopera-
tori nel 1895, che riuscì splendido, con 4 Cardi-
nali, 28 Arcivescovi e Vescovi e una moltitudine
30
Giugno 2017

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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Il Santuario del
Sacro Cuore
dei salesiani
a Bologna. È
opera pregiata
dell’architetto
Collamarini, artista
di grande cultura e
sensibilità.
di popolo. Il movimento salesiano intendeva isti-
tuire un rapporto più stretto e non conflittuale
tra religione e società, tra tensione spirituale e
impegno sociale.
Le ragioni e gli scopi del Congresso furono con-
fermati dai discorsi dell’arcivescovo di Bologna, il
cardinale Svampa, e da don Michele Rua succes-
sore di don Bosco:
“Riannodare coi vincoli dell’amore le classi socia-
li, per ottenerne con l’osservanza dei mutui obbli-
ghi la concordia e il benessere; rendere l’operaio
conscio della sua dignità, ma in pari tempo dei
suoi doveri; educare la gioventù affinché rispon-
da degnamente alle speranze della Religione e
della patria; evangelizzare popoli nelle missioni
e renderli degni di conoscere Gesù Cristo e la sua
civiltà; assistere gli emigrati italiani per far sentir
loro, coi benefizi della fede meno amaro il ricor-
do della terra natale: far conoscere più largamente
lo spirito da cui fu informato don Bosco, il farlo
penetrare e crescere, il moltiplicarne le istituzio-
ni, è opera quanto mai corrispondente ai bisogni
dell’età nostra” (card. Svampa).
La presenza salesiana iniziò con l’Oratorio, prima
nella Chiesa di San Carlino, e dopo alcuni anni al
di là della stazione ferroviaria. Il 30 maggio 1899
veniva inaugurato l’Istituto: centro professionale
per legatori, sarti, calzolai, falegnami, e anche
per compositori e tipografi. L’Istituto, su proget-
to del migliore architetto, il Collamarini, venne
eretto dal 1897 al 1899. Un miracolo, fu detto.
Intanto, proprio in quell’anno, il Papa indiceva la
consacrazione del mondo al Sacro Cuore. Si ag-
giunsero scuole elementari e ginnasiali, il Centro
Giovanile.
Il Santuario
Il 14 giugno 1901 il card. Svampa mise la prima
pietra del Santuario ed espresse il desiderio che
“fosse il centro diocesano che al S. Cuore attraes-
se gli affetti, le preghiere, le aspirazioni di tutti”.
Contemporaneamente fondò il bollettino mensile
del Santuario del Sacro Cuore in Bologna: “Il se-
colo del Sacro Cuore di Gesù”.
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4.2 Page 32

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LE CHIESE DI DON BOSCO
Il ricordo del
salesiano don
Antonio Gavinelli
vero fondatore
e anima del
Santuario e
dell’Opera del
Sacro Cuore.
Il tempio del Sacro Cuore di via Matteotti è opera
pregiata del Collamarini (1864-1928), artista di
grande cultura e di squisita sensibilità, che regalò
alla città di Bologna il più bel tempio eretto in
Italia al Sacro Cuore.
Il 19 giugno 1903 era compiuta la cripta e veniva
affidata per l’officiatura ai salesiani.
Il 15 ottobre 1912 mons. Giacomo Della Chiesa
(futuro papa Benedetto XV), arcivescovo di Bo-
logna, procedeva alla consacrazione del tempio
ormai ultimato.
Il 13 giugno 1915 il Santuario, con decreto arci-
vescovile, veniva elevato a parrocchia autonoma
per andare incontro alle necessità spirituali del
quartiere “Bolognina”.
Veniva affidato in modo definitivo al clero dio-
cesano, anche se l’arcivescovo ne manteneva ad
honorem il titolo di parroco.
Il crollo della cupola
Il 21 novembre 1929 crollava la cupola del San-
tuario e trascinava nella rovina il pavimento, la
parte superiore delle fiancate e lesionava grave-
mente anche le altre parti dell’edificio.
Il cardinale Nasalli Rocca non ebbe dubbi: dare il
Santuario ai salesiani, perché lo ricostruissero. Ma
chi poteva assumersi un tale gravoso incarico? Ed
ecco don Rinaldi chiamare a Torino don Gavinelli
e proporgli l’obbedienza. Mai scelta fu più felice e
feconda! Un dono dello Spirito. Don Gavinelli
arrivò a Bologna nel maggio del 1930 e vi stette
38 anni, fino alla morte. Dire quanto operò a
Bologna è pressoché impossibile.
Il Santuario rinasce
Il 5 aprile 1930 il Santuario-Parrocchia veniva
affidato ai salesiani, riprendendo il progetto del
card. Svampa, e diveniva primo parroco salesiano
don Antonio Gavinelli.
Con l’approvazione dell’arcivescovo card. G. Bat-
tista Nasalli Rocca e la benedizione del Papa, egli
fondava l’Opera Salesiana S. Cuore con il Bollet-
tino del Santuario del S. Cuore.
Ad opera dei salesiani si riprendeva in pieno il di-
segno del card. Svampa, così sintetizzato da don
Filippo Rinaldi, Rettor Maggiore dei salesiani in
una lettera autografa a don Gavinelli: «Porta tutto
al S. Cuore; diffondi la devozione al S. Cuore; non
trascurare nessuna forma della devozione al S. Cuo-
re; fa passare tutto e tutti per il S. Cuore; mentre
crescono le mura, cresca l’amore al Sacro Cuore».
L’Associazione si diffondeva largamente nella cit-
tà e diocesi di Bologna, in Italia e trovava adesio-
ne anche all’estero.
Il 19 maggio 1935 si riapriva il Santuario, rin-
novato nelle sue strutture, nei suoi ornati e nei
suoi arredi. Ritornava ad essere centro del culto
al S. Cuore e focolaio di rinnovamento spirituale
specie per la “Bolognina”. Altezze del Santuario
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Giugno 2017

4.3 Page 33

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dal piano stradale: alla cima della croce m 67,50; vinelli porta quasi a termine i lavori di costruzione
al vertice del grande catino m 55,50; alla seconda del grande tempio di san Giovanni Bosco in via
ringhiera m 38,80; alla prima ringhiera m 29. Genova (poi via Beato Dal Monte) a Bologna.
Una fioritura mortificata
dalla guerra
Il 25 settembre 1943 il Santuario viene colpito
da un furioso bombardamento aereo e gravissimi
furono i danni. Successivamente fu colpito l’Isti-
tuto, ancora il Santuario, i laboratori, la casa delle
suore. Quando alla metà del 1945 don Gavinelli
può tornare dal confino alla sua Bologna, ritrova
rovine, macerie e desolazione.
Ma don Gavinelli non si scoraggia.
Il 22 giugno 1947, il Santuario interamente re-
staurato viene inaugurato per la terza volta.
Intanto don Gavinelli nel dopoguerra ricostruisce
i laboratori, amplia l’oratorio, consolida l’Istituto e,
nel 1948, fa rifiorire dalle macerie l’orfanotrofio di
Castel De’ Britti. Infine, prima di morire don Ga-
L’idea madre
I grandiosi lavori di ricostruzione erano ormai
giunti a compimento, ma non furono mai consi-
derati il principale scopo da raggiungere: il vero
fine, l’idea madre che aveva guidato don Gavi-
nelli per tanti anni era stata di servirsi della riedi-
ficazione del tempio per diffondere la devozione
al Sacro Cuore di Gesù.
Rivolgendosi alla Fraterna Unione Eucaristica,
aveva scritto: «È in me la certezza che sono le
vostre sante Comunioni che ci attirano le benedi-
zioni del Sacro Cuore, ci ottengono tante grazie
per i nostri benefattori, e le offerte. Vogliate dun-
que continuare e, se potete, accrescere il vostro
zelo. Curate gli interessi del Sacro Cuore ed Egli
curerà gli interessi vostri. Siate generosi con Lui e
Gesù sarà generosissimo con voi».
MONACO DI BAVIERA Benvenuti al DON BOSCO di
Sia per una visita turistica in città, una gita scolastica
o parrocchiale, un convegno o uno scambio interna-
zionale di giovani, il nostro ostello “Jugendgäste-
haus” e le nostre camere per ospiti nel Salesianum
a Monaco di Baviera offrono spazio per tutti!
Noi offriamo:
• alloggi curati e accoglienti e su
richiesta con vitto
• una posizione centrale vicina a tanti
luoghi turistici e tante offerte per
passare il tempo libero a Monaco
• aule per seminari e riunioni
• un buon collegamento con i mezzi
pubblici, sia dalla stazione centrale sia dall’aeroporto, e vicino
al centro di Monaco (solo due stazioni con la metropolitana fino
alla piazza centrale “Marienplatz”)
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Contattateci Vi aspettiamo!
Sig.ra Doina Fracasso, Tel. 0049/89/48 008-245,
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www.salesianum.de
Giugno 2017
33

4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Figlio unico
Guaio o fortuna?
La nostra è, ormai, una società di figli unici.
In Italia superano il 25 per cento. Ebbene,
essere figlio unico è una fortuna oppure un pericolo?
Un’opportunità o un problema?
Perché i lettori possano discu-
tere con cognizione di cau-
sa, vediamo i pro e i contro
dell’essere figli unici e i pro
e i contro della ‘fratria’, cioè
dell’esperienza dei fratelli.
Figlio unico:
luci ed ombre
Secondo alcuni i figli unici
sarebbero più fortunati dei fi-
gli con fratelli:
Il fatto di essere figlio unico per-
metterebbe di non conoscere l’invi-
dia, almeno in casa.
Il figlio unico sarebbe meno ag-
gressivo, non avendo l’occasione di
bisticciare con la pestifera sorellina.
Il figlio unico sarebbe più ambi-
zioso per voler ricambiare, ad ogni
costo, i genitori che tanto hanno fat-
to per lui.
Potrebbe sviluppare meglio l’in-
telligenza, avendo la possibilità di
studiare in pace nella sua cameretta,
senza essere disturbato dagli strepiti e
dalle urla dei fratellini.
Secondo altri, invece, i figli
unici sarebbero svantaggiati:
Senza fratelli il bambino corre il
pericolo di non imparare a collaborare.
Il figlio unico può diventare ego-
centrico, freddo, narcisista: tutti
ostacoli pesantissimi per la cre-
scita armoniosa e serena della
persona umana.
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4.5 Page 35

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Il figlio unico può essere caricato,
da parte dei genitori, di aspettative
esagerate, superiori alle sue reali possi-
bilità. E così può facilmente diventare
vittima di quella che viene chiamata
la ‘sindrome del 4-2-1’: quattro nonni,
due genitori tutti in attesa dei trionfi
dell’unico rampollo che non sempre
è in grado di soddisfare tante aspet-
tative. Di qui gli stati di depressione,
di insicurezza, di tristezza, di sensi di
colpa per non aver realizzato tanti ‘so-
gni di gloria’ dell’intera parentela.
Senza fratelli, vi è il rischio che i
genitori proteggano troppo il bambi-
no. Il pericolo viene evidenziato, ad
esempio, dal pedagogista Luigi Pati:
«La tentazione di portarlo continua-
mente dal pediatra o di non allonta-
narsi mai un attimo da lui nel timore
che gli succeda qualcosa è forte, for-
tissima. Volendo ad ogni costo farlo
felice, in realtà lo si rende infelice».
Infine, il figlio unico può sentire
in maniera molto più amplificata le
tensioni di coppia: liti, separazioni,
divorzio. Privo di un fratello con cui
discutere e comprendere quanto sta
accadendo, il figlio unico può soffri-
re enormemente, tutto chiuso in se
stesso, fino a rendersi insopportabile
la vita.
Cari fratelli
Dopo aver visto i pro e i contro
dell’essere figlio unico,
passiamo a considerare
gli elementi positivi e
negativi della ‘ fratria’.
Anche qui, infat-
ti, abbiamo luci
e ombre.
Un primo aspetto positivo del
poter vivere con fratelli è il fat-
to che permetta di vivere con gli
altri. Il che è decisamente bene! È
dimostrato che da adulto chi ha avu-
to fratelli è più disponibile, più otti-
mista, meno pauroso, più propositi-
vo. Insomma, la ‘ fratria’ impedisce
l’affievolirsi di alcuni grandi valori
sociali quali la solidarietà, la gratui-
tà, l’abitudine alla condivisione, alla
tolleranza. Una società di figli unici
è psicologicamente più povera e meno
felice!
Un secondo lato positivo della ‘ fra-
tria’ è il fatto che vince la solitudi-
ne che intristisce sempre il bambino.
Ecco perché sovente il piccolo invoca:
«Mamma, comperami un fratellino!».
Avere un fratello significa avere un
compagno di giochi con cui spartire gli
spazi comuni, con cui vivere la compli-
cità che tanto aiuta a fare gruppo.
Terzo aspetto positivo del vivere
con fratelli è il fatto che prepara il
bambino ad avere, domani, una re-
lazione migliore con il partner. Pare
che chi, fin da piccolo, ha fatto l’e-
sperienza di vivere con una persona
di sesso opposto, sappia con più esat-
tezza almeno che cosa non volere dal
partner di domani. Il che non è poco!
Però anche la ‘ fratria’ ha i suoi lati
oscuri.
Avere fratelli significa essere de-
tronizzato.
Avere fratelli significa incontrare
ostacoli, opinioni diverse che quasi ine-
vitabilmente portano a litigi, a screzi.
Ma dobbiamo domandarci: è un male
essere detronizzati?
No, affatto! «Non vi è niente di più
dannoso per un bambino che sentire
che tutti sono ai suoi piedi!» soste-
neva la famosa psicanalista francese
Françoise Dolto.
Così pure non è male il litigio (ovvia-
mente contenuto entro certi limiti). Il
conflitto spinge a crescere, è un eser-
cizio che insegna a togliersi d’impac-
cio, a farsi le ossa.
A questo punto, possiamo tirare le
somme?
Dunque vi sono luci ed ombre tanto
nell’essere figlio unico quanto nel vi-
vere con fratelli.
Comunque ci pare che le due situa-
zioni non siano omologabili.
La ‘ fratria’ offre qualcosa in più alla
formazione del figlio.
Vien da dire che i fratelli sono la più
bella disgrazia che possa capitare ad
un uomo!
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4.6 Page 36

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LA LINEA D’OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
L’arte di
Nel cammino verso l’adultità ognuno porta con
sé un bagaglio più o meno ingombrante fatto di
ricordi, rimpianti, ferite ancora doloranti che ci
tengono nostro malgrado ancorati al passato.
Sono i materiali di risulta del percorso sinora
compiuto, delle esperienze vissute, delle scelte in-
lasciare traprese, che non sono mai indolori, ma nel bene
e nel male lasciano un segno profondo nel vissuto
di ognuno, generano in noi emozioni e stati d’a-
nimo, condizionano il nostro modo di agire e di
andare vederelecose.Epiùsiprocedelungoilcammino,
più questo fardello sembra ingrossarsi, appesan-
tirsi, divenire più voluminoso e molesto.
V aligie cariche di paure e insicurezze,
scatoloni pieni di delusioni e occasioni
mancate, bauli polverosi che celano al
proprio interno le tracce di un tempo che
ormai non è più. Nel cammino verso l’a-
dultità ognuno porta con sé un bagaglio
Talvolta siamo tentati di sbarazzarcene, di far-
lo rotolare giù da un dirupo o di abbandonarlo
semplicemente sul ciglio della strada per poter
più o meno ingombrante fatto di ricordi, rimpianti,
ferite ancora doloranti che ci tengono nostro mal-
grado ancorati al passato. Un campionario variega-
to di nostalgie e fallimenti che rischiano di diven-
tare un peso insostenibile, vere e proprie zavorre
che rallentano il passo e ci riportano a terra ogni
volta che tentiamo di spiccare il volo.
Lascio andare la mano
che mi stringe la gola.
Lascio andare la fune
che mi unisce alla riva,
il moschettone nella parete,
l'orgoglio e la sete.
Lascio andare valigie
e mobili antichi,
le sentinelle armate in garitta,
a ogni mia cosa trafitta...
Lascio andare il destino,
tutti i miei attaccamenti,
i diplomi appesi in salotto,
il coltello tra i denti.
Lascio andare mio padre e mia madre
e le loro paure,
quella casa nella foresta,
un amore che duri davvero.
Per ogni tipo di viaggio
meglio avere un bagaglio leggero...
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Giugno 2017

4.7 Page 37

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finalmente assaporare l’ebbrezza di correre velo-
ci incontro al futuro senza più essere costretti a
trascinarci dietro un carico così gravoso. Ma per
quanto opprimente, ci risulta difficile separarci
una volta per tutte da questo bagaglio: esso fini-
sce per diventare un guscio sicuro in cui cercare
riparo quando siamo troppo spaventati dal doma-
ni, una fune di sicurezza alla quale aggrapparci
quando ci inerpichiamo lungo pendii sconosciuti,
un alibi cui fare appello quando vogliamo giu-
stificare a noi stessi la nostra paura di rischiare e
prendere il largo. In alcuni casi, siamo talmente
abituati a caricarcelo in spalla, da considerarlo
quasi una nostra appendice, dimenticando che la
nostra identità non è prigioniera del nostro pas-
sato, ma si riscrive ogni giorno nel presente e si
nutre della tensione verso il futuro.
Ma per camminare a passo spedito sulle strade
della vita, per spiegare le vele e scivolare sull’acqua
Distendo le vene
e apro piano le mani,
cerco di non trattenere più nulla.
Lascio tutto fluire,
l'aria dal naso arriva ai polmoni,
le palpitazioni tornano battiti,
la testa torna al suo peso normale.
La salvezza non si controlla,
vince chi molla,
vince chi molla...
(Niccolò Fabi, Vince chi molla, 2016)
con il vento in poppa è necessario
imparare la difficile arte di lascia-
re andare. Liberarsi di ogni laccio
e rancore, della diffidenza verso il
prossimo, della paura e dell’orgo-
glio che soffocano il cambiamento
e avvelenano le relazioni. Disfarsi
delle proprie macerie, di tutto ciò
che è inutile o superfluo e che contribuisce ad ap-
pesantire il bagaglio che ci portiamo dietro.
Ciò non vuol dire azzerare drasticamente ogni le-
game con il passato, fare piazza pulita di ricordi,
emozioni, esperienze che, anzi, se sapientemen-
te custoditi, possono rappresentare una fonte di
ricchezza, un patrimonio inesauribile di memorie
e valori da cui attingere le energie indispensabili
per andare avanti. Significa, piuttosto, guardarsi
alle spalle con una consapevolezza nuova, impa-
rando a distinguere che cosa è bene trattenere da
ciò che bisogna abbandonare. Significa portare
con sé solo il necessario per far spazio al nuovo,
per riuscire a spingere lo sguardo oltre i propri
limiti e le proprie paure, per poter ricominciare
a fidarsi e ad affidarsi, senza che le delusioni del
passato continuino a pesare sulle relazioni del
presente. Soprattutto significa lasciarsi rigenerare
dalla luce che penetra attraverso le nostre ferite,
ritrovando quella leggerezza che non è superfi-
cialità, ma capacità di guardare con speranza al
futuro e di mantenersi lieti nel cammino.
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Una nomina episcopale mancata...
per motivi linguistici?
D on Bosco, si sa, giocò un
suo particolare ruolo nel-
la nomina di vari vescovi
nell’Italia risorgimentale,
vale a dire nel periodo di
durissimo confronto, o per
meglio dire, scontro, tra Santa Sede
e neonato Regno d’Italia; e ciò sia
negli anni precedenti sia in quelli
successivi alla presa di Roma (1870).
Facendo leva sul fatto che godeva
di notevoli “entrature” in Vaticano
– don Bosco era in forte sintonia
spirituale con papa Pio IX, ma ave-
va frequenti rapporti con altri car-
dinali, fra cui il Segretario di Stato
Giacomo Antonelli – poté più volte
suggerire nomi di sacerdoti, per lo
più piemontesi, che riteneva degni
e nelle migliori condizioni fisiche
(compresa la voce!), dottrinali, spi-
rituali ed anche politiche per ben
esercitare il delicato ed importante
ministero vescovile.
Ma perché “condizioni politiche”?
Perché all’epoca i nuovi vescovi dove-
vano avere il placet, governativo, vale a
dire il consenso delle autorità del Re-
gno d’Italia, che evidentemente non
lo avrebbero concesso a sacerdoti che
consideravano ostili, ossia poco libe-
rali e troppo vicini alla politica della
Dall’esame di nuovi
documenti si scoprono
curiosi particolari
sull’impegno di don
Bosco per la nomina dei
vescovi in un momento
difficilissimo della storia
della Chiesa.
Santa Sede. Ovviamente don Bosco
come “mediatore privato” poteva go-
dere di qualche informazione riserva-
ta da parte dei vari ministri dell’In-
terno e di Grazia, Giustizia e Culti
(Ricasoli, Rattazzi, Valiani, Lanza,
Crispi…) che lo apprezzavano e con
cui era in contatto.
Così fu per varie nomine pontificie,
fra cui quella dell’amico teologo Lo-
renzo Gastaldi prima alla sede vesco-
vile di Saluzzo e poi a quella arcive-
scovile di Torino. Una candidatura,
quest’ultima, avanzata in prospettiva
di possibile appoggio alla Società Sa-
lesiana e che invece si sarebbe rivelata
una dolorosissima spina nel fianco per
un lungo decennio, come abbiamo ac-
cennato nel BS di aprile.
Una proposta
Nell’aprile 1872, in presenza di varie
sedi episcopali vacanti, fra cui Aosta
e Bobbio (Piacenza), don Bosco pro-
pose tre “candidati”: il Vicario Ge-
nerale di Aosta, il Vicario Generale
di Alba e il parroco della principale
parrocchia di Ivrea. I primi due nomi
suggeriti da don Bosco, ed ovviamen-
te da altre autorità religiose, vennero
in effetti accolti: monsignor Giuseppe
Duc e monsignor Pietro Giocondo
Salvaj furono nominati quello stesso
anno vescovi rispettivamente di Ao-
sta e di Alessandria. Invece il nome
del prevosto di Ivrea, don Silvestro
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Giugno 2017

4.9 Page 39

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Tea, non venne accolto, tant’è che
don Bosco lo ripropose l’anno succes-
sivo, ma ancora senza esito.
Rimaneva però in sospeso la nomina
del vescovo di Bobbio. Don Bosco
aveva udito parlare molto bene del
padre cappuccino Laurent (al secolo
Pierre Thomas Lachenal), per cui ne
aveva delicatamente suggerito il nome
in un colloquio privato con il cardina-
le Segretario di Stato Antonelli. Ma
anche in questo caso al suo posto ven-
ne scelto un altro cappuccino, il padre
provinciale di Torino Enrico Gaio (al
secolo Enrico da Carignano).
A domanda, rispondo
Vari anni dopo però alla morte di mon-
signor Gaio (31 gennaio 1880), appena
nominato il successore, Giovanni Bat-
tista Porrati, già rettore del seminario di
Alessandria (20 agosto 1880), da parte
di qualche valdostano venne chiamato
in causa don Bosco per il ruolo che po-
teva aver svolto in occasione della sede
vacante otto anni prima.
Il Primo Parlamento
d’Italia a Torino.
Ecco che allora un sacerdote gior-
nalista, don Francesco Fenoil, dopo
essersi complimentato con don Bosco
per le sue opere per le quali non man-
cava di inviare un’offerta in denaro,
gli chiese espressamente se era vero
che lui nella suddetta occasione aveva
avuto notizie negative sulla condotta
e sulle opinioni del padre Laurent e
se poi lo avesse conosciuto personal-
mente.
Don Bosco nella risposta anzitutto
lo ringraziò per le parole di stima
nei propri confronti e per il sussi-
dio inviatogli. Poi invocò su di lui
e sul periodico di cui era redattore
le benedizioni del Signore. Infine
in risposta alla prima domanda del
Fenoil assicurava che all’epoca non
aveva mai ricevuto né avuto sentore
di giudizi critici di qualunque genere
sul padre Laurent. Quanto alla se-
conda richiesta, affermava che aveva
fatto delicatamente il nome del cap-
puccino all’autorità pontificia com-
petente (card. Antonelli) sulla base
delle referenze positive che aveva
ricevuto da altri, visto che – se ricor-
dava bene – non lo aveva mai incon-
trato personalmente.
Ma perché allora al Laurent era stato
preferito il confratello provinciale del
capoluogo sabaudo? A giudizio di don
Bosco aveva pesato negativamente il
fatto che il Laurent parlava solo fran-
cese.
Ma le motivazioni erano però state
anche altre. Il neoarcivescovo di Tori-
no, monsignor Gastaldi, inizialmente
favorevole alla nomina del Laurent, a
seguito però di voci pervenutegli, da
parte del rettore del locale seminario,
circa “una certa rilassatezza ed ecces-
siva cautela nella condanna di certe
mode musicali”, aveva mutato opinio-
ne, tanto più che lo stesso padre cap-
puccino, da lui interpellato, gli aveva
scritto che avrebbe avuto difficoltà ad
accettare l’eventuale elezione.
Don Bosco però non era andato trop-
po lontano dal vero. Se infatti a suo
giudizio aveva giocato a sfavore di
una promozione episcopale del Lau-
rent il fatto che parlasse solo la lingua
francese, anche monsignor Gastaldi
aveva messo sul piatto della bilancia
certe “usanze francesi” del candidato.
Dunque qualche punto di accordo fra
l’arcivescovo e don Bosco, almeno su
questo, c’era.
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per
intercessione dei nostri beati, venerabili e servi di Dio,
sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
IL SANTO DEL MESE
in questo mese di giugno preghiamo per la canonizza-
zione del beato Giuseppe Kowalski, di cui ricorre il 75° di
martirio.
Il beato Giuseppe (Jozef) Kowalski
nacque a Siedliska, in Polonia, nel
1911. Entrò tra i salesiani nel 1927 e
divenne prete nel 1938. Apprezza-
to conferenziere, secondo il carisma
della congregazione di don Bosco, fu
educatore. Anche attraverso la musica:
diede vita infatti a un coro giovanile. Il
suo apostolato presso la parrocchia di
Maria Aiuto dei Cristiani fu interrotto il
23 maggio del 1941, quando i nazisti
lo prelevarono con 11 confratelli. Divenne la matricola 17 350 di
Auschwitz. Nel 1942, per il suo rifiuto di calpestare un rosario, fu
sottoposto a lavori massacranti. Fu poi torturato e annegato dalle
guardie. Il 13 giugno del 1999 papa Wojtyla lo ha beatificato a Var-
savia con altri 107 martiri del nazismo.
Con il beato Kowalski ricordiamo anche il 75° del martirio dei se-
guenti Servi di Dio: don Lodovico Mroczek (Auschwitz - 5 gen-
naio); don Karol Golda (Auschwitz - 14 maggio); don Fran-
ciszek Mis´ka (Dachau - 30 maggio); don Vladimiro Szembek
(Auschwitz - 22 settembre).
PREGHIERA
Dio Padre, che hai suscitato nel beato Giuseppe, sacerdote,
il desiderio della santità e la prontezza nell’offrire la vita per l’amore
di Cristo,
concedi a noi, per sua intercessione,
la grazia di essere fedeli alla nostra vocazione
e di amare la croce, che è via di salvezza.
Ti supplichiamo di voler glorificare questo tuo servo
e di concederci, per sua intercessione,
la grazia che ti chiediamo...
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
Ringraziano
Maggio 2016, dopo 2 mesi di vi-
site mediche e analisi a tappeto
mi arriva la diagnosi: carcinoma
uterino al IV stadio, con meta-
stasi a linfonodi, fegato e ossa,
inoperabile e trattabile solo con
chemioterapia. È stato come an-
dare a sbattere contro un muro,
ero terrorizzata, presa da mil-
le paure. Paura di non farcela,
paura per la mia famiglia, per
mio marito, per i nostri cinque
figli. Non riuscivo neanche più
a pregare.
Ma qualcuno lo ha fatto per me:
sono stata subito circondata
dalle preghiere e dall’affetto di
tutte le famiglie dell’ADMA (As-
sociazione di Maria Ausiliatrice)
e, senza esagerare, di tutta la
grande Famiglia Salesiana, una
vera potenza di Dio! Così sono
iniziate le novene al venerabile
don Giuseppe Quadrio, que-
sto grande sacerdote che mi ha
preso sotto la sua protezione.
L’ho perfino sognato, una notte,
che mi copriva con una coperta
dorata…
Ma torniamo alle novene: era
un’emozione grandissima per
me vedere tante famiglie (e tanti
bambini e giovani!) lì a pregare
per me, mi sentivo quasi inde-
gna. E le grazie non si sono fatte
attendere: ho tollerato benissi-
mo le cure, nonostante tutti mi
avessero prospettato innumere-
voli effetti collaterali. E intanto
continuavo ad affidarmi con
tutta me stessa, offrendo la mia
malattia per la fede dei miei figli.
Ripetevo spesso: “Signore, se
tu vuoi puoi guarirmi”. Poi dopo
tutti questi mesi di terapia, la
PET di poche settimane fa: le le-
sioni tumorali sono scomparse
tutte, sono guarita! Per i medici,
quasi un miracolo; per me e mio
marito, almeno una grande gra-
zia ricevuta per intercessione di
don Quadrio e per la fede di tanti
amici, ma anche di tanti sco-
nosciuti che hanno pregato per
me. Ho il cuore pieno di gioia e
di gratitudine, mi sento davvero
parte di una grande famiglia di
famiglie che camminano insie-
me sotto la guida di Gesù e di
Maria Ausiliatrice.
Sì, cari amici, posso testimonia-
re che la fede fa miracoli e voglio
ringraziarvi tutti per l’amore che
mi avete donato, certa che Dio
ve ne restituirà il centuplo sia
quaggiù che in Paradiso!
Maria Pia Gallo – ADMA - Torino
Ringraziamo di tutto cuore Ma-
ria Ausiliatrice, san Dome-
nico Savio e don Bosco per la
guarigione di mia mamma.
Nilde e famiglia - Solaro (MI)
Mi chiamo Laura Esposito, ho 45
anni, vivo in provincia di Bergamo
pur essendo originaria di Scafati
(SA). Sono felicemente sposata
con Raffaele e ho due splendidi
figli: Francesco di 16 anni e Luca
di 13. Viviamo dignitosamente tra
lavoro, casa e famiglia quando,
inaspettatamente, nel settembre
2016, ad una ecografia di routine
per il seno, il medico ecografo ri-
scontrava, del tutto casualmente,
un nodulo al lobo sinistro della
tiroide di circa 8 mm, che si ri-
velerà essere Carcinoma Midol-
lare della tiroide classificato TIR
5 su una scala da 1 a 5 rispetto
alla malignità. Quindi, uno dei più
aggressivi in assoluto. Urgevano
approfondimenti ed un intervento
chirurgico.
Angosciata, quello stesso giorno
ho dato la notizia alla mia fami-
glia. Mia madre e mia sorella, le
quali sono consacrate nel Mo-
vimento Secolare beato Luigi
Variara, hanno chiamato le Fi-
glie dei Sacri Cuori, raccoman-
dando loro di pregare per me.
Le suore promisero la preghiera,
iniziando una Novena assieme ad
altre consorelle, alcuni destina-
tari ed amici ed i miei famigliari,
perché l’intervento riuscisse bene
e non ci fossero ulteriori compli-
cazioni.
Ho ricevuto l’esito dell’ultimo
esame il 13/01/2017: negativo! I
medici mi assicuravano che que-
sta terribile esperienza si poteva
ritenere conclusa.
Laura Esposito
40
Giugno 2017

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
FELIX URRA
DON GIANCARLO ISOARDI
Morto a Torino, il 24 dicembre 2016, a 80 anni
La notizia improvvisa della sua
morte, avvenuta all’Ospedale,
dopo un’operazione chirurgica, ci
ha lasciati sbigottiti. Sono entra-
to nella sua camera insieme a suo
fratello e a sua cognata. Tutto era
in ordine, come se stesse aspet-
tando il suo ritorno. Sul tavolino
c’era solo un foglio con queste
parole: «Sto partendo per l’Ospe-
dale Molinette. So cosa mi atten-
de, ma ignoro ciò che potrà acca-
dermi. Da come si è espresso il
chirurgo che mi opererà, so che
l’intervento è delicato. Cionono-
stante parto sereno e tranquillo.
Ho celebrato, al sorgere dell’au-
rora, la Santa Messa della IV do-
menica d’Avvento e ho offerto al
Signore l’incertezza di quest’ora.
Mi è di conforto pregare il Sal-
mo 130 e sentirmi “come bimbo
in braccio a sua madre”; spesso
ho consigliato questa preghiera a
chi, nello sconforto, domandava
luce e forza. Ora è giusto che fac-
cia mia questa invocazione.
Nel silenzio di questa domenica
che sta nascendo voglio dirti,
Signore, la gioia di essere prete
e salesiano; questa è stata la mia
bandiera in mezzo alle migliaia di
ragazzi in Brasile, la mia ricchez-
za di cui mi sentivo e mi sento
fiero. Ti ringrazio e ti benedico
per la Mamma e il Babbo che mi
hai dato, per i confratelli che ho
cercato di capire ed amare, per
tutti i ragazzi che ho incontrato
e servito come meglio sapevo. Ti
chiedo perdono per tutti i peccati
commessi e ti ringrazio per il tuo
perdono tante volte ricevuto».
I suoi amici del Brasile, exallievi
e famiglie, nel manifesto del suo
ricordo hanno scritto: «Una vol-
ta di don Bosco, sempre di don
Bosco». È il motto che ha ac-
compagnato per tutta la vita don
Giancarlo Isoardi. È entrato nella
gioia del suo Signore la vigilia di
Natale, a 80 anni.
Ci ha lasciati quaggiù quasi
all’improvviso, durante un bre-
ve ricovero all’ospedale per una
operazione.
La sua agenda era ancora piena
di impegni per la predicazione
di ritiri ed Esercizi Spirituali nei
prossimi mesi.
Don Giancarlo era nato a Stroppo
(CN) l’11/08/1936. I suoi genito-
ri, Giuseppe e Giuseppina Lusso,
formavano con i tre figli una fami-
glia unita dall’amore e da una fede
salda e vissuta. A dodici anni en-
trò nell’aspirantato di Chieri (TO),
per i primi studi. Si può dire che
da quel momento rimase sempre
con don Bosco. Cinquantasette
anni come salesiano e 53 da sa-
cerdote.
Ricevette il Diaconato il primo
gennaio del 1963 e l’Ordinazio-
ne presbiterale il 25 marzo dello
stesso anno nella Basilica di Ma-
ria Ausiliatrice a Torino.
L’anno dopo all’ordinazione sa-
cerdotale, all’età di 28 anni, partì
come missionario in Brasile dove
rimarrà durante 38 anni. Le co-
munità di Porto Velho e Manaus,
soprattutto, lo ebbero a lungo
come parroco, animatore di ora-
torio, direttore.
Dal Brasile arrivano belle testi-
monianze: «Parlava la lingua
come un vero brasiliano». In tanti
lo ricordano con affetto e gratitu-
dine: «Abbiamo la certezza che
sta celebrando il Natale in Cielo
perché amava la Chiesa, la Con-
gregazione, il suo Sacerdozio,
la sua Vocazione. Ma il dolore è
forte. Ho passato vari anni assie-
me a lui qui in Brasile nell’Amaz-
zonia. L’ho visitato in ottobre lì a
Valdocco, passando alcune ore
allegre in mezzo a tanti ricordi.
Ho ricevuto la sua ultima e-mail
il sedici scorso. Ed ora... il di-
stacco! Dio Padre ci dia forza per
essere ora noi coerenti come lo fu
padre Juan Carlos».
Un’altra: «Sereno, bonario e
scherzoso. Una voce sonora,
profonda e calma. I concetti
chiari e stimolanti. Un’eccezio-
nale conoscenza di don Bosco
ed un’arte di presentarlo che solo
un salesiano innamorato del suo
Padre può avere.
Mai banale, mai ripetitivo. Mai
gonfio di sé, ma semplice e di-
sponibile. Non lasciava mai soli
i direttori (e le Direttrici) in diffi-
coltà con la predicazione.
Innamorato di don Bosco, stu-
dioso, buon conoscitore della
letteratura salesiana che sapeva
comunicare con passione e rara
competenza.
Spiegava così il titolo del suo
ultimo libro pubblicato nel 2015,
“Di don Bosco si può dire tanto”:
«L’ho ripreso leggendo il discor-
so che papa Francesco aveva
preparato in occasione del suo
viaggio a Torino per venerare la
Sindone e pregare presso l’altare
del santo dei giovani nella Ba-
silica di Maria Ausiliatrice, il 21
giugno 2015».
Si sentiva un “missionario della
misericordia” con ore di confes-
sionale, guida spirituale in Basili-
ca e nelle comunità salesiane da
dove era richiamato.
Senso di chiesa diocesana e cuo-
re di parroco. Tutte le domeniche
celebrava la Santa Messa nella
chiesa di Santa Elisabetta a Col-
legno con un’omelia ben prepara-
ta e curata.
Era sempre presente negli incon-
tri comunitari e partecipava con
entusiasmo alla vita comunitaria.
Quando non poteva già più parlare
affidò ad un confratello le sue ul-
time parole: «Grazie per le vostre
preghiere e la vostra amicizia.
Sono lì con voi. Don Giancarlo».
Nel libro già citato “Di don Bosco
si può dire tanto” sono signifi-
cative le parole con cui termina
l’ultimo capitolo intitolato: A Ma-
ria Ausiliatrice: Adesso e nell’ora
della morte.
Don Giancarlo racconta la morte
di don Bosco con vera commozio-
ne: «Don Bosco invoca: “Madre,
apritemi le porte del paradiso!”.
La Madonna lo aveva preso per
mano da bambino quando, im-
paurito da un sogno più grande
di lui, le era corso accanto; ora
veniva a riprenderlo e a introdurlo
nella gioia senza fine».
Proprio come è accaduto anche a
lui, la vigilia di Natale.
Giugno 2017
41

5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
ACCENDERE LA VOCAZIONE
È risaputo che don Bosco avesse avuto fin dalla più tenera età
delle rivelazioni, che ricevesse dei XXX. O meglio, dei sogni,
giacché questi avvenivano durante il sonno. Sogni, vividissimi,
che ricordava nei minimi particolari e che egli stesso definiva
profetici. Un biografo, il primo che mise su carta la vita del Santo,
Giovanni Battista Lemoyne, però non esitò a chiamarli “visioni”
ma una cosa è certa, furono fortemente simboliche e tuttora og-
getto di studi per la loro attualità. La prima volta fu a nove anni e
da allora, fino alla fine dei suoi giorni, continuò a ricevere sogni-rivelazioni che gli indicarono la strada e
lo fecero portavoce di profezie dirette ai giovani, ai salesiani, alla Chiesa. Quello dei nove anni lo raccontò
più volte ai ragazzi del suo Oratorio. Cominciava così, con una sensazione: gli pareva di essere in un
cortile molto vasto, dove una gran quantità di ragazzi giocava e si divertiva, non pochi bestemmiavano.
Al sentire le bestemmie, si lanciò in mezzo a loro, cercando di arrestarli usando pugni e parole. Ma in quel
momento apparve un uomo maestoso, vestito nobilmente: il suo viso era così luminoso che non lo si
poteva guardare. Questi lo chiamò per nome e gli ordinò di mettersi a capo di tutti quei ragazzi. Giovanni
gli chiese chi fosse colui che gli comandava cose tanto diffi-
cili, anzi, impossibili. La risposta fu chiara: “Io sono il figlio di
colei che tua madre ti insegnò a salutare tre volte al giorno”. In
quel momento apparve una donna e, al posto dei giovani, una
moltitudine di capretti, cani, gatti, e altri animali. La Madonna
gli disse: “Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Ciò che
adesso vedrai succedere a questi animali, tu lo dovrai fare per
i miei figli”. Fu così che, al posto di animali feroci, comparvero
altrettanti agnelli mansueti, che facevano festa. Questo sogno,
proprio questo, accese nel giovane la vocazione.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Svetta sulla
città di Torino - 14. Contenitori per
piante - 15. La griglia su cui cuoce-
re, all’aperto, carne o pesce - 16. Nei
muri e nei pavimenti - 17. Ridotta in
cenere - 18. Un famoso Wonder…
per l’intimo femminile - 19. Super
Sonico da Trasporto (sigla) - 21. Ini-
ziali di Salgari - 23. Il generale sudi-
sta sconfitto da Grant - 24. Lo sono
gli ammalati quando si ristabiliscono
dopo la malattia - 28. XXX - 30.
Quelli della seppia li rosicchiano gli
uccellini in gabbia - 32. In mezzo al
tegame - 33. Un Kennedy che fu sena-
tore per il Massachusetts - 35. Centro
Traumatologico Ortopedico - 36. È
responsabile di riscuotere i pagamenti
dei clienti - 38. Il nome del Banfi del
cinema e della Tv - 39. Cagliari - 40.
Molte pizzerie li hanno a legna - 41.
Regione storica tedesca - 42. Il sacra-
mento del ministero apostolico.
VERTICALI. 1. Una vasta distesa
d’acqua salata - 2. Indemoniato - 3.
L’indimenticata Zoppelli - 4. Disporre
di qualcosa più del necessario - 5.
Diede i natali al Gattamelata, capitano
di ventura - 6. Avversità, disavventura
- 7. Un fiume della Siberia - 8. Tra-
scurare il proprio dovere - 9. Il celebre
tenore Caruso (iniz.) - 10. Sfarzi, fasti
- 11. Ampliò il palazzo del Louvre -
12. Aeronautica Militare - 13. È “no”
per Putin - 14. Un quartiere di Torino
caro a Don Bosco - 20. Mezzo tenero
- 22. Il Sacro telo che porta impres-
sa l’immagine di Gesù - 24. Castigo
senza astio - 25. Avellino - 26. Pe-
sare senza estremi - 27. Messa ben
a fuoco - 29. Io allo specchio - 31.
Diva ad Hollywood - 34. Distribuisce
energia elettrica - 36. Insieme - 37.
Senese senza pari - 38. Latino (ab-
brev.) - 40. Iniz. di Insinna - 41. Era
detta La Dotta (sigla).
42
Giugno 2017

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Disegno di Fabrizio Zubani
La preghiera di Dio
Mentre stamattina ti
svegliavi, ti osservavo e
aspettavo che mi rivol-
gessi la parola, magari
per poco, per chiedermi
un parere o per dirmi
anche solo “grazie” per qualcosa di
bello che ieri hai vissuto.
Ma ho visto che eri molto occupato a
cercare i vestiti da metterti per recar-
ti al lavoro e trovare le chiavi dell’au-
to. Ho continuato ad attendere,
mentre giravi per casa, per preparare
la colazione, dare l’ultimo colpetto
ai capelli (come avrai sentito, io so
esattamente quanti sono). Spera-
vo che tu potessi trovare
qualche minuto per fermarti
e dirmi “ciao”, ma eri troppo
occupato.
Per questo ho illuminato il
cielo per te, l’ho riempito
di colori e dolci trilli di
uccelli e un’arietta frizzante.
Ma non te ne sei neppure
accorto.
Ti osservavo mentre andavi
veloce al lavoro, un po’
nervoso, e ho atteso pazien-
temente per tutto il giorno.
Con tutto il tuo da fare
pensavo che fossi troppo oc-
cupato per dirmi qualcosa.
Quando sei tornato a casa,
ho visto tutta la tua stan-
chezza e ti ho mandato una
pioggerella per irrorarti un
po’, affinché l’acqua lavasse via il tuo
stress.
Pensavo di farti contento per far-
ti pensare un po’ a me, ma ti sei
infuriato e hai imprecato di brutto.
Desideravo tanto che tu mi parlassi:
non ti avrebbe portato via troppo
tempo.
Poi hai acceso il computer, ho aspet-
tato con pazienza mentre lo guardavi
e cenavi, ma di nuovo ti sei dimenti-
cato di parlare con me.
Ti ho visto stanco e ho compreso
il tuo silenzio, così ho smorzato lo
splendore del cielo, ma non ti ho la-
sciato al buio. L’ho cambiato con una
strepitosa girandola di stelle, anche
se non ti interessava.
Al momento di addormentarti, eri
esausto. Dopo aver augurato “buo-
nanotte” ai tuoi cari, sei corso in
camera e ti sei addormentato.
Io veglio sempre il sonno dei miei
figli e ho cullato i tuoi sogni, perché
anche se non te ne accorgi io sono
sempre lì, per te.
Ho più pazienza di quanto imma-
gini. Vorrei con questo insegnarti
quanta pazienza bisogna avere con
gli altri.
Tutto quello che ti piace l’ho fatto
solo per te.
Ti amo tanto e attendo ogni giorno
una tua preghiera.
Abbi una buona giornata!
Ti stai alzando di nuovo e io starò
un’altra volta ad aspettare un tuo
ricordo.
Il mio amore non ti ab-
bandonerà neppure per
un istante.
Il tuo amico Dio.
Un uomo si smarrì nel
deserto. Più tardi, nel
descrivere la sua ter-
ribile avventura agli
amici, spiegò come, per
la disperazione, si fosse
inginocchiato e avesse
invocato l’aiuto di Dio.
«E Dio ha esaudito
la tua preghiera?» gli
chiesero.
«Oh, no! Prima che lo
facesse, è arrivato un
esploratore che mi ha
indicato il cammino».
Giugno 2017
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
Un nuovo beato
Titus Zeman
Chiamato a dare la vita
per le vocazioni
L‘invitato
Un ragazzo speciale
Alexander Greis ha 19 anni.
Da sei anni è tetraplegico e felice
Salesiani nel mondo
Bukavu
Una scuola contro la rassegnazione
A tu per tu
Joseph Giaime
Missionario in Sri Lanka
La linea d’ombra
Prigionieri di
un’eterna precarietà
Come vivere oggi ideali e progetti
Le case di don Bosco
I Salesiani sulla Laguna
La casa di Venezia compie 100 anni
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.