Bollettino_Salesiano_201705

Bollettino_Salesiano_201705

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IL
MAGGIO
2017
L’invitato
Don Italo
Spagnolo
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Centenario
Il segreto
dei tre
pastorelli
Salesiani
nel mondo
Messico

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
Le erbe tintorie
«Chi è quel ragazzino che ci fa vi-
sita quando l’autunno ci riveste
di colori di ogni tonalità dell’a-
rancione e dell’ocra?» È questa
la domanda che gli alberi della
collina dei Becchi facevano
frusciare quando vedevano quel bambino andare
a caccia di erbe in mezzo ai prati e nei boschi.
Querce e castagni fecero un patto tra loro, per
tenerlo sotto stretto controllo e, dopo un po’ di
tempo, giunsero alla seguente conclusione: “Il
ragazzino cerca delle erbe tintorie, quelle che
servono per tingere la lana con varie colorazioni e,
nonostante la giovane età, le conosce molto bene.
Le sceglie e le taglia con grande cura. Poi, le divi-
de in sacchetti di iuta, distinguendole per tipo”.
Anche le acacie, che stanno a guardia lungo
tutta la strada che dai Becchi va in direzione di
Castelnuovo, aggiunsero alcune informazioni:
“Nei giorni in cui c’è il mercato a Castelnuovo,
Giovannino vende le erbe coloranti, come la re-
seda, l’argnetta, la robbia, il guado, che i tessitori
di Chieri si contendono”.
«A che cosa servirà mai il denaro ricavato dalla ven-
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
Giovannino Bosco era solito, da ragazzino, raccogliere
erbe coloranti mentre passeggiava per le colline dell’A-
stigiano, per poi venderle al mercato di Castelnuovo. Con
i soldi che ricavava, poteva poi realizzare i suoi spettacoli
di saltimbanco e far divertire così i suoi coetanei. (Me-
morie dell’Oratorio. Prima decade, nº 1)
dita di noi erbe?» chiesero due giovani querce.
Iniziò così una nuova fase d’indagini e fu il
pero martinello a risolvere ogni dubbio: “Con i
pochi soldi che guadagna compra corde, palline
colorate, carte da gioco, sciarpe, borse con il
doppio fondo, scatole. Il ragazzo è diventato un
saltimbanco. Ogni domenica riunisce i bambini
e gli adulti della borgata dei Becchi. Insegna loro
a pregare, li immerge nella magia dei giochi di
prestigio che, a sua volta, ha visto in occasione
delle fiere a Castelnuovo e Buttigliera e non solo,
è anche in grado di camminare su una corda
sospesa tra due alberi, proprio come farebbe un
funambolo professionista. Si chiama Giovanni
Bosco ed è il figlio di Margherita».
Un giorno però, il ragazzino se ne andò e scom-
parve il piccolo saltimbanco.
Ma all’improvviso ecco arrivare, come un fulmi-
ne a ciel sereno, una notizia: è tornato!
Se ne accorsero per primi i rami più alti degli
alberi e, ben presto, i cespugli di sambuco che
tenevano d’occhio la strada annunciarono: «È
tornato, ma non da solo». Era accompagnato da
un centinaio di bambini e giovani che quindi
interruppero il silenzio placido della campagna
con una marea di canti e risate.
«Chi sono questi ragazzi?» chiesero le querce
sempre curiose.
Ancora una volta toccò alla betulla svelare il se-
greto: “I bambini che gli sono accanto sono piccoli
orfani obbligati a lavorare in condizioni disumane
nelle fabbriche di Torino. Giovanni Bosco, ogni
mattina, crea per loro un bellissimo arcobaleno
d’affetto, di coraggio e di preghiera”.
E tutti gli alberi grandi e piccoli della collina
rilasciarono nel vento la loro soddisfazione.
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Maggio 2017

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IL
MAGGIO 2017
ANNO CXLI
Numero 5
IL
MAGGIO
2017
L’invitato
Don Italo
Spagnolo
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Centenario
Il segreto
dei tre
pastorelli
Salesiani
nel mondo
Messico
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina: Cento anni fa, a Fatima,
Maria appariva a tre allegri pastorelli e
incominciava la più bella avventura del
secolo (Illustrazione di Stefano Pachì).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 CHE COSA PENSANO I GIOVANI
Credere o non credere?
8 SALESIANI NEL MONDO
Messico
12 L’INVITATO
Don Italo Spagnolo
16 FINO AI CONFINI DEL MONDO
18 A TU PER TU
Monsignor Stefan Oster
21 IL TUO 5 × 1000
22 CONOSCERE LA FAMIGLIA SALESIANA
Haiti
24 LE CASE DI DON BOSCO
Brescia
28 FMA
30 CENTENARIO
Il segreto dei tre pastorelli
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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18
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
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web: http://biesseonline.sdb.org
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Alessia
Andena, Pierluigi Cameroni, Roberto
Desiderati, Emilia Di Massimo,
Ángel Fernández Artime, José J.
Gómez Palácios, Claudia Gualtieri,
Cesare Lo Monaco, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto,
Marisa Patarino, Guido Pedroni,
Pino Pellegrino, Felipe De J.
Plascencia Botello, O. Pori Mecoi,
Juan Carlos Quirarte Méndez, Luigi
Zonta, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Tullio Orler (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Sotto il manto
di Maria
Siamo famiglia
e Maria Ausiliatrice
è la nostra madre
premurosa e consolatrice.
Come ha preso per mano
Giovanni Bosco, tiene per
mano noi e ci guida per
i sentieri di questo mondo.
Proprio ieri una giovane sposa che sta at-
traversando un momento difficile mi di-
ceva in un momento in cui si discorreva
di fede: «Certamente che ho la fede, pa-
dre. Voglio vivere con fede e nella fede,
posso dirle con certezza che ogni matti-
na, la prima cosa che faccio quando metto i piedi
per terra è la mia preghiera a Maria Ausiliatrice».
Il mio pensiero volò subito a don Bosco e alla
certezza assoluta che aveva in Maria Ausiliatrice.
Proprio don Bosco tante volte disse: «È impossi-
bile arrivare a Gesù senza passare attraverso l’a-
more per Maria» e ancora: «Maria è stata sempre
la mia guida. Chi pone la sua fiducia in Lei non
sarà mai deluso».
Quasi scherzando, una volta disse: «Se io verrò
a sapere che qualcuno di voi abbia pregato bene,
ma invano, scriverò subito una lettera a san Ber-
nardo dicendogli che si è sbagliato nel dire: “Ri-
cordatevi, o piissima Vergine Maria, che non si è
mai udito al mondo che da voi sia stato rigettato
od abbandonato alcuno, il quale implori i vostri
favori”. Ma state pur certi che non mi accadrà di
dover scrivere una lettera a san Bernardo».
Immagino che per questa giovane sposa e per al-
tre moltissime persone che vivono questa fiducia
assoluta nella Madre del Cielo, il sentimento è il
medesimo. La fiducia in Maria Ausiliatrice è una
certezza che non sarà mai disattesa.
Tutto questo mi parla molto più di un pio pen-
siero ricavato da don Bosco. Quante volte ho po-
tuto contemplare la semplice e calda devozione
di migliaia e migliaia di persone con gli occhi e
il cuore rivolti a Maria, la Madre del Signore, in
vari santuari mariani del mondo. A questo non
posso restare indifferente e mi sento intimamente
commosso.
E vedere che cosa significa Maria Ausiliatrice
nel nostro “mondo salesiano”, nella Basilica di
Valdocco, tocca profondamente il cuore. La mia
immaginazione vede don Bosco che cammina in
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questo stesso spazio, calpestando questo cortile,
anche se altre erano le pietre, “innamorando”
ogni giorno i suoi ragazzi, i suoi giovani e i pri-
mi salesiani con questo vivo e forte affetto per la
Madre del Cielo.
Sento la sua voce raccomandare che se vogliamo
tracciare un cammino di successo come educatori
salesiani non possiamo fare a meno di far battere
forte il cuore dei nostri ragazzi e delle nostre ra-
gazze per la Madre di tutti. Senza questo robu-
sto sentimento, al nostro principio educativo dei
“buoni cristiani” manca qualcosa di essenziale.
Vi posso assicurare che nei miei viaggi attra-
verso il mondo, continuo a vedere ogni giorno
autentici miracoli frutto dell’educazione salesia-
na, risultato di un sistema preventivo che è affi-
damento in una presenza che rende ragionevole
l’esigenza di mettere Dio come senso della vita.
Questo fa sentire l’autentico affetto degli educa-
tori che cercano soltanto il bene di questi bam-
bini, adolescenti e giovani, preparandoli alla vita
e facendoli crescere.
La Madonna di don Bosco è sempre raffigurata
con un ampio mantello riparatore, rifugio protet-
tivo in molti dei suoi sogni.
Nel primo sogno, Maria “presemi con bontà per
mano”. Don Bosco non lascerà mai quella mano.
Così lo straordinario fiorirà nell’ordinario, perché
questa è la vera fede. Potremmo dire “Dove c’è
don Bosco c’è Maria”. Una presenza concreta.
Come don Bosco ha cercato di spiegare alle suore
riunite a Nizza.
«Voglio dirvi solo che la Madonna vi vuole molto,
molto bene. E, sapete, essa si trova qui in mezzo
a voi!» Allora don Bonetti, vedendolo commosso,
lo interruppe, e prese a dire, unicamente per di-
strarlo: «Sì, così, così! Don Bosco vuol dire che
la Madonna è vostra madre e che essa vi guarda
e protegge».
«No, no», ripigliò il Santo, «voglio dire che la
Madonna è proprio qui, in questa casa e che è
contenta di voi e che, se continuate con lo spirito
di ora, che è quello desiderato dalla Madonna...»
Il buon Padre s’inteneriva più di prima e don Bo-
netti a prendere un’altra volta la parola: «Sì, così,
così! Don Bosco vuol dirvi che, se sarete sempre
buone, la Madonna sarà contenta di voi».
«Ma no, ma no», si sforzava di spiegare don Bo-
sco, cercando di dominare la propria commozio-
ne. «Voglio dire che la Madonna è veramente qui,
qui in mezzo di voi! La Madonna passeggia in
questa casa e la copre con il suo manto» (Memorie
Biografiche XVII, 557).
Quando questa è la realtà, quando si vede tanta
vita nelle case salesiane del mondo e tutto il bene
che in esse si fa, si può veramente dire: «Tutto lo
ha fatto Lei e… confidate in Maria Ausiliatrice e
vedrete che cosa sono i miracoli».
Continui a benedirvi questa nostra Madre, con
tutto l’amore che solo le madri sanno dare.
La chiesa
salesiana di Piura
in Perù dopo le
inondazioni.
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CHE COSA PENSANO I GIOVANI
CLAUDIA GUALTIERI
Cnornedcerreedeore?
Il matematico, fisico,
filosofo e teologo francese
Blaise Pascal affermò:
“Se Dio non c’è ed io ho
creduto in lui, ho perso
poco. Ma se Dio c’è e voi
non avete creduto in lui,
avete perso tutto”. Anche
se non sembra, molti
giovani credono in Dio.
Credere dunque sembra
essere importante. Ma ne
vale davvero la pena?
Gabriele, 25 anni:
«La fede di mia zia era
impressionante»
Sono cresciuto in una famiglia forte-
mente credente. Quando sei picco-
lo, vai a Messa perché i tuoi genitori
ti ci portano, quando sei un po’ più
grande, vai a Messa perché i tuoi ge-
nitori altrimenti non ti fanno andare
all’allenamento. Quando ho raggiunto
l’indipendenza ovviamente che cosa
ho fatto? Abituato ad andare a messa
sin da bambino, non ci sono andato
più. A quel punto è venuta meno l’a-
bitudine che mi portava a frequentare
i sacramenti. E in quell’occasione mi
sono posto proprio questa domanda.
Per due anni, abbondanti, in chiesa
non ho messo piede ma ho continuato
a frequentare l’oratorio. In ogni caso
la mia visione non cambiava, cercavo
di darmi delle risposte che non potevo
darmi autonomamente. Ma un dise-
gno esiste, per ognuno. Ero molto le-
gato a mia zia, la sorella di mio padre.
Era per me un riferimento importante.
Quando traballavo, era la persona alla
quale per prima mi rivolgevo. In tutto
ciò però lei portava dentro di sé un tu-
more, che per quattordici lunghi anni
l’ha accompagnata. All’età di 54 anni
lei ci ha lasciati. Nel dolore però, tut-
to ciò si è rivelato un disegno divino.
La fede di mia zia era impressionante,
perché emanava una gioia speciale ed
era il conforto di tutte le persone che
la circondavano. Mai un lamento, mai
negatività, trasudava positività e gioia
cristiana da tutti i pori, frequentava i
sacramenti con fervore e pregava, pre-
gava spesso. La sua morte è stata per
me la rivelazione di una disarmante
testimonianza di fede che mi ha messo
con le spalle al muro. Dove trovava la
forza di confortare gli altri? Dove tro-
vava quel sorriso che fino all’ultimo
respiro è stato sul suo volto? Dove tro-
vava la serenità? In Dio!
E alla domanda: “vale la pena credere?”
mi viene in mente una frase di Steve
Jobs: “Vuoi vivere una vita qualunque
o vuoi che la tua vita sia speciale?”. Ne
vale la pena perché ti rende la vita spe-
ciale. Non possiamo dimostrare che
Dio esiste attraverso una ricerca scien-
tifica o delle provette di laboratorio, né
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con un esperimento di fisica. Possiamo
però testimoniare che se crediamo che
qualcosa sia possibile, la nostra mente
si apre e inizia a vedere quel che non
credeva possibile. Ne vale la pena!
Carmen, 18 anni:
«È fondamentale per trovare
dentro di sé un senso di pace e
di serenità»
Credere. Un verbo apparentemente
complesso perché fa nascere in cia-
scuno di noi tante domande alle qua-
li spesso non siamo in grado di dare
risposte soddisfacenti. Con questo
timore ci precludiamo quindi tante
conoscenze che solo la curiosità può
soddisfare. Nel momento in cui mi è
stato chiesto: “Vale la pena credere?”,
la mia risposta è stata immediatamente
sì, tenendo conto della mia crescita in
una famiglia fortemente credente e in
seguito del mio cammino all’interno
della famiglia salesiana. Poi però mi
sono chiesta “perché allora, per tanti
altri miei coetanei, non vale la stessa
cosa?”. Forse perché tante volte si as-
socia a tale verbo una visione pretta-
mente cristiana cattolica dimenticando
che, per prima cosa, credere vuol dire
assumere un atteggiamento di fiducia
nei confronti delle possibilità che la
vita ci offre, così da vivere pienamente
le nostre esperienze, così da diventare
noi stessi. Solo in quest’ottica riuscire-
mo a forgiare bene la nostra identità e
a comprendere il progetto che ci è stato
designato. È quindi necessario vivere
rapporti, assumersi responsabilità,
prendere decisioni, vivere. È prima di
tutto importante credere in noi stessi e
in chi, amorevolmente, ci sta accanto
affinché tutto ciò possa realizzarsi. Se
mi trovassi a spiegare ad una persona
atea i motivi per cui vale la pena crede-
re direi che credere è fondamentale per
trovare dentro di sé un senso di pace e
di serenità che solo la fede può darti.
Una serenità talmente forte da per-
metterti di riuscire a superare anche gli
ostacoli più difficili che la vita ci mette
davanti. È sicuramente un cammino
difficile che per me è stato facilitato
dal mio sì convinto a questa stessa do-
manda, un sì che mi ha portato a ca-
pire che esiste un Bene più grande di
noi che agisce nella mia vita. Questo
Bene si è trasformato per me in Amo-
re, amore del carisma salesiano, amore
dei ragazzi che quotidianamente mi
vengono affidati. Un Amore talmente
tanto forte che mi fa vivere!
Antonio, 27 anni:
«Credere in Dio mi aiuta a
credere di più in tutti e tutto»
Parlando in generale, ritengo che le
persone non possano fare a meno di
credere, credere nell’amicizia, nell’a-
more, nei propri sogni, credere nel
bene. Le persone non possono fare a
meno di credere perché hanno proprio
bisogno di farlo, serve a dare un senso
alla propria vita. Chi non crede nell’a-
micizia e nell’amore avrà una vita di
solitudine, chi non crede nel bene non
avrà mai fiducia negli altri. Credere è
importante per vivere meglio la propria
vita. Essendo una persona tendenzial-
mente positiva sono portato a pensare
che le persone possano credere solo in
cose positive come quelle che ho elen-
cato. Ma la verità è un’altra. Einstein
diceva che come il freddo è la mancan-
za di calore, anche il male è l’assenza di
bene. Per la stessa logica, si può credere
solo in cose positive (bene, amore, ami-
cizia ecc.) e solo il non credere in queste
porta alla negatività. La domanda sorge
spontanea: vale la pena allora credere in
Dio? Se si dovesse fare un’analisi da
ateo in questi tempi sembrerebbe pro-
prio di no. L’ateo, di solito, infatti, non
crede in Dio perché crede nella scienza.
Crede che tutto si debba spiegare, ma
non riesce a spiegarsi l’esistenza di un
dio. Di questi tempi come fa una per-
sona che non si spiega l’esistenza di un
dio a credere in questa con tutto quello
che succede? Disastri naturali, terrori-
smo, corruzione nella chiesa. Il creden-
te invece perché crede? Per fede! Il vero
credente ha fiducia nelle scritture e non
ha bisogno di altri motivi. Credere e fi-
darsi sono, per me, quasi sinonimi. Ma
la realtà è che credere in Dio ti dà una
marcia in più. Ti dà più speranza e non
ti senti mai solo. Personalmente credere
in Dio mi aiuta a credere di più in tutti
e tutto. Se non credessi in Dio non sarei
la persona che sono oggi. Quindi la mia
risposta è: sì, vale la pena credere. Se
non credi non vivi!
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SALESIANI NEL MONDO
FELIPE DE J. PLASCENCIA BOTELLO
Vivere e operare
su una ferita aperta
La frontiera Stati Uniti-Messico è una
ferita aperta dove il Terzo Mondo
viene a scontrarsi con il primo e
sanguina. E prima che si cicatrizzi,
sanguina di nuovo, il sangue vitale di
due mondi si mescola per formare un
terzo paese: una cultura di frontiera.
Qui si stanno moltiplicando
le presenze salesiane.
Il problema dell’emigrazione da una parte,
quello dell’immigrazione dall’altra. Il Mes-
sico non riesce a contenere i flussi di persone
che tentano di andare verso gli Stati Uniti,
dall’altra parte invece gli Stati Uniti non
riescono a contenere del tutto i tentativi di
intrufolarsi dei clandestini, a cui si aggiungono
quelli che il confine lo varcano per attività ille-
cite, come il traffico di armi, di droga e, pur-
troppo, anche di esseri umani. Per contrastarli,
nel 1924 è stata fondata la “US Border Patrol”,
che si occupa di pattugliare e proteggere i con-
fini degli Stati Uniti. Circa 14 000 chilometri di
confine terrestre, di cui oltre 3000 con il Messi-
co: è qui che è impiegata la maggior parte degli
agenti della Border Patrol.
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La vita nelle mani dei coyotes
Una nota canzone di Manu Chao recitava: “Ben-
venuti a Tijuana, qui con il coyote si salta la do-
gana”. Ma chi sono i coyotes? Chiamati anche
“polleros”, una volta erano contadini o manovali
residenti sul confine che per pochi dollari gui-
davano i migranti lungo i sentieri di montagna
con il proposito di accompagnarli in territorio
statunitense; conoscevano a menadito passaggi
e scorciatoie e, dopo aver concluso la traversata,
tornavano a coltivare la terra o a svolgere il pro-
prio lavoro nei luoghi d’origine. Fino a 20 anni
fa era molto comune che i braccianti messicani
si avvalessero dell’ausilio di questi traghettatori
per passare “dall’altra parte” ed andare a lavorare
nelle campagne americane per periodi di tempo
limitati legati ai cicli della produzione agricola.
Stati Uniti e Messico, California e Bassa Califor-
nia, San Diego e Tijuana: due realtà completa-
mente diverse, separate solamente da una striscia
di confine che mai come in quel posto segna le di-
versità tra due mondi così vicini ma così differenti.
Da una parte la ricchezza e lo sfarzo dei cittadi-
ni statunitensi, dall’altra la povertà e la precarietà
dei messicani. Messicani che giorno dopo giorno
desiderano varcare quel confine ed accarezzare il
sogno americano di una vita migliore.
Il problema più grosso riguarda il tratto di con-
fine più occidentale, appunto intorno alle città di
San Diego e Tijuana. La città messicana è cro-
cevia di pochi fortunati cittadini messicani che
giornalmente si recano in California a lavorare, e
di molti americani che la sera si spostano invece
a sud per trovare feste a basso costo, ed a volte
anche qualche “sballo”. Perché nella sua povertà
Tijuana è una città piena di vita e che vive sul
turismo, con costanti feste per le strade e nei lo-
cali del lungomare. Ma è anche una città caratte-
rizzata dal crimine: è una delle piazze di spaccio
principali per la droga in Messico, e non è in-
frequente assistere a sparatorie per le strade tra
bande rivali, o tra i criminali e la polizia. Polizia
messicana che a Tijuana (come nella più triste-
mente famosa Ciudad Juarez) è abituata a girare
con le squadre speciali in assetto antiguerriglia ed
in forze. Come un altro grosso problema è la pro-
stituzione, compresa quella minorile.
Tijuana, chiamata la “Porta del Messico”, è fa-
mosa in tutto il mondo per il suo “muro”, una
struttura di circa tre metri di altezza che sepa-
ra fisicamente le due nazioni. In un’epoca dove i
muri separatori tendono ad essere rimossi (Berli-
no, Gorizia, Nicosia), quello di Tijuana invece è
I centri dei
Salesiani di
Tijuana sono
diventati ricoveri
per migliaia di
migranti bloccati
alla frontiera.
Sotto: Il “muro”
che separa il
Messico dagli Usa.
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SALESIANI NEL MONDO
Gli aiuti materiali
e spirituali per
i “cercatori di
speranza” sono
continui.
in continuo rafforzamento. Alle lamiere ed alle
staccionate si sono aggiunti i sensori nel terreno,
le telecamere ad infrarossi, le torrette di guardia
ed il filo spinato.
Presso Tijuana oltre 50 milioni di persone attra-
versano il confine ogni anno. È in questa città
che si sono incontrati, dal 20 al 22 giugno, 130
dei Salesiani che fanno parte dell’Ispettoria di
Messico-Guadalajara ( ), per celebrare l’As-
semblea della Comunità Ispettoriale ( ) 2016.
Sia l’Ispettore di , don Hugo Orozco, sia i
membri del Consiglio hanno invitato i Salesiani a
vivere l’esperienza di andare sul confine, dappri-
ma geografico, ma anche sociale, sui confini nei
quali si trovano i giovani, con poca presenza sa-
lesiana – sebbene i Salesiani siano attivi con una
parrocchia e sei oratori.
I Salesiani e i migranti
I Salesiani sono presenti in questa città di frontie-
ra da quasi 30 anni. L’opera è formata da una serie
di oratori, attualmente sei, in cui si sviluppano di-
versi programmi di formazione tipicamente ora-
toriani: catechesi, sport, attenzione sacramentale,
laboratori, formazione umana, associazionismo,
attività ludiche. Guidano una parrocchia. Hanno
aperto una scuola primaria gratuita per ragazzi
che per mancanza di documenti non possono fre-
quentare le scuole ufficiali. È stato allestito anche
un ristorante per poveri e migranti, in cui sono
offerti, oltre ad un pasto quotidiano, altri servizi
urgenti come ricovero, riparo, igiene personale,
vestiti, cure mediche, assistenza psicologica e le-
gale, telefono, computer, laboratori di formazio-
ne umana e di formazione lavoro. Attualmente,
per 6 giorni a settimana, si offrono una media di
1200 pasti al giorno. È stato raggiunto il record
anche di 1400 pasti in un giorno.
Per fronteggiare l’attuale situazione, dal maggio
2016, i Salesiani hanno risposto raddoppiando gli
sforzi. La loro mensa pubblica Desayunador Sale-
siano “Padre Chava” si è trasformata in un centro
che offre la sua esperienza di assistenza ad altri
ricoveri che si sono aperti in città.
La grande maggioranza dei migranti che arri-
vavano in città erano haitiani, ma molti prove-
nivano da altri paesi: dall’Europa dell’Est, Asia,
Centro America, Africa e naturalmente numerosi
messicani che pensavano fosse facile entrare come
rifugiati negli Stati Uniti.
La mensa giunse ad ospitare 500 persone. Fu
aperto anche un ricovero nell’Oratorio San Fran-
cesco di Sales e un altro meglio organizzato
nell’Oratorio San Giovanni Bosco, dove 150 mi-
granti si fermarono per più di tre mesi.
Trent’anni benedetti
L’emergenza è stata una benedizione per la pre-
senza dei Salesiani. Si sono messi a disposizione
con il carisma del sistema preventivo di migliaia
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VOGLIONO STRAPPARCI LA FRONTIERA!
Sì, lo dico a chiare lettere, vogliono toglierci la frontiera! Può sem-
brare un’espressione molto strana e poco corretta, ma è un’espres-
sione carica di senso. E per questo la ribadisco: vogliono strapparci
la frontiera e noi non lo permetteremo! Attualmente generazioni di
giovani messicani sono nate in un contesto di frontiera fortificata. I
tempi attuali ci hanno portato a travisare il significato di alcuni ter-
mini. Questo è il caso della parola “frontiera”.
La geopolitica ha causato una mutazione nella comprensione del
termine “frontiera”, che è passato dall’essere un’opportunità di
incontro all’essere una barriera, una divisione, un incontro fallito.
L’altro cessa di essere il mio prossimo e diventa il nemico da tenere
lontano.
Incontrarci con chi soffre ci rende responsabile del suo benessere.
Questo è l’atteggiamento evangelico che siamo chiamati a praticare
e a proclamare. E un modo molto concreto di vedere questa neces-
sità nel nostro mondo contemporaneo è tra gli sfollati, coloro che
migrano, che cercano rifugio a causa di situazioni di dolore, della
fame, della persecuzione che li spingono a spostarsi, a migrare, a
cercare rifugio altrove.
Siamo chiamati ad avere sentimenti di frontiera, pensieri di
frontiera, azioni di frontiera… Ma che significa? Che dobbia-
mo avere sentimenti verso l’altro, verso chi è diverso, verso colui che
mi è prossimo e verso cui posso andare incontro. Vuol dire pensare
sapendo che ci sono altri che la pensano diversamente. Significa
avere il coraggio di pensare diversamente, di essere innovativi.
La nostra Congregazione Salesiana è un mosaico di diversità. Siamo
una grande famiglia che comprende una grande varietà di culture,
contesti, lingue, razze, idee e tradizioni, ma riconosciamo la ricchez-
za di quella stessa diversità e l’identità del carisma. E, senza che
importi il luogo in cui ci capita di vivere oggi, dobbiamo avere il
coraggio di testimoniare il nostro impegno cristiano e salesiano di
disobbedire a motivo della nostra fede a politiche e ideologie che
provino ad imporci la divisione e la percezione dell’altro come un
nemico.
La nostra Famiglia Salesiana vanta splendide esperienze e inizia-
tive durature di inclusione, vicinanza, partecipazione, che rendono
viva quella meravigliosa frase di don Bosco: “basta che siate giovani
perché io vi ami”, a cui vorrei aggiungere, oggi, “indipendentemente
dalla vostra origine, razza, il vostro passato o condizione di vita”.
P. Juan Carlos Quirarte Méndez,
direttore della comunità salesiana di Ciudad Juárez.
3145 km la lunghezza del confine;
1000 km la lunghezza complessiva dei vari muri e barriere;
22,5 km la lunghezza del muro tra San Diego e Tijuana;
1971 l’anno di costruzione della prima barriera protettiva;
6000 le persone decedute dal 1994 nel tentativo di raggiungere
gli USA;
12,2 milioni i clandestini che hanno passato il confine tra il 1990
e il 2007;
18mila gli agenti impegnati nella vigilanza;
400mila gli arresti nel 2013 (ultimo dato disponibile).
di persone che erano in attesa di un visto per gli
Stati Uniti, hanno ricevuto aiuti e collaborazione
da centinaia di volontari della città e delle altre
opere salesiane del paese.
La Provvidenza del Signore è stata evidente. Non
è mancato nulla dell’essenziale: casa, alimenti, ve-
stiti. Come nel Vangelo, i cinque pani e i due pe-
sci nutrirono la moltitudine e i Salesiani poterono
condividere con altri ricoveri, in maggioranza di
chiese non cattoliche, quanto avevano ricevuto.
Oggi, la situazione è diversa. È quasi cessato il
flusso straordinario di migranti, anche se sono
ancora molti i “respinti” (espulsi dagli ) e i
centroamericani.
Con la collaborazione delle autorità governative, i
Salesiani aiutano gli stranieri che, per la situazio-
ne politica degli Stati Uniti, non cercano più un
rifugio umanitario e tentano di trovare una siste-
mazione in Messico.
«Questa esperienza» afferma il direttore don
Plascencia Botello «ci stimola ad una maggiore
attenzione per i respinti che disgraziatamente
secondo le previsioni aumenteranno nei prossi-
mi mesi. Non vogliamo solo sfamarli, ma attuare
progetti di reinserimento nella città e nel paese.
È stato un lavoro intenso. Restiamo attenti alle
necessità di questi fratelli perché don Bosco, sotto
il manto dell’Ausiliatrice, continui ad essere Pa-
dre e Maestro per tanti fratelli che vivono in una
situazione terribilmente vulnerabile. In maggio-
ranza sono giovani. Una ragione in più per essere
al loro servizio».
Maggio 2017
11

2.2 Page 12

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L’INVITATO
ALESSIA ANDENA
Incontro con
don Italo Spagnolo
Missionario salesiano
in Nigeria dal 1982
Come ti sei accorto
di avere la vocazione?
Durante le elementari ero un bambino
buono, intelligente, calmo, studioso,
un bravo chierichetto. Il mio amico
viceparroco pensava di mandarmi in
seminario ma allora costava troppo. I
miei genitori lavoravano nelle fabbri-
che tessili del Biellese e ai figli degli
operai veniva offerto un mese di co-
lonia estiva al mare, a Vallecrosia dai
Salesiani. Mi sono trovato bene. Così
tra qualche conversazione e qualche
lettera con la famiglia, la decisione
fu presa: cominciai la Scuola Media
nell’Aspirantato Salesiano di Casale
Monferrato nel 1952.
Che cosa ha pensato
la tua famiglia?
Dopo la terza media bisognava pren-
dere una prima decisione. Mi sono
confidato con mamma. Mi ha in-
Mi sono accostato all’Ispettore e gli ho sussurrato:
“Io mi rendo disponibile per il Progetto Africa”.
“Mettilo per iscritto”, mi ha risposto, senza una parola
in più. In camera, ricordo bene, mi sono inginocchiato
per una breve preghiera e “l’ho messo per iscritto”.
Il giorno seguente ho consegnato la lettera.
coraggiato: “Se il Signore ti vuole
prete e Salesiano, io non farò altro
che ringraziarlo per la tua vocazio-
ne”. Poi dovevo affrontare papà. Un
po’ “asciutto” mi ha solo detto: “Per
adesso pensa a studiare seriamente e
a comportarti bene. Poi si vedrà”. En-
trambi mi hanno aiutato a riflettere
e a prendere liberamente le decisioni
che mi hanno portato successivamen-
te al noviziato a Pinerolo nel 1958,
allo studentato filosofico di Foglizzo
e alla Teologia alla Pontificia Univer-
sità Salesiana di Roma. Nel 1968 ve-
nivo ordinato sacerdote salesiano.
Perché hai deciso di partire
per le missioni?
Nel mio percorso salesiano avevo
preso parte con entusiasmo a gruppi
missionari. C’era stato anche qualche
vago desiderio di partire per le mis-
sioni ma, con il passare del tempo, era
svanito tra gli impegni pastorali e le
responsabilità dei miei primi anni di
vita sacerdotale.
Poi d’improvviso... il colpo di fulmi-
ne. A metà agosto del 1980 l’Ispettoria
Novarese concludeva l’ultima fase del
Capitolo Ispettoriale e si doveva dare
al Rettor Maggiore una risposta espli-
12
Maggio 2017

2.3 Page 13

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cita alla domanda: “Che cosa intende
fare la vostra Ispettoria per il Progetto
Africa?”. Il dibattito in aula non è stato
lungo: “Gli impegni qui sono tanti, ci
mancano le vocazioni, pregheremo e
raccoglieremo qualche soldino in più!”.
Una voce si è alzata come contrad-
ditorio: “Ma anche don Bosco aveva
tanti impegni a Torino e poco perso-
nale; eppure ha avuto il coraggio di
mandare i suoi Salesiani missionari in
Argentina”.
Salendo le scale per andare a letto, mi
sono accostato all’Ispettore e gli ho sus-
surrato: “Io mi rendo disponibile per il
Progetto Africa”. “Mettilo per iscritto”,
mi ha risposto, senza una parola in più.
In camera, ricordo bene, mi sono in-
ginocchiato per una breve preghiera e
“l’ho messo per iscritto”. Il giorno se-
guente ho consegnato la lettera.
L’ultimo giorno del Capitolo i con-
fratelli hanno votato a stragrande
maggioranza la decisione salomonica
“Lasciamo che l’Ispettore decida con
il suo Consiglio!”. A mezzogiorno,
al termine della messa di chiusu-
ra, l’Ispettore don Bosoni annunciò
all’Assemblea: “Abbiamo votato poco
fa ed ecco che un salesiano sacerdo-
te don Italo Spagnolo e un salesiano
laico signor Giovanni Patrucco sono
pronti per il Progetto Africa!”. Un’o-
vazione generale sbloccò il mio primo
momento di incredulità. Ero lonta-
nissimo dal pensare a una decisione a
breve termine. E fu meraviglioso così!
Era l’agosto 1980.
E dopo com’è andata?
Da Roma ci fu affidata una missione
in Nigeria nella diocesi di Ondo. Al
pensiero di andare in una zona estre-
mamente calda mi venivano i... brivi-
di! Ma dopo 35 anni di missione soffro
meno il caldo io di tanti amici nigeria-
ni. Il 1982 segnò l’anno dell’inizio del-
la missione salesiana in Nigeria. Padre
Wade, un argentino che ci avrebbe
affiancato, partì in avanscoperta in
febbraio mentre noi due atterrammo
all’aeroporto di Lagos il 27 settembre.
La nostra missione è cominciata sui
banchi di scuola! Il Vescovo aveva
preparato per noi e altri missionari
un corso di lingua locale: lo yoruba.
Dopo 4 mesi il Vescovo ci ha messo
nella parrocchia di San Patrizio nella
città di Ondo. Dopo quindici giorni
eravamo già incaricati a tempo pieno
non solo della parrocchia di San Pa-
trizio ma anche di quella di Ile-Oluji.
I parrocchiani sono stati meravigliosi!
Si interessavano dei nostri bisogni, ci
offrivano preziosi consigli, collabora-
vano con franchezza per tutte le deci-
sioni necessarie.
Quali sono state
le tue prime esperienze?
È stata una meravigliosa avventura!
Era tutto da inventare! Ci sembrò di
essere proprio come don Bosco ai suoi
Don Italo con due dei suoi parrocchiani. La sua
chiesa per ora è senza tetto, ma Missioni Don
Bosco sta provvedendo.
primi tempi a Valdocco ma con il ba-
gaglio di tutta la tradizione salesiana.
Un giorno un prete della Diocesi ven-
ne ad informarmi che la Compagnia
che posava l’oleodotto a Lagos ave-
va finito i lavori e stava chiudendo
il cantiere. Ci suggeriva di chiedere
al direttore il parco giochi costruito
per i bimbi delle famiglie del cantiere.
Non esitai un minuto. La Provviden-
za arrivava al momento giusto. Nel
giro di una settimana smontammo e
traslocammo il “parco giochi”. Così
cominciammo un oratorio che la do-
menica pomeriggio raccoglieva tan-
tissimi giovani. Più tardi prese vita
il progetto della scuola tecnico-pro-
fessionale. Anche questa è una storia
meravigliosa di collaborazione tra la
gente del posto, gli Italiani in Nige-
ria, l’Ispettoria Salesiana di Novara.
Nel giro di pochi anni sono cresciuti
i laboratori di saldatura, meccanica,
falegnameria, informatica, moto-
meccanica. La scuola tecnica di Ondo
è stato il primo istituto privato in Ni-
geria legalmente riconosciuto. Abbia-
mo toccato con mano l’affermazione
Maggio 2017
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2.4 Page 14

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L’INVITATO
del Rettor Maggiore, don Viganò: ”Il
Progetto Africa è una grazia di Dio
per la nostra Congregazione!”
Quali sono gli incontri
più belli che hai fatto?
Tantissimi! Ne voglio ricordare solo
uno. Con l’intraprendenza di don
Wade avevamo scavato un pozzo a cui
nella stagione secca veniva ad attingere
la gente dei dintorni. Ci siamo preoc-
cupati che l’acqua fosse potabile. Sono
andato all’Ufficio d’Igiene di Akure
che ha accettato di venire a prelevare
in tempi diversi tre campioni d’acqua
per fare le analisi. Ma, “senza soldi,
nessun risultato”, ci hanno anticipato.
Noi eravamo pronti a pagare il dovuto.
Alla consegna dei risultati il diretto-
re ha unito una lettera che, non solo
ci esonerava dal pagamento, ma che
assicurava altre analisi future gratuite,
perché “permettete alla gente di attin-
gere acqua gratuitamente da un pozzo
privato”. Veramente un gesto di grande
umanità!
Nel dicembre scorso
il Vescovo ha costituito
parrocchia la nostra
piccola comunità,
con estrema esultanza
dei fedeli. Una parrocchia
senza casa parrocchiale
(è in affitto) e con la
chiesa “senza tetto”.
in avanscoperta. Qui infatti la nostra
Ispettoria aveva acquistato un terreno
per lo sviluppo di una nuova scuola
tecnico-professionale. Abbiamo in-
cominciato come sempre: vita di pre-
ghiera, di comunità, di servizio, di
gioia salesiana. I cattolici, i giovani e
la gente gradualmente ci ha conosciu-
to e apprezzato. Nel dicembre scorso
il Vescovo ha costituito parrocchia la
nostra piccola comunità, con estrema
esultanza dei fedeli. Una parrocchia
senza casa parrocchiale (è in affitto) e
con la chiesa “senza tetto”.
“Abbiate devozione a Gesù Sacramen-
tato e a Maria Ausiliatrice e vedrete
che cosa sono i miracoli”, ci diceva don
Bosco. È stata la visita a sorpresa del
Procuratore di “Missioni Don Bosco”
di Torino che ha fatto il miracolo. Gra-
zie alla donazione di “Missioni Don
Bosco” abbiamo potuto cominciare,
a metà marzo, i lavori della struttura
in ferro del tetto. Ci vorranno ancora
Com’è la tua vita
qui a Ijebu-Ode?
Nel 2014, dopo la chemioterapia,
ho “strappato” al bravissimo medico
curante il permesso di ritornare in
Nigeria. Il mio Superiore, esoneran-
domi dalla responsabilità di diret-
tore-parroco a Akure, mi ha propo-
sto due alternative: essere d’aiuto in
parrocchia a Lagos oppure far parte
della nuova missione a Sagamu (pas-
sata subito a Ijebu-Ode). Nonostan-
te le sue perplessità iniziali mi sono
trovato “incaricato” della nuova pre-
senza: una comunità di tre confratelli
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2.5 Page 15

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molti soldini per le preventivate 1200
lamiere ma certamente l’aiuto del buon
Dio non ci verrà meno.
Come sono i giovani qui?
Come i giovani di tutto il mondo: con
tanti problemi uguali e tanti proble-
mi diversi. Bisogna saperli prendere e
don Bosco ci ha insegnato la tecnica
del cuore, l’amorevolezza, che funzio-
na sotto tutti i cieli. I modelli occi-
dentali incidono notevolmente sulla
«Stare e lavorare con i giovani ed essere vicino
alla gente con lo spirito di don Bosco gratifica
immensamente. Ci si dona, ci si sacrifica, si ama
e si è ricambiati».
mentalità e le aspirazioni dei nostri
giovani, specialmente dei molti che
frequentano le università. La frustra-
zione per lo stallo della situazione
politico-economico-sociale e la quasi
impossibilità di impiego diventano
motivo per tentare l’avventura Euro-
pa, con tutte le terribili conseguenze
che conosciamo. La disillusione ama-
ra di chi ha provato purtroppo non
serve a scoraggiare. È per questo che
le nostre scuole tecnico-professionali
sono apprezzate da autorità e Vescovi
che sollecitano i Salesiani ad andare
nelle loro diocesi.
Ti senti a casa?
Ma certo! Se non mi sentissi a casa
avrei mille motivi per ritornare e stare
in Italia, dove sono sempre bene ac-
colto dai Salesiani, dai miei famigliari
e da tanti amici e benefattori.
Non hai mai paura?
Sì, a Ondo ho avuto un momento di
vero terrore quando i ladri a mano ar-
mata sono entrati per la seconda notte
consecutiva nella nostra casa. La pri-
ma avevano ucciso una guardia not-
turna, ferito gravissimamente due dei
nostri confratelli senza poter portarsi
via alcunché.
Non ho invece avuto paura lo scorso
ottobre quando, entrando in casa dopo
la messa domenicale, mi sono trova-
to un pistolone puntato con l’ordine
di starmene zitto. Prendendo per un
braccio uno dei due giovanotti: “Vuoi
dei soldi? Vieni ti do tutto”. Ho aper-
to l’armadio: “Oh, ma hai già preso
tutto! Vieni...”. Ho aperto il cassetto
della scrivania: “Oh, anche qui avete
già preso tutto!”. Avevano già ripulito
perfettamente le nostre stanze.
Chi ti dà la forza
di continuare?
A 76 anni continuo a vivere con gioia
ed entusiamo la mia vocazione sale-
siana, come agli inizi. La vocazione
salesiana è onnicomprensiva: ci dà
il senso di Dio e di lavorare incon-
dizionatamente per il suo Regno,
totalmente liberi; ci dà la gioia della
comunità che ci sostiene in ogni cir-
costanza; ci offre un campo d’azione
stupendo: stare e lavorare con i gio-
vani ed essere vicino alla gente con lo
spirito di don Bosco gratifica immen-
samente. Ci si dona, ci si sacrifica, si
ama e si è ricambiati.
I parrocchiani hanno voluto festeggiare il
compleanno di don Italo con calore ed enormi
manifestazioni di riconoscenza.
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MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
2
1
3
SUDAN DEL SUD 1
GUATEMALA 2
FINO AI CO
L’impegno dei Salesiani “Talita Kumi”: l’educazione delle donne
per la salute della
q’eqchi festeggia 25 anni
popolazione
Sono diversi anni già che i Salesiani operano a Tonj, una
città nella regione del Nord-Ovest del Sud Sudan. La loro
attenzione è concentrata soprattutto sull’offerta di oppor-
tunità educative e di sviluppo sociale ai giovani poveri. A
queste attività, ad ogni modo, i Figli di Don Bosco e la
Famiglia Salesiana associano anche un impegno per la sa-
lute della popolazione, attraverso diversi dispensari medici,
un ospedale e un centro per affetti dal morbo di Hansen.
Il programma per gli affetti dal morbo di Hansen venne
avviato dal compianto don John Lee Tae-Suk, missio-
nario salesiano coreano noto ancora oggi come “il Don
Bosco di Tonj”, strappato alla sua missione, nel 2008, da
un tumore. Alla fine di luglio del 2014 è stato aperto a
Tonj, dopo 4 anni di progetti e lavori, un ospedale, inti-
tolato proprio a don Lee Tae-Suk. Divenuto pienamente
operativo nel 2015, si avvale di diversi medici volontari
provenienti dall’Italia.
“L’assistenza medica è una parte molto importante della
presenza salesiana in tutto il mondo – ha spiegato don
Mark Hyde, della Procura Missionaria Salesiana di
New Rochelle –. I Salesiani si prendono cura dei malati
attraverso oltre 90 strutture sanitarie in più di 130 paesi,
molte delle quali si trovano in aree rurali dove l’accesso
alle cure mediche è limitato”.
“Talita Kumi”, che in aramaico significa “Fanciulla, io ti
dico, alzati!”, è una fondazione creata per la promozione
e la formazione delle donne del gruppo etnico q’eqchi,
per lungo tempo vittima di discriminazione. L’energico
comando rivolto da Gesù alla ragazza morta si è tra-
sformato a San Pedro Carchá, a 200 km a Nord della
Capitale del paese, in una realtà che ora festeggia 25 anni
di servizio.
Fu il missionario salesiano don Jorge Puthenpura che
diede origine a questa organizzazione. Venticinque anni
dopo, una solida congregazione religiosa indigena – le
Suore della Risurrezione – è diventata l’anima di un
progetto gigantesco di promozione delle donne q’eqchi,
con quattro grandi internati educativi, animazione
pastorale in molte comunità rurali, una recente struttura
universitaria e la congregazione religiosa che cresce nelle
vocazioni.
Francisca, un’allieva di “Talita Kumi”, ricorda: “Prima
di arrivare a Talita Kumi, avevo sentito dire che per noi
non c’era alcuna possibilità di un futuro migliore e che
imparare a leggere e scrivere era una opportunità solo per
gli uomini; qui, al contrario, sto imparando tutto, sono
molto felice di aver scoperto che anche noi donne abbia-
mo questa possibilità, che per me si chiama Talita Kumi”.
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Maggio 2017

2.7 Page 17

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ZAMBIA 3
AUSTRALIA 4
Donne per le donne: la missione e
La Pastorale con
4
i progetti delle Figlie di Maria Ausiliatrice gli immigrati cattolici birmani
a Luwingu
ad Adelaide
Localizzata nel nord dello Zambia, Luwingu è una
piccolissima cittadina che – a causa di una rete stradale
quasi inesistente – fino a pochi anni fa era isolata dal
resto del paese ed è pertanto economicamente arretrata.
Ma nel 1984 a Luwingu sono arrivate le Figlie di Maria
Ausiliatrice ( ).
Impegnate prima di tutto nell’oratorio e nell’alfabetiz-
zazione, le suore hanno dapprima dato vita alla “Don
Bosco Primary School”: nata sotto gli alberi e in un
garage, oggi con oltre 600 alunni ed è la migliore scuola
del distretto.
Le suore hanno poi provato ad avviare una scuola pro-
fessionale di taglio e cucito, ma la realtà locale, con la
popolazione dispersa in piccolissimi agglomerati lungo le
strade, ha reso necessario trasformare il progetto iniziale
(un centro educativo stabile) in un’opera “itinerante” per
le giovani donne. Le suore raggiungono le giovani nei
loro stessi centri. Attualmente ci sono quasi 30 gruppi
sparsi in tutto il territorio, con circa 500 giovani donne
coinvolte.
Recentemente, inoltre, la comunità delle ha av-
viato il progetto della “Valponasca Learning Farm” una
fattoria didattica che offre formazione professionale nel
settore agricolo, volto ad incidere in maniera sostanziale
sul contesto produttivo locale.
Adelaide è la capitale dello Stato dell’Australia Meridio-
nale, dove il costo degli alloggi è relativamente basso e
accessibile per i migranti e rifugiati che vi giungono da
diversi paesi, tra cui il Myanmar. I Salesiani, pur senza
una presenza fissa nella città, s’impegnano ad animare
la vita pastorale e a sostenere come possibile le comunità
immigrate.
Per curare la vita spirituale dei cattolici birmani ad
Adelaide, il sacerdote salesiano don Will Matthews, da
Melbourne, si è preso l’impegno di fare da “parroco” dei
fedeli birmani.
Oltre alle celebrazioni, don Mattews visita le famiglie,
provvede alla benedizione delle case e offre spunti di
riflessione spirituale.
I Salesiani dell’Australia provengono da diversi paesi e
molti di loro – consapevoli delle difficoltà materiali e
spirituali di chi emigra – se possibile cercano di prendersi
cura dei fedeli dei loro paesi di origine. Don Matthews,
nato e cresciuto in Myanmar, si occupa di animare e cu-
rare la vita spirituale dei cattolici birmani a Melbourne,
Adelaide e Wagga Wagga, in Australia; e anche ad
Auckland, Wellington e Nelson, in Nuova Zelanda.
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2.8 Page 18

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A TU PER TU
MARISA PATARINO
Il sorriso di
monsignor Stefan
Monsignor Stefan Oster,
salesiano, è vescovo di
Passau, in Germania.
«Ho sempre amato
i giovani e spesso
trascorrevo tempo
insieme a loro. Quando
ho incontrato don Bosco,
mi è sorta dal profondo
un’intuizione: questo è il
mio posto. È stata anche
una bella coincidenza il
fatto che pure io fossi un
prestigiatore-clown»
Com’è nata
la sua vocazione?
Durante l’infanzia e la giovinezza ho
frequentato l’ambiente della Chiesa e
in particolare mi sono impegnato in
un gruppo di ministranti, coordinato
da validissimi sacerdoti. Vi ho anche
trovato ottimi amici. Questo è sta-
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2.9 Page 19

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Monsignor Stefan Oster ha una grande cultura
filosofica e teologica e una enorme carica di
simpatia e di comunicatività.
A destra: Come Giovannino Bosco.
to un importante punto di partenza.
Sono poi diventato giornalista e per
un certo periodo di tempo sono stato
lontano dalla Chiesa o con posizioni
critiche. Mi sono però sempre posto
serie domande sul senso della vita,
l’amore, la verità, la libertà, il dialo-
go ecc. E poiché tutti questi interro-
gativi non mi lasciavano tranquillo,
ho iniziato a studiare filosofia. Ho
incontrato un docente che è diventa-
to molto importante per me: era un
cristiano, anche se me ne sono reso
conto solo più tardi; si trattava di un
uomo molto profondo. Elaborando il
mio pensiero e compiendo un percor-
so con lui ho incontrato nuovamente
Cristo. E ho capito: qui c’è la fonte
di ogni verità, libertà e amore. Voglio
vivere per lui. Per chi altri?
Che cosa ha pensato
la sua famiglia?
I miei famigliari, soprattutto mia
madre, hanno avuto difficoltà ad
affrontare la mia decisione di diven-
tare religioso e poi sacerdote. I miei
genitori, però, hanno avuto fiducia in
me. Nella mia vita ho sempre voluto
compiere con tutto il cuore le attività
che ho intrapreso. Anche in passato
avevo imboccato strade che nell’im-
mediato i miei genitori non avevano
capito, ma che in seguito hanno com-
preso, com’è accaduto in merito alla
mia decisione di studiare filosofia o
all’attività di clown. I miei genitori,
dunque, sapevano già che mi sarei
impegnato seriamente nel cammino
di vita religiosa e mi lasciarono an-
dare, anche se con riluttanza. Hanno
presto compreso che con don Bosco
mi trovavo al posto giusto e oggi sono
felici per la strada che ho intrapreso.
Sono anche diventati buoni amici di
alcuni Salesiani.
Perché ha scelto
di diventare salesiano?
Già quando ero adolescente e giovane
adulto pensavo: «Aiutare i bambini
e i giovani a diventare pienamente
adulti, buoni adulti e credenti è uno
tra i compiti più importanti e nobili.
Ho dunque sempre amato i giovani
e spesso trascorrevo tempo insieme
a loro. Quando ho incontrato don
Bosco, nel corso della mia ricerca,
improvvisamente mi è sorta dal pro-
fondo un’intuizione: questo è il mio
posto. È stata anche una bella coin-
cidenza il fatto che pure io fossi un
prestigiatore-clown e che con questa
attività finanziassi addirittura in par-
te i miei studi di filosofia. Uno fra i
primi aspetti della vita di don Bosco
che ho appreso è stato che anche lui
era un giocoliere ed eseguiva giochi di
prestigio di fronte ai ragazzi.
Quali sono state le sue
esperienze salesiane?
Potrei già raccontarne molte, ma una
fra le esperienze più belle e profon-
de, di cui si comprende il significato
in termini di frutti a livello spiritua-
le, è proprio la paternità spirituale.
Ciò accade quando si ha la possibili-
tà di aiutare i giovani ad avvicinarsi
più profondamente a Cristo, quando
comprendono che la via indicata da
don Bosco è buona e giusta e accolgo-
no il suggerimento. È un’esperienza
appagante. Nello stesso tempo, na-
turalmente ho ricevuto per primo il
dono di incontrare presso don Bosco
e i suoi fratelli la sua “casa” intellet-
tuale e spirituale, comprendendo in
profondità che cosa sia la Chiesa e
molto altro.
Come ha imparato a fare
giochi di magia?
Non sono un mago, ma un clown che
proponendo giochi intendeva raccon-
tare storie divertenti o più profonde.
Ho imparato da ragazzo: mi è sem-
pre piaciuto vedere i comici e ancora
prima amavo raccontare barzellette.
Quando avevo qualche anno in più,
avrei voluto viaggiare, ma non avevo
mai denaro. Così pensai: devo esco-
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2.10 Page 20

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A TU PER TU
PASSAU, LA CITTÀ DEI TRE FIUMI
gitare un’attività che mi permetta di
guadagnare qualcosa strada facendo.
Ho così iniziato a fare il giocoliere e a
raccontare storie.
Quanto di salesiano porta
nel suo essere vescovo?
Nella mia diocesi cerco di parlare
molto di don Bosco e di celebrare re-
golarmente in sedi sempre diverse la
festa del Santo dei giovani. Qui, nel-
la diocesi di Passau, don Bosco non
era ancora molto conosciuto. Inoltre,
ogni due domeniche incontro tra i 40
e i 70 giovani per pregare insieme a
loro e parlare della fede. Ho avviato
l’iniziativa della condivisione di que-
ste sere per stare vicino ai giovani,
ma anche per aiutarli ad approfondire
seriamente i temi della fede. Inoltre,
la Conferenza Episcopale tedesca mi
ha eletto Vescovo della gioventù della
Germania, cioè Presidente della no-
Passau (Passavia), la città in cui ha sede la diocesi presieduta dal vescovo monsignor Ste-
fan Oster, si trova in Baviera, al confine orientale con l’Austria. Sorge alla confluenza di tre
fiumi provenienti da tre diversi punti cardinali: l’Inn da sud, il Danubio da ovest e l’Ilz da nord.
Insieme, i fiumi proseguono in una nuova direzione.
Alcuni reperti archeologici dimostrano che la città era già abitata nel 5000 a.C. Oggi conta
più di 50 000 abitanti ed è un importante centro turistico, legato in particolare ai vaporetti
che percorrono i tre fiumi, ma anche a una ricca proposta culturale, che offre spettacoli
teatrali, opere e concerti musicali, in particolare d’organo.
Il cuore della città è il monumentale Duomo di Santo Stefano, progettato dall’italiano Carlo
Lurago, con il pregevole interno in stile barocco e i due campanili gemelli.
L’organo del Duomo, a 17 774 canne, è il più grande d’Europa e uno tra i più imponenti del mondo.
Sulle colline che sovrastano la città si trovano il santuario secentesco di Mariahilf e la for-
tezza Veste Oberhaus, edificata nel 1219 dal principe-vescovo di Passau per controllare i
commerci fluviali.
stra Commissione Giovani. Sicura-
mente don Bosco ci ha messo “una
buona parola”.
Che cosa significa essere
pastore e vescovo in un
momento come questo?
Per la prima volta in Europa viviamo
in un’epoca in cui il credente deve
giustificare la sua fede, mentre il non
credente non deve motivare la man-
canza di fede. La domanda a cui i
cristiani di oggi devono però cercare
di rispondere è: possiamo giustificar-
ci, sappiamo dare risposte adeguate al
tempo per diventare interiormente più
equilibrati, più giusti, costruttori di
pace e con una fede più salda insieme
a Cristo? Credo che la sfida più gran-
de sia quella di mostrare che la fede è
importante, che risponde davvero alla
domanda di salvezza e che c’è anche
la possibilità di perdersi. Dove questa
domanda non può più essere comu-
nicata, la fede sarà automaticamente
superficiale, riducendosi a etica o alla
ricerca di benessere. Se però sono in
questione solo l’etica o il benessere, i
giovani si domandano che cosa pos-
sano trovare presso la Chiesa. Non
comprendono che cosa si celebri e la
Chiesa non ha un’ottima reputazione;
i giovani preferiscono allora cercare
un orientamento altrove? La doman-
da è dunque: Come possiamo aiutare
le persone a trovare la fede che sento-
no davvero, che riguarda veramente la
nostra vita?
20
Maggio 2017
«Credo che la sfida più grande sia quella di
dimostrare che la fede è importante, che risponde
davvero alla domanda di salvezza che c’è
nell’aria».

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Maggio 2017
21

3.2 Page 22

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CONOSCERE LA FAMIGLIA SALESIANA
GUIDO PEDRONI
La comunità della missione
di don Bosco ad Haiti Dopo aver inviato quattro spedizioni ad Haiti a causa
del terremoto abbiamo pensato che poteva essere
utile per i ragazzi delle zone rurali più settentrionali
un centro educativo, dove i ragazzi e le ragazze più
in difficoltà potessero essere accolti per studiare,
e da don Adriano Bregolin suo vica-
rio, ad essere presente già pochissi-
mo tempo dopo l’evento sismico. In
quell’anno sono state programmate
dalla Comunità quattro spedi-
giocare, condividere, pregare insieme e partecipare
a momenti di catechesi.
zioni verso l’isola Hispanola: due ita-
liane, una italo-argentina, ed una dal
Madagascar, da luglio fino alla fine
di novembre, in aiuto dei salesiani al
L’isola Hispanola, nel Mar
dei Caraibi, è divisa in due
dalla linea di confine tra la
Repubblica Dominicana e
Haiti; non è solo un confine
politico, sembra proprio un
nord dell’isola (Cap-Haïtien e Fort
Liberté). Dopo aver inviato quattro
spedizioni in Haiti a causa del ter-
remoto abbiamo pensato che poteva
essere utile per i ragazzi delle zone
rurali più settentrionali un centro
limite tra due mondi diversi tra loro. educativo, dove i ragazzi e le ragaz-
Haiti è una terra ricca di storia, so- ze più in difficoltà potessero essere
prattutto una storia di fatiche e di do- accolti per studiare, giocare, condivi-
lori, ma anche di orgoglioso spirito di dere, pregare insieme e partecipare a
appartenenza della gente alla propria momenti di catechesi.
storia. È accaduto che la storia umana Il centro, che è stato impostato da
e le vicende naturali hanno impresso Renata di Albano Laziale (Roma) nei
segni profondi di grandi sofferenze, due anni di permanenza nell’isola, è
come nel terremoto del gennaio 2010. ora gestito dal gruppo di Fort
In questa terra la Comunità della Liberté. Renata ha impostato il cen-
Missione di don Bosco ( ), 28° tro e ha coinvolto in un cammino di
gruppo della Famiglia Salesiana (vedi formazione cristiana, salesiana e più
Bollettino Salesiano del marzo 2016), è specificamente secondo l’identità spe-
stata invitata da don Pascual Chavez cifica della Comunità alcuni giovani
Villanueva, allora Rettor Maggiore, di questa cittadina. La nostra presen-
22
Maggio 2017

3.3 Page 23

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za in Haiti deve essere intesa proprio
come una presenza di comunione con
la Comunità Salesiana locale e con
l’Ispettoria, quindi lo stesso progetto
nasce da una condivisione di pensiero
e di obiettivi educativi comuni.
Nel nome
di don Elia Comini
Recentemente abbiamo pensato di
intitolare il progetto di Fort Liber-
té al servo di Dio don Elia Comini,
un’intuizione scaturita grazie alla
sensibilità della signora Maria Ele-
na di Bologna benefattrice di questa
specifica opera educativa. Don Elia
era un sacerdote salesiano nato a
Calvenzano (Appennino bolognese)
che ha accolto il martirio a Pioppe di
Salvaro (Bologna) nel 1944, durante
la seconda guerra mondiale, condivi-
dendo la morte con padre Cappelli,
dehoniano, decidendo entrambi di
rimanere con la gente che sarebbe
stata uccisa dalla rappresaglia nazista.
Don Elia, con eroico coraggio e gran-
de carità pastorale, rifiutò la libertà
che gli venne proposta
scegliendo di stare ac-
canto alle 69 persone
catturate dalle . Alla
fine nel momento più
alto disse: “O ci libe-
rano tutti o nessuno”.
Prima della fucilazione
don Elia e padre Cap-
pelli si confessarono a
vicenda come fecero in
Cina monsignor Versi-
glia e don Caravario.
Poi don Elia diede ad
alta voce l’assoluzione per tutti, a cui
fece seguito il segno della croce.
Per la è importante questa rela-
zione con don Elia anche perché nella
valle che lo ha visto nascere, la nostra
Comunità ha un oratorio affidato da
don Gianluca, parroco diocesano lo-
cale, animato pastoralmente in stile
salesiano; possiamo proprio dire che
c’è un “ponte spiritua-
le” che lega l’oratorio
dell’Appennino con il
centro di Fort Liber-
té. I ragazzini che fre-
quentano il centro in
Haiti, una trentina tra
maschi e femmine, ap-
partengono a famiglie
in difficoltà sociale e
hanno bisogno di un
cammino di sostegno
nello studio, di gioca-
re insieme, di riflette-
La Comunità della Missione
(CMB) è il 28° gruppo
della Famiglia Salesiana
ed è molto attiva in Italia
e all’estero. I ragazzi che
frequentano il centro
di Fort Liberté ad Haiti
appartengono tutti a famiglie
molto disagiate.
Nella foto piccola sotto: Il
ritratto del salesiano don
Elia Comini, martirizzato
durante la seconda guerra
mondiale, a cui il centro è
dedicato.
re sul senso della vita e sulla bellezza
dell’essere insieme, sulla grande op-
portunità di essere aiutati nella cresci-
ta come persone e come cristiani, e gli
educatori della haitiana stanno
loro accanto per questo, cercando an-
che di coinvolgere le loro famiglie.
Maggio 2017
23

3.4 Page 24

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LE CASE DI DON BOSCO
LA COMUNITÀ
Salesiani a Brescia
una storia di fede, coraggio e grandi intuizioni
Un’opera magnifica e multiforme, ricca delle
migliori espressioni del carisma salesiano:
parrocchia, oratorio, scuole all’avanguardia
e un clima di famiglia fatto di accoglienza,
competenza e simpatia
Immagini
dell’opera
salesiana di
Brescia. Una casa
accogliente e ben
organizzata per i
ragazzi e i giovani
della città.
L a storia dei Salesiani a Brescia comincia
il 21 novembre 1925. Appena giungono
a Brescia, gli eredi spirituali di san Gio-
vanni Bosco diventano subito protagoni-
sti della vita cittadina. I primi pionieri
sono don Deodato Giacometti e don
Enrico Casadio, chiamati dalla famiglia Folo-
nari e dal Vescovo di Brescia. L’unico posto di-
sponibile a ospitarli è a Santa Maria in Silva,
in dialetto la «Madonna dei custù»: da subito i
sacerdoti hanno le idee chiare, sanno che devono
costruire un oratorio e una scuola e si mettono
subito al lavoro. In poco più di un anno sorge il
palazzo che ospiterà una chiesetta, le sale per
la catechesi e il teatro. E poi un grande cortile,
una piccola scuola grafica, una falegnameria e
iniziano anche i lavori della grande chiesa at-
tuale. La guerra e la miseria fermano però tutto:
la chiesa diventa una rimessa per i camion e un
deposito di sabbia. Dopo il conflitto mondiale si
ricomincia, si lascia perdere la falegnameria e la
grafica, ma si completa la chiesa, tanto che per
il Giubileo del ’50 viene consacrata; la Brescia
salesiana per il momento è tutta attorno all’ora-
torio e alla parrocchia.
Gli anni ’60 iniziano con don Sangalli che vuol
portare a termine il compito originario dei Sale-
siani in città: iniziano così i corsi di formazione
professionale e quasi contemporaneamente l’Iti
per l’elettronica. I ragazzi vengono da tutt’Italia:
fin dalla Sicilia, ma tanti dal Veneto e dal Pie-
monte. Certamente la Lombardia fa il pieno e
ancor più Brescia con le sue valli.
24
Maggio 2017

3.5 Page 25

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Negli anni la scuola cresce, la proposta forma-
tiva e didattica si amplia sempre più, con corsi
d’informatica, meccanica ed elettronica, di auto-
mazione industriale, di disegno al computer, di
informatica (negli anni 1985-90). In questi anni
poi la chiesa cambia titolazione: da san Paolo si
passa a don Bosco. Ormai gli abitanti del quar-
tiere sono circondati dal sacerdote piemontese:
la chiesa, la scuola, la via, il quartiere. Non se
lo lasciano scappare più. E si giunge infine ai
nostri anni, con la nuova costruzione dell’ora-
torio, perché quello precedente era ritenuto in-
sufficiente.
Contemporaneamente parte la ristrutturazione
del palazzo della scuola, mentre inizia la scuola
media nell’entusiasmo generale. Apre infine, l’ul-
timo nato in casa don Bosco, il Liceo scientifico,
pensato per venire incontro alle esigenze della ri-
forma scolastica.
E il lavoro della piccola comunità salesiana è
sempre lo stesso, sempre importante per la vita
di tanti ragazzi bresciani: l’animazione pastorale
del quartiere soprattutto attraverso l’oratorio che
diviene centro di riferimento della gioventù della
zona, coinvolta in molteplici iniziative ricreative
e formative. Non vengono dimenticate però le
giovani ragazze di Brescia: a prendersi cura della
gioventù femminile arrivano, alla domenica, le
suore salesiane di Maria Ausiliatrice.
La Scuola media: formazione per
affrontare le sfide del tempo
La Scuola media salesiana di Brescia è l’esempio
di come una «vera scuola cattolica salesiana» deb-
ba funzionare. Una scuola che offre una formazio-
ne culturale adeguata alle esigenze della società.
Un’educazione umana integrale: aiuta infatti l’a-
lunno a esprimere le proprie doti, a incamminarsi
verso un equilibrio psico-affettivo, a coltivare le
proprie potenzialità per realizzare integralmente
la propria vocazione che è condizione indispen-
sabile per la realizzazione di sé.
Centro di formazione professionale:
il lavoro è a portata di mano
Il Centro di formazione professionale risponde a
tutte le domande che possono affiorare nelle va-
rie tappe del lavoro formativo. Gli strumenti che
utilizza sono l’orientamento educativo e vocazio-
nale, la formazione iniziale, l’apprendistato, la
formazione superiore, la formazione continua, la
formazione per soggetti in difficoltà, i servizi di
orientamento.
L’Istituto tecnico tecnologico:
un’alleanza con il mondo produttivo
L’Istituto tecnico tecnologico si può considerare
uno dei fiori all’occhiello dei Salesiani a Brescia.
Una scuola che prepara al mondo del lavoro, di cui
sono testimonianza i dati che dimostrano come i
diplomati trovino facilmente un impiego dopo il
percorso di studi, che si è evoluto durante gli anni,
restando sempre al passo con i tempi. Attraverso
il riordino dell’istruzione tecnica, i nuovi Istituti
sono stati chiamati a intercettare l’evoluzione del
fabbisogno di competenze che emerge dalle ri-
chieste del mondo del lavoro e a offrire una rispo-
sta alle nuove necessità occupazionali. L’impianto
del nuovo ordinamento, in particolare del secondo
biennio e del quinto anno, riducendo il numero
di settori e indirizzi di studio, ha riorganizzato
i livelli di specializzazione per rispondere all’e-
voluzione sempre più rapida delle professionalità
Ogni mattina,
centinaia di giovani
popolano aule e
laboratori. Sono
sicuri di trovare
qui un vero e
appassionato aiuto
per prepararsi alla
vita futura.
Maggio 2017
25

3.6 Page 26

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LE CASE DI DON BOSCO
La scuola
salesiana di
Brescia ha
inteso stabilire
un’alleanza
formativa stabile
con il sistema
produttivo, il
mondo del lavoro e
delle professioni,
facilitando lo
scambio di
informazioni e
l’aggiornamento
continuo.
richieste e, nel contempo, ha inteso stabilire un’al-
leanza formativa stabile con il sistema produttivo,
il mondo del lavoro e delle professioni, facilitando
lo scambio di informazioni e l’aggiornamento con-
tinuo sui fabbisogni formativi delle aziende e sulla
spendibilità dei titoli di studio.
L’indirizzo Elettronica ed Elettrotecnica è parti-
colarmente importante all’interno dell’Istituto
Salesiano: propone una formazione polivalente
che unisce i principi, le tecnologie e le pratiche di
tutti i sistemi elettrici, rivolti sia alla produzione,
alla distribuzione e all’utilizzazione dell’energia
elettrica, sia alla generazione, alla trasmissione e
all’elaborazione di segnali analogici e digitali, sia
alla creazione di sistemi automatici.
La Parrocchia: rifugio sicuro e punto
di riferimento per la città
Punto di riferimento, rifugio sicuro, luogo di ri-
trovo. Tutto questo per il quartiere, ma non solo,
rappresenta la Parrocchia salesiana di San Gio-
vanni Bosco che, fedele ai suoi principi, accoglie e
aiuta tutti coloro che si trovano in difficoltà. Ita-
liani e stranieri, soprattutto giovani; ragazzi che
si recano agli uffici dove Caritas e San Vincenzo
distribuiscono cibo e vestiti. È una lunga storia
di condivisione: parrocchia e quartiere negli anni
sono cresciuti insieme.
Siamo in una zona di periferia, i problemi sono
molti, l’attenzione è focalizzata sui giovani, sui
bisognosi. Ci sono la Caritas, che tre volte a setti-
mana distribuisce cibo e vestiti; la San Vincenzo,
che visita le famiglie in difficoltà offrendo aiuti
materiali ed assistenza educativa e poi il Centro
ascolto. E sono tanti i parrocchiani che collabo-
rano portando cibo e alimenti.
Il fulcro di tutta la vita della comunità è ovvia-
mente l’oratorio, con il suo impegno per la ca-
techesi senza dimenticare ovviamente l’attività
ludica e ricreativa. Qui gioca la società di calcio
Bettinzoli, storica formazione fondata addirittura
nel 1947.
Accoglienza è la parola d’ordine: all’interno
dell’oratorio, della parrocchia e a scuola si matu-
rano un’autentica scelta e uno stile di vita ispirati
al Sistema Preventivo di don Bosco, secondo il
quale il giovane viene aiutato non solo a evitare
esperienze negative, ma è reso capace di preve-
nire gli effetti dell’emarginazione e della povertà
materiale e morale, divenendo così soggetto at-
tivo della propria maturazione e di quella degli
altri.
26
Maggio 2017

3.7 Page 27

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Maggio 2017
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3.8 Page 28

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FMA
EMILIA DI MASSIMO
Tale (Albania) SortanelvillaggiodiTale,
a metà strada tra Scutari
e Tirana, in Albania,
Missionarie di
in un contesto rurale
di grande povertà,
la Casa “Laura Vicuña”
speranza e di gioia èl’ultimaerecente
fondazione delle Figlie
di Maria Ausiliatrice.
Tale, 16 gennaio 2016
«Sono D.B. e vengo da un villaggio del Nord dell’Al-
bania. Quando ero a scuola, ho incontrato un ragazzo e
sono rimasta incinta. Lui non ha accettato il bambino.
Ho vissuto a Durazzo presso le suore di Madre Teresa e
lì è nato il bambino. Dopo la nascita l’ho lasciato per un
anno nella Casa dei Bambini a Tirana ed in seguito l’ho
ripreso. Due o tre mesi fa sono andata in Suedi (Svezia)
per una vita migliore per me e per il bambino ma non
ci hanno permesso di rimanere. Dopo il mio ritorno in
Albania mi hanno suggerito di venire al Centro “Laura
Vikunja”. Mi sento molto bene qui, perché le condizioni
sono molto buone e le suore sono molto amorevoli e hanno
molte attenzioni per noi».
Tale, 25 maggio 2016
«Il tempo che ho passato nel Centro “Laura Vikunja”. Mi
ricordo come se fosse oggi quando sono venuta al Centro
“Laura Vikunja”, ero triste e disperata, anche se la mia tri-
stezza non si vedeva all’esterno. Dal momento nel quale
sono entrata dentro casa pensavo che fosse un sogno. Tre
suore mi hanno accolto veramente bene: in me è tornata la
felicità e da quel giorno sono molto felice, per questo voglio
ringraziare in maniera particolare le suore, perché sono ve-
ramente meravigliose, non ci sono altre persone al mondo
come loro. Si sono prese cura di me, le ho sentite come una
benedizione! Ho passato giorni e mesi meravigliosi che non
dimenticherò mai. Questa casa è una casa di sogni, fa ri-
tornare la felicità e la fiducia in se stessi» (M.L.).
La casa dei sogni
Sono soltanto due delle tante affer-
mazioni di riconoscenza che i gio-
vani esprimono per suor Magdalena
Cerovska, slovacca, per suor Ausilia
Principato, italiana e per suor Roza
Syku, albanese. Dove si trova geo-
graficamente la casa dei sogni? Sorta
nel villaggio di Tale, a metà strada
tra Scutari e Tirana, in Albania, in
un contesto rurale di grande povertà.
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Maggio 2017

3.9 Page 29

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Una casa che è diventata il cuore del villaggio
per i bambini, per i giovani e per le numerose
famiglie che continuano ad arrivare e a popolare
il territorio.
Tale è un villaggio di neo formazione,
nato dall’arrivo e dalla sistemazione
abusiva di circa 2500 famiglie cattoli-
che scese dalle montagne, dove la vita
è sempre più difficile e impossibile.
La Casa “Laura Vicuña” è l’ultima
e recente fondazione delle Figlie di
Maria Ausiliatrice, sollecitata dal
contesto di povertà, dalla presenza
di tante giovani famiglie cattoliche,
di tanti bambini e giovani. Inoltre la
zona è sotto la protezione di Maria
Ausiliatrice e il 24 maggio è la festa
più grande del villaggio. La devozio-
ne a Maria Aiuto dei cristiani è nata
nelle montagne del Nord Albania du-
rante l’invasione ottomana. Attraver-
so segni straordinari la Provvidenza
ha tracciato un cammino ed ha crea-
to una rete internazionale di donato-
ri che ha permesso la realizzazione
dell’attuale centro “Laura Vicuña”,
pensato come una “casa” che potesse
diventare il cuore del villaggio per i
bambini, per i giovani, ma anche per
le numerose giovani famiglie che con-
tinuano ad arrivare e a popolare il ter-
ritorio. Il centro comprende una scuo-
la dell’infanzia, corsi di formazione
professionale, le attività del centro
giovanile, l’accoglienza di gruppi
giovanili per incontri di spiritualità
e di formazione, la visita sistematica
alle famiglie, soprattutto quelle più
povere con distribuzione di generi
alimentari e vestiario. Anche nume-
rose adozioni a distanza permettono a
bambini, giovani e famiglie di essere
sostenute e accompagnate.
Ma l’ultima novità è la “Casa della
giovane donna” che gratuitamente
offre ospitalità, in un ambiente sereno
e accogliente, a giovani donne, anche
con bambini, che sono lontane dal
proprio ambiente familiare, o che ne
sono state allontanate, o addirittura
ne sono prive, oppure che sono sta-
te vittime della violenza, della tratta,
della discriminazione.
Missione nella missione
Nel 1946 le suore furono costrette
dalla situazione politica a lasciare il
Paese; rimasero solo due giovani suo-
re albanesi grazie alle quali si è pro-
lungata, nel silenzio e nell’anonimato,
la presenza dell’Istituto in Albania.
Il rientro delle Figlie di Maria Ausi-
liatrice a Scutari è avvenuto nel 1991.
Oggi sono presenti anche a Tirana, a
Tale (Lezhe) e dedicano il loro ser-
vizio a favore dei minori e dei giova-
ni mediante scuole, oratori, convitti,
formazione professionale, evangeliz-
zazione e attività promozionali, inol-
tre curando l’avviamento al lavoro,
la promozione sociale e culturale dei
giovani, in particolare delle giovani
donne. L’Albania ha grandi poten-
zialità ma ancora presenta difficoltà
legate al cambiamento del sistema so-
cioeconomico e ad alcuni limiti della
cultura predominante. Rimane terra
di missione per la situazione di pover-
tà che ancora caratterizza la maggior
parte delle città e dei villaggi.
La comunità di Tirana ha preso a
cuore la missione di Tale iniziando
saltuariamente un lavoro di evange-
lizzazione e promozione sul territorio
in forma “missionaria”: due suore si
recavano ogni fine settimana nel vil-
laggio, che dista circa un’ora da Tira-
na, alloggiando in una semplicissima
struttura. È stata, fin dall’inizio, una
“missione nella missione” che ha per-
messo di tessere relazioni, di andare
incontro alle numerose necessità della
gente sistemata in baracche primitive.
Oggi è storia in atto.
L’ultima novità è la “Casa della giovane donna”
che gratuitamente offre ospitalità, in un ambiente
sereno e accogliente, a giovani donne anche con
bambini.
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3.10 Page 30

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CENTENARIO
B. F.
Il segreto
dei tre
pastorelli
A Fatima cento anni fa
cominciava la più bella storia del secolo.
E rano tre allegri cuginetti: Lu-
cia, dieci anni e i fratellini
Francesco, nove anni, e Gia-
cinta, sette anni. Vivevano
in un villaggio sperduto del
Portogallo, giusto una man-
ciata di campi e casupole, di nome
Fatima, a 125 chilometri dalla capi-
tale Lisbona.
Una serena mattina, il 13 maggio del
1917, i tre cuginetti consumarono la
colazione preparata dalla madre: «Una
scodella di minestra calda di verdure
o di riso, con un po’ d’olio e un pezzo
di pane casereccio». Si misero a tra-
colla il sacchetto della merenda per
il pasto di mezzogiorno e aprirono
il recinto delle pecore. Lucia, la più
grande e guida indiscussa del piccolo
gruppo, decise senza esitazione: «An-
diamo alla Cova da Iria!».
Nelle loro scorribande, i tre bambini
avevano già avuto tre incontri speciali
con un angelo che era venuto a visi-
tarli. Non ne avevano parlato a nessu-
no. Ma adesso sapevano una cosa im-
portante: il Cielo non è lontano come
pensa la gente e a Fatima c’era una
porta che comunicava con il Paradiso.
Così erano preparati alla prodigiosa
sorpresa che li attendeva.
Un sentiero tra le stelle
Avevano incominciato a giocare quan-
do, improvvisamente, quello che par-
ve loro un lampo vivissimo li bloccò.
Il cielo era completamente sgombro e
luminoso per l’incomparabile azzurro
del cielo di Fatima. Poco più avanti,
vicino al leccio (una specie di quercia
dall’ampia chioma) che ancora oggi
esiste, un altro lampo, vivido come il
primo, li costrinse a fermarsi. Qualche
passo più avanti, davanti a loro, su un
altro piccolo leccio, c’era «una Signo-
ra, tutta vestita di bianco, più luminosa
del sole, irradiante luce, più luminosa e
intensa di un bicchiere di cristallo, pie-
no di acqua cristallina, attraversato dai
raggi del sole più ardente».
Lucia ci racconta questo grande avve-
nimento, per quanto è possibile farlo
con parole umane: «Eravamo tanto
vicini da trovarci dentro l’alone di
luce che la circondava o che lei irra-
diava, forse, più o meno, a un metro
e mezzo di distanza. Allora Nostra
Signora ci disse: “Non abbiate paura.
Non vi faccio del male”».
Lucia trova il coraggio di chiedere:
“Da dove viene vossignoria?” le chie-
si. “Vengo dal Cielo”. “E cosa vuole
da me vossignoria?” “Sono venuta per
chiedervi di venire qui per sei mesi di
seguito, il giorno 13, a questa stessa
ora. In seguito vi dirò chi sono e cosa
voglio”.
Poi, cominciò a elevarsi con una grande
pace, salendo in direzione dell’Orien-
30
Maggio 2017

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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te, fino a scomparire nell’immensità
dell’orizzonte. La luce che la circon-
dava si andava aprendo un sentiero nel
fitto delle stelle. Francesco vedeva ma
non sentiva e fu, quindi, necessario
raccontargli tutto quello che la Ma-
donna aveva detto.
Scendendo dalla Cova con i loro
greggi, i tre pastorelli si erano pro-
messi a vicenda di non dire nulla a
nessuno, nemmeno ai genitori.
Ma Giacinta, ogni sera, prima d’ad-
dormentarsi, raccontava tutta la sua
giornata alla mamma. Quella sera
cercò di non dir nulla, ma poi «il cuo-
re le sembrava scoppiare» se non di-
ceva tutto, e parlò. La mamma si fece
seria, chiamò Francesco. Disorienta-
to, il fanciullo di nove anni finì per
dir tutto anche lui.
Il giorno 13 giugno, attorno al leccio
c’erano cinquemila persone. Alcuni
erano venuti solo per assistere alla
“buffonata” e prendere in giro «i ton-
toloni adoratori di una quercia». Ma i
tre ragazzini non badavano a nessu-
no. Si inginocchiarono e cominciaro-
no la recita del rosario.
Lucia ricorda: «Mentre
dicevamo il rosario ve-
demmo il riflesso della
solita luce e poi Nostra
Signora sul piccolo
leccio».
I pastorelli furono as-
sediati. «Cosa aveva-
no visto? Che aveva
detto?». I tre bambini
risposero solamente:
«Non possiamo dir-
lo. La Signora non
vuole».
«Il sindaco li ha rapiti
e messi in prigione»
Ora tutto il Portogallo parlava di Fa-
tima e delle sue apparizioni. La stam-
pa anticattolica si scatenò. I giornali
parlavano di preti che volevano ven-
dere acqua miracolosa, di inganni per
spillare quattrini ai creduloni sfrut-
tando poveri bambini ignoranti.
Le autorità ordinarono al sindaco di
Ourém, da cui dipendeva Fatima,
di far smettere quella commedia. Il
giorno 13 agosto, alla Cova da Iria si
erano radunate quasi ventimila per-
sone. Attendevano
l’arrivo dei fanciulli,
ma essi non com-
parirono. Si diffuse
una voce: «II sindaco
li ha rapiti e messi in
prigione».
Ecco il racconto del
padre di Francesco e
di Giacinta: «II mat-
tino del 13 stavo zap-
pando l’orto, quando
vengono a chiamarmi
e mi dicono di tornare a
casa. Vidi mia moglie in un angolo che
mi fa cenno di entrare in casa. Entro e
trovo il sindaco Arturo d’Oliveira.
«Come, lei qui?»
«Voglio assistere al miracolo» mi dice.
«Porterò i ragazzi sul calesse».
Li fa salire con Lucia, e parte in di-
rezione della Cova. Ma al bivio fa
dietro-front e imbocca la strada di
Ourém. Lucia s’accorge dell’inganno:
«Non è per di qua che si va alla Cova!»
grida.
Ma ormai è troppo tardi. Arturo
d’Oliveira li porta alla propria casa e
ve li rinchiude.
Intanto a Cova da Iria, la gente sentì il
tuono e vide una nuvola bianca sul lec-
cio. La Signora era venuta, ma i pasto-
relli erano mancati all’appuntamento.
Arturo d’Oliveira intanto cercava di
costringere i tre ragazzini a confessa-
re di avere inventato tutto. Ma i pic-
coli, inaspettatamente, resistevano.
Li cacciò in prigione con la minaccia
di ucciderli. Soli, al buio, i tre fan-
ciulli piangevano sconsolatamente.
Lucia conserva nei suoi scritti il ricor-
do amaro di quell’episodio: «Il signor
amministratore ci fece ritirare e disse
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CENTENARIO
A pagina precedente: Fotografie dei tre bambini di
Fatima nei giorni delle apparizioni.
A destra: La zona dei lecci nella Cova da Iria.
A pagina seguente: Giacinta presa in braccio da
un soldato per essere “salvata” dalla folla dopo
un’apparizione della Madonna.
a un uomo di preparare un pentolo-
ne con olio bollente». Di fatto li fece
uscire dalla sala e li fece sedere su una
panca. Poco dopo dissero loro, con la
più grande serietà del mondo, che un
pentolone d’olio stava già bollendo e
ognuno di loro vi sarebbe stato getta-
to se non avessero rivelato il segreto.
Comparve una guardia con aria tru-
ce. Quando, poco dopo, l’uomo entrò
di nuovo e disse serio serio che il pen-
tolone era pronto, chiamò Giacinta,
dicendo che sarebbe stata la prima
ad essere bollita. E la bambina uscì
prontamente, senza nemmeno saluta-
re il fratello e la cugina, convinta che
fosse tutto vero.
Speravano che, essendo la più piccola,
si lasciasse intimidire più facilmente.
Si sbagliavano, perché, interrogan-
dola, non riuscirono a farle pronun-
ciare una parola. Dopo averla inter-
rogata, la misero in una stanza che
sembrava far parte della prigione. Nel
frattempo, nell’amministrazione, Lu-
cia e Francesco pensavano che tutto si
stesse svolgendo davvero come aveva-
no detto loro.
Tornò la guardia, annunciando con
serietà che Giacinta era già stata fritta
e afferrò Francesco per un braccio; la-
sciò la cugina in un mare di lacrime.
Lo minacciarono che avrebbe fatto la
fine della sorella se non avesse rivelato
il segreto. Ma anche con lui la minac-
cia non ebbe effetto. Lucia rimase in
attesa, in uno stato d’animo difficile
da immaginare, convinta che i cugini
fossero già morti. Nonostante questo,
non fu possibile strapparle una parola
sul segreto. Quando, qualche minuto
dopo, ritrovò i cugini nella stanza, li
abbracciò con emozione: mai avrebbe
pensato di ritrovarli vivi.
Ognuno di loro si era trovato di fron-
te a un dilemma insuperabile: pos-
siamo definire la loro prova un vero
martirio. In realtà, i tre fanciulli era-
no disposti a dare la vita per rimanere
fedeli alla parola data alla Madonna.
Sconfitto, il sindaco riportò a casa i
tre ragazzini.
La Madonna non aveva dimenticato i
suoi piccoli amici e li andò a trovare il
giorno 19 agosto, verso le quattro del
pomeriggio, nel luogo dove avevano
portato le pecore al pascolo.
«Continuate a recarvi alla Cova da
Iria il giorno 13 – disse loro la Signo-
ra – e continuate a recitare il Rosario
tutti i giorni. Nell’ultimo mese, in
ottobre, farò un miracolo perché tut-
ti credano alle mie apparizioni. Verrà
san Giuseppe col Bambino Gesù per
benedire il mondo».
«Guardate il sole!»
Nel frattempo, la promessa fatta dal-
la Madonna che in ottobre ci sarebbe
stato un miracolo che avrebbe convin-
to tutti della verità delle apparizioni
si diffuse in tutto il Portogallo e creò
un clima di eccitazione. Il mattino
di sabato 13 ottobre 1917, pioveva a
dirotto, ma migliaia di persone cam-
minavano nel fango verso la Cova da
Iria. Molti erano là dalla sera prima.
A mezzogiorno, la Madonna appar-
ve sul leccio per l’ultima volta. Sor-
rise ai suoi tre pastorelli: «Io sono la
Madonna del Rosario. Voglio che si
costruisca qui una cappella in mio
onore. Continuate a recitare il Rosa-
rio tutti i giorni. La guerra sta per fi-
nire, e i soldati torneranno presto alle
loro case. È necessario che i peccatori
si pentano, che chiedano perdono dei
loro peccati».
Poi la Madonna aprì le braccia e co-
minciò ad elevarsi verso Oriente. Lu-
cia tese le mani e gridò: «Se ne va! Se
ne va! Guardate il sole!».
«In quell’attimo, – racconta un te-
stimone – la pioggia cessò, le nubi
si squarciarono e il sole apparve agli
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IL GRANDE SEGRETO
occhi della folla. Assomigliava a una
grande luna d’argento. Incominciò a
girare vorticosamente come una ruota
infuocata, mandando raggi multico-
lori che tingevano di colori diversi il
cielo, gli alberi, la montagna e la stes-
sa moltitudine. Poi, a un tratto, sem-
brò staccarsi dal firmamento come se,
scendendo a zig-zag, stesse per pre-
cipitare sulla terra. Dalla folla si levò
un grido».
Il prodigio era durato dieci minuti.
Al rialzarsi da terra tutti si accorsero
d’avere gli abiti perfettamente asciut-
ti, nonostante tutta la pioggia caduta
sulla Cova.
Quando finirono le apparizioni finì
anche la beata infanzia dei tre bambini.
Nell’apparizione di giugno, la Ma-
donna aveva detto una frase di tono
profetico: «Giacinta e Francesco li
porto via tra poco».
Il “tra poco” arrivò alla fine dell’ot-
tobre 1918. Giacinta e Francesco si
ammalarono. Francesco fu colpito
dall’epidemia influenzale che stava
falcidiando l’Europa. Quando qual-
cuno gli assicurava che sarebbe gua-
rito rispondeva semplicemente: «No».
Volò lassù il 4 aprile 1919.
Tre mesi dopo la morte di Francesco,
Giacinta fu ricoverata nell’ospedale di
Ourem. Quando la mamma si mo-
strava triste a vederla così sofferente,
le diceva: «Non piangere, mamma. Io
vado in Cielo. Pregherò molto per te».
I due fratellini si ritrovarono in Pa-
radiso il primo venerdì di Quaresima
del 1920. Giacinta morì con un sorriso
bellissimo sulle labbra. La vestirono di
bianco e azzurro come aveva desidera-
to: il suo vestito per entrare in Cielo.
Francesco e Giacinta non rivelarono mai il messaggio segreto a nessuno. Ventiquattro anni
dopo, Lucia ne rivelò due parti per ubbidire al Vescovo. Più tardi scrisse anche la terza parte,
definita “Il terzo segreto di Fatima”. Ecco il testo scritto da Lucia: «Terza parte del segreto
rivelato il 13 luglio 1917 nella Cova da Iria-Fatima. Dopo le due parti che già ho esposto,
abbiamo visto al lato sinistro di Nostra Signora un poco più in alto un angelo con una spada
di fuoco nella mano sinistra; scintillando emetteva fiamme che sembrava dovessero incen-
diare il mondo; ma si spegnevano al contatto dello splendore che Nostra Signora emanava
dalla sua mano destra verso di lui. L’Angelo indicando la terra con la mano destra, con voce
forte disse: Penitenza, Penitenza, Penitenza! E vedemmo in una luce immensa che è Dio un
vescovo vestito di bianco “abbiamo avuto il presentimento che fosse il Santo Padre". Vari altri
vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose salivano una montagna ripida, in cima alla quale c’era
una grande croce di tronchi grezzi come se fosse di sughero con la corteccia; il Santo Padre,
prima di arrivarvi, attraversò una grande città mezza in rovina e mezzo tremulo con passo
vacillante, afflitto di dolore e di pena, pregava per le anime dei cadaveri che incontrava nel
suo cammino; giunto alla cima del monte, prostrato in ginocchio ai piedi della grande croce
venne ucciso da un gruppo di soldati che gli spararono vari colpi di arma da fuoco e frecce, e
allo stesso modo morirono gli uni dopo gli altri i vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose e varie
persone secolari, uomini e donne di varie classi e posizioni. Sotto i due bracci della croce
c’erano due angeli ognuno con un innaffiatoio di cristallo nella mano, nei quali raccoglievano
il sangue dei martiri e con esso irrigavano le anime che si avvicinavano a Dio».
Il nocciolo del messaggio di quel giorno incredibile è pieno di speranza: «Alla fine il mio
Cuore Immacolato trionferà!».
Il commento migliore al Messaggio di Fatima lo fece la piccola Giacinta. Durante la sua ultima
malattia la mamma le diceva: «Non ti voglio più bene se non mi dici il segreto». La bambina
rispondeva che non poteva dirlo. «Almeno puoi dire se è buono o cattivo» insisteva la mam-
ma. La piccola rispose: «È buono per chi crede e cattivo per chi non vuole credere in Dio».
L’incaricato dell’agenzia funebre at-
testò: «Mi sembrava di vedere un
angioletto. Accomodata nella bara,
sembrava viva, con le labbra e il viso
rosati, bellissima. Ho visto molti
morti, piccoli e grandi, ma una cosa
così non mi era mai successa. L’odore
gradevole che esalava il corpo non ha
alcuna spiegazione naturale. Nem-
meno il peggiore miscredente poteva
dubitarne. La piccola era morta da tre
giorni e il suo odore era come di un
mazzolino di fiori assortiti».
L’ultimo regalo della Madonna: a
Giacinta piacevano moltissimo i fiori.
Così Lucia restò sola. Il momento più
bello della vita lo visse il 13 maggio
del 2000, quando san Giovanni Pao-
lo II proclamò beati i suoi amati cugi-
netti Francesco e Giacinta.
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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
In principio La mamma è il numero uno
che, messo davanti, dà valore
anche agli zero che altrimenti
resterebbero zero.
c’era la mamma
A ncor oggi la madre resta de-
cisiva per l’apprendimento
della grammatica della vita
per ogni uomo che approda
sul pianeta. Il primo capito-
lo della biografia di ognu-
no potrebbe essere intitolato come lo
scrittore danese Giovanni Joergensen
intitolò il capitolo iniziale della vita
di don Bosco “In principio c’era
la mamma”: la mamma
Margherita.
La mamma è il
numero uno che,
messo davanti, dà
valore anche agli
zero che altrimenti
resterebbero zero.
Tante sono le angolazioni
dalle quali ci si può collocare
per parlare della figura ma-
terna. Tra le tante scegliamo
quella che ci pare la più im-
portante ed urgente. Parlia-
mo della madre in quanto
esperta in amore filiale.
Intanto liberiamoci
dall’idea che l’amore
materno sia una dote naturale, istinti-
va. Ha ragione il noto pediatra Mar-
cello Bernardi a dire a tutto tondo: «I
figli non si amano
perché sono i nostri figli. Si amano
perché si impara ad amarli». «Amare
è un’arte» sosteneva il famoso psica-
nalista tedesco Erich Fromm nel suo
fortunato lavoro L’arte di amare.
Ebbene la madre che va a scuola per
apprendere tale arte impara che vi
sono amori educanti e amori devastanti.
Amori devastanti
Amare non
è strafare.
La madre che conti-
nua a sbucciare l’a-
rancia al figlio che ha
ormai sette-otto anni,
forse pensa che quello
sia un bel gesto d’amore. In
realtà quello è un furto.
Un furto, sì, perché quan-
do i genitori fanno quello
che il figlio è in grado di
fare da solo, gli rubano un
pezzo di vita, gli impedi-
scono di fare un’esperienza
che lo aiuta a crescere, a
maturare.
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BUONI CONSIGLI DAI FIGLI
«Mia mamma dice sempre le bugie. Esempio: la sera quando vado a letto, mi dice. ‘Mi
lavo i denti e poi ti faccio compagnia’ e poi non viene più. Capisco che sia stanca, ma io
preferirei che mi dicesse che non ne ha voglia» (Carla, dieci anni).
«Quando ti recito la lezione, mamma, i tuoi occhi sono sfavillanti, le tue guance si arros-
sano e si vedono in tuoi denti bianchi» (Mattia, nove anni).
«La mamma mi dice sempre che non devo interrompere quando gli altri parlano. Però
quando io vedo alla televisione la ‘Domenica sportiva’ e discuto con papà di sport lei ci
interrompe in continuazione e a me viene il nervoso» (Claudio, undici anni).
«Tu mamma mi piaci molto quando cerchiamo di prendere papà che ci ha fatto qualche
scherzo» (Monica, sei anni).
«A te, mamma, ho una cosa sola da dirti: che gridi troppo» (Gregory, sei anni).
«Io mi arrabbio quando tu mamma mi dici che se nascevo femmina tu mi chiamavi Miche-
la, poi cominci a chiamarmi Michela» (Federico, dieci anni).
Amare non è adorare il figlio.
Mettere il bambino al centro, eleg-
gerlo a capo famiglia, è preparare
un despota domani. Anche qui falso
amore. Errore da cartellino rosso.
Amare non è arrendersi
al figlio.
Ormai tutti si stanno rendendo conto
del fallimento della pedagogia per-
missiva. Un bambino senza regole e
senza norme non avrà la forza per re-
sistere quando il sole picchia forte e la
vita mostra i denti.
glio che piacerebbe a voi. Abbiate rispetto
per quello che il bambino è».
Amare è rinunciare
al possesso del figlio.
In altre parole: amare è disporsi a ta-
gliare, via via sempre più, il cordone
ombelicale. Amare è liberarsi dalla
insidiosa figliolite, malattia tipica del-
le mamme italiane.
Amare è regalare
mille attenzioni.
È accompagnare il bambino a
letto, non mandarlo. È farlo
sentire importante
almeno due
volte al giorno. È ricordarsi sempre
del compleanno e dell’onomastico. È
fargli una sorpresa. È aiutarlo a vo-
lersi bene.
Amare è rendersi amabili.
È questo l’aspetto più simpatico
dell’amore: correggere il carattere for-
se permaloso, attaccabrighe, pessimi-
sta, ondivago e renderlo, per quanto
possibile, vibratile, empatico, solare.
Perché dal sole si im-
para: il sole dà, la luna
prende!
Amori educanti
Amare è accettare il figlio.
Accettarlo fino in fondo anche se non
risponde alle nostre attese. A propo-
sito aveva tutte le ragioni lo psichiatra
austriaco Bruno Bettelheim ad am-
monire: «Non puntate ad avere un fi-
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LA LINEA D’OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
Senza più difese
Nel difficile cammino verso l’adultità,
tanti giovani indossano quotidianamente
un’armatura fatta di orgoglio, autosufficienza,
sicurezza ostentata, nel vano tentativo
di difendersi dai molti “spettri” che popolano
la loro precaria esistenza.
Nell’immaginario dei più piccoli l’età
adulta è spesso associata al raggiungi-
mento di una condizione di stabilità,
autonomia, sicurezza in se stessi, capa-
cità di tenere ben strette le redini della
propria vita per autodeterminarsi e af-
fermare con forza la propria volontà. Soprattut-
to, ai loro occhi di bambini sembra che i grandi
non abbiano paura di nulla, che niente li spaventi
veramente, che siano invincibili e sempre pron-
ti ad agire con decisione e risolutezza. E spesso,
crescendo, si convincono di dover tenere fede a
queste aspettative esigenti, di doversi necessaria-
mente adeguare a uno stereotipo tanto illusorio
quanto duro a morire.
Succede così che, nel difficile cammino verso l’a-
dultità, tanti giovani indossino quotidianamente
un’armatura fatta di orgoglio, autosufficienza, si-
curezza ostentata, nel vano tentativo di difendersi
dai molti “spettri” che popolano la loro precaria
esistenza – fallimenti, incertezze, l’onnipresente
paura del futuro – e, ancor più, di esorcizzare le
loro povertà e debolezze.
Quanta forza servirà
per diventare debole,
per distruggere lo scudo che
mi difende da sempre.
Opera la volontà,
anestesia non ce n'è,
perché amare quasi sempre è
voce del verbo morire...
L'equilibrio servirà,
le scarpe buone, guardo giù.
Ogni cosa sembra più distante,
voce del verbo cambiare.
Camminare senza fretta,
fare soltanto quello che spaventa,
lasciarsi vivere, perché è bellezza...
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Per quanto ci sforziamo di erigere intorno a noi
barriere sempre più alte e invalicabili, di trin-
cerarci dietro scudi e corazze impenetrabili ai
colpi bassi della vita, il nemico più grande è, in-
fatti, proprio dentro di noi. È quella irreversibile
e strutturale fragilità che attraversa l’umanità
di ciascuno e che ci lascia inermi di fronte alla
morte, al dolore, alle tempeste impreviste dell’e-
sistenza. È quell’inquietudine profonda, cui
facciamo fatica a dare un nome, che, come un
tarlo silenzioso ma insistente, divora tutto quello
che di bello e fecondo riusciamo a costruire. È
quella paura di cambiare che ci irrigidisce in una
innaturale staticità, imbriglia e osteggia ogni di-
namismo, fiacca il pensiero creativo, smorza sul
nascere ogni slancio vitale e ogni tensione verso
il nuovo.
Riconoscere a cuore aperto questa condizione,
accettarla come un fatto “normale” è un’impresa
tutt’altro che semplice. Talvolta è molto più faci-
le scavare fossati verso l’esterno che buttare giù i
muri dentro di sé! Ma se non si è disposti a in-
traprendere questo cammino in salita, il rischio
Se sei importante
vieni da me.
Se non sai cosa dire,
tu non dire niente,
saprai cosa fare.
Puoi fidarti di me.
Ti ho dato un pezzo di cuore,
ma stai attenta perché
era l'ultimo che avevo per me,
avevo per me,
avevo per me...
(Ermal Meta, Voce del verbo, 2017)
è quello di ritrovarsi da soli a combattere questa
battaglia.
La vera forza, quella che contraddistingue chi
può dirsi davvero “adulto”, non sta, infatti,
nell’infallibilità e nella presunzione di bastare
a se stessi. Essa risiede, piuttosto, nella capaci-
tà di mettersi in discussione, di lasciar cadere
ogni difesa per svelarsi agli altri in tutta la pro-
pria autenticità, di dare fiducia a chi si ama, pur
sapendo che l’amore è sempre una scommessa
dall’esito incerto che ci mette a nudo con tutte le
nostre paure e fragilità.
È la condivisione, il riconoscersi tutti egualmente
fallibili e vulnerabili, ciò che ci permette di fron-
teggiare con maggior coraggio e leggerezza le dif-
ficoltà della vita e i piccoli o grandi problemi che
costellano la nostra quotidianità, senza il bisogno
di dimostrare in ogni momento di saper essere
all’altezza della situazione. In tal senso, le debo-
lezze e le paure che ci portiamo dentro possono
diventare un ponte gettato verso gli altri, uno sti-
molo alla solidarietà, un salutare promemoria che
ci sollecita a riconoscere anche a chi ci sta accan-
to il diritto alla fallibilità. Ma soprattutto, nella
misura in cui ridimensionano la nostra pretesa
di perfezione e autosufficienza, possono aiutarci
a riconciliarci con la nostra intrinseca fragilità e
a trasfigurarla in una più matura consapevolezza
della nostra umanità.
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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
“Non si può più
Nel terribile mese
di dicembre 1881, il
durissimo confronto fra
don Bosco e l’arcivescovo
di Torino monsignor
Gastaldi, che si trascinava
da anni, raggiunse il suo
culmine, stando almeno
alla nutrita corrispondenza
con la Santa Sede che
abbiamo rintracciato.
A provarlo bastino due
sole lettere di don Bosco
a papa Leone XIII nel
dicembre 1881.
tirare avanti”
La vexata questione
rosminiana
Ad inizio mese, a fronte delle accuse
gastaldiane di complicità di don Bo-
sco e dei salesiani nella pubblicazione
di alcuni libretti ostili all’arcivescovo
per via del suo appoggio alle teorie
rosminiane, don Bosco scrisse al Papa
per respingerle decisamente. Ammise
solo di non aver accolto la richiesta del
Gastaldi di condannare i testi in que-
stione, in quanto aveva saputo – lui
non li aveva neppure sfogliati – che
erano “conformi alla dottrina cattoli-
ca e ad opinioni” del Papa. Comunque
era sempre “pronto a condannare e di-
sapprovare qualunque cosa contenuta
in quei libri, giudicata condannabile o
disapprovevole dalla Santa Sede”.
La rovente e dibattuta “questione ro-
sminiana” cui don Bosco ed i salesiani
dell’epoca non furono mai interessati,
acuì così la già esistente tensione con
monsignor Gastaldi, che approfittò
di un suo viaggio a Roma in occa-
sione dell’Immacolata per difendere
le proprie posizioni, soprattutto nel
processo da lui intentato contro don
Bonetti, direttore del Bollettino Sa-
lesiano, che aveva espresso opinioni
assai sgradite all’arcivescovo e che era
in corso presso il “Supremo tribunale
della Santa Sede”.
Due precise richieste
di intervento papale
Don Bosco allora il 22 dicembre si
sfogò con il Papa: “Contro la comune
aspettazione continuano i disturbi e la
perdita di tempo così prezioso, e la no-
stra condizione minaccia di farsi ancora
più intollerabile”. A suo dire i salesiani,
che si vedevano “aumentare ogni gior-
no il lavoro tra mano per opporsi con
qualche buon esito al male”, avevano
“bisogno di essere lasciati in pace, e di
essere aiutati, o almeno di non essere
incagliati nell’operare il bene”. In caso
contrario “non si può più tirare innan-
zi”. La misura era ormai colma.
Per cercare di venirne a capo, “umil-
mente ma pur caldamente” don Bo-
sco implorò dal pontefice indicazioni
di comportamento nella questione
rosminiana: ”Parlate e noi Vi ascol-
teremo. Non solo ci atterremo ai Vo-
stri comandi, ma ai Vostri desiderii;
non solo Vi seguiremo come Dottore
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4.9 Page 39

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Universale, ma eziandio come Dotto-
re privato; saremo devoti alla vostra
augusta Persona non solamente noi
Salesiani, ma ci adopreremo ad ispi-
rare, nutrire e crescere nei medesimi
sentimenti gli 80 000 e più giovanetti,
che la Divina Provvidenza tiene oggi
raccolti nelle nostre case nell’Europa
e nell’America”.
Come si sa, don Bosco per principio si
atteneva alle indicazioni pontificie, si
schierava sempre dalla parte del Papa,
ma ciò non gli impedì di rendersi con-
to che nei confronti dei salesiani papa
Leone XIII era ben altro rispetto a
papa Pio IX. In effetti “l’attuale pon-
tefice ci vuol bene e noi siamo tutti
pronti a dare la vita per lui. Ma finora
non abbiamo ancora udito il suo nome
né in lettere né in favori concessi. Anzi
a suo nome ce ne tolsero quattro”, si
era lamentato don Bosco a fine no-
vembre con l’arcivescovo di Messina
monsignor Giuseppe Guarino.
Ma neppure l’autorevole monsignore
riuscì a trattenere don Bosco dallo
sferrare un duro “attacco” all’arcive-
scovo di Torino: “Deh! Beatissimo
Padre, fate sentire una parola efficace
a Colui, che unico tra i mille mem-
bri dell’Episcopato Cattolico pare che
tenda a distogliere dalla retta via que-
sta povera Congregazione, e le mette
nella Casa Madre, centro di tutte le
altre, incagli sopra incagli, affinché
non cammini colla necessaria spedi-
tezza e si arresti”.
Era l’esplicita richiesta di un auto-
revole intervento papale in proprio
favore, tenuto conto che l’appoggio
sincero a don Bosco da parte del pro-
tettore della Congregazione, cardinal
Nina, Prefetto della Congregazione
del Concilio, che doveva giudicare
la vertenza Bonetti – accusato espli-
citamente da monsignor Gastaldi di
non essere super partes – non riusciva
ad avere la meglio sulla forte opposi-
zione del cardinal Innocenzo Ferrieri,
Prefetto della Congregazione dei Ve-
scovi e Regolari. Questi poi, in rotta
con don Bosco, aveva fatto togliere
da papa Leone alcune facoltà conces-
se alla Congregazione salesiana da
Pio IX, ma pure don Bosco dal can-
to suo a fine dicembre fece pervenire
alla Santa Sede un cahier de doléance
tale che pur con tutta la buona volon-
tà non si poteva certo considerare una
strategia di avvicinamento delle parti
in causa. E il cardinal Nina non man-
cò di farglielo subito notare.
«Lasciatemi
lavorare in pace»
Ciononostante, nella corrispondenza
con le varie autorità vaticane coinvol-
te nelle sue vertenze con monsignor
Gastaldi, si dichiarava sempre “pron-
to a qualunque sacrifizio per termina-
re una questione di niuna entità che
mi ha già fatto perdere tanto tempo.
Tempo che io ho assolutamente biso-
gno di occupare per la povera nostra
Congregazione e nel sacro ministero
delle anime”. Invece “scritti, tempo,
scoraggiamenti occupano le ore che
si vorrebbero occupate al bene del-
le anime e della religione. Io non ho
mai dimandato e non dimando altro
che lasciarmi lavorare in questo tem-
po di gran bisogno”. Salus animarum
suprema lex ad ogni costo, verrebbe da
aggiungere.
Ed in effetti don Bosco l’avrebbe pa-
gata cara. L’anno successivo, il 1882,
si sarebbe aperto sotto cattivi auspici e
solo nell’estate la “Concordia coman-
data” dalla Santa Sede sarebbe stata
accettata da entrambe le parti, ma con
immenso dolore da parte di don Bosco
e dei salesiani. Tant’è che l’endemica
querelle sarebbe cessata definitivamen-
te solo con la morte di monsignor Ga-
staldi, il 25 marzo 1883.
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione dei nostri beati,
venerabili e servi di Dio, sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di maggio preghiamo per
la beatificazione del venerabile Octavio
Ortiz Arrieta, nato a Lima (Perù) il 19 aprile 1878
e morto a Chachapoyas (Perù), il 1° marzo 1958,
primo salesiano peruviano e vescovo di Chacha-
poyas per 37 anni.
Egli nacque a Lima il 19 aprile 1878. Nel dicem-
bre 1893 entrò nella scuola professionale aperta
dai Salesiani per i ragazzi più bisognosi come
allievo falegname, poi passò tra gli studenti. Fece
l’anno di noviziato a Callao e nel 1902 emise i voti
perpetui nelle mani di don Paolo Albera, visitatore
straordinario. Continuò nella medesima casa come
assistente, maestro, studente di filosofia e poi di
teologia. Nel 1906 venne mandato a fondare una
nuova scuola professionale nella città di Piura. Il
27 gennaio 1907 venne ordinato sacerdote. Dopo
l’opera di Piura, don Ortiz fu chiamato a dirigere le
opere di Cuzco e Callao.
Qui, mentre si dedicava al lavoro con i giovani, il 21
novembre 1921 lo raggiunse la nomina di vescovo
della lontana diocesi di Chachapoyas, sulla Cor-
digliera Andina del Nord. Venne ordinato vescovo
nel Tempio di Maria Ausiliatrice a Lima l’11 giugno
1922. La cittadina di Chachapoyas sorge a 2300
metri di altezza, mentre la diocesi comprendeva al-
lora un territorio di 95 200 km2 e una popolazione di
250 000 anime. La sua vita fu un continuo viaggiare:
per lunghi giorni a cavallo, a piedi, sulla cordigliera,
nelle foreste, sui fiumi. Saliva fino a vette ghiacciate
per poi scendere in torride vallate. Fin dall’inizio or-
ganizzò Missioni ed Esercizi Spirituali per la gente e
per i sacerdoti. Estese questo intenso programma,
variato di anno in anno, a tutti i centri della sua dio-
cesi. Catechesi e predicazione, cura dei sacerdoti e
dei seminaristi, promozione delle vocazioni furono
il lavoro semplice e concreto di tutti i suoi 37 anni
di episcopato. Conservò sempre lo stile salesiano:
amabile, accogliente, abitualmente allegro, vicino
alla gente. Fu un organizzatore nato: realizzò otto
Visite pastorali; celebrò tre Sinodi diocesani e or-
ganizzò un ben riuscito Congresso Eucaristico;
riordinò gli archivi parrocchiali; creò Associazioni
e Confraternite; pubblicò un giornale. Quando la
sede arcivescovile di Lima rimase vacante, il Nunzio
Apostolico a nome del Papa gliela offrì. Monsignor
Ortiz ringraziò e declinò la proposta, dicendo che
aveva “sposato” la sua diocesi, e voleva rimanere
tra la gente dei suoi pueblos fino alla morte. Morì
a Chachapoyas il 1° marzo 1958, all’età di 79 anni.
Il 27 febbraio 2017 papa Francesco l’ha dichiarato
Venerabile.
PREGHIERA
O Signore, che nel tuo servo Ottavio, vescovo salesiano,
hai fatto brillare la fede, l’umiltà e la carità generosa,
concedimi di imitare le sue virtù,
perché come lui possa amarti
nell’amore e nel servizio ai fratelli.
Concedimi la grazia che ti chiedo...
perché il tuo amore misericordioso sia glorificato
nella memoria del tuo servo Ottavio.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
Ringraziano
Ringraziamo san Domenico
Savio per la nascita di Benedet-
ta, che san Domenico la protegga
ogni giorno della sua vita.
Caterina e Emanuele
Devo ringraziare il beato Filip-
po Rinaldi che mi ha aiutato
a superare un malessere fisico
e morale assai deprimente dal
quale temevo di non poter libe-
rarmi. Continuerò ad aver fidu-
cia in lui che già altre volte mi
ha esaudita.
Giuseppina
Nizza Monferrato (AT)
CRONACA DELLA
POSTULAZIONE
Il 21 febbraio 2017, nella
Sessione ordinaria dei
Cardinali e Vescovi mem-
bri della Congregazione del-
le Cause dei Santi, è stato
espresso parere positivo in
merito alla causa di marti-
rio del servo di Dio Titus
Zeman, nato a Vajnory il
4 gennaio 1915 e ivi morto
l’8 gennaio 1969, salesiano
sacerdote slovacco, martire
delle vocazioni.
Il 27 febbraio 2017, nel
corso dell’udienza con-
cessa al cardinale Angelo
Amato, SDB, Prefetto della
Congregazione delle Cause
dei Santi, il Santo Padre
Francesco ha autoriz-
zato quella stessa Con-
gregazione a promulga-
re i Decreti riguardanti:
il martirio del servo di
Dio Tito Zeman (1915-
1969), salesiano sacer-
dote; e le virtù eroiche
del servo di Dio Octavio
Ortiz Arrieta, salesiano,
vescovo di Chachapoyas
(1878-1958).
Il 9 marzo 2017, nel corso
del Congresso peculiare dei
Consultori Teologi presso la
Congregazione delle Cau-
se dei Santi, è stato dato
parere positivo in merito
alla fama di santità e
all’esercizio delle virtù
eroiche del servo di Dio
Augusto Hlond (1881-
1948), della Società di san
Francesco di Sales, arcive-
scovo di Gniezno e Varsavia,
fondatore della Società di
Cristo per gli emigrati della
Polonia.
40
Maggio 2017

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
EMILIA DI MASSIMO
SUOR EMILIA RACHELE
Figlia di Maria Ausiliatrice missionaria in Nicaragua
Morta a Managua il 10 febbraio 2017, a 90 anni
«Suor Emilia, lascia un segno
luminoso nella sua terra, per-
ché ha dedicato la sua vita
all’educazione migliorando le
condizioni dell’infanzia, parti-
colarmente povera in Nicaragua»,
ha affermato il cardinale nicara-
guense Miguel Obando Bravo.
Venerdì 10 febbraio 2017, dopo
novanta anni di vita e quaran-
totto di missionaria, suor Emilia
Rachele FMA italiana, apparte-
nente all’Ispettoria centroameri-
cana “Santa Maria degli Angeli”
(CAR) è ritornata alla casa del
Padre, dopo avere realizzato un
lavoro educativo in Nicaragua,
fondando due scuole e promuo-
vendo la musica. Il reverendo
cardinale Obando Bravo, attesta:
«l’ho conosciuta quando ero al
Seminario, in seguito ho lavorato
con lei quando ero Parroco vicino
alla casa delle Suore Salesiane,
inoltre come Vescovo e Cardinale
ho avuto tanta amicizia con suor
Emilia; una salesiana speciale,
dedita al lavoro, meritevole del
Dottorato Honoris Causa in Let-
tere e Umanità, l’unico consegna-
to fino ad oggi dall’Università Ave
Maria College dell’America».
Anche Rosario Murillo Zambra-
na, professoressa, scrittrice,
attivista e politica nicaraguense,
che da gennaio del 2017 è Vi-
cepresidente della Nazione, ha
detto: «Suor Emilia sempre è
stata una donna molto cara. Tutti
dobbiamo ringraziare la spinta
data all’educazione. La sua morte
non è soltanto una perdita per la
Congregazione Salesiana ma per
tutto il popolo del Nicaragua.
Nel settembre 2008 il Presidente
ha consegnato la Orden Indepen-
dencia Cultural “Rubèn Darìo”
per sottolineare il suo apporto
singolare nel campo dell’edu-
cazione». Dal 2000, suor Emilia
ha ricevuto nove riconoscimenti
accademici che le hanno fatto
onore, soprattutto perché hanno
fatto risaltare maggiormente la
missione educativa.
Suor Emilia ha lasciato una forte
impronta nella scuola, così testi-
monia Yaneth Garcia, che è stata
sua allieva e oggi lavora come
docente nella Scuola Magistra-
le: «Noi sempre la ricorderemo
come una donna gioiosa e con
tanta voglia di aiutare le perso-
ne più bisognose». Anche Nelly
Zelaya, insegnante e psicologa
della Scuola fondata da suor
Emilia, la ricorda così: «Suor
Emilia è un’icona per il popolo
del Nicaragua, è stata una delle
prime missionarie italiane ar-
rivata nella nostra nazione. Lei
ha saputo donare la sua vita con
tanto amore; continua ad essere
presente in tutte le opere che ha
saputo dirigere con intelligenza.
Nel 1995 ha ottenuto il permes-
so dal Ministro dell’Educazione
per aprire la Scuola Magistrale
anche il sabato, in modo che
tanti insegnanti potessero abi-
litarsi.
Su richiesta delle Superiore, suor
Emilia ha costruito la “Casa Gesù
Bambino” in un quartiere di gente
molto povera. Lo ha fatto con tan-
to sforzo, presentando progetti
alle ONG internazionali. Finita la
costruzione della Scuola, ha rea-
lizzato il Ginnasio, il quale attual-
mente occupa il primo posto nel
Paese e porta il suo nome.
Maggio 2017
41

5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
PREPARARE NUOVI APOSTOLI
Era intenzione di don Bosco dare ai giovani che accoglieva nuove
prospettive per il futuro, sia spirituali sia materiali, non pensava
semplicemente di sfamarli e di dar loro un alloggio e il calore di
una famiglia. Li voleva preparare per trovare lavori dignitosi facen-
do frequentare laboratori e scuole. L’idea iniziale prese forma e si
sviluppò nel tempo. All’inizio del ’900, si costituì un primo centro
accademico che avrebbe contribuito alla crescita culturale e alla
formazione dei giovani, collaborando con la Chiesa nel preparare nuovi apostoli che annunciassero e
testimoniassero nella società il messaggio cristiano. Per offrire un’adeguata preparazione teologica il
beato Michele Rua, che succedeva a don Bosco, aveva dato avvio ad alcuni Studentati Teologici Sale-
siani. In particolare quello internazionale di Foglizzo, nella diocesi di Ivrea, nel 1913-14 aveva ottenuto
dal Vaticano l’autorizzazione a conferire i gradi accademici del Baccalaureato e della Licenza in Sacra
Teologia. Ma lo scoppio della prima guerra mondiale disperse gli studenti e costrinse alla soppressione
della struttura. Terminata la guerra, il beato Filippo Rinaldi decise di trasferire lo Studentato a Torino. In
quegli anni l’incremento dell’Opera salesiana, e la conseguente necessità di avere insegnanti che unis-
sero una solida preparazione teologica alla specifica forma-
zione salesiana in grado di impartire nelle numerose “Case”
l’insegnamento delle discipline ecclesiastiche, spingeva i
Superiori a inviare numerosi giovani confratelli nelle Univer-
sità Ecclesiastiche romane. Fu così che nel 1965, l’Ateneo si
trasferì da Torino a Roma, nel quartiere Nuovo Salario, allo
scopo di unificare la sede. E nel 1973 fu ufficialmente elevato
al rango di XXX organizzata attorno a cinque Facoltà: Teo-
logia, Scienze dell’Educazione, Filosofia, Diritto canonico e
Lettere cristiane e classiche.
Definizioni
ORIZZONTALI. 2. La compagnia
petrolifera col cane a sei zampe - 4.
Nel caso in cui - 5. Mater, preghie-
ra attribuita a Jacopone da Todi - 11.
La sua capitale è Bamako - 13. Società
per Azioni - 15. Sollecitudine, cura -
16. Il personaggio creato da Guareschi
che si opponeva a Peppone - 20. L’in-
dimenticato Aroldo, importante nome
del teatro e del cinema italiano - 21.
L’Edgar Allan celebre scrittore - 22.
XXX - 23. È enorme senza nome!
- 24. La sigla di Sassari - 25. Un
reparto speciale dei Carabinieri - 26.
Infiammazione dell’orecchio - 28. Un
moderno genere musicale - 30. XXX
- 34. Il Redford de La mia Africa (iniz.)
- 35. Designazioni - 37. L’antica re-
gione greca in cui sorge il monte Elico-
na - 38. C’è anche il Paganino! - 39.
Il patronimico di Agamennone - 40.
Gestiva, come la Gescal, l’assegnazio-
ne di alloggi - 41. Sommosse - 42. Li
soffiano a Murano - 43. Seri grattacapi
- 44. Incapacità di parlare.
VERTICALI. 1. Il Morandi cantante
(iniz.) - 2. Pianta simile all’agave che
dà un succo amaro - 3. Liquore aro-
matizzato con bacche di ginepro - 4.
XXX - 5. Suore senza vocali - 6.
Pensilina - 7. Un monte della Toscana
- 8. Un mite bovino - 9. Deve pagarli
il moroso - 10. Il … Chi Chuan, arte
marziale cinese - 12. Devoto che ama
spassionatamente - 13. Importante
città turca - 14. Nel basket l’azione
ruota intorno a lui - 15. Recapitano
la corrispondenza - 17. Estremità
appuntite - 18. Ancona (sigla) - 19.
Loro le hanno dispari - 21. Il segno
che moltiplica - 27. Duole quella del
disco - 29. … Arthur è in Manciuria
- 31. Il contrario di “ino” - 32. Pos-
sono essere a delta o a estuario - 33.
Un valico degli Appennini - 36. Una
stazione spaziale russa autodistrutta
nel 2001 - 38. Richiesta internazionale
di aiuto - 39. In mezzo al cavo - 40.
Istituto Universitario - 41. Bensì.
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Maggio 2017

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Disegno di Fabrizio Zubani
Un grande amore «Eroiochetileggevoilmenu,
quand’eri piccolo. Ti ricordi?»
«Adesso è ora che ti riposi e che mi
permetta di restituirti il favore»,
risposi.
Dopo vari anni di matrimonio
scoprii una nuova maniera
di mantener viva la scintilla
dell’amore.
Mia moglie mi raccomandò
di uscire con un’altra donna!
con mio figlio e quasi mi invidia-
vano», mi spiegò mentre entrava in
macchina. Mi attendeva sulla porta
con il suo soprabito, era stata dalla
parrucchiera e il vestito era quello
dell’ultimo anniversario di nozze.
Durante la cena facemmo una
gradevole conversazione: niente di
straordinario. Ci aggiornammo sulla
nostra vita. Parlammo tanto che
perdemmo il film che ci eravamo
proposti di vedere.
«Io però ho scelto te», protestai.
Andammo a un ristorante non
«Verrò ancora fuori con te, solo però
«Lo so. Ma ami anche lei. La vita è particolarmente elegante, ma molto se permetti a me di invitarti», disse
molto breve, dedicale tempo».
accogliente. Mia madre mi prese a mia madre quando la portai a casa
Accettai. L’altra donna a cui mia
braccetto come se fosse “La Prima sua. Accettai, la baciai, la abbracciai.
moglie voleva che facessi visita, era Dama della Nazione”. Quando ci
«Come hai trovato la ragazza?», volle
mia madre.
sedemmo presi a leggerle il menu. sapere mia moglie.
Gli impegni di lavoro e i figli mi
I suoi occhi riuscivano a leggere
«Molto piacevole. Molto più di
permettevano di farle visita solo
solo le scritte più grandi. Quando quanto immaginavo», le risposi.
occasionalmente.
andai a sedermi di fronte a lei, alzai Alcuni giorni dopo mia madre morì
Una sera le telefonai per invitarla a lo sguardo: la mia mamma, seduta di infarto, e avvenne così velocemen-
cena e al cinema.
dall’altro lato del tavolo, mi guardava te che non si poté fare niente. Poco
«Che ti succede? Stai bene?” mi
con ammirazione. Un sorriso felice si tempo dopo ricevetti un avviso dal
chiese. Mia madre è il tipo di donna delineava sulle sue labbra.
ristorante dove avevamo cenato mia
che pensa che una chiamata
madre e io e un invito che dice-
serale o un invito sorprendente
va: «La cena è stata pagata in
sia indice di notizie cattive.
anticipo».
«Ho pensato che sarebbe bello
Mia madre era sicura di non
passare un po’ di tempo con te»,
poterci essere, ma pagò lo stesso
le risposi.
per due: «Per te e per tua moglie,
«Mi piacerebbe moltissimo»
non potrai mai capire cosa ha
disse.
significato per me quella serata.
Quel venerdì mentre, dopo il
Ti amo!».
lavoro, la andavo a prendere ero
nervoso. Era il nervosismo che
precede un appuntamento. E
quando giunsi alla sua casa,
vidi che anch’ella era molto
emozionata. Un bel sorriso
sul volto, irradiava luce come
un angelo. «Ho detto alle
amiche che dovevo uscire
In quel momento compresi
l’importanza di dire a tempo
debito «ti amo» e di dare ai
nostri cari lo spazio che me-
ritano; niente nella vita sarà
più importante di Dio e della
tua famiglia: dalle il tempo
perché possano sentirsi amati.
Maggio 2017
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
Centenario
Il Santuario del Sacro
Cuore di Bologna
Settant’anni fa veniva
inaugurato per la terza volta
L’invitato
Don Alfred Maravilla
Nuovo superiore
in Papua Nuova Guinea
Salesiani nel mondo
Mozambico
Competenza e rispetto
A tu per tu
Famiglie che “partono”
Sposi volontari (con figli)
Come don Bosco
Figlio unico:
guaio o fortuna?
Per una pedagogia consapevole
Le case di don Bosco
I Salesiani a Sassari
Il Santuario della Madonna
del Latte Dolce
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.