Bollettino_Salesiano_201704

Bollettino_Salesiano_201704

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IL
APRILE
2017
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
L’invitato
Don
Tadeusz
Rozmus
Le case
di don Bosco
Frascati
A tu per tu
Miracolo in
Ungheria

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
L’ultimo “amico
della gioventù”
Oggi è l’ultimo giorno della mia vita.
Non mi sento colpevole ma con il cuore
pieno di pena, questo sì. Con l’edizione
di oggi termina il mio orgoglio di gior-
nale e l’illusione che don Bosco aveva
riposto in me.
Sono un giornale destinato ai giovani, figlio
della creatività di don Bosco. Ho avuto una
vita errante per otto lunghi mesi. Mi sarebbe
piaciuto crescere forte, aumentare di numero in
numero le pagine che mi componevano, sentirmi
forte e desiderato da centinaia di lettori.
Avrei voluto percepire la forza nuova di occhi
giovani che accarezzavano le mie parole e le mie
illustrazioni. Ma tutte quelle illusioni piano pia-
no sfumarono in delusione e scoraggiamento che
però non sembravano
toccare don Bosco,
sempre pieno di
entusiasmo e
pronto a nuove
iniziative.
È ancora ben fissa
nella mia memo-
ria quella prima
mattina, il momento
dell’uscita dalla mac-
china tipografica della
prima copia. Ricordo che don
Bosco mi prese in mano, sorridente
ed entusiasta. Mi avvicinò al naso per
annusarmi. Era così felice di
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
Nel 1849 don Bosco stampò un giornale chiamato “L’amico
della gioventù”, ma non ebbe un grande successo. Usciva
due volte la settimana e, in tutto, ne uscirono 61 numeri.
Era stampato presso la tipografia Speirani-Ferrero.
annusare il colore ancora fresco e il buon odore
dell’inchiostro. Lo faceva con gioia, come se
quello fosse il più buon profumo del mondo.
La testata che troneggiava sulla copertina espri-
meva tutto quello che a lui stava a cuore: “l’ami-
co della gioventù”.
Durante i sessanta numeri della mia esistenza ho
fatto in modo di farmi leggere e sentire da tanti
giovani. A pensarci bene, è proprio questo lo
scopo per cui nasciamo noi giornali.
Mi sono sforzato di urlare, attraverso le mie
pagine, le parole e i pensieri di don Bosco.
Ho proclamato la libertà e la giustizia nella parte
dedicata all’internazionalità.
Ho prestato la mia voce per denunciare la penosa
situazione in cui si trovavano migliaia di giovani.
Ho difeso con ardore la fede cristiana.
Da domani sarò solo più un ricordo in qualche
biblioteca. Forse sbiadirò e mi coprirò di polve-
re. Non sarà la mia fine: non morirà mai in me
quel sentimento di orgoglio per essere arrivato in
tante case di poveri contadini e, in questo modo,
essere stato uno dei pochissimi mezzi di appren-
dimento a loro disposizione.
Sono in pace con la mia coscienza di oggetto di
carta. Mi sono addirittura arrampicato su pon-
teggi di edifici in costruzione, mi sono macchia-
to di calce e di gesso, pur di poter offrire alcune
nozioni a quei giovani muratori che don Bosco
ospita. Ho anche visitato parecchie volte il carce-
re minorile della città di Torino e ho aperto, per
gli occhi di quei giovani prigionieri, centinaia di
finestre di libertà.
Il tempo farà sicuramente ingiallire le mie pagi-
ne, proprio come succede alle foglie in autunno.
Nonostante questo, mai e poi mai mi dimen-
ticherò di don Bosco, l’autentico “amico della
Gioventù”.
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Aprile 2017

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IL
APRILE 2017
ANNO CXLI
Numero 4
IL
Mensile di
informazione e
APRILE
Rivista fondata da
2017
S. Giovanni Bosco
nel 1877
cultura religiosa
L’invitato
Don
Tadeusz
Rozmus
Le case
di don Bosco
Frascati
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
A tu per tu
Miracolo in
Ungheria
In copertina: Il benessere e la felicità dei
giovani sono il “pensiero fisso” dei Salesiani
di don Bosco (foto iStock/Eva-Katalin).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 CHE COSA PENSANO I GIOVANI
Scegliere, ma che cosa?
8 SALESIANI NEL MONDO
Pugnido
12 L’INVITATO
Don Tadeusz Rozmus
16 FINO AI CONFINI DEL MONDO
18 A TU PER TU
Kazincbarcika: il piccolo
grande miracolo
22 SPIRITUALITÀ
I quattro consigli anti stress
di papa Francesco
24 LE CASE DI DON BOSCO
Frascati
28 FMA
30 CENTENARI
Quando i sogni mettono le ali
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
Tel./Fax 06.65612643
e-mail: biesse@sdb.org
web: http://biesseonline.sdb.org
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Roberto Desiderati,
Emilia Di Massimo, Ángel
Fernández Artime, Vitalis Gabor,
Claudia Gualtieri, Cesare Lo
Monaco, Francesco Marcoccio,
Alessandra Mastrodonato,
Francesco Motto, Pino Pellegrino,
Giampietro Pettenon, O. Pori Mecoi,
Luigi Zonta, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Tullio Orler (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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Stampa: Mediagraf s.p.a. - Padova
Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Perché abbiamo
vita in abbondanza
Il mio pensiero vola alle tante presenze
salesiane del mondo, perché il mio sogno è che
siano veri dispensari di vita per tutti i giovani,
una vita sovrabbondante, autentica, valida, che
dia loro dignità e che li aiuti a sperimentare il
grande dono che è Dio nelle loro vite
L a festa di Pasqua è vicina, carissi-
mi amici della Famiglia Salesiana e
lettori del Bollettino.
Sappiamo bene che cosa significa
celebrare la Pasqua, eppure, anno
dopo anno, viviamo la sorpresa di
scoprire quante realtà preziose e sempre
nuove questa festa suscita in noi.
Nella natura, quello di Pasqua è il tempo
più bello. Anche la liturgia e le nostre chiese si
riempiono di canti meravigliosi, di luce e di fiori.
Il suo messaggio principale è che la nostra vita
non finisce con la morte. Nella morte noi risor-
geremo in Dio.
Gesù, il Signore, Risuscita, torna alla con le
maiuscole, la Vita Altra.
In questo modo Dio Padre manifesta al mondo
che l’ultima parola non è della morte, né di tut-
to quello che la causa: le nostre piccole e grandi
violenze, gli egoismi, le guerre. E il lungo corteo
di “mortificazioni” che trascina con sé, come il
degradamento e l’agonia delle persone che soffro-
no nelle relazioni umane, coloro che si sentono
sfruttati, vessati, repressi ed esclusi.
Perché quello che Dio vuole per le creature uma-
ne, cioè per tutti noi, è che abbiamo vita e vita in
abbondanza.
La risurrezione di Gesù non si riferisce soltanto a
ciò che avverrà nella nostra morte e dopo di essa.
Noi celebriamo la risurrezione di Gesù per risor-
gere già adesso dalla morte alla vita. Nella fede noi
andiamo oltre il mondo che è schiavo della morte.
Inevitabilmente il mio pensiero vola alle tante
presenze salesiane del mondo, perché il nostro
sogno è che siano veri dispensari di vita per tanti
giovani, una vita sovrabbondante, autentica, vali-
da, che dia loro dignità e che li aiuti a sperimen-
tare il grande dono che è Dio nelle loro vite.
Il mio pensiero vola da est a ovest. Penso al pri-
mo posto che vede la luce ogni giorno nel mondo
salesiano, in concreto la presenza salesiana dell’i-
sola di Savai’i nell’arcipelago di Samoa, dove
ho conosciuto giovani stupendi e una dinamica
comunità che li accompagna nel cammino della
vita. E penso anche alle presenze più a ovest del
mondo salesiano, quelle sulla costa occidentale
degli Stati Uniti.
E quasi come quando don Bosco sognava l’espan-
sione della sua Congregazione godo la felicità di
sapere che in tanti luoghi le semplici opere del
mondo salesiano sono case che offrono vita ai
ragazzi e ai giovani. Sia a Samoa o nelle Isole
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Dall’estremo
punto orientale
all’ultimo lembo
dell’occidente
come il cammino
del sole si muove
nel mondo
l’amorevolezza
dei salesianiSalomone o in Papua Nuova Guinea, con un’ot-
tima formazione professionale che prepara alla
vita concreta; sia a Kolkata, Delhi o Chennai, tra
tante altre, con le case in cui bambini e bambine
che hanno abbandonato la loro difficile esistenza
sulle strade si aprono ad una vita nuova trovando
il calore e l’amorevolezza di una famiglia.
Così come nella casa salesiana di Istanbul o nella
ferita Aleppo; vita che ragazzi e ragazze trovano
in centinaia di case della nostra famiglia salesiana
in Africa: i bambini delle strade di Addis Abeba
o le bambine salvate dallo sfruttamento sessuale
in Sierra Leone o anche ‘os meninhos da rua’ (i
bambini della strada) in Mozambico e in Angola.
Vita nuova che cercano anche i giovani immigrati
accolti nella famiglia salesiana a Catania o a Na-
poli e in tante altre opere d’Europa. E dono di
vita trovano gli adolescenti e i giovani che hanno
lasciato la guerriglia in Colombia e vivono nella
Ciudad Don Bosco di Medellín, o le migliaia di
sfollati sul confine con il Messico a Tijuana, dove
i nostri fratelli e sorelle semplicemente condivi-
dono con loro il pane e la vita.
Tutto questo e molto altro m’ispira la celebrazio-
ne della Pasqua. Non può essere una celebrazione
senza Dio, senza il Mistero, senza la forza dello
Spirito che risuscita Gesù. Ma non può neppure
essere una celebrazione “spiritualista vuota” dove
sembrano non contare la vita e il dolore dei figli
di Dio. Per Gesù contavano, e giorno dopo gior-
no camminava immerso nella vita della sua gente,
soprattutto i più poveri e i più fragili.
Il tempo pasquale ci invita a seguire la strada della
risurrezione. La pietra che talvolta sembra bloccar-
ci è stata rotolata via. Cristo risorto vive ora infon-
dendo in noi la sua energia vitale. È lui la “legge
segreta” che orienta il cammino di tutto verso la
Vita. Perché è Lui il “cuore del nostro mondo”.
Miei cari amici e amiche, non permettiamo che
queste cose semplici ma molto importanti ci sfug-
gano. Che la celebrazione della Pasqua del Signore
ci riempia di gioia, di speranza, di Fede profonda.
Per questo il nostro obiettivo perenne deve essere
quello di offrire vita e vita abbondante, dignitosa,
autenticamente umana, a tutti quelli che ce l’han-
no distrutta, ferita e incatenata dalle violenze, dalle
angosce e dalle costrizioni del nostro mondo.
Vi invito perciò, con la forza della Pasqua, a non
abituarvi a guardare con insensibilità e noncuranza
le tante persone che non sanno davvero che cos’è una
“vita buona”.
Felice Pasqua nel Signore!
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CHE COSA PENSANO I GIOVANI
LCILNADUADIPAERGIUNAOLTIERI
Scegliere,
ma che cosa?
Dante colloca gli “ignavi” lontani non solo dalla Gloria
ma persino dal “profondo inferno”. La tentazione di
“tirare a campare” senza decidersi, in una situazione
come quella attuale, è sempre più forte.
Alessia (19 anni):
«In questo momento della mia
vita mi sono trovata di fronte
a un grande bivio, forse il mio
primo grande bivio data la
mia giovane età».
Kierkegaard afferma: «Esistere si-
gnifica poter scegliere». Prendere delle
decisioni è importante perché ci per-
mette di non cadere negli stessi erro-
ri del passato, schiavitù, guerre ecc. I
giovani, ma tutti in generale dai più
piccoli ai più grandi, si trovano ogni
giorno davanti a delle scelte impor-
tanti per la propria vita perché, una
volta presa una decisione, si è consa-
pevoli che da quel momento in poi
nulla sarà come prima. Avere la pos-
sibilità di scelta è forse una delle virtù
più importanti che l’uomo acquista
alla nascita perché può renderlo libero;
“libero” perché scegliere ci permette,
in quanto esseri, di avere una nostra
opinione che a volte si rivela diversa da
ciò che anche la stessa società impone,
mostrandoci così come una sorta di
voce fuori dal gruppo. Essere liberi e
prendere delle decisioni può compor-
tare anche aspetti negativi perché ci
si mostra agli occhi della società non
in linea con il pensiero comune. Per-
sonalmente in questo momento della
mia vita mi sono trovata di fronte a
un grande bivio, forse il mio primo
grande bivio data la mia giovane età,
dinanzi al quale ho dovuto fare una
scelta importante che riguarda la mia
carriera universitaria. Per testardaggi-
ne probabilmente, sono rimasta ferma
per un anno a causa di un mio sogno
nel cassetto non facile da realizzare.
Oltre alla mia testardaggine c’è anche
la speranza che un giorno possa rea-
lizzare il mio sogno nel cassetto e po-
ter indossare finalmente il tanto ago-
gnato camice bianco. Quando penso a
questo sogno penso ai mille sacrifici
e scelte che mia madre, la quale in-
dossa anche lei il camice bianco, ha
fatto e che rifarebbe ancora per amo-
re del proprio mestiere e per amore
della propria famiglia. Certo durante
il corso della propria carriera le sono
arrivate molte richieste allettanti ma
lei non si è mai pentita della decisione
presa, mettendo sempre al primo po-
sto la famiglia. È vero che la mia deci-
sione ha provocato per qualche tempo
malessere al mio animo data la mia
morbosa voglia di sapere. D’altronde,
prendere delle decisioni importanti
per la propria vita comporta assumer-
si le proprie responsabilità e quindi
accettare anche le conseguenze delle
proprie azioni. C’è da aggiungere però
che non tutto il “tempo perso” è sta-
to sprecato, perché proprio attraverso
questa mia decisione mi ritrovo oggi
una persona più caparbia a raggiunge-
re il mio scopo.
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Francesco (17 anni):
«Oggi avere la capacità
di scegliere cos’è giusto o
cos’è sbagliato non è molto
facile, specialmente se nella
scelta si è da soli».
Oggi avere la capacità di sceglie-
re cos’è giusto o cos’è sbagliato non
è molto facile, specialmente se nella
scelta si è da soli, perché purtroppo
nemmeno la società contemporanea
può essere d’aiuto. Una delle più im-
portanti scelte che un ragazzo della
mia età deve essere in grado di fare
è quella dell’amore. Facendo un sal-
to nel passato posso confermare che
fino a questo momento non mi sono
mai pentito delle scelte fatte in questo
ambito, perché le ho sempre consi-
derate delle scelte fatte con il cuore,
piuttosto che con il cervello. Alcune
mie scelte, anche se giuste, forse sono
state dettate un po’ dall’ingenuità do-
vuta alla mia giovane età, altre inve-
ce le considero più “complete”. Dico
complete, perché, come in una recen-
te esperienza, anche attraversando
un periodo un po’ infelice ho saputo
tenere sempre testa ad un obiettivo
che poi alla fine non si è rivelato al-
tro che una splendida amicizia, tanto
da sperare che questo rapporto che si
è venuto a creare non si sciolga mai.
Continuando nella scala delle scelte,
abbiamo le famose scelte di fede o re-
ligione. In riferimento a questo tipo
di scelte non posso fare a meno di
pensare come oggi, in nome della re-
ligione, avvengono attentati in tutto il
mondo. Ognuno è libero di scegliere
la propria religione, la propria fede e
l’altro deve rispettarla, che sia cristia-
na, ortodossa o musulmana. Io sono
molto contento di essere cristiano,
anche se in principio non l’ho scelto
io ma i miei genitori; solo successiva-
mente, crescendo, ne ho avuto la pie-
na consapevolezza, e per questo non
me ne vergogno. Anzi faccio parte
anche del Movimento Giovanile Sa-
lesiano, proprio per dare più forza a
questa mia scelta!
Parlando invece di scelte di studio mi
riferisco, naturalmente, al percorso
scolastico. Io frequento il quarto anno
del liceo scientifico e sento già la fati-
dica domanda: “che vuoi fare dopo?”
La mia scelta è quella di difendere la
Legge e la Giustizia e penso non ci sia
altra facoltà oltre Giurisprudenza, che
possa darmi una formazione completa
riguardo l’argomento.
Federica (27 anni):
«Alcuni luoghi e situazioni
ci vengono “assegnati” dalla
nascita, ma noi possiamo
scegliere come viverli».
Io partirei dal presupposto che sono
veramente poche le cose che sia-
mo davvero in grado di scegliere.
Iniziando dal luogo in cui veniamo
al mondo, dalla famiglia che abbia-
mo, continuando poi nel lavoro, che
a volte viene “accettato e cercato”
semplicemente per poter vivere, per
le poche possibilità che ci circonda-
no.
A questo punto sorge la domanda:
“Allora che cosa ci resta da sceglie-
re?” Credo che per quanto sia difficile
da comprendere all’inizio, ci restano
le scelte più importanti! Vero è che
alcuni luoghi e situazioni ci vengo-
no “assegnati” dalla nascita, ma noi
possiamo scegliere come viverli e che
cosa trarre da ogni esperienza. Un
amico un giorno mi raccontava una
storia che ricordo ogni volta in cui mi
viene voglia di lasciarmi trasportare
dagli eventi senza combattere per vol-
gere tutto al meglio. La storia parla di
un’intervista fatta a due gemelli figli
di un detenuto. Ad entrambi viene
chiesto: “Cosa ti ha portato ad essere
ciò che sei?” Il primo, in carcere per
aver commesso vari reati, ha risposto:
“Non potevo fare a meno di essere ciò
che sono... con il padre che ho avuto!”.
Il secondo, medico stimato, ha rispo-
sto: “Non potevo fare a meno di esse-
re ciò che sono... con il padre che ho
avuto!”. Ecco. Questo è il valore delle
scelte! Nient’altro. Per questo motivo
io, ogni giorno, scelgo il modo in cui
vivere le mie giornate. Ad esempio, il
mio lavoro non è quello che avrei so-
gnato. Tuttavia posso volgere le mie
giornate al meglio regalando un sor-
riso o una parola a chi ho di fronte;
posso vivere i miei impegni traendo
un insegnamento e il mio tempo li-
bero posso viverlo ricavandone dei
sogni.
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SALESIANI NEL MONDO
CGHIAIMARPAIEBTERROTAPTEOTTENON
Pugnido
Questo angolo sperduto e dimenticato
dell’Etiopia è davvero una “frontiera”
dell’Umanità. Il cuore dei salesiani e
dei loro benefattori sta cambiando
le cose. Cominciando da zero.
dove si vive con niente
Abba Filippo e il
signor Pettenon,
direttore di
Missioni Don
Bosco, con
l’immancabile
pallone, un regalo
stupendo.
S iamo arrivati in Etiopia. Addis Abe-
ba presenta il volto di una metropoli in
continua crescita. Ma Addis Abeba fa-
cilmente inganna, se si pensa che quel-
lo sia il volto del paese. La nostra meta
è Pugnido, un villaggio nel territorio
di Gambela, città del distretto più occidentale
dell’Etiopia, al confine con il Sud Sudan. Qui il
caldo è soffocante (la massima raggiunge e supera
ogni giorno 40 gradi!). La malaria è diffusa.
Gambela comunque, pur nella povertà degli edi-
fici e delle strutture viarie, rappresenta ancora una
estrema propaggine del nostro mondo occidentale.
A Gambela c’è una grande opera salesiana che
comprende la Parrocchia (della chiesa cattedra-
le), l’immancabile oratorio salesiano, la scuo-
la della durata di dieci anni (dalla prima alla
decima), il college che prepara ad una profes-
sione lavorativa e un ostello, per i ragazzi che
vengono da lontano e cercano un convitto dove
alloggiare.
Abba Filippo e Abba Giorgio
Pugnido dista circa 3 ore e mezza di macchina
su una strada sterrata che va verso sud, sud est,
sempre più vicino al confine con il Sud Sudan.
Strada che a tratti ha un fondo buono e a volte
presenta salti e buche che, se non prese nel ver-
so giusto, ti mandano fuori strada o, se va bene,
a sbattere la testa sulla capotta dell’automez-
zo. Per evitare tutto questo si deve andar piano.
Don Filippo da tre anni vive e lavora nella par-
rocchia di Pugnido, assieme ad Abba Gorgio
(Pontiggia di cognome, originario della provincia
di Como, da 27 anni in Etiopia).
Portano avanti una parrocchia con la chiesa, l’o-
ratorio, l’asilo infantile, un ostello con 60 ragazzi
e ragazze. Animano poi altre 11 cappelle sparse
nel territorio circostante e ben altre 6 chiese che
si trovano dentro i due campi profughi che si tro-
vano nel suo territorio.
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Sono profughi del Sud Sudan fuggiti durante le
persecuzioni e gli scontri per l’indipendenza del
Sud Sudan, allestiti e gestiti dall’ONU. La popo-
lazione dei campi profughi è di etnia Nuer, men-
tre la gente del luogo è di etnia Anuak. Entrambe
le etnie sono composte da neri altissimi e magris-
simi. Si resta stupiti nel vedere le donne che cam-
minano perfettamente erette per lunghi tratti di
cammino portando sulla testa dei pesi enormi.
Qui siamo davvero nella “frontiera”. Non c’è
acqua corrente, non ci sono servizi pubblici, la
gente vive coltivando la terra ed allevando piccoli
animali da cortile. È un’economia di sussistenza
in cui non si muore di fame, ma certo che non
porta sviluppo. Il denaro che circola è pochis-
simo, le bancarelle del mercato, quando ci sono
perché spesso i prodotti in vendita sono esposti su
una stuoia a terra, offrono prodotti di bassa qua-
lità e, ovviamente, di scarso valore provenienti
dalla Cina. I commercianti comunque non sono
gli abitanti del luogo, ma gli habesha (“abissini”
come sono chiamati gli etiopi dell’altopiano che
sono la tribù dominante in Etiopia).
La felicità è un copertone
La vita quotidiana a Pugnido scorre lenta, dal
sorgere della luce al tramonto. Sono, ogni giorno
dell’anno, dodici ore di luce e altrettante di buio.
Buio pesto perché la corrente elettrica è fornita
al villaggio da un generatore elettrico che fun-
ziona a gasolio e per alcune ore al giorno.
Abba Filippo, con l’aiuto di Missioni
Don Bosco, ha fatto installare da
una squadra di volontari venuti da
San Donà di Piave una batteria
di pannelli fotovoltaici e que-
sto, per l’opera parrocchiale
di Pugnido, ha costituito un
salto di qualità incredibile.
Ora l’energia elettrica è
gratis e c’è tutto il giorno
e anche la sera, grazie alle
batterie che si caricano durante il giorno quando
la produzione di energia è superiore al fabbisogno
delle attività pastorali e di vita dei padri salesiani.
Con l’energia elettrica funzionano i ventilato-
ri che danno refrigerio dal caldo soffocante che
ristagna nelle aule dell’asilo, nelle camere dei
salesiani (mentre sto scrivendo ci sono in casa
37 gradi e stiamo con le finestre chiuse per te-
nere fuori il caldo), nella chiesa parrocchiale.
Funzionano le pompe immerse nei pozzi che
portano acqua ai serbatoi e ai numerosi rubinetti
a cui i bambini e la gente vanno spesso a dissetar-
si per reintegrare i liquidi che si consumano con
il copioso sudore.
Funziona il frigorifero per conserva-
re le derrate alimentari, altro ele-
mento fondamentale per non in-
correre in facili mal di pancia.
Funziona la lavatrice, che la
signora che svolge i servizi
domestici ha fatto partire e
poi le si è seduta di fronte
guardandola e sorveglian-
dola, ancora e sempre stu-
pita dal fatto che una scatola
bianca giri in continuazione
prima in un verso e poi nell’altro
e che alla fine la biancheria risulti
Un sorso di
acqua “vera” e un
vecchio copertone:
la felicità è fatta di
piccole cose.
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SALESIANI NEL MONDO
Gli occhi
meravigliosi e
malinconici di
questi bambini
esprimono tutta
la speranza di
un continente.
Sopra: Il signor
Giampietro
Pettenon in mezzo
ai bambini di
Pugnido.
pulita e pronta per essere stesa al sole ad asciugare.
La gente di Pugnido vive senza , senza com-
puter, senza giornali, senza l’auto, senza... niente!
La maggior parte delle case sono capanne di pa-
glia di forma circolare in cui vive la famiglia al-
largata: nonni, fratelli, mogli, numerosi figli. Una
cosa bella è che qui non esistono orfani. Quando
un bimbo resta privo dei genitori, è un membro
della famiglia: uno zio, una sorella maggiore che
se ne prende cura e lo tiene in casa.
I bambini che frequentano l’asilo il mattino e i
ragazzi dell’Oratorio al pomeriggio si diverto-
no davvero con pochissimo. Basta un copertone
d’automobile che fanno correre all’infinito per te-
nerli occupati per ore. Questi pneumatici percor-
rono più chilometri ora spinti a mano dai ragazzi
di Pugnido, di quando erano su strada!
Coccodrilli e un mulino
Pugnido si trova a qualche decina di chilometri
dal Sud Sudan, lungo il fiume Ghilo, affluente
del Baro (il fiume che passa per Gambela e il cui
nome significa “fiume degli schiavi” perché da
questo fiume partivano barche cariche di schiavi
catturati dai bianchi e poi spediti in America). Il
Baro a sua volta è un affluente del Nilo bianco.
Questi fiumi, che nel periodo delle piogge si
gonfiano d’acqua aumentando in maniera espo-
nenziale il proprio alveo, sono infestati dai cocco-
drilli che diventano pericolosi e si avvicinano alle
persone e ai villaggi proprio quando c’è grande
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2.1 Page 11

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I NOSTRI “SOGNI”
abbondanza d’acqua. Per fortuna ora sono quasi
in secca e di coccodrilli non se ne vedono proprio.
La gente lungo le rive del fiume coltiva mais e
ortaggi e i ragazzi e i giovani usano le rive del
fiume come fosse il lungomare dove fare il bagno.
Abba Filippo ha comprato per loro un mulino,
sempre con l’aiuto di Missioni Don Bosco, che
permette alla collettività di macinare velocemen-
te i cereali. Mais in primis, ma anche sorgo e altri
sacchi che arrivano dall’ come aiuti umani-
tari per la popolazione dei campi profughi e che
poi arriva a sfamare anche parte della popolazio-
ne locale.
A proposito di collettività, il termine Anuak che
definisce questo popolo significa proprio “comu-
nità/famiglia allargata/condivisione” ed infatti
sono un popolo che svolge molto della vita in
comune, condividendo quello che ha. Abba Fi-
lippo ci diceva che se un Anuak volesse aprire un
commercio di piccoli alimentari andrebbe subi-
Lo scorso anno Missioni Don Bosco ha aiutato la missione di Abba Filippo con
tre progetti che abbiamo visto realizzati: l’impianto fotovoltaico per dare ener-
gia elettrica alla missione parrocchiale, il campo da pallavolo che ora permette
di giocare questo sport tanto amato dai e, soprattutto, dalle giovani (sono di
corporatura molto alta e quindi amano gli sport come il volley e il basket) ed
infine il pozzo per la comunità locale: dal mattino appena c’è luce e fino al
tramonto quando viene chiuso il cancello, c’è un continuo via vai di donne e
ragazze che vengono alla pompa per attingere acqua con le taniche da venti
litri. Pompano a mano con regolarità le donne adulte, fanno più veloci le ra-
gazzine per poi andare a giocare, ma mai si ferma quella leva che porta l’acqua
in superficie e che, una dopo l’altra, riempie decine e decine di taniche gialle.
Girando per la missione però abbiamo colto altre e nuove necessità.
Le opere parrocchiali sono costruite su un ampio terreno pianeggiante e, ac-
canto a questo, la proprietà si estende per un’altra bella area, ora incolta. In
passato hanno provato a coltivare mais per avere la polenta da dare come base
alimentare ai bambini dell’asilo e ai giovani del convitto. L’esperienza però non
si è rivelata positiva perché si semina solo nella stagione delle piogge e poi
si spera che l’alternanza di sole e di pioggia sia regolare così da permettere
al raccolto di maturare ed essere immagazzinato. È nata così l’idea di piantare
alberi che non hanno bisogno di particolari cure.
Un secondo bisogno che si è presentato è quello di costruire una tettoia dove
i ragazzi e le ragazze del convitto possano mangiare stando seduti. Ora non
è così.
Altro capitolo sul quale possiamo dare una mano sono le stoviglie dei bambini
dell’asilo (sono circa 160 ogni giorno) e i ragazzi del convitto (sono 60: 45 ra-
gazzi e 15 ragazze). Ora non ce ne sono per tutti, quindi si devono lavare piatti
e bicchieri disponibili perché a turno tutti possano mangiare. Inoltre sono di
plastica.
Infine potremmo dare un aiuto nel completamento della sala della comunità
che è presente nell’ambito delle opere parrocchiali. È una grande ed acco-
gliente struttura coperta, con un bel palco. Abba Filippo avrebbe il desiderio
di dotarla di videoproiettore e impianto audio per poter far vedere filmati ai
ragazzi e giovani dell’Oratorio (immaginatevi che cosa significhi vedere un film
per ragazzi che non hanno la TV, non hanno il computer...).
to in fallimento perché arriverebbero tutti quelli
della sua “comunità/famiglia” che si sentirebbero
autorizzati a servirsi a piacere, perché quello che
è di uno è di tutti.
Un giorno poi Abba Filippo ricordava di essere
stato invitato da una famiglia a mangiare carne
di antilope (la cui caccia è ufficialmente proibita
ma è carne molto buona, quindi...). Subito dopo
essersi seduto con loro sono arrivati uno dopo l’al-
tro altri cinque o sei uomini che, a diverso titolo,
appartenevano alla famiglia e che desideravano
approfittare di quel lauto pasto, sicché il buon
Abba non ha più mangiato l’antilope, ma l’ha solo
potuta assaggiare, tanti erano quelli che si sono
messi a tavola, autoinvitandosi.
«Avere le ali e
volare via». Anche
un aquilone è il
simbolo di un
sogno.
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2.2 Page 12

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L’INVITATO
O. PORI MECOI
I salesiani nel cuore
dell’Europa IncontrocondonTadeusz
Rozmus, consigliere regionale
per Europa centro e nord
Com’è nata
la sua vocazione?
Non avevo mai pensato di diventare
prete o religioso. La mia vocazione
è nata durante gli studi nella scuola
professionale salesiana di Oświęcim.
Abitando nell’internato e condivi-
dendo la mia vita con quella della
comunità salesiana sono stato po-
sitivamente “contagiato” dal clima
La regione Europa
Centro Nord è una
delle sette regioni della
Congregazione Salesiana
e, guardando la situazione
storica e culturale, anche
una delle più complesse.
«Se i Salesiani e
la Famiglia Salesiana
offriranno ai giovani
il cuore di don Bosco,
ci sarà per l’Europa
un bel futuro».
familiare che mi ha impressionato
e affascinato. Subito dopo la scuola,
all’età di diciotto anni, sono entrato
in noviziato e fino ad oggi mi sento
un salesiano felice. Anche se la vita
non sempre è stata facile.
Perché proprio salesiano?
Ci sono quattro motivi della mia de-
cisione. Per primo, il grande influsso
ricevuto dai salesiani di Oświęcim tra
i quali ho vissuto 3 anni come allievo.
L’esempio della loro vita, la loro vici-
nanza e il clima molto familiare han-
no rivoluzionato la mia vita e aperto la
strada verso la vita salesiana. Questo
mi fa vedere l’importanza della testi-
monianza diretta e della presenza dei
salesiani in mezzo ai giovani anche
oggi. Per secondo, attraverso mio zio,
don Bolesław Rozmus, anche lui sa-
lesiano, ho avuto contatto con i sale-
siani da sempre. È stato per più di 43
anni missionario in Venezuela, recen-
temente è ritornato in Polonia e si tro-
va nella “mia” comunità di Oświęcim.
Per terzo, nella mia famiglia c’è stato
ancora un terzo salesiano: mio fratel-
lo, più giovane di me di 4 anni, che
purtroppo, all’età di 35 anni ha perso
la vita in un incidente sulle montagne
dei Tatra guidando un gruppo di gio-
vani studenti universitari. E per quar-
to, nella mia parrocchia (diocesana) la
fama e l’attrazione della vocazione
salesiana era tanto forte che quasi
tutte le vocazioni maschili andavano
a finire proprio dai salesiani. Così che
il parroco di allora si lamentava che
tutti gli “scappavano” dai salesiani.
12
Aprile 2017

2.3 Page 13

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Ora siamo otto salesiani provenienti
da questa piccola parrocchia. Rias-
sumendo: sono salesiano perché ho
trovato una bella e attraente testimo-
nianza della vita salesiana.
Quali sono state
le sue esperienze più belle
da salesiano?
Fin dall’inizio, la mia vita salesiana è
stata abbastanza esigente. Ma proprio
questo le ha dato sapore e bellezza.
Due mesi dopo il noviziato, sono stato
chiamato al servizio militare (2 anni)
nella famosa caserma per i chierici
a Bartoszyce. Dieci anni prima nel-
la stessa caserma prestava servizio il
beato don Jerzy Popiełuszko, martire
dei tempi del comunismo in Polonia.
È stato uno dei momenti più ricchi di
investimento nel carattere, conoscenza
della vita e nella vocazione. Poi ogni
momento portava le altre sfumature
di bellezza vocazionale: studi filosofi-
ci a Cracovia, teologici a Cremisan in
Israele, studi specialistici nelle diverse
università in teologia biblica, ingegne-
L’Europa è terra di contrasti. Lo si
nota subito quando s’incontrano giovani
di diversi paesi. Solo nella mia regione
i salesiani parlano 27 lingue diverse!
Ma, parlando delle lingue, non
dimentichiamo che la lingua più
importante è quella del nostro cuore
ria tecnica e pedagogia, lavoro con i Essere “Regionale”
giovani in Polonia (internato, scuole, che cosa significa?
) e all’estero (Egitto e Uganda), La nostra Congregazione è suddivisa
presidenza delle scuole cattoliche in in 7 regioni nel mondo, ha quindi 7
Polonia, organizzazione delle nuove consiglieri chiamati “regionali” che a
scuole professionali e tecniche, servi- nome del Rettor Maggiore si occupa-
zio come ispettore, direttore delle ca- no dell’animazione di esse. Il servizio
tacombe di San Callisto a Roma e poi consiste nelle diverse forme dell’ac-
all’istituto di Perugia. Tutto questo e compagnamento delle ispettorie che
tante altre esperienze di vita salesiana fanno parte della regione. Nel caso
mi hanno fatto conoscere la bellezza della Regione dell’Europa Centro e
della vocazione salesiana.
Nord ci sono 16 ispettorie e 2 delega-
zioni, 35 paesi e 27 lingue parlate in
esse. È un territorio che va dall’Irlan-
da alla lontana Siberia, con l’aggiunta
di Marocco, Azerbaijian, Georgia e
recentemente anche Istanbul. Fa par-
te della regione quasi tutta l’Europa
eccetto alcuni paesi come Italia, Spa-
gna, Portogallo e alcune singole pre-
senze negli altri. Per capire le distan-
ze basta paragonare la durata di volo
da Roma a Mosca in Russia (3 ore) e
da Mosca a Yakutsk in Siberia (6 ore).
Don Tadeusz su un “belvedere” montano. Un
modo per dare uno sguardo al “suo” continente.
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L’INVITATO
Quali sono i problemi
della regione?
L’Europa è terra di contrasti. Da una
parte è una regione tra le più svilup-
pate, con le più avanzate tecnologie e
standard di vita elevati. Dall’altra è un
mosaico di culture, lingue, interessi,
frontiere ed anche diverse povertà, tra
cui le povertà giovanili più grandi.
L’Europa che abbiamo in mente è di-
versa dalla realtà: non è quella degli
anni ’80, quando il benessere sembra-
va il naturale destino degli Europei.
Il costo della vita in molti paesi cresce
continuamente, creando diverse for-
me di povertà e su questa situazione
si scontrano prima di tutto le famiglie
e i giovani.
Una delle situazioni più tragiche dopo
la Seconda Guerra Mondiale era la
divisione dell’Europa tra Occidente
Nonostante la complessità della Regione, don
Tadeusz mantiene il contatto con tutte le case:
«L’Europa ha bisogno del carisma di don Bosco
ed è molto grata per la sua presenza».
e Oriente. Le conseguenze perman-
gono ancora oggi: la parte occidentale
è molto più sviluppata, ma con una
veloce perdita dei valori, anche quelli
della fede cristiana; l’Europa dell’Est
sconta le conseguenze della mentali-
tà sovietica, dell’annientamento della
libertà, delle persecuzioni, ma si è
rafforzata la dimensione spirituale e
sembra che oggi abbia molto da offri-
re all’Europa occidentale, dal punto
di vista della tradizione cristiana.
Quali sono le opere
salesiane più significative
che ha conosciuto
nei suoi incontri?
Ho incominciato il servizio di “Re-
gionale” proprio dalle visite in tutte
le ispettorie per avere una visione ge-
nerale di questa complessa, ma molto
bella realtà. E posso dire che in ogni
ispettoria ci sono delle opere signi-
ficative che esprimono la ricchezza
della nostra Congregazione. Da que-
sto punto di vista la Regione è mol-
to ricca. Tra esse, alcune hanno una
valenza particolare. Sono belle case
di formazione (2 noviziati, 2 postno-
viziati, 1 teologato, 4 altre comunità
formative), numerosissime scuole e
centri di formazione professionale,
bei centri di formazione dei laici (es.
Oud Heverlee in Belgio e Lyon in
Francia), complessi centri di impor-
tanza europea (Benediktbeuern in
Germania, London – Battersea in In-
ghilterra, Oswiecim – casa madre dei
salesiani in Polonia, Baku in Azer-
baijan con l’unica chiesa cattolica in
questo paese ecc.). Ci sono poi tante
belle parrocchie, dove si sente battere
il cuore di don Bosco. Sono rimasto
molto impressionato dalla casa per i
ragazzi di strada a Mosca, dalle opere
per i ragazzi con diverse difficoltà a
Dublino in Irlanda oppure da Argen-
teuil in Francia, dall’atmosfera di viva
fede nelle scuole dell’Europa Centro
ed Est, dall’entusiasmo dei salesia-
ni vivacemente presenti tra i giovani
negli oratori di Malta, dall’atmosfera
familiare nella scuola di Kenitra in
Marocco costituita totalmente dagli
allievi e docenti musulmani ecc.
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Aprile 2017

2.5 Page 15

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Movimenti populisti,
elezioni difficili, chiusure
in vari paesi che cosa
possono provocare per
i salesiani d’Europa?
Don Bosco viveva in tempi non facili.
Non possiamo meravigliarci che an-
che i nostri tempi si caratterizzino per
diverse problematiche sociali, politi-
che, educative. Senza la loro presenza
si rischierebbe di perdere il realismo
della visione e il senso della nostra
presenza carismatica. Don Bosco fu
molto chiaro nel prendere le distan-
ze dall’impegno diretto nella politica,
dicendo che la nostra politica è quella
del “Padre nostro”. Come salesiani,
ci rivolgiamo con la nostra missione
a tutti e non solo ad alcuni. Le sfide
attuali possono e devono provoca-
re i salesiani d’Europa a ripensare i
loro metodi, adattare le strutture alle
nuove esigenze e convertire i modi di
pensare per vivere “hic et nunc”. Dio
ci manda nel mondo per essere i suoi
creativi apostoli e non riproduttori del
passato. L’Europa ha bisogno del ca-
risma di don Bosco ed è molto grata
per la sua presenza.
Come realizzare
dei cammini unitari per
i salesiani della regione?
La diversità della regione fa vedere la
ricchezza del carisma salesiano: i sa-
lesiani furono all’avanguardia nell’in-
culturazione in Europa, così il nostro
carisma si è inculturato molto bene
dappertutto ed oggi è multiculturale.
Per questo come salesiani siamo chia-
mati a costruire non muri che divi-
dono, ma ponti che uniscono. Ponti
tra persone, nazioni, lingue, culture,
religioni, confessioni, generazioni,
sistemi politici. È un aspetto molto
importante per non disperdere questo
grande patrimonio della diversità.
Ed è un processo che inizia da noi
stessi. Non a caso l’ultimo Capitolo
Generale ha rivolto un forte invito
alla conversione della nostra menta-
lità. Quest’invito lo ritengo profetico,
anche se non facile, perché esiste un
nemico che si chiama individualismo.
Come sogna il futuro della
Congregazione in Europa?
Ciò che conta oggi in Europa non
sono tanto le strutture, le statistiche,
le grandi opere, ma la qualità dello
stesso cuore di don Bosco offerto ai
giovani: dobbiamo dare loro il cari-
sma salesiano in una forma bella, at-
traente, vivace, invitandoli a far parte
della nostra Famiglia. Sono sicuro
che se i salesiani e la Famiglia Sale-
siana si concentreranno su questo e
offriranno con qualità ai giovani il
cuore di don Bosco, ci sarà per l’Eu-
ropa un bel futuro. Forse migliore di
quello attuale.
Le lettere di santa Giovanna di Chantal
PER LA PRIMA VOLTA IN ITALIA
Santa Giovanna di Chantal è poco conosciuta dal pubblico italiano. Eppure, fondatrice con san Francesco
di Sales dell’Ordine della Visitazione, è un gigante della santità. Non ha scritto trattati ascetici o libri di
teologia, ma soltanto lettere. Secondo gli esperti ne ha scritte o dettate circa trentamila, di cui tremila sono
giunte fino a noi. Questo vasto epistolario ci permette di scoprire una donna affascinante. Fu sposa e madre
di quattro figli. Poi, rimasta vedova, sotto la guida del vescovo di Ginevra inizia un cammino che la porterà
a diventare religiosa, fondatrice e Madre.
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MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
3
2
1
FINO AI CO
ARGENTINA 1
La missione salesiana
tra i Mapuche
Il Chubut è una delle province
della Patagonia argentina, un vasto altopiano desertico,
con una superficie estesa e scarsamente abitata. Qui vivo-
no i Mapuche, un’etnia locale che costituisce la maggior
parte dell’intera popolazione dell’altopiano, un popolo
fiero che ha regalato alla Famiglia Salesiana uno dei più
begli esempi di santità giovanile: Zefirino Namuncurà.
I Salesiani li aiutano a migliorare le tecniche di alleva-
mento ovino, che costituisce la loro principale fonte di
sostentamento; portano avanti un progetto di perforazio-
ne e canalizzazione idrica, in un territorio in cui l’acqua
scarseggia; si occupano di tutela e difesa dell’ambiente,
in un’area in cui le risorse minerarie rappresentano un
grosso interesse per le multinazionali; organizzano corsi
di formazione professionale e attività pastorali per adulti,
giovani e bambini in diversi villaggi e accampamenti.
Oggi il referente salesiano sul territorio è don Antonio
Sánchez che, oltre a guidare spiritualmente la comunità
e a lavorare per la promozione umana dei Mapuche, si
adopera anche perché essi possano preservare e valoriz-
zare la loro identità.
A sostegno della presenza salesiana tra i Mapuche lavora
l’Associazione Missioni Don Bosco di Torino.
MADAGASCAR 2
I Salesiani al fianco dei “monelli”
Nel Centro di rieducazione di Anjanamasina, vicino alla
Capitale, Antananarivo, ci sono minori perseguiti dalla
legge, ma anche bambini che le famiglie non sono in
grado di gestire. In gergo la struttura è chiamata “Trano
zaza maditra”, cioè “Casa per i monelli”. Da due anni la
presenza dei Salesiani, insieme ai loro novizi, in questa
struttura si è intensificata.
In Madagascar la disoccupazione e la precarietà – eco-
nomica e socio-politica – costringono molte famiglie a
considerare l’educazione dei figli una questione seconda-
ria rispetto al procurarsi il cibo e far fronte alle esigenze
quotidiane. Molti bambini restano abbandonati e tanti
genitori preferiscono affidarli all’istituto correzionale
piuttosto che occuparsene.
Oggi nelle 3 stanze del dormitorio del centro di Anjana-
masina alloggiano 110-115 ragazzi, anche se potrebbero
esserne accolti al massimo 60-70; d’inverno le coperte
non bastano per tutti e l’unico vitto disponibile è il riso,
che basta appena per 80 coperti.
Oggi i Salesiani, ogni domenica e nelle feste infrasetti-
manali, distribuiscono il pasto e si dedicano all’anima-
zione ricreativa, con attività musicali, teatrali, sportive e
alla formazione spirituale con la celebrazione della messa
e dei sacramenti, il catechismo e proiezioni di carattere
religioso ed educativo; inoltre donano stoviglie, abiti,
coperte e tutto ciò di cui i ragazzi hanno bisogno.
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2.7 Page 17

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SIERRA LEONE 3
La storia di Suntia:
“Don Bosco mi ha salvato”!
Suntia è una ragazza ospite della “Casa
accoglienza per ragazze” dell’opera salesiana Don Bosco
Fambul a Freetown. È entrata in contatto con i Salesiani
quando stava attraversando un momento difficile con suo
padre. “All’epoca facevo la venditrice ambulante e chie-
devo l’elemosina per pagare l’affitto e avere da mangiare.
Ma mio padre abusava sessualmente di me”. Questa è la
storia della sofferenza e della rinascita di Suntia.
È stata un’esperienza inimmaginabile per me. Questi
abusi avvenivano quotidianamente. Io uscivo al mattino
per vendere e tornavo a casa molto tardi la sera. Se non
vendevo molto mio padre mi picchiava e mi insultava.
Non avevo il tempo per riposare e nessun famigliare con
cui sfogarmi. Questa situazione è andata avanti per pa-
recchio finché, disgustata, triste e impotente, ho pensato
che se volevo che smettesse avevo una sola soluzione:
denunciare il fatto alla Polizia. È stato lì che mi hanno
indicato Don Bosco Fambul come luogo di accoglienza e
protezione.
Sono arrivata a Fambul con il cuore spezzato e trauma-
tizzato. Ma lì la mia storia ha preso a cambiare. Avevo
il tempo per giocare e riposare, e per la prima volta nella
mia vita mi sono sentita protetta. Mi venivano dati vestiti
e le cure necessarie. Gli assistenti sociali erano come delle
madri per me, mi ascoltavano. Abbiamo parlato molto e
ho fatto una sessio-
ne di terapia che mi
ha aiutato molto.
Ho potuto usufruire
di strutture ricreative e partecipare
ad alcune escursioni, che mi hanno permesso di conosce-
re un altro mondo, con diversi colori e un nuovo signifi-
cato. Non avevo mai provato una cosa del genere in vita
mia. Ho avuto il tempo di leggere libri di scrittori diversi,
che mi hanno aiutato a sviluppare la mia intelligenza.
Ho trascorso oltre un anno nella casa per ragazze. Mia
madre, che sarebbe dovuta venire in mio aiuto, mi ha
respinto. I Salesiani hanno tentato la riunificazione con
la mia famiglia in Nigeria, ma senza risultati. Alla fine
sono stata promossa agli esami e mi sono iscritta alla
scuola secondaria, potendo contare anche sulle agevola-
zioni del programma di borse di studio “Hope+”. Così le
tasse scolastiche, la divisa, lo zaino, il materiale didattico,
il pranzo e i trasporti erano tutti già spesati. E soprattut-
to, sono proseguite le visite di accompagnamento.
Con l’aiuto di tutte queste persone, ho potuto passare l’e-
same finale con un risultato eccellente e ora sono iscritta
al corso per Assistenti Sociali presso l’Università “Fourah
Bay” della Sierra Leone.
Il mio desiderio è tornare a Fambul una seconda volta.
Questa volta, non come beneficiaria, ma come assistente
sociale, per salvare la vita di altre ragazze come me ed
essere un punto di riferimento per loro.
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2.8 Page 18

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A TU PER TU
OV.ITPÁOLRISI MGÁEBCORI
Kazincbarcika:
il piccolo grande
miracolo
La scuola in cantina
Da più di vent’anni, i Salesiani sono
presenti a Kazincbarcika, una linda
città di quasi trentamila abitanti nel
nord dell’Ungheria. Sin dal principio
abbiamo incominciato a lavorare alla
periferia della città con i più poveri,
lì dove la povertà più profonda sosti-
tuisce tutto. Abbiamo costruito una
scuola per la maggior parte degli zin-
gari-rom che richiama la povertà del
primo oratorio di Valdocco, dove l’al-
legria, la gioia, il buonumore e l’amo-
re verso Dio hanno dato la spinta per
oltrepassare le difficoltà quotidiane. Se
pensiamo solamente alla “Scuola Don
Bosco” e alla grande povertà dei primi
anni Novanta in cui si tenevano lezioni
anche nelle cantine e dove si insegnava
a leggere e a scrivere a ragazzi di 14-
15 anni che non avevano la minima
predisposizione, pochi dimentiche-
ranno quanta pazienza e amore hanno
ricevuto dagli insegnanti che hanno
insegnato loro come muovere passi
responsabili nella vita. Alcuni di essi
sono riusciti anche ad iscriversi all’uni-
versità. Cosa impensabile fino a poco
prima. Poi, come è successo nella vita
di don Bosco, molti giovani si sono
rimboccati le maniche e la scuola ha
preso il suo sviluppo, ma quella scuola
è e sarà sempre la “Scuola Don Bosco”:
l’ultima possibilità per i ragazzi più
sfavoriti.
Nel nord dell’Ungheria,
un seme minuscolo
ha dato origine ad una
magnifica pianta:
una moderna e attiva
“Cittadella Salesiana”.
Questo è il racconto
del direttore,
don Vitális Gábor.
Perché anche i più
poveri possano sognare
A metà degli anni 2000, i Salesiani
si sarebbero dovuti insediare con una
comunità stabile, anche perché fino
ad allora uno o due salesiani andava-
no saltuariamente a portare il carisma
salesiano. Grazie all’arrivo dei missio-
nari in Ungheria nel 2007, si è aperta
la comunità dedicata a san Giuseppe.
I Salesiani ora possono essere presenti
ogni giorno nella vita quotidiana dei
giovani. I fine settimana del collegio
dei ragazzi, i giochi classici salesia-
ni, il ping-pong, il calcio, lo sport e
le gite hanno formato la comunità e
il carisma salesiano si è impiantato
grazie anche alla preghiera insisten-
te. In questi anni abbiamo avuto un
buon contatto con le autorità locali e
18
Aprile 2017

2.9 Page 19

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abbiamo ricevuto un locale in disuso,
in modo da poter ampliare la scuola
professionale e aiutare altri ragazzi.
Nel 2009 è diventata la scuola più
moderna della regione, grazie anche
all’aiuto di tanti volontari e benefat-
tori. Ma dietro alla modernità sono
rimasti i giovani più svantaggiati, per
i quali la scuola non è solo un’oppor-
tunità di una vita migliore, ma signi-
fica anche comunità e casa. Il collegio
della scuola aiuta quei giovani che per
pochi giorni hanno lasciato il freddo
della loro casa, i genitori molto spes-
so aggressivi, o semplicemente quel
luogo che non li aiuta e non permette
loro di sognare nel profondo del cuore
una vita migliore.
Il muratore, il saldatore, il calzolaio, il
parrucchiere, il tipografo, l’assistente
sociale, il panettiere sono delle profes-
sioni che rappresentano un’opportuni-
tà per questi giovani per impostare il
loro futuro e una vita più dignitosa.
Dodici villaggi
Il 2011 ha portato un cambiamento
importante nella vita comunitaria,
perché la cittadinanza ci ha affidato
una delle migliori scuole della regio-
ne, che senza i salesiani sarebbe stata
chiusa. Quasi tutti gli studenti della
scuola entrano all’università e trova-
no facilmente lavoro. Dietro ai buoni
risultati degli studenti ci sono i geni-
tori, ma anche i giovani poveri che
hanno talento e trovano una grande
opportunità per il futuro perché la
scuola fornisce una buona base nel
campo della medicina, della chimica,
dell’ingegneria, delle magistrali.
Il sogno di don Bosco è completo se
oltre la scuola si trova la casa, la par-
rocchia e l’oratorio. Forse per inter-
cessione di Maria, nello stesso anno,
l’arcivescovo della diocesi ha affidato
a noi salesiani una parrocchia e una
chiesa nella città di Kazincbarcika e
altre parrocchie nei villaggi dei din-
torni.
Così ora non ci sono solo due scuo-
le, una professionale ed un liceo, ma
abbiamo anche 12 villaggi in cui por-
tare il Vangelo e il carisma salesiano.
Questa è una grande opportunità per
una popolazione matura, adulta e ben
disposta alla religiosità.
Mentre con gli studenti ci incon-
triamo solo a scuola o all’oratorio, le
parrocchie ci offrono l’opportunità
di incontrare i genitori, gli anziani, i
fratelli e sorelle, di conoscerli e aiu-
tare a migliorare le condizioni di vita
di coloro che ne hanno più bisogno.
Inizialmente, i più anziani delle par-
rocchie non capivano chi erano questi
Salesiani, ma con un lavoro serio in
5-6 anni hanno conosciuto chi è stato
A pagina precedente : Don Vitális Gábor, direttore
della “cittadella salesiana” di Kazincbarcika (foto
qui sotto) che ospita anche una fiorente scuola
professionale (foto in alto).
Aprile 2017
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2.10 Page 20

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A TU PER TU
don Bosco, tanto che coloro che non
riescono più a partecipare alle liturgie
pregano per i giovani, per le vocazioni
e per i Salesiani.
le garantisce ai nostri studenti l’edu-
cazione fisica tutti i giorni, e fornisce
quindi un’opportunità per gli studenti
delle nostre due scuole di dimostrare
il loro talento nello sport: in particola-
re nel nostro liceo i ragazzi competo-
no a livello nazionale nella pallamano
e nella ginnastica. Nel pomeriggio,
il centro sportivo è aperto in primo
luogo per le squadre di pallavolo e di
pallamano della città, ma i giovani e
coloro che desiderano rilassarsi pos-
sono trovare varie possibilità come lo
squash, il bowling e una palestra per
fare ginnastica.
Il nuovo oratorio ha uno stile moder-
no, ma è luogo d’incontro e ritrovo
per tutti, per chi crede e chi non cre-
de, per chi è povero e chi è abbiente,
per tutti coloro che semplicemente
cercano lo svago e il divertimento in
modo sano. Così il centro della cit-
tà è e sarà sempre più salesiano. Una
piccola Valdocco dove non si vuole di-
menticare da dove abbiamo iniziato,
ma abbiamo sempre la voglia di fare
qualcosa di buono per coloro dai quali
siamo mandati con la nostra missione.
Il nostro segreto
Il segreto sta nel fatto che abbiamo
avuto un grande sognatore, il nostro
padre don Bosco, che ci ha lasciato
non solo delle idee geniali, ma anche
il coraggio di sognare e di dire di sì
al grande progetto di Dio. Speriamo
che la protezione materna di Ma-
ria Ausiliatrice continui a sostener-
ci perché attualmente noi Salesiani
viviamo in due luoghi diversi tra la
parrocchia e la scuola. Il nostro de-
siderio più vivo è costruire in futuro
tra la chiesa, la parrocchia e il centro
sportivo la comunità religiosa in cui
formare una casa ed essere veramen-
te famiglia.
Un Oratorio moderno
e aperto a tutti
I fedeli ci sono sempre stati vicini e
hanno sempre voluto aiutarci, per
questo abbiamo potuto costruire un
oratorio moderno, uno spazio comu-
nitario che possa raccogliere tutti i
nostri giovani. Così nell’autunno del
2015 abbiamo iniziato a costruire con
l’aiuto dello Stato ungherese il Centro
Sportivo Don Bosco, la cui costruzio-
ne è stata completata nell’autunno del
2016. Questo edificio multifunziona-
Muratore, saldatore, calzolaio, parrucchiere,
sarta, tipografo: la scuola salesiana offre
possibilità concrete di futuro ai giovani più
abbandonati.
20
Aprile 2017

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Benvenuti
a Vienna
Hotel Estivo Don Bosco
Posizione centrale
dal 2 luglio al 29 settembre
• 4 notti e colazione
• Il pagamento può essere effettuato con
carta di credito (VISA e Mastercard)
Don Bosco Haus
Vicino al castello di Schönbrunn
aperto tutto l’anno
• pernottamento e colazione in camera doppia
• Il pagamento può essere effettuato con
bancomat o carta di credito
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Aprile 2017
21

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SPIRITUALITÀ
B. F.
I quattro consigli anti stress
In un incontro a cuore aperto, papa Francesco
rivela il segreto della sua serenità e del
suo sorriso pacato nonostante il peso gravoso
delle responsabilità e l’assedio quotidiano
delle questioni, dei contrasti, delle polemiche.
Sono i consigli che segue egli stesso
per «essere sempre in pace».
1. Un po’ di relativismo
all’“italiana”
Qual è la sorgente della mia serenità? No, non
prendo pastiglie tranquillanti! Gli italiani dan-
no un bel consiglio: per vivere in pace ci vuole
un sano menefreghismo. Io non ho problemi nel
dire che questa che sto vivendo è un’esperienza
completamente nuova per me. A Buenos Aires
ero più ansioso, lo ammetto. Mi sentivo più teso
e preoccupato. Insomma: non ero come adesso.
Ho avuto un’esperienza molto particolare di pace
profonda dal momento che sono stato eletto. E
non mi lascia più. Vivo in pace. Non so spiegare.
Per il conclave, mi dicono che nelle scommesse
a Londra ero nella posizione 42 o 46. Io non lo
prevedevo affatto. Ho pure lasciato l’omelia pron-
ta per il Giovedì santo. Nei giornali si diceva che
ero un king maker, ma non il Papa. Al momento
dell’elezione io ho detto semplicemente: «Signo-
re, andiamo avanti!». Ho sentito pace, e quella
pace non se n’è andata.
E se ci fossero critiche? «È bene essere
criticato – afferma il Papa –, a me
piace questo, sempre. La vita è fatta
anche di incomprensioni e di tensioni. E quan-
do sono critiche che fanno crescere, le accetto,
rispondo».
2. Rivolgersi a san Giuseppe
Nelle Congregazioni Generali si parlava dei pro-
blemi del Vaticano, si parlava di riforme. Tutti le
volevano. C’è corruzione in Vaticano. Ma io sono
in pace. Se c’è un problema, io scrivo un biglietto
a san Giuseppe e lo metto sotto una statuetta che
ho in camera mia. È la statua di san Giuseppe che
dorme. E ormai lui dorme sopra un materasso di
biglietti! Per questo io dormo bene: è una grazia
di Dio. Dormo sempre sei ore. E prego. Prego a
mio modo. Il breviario mi piace tanto e mai lo la-
scio. La Messa tutti i giorni. Il rosario... Quando
prego, prendo sempre la Bibbia. E la pace cresce.
Non so se questo è il segreto.
La mia pace è un rega-
lo del Signore. Che
non me la tolga!
Credo che cia-
scuno debba
trovare la ra-
dice dell’e-
lezione che
il Signore ha
fatto su di lui.
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3.3 Page 23

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di papa Francesco
Ma mai lavarsi le mani dai problemi! Sì, nella
Chiesa ci sono i Ponzio Pilato che se ne lavano le
mani per stare tranquilli. Ma un superiore che se
ne lava le mani non è padre e non aiuta.
3. L’ascesi a giuste dosi
Persino l’ascetica può essere mondana. E inve-
ce deve essere profetica. Quando sono entrato
nel noviziato dei gesuiti, mi hanno dato il cili-
cio. Va bene anche il cilicio, ma attenzione: non
deve aiutarmi a dimostrare quanto sono bravo e
forte. La vera ascesi deve farmi più libero. Credo
che il digiuno sia una cosa che conservi attua-
lità: ma come faccio il digiuno? Semplicemente
non mangiando? Santa Teresina aveva anche un
altro modo: mai diceva cosa le piaceva. Non si
lamentava e prendeva tutto quello che le davano.
C’è un’ascesi quotidiana, piccola, che è una mor-
tificazione costante. Mi viene in mente una frase
di sant’Ignazio che aiuta a essere più liberi e fe-
lici. Lui diceva che per seguire il Signore aiuta la
mortificazione in tutte le cose possibili. Se ti aiu-
ta una cosa, falla, anche il cilicio! Ma solamente
se ti aiuta a essere più libero, non se ti serve per
mostrare a te stesso che sei forte.
4. Non essere attaccati ai soldi
Non nascondo che poi ci sono tanti altri proble-
mi a un terzo livello, legato alla gestione econo-
mica. I problemi vengono quando si toccano le
tasche! Penso alla questione dell’alienazione dei
beni. Con i beni dobbiamo essere molto delicati.
La povertà è midollare nella vita della Chiesa. Sia
quando la si osserva, sia quando non la si osserva.
Le conseguenze sono sempre forti. Forse non c’è
il tempo per una risposta molto articolata e fac-
cio affidamento alla vostra sapienza. Fatemi dire
però che il Signore vuole tanto che i religiosi sia-
no poveri. Quando non lo sono, il Signore manda
un economo che porta l’Istituto in fallimento!
Una volta accadde che una suora economa svenne
e una consorella disse a chi la soccorreva: «Passa-
tele sotto il naso una banconota e certamente si
riprenderà!».
A metà dell’incontro si è avuta una pausa.
Era stata preparata una saletta riservata per
il Papa, ma lui ha esclamato: «Perché mi volete
far stare tutto da solo?». E così la pausa ha visto
il Papa gioiosamente tra i presenti a prendere
un caffè e uno spuntino, salutando l’uno e l’altro.
«La vita è così piena di sorprese. Per capire
le sorprese di Dio bisogna capire le sorprese
della vita». Prima di lasciare l’Aula, ha salutato
tutti con queste parole: «Andate avanti con
coraggio e senza paura di sbagliare! Quello
che non sbaglia mai è quello che non fa nulla.
Dobbiamo andare avanti! Sbaglieremo, a volte,
sì, ma c’è sempre la misericordia di Dio
dalla nostra parte!».
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3.4 Page 24

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LE CASE DI DON BOSCO
OFR. APNOCREI SMCEOCMOIARCOCCIO
Una villa tutta “casa e famiglia”
Frascati “Villa Sora”
«Sono qui per il riadattamento di questo locale,
che un giorno sarà forse il migliore che
la Congregazione possiede in Italia.
Conviene vedere per farsene un’idea».
(Don Giulio Barberis)
V illa Sora è una delle Ville Tuscolane
della prima metà del secolo. In
origine c’era solo una piccola torre lun-
go la strada che da Roma conduceva a
Frascati, immersa nella tranquillità del-
la natura tra vigneti e coltivazioni. La
villa fu ampliata nella seconda metà del ’500 e
vide la presenza di uomini illustri (il cardinale
Moroni, il papa Gregorio XIII, san Carlo Bor-
romeo) che vennero a cercarvi, a seconda delle
personalità e dei tempi, raccoglimento e distacco
dal mondo, volti alla contemplazione di Roma.
Essere nella Villa voleva dire mostrarsi eredi de-
gli antichi, dedicarsi agli otia e ai piaceri della vita
agreste. Gli affreschi del salone principale, opera
della bottega del Cavalier d’Arpino, celebrano le
Muse, protettrici della cultura, perché Giacomo
Boncompagni, primo duca di Sora e proprietario
Una veduta
panoramica
dell’opera
salesiana,
costruita
intorno ad una
splendida villa
del sedicesimo
secolo.
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della Villa, riteneva di essere il loro protettore. È
singolare coincidenza che in questa villa cinque-
centesca oggi sorga una scuola che trae ancora
alimento dalla cultura antica per preparare ai ne-
gotia della vita moderna.
Don Bosco a Frascati
In uno dei suoi venti viaggi a Roma don Bosco
visitò due volte Frascati, una di queste l’8 febbraio
1867, passò davanti a Villa Sora, diretto verso l’e-
remo dei Camaldolesi di Monte Corona. È bello
ascoltare dalla testimonianza scritta del giovane
salesiano Giovanni Battista Francesia i particola-
ri di quella visita: “Appena i religiosi seppero che
don Bosco si avvicinava, gli andarono incontro
alla distanza di un miglio. A Camaldoli eravamo
tra fratelli. Io che non aveva mai veduto quella
sorte di monaci, guardava estatico e riverente
quella lunga barba, quella fronte calva, la faccia
macilente e quello sguardo si’ sereno e celeste di
que’ solitari. All’arrivo di don Bosco si inginoc-
chiarono per terra, domandarono la sua benedi-
zione e lo introdussero quasi in trionfo in Chiesa.
Quali emozioni! Già la fama della sua virtù l’ave-
va preceduto, ed i buoni eremiti nel loro religioso
affetto avevano congiurato contro di lui, per farlo
fermare tra loro nella notte. Don Bosco però ri-
spondeva di non poter accettare quel caro invito,
perché doveva andare a pranzo dal Principe Fal-
conieri, il quale in quel giorno per fare onore a don
Bosco aveva fatto invito a molti. Il superiore del
convento insisteva, don Bosco continuava nella
sua riposta negativa. Avevano un loro confratello
già sano e buono assai ed ora era caduto infermo
che delirava in modo spaventoso. Desideravano
che lo visitasse, gli ponesse addosso la sua bene-
detta medaglia, e lo guarisse almeno nella mente.
Che fecero? Sanno che colla preghiera si ottiene
tutto. Quindi benché don Bosco avesse deciso di
partire ed il suo segretario s’impazientisse, il Su-
periore esclamò: “Vedremo se il Signore mi farà
la grazia che don Bosco mi nega: e mandò i suoi
monaci davanti al SS. Sacramento”. Colle braccia
aperte si posero tutti a pregare ai piedi del Taber-
nacolo, perché Iddio facesse decidere il suo Servo
a pernottare in quella pia solitudine. Don Bosco
intenerito disse allora: “non sia mai detto che io
neghi ciò, di che vien supplicato Gesù.”
I Salesiani a Villa Sora
I Salesiani arrivarono a Frascati nel 1896 per di-
rigere il seminario diocesano, dopo tre anni si
ritirarono dalla direzione, ma rimasero nel ter-
ritorio tuscolano acquistando nel 1900 Villa Sora
grazie ad un finanziamento della mamma di don
Conelli, primo direttore dell’opera, e aprendo un
collegio. Il direttore del tempo, in una lettera del
1901 a don Giulio Barberis, scrive: “Io sono qui
avvolto in una vita quasi esclusivamente materia-
le per il riadattamento di questo locale, che un
giorno sarà forse il migliore che la Congregazio-
ne possiede in Italia. Conviene vedere per farsene
un’idea”. L’istituto, destinato a ragazzi provenien-
ti da “famiglie di civile condizione” di Frascati
Sopra: Anche il
direttore in campo
con i ragazzi. Villa
Sora offre ampi
spazi per il gioco e
la gioia collettiva.
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LE CASE DI DON BOSCO
proprio al collegio dei salesiani. Anche negli anni
a seguire e di recente, molte vocazioni secolari, re-
ligiose e salesiane sono passate per Villa Sora e gli
stessi attribuiscono agli anni vissuti in questa casa
salesiana un ruolo fondamentale per la scoperta
della propria vocazione.
In questa
casa studiò il
beato Zeffirino
Namuncurá e
in una piccola
camera abitò il
cardinal Cagliero,
primo vescovo
salesiano,
nominato vescovo
di Frascati.
e di Roma, iniziò con un ginnasio e una scuola
elementare privati.
Il collegio vide la presenza del beato Zeffirino
Namuncurà nell’anno scolastico 1904-05 con il
grande desiderio di “studiare per essere utile alla
sua gente” e diventare salesiano sacerdote, ma la
sua salute peggiorò velocemente, fu ricoverato in
ospedale e morì a causa della tubercolosi. Il cardi-
nale Giovanni Cagliero, primo vescovo salesiano,
nominato vescovo di Frascati, scelse di dimorare
a Villa Sora in una camera con un piccolo studio
per lui adibito.
È importante notare che la grandissima maggio-
ranza del clero tuscolano è uscito da Villa Sora,
come sottolinea don Chiari, preside dell’Istituto:
dall’anno scolastico 1927-28 fino al 1935 i giovani
seminaristi vennero affidati per gli studi ginnasiali
Il presente e il futuro
Oggi Villa Sora vede la presenza della scuola
media, del liceo classico, del liceo scientifico, del
liceo economico sociale con circa 600 studenti,
60 docenti, 13 salesiani. La sfida maggiore che si
trova ad affrontare è quella di stare al passo con
i tempi attingendo alla tradizione ultracentenaria
e adeguandola alla necessaria innovazione che ri-
chiedono la cultura e la scuola odierne.
Con il decreto “Buona scuola” del governo Renzi
c’è stato un cambio di docenti laici mai visto in
precedenza, 45 docenti su 60 sono stati assunti
dalla scuola dello Stato e sono stati sostituiti da
giovani docenti. Le giovani leve di insegnanti sono
state scelte in base alla solida preparazione cultu-
rale e alla vicinanza al carisma salesiano, l’impatto
sulla qualità della scuola, sulle attese delle famiglie
e sui bisogni degli studenti è stato messo alla prova
e, per ora, lo sta affrontando egregiamente.
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I salesiani sono chiamati a raccogliere la sfida di confrontare
la propria identità di educatori anche in rapporto a famiglie
‘di civile condizione’ che rappresentano per i figli un ambito
di riferimento affettivo ed educativo già solido
A questa situazione si somma la crisi economica
con le conseguenti difficoltà di numerose fami-
glie del ceto medio a sopportare il pagamento
di una retta scolastica, la denatalità che vede già
nelle classi delle scuole elementari paritarie una
notevole diminuzione di alunni, l’offerta forma-
tiva sempre più competitiva delle altre scuole su-
periori che cercano attraverso le loro proposte di
conquistare sempre più studenti.
La domanda sorge spontanea: è ancora valida la
proposta educativa di Villa Sora? Riuscirà a reg-
gere le sfide odierne? Credo che la formazione
intellettuale e morale cristiana di tanti giovani
rimanga l’obiettivo centrale dei Salesiani e nello
stesso tempo il bisogno impellente delle famiglie,
che si rivolgono a noi, e della società odierna.
Per realizzare questo stiamo cercando di mettere
in atto un progetto culturale ed educativo su due
assi portanti: un’antropologia della donazione,
cioè un’idea di uomo che si realizza donando se
stesso e non accumulando per sé e una casa dove
svolgere attività sportive, teatrali, culturali, per
vivere cammini di gruppo. Avvertono un clima
di amicizia e accoglienza, non si sentono dei nu-
meri. Creare una scuola che sia casa dove i gio-
vani si sentano amati, come ci ha insegnato don
Bosco, è una condizione che difficilmente una
«Vediamo molti
alunni felici di
venire a scuola,
di studiare con
impegno e di
prepararsi al
futuro».
si vivono relazioni nello stile di famiglia.
scuola dello stato è in grado di realizzare, an-
Vediamo molti alunni felici di venire a scuola, di che se sarebbe auspicabile che lo facesse. A Villa
studiare con impegno e di prepararsi al futuro. Sora con il protagonismo dei giovani, l’entusia-
Solida preparazione culturale ed educazione delle smo dei docenti, l’incoraggiamento e la collabo-
virtù sono anche oggi gli ingredienti che favori- razione delle famiglie, l’impegno dei Salesiani
scono la crescita di un uomo completo (buon cri- sta continuando a creare una scuola che sia casa,
stiano e onesto cittadino).
parrocchia e cortile.
Il secondo asse è il clima di famiglia, unica con- Un biglietto autografo di don Rua al primo di-
dizione che permetta un processo educativo. I rettore di Villa Sora recita: “il Signore non man-
giovani sentono Villa Sora come casa, molti di cherà di benedirvi, se sarete fedeli nel servirlo”. È
loro si fermano anche il pomeriggio per studia- questo l’augurio per la casa salesiana che vi abbia-
re nelle due biblioteche o nelle aule studio, per mo raccontato.
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FMA
MEMAIRLIA ADNI MTOANSISAIMCHOINELLO
Svegliarsi con Quando offriamo loro da
mangiare, con grande
sorpresa, rifiutano
i raggi del sole! gentilmentedicendo:
“Suora, ho già mangiato,
sono venuto a salutarvi”.
A Mansa, nello Zambia,
Salesiani e Salesiane
lavorano insieme
in perfetta sintonia
con un popolo gentile.
Molti avvenimenti sono
stati vissuti, tanto è sta-
to sperimentato, soppor-
tato in silenzio, eppure,
sorprendente, il volto di
tanti irradia comunque
gioia: un bambino africano saluta la
giornata con un sorriso e con un sorri-
so affronta il giorno davanti a lui, an-
che se non ha avuto nulla per placare
la fame; i suoi occhi comunicano una
ricchezza interiore. Davvero le per-
sone più gioiose sono spesso quelle
che più soffrono e che non possiedo-
no quasi nulla delle ricchezze della
terra. Questo è ciò che caratterizza la
gente dell’Africa, ed è la loro fede, la
loro speranza e la loro gioia. La spe-
ranza che non si esaurisce è evidente
nel popolo africano, e in particolare
nel popolo di Mansa (capoluogo del-
la provincia di Luapula, in Zambia),
una provincia ricca di fiumi, di ca-
scate, di laghi e di zone umide. La
mancanza di lavoro e d’industrie è
un problema serio dal 1994, quan-
do la fabbrica della batteria è sta-
ta chiusa e le opportunità di lavoro
sono diventate ancora più scarse. La
provincia pratica una forma di agri-
coltura di sussistenza e la pesca per
guadagnarsi da vivere, ma come tra-
scorrono le giornate, in particolare
nella missione delle Figlie di Maria
Ausiliatrice? Lo abbiamo chiesto a
suor Stella Chilupula.
Ogni mattina ci si sveglia con una
brezza fresca e con i raggi del sole che
profetizzano la bella missione che ci
attende, la missione che Dio affida
alle nostre mani. Quando, lentamen-
te, apro la finestra della mia camera,
sono accolta dalla luce solare: mi dà
gioia e speranza per vivere in pienezza
la giornata! Nella missione non finia-
mo mai di lavorare, perché il lavoro
è sempre in abbondanza! I bambini e
i giovani vengono molto volentieri a
casa nostra, da soli e spontaneamen-
te, chiedendoci di essere super crea-
tive; non vengono per avere cibo ma
perché hanno il desiderio di vivere
l’esperienza dell’educazione mediante
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qualcuno che sia una guida per la loro
crescita umana e cristiana. Quando
offriamo loro da mangiare, con gran-
de sorpresa, rifiutano gentilmente di-
cendo: “Suora, ho mangiato già, sono
venuto a salutarvi”.
Vivere nella missione mi ha fatto ca-
pire che lo sguardo solo esterno non
basta: contano una presenza di quali-
tà, l’ascolto, la vicinanza che porterà a
scoprire la vera necessità in un bambi-
no, in un giovane, nelle persone che si
incontrano quotidianamente.
Lasciarli pescare o non?
La nostra scuola a Mansa è iniziata
in modo molto semplice, nei locali
di una parrocchia, utilizzando de-
gli uffici come aule, mentre gli altri
studenti stavano imparando sotto
un grande albero, in modo creativo,
A Mansa, in Zambia, le Figlie di Maria Ausiliatrice
e i Salesiani hanno conquistato la fiducia e la
collaborazione dei genitori degli alunni.
Così la scuola è una vera famiglia.
usando le pietre come sedie. Il desi-
derio dei bambini di frequentare la
scuola è stato fortissimo, venivano in
gran numero. Attualmente ogni clas-
se è composta dai 40 ai 45 studenti;
durante il periodo estivo, siamo state
sorprese di trovare alcune classi quasi
vuote, senza studenti. Non conoscen-
do la cultura e le attività del luogo, e
non avendo studiato bene l’ambiente,
abbiamo domandato ad alcuni stu-
denti dove fossero gli altri, il perché
di tale assenza, ed hanno risposto:
“Sono andati a pescare e faranno ri-
torno a casa quando il periodo della
pesca sarà finito”.
Che cosa fare? Abbiamo invitato i
genitori a far parte del nostro sogno
incoraggiandoli ad assumere un ruolo
attivo e a collaborare alla formazione
e all’educazione dei loro figli. La sfi-
da sembra che sia stata accolta, è stata
davvero un successo, considerando
che la gente del posto difficilmente
accetta lo straniero che, in qualche
modo, cerca di far parte della loro
vita. Così, anche per imparare ad in-
serirci maggiormente nella cultura,
abbiamo intensificato le relazioni con
i genitori attraverso le visite familiari,
conquistandone la fiducia e la colla-
borazione educativa.
Mal d’Africa
Le Figlie di Maria Ausiliatrice con-
dividono la passione educativa sia
con i Salesiani sia con la comunità
educante, infatti insieme si organiz-
za l’oratorio, la formazione degli in-
segnanti, radicando gradualmente il
carisma salesiano nella terra africana
che, così, può trovare nella missione
la scuola materna, i corsi professionali
ed il centro di pastorale giovanile. Vi-
vere la missione, ci dice con convin-
zione suor Stella, significa essere un
docile strumento nelle mani di Dio;
come scriveva san Paolo, “pur essen-
do libero da tutti, mi sono fatto servo
di tutti” (1Cor 9,19). Sì, fare tutto il
possibile per essere a servizio di tut-
ti, ma la cosa più importante è essere
sempre gioiosi per educare i bambini
e dare loro un esempio, anche e so-
prattutto attraverso la realtà semplice
di tutti i giorni, solo apparentemente
scontata, e questo indipendentemente
dal ruolo che si ha, perché si educa se
si lascia una piccola impronta nel cuo-
re dei bambini. Nel linguaggio co-
mune, sappiamo che con l’espressione
mal d’Africa si indica la sensazione di
nostalgia di chi ha visitato l’Africa e
desidera tornarci… Forse, in chi non
ci è mai stato, leggendo la testimo-
nianza che ci è stata regalata, nasce il
desiderio di andarvi.
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3.10 Page 30

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CENTENARIO
P. B.
Quando i sogni
mettono
le
ali
Il 20 maggio le oltre
1300 Volontarie di Don
Bosco (VDB) in tutto
il mondo ricordano il 100o
anniversario della loro
fondazione da parte del
beato don Filippo Rinaldi.
«Definisco la vita di
una VDB e soprattutto
la sua secolarità
consacrata salesiana
come un’avventura
quotidiana con Dio».
(Olga Krizova, Responsabile
Maggiore dell’Istituto)
F are memoria è e deve essere,
sì un ricordare ciò che è stato,
ma, ricchi dell’esperienza fat-
ta, soprattutto un proiettarsi
al futuro, un voler costruire
con rinnovato entusiasmo.
È ciò che il prossimo 20 maggio si
preparano a fare le oltre 1300 Volon-
tarie di Don Bosco ( ) in tutto il
mondo, ricordando il 100° anniversa-
rio della loro fondazione da parte del
beato don Filippo Rinaldi.
Incontro alcune di loro nel cortile
di Valdocco a Torino, sotto la statua
di don Bosco, con la curiosità di chi
vuol scoprire un pianeta sconosciuto.
Vengono da varie parti del mondo e
sono lì per ripercorrere le orme di don
Bosco e don Rinaldi in questo anno
centenario del loro Istituto Secolare.
Una domanda, innanzitutto, per co-
noscerci meglio: «Perché nessuno di
voi si presenta come Volontaria di
Don Bosco? La vostra scelta è avvolta
da un segreto?... Perché?»
È Giulia S., 27 anni, impiegata, che
sfoderando un bel sorriso, prende per
prima la parola.
«Nessun segreto. Noi teniamo soltan-
to un responsabile riserbo sulla nostra
scelta vocazionale perché vogliamo
vivere tra le persone senza nulla che
possa distinguerci, separarci o farci
apparire come lontane dalla loro vita.
È vero che nel nostro ambiente non
diciamo della nostra scelta di spe-
ciale consacrazione, ma lo facciamo
per poter operare meglio e più libe-
ramente. Vede, noi siamo inserite nei
più svariati ambienti, alcuni anche
refrattari ai valori cristiani; non è
importante presentarci come persone
che hanno fatto i voti e appartengono
ad un Istituto Secolare: non ci capi-
rebbero o forse ci rifiuterebbero senza
nemmeno provare a capire. Per noi è
importante “esserci” e vivere determi-
30
Aprile 2017

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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nati valori per permettere a Cristo di
trasformare ogni ambiente. Noi sia-
mo delle laiche che non nascondono
la loro scelta cristiana, pur non osten-
tandola, e che vogliono incontrare
ogni persona nella normalità della
vita di ogni giorno».
Una vita donata a tutti
«Volete raccontarmi qualcosa in più
del vostro Istituto? Avete detto che
fate i voti, ma come li vivete?»
«Non viviamo sotto lo stesso tetto
perché non abbiamo vita di comu-
nità – interviene Carla F., 42 anni,
insegnante – ma siamo collegate tra
noi: ci incontriamo per i momenti
di formazione e di fraternità, ci con-
frontiamo nei gruppi e con le nostre
responsabili, viviamo in comunione
e ci sosteniamo l’una con l’altra per
vivere fedelmente la nostra vocazione.
I voti? Le spiego: noi siamo laiche e
attraverso la professione dei voti di
castità, povertà e obbedienza vissuti
nel quotidiano, vogliamo testimonia-
re al mondo che è possibile donare la
vita pienamente, che è bello scegliere
di amare in modo libero e liberante».
«Sì – interrompe Laurinda C., 51
anni, infermiera – per noi vivere la
castità consacrata è amare tutti con
cuore libero, offrendo tenerezza e di-
sponibilità, soprattutto agli ultimi; vi-
vere la povertà è amministrare i nostri
beni secondo i valori evangelici; parlo
del denaro che guadagniamo con il
nostro lavoro, ma anche delle quali-
tà, delle capacità, del nostro tempo,
sapendo mettere in comune, sapendo
condividere con solidarietà, assumen-
do uno stile di sobrietà in alternativa
ad una mentalità di consumismo. E
viviamo l’obbedienza innanzitutto a
Dio, che ci chiede di “rispondere” al
mondo che ci interpella; alle Costitu-
zioni, che ci indicano il cammino; ai
segni dei tempi, alle istanze e ai biso-
gni che emergono nel nostro ambien-
te. E in spirito di obbedienza viviamo
i nostri rapporti di lavoro, i nostri do-
veri di cittadine, di contribuenti».
Salesiane in ogni
momento della vita
Tania A., 62 anni, pensionata, che
fino a questo momento era rimasta ad
ascoltare, interviene: «Vorrei sottoli-
neare un aspetto non secondario nella
nostra scelta: l’Istituto ha una
spiritualità propria, quella salesiana.
Noi siamo state fondate da don Fi-
lippo Rinaldi, terzo successore di don
Bosco, e la nostra spiritualità ci porta
ad avere una predilezione per i gio-
vani, soprattutto quelli più bisognosi;
viviamo la spiritualità dell’incarna-
zione, che ci permette di camminare
insieme a loro con cuore di educatri-
ci; una spiritualità che ci fa guardare
ogni cosa con ottimismo, che ci fa
vivere con gioia, con familiarità, con
concretezza, con dinamismo; che ci fa
pregare con i piedi ben piantati nella
storia e ci fa scoprire Dio nel volto di
ogni uomo».
«Un momento – la fermo. – Così siete
tutte impegnate con i giovani?»
«Sì tutte, naturalmente. – riprende
Tania A. – Abbiamo età diverse e an-
che se non tutte animiamo gruppi di
giovani, ma solo chi ne ha la possibi-
lità, tutte guardiamo a loro e ci im-
pegniamo per loro: c’è chi si occupa
dei giovani direttamente e chi indi-
rettamente, formando gli educatori,
per esempio, i genitori, i catechisti. E
c’è chi è attivamente impegnata nella
preghiera per loro. Ma voglio dire
anche: noi siamo salesiane in ogni
momento della nostra vita, nel nostro
modo di relazionarci, di essere, in-
somma, e non solo per le attività che
svolgiamo».
Le guardo negli occhi e mi colpisce la
loro carica di entusiasmo, anche se nel
volto di qualcuna sono evidenti delle
rughe.
«A sentirvi tutto sembra facile e bel-
lo, ma non incontrate mai delle dif-
ficoltà?»
«Forse le sembrerà scontato quello che
le dico, – interviene Maria del Carmen
S., 37 anni, assistente sociale – ma
quando si fa una scelta d’amore, tutto
è bello. Certo ci sono anche le diffi-
Aprile 2017
31

4.2 Page 32

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CENTENARIO
coltà, i momenti di buio, ma in quale
vocazione si è esenti dalle difficoltà? Il
nostro, come quello di ognuno, è un sì
che si ripete ogni giorno, che matura
man mano che si va avanti. Dipende
da noi non fare “appassire” la nostra
vita, rinnovarla ogni giorno, valoriz-
zando ogni tappa della nostra esisten-
za, avendo il coraggio di sognare una
società più giusta e più umana».
Continuare a sognare
«Sì, sognare un mondo migliore, un
mondo con uguali possibilità per tut-
ti, dove la persona venga rispettata
non per quello che ha, ma perché è
la più preziosa creazione di Dio» con-
clude Wilma M., contabile, 41 anni.
«Il prossimo 20 maggio festeggerete
i cento anni della vostra fondazione.
Voi Volontarie siete presenti in vari
Paesi del mondo ed avete la pelle non
solo bianca, ma anche nera, gialla.
Dove vi trovate esattamente e quante
siete? E ancora un’ultima domanda:
Che cosa vorreste dire alle giovani?»
chiedo con un pizzico di curiosità.
È Monique D., 29 anni, cassiera, a
parlare.
«Il nostro Istituto è presente in vari
Continenti. Io, come vede, vengo
dall’Africa, ma c’è chi arriva da vari
Paesi dell’Asia, chi dall’America La-
tina. Siamo oltre 1300. Cento anni fa
don Rinaldi ha proposto questo stile
di vita consacrata, totalmente nuovo
nella Chiesa di quel tempo, a tre ora-
toriane di Torino, dando forma a quel
sogno di don Bosco d’inviare i suoi
figli in tutti gli ambienti per annun-
ciare Cristo, ed oggi siamo in tante
a condividere quel sogno e a trasfor-
marlo in realtà.
Ai giovani vorrei comunicare la gioia
della mia esperienza e dire: se vi met-
tete in ascolto e dentro di voi sentite il
desiderio di impegnare la vostra vita
nell’amore, non abbiate paura, sappia-
te farvi dono e troverete la gioia. Date
ali ai vostri sogni!»
Intanto Silvia, 45 anni, medico, im-
braccia la sua chitarra e intona una
canzone, mentre le altre si uniscono al
coro: «Se si sogna da soli è soltanto un
sogno, se si sogna insieme è una real-
tà che comincia! A noi piace sognare!
Noi vogliamo sperare! Noi scegliamo
di amare!».
Le ascolto e mi rendo conto di quanto
il loro messaggio sia urgente e attuale
in una società che ha rinunziato ai so-
gni e si accontenta di piccoli orizzonti.
Le vedo lì, ai piedi di don Bosco, il
Grande Sognatore che ha saputo con-
tagiare loro e tutta la grande famiglia
carismatica salesiana con la sua voglia
di trasformare i sogni in realtà.
Sono certa che queste donne a cui
piace sognare un mondo migliore, più
umano, più solidale e fraterno, sapran-
no, ognuna nel proprio quotidiano, se-
guire le orme del Santo dei giovani.
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Aprile 2017

4.3 Page 33

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Il tuo 5×1000
La Fondazione DON BOSCO NEL MONDO per l’emergenza alimentare in Ecuador
Con il 5×1000 nel 2016 la Fonda-
zione
ha
finanziato il progetto “Sicurezza ali-
mentare per bambine, bambini e ado-
lescenti di Guayaquil” in Ecuador il
cui obiettivo è stato garantire l’acces-
so alla salute e contribuire alla ridu-
zione del rischio della vita in strada di
620 bambine, bambini e adolescenti
delle periferie della città.
L’aggravarsi dello stato d’insicurezza
alimentare è stato generato dal sisma
che ha colpito l’Ecuador nel 2016 e
ha costretto centinaia di bambini e di
ragazzi delle aree più problematiche
della città di Guayaquil a non dispor-
re di cibo sufficiente e di risorse per la
salute psico-fisica.
Grazie ai sostenitori delle missioni
salesiane è stato possibile realizzare
A te non costa nulla, a tanti cambia la vita.
PARTECIPA ANCHE TU!
il programma annuale di acquisto,
stoccaggio e distribuzione dei beni
alimentari attraverso la preparazione
di 620 pasti bilanciati e completi ogni
giorno per un anno, accompagnare i
bambini e i ragazzi nel programma
annuale di visite mediche presso gli
ambulatori dei centri di salute e, in-
fine, è stato possibile fornire loro sup-
porto scolastico con il coinvolgimento
dei genitori sensibilizzati.
La maggior parte dei bambini e degli
adolescenti che fanno riferimento ai
quattro Centri di accoglienza salesia-
ni vive per strada a causa dell’allon-
tanamento da casa e dalle famiglie
di origine per tutti quei motivi che
minacciano il loro benessere fisico,
psichico ed emotivo: povertà, esclu-
sione sociale, violenza, mancanza di
coesione e affetto.
La devoluzione del 5×1000 alla Fon-
dazione
ha
permesso a tutti ancora una volta di
essere al fianco dei Salesiani di don
Bosco nei 132 paesi in cui operano
con amore e dedizione per proteggere
l’infanzia più vulnerabile e a rischio,
guidati dall’esempio e dall’insegna-
mento di don Bosco.
Marcella Orsini
Fondazione DON BOSCO NEL MONDO,
via della Pisana 1111, 00163 Roma
Tel. +39 06/65612663
www.donbosconelmondo.org

4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Per una pedagogia consapevole
Anche nell’arte di educare l’interrogativo ha un ruolo
fondamentale. Il buon senso non basta, è meglio
riflettere come ci sollecitano i quattro interrogativi
di questo nostro incontro mensile.
Bambinocentrismo?
Lo statunitense William Damon, docente
universitario, in una documentata ricerca
individua la radice dei mali della nostra società
nella cosiddetta cultura dell’indulgenza, nella cultura,
cioè, che iperprotegge i bambini, togliendo loro ogni
senso di limite di responsabilità delle proprie azioni.
In una parola, la radice del male dell’attuale società
sarebbe da individuare nel bambinocentrismo.
Che ne dite?
Svitare e rimontare
la testa ai genitori?
Che ne pensate dell’opinione che lo
scrittore Luca Goldoni esprimeva già
fin dal 1980?
«Bisognerebbe svitare e rimontare la
testa ai genitori: non molto tempo fa
smaniarono per i concorsi di bellezza
e Luchino Visconti fece il film “Bel-
lissima”.
Adesso sognano la figlia sul podio.
Visconti non ha fatto in tempo a gira-
re “Fortissima”.
Bisogna spiegare a questi genitori che
se i danesi sono famosi perché hanno
inventato il suino-spider, cioè lungo il
doppio di quelli normali, così fanno
più cotechini, è meno lecito fabbricare
bambine polpose. Fomenterò l’insurre-
zione delle fanciulle-attrezzo, le istighe-
rò a scrivere nella lettera di Natale che
si mette sotto il piatto: “Se sarò buona,
non mi manderete più in palestra?”.
Lasciamo che almeno i bambini si
inventino la vita come piace loro;
capriole e salti mortali siamo già co-
stretti a farne da adulti!».
Piccolo apprendista
tiranno?
È un fatto che mai come oggi i bam-
bini hanno avuto così tanto potere:
costringono famiglie e società ad
adattarsi ad essi.
Sono loro che decidono cosa mangia-
re, cosa comprare; sono loro che con-
dizionano il tipo di vacanza, la scelta
dell’auto nuova di papà…
La sociologa Marina D’Amato nota
che “È una peculiarità tutta italiana di
comprare qualsiasi cosa in funzione del
figlio”.
Quali le conseguenze di tanto strapo-
tere? Per tagliar corto ci limitiamo a
due per nulla simpatiche.
Il bambino sovrano può diventare un
dittatore, un ricattatore, un egoista.
Vi sono bambini che rifiutano cate-
goricamente il fratellino: se ne stanno
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Aprile 2017

4.5 Page 35

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LA MADRE IPERPROTETTIVA
troppo bene da soli! Avendo tutto a
disposizione, poi, il bambino rimanda
sempre più la sua maturazione. Negli
Stati Uniti i piccoli portano ancora il
pannolino a quattro anni, in Italia ci
avviciniamo a questa età.
Finalmente, avendo tutto a disposi-
zione, il bambino non è irrobustito.
Non ci stanchiamo di ricordarlo: sono
gli ostacoli che svegliano la volontà,
che stimolano la grinta per salire.
Insomma, non è arrivato il
tempo di dire stop al bam-
bino sovrano?
Stop al piccolo signorino
sempre soddisfatto?
Ormai tutti i competen-
ti sono d’accordo. Il sociologo
Francesco Alberoni afferma: “Basta
con i vizi ai figli, se la cavino da soli!”.
La presidente dell’Associazione Ita-
liana Genitori, Angela Crivelli, ag-
giunge: “Rimettiamo i figli a sparec-
chiare, ad esser d’aiuto in casa!”.
D’accordo è anche lo psichiatra Gio-
vanni Bollea: “È il momento di gua-
rire dalla sindrome dell’abbondanza!”.
Tutti d’accordo. Che ne dite? Possia-
mo essere d’accordo anche noi?
Non essere
genitori-chiocce
Una volta una mamma mi ha detto:
“Mio figlio non ha mai preoccu-
pazioni. Tra me e lui, sono io a
crearmene a sufficienza per entram-
bi”. Che il figlio abbia pochi mesi
o che sia già adolescente, è natura-
le per i genitori desiderare di dargli
una mano nei momenti di difficoltà.
Ma spesso noi genitori siamo così
Quando la mamma di Jody era venuta a sapere che la figlia della vicina aveva preso in giro
la sua bambina, provò una tale irritazione da trovarsi quasi sul punto di sollevare la cornetta
e chiamare la vicina per dirgliene quattro. Fortunatamente gli altri genitori presenti al semi-
nario la dissuasero dal farlo, sapendo che la cosa migliore era lasciare che fossero le due
bambine a sistemare le cose tra loro. Talvolta il ricordo delle offese e dell’emarginazione
sofferte da noi genitori durante l’infanzia ci porta a volere intervenire tempestivamente per
evitare ai nostri figli simili sofferenze. Ricordi simili possono indurci ad andare ben oltre la
comprensione e l’empatia. È tuttavia necessario rendersi conto che le persone giovani sono
molto volubili e meno inclini a tenere rancore. La bambina che oggi affibbia un soprannome
poco gradevole a vostra figlia può essere proprio quella alla quale domani vostra figlia rac-
conterà i suoi segreti.
intenti a impedire ai nostri fi-
gli di sperimentare le conseguen-
ze di un lavoro trascurato, di un
compito dimenticato o di un atto
irriflessivo, che ronziamo attorno a
loro come chiocce, pronti a
trarli in salvo al primo se-
gnale di pericolo.
È allettante per
i genitori fare
al posto del
figlio quello che
farebbero per se stessi.
Quando interveniamo in
aiuto ai nostri figli, alleviamo tem-
poraneamente il nostro senso di an-
sia; ma il nostro gesto altruista, a
lungo andare, non li rende più forti
o più autosufficienti. Per un geni-
tore, imparare a mettersi in disparte
quando muore
dalla voglia
di entrare in
azione può richiedere enorme au-
tocontrollo, ma può essere l’ultima
forma di generosità e amore nei con-
fronti del figlio.
Quindi prima di precipitarvi in aiuto
al vostro bambino, fermatevi un mo-
mento e chiedetevi: “È davvero ne-
cessario che io intervenga? Che cosa
succederà se non gli ricordo di ripor-
tare a casa il libro di storia?”
Immagine Shutterstock
Lasciate che sperimentino le con-
seguenze. Non tormentate i bam-
bini con continui rimbrotti, richia-
mi all’ordine e paternali. Accettare
in vostro figlio una dimenticanza
o un errore ne favorisce la crescita.
La maggior parte di noi ha appreso
molto di più dalle conseguenze subi-
te che da tutte le prediche dei nostri
genitori.
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4.6 Page 36

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LA LINEA D’OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
La sfida
del dolore
Per i giovani adulti misurarsi a viso aperto
con il dolore, lasciarsi attraversare da esso,
accettare che faccia parte dell’esistenza
non meno della gioia e della felicità
può risultare un percorso molto arduo.
Il dolore rappresenta un mistero insondabile
nella vita di ogni uomo, una realtà con cui tut-
ti prima o poi si ritrovano a dover fare i con-
ti, una provocazione che mette in crisi ogni
punto fermo e fa vacillare anche la più salda
delle fedi. Esso è il compagno indesiderato di
tanti giorni bui, in cui, di fronte alla malattia, alla
perdita di una persona cara, a un’amicizia tradita,
alla fine di una storia d’amore, la terra pare frana-
re sotto i piedi e nulla sembra avere più un senso.
Un opprimente buco nero che crea un vuoto in-
dicibile nello scorrere ordinario della quotidianità
e risucchia impietoso certezze, speranze, progetti
per il futuro. E se è vero che per gli adolescenti,
che si stanno aprendo alla vita, la sua esperienza
è particolarmente lacerante anche perché la loro
percezione del tempo spesso schiacciata sul pre-
sente fa apparire ai loro occhi la sofferenza come
definitiva e senza sbocco, l’incontro brutale con
la sua concretezza non è mai semplice e la ferita
da esso aperta non si attenua con l’età.
Per i giovani adulti, anzi, misurarsi a viso aperto
con il dolore, lasciarsi attraversare da esso, accet-
tare che faccia parte dell’esistenza non meno del-
la gioia e della felicità può risultare un percorso
ancor più arduo. Forse ciò dipende dal fatto che
in una fase storica come quella attuale, segnata
dal mito dell’efficienza e della perfezione, non c’è
spazio per la tristezza e per ogni altra manifesta-
Te ne sei accorto, sì,
che parti per scalare le montagne
e poi ti fermi al primo ristorante
e non ci pensi più.
Te ne sei accorto, sì,
che tutto questo rischio calcolato
toglie il sapore pure al cioccolato
e non ti basta più.
Ma l'hai capito che non serve a niente
mostrarti sorridente
agli occhi della gente
e che il dolore serve,
proprio come serve la felicità...
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Aprile 2017

4.7 Page 37

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Te ne sei accorto, sì,
che passi tutto il giorno a disegnare
quella barchetta ferma in mezzo al mare
e non ti butti mai.
Te ne sei accorto, no,
che non c'hai più le palle per rischiare
di diventare quello che ti pare
e non ci credi più.
Ma l'hai capito che non ti serve a niente
sembrare intelligente
agli occhi della gente
e che morire serve
anche a rinascere.
La verità
è che ti fa paura
l'idea di scomparire,
l'idea che tutto quello a cui ti aggrappi
prima o poi dovrà finire.
La verità
è che non vuoi cambiare,
che non sai rinunciare a quelle quattro, cinque cose
a cui non credi neanche più...
(Brunori Sas, La verità, 2016)
zione di vulnerabilità che possa offrire il fianco a
critiche e giudizi sbrigativi sulla propria capacità
di resistenza di fronte alle tempeste della vita. O
più semplicemente tale difficoltà è il frutto dell’a-
bitudine ad esorcizzare il dolore limitandosi a non
parlarne e a rimuoverne la possibilità dal proprio
orizzonte mentale. Sta di fatto che il confronto
con la sofferenza resta spesso una questione ir-
risolta e, ogni volta che il dolore, ospite non an-
nunciato, viene a bussare alle porte dell’esistenza,
nessuna strategia si rivela efficace per vincere il
disorientamento e il senso di impotenza, vanifi-
cando di fatto risorse che pure potrebbero essere
fruttuosamente utilizzate per rimettersi in piedi.
La tentazione, sempre incombente, diviene allora
quella di scegliere la via meno rischiosa di un’e-
sistenza “anestetizzata”, pianificata e calcolata sin
nei minimi dettagli per evitare di incappare in
spiacevoli imprevisti di percorso, priva di slanci
e azzardi di ogni tipo per prevenire possibili ca-
dute e delusioni; al limite, di erigere muri intorno
a sé e mantenere una certa distanza di sicurezza
da tutti gli altri per non rischiare di scottarsi nel
contatto inevitabile con la diversità e le sue tante
sfide. Ma soprattutto si perde di vista che, più
ancora che la sofferenza, è la paura di essa a pa-
ralizzare e ad impedire di vivere appieno sogni,
progetti, cambiamenti e relazioni.
Diventa, quindi, ineludibile educarsi a fare i conti
con l’incomprensibilità dei propri dolori, a guar-
darli dritto in faccia senza lasciarsi travolgere da
essi, a fare tesoro anche dei momenti di sofferenza
come occasioni che, interpellando al tempo stesso
l’intelligenza, il cuore e la volontà, possono essere
foriere di una diversa prospettiva da cui osservare
se stessi e rivedere le proprie priorità. Perché se è
indubbio che il confronto con il dolore comporta
sempre una sconfitta, soprattutto quando è vissu-
to in solitudine nell’affannosa ricerca di risposte
convincenti e razionali, chi sperimenta sulla pro-
pria pelle l’amarezza della sofferenza può almeno
aprirsi ad una più profonda conoscenza di sé e
della propria fragilità e torna da questo viaggio
rinnovato nella capacità di comprendere il prossi-
mo e di esprimere concreta solidarietà verso le sue
debolezze e difficoltà.
Aprile 2017
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Le Figlie di Maria Ausiliatrice in
Italia durante la Grande Guerra
Le Figlie di Maria
Ausiliatrice furono
eroicamente infermiere,
mamme degli orfani
e dei profughi, prodigio
di donazione generosa
e disinteressata.
L a prima guerra mondiale in
Italia non sconvolse solo la vita
dei Salesiani, come abbiamo
già visto, ma anche quella del-
le Figlie di Maria Ausiliatrice,
che in numero di 2300 erano
raccolte in 102 comunità, la metà delle
quali in Lombardia (40) e Veneto (9),
vale a dire in zone di guerra o comun-
que non lontane dal fronte austriaco.
Anche le , come moltissime al-
tre religiose, diedero un loro specifico
contributo al Paese in guerra.
Infermiere
negli ospedali militari
Il primo ambito di lavoro “patriottico”
fu quello del servizio ospedaliero, ri-
chiesto dal Governo ed accolto dalle
superiore pur con qualche iniziale in-
certezza per la consapevolezza di non
avere suore con una preparazione spe-
cifica, ossia, infermieristica. Potevano
però contare sul personale disponibile
a seguito della chiusura, per motivi
bellici, dei convitti per operaie e della
flessione del numero delle allieve negli
educandati. Inoltre potevano immette-
re le novizie del secondo anno al posto
di quelle che si fossero prestate negli
ospedali. Molte religiose, interpellate,
si offrirono di andare “al fronte”.
Così nella sola Torino 50 vennero
impegnate nel principale ospedale mi-
litare “Regina Margherita” dal 1915.
Nello stesso anno entrarono in ospe-
dali ad Alessandria, Asti, Treviglio,
Tortona, Casale Monferrato ed Acqui
Terme. Nel 1916 si aggiunse un secon-
do ospedale ad Acqui e poi quello di
Montebelluna ( ) e Catania; nel 1917
quello di Caravaggio ( ), Retorbido
( ); nel 1918 ancora a Casale Mon-
ferrato, Castelnuovo Scrivia ( ), a S.
Giorgio Lomellina ( ). Complessi-
vamente centinaia di suore infermiere
operarono in 30 ospedali.
Nel 1917, soprattutto nelle case di
Lombardia e Piemonte, risultavano
29 Reparti militari di riserva e nei pri-
mi mesi del 1918 altre accetta-
rono di assistere i prigionieri malati
di etisia, di cui le Dame crocerossine
temevano il contagio. Il rischio di fat-
to costò la vita a tre .
Basti al riguardo la lettera che il sol-
dato Ulrico Chierici scrisse a suor
Maria Valfré il 12 dicembre 1916:
“Come si scrive a una suora? Madre,
sorella, reverenda? Io sarei tentato di
scrivere carissima, perché infatti è cara
al mio ricordo, ma per non essere scon-
veniente faccio finta di non averlo detto
e non scrivo niente nell’intestazione. Ed
ora? Saluti, ringraziamenti. Di più,
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Aprile 2017

4.9 Page 39

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un sentimento intimo di commozione e
di tenerezza. E con Lei saluto e ringra-
zio le sorelle tutte che con tanto amore e
abnegazione compiono l’opera santa…
Suor Luigina (e le sue polpette) saranno
sempre presenti al mio cuore. La mamma,
mia moglie, mia sorella, parlano ora di
suor Maria, ringraziano delle medaglie,
dei saluti, … ricambiano con affetto e
sono un pochino gelose perché parlo sempre
di Lei. Ma come fare diversamente? Chi
può dimenticare la pietà, il carattere spi-
ritoso e allegro, le sgridatine amorevoli, i
buoni consigli? Resti così e farà sempre dei
felici e riconoscenti”.
Ovviamente da parte delle non
mancò mai lo sforzo di svolgere il
proprio apostolato educativo con l’av-
vicinare con discrezione i soldati ai
sacramenti, opponendosi al turpilo-
quio e alla stampa oscena. La quali-
tà del loro servizio, distintosi ancora
nel 1919 in occasione dell’epidemia di
febbre “spagnola”, fu in effetti ricono-
sciuta anche dai responsabili.
più assenti, specie tra le fasce popo-
lari. Sentirono questo compito come
consono alla loro missione educativa,
specie per l’alto numero di bambine e
fanciulle sbandate, di ragazze che do-
vevano rapidamente qualificarsi per
assumere impieghi, di orfani affidati
alla beneficenza pubblica e privata,
che richiedevano risposte urgenti e
soprattutto dedizione prolungata.
Così vennero loro affidati diversi or-
fanotrofi. Anche per i figli e le figlie
dei richiamati le spalancarono le
porte dei giardini d’infanzia, dei la-
boratori, dei doposcuola, delle scuole
serali, dei convitti. Nei collegi accolse-
ro pure un certo numero. In tal modo
accanto ad opere ad hoc sorte per ini-
ziativa autonoma delle , o soste-
nute economicamente da comitati o
enti pubblici, si potenziò e si cambiò in
senso assistenziale l’attività nelle case
già attive, in cui si prolungò l’orario o
si articolarono varie proposte a vantag-
gio delle minori più esposte, spesso in
collaborazione con exallieve.
La geografia di tali opere di assisten-
za fu ampia e raggiunse praticamente
tutte le regioni d’Italia, con diversa
intensità. Nelle loro scuole le
prolungarono spontaneamente l’assi-
stenza, anche estiva, per compensare
la mancata sorveglianza familiare; vi-
dero sconvolti contatti, orari, ritmi di
lavoro, di preghiera e vita comunitaria
e dovettero adattarsi ad una maggior
povertà di vita religiosa, a restrizio-
ni, mentre sollecitavano la solidarietà
economica delle case non in guerra e
delle stesse allieve.
Accoglienza di militari
Numerosi soldati furono pure accol-
ti in vari istituti delle , parzial-
mente o totalmente requisiti, tra cui la
stessa casa madre di Nizza Monferra-
to. Per ovviare agli inconvenienti che
sarebbero derivati dalla vicinanza di
militari con allieve, le moltipli-
carono nelle loro case le opere a favore
dei figli dei richiamati o degli orfani,
al fine, non ultimo, di dimostrare l’u-
tilità dell’opera in rapporto alle emer-
genze belliche ed evitare così la requi-
sizione totale o parziale. Esattamente
come fecero i Salesiani.
Educatrici in case
e opere per figli
di richiamati e orfani
Durante il conflitto le prestaro-
no un altro tipo di servizio alla pa-
tria, non meno importante: suppliro-
no infatti le figure parentali, sempre
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per
intercessione dei nostri beati, venerabili e servi di Dio,
sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di aprile preghiamo per la beatificazione
del venerabile don José Vandor.
Il venerabile José Vech Vandor
nacque il 29 ottobre 1909 a Dorog
(Ungheria) in una famiglia di conta-
dini. Il 2 agosto 1927 diventò novi-
zio e il 3 ottobre 1928 emise la prima
professione come salesiano. Dopo
l’emissione dei voti perpetui, lasciò
l’Ungheria e si recò in Italia dove in-
cominciò gli studi teologici presso
il Pontificio Ateneo Salesiano a To-
rino-Crocetta. Ricevette il 5 luglio 1936 l’ordinazione sacerdotale
e subito venne destinato al lavoro apostolico nelle Grandi Antille.
Dal 1936 la vita del padre Vandor fu caratterizzata da continui
spostamenti. Dal 1954 fino alla fine della vita visse nella città Santa
Clara a Cuba. Venne inviato in questa località con l’incarico di dedi-
carsi alla cura pastorale della chiesa “Nuestra Señora del Carmen”
e alla costruzione del “Colegio de Artes y Oficios Rosa Pérez Ve-
lasio”. Fu «messaggero di verità e speranza» e operatore di pace.
Infatti nel 1958, durante la celebre battaglia di Santa Clara, estrema
appendice militare della rivoluzione cubana, il Venerabile mise a
repentaglio la propria vita in qualità di mediatore, per concordare
la tregua. In quei giorni difficili salvò molte vite. Riconosciuto da
tutta la città come operatore di pace, sacerdote esemplare, uomo
di profonda unione con Dio, ricercatissimo direttore spirituale, si
rivelò un vero parroco dal cuore del Buon pastore, con lo stile del
sistema preventivo di san Giovanni Bosco. Morì l’8 ottobre 1979. Il
20 gennaio 2017 papa Francesco l’ha dichiarato Venerabile.
PREGHIERA AL VENERABILE JOSÉ VANDOR
O Dio, Padre di misericordia,
che fai dei tuoi santi,
immagini vive del tuo amore,
tu hai fatto del padre Vandor un seminatore di pace
e un modello di accettazione della tua volontà,
concedimi per sua intercessione
questa grazia... di cui ho tanto bisogno
e che con profonda fede ti chiedo.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
Ringraziano
In un momento di situazione
difficile della mia famiglia, con
quella confidenza con i santi che
ci si permette quando le hai pro-
vate tutte e non cavi un ragno dal
buco, ho rivolto familiarmente un
pensiero e una richiesta a don
Carlo Braga (Servo di Dio),
chiedendogli di darmi una mano
in questo dolorosissimo caso.
Di tanto in tanto il mio pensiero
si rivolgeva a lui in una forma di
preghiera probabilmente troppo
confidenziale al limite dello sbri-
gativo. Ricordo che mi sentivo in-
spiegabilmente tranquillo, come
se don Braga non avesse potuto
restare insensibile, malgrado l’in-
degnità del richiedente. Da allora
sono passati un paio d’anni, le
cose si sono ricomposte, la sere-
nità si è ristabilita in tutti noi ed
io mi trovo qui, convintissimo di
avere ricevuto una grazia. Io sono
convinto che don Carlo sia stato
commosso dalla situazione, dalla
mia condizione di padre e nonno
“alle corde”, che ha confidato nel-
la sua intercessione per ottenere
una grazia dal buon Dio.
Bruno Ciapponi Landi - Tirano
questo lo scorso anno ho de-
ciso d’interrompere la terapia.
Trascorsi circa tre mesi, ricaddi
nello stato depressivo: incapace
di tutto ed in preda ad un grave
stato confusionale, mi trasci-
navo dal letto al divano. Nulla
più mi interessava; incapace di
concentrarmi, smisi anche di
pregare, mentre da sempre ero
devota dei santi salesiani. Do-
vetti assumere una persona che
mi assistesse. Avrei voluto solo
morire, per ricongiungermi ai
miei famigliari. Desideravo solo
dormire, ma non riuscivo, nono-
stante assumessi sonniferi. Tra-
scorrevo lunghe notti in preda a
terrificanti pensieri che mi face-
vano impazzire. Fortunatamente
due amiche che mi stettero vici-
ne, mi convinsero a riprendere la
terapia. Mi rivolsi con tanta fidu-
cia alla venerabile Mamma
Margherita e a san Giovanni
Bosco, affinché mi aiutassero a
riabilitarmi fino a poter badare
a me stessa. Ora, trascorso un
anno, sto abbastanza bene e ne
ringrazio il Signore, mentre mi
abbandono con fiducia all’inter-
cessione di Mamma Margherita.
Campia Rosemma - Cortandone
Vedova da 15 anni, senza figli
ed anziana, dopo la morte di
mia mamma, sono rimasta sola
in casa. Sopraffatta da forte de-
pressione, ho iniziato a curarmi
con molti farmaci, ma che mi
hanno causato gravi danni; per
Dopo anni di attesa è arrivata
Sveva, i genitori ringraziano mol-
tissimo san Domenico Savio
di cui la mamma aveva indossato
l’abitino e pregato.
Sabrina e Silvio Adami
Besenello (TN)
CRONACA DELLA POSTULAZIONE
Il 14 febbraio 2017, nella Sessione ordinaria dei Cardinali
e Vescovi membri della Congregazione delle Cause dei Santi, è
stato espresso all’unanimità parere positivo in merito alla fama di
santità e all’esercizio delle virtù eroiche del servo di Dio Octa-
vio Ortiz Arrieta, nato a Lima (Perù) il 19 aprile 1878 e morto a
Chachapoyas (Perù), il 1° marzo 1958, primo salesiano peruviano
e vescovo di Chachapoyas per 37 anni.
40
Aprile 2017

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
DON ALFONSO
ALFANO
Salesiano di don Bosco
26.11.1936 - 26.01.2017
Sapeva parlare agli adolescenti
come pochi altri, don Alfonso Al-
fano, «Zì Fonso» come tutti quelli
che hanno avuto la fortuna di cono-
scerlo lo chiamavano familiarmen-
te. Perché come ogni zio riusciva
meglio di tanti genitori a penetrare
nel cuore dei ragazzi, specie i più
diseredati, gli scugnizzi del rione
Doganella o i «pischelli» delle
borgate di Roma. Ad amarli con
l’intensità emotiva ma anche con il
rigore morale che gli avevano inse-
gnato la vita e l’apostolato di don
Bosco, il punto di riferimento di
una vita da sacerdote che non po-
teva che snodarsi con i Salesiani. E
ovviamente, e negli oratori, il luogo
di aggregazione per eccellenza di
tante generazioni che proprio là,
nei cortili, hanno imparato a cre-
scere, ad accettare le diversità, ad
essere tolleranti e solidali.
E a chi era andato a trovarlo
quand’era ricoverato ripeteva: il
Signore faccia di me quello che
vuole, affidando ai suoi occhi mai
rassegnati o tristi il messaggio
più bello: non lasciate mai soli i
miei ragazzi.
Sono quelli che da anni, attraver-
so il Centro Le Ali, hanno avuto
grazie a lui la possibilità di im-
parare a suonare uno strumento
o di mostrare la loro bravura in
una banda musicale; di provare a
inventarsi un futuro come came-
rieri o come aspiranti cuochi; di
ricostruirsi un’identità dopo dolo-
ri familiari ed errori personali, an-
che drammatici. La Provvidenza,
come anche Zì Fonso la chiama-
va, gli aveva permesso di entrare
in contatto con enti come l’Inail e
l’Inps, con istituzioni come la Re-
gione e il Comune che ne aveva-
no compreso subito la profonda,
irripetibile umanità e deciso di
condividerne le idee, i percorsi
formativi, le finalità educative.
Erano il Dna di don Alfano, napo-
letano di Sant’Antonio Abate, nato
nel 1936 in una famiglia di con-
tadini con forti radici cristiane.
Dove la mamma, come ricorda lui
stesso in uno dei suoi otto libri,
esortava lui e i fratelli a non spre-
care nemmeno le briciole del pane
perché erano un dono di Dio.
L’Ispettore scrive di lui: «di tem-
peramento sensibile, riflessivo,
un po’ riservato, di spirito salesia-
no ben animato e impegnato, apo-
stolicamente generoso, è stato un
Sacerdote secondo il cuore di don
Bosco, disponibile a svolgere con
fedeltà e giovialità gli incarichi che
gli venivano chiesti di Catechista,
Economo e Incaricato dell’Orato-
rio, di Direttore e di Parroco nelle
nostre Case dell’Ispettoria. Ma
soprattutto confratello attento ai
ragazzi più in difficoltà».
Carismatico, coraggioso fin dai
primi anni della sua missione sa-
cerdotale, un vulcano di idee. Da
Portici (Resìna) a Caserta sfonda
con l’entusiasmo dell’innovatore
il muro che aveva diviso prima di
lui la scuola salesiana dall’Orato-
rio, aprendo le città all’incontro
con un’istituzione decisiva per la
formazione dei più giovani e resi-
stendo a chi lo sconsigliava di in-
sistere. Sport e catechismo, grup-
pi di preghiera e impegno sociale,
ascolto e allegria: Zì Fonzo ha
profuso a piene mani da quella ri-
serva di energia umana e spiritua-
le che sembrava infinita. Ispettore
della Congregazione per l’Italia
meridionale, ha lasciato una trac-
cia indelebile anche a Roma dove
ha lavorato per lunghi anni dando
vita nell’istituto a ridosso della
stazione Termini all’incontro quo-
tidiano con i ragazzi del disagio, i
tossicodipendenti, gli emarginati.
Lasciando il Centro Accoglienza
Don Bosco di Roma via Magen-
ta, poi trasferito all’Istituto Borgo
Ragazzi Don Bosco, ritenendo
giunto il tempo di mettersi da par-
te, perché il “nuovo” potesse cre-
scere in libertà, così scrive: «Rin-
grazio Colei che è stata Madre e
Aiuto, in ogni istante del nostro
cammino. A Lei e a Don Bosco ho
affidato ciascuno di voi, soprat-
tutto ho pregato perché continui
a proteggere gli oltre mille ragazzi
che avevano trovato a via Magenta
non solo un sostegno educativo e
scolastico, ma la loro Parrocchia,
il punto di riferimento di chi non
aveva parrocchia».
E proseguiva «Anch’io credo che
il nostro sia un progetto singolare,
una sfida coraggiosa contro una
pedagogia, oggi contorta e lontana
anni luce dal mondo dei ragazzi,
anch’io credo che potesse esserci
in questo angolo caro e ricco di
memoria salesiana una risorsa
oggi per il territorio e domani per
la Circoscrizione. Anch’io ho cre-
duto e continuerò a credere che
la sinergia tra pubblico e privato
ci apra orizzonti educativi nuovi,
oggi difficili da comprendere e
da accettare. Anch’io credo che
la gratuità sorretta dalla fede e il
coinvolgimento di benefattori e
volontari, sia la strada per non farci
strozzare da una cultura, dove l’e-
conomia oggi condiziona l’educa-
zione. La sfida deve continuare!».
Da quest’esperienza sono nati
libri diventati oggi indispensa-
bili agli operatori del settore.
Era tornato a Napoli dieci anni fa
e subito aveva dato vita al Cen-
tro Le Ali. Sempre al fianco degli
adolescenti, spesso in solitudine,
ma senza mai un attimo di cedi-
mento. Sapeva di non poterselo
permettere, Zì Fonzo, sapeva di
essere l’ultima speranza per tanti
ragazzi: anche per questo il suo
vuoto è incolmabile.
E rivolgendosi ai ragazzi, rivela
il suo sogno. «In questi giorni è
un tormentone non di semplici
ricordi, ma di storie vere. Quante
visite in carcere, quanti momenti
vissuti accanto ai “pipistrelli della
notte”, quanti incontri in piazze,
piazzette, giardinetti, luoghi di
ritrovo, alla scuola della strada,
per capire, per apprendere il vo-
stro linguaggio, per entrare nel
vostro mondo, prima di sederci a
un tavolino e scrivere un progetto
e lanciarvi scialuppe di salva-
taggio… Oh, se potessi, vorrei
gridare a tutti che lo stare con
voi ragazzi del Centro, è la strada
maestra piena di spine e croci, ma
anche una fonte inesauribile di
una insperata pace divina.
Voi siete i ragazzi del Sogno! Don
Bosco ha visto nei suoi sogni “i
pischelli” di Roma e ha visto gli
“scugnizzi” di Napoli. A voi ragazzi
del sogno il Santo dei giovani ha
promesso un posto per tutti in Pa-
radiso. Aveva ragione, quando par-
lava ai suoi ragazzi. “Voi siete tutti
ladri. Mi avete rubato il cuore”. È
vero! Ora più che mai ne sappiamo
anche noi qualcosa. Avete rubato
anche i “nostri” cuori».
Aprile 2017
41

5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
L’ANTICLERICALE CHE SOSTENNE DON BOSCO
L’esperienza fatta nei primi anni di oratorio fu fondamentale per don Bosco ma
non gli bastava più per andare avanti. Aveva bisogno di una struttura basata su
collaboratori validi e persone di cui potersi fidare completamente. Preparò gio-
vani seminaristi allo scopo e, tra i primi, il suo successore Michele Rua. Venne
inoltre consigliato su come procedere dal sacerdote G. Cafasso (e successi-
vamente dal papa Pio IX). Era il momento di creare in concreto una congre-
gazione, con uno statuto e delle regole ufficiali. Il 26 gennaio 1854 don Bosco
riunì quattro collaboratori per gestire l’opera nell’esercizio pratico della carità
verso il prossimo e quello fu il primo passo per la nascita della Società di San Francesco di Sales. Si
interessò a questo anche il ministro liberale, e notoriamente di orientamento anticlericale, XXX. Questi
riconobbe l’utilità del lavoro svolto da don Bosco e sostenne il sacerdote nella fondazione dell’ordine
salesiano, dandogli alcuni suggerimenti decisivi per la struttura organizzativa della sua opera: gli pro-
pose di non dare all’istituto un carattere apertamente religioso, ma di creare un’associazione di liberi
cittadini che collaborassero volontariamente al bene della gioventù povera e abbandonata, i cui membri
conservassero i diritti civili e, se sacerdoti, portassero la veste del clero secolare; suggerì inoltre che
coloro che detenevano degli uffici fossero chiamati con nomi
profani come ispettore o direttore. La Società Salesiana, di
fronte alla Chiesa, doveva essere una società religiosa con
voti semplici; di fronte alle autorità civili, invece, un’associa-
zione civile i cui membri conservassero i diritti e i doveri dei
liberi cittadini. Perciò la difficoltà più grande che don Bosco
incontrò fu la conciliazione del voto di povertà con la proprie-
tà individuale, che volle fosse conservata secondo le leggi
civili. Il 23 luglio 1864 la Società ottenne il decreto di lode
della Santa Sede, e nel 1874 fu definitivamente approvata.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Comune in
prov. di Lodi - 14. Vi nacque Santa
Rita - 15. La si prende per far centro
- 16. Una lingua medievale francese
- 17. Altezza, quota - 18. Un pas-
saparola… della giungla - 20. Col
netto dà il lordo - 21. Una delle note
musicali - 22. Nel caso in cui - 23.
Fu padre di Peleo e nonno di Achille
- 24. XXX - 28. Bruciate - 30. I
superiori nei monasteri - 31. Interno
in breve - 33. No per sempre! - 34.
Il “sommo” fu Dante Alighieri - 37.
Fondò Troia - 38. Celebre la Guzzi
- 39. I padri dei bisnonni - 42. La
Lescaut di Puccini - 43. Il vero nome
di Collodi, creatore di Pinocchio.
VERTICALI. 1. Insenatura ripa-
rata - 2. Incomprensibile assurdità
- 3. Scendere su piste innevate - 4.
Le ha dispari l’agiato - 5. L’amò
Petrarca - 6. Leggermente bagnato
- 7. Fino adesso - 8. Tante sono le
Grazie - 9. La fine di Medea - 10.
La Pericoli del tennis - 11. Osser-
vazioni critiche - 12. Il nome di
Facchetti, indimenticato campione
del calcio - 13. Albero di alto fusto
utilizzato come pianta ornamenta-
le - 14. È simile al bitume - 18.
Copertura dell’edificio - 19. Sono
pari ad Ampezzo - 22. Il successore
di Lenin - 25. Città del Brasile con
5 milioni di abitanti - 26. Capace,
idoneo - 27. Le hanno savi e matti
- 29. Il Renzo di Indietro tutta (iniz.)
- 32. Timbro di voce - 34. Prece-
de marrano in un’antica espressione
- 35. Scorre nelle Marche - 36.
Quello Medio terminò con la scoper-
ta dell’America - 38. L’uomo a Lon-
dra - 40. Le gemelle nel carro - 41.
Adesso in breve - 42. A me.
42
Aprile 2017

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Disegno di Fabrizio Zubani
L’ultima lettera
Q uesta lettera fu
trovata dall’in-
fermiera dell’o-
spedale sotto il
cuscino di un
giovane appena
deceduto.
«Cara mamma, da alcuni
giorni riesco a stare
seduto sul letto solo per
mezz’ora e per il re-
sto della giornata sono
immobilizzato. Il cuore
non vuole più battere.
Stamattina presto il
professore ha detto qual-
cosa che suonava come
“essere pronto”. Per che
cosa? Certo è difficile
morire giovani! Devo essere pronto
al fatto che all’inizio della settima-
na sarò un trapassato; e non sono
pronto. I dolori scavano in modo
quasi insopportabile, ma ciò che mi
sembra davvero insopportabile è che
non sono pronto.
La cosa peggiore è che, quando
guardo il cielo, è buio. Diventa notte,
ma non brilla sopra di me nessuna
stella nella quale io possa immer-
gere lo sguardo. Mamma, non ho
mai pensato a Dio, ma ora sento
che esiste ancora qualcosa che non
conosciamo, qualcosa di misterioso,
un potere nelle cui mani cadiamo, al
quale dobbiamo dare delle risposte.
E la mia pena è che non so chi è.
Se solo lo conoscessi! Mamma,
ricordi come tu, con noi bambini,
camminavi nel bosco, nell’oscurità
che stava calando, incontro al papà
che tornava dal lavoro? A volte ti
correvamo davanti e ci vedevamo
improvvisamente soli. Avanzavano
dei passi nell’oscurità: che paura dei
passi sconosciuti! Che gioia quando
riconoscevamo che quel passo era
quello del papà che ci amava. E ora,
nella solitudine, sento ancora dei
passi che non conosco. Perché non li
conosco?
Mi hai detto come mi devo vestire e
come mi devo comportare nella vita,
come mangiare, come cavarmela.
Ti sei occupata di me
e non ti sei stancata di
tutta questa preoccupa-
zione.
Ricordo che tu, la
notte di Natale, andavi
a Messa con i tuoi
bambini. Mi ricordo
anche della preghiera
della sera che qualche
volta mi suggerivi. Ci
hai sempre indirizzati
all’onestà. Ma tutto
questo ora per me si
scioglie come neve
al sole. Perché ci hai
parlato di tante cose
e non ci hai detto
nulla di Gesù Cri-
sto? Perché non mi
hai fatto conoscere il
suono dei suoi passi,
in modo che fossi in
grado di accorgermi se
è lui che viene da me in quest’ultima
notte e nella solitudine della morte?
In modo che io sapessi se quello che
mi aspetta è un Padre! Come potrei
morire in modo diverso...».
«Caro Dio, perché non hai
salvato la piccola bambina
uccisa nella sua classe?
Distinti saluti,
uno studente preoccupato».
La risposta: «Caro Studente
Preoccupato, nelle scuole
non mi è permesso entrare.
Distinti saluti, Dio».
«Vietato l’ingresso ai cani e a
Dio» è il cartello più diffuso oggi.
Aprile 2017
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
Centenario
Il segreto
dei tre pastorelli
Il miracolo di Fatima
L’invitato
Don Italo Spagnolo
Un albero cresce in Nigeria
Salesiani nel mondo
Sulla frontiera dell’odio
e della speranza
Salesiani sul
confine messicano
A tu per tu
Monsignor
Stefan Oster
Salesiano e Vescovo
di Passau
Le case di don Bosco
I Salesiani a Sassari
Il Santuario della Madonna
del Latte Dolce
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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