Bollettino_Salesiano_201703

Bollettino_Salesiano_201703

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IL
MARZO
2017
Le case
di don Bosco
Catania
Barriera
L’invitato
Don
Rossano
Sala
A tu per tu
Don
Emanuele
De Maria
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877

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LE COSE DI DON BOSCO
B.F.
I trseulstoeltdtoati
A mmetto che abbiamo un’aria un po’
impettita e un atteggiamento fiera-
mente guerresco. Ma siamo il ritratto
più o meno fedele di tre soldati. Siamo
qui sulla facciata della Basilica di
Maria Ausiliatrice dal 1890. Siamo
arrivati con un po’ di ritardo. Anche perché noi
siamo usciti direttamente da un sogno.
Dal sogno del più grande sognatore che viveva
da queste parti: don Bosco.
Si era addormentato tardi, quella sera, stanchis-
simo come sempre.
Si era ritrovato sul margine settentrionale del
Rondò o Circolo Valdocco, donde, spingendo lo
sguardo dalla parte della Dora, aveva visto in giù
tre bellissimi giovani, splendenti di luce, i quali
stavano orgogliosamente ritti in piedi.
Inutile dirvi che i tre bellissimi giovani eravamo
La storia
Per più di vent’anni la Basilica di Maria Ausiliatrice fu un
bellissimo sogno nella mente e nel cuore di don Bosco.
Molte volte la contemplò in sogno, tanto che venne co-
struita su quello che giustamente era chiamato “Il Campo
dei Sogni”. In un angolo di questo terreno, la Madonna
gli indicò il luogo del martirio dei santi Solutore, Avven-
tore ed Ottavio. Per questo le loro statue troneggiano
sulla facciata della Basilica.
noi: Solutore, Avventore e Ottavio. Il Paradiso
ci aveva migliorati molto anche esteticamente.
Nella vita terrena, in realtà, eravamo dei soldati
piuttosto rozzi, che con altri seimila compagni
facevamo parte della gloriosa legione Tebea. La
nostra legione era percepita come garanzia di pace
e tranquillità. Per questo fummo mandati nella
regione delle Alpi, dove i Galli spesso mettevano
un po’ di scompiglio.
Siamo diventati famosi per un’altra cosa. Era-
vamo quasi tutti cristiani. Così quando ci fu
ordinato di uccidere degli inermi valligiani ci
rifiutammo tutti. L’Imperatore ordinò che la
Legione fosse “decimata”: ogni dieci legionari,
uno doveva essere giustiziato. Così molti di noi
andarono incontro alla morte nel nome di Gesù.
Nel sogno, ci facemmo riconoscere da don Bosco
e lo invitammo a venire con noi. Avevamo una
missione da compiere. Dopotutto eravamo tre
martiri giovani e don Bosco stava dedicando la
sua vita per i giovani.
Diventammo subito amici e lo accompagnammo
verso l’estremità di quel terreno nel quale ora
s’innalza maestosa la chiesa di Maria SS. Ausi-
liatrice. Una Donna magnificamente vestita, con
un incantevole sorriso sulle labbra e con affettuose
parole, lo incoraggiò a non abbandonare i suoi
figli, ma a proseguire con sempre maggior ardore
l’opera intrapresa. Infine gli mostrò poco distan-
te una casa, che allora esisteva realmente ed era
divenuta proprietà di un certo Pinardi. Alzando
la destra, con voce ineffabilmente armoniosa, l’au-
gusta Signora esclamò: «Haec est domus mea! Inde
Gloria mea!». Al suono di queste parole don Bosco
rimase così commosso, che si svegliò.
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Marzo 2017

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IL
MARZO 2017
ANNO CXLI
Numero 3
IL
MARZO
2017
Le case
di don Bosco
Catania
Barriera
L’invitato
Don
Rossano
Sala
Mensile di
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
A tu per tu
Don
Emanuele
De Maria
In copertina: Una meravigliosa bambina
della missione salesiana di Bukavu (Congo)
(foto di don Piero Gavioli).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 QUARESIMA
Un po’ di silenzio!
8 SALESIANI NEL MONDO
Argentina
12 L’INVITATO
Don Rossano Sala
16 FINO AI CONFINI DEL MONDO
18 A TU PER TU
Stazione speranza
22 POSTER
24 LE CASE DI DON BOSCO
Un’Etna salesiana
28 FMA
... Ma i tempi
non sono cambiati?
30 UNA FAMIGLIA DI SANTI
Dorotea de Chopitea
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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12
30
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Teresio
Bosco, Pierluigi Cameroni,
Roberto Desiderati, Emilia Di
Massimo, Ángel Fernández Artime,
Cesare Lo Monaco, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto,
Pino Pellegrino, O. Pori Mecoi,
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Diffusione e Amministrazione:
Tullio Orler (Roma)
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Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Come papa Francesco
Miei cari giovani, ho piena fiducia in voi e per voi prego.
Abbiate il coraggio di andare contro corrente (papa Francesco)
In un mondo in cui troppo spesso Dio parole calde e affettuose che papa Francesco ave-
è costretto a tacere, ridotto a inutile reliquia
del passato, diventa una necessità assoluta
va rivolto loro durante un incontro.
In piena sintonia con papa Francesco e, son certo,
con molti di voi, anch’io ho una fiducia reale nei
la testimonianza di giovani per i quali il Signore
è veramente il Signore della loro vita,
cammino luminoso di felicità e verità.
giovani, prego per loro e li incoraggio ad essere
umili, forti e robusti, protagonisti della loro vita e
pronti ad andare controcorrente.
Ho incontrato giovani attivi e arditi, felici anima-
tori di altri ragazzi e ragazze; giovani impegnati
H o lasciato da poco la Repubblica Do-
menicana, Porto Rico e Cuba, dove
abbiamo celebrato il centesimo anni-
versario della prima presenza salesia-
na e contemporaneamente la sempre
radiosa e calorosa festa di don Bosco.
che continuano a studiare e lavorare per aiutare
in casa e nello stesso tempo avere maggiori op-
portunità nella vita. Ho visto giovani tra i 20 e i
25 anni servire senza alcun imbarazzo nelle ce-
lebrazioni liturgiche come ministranti, far parte
della corale in chiesa e dimostrarsi valenti artisti
Come sempre, e dappertut- e ballerini sul palcoscenico in un pomeriggio di
to, ho incontrato una fa- svago e divertimento.
miglia salesiana stupenda Questi sono i nostri giovani.
ed entusiasta, con tanti A loro dico che noi, adulti e fratelli maggiori,
laici che hanno un affetto siamo in molti ad avere una grande speranza in
smisurato per don Bosco loro; che siamo in tanti ad incoraggiarli ad essere
e dei giovani coraggiosi e capaci e audaci nella loro vita, ammettendo che il
carichi di speranza.
mondo che offriamo loro è difficile, ostico e con
Ho ricordato a tutti che scarse opportunità.
prima di partire per que- E questo non è certo colpa loro. Anche noi adulti
sto viaggio avevo inviato a dobbiamo imparare a fare una giusta autocritica.
tutti i giovani del mondo E, come papa Francesco, incito anche loro a tro-
salesiano una lettera per la vare la forza per andare controcorrente, quando la
festa di don Bosco. In essa chiamata alla fedeltà, a se stessi e a Gesù, risuona
richiamavo alla memoria le con forza nel loro cuore.
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Il mondo ha bisogno di voi
Cari giovani, vi ricordo che il mondo di oggi ha
bisogno di voi. Soffre la mancanza dei grandi idea-
li che sono propri della gioventù e dei suoi sogni
giovanili.
Il mondo intero, in tutti e cinque i continenti, ha
più che mai bisogno di giovani pieni di speranza e
forza che non abbiano paura di vivere, di sognare,
di cercare la felicità profonda e autentica che lasci
un posto per Dio nei loro cuori.
In un mondo in cui troppo spesso Dio è costret-
to a tacere, ridotto a inutile reliquia del passato,
diventa una necessità assoluta la testimonianza
di giovani per i quali il Signore è veramente il
Signore della loro vita, cammino luminoso di fe-
licità e verità.
Questo nostro mondo ha bisogno di giovani at-
tratti da un reale impegno, capaci di sacrificio e
amore «fin a che fa male» come diceva santa Ma-
dre Teresa di Calcutta. Giovani coerenti con il loro
impegno, pronti a donare il loro tempo e loro stessi.
È chiedere troppo? Credo di no. È una meta alta,
certamente, ma è quello che don Bosco a Valdocco
chiedeva ai suoi ragazzi, nella semplice quotidiani-
tà e nell’eroismo di occuparsi dei malati di peste.
Ricordo a questi giovani di oggi che noi abbiamo
bisogno di loro perché anche tanti altri giovani
hanno bisogno di loro. I giovani sono in grado di
capire meglio gli altri giovani e aiutarli, perché
sono tanti i ragazzi “sfiduciati, delusi e disincan-
tati” che non riescono più a provare entusiasmo
per qualcosa.
Sono giovani deboli e fragili che possono essere
sostenuti e rivitalizzati solo da altri giovani che
parlino seriamente della vita e che, con il mede-
simo linguaggio, mostrino l’esistenza di altre vie
e altre possibilità, che li possano spronare ricor-
dando che fuggire dalle sfide della vita non è una
soluzione e che, come veri “discepoli-missionari”,
li aiutino a scoprire Cristo nelle loro vite e a cre-
dere in Lui. Un Gesù che non vende fumo ma
offre Vita, autentica, la sua. Lui stesso.
Come dice una bella preghiera di Michel Quoist:
Amare significa incontrarsi, e per incontrarsi bisogna
accettare di uscire da sé per andare verso un altro.
Amare significa comunicare, e per comunicare biso-
gna dimenticarsi per un altro, bisogna morire a sé
completamente per un altro.
Amare fa soffrire. Perché dopo il peccato, ascoltatemi
bene, amare significa crocifiggersi per un altro.
Papa Francesco nella “Lettera ai giovani” di tut-
to il mondo con cui accompagna il Documento
preparatorio del Sinodo sui giovani del 2018,
scrive: «Un mondo migliore si costruisce anche
grazie a voi, alla vostra voglia di cambiamento e
alla vostra generosità. Non abbiate paura di fare
scelte audaci, non indugiate quando la coscienza
vi chiede di rischiare. Fate sentire il vostro grido.
Non indugiate quando la coscienza vi chiede di
seguire il Maestro».
Perciò questo mio messaggio è un invito alla ge-
nerosità di tanti giovani di tutto il mondo, e una
chiamata a noi, adulti, per stare al loro fianco, per
ascoltarli, per continuare a puntare su di loro, a
credere in loro, ad avere fiducia in loro e prega-
re per loro: per quelli che hanno una fede viva e
per quelli che sono in ricerca o semplicemente si
sentono sperduti. Dio non perde mai nessuno dei
suoi figli e delle sue figlie.
Siate felici.
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QUARESIMA
B.F.
Un po’ di silenzio
per favore! LaQuaresimaèilmomento
più prezioso dell’anno per
la vita spirituale.
1. Lo stupore
di esserci
Ecco cinque semplici “passi”
per riscoprire la meditazione.
Foto Shutterstock
C’è una semplice “Preghiera del-
la felicità” che dice:
Io amo ciò che sono.
Io amo l’ambiente in cui vivo.
Io amo coloro con i quali vivo.
Io amo quello che faccio.
Io mi trovo bene con te, Gesù.
E cammino verso di te.
Essere vivi, pienamente consape-
voli di far parte di questo universo
che è meraviglioso e misterioso,
poter dire: «Ci sono anch’io!», è
un dono inestimabile (che cosa si
potrebbe mai dare in cambio?), una
ricchezza, una risorsa per “tenere
duro” qualunque cosa capiti.
Chi sa stupirsi non è indifferente:
è aperto al mondo, all’umanità,
all’esistenza. Si viene al mondo
con questa sola dote: lo stupore di
esistere. L’esistenza è un miraco-
lo. Gli altri, gli animali, le pian-
te, l’universo, ci parlano di questo
miracolo. E noi siamo miracolosi
come loro. Per questo dobbiamo
essere attenti e rispettosi.
Chi considera meravigliosa la vita, sente di amare
l’umanità, la rispetta in sé e negli altri. Donando
agli altri l’importanza che meritano, noi scopria-
mo la nostra importanza. La vita ha un valore,
una dignità. Nessuno ha il diritto di deturparla.
2. Vivere l’attimo presente
Fermare il mondo per un attimo. Si tratta di un
atto volontario. È un atto liberatorio dai pensieri
sul futuro e sul passato. Il nostro spirito è ingom-
bro di tante di quelle cose! Meditare non signifi-
ca analizzare l’attimo presente, significa provarlo,
sentirlo con tutto il corpo, senza parole. Vivere
davvero questo momento, in piena consapevolezza.
La maggior parte di noi non vincerà i grandi
premi della vita. Non diventerà milionario, né
presenterà il Festival di Sanremo, non sarà eletto
presidente, né vincerà il Nobel.
Ma possiamo goderci i piccoli piaceri della vita.
Una carezza sulla spalla. Un bacio sulla guancia.
La luna piena.
Un posto libero in un parcheggio.
Un fuoco scoppiettante. Un bel tramonto.
Goditi le piccole delizie della vita.
Ce ne sono in abbondanza per ognuno di noi.
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3. Respirare ed essere grati
per il proprio corpo
La respirazione occupa da sempre un posto cen-
trale nelle pratiche meditative: è il mezzo più po-
tente per collegarsi con l’attimo presente (o per
accorgersi che si fa fatica a collegarsi...).
La respirazione è come un’amica sempre presente:
concentrarsi sul proprio respiro è come chiedere a
un amico di restare al nostro fianco per affrontare
una prova o una difficoltà. Si respira con tutto
il corpo: il corpo e lo spirito sono inseparabili.
Anche se il corpo è malato, sofferente, rovinato,
usurato: concediamogli attenzione, stima, spazio
e affetto, qui e ora.
4. Vedere ciò che è
veramente importante
Le nuove condizioni dell’esistenza strappano via
gli uomini da qualsiasi forma di raccoglimento e
li gettano fuori da se stessi in una sorta di furore.
Ci sono le varie forme di inquinamento chi-
mico, che contaminano i cibi, l’aria, l’acqua. E
quelle di inquinamento psichico, che contami-
nano il nostro spirito, violano la nostra intimità,
turbano la nostra stabilità interiore. Dove andrà
a finire il nostro spirito, a furia di tutte queste
dispersioni? La nostra attenzione è infatti cattu-
rata, attirata e alla fine frammentata, segmen-
tata da mille cose per poi diventare «drogata»
da ciò che è rumoroso, accattivante, facile, pre-
digerito, pre-pensato. Il nostro spirito perde fe-
condità, se si lascia riempire troppo dal baccano
esteriore. Troppo di qualcosa corrisponde sem-
pre alla mancanza di qualcos’altro. Nella vita ci
sono l’urgente e l’importante.
Pensiamo: «Devi mandare quell’e-mail. Non di-
menticare di richiamare Tal dei Tali. Oh, e poi
dovresti proprio appuntarti questa idea, prima di
scordartene. Anziché startene lì seduto a cercare
di meditare, faresti meglio ad alzarti e a sbrigare
tutte queste cose prima che ti passino di mente.
E poi oggi la tua seduta non funziona per niente,
non sei nello spirito giusto. Suvvia, lascia perdere,
alzati. Troverai pure un altro momento. La me-
ditazione può attendere. Non è mica il lavoro... ».
Se poi la vita è agitata, scialba e vuota non possia-
mo lamentarci.
5. Contemplare l’invisibile e
acconsentire al mistero
Se prendiamo coscienza degli istanti di benes-
sere, se ci diciamo «ciò che sto vivendo è una
fortuna, una meraviglia, una grazia», allora suc-
cede qualcos’altro. Se conquistiamo un vero si-
lenzio, sentiamo che non siamo nel vuoto. C’è
Qualcuno dentro di noi che dice: ammutolisci,
ascolta…
E possiamo udire “quella” voce che è come un
alito leggero di vento e scoprire che Dio è sem-
plicemente lì, seduto accanto a noi, nella sala
d’attesa della nostra vita e spesso, leggermente,
bussa. E ci sentiamo di esistere come il grano
che spunta o la pioggia che cade. Pronti a rina-
scere.
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SALESIANI NEL MONDO
DA “LA CAPITAL ” - FOTO: SEBASTIÁN SUÁREZ MECCIA / LA CAPITAL
«Combatto per la vita
nel barrio del “grilletto facile”»
Federico Chingui Salmerón è un salesiano
di 29 anni. Lo chiamano semplicemente
“Chingui” e si occupa dei giovani del barrio
Ludueña, considerato uno dei più pericolosi
di Rosario, Argentina. Qui si vive
“in un’ombra di morte”, ma lui con altri
salesiani mantiene viva la comunità.
Fanno pensare davvero le parole di Fede-
rico Chingui Salmerón, argentino di Tu-
cuman, 29 anni, sacerdote salesiano, con
diploma sulla prevenzione delle tossicodi-
pendenze e operatore nel barrio Ludueña
di Rosario.
Con 2 milioni e mezzo di abitanti, Rosario è la
terza città dell’Argentina. Si sviluppa lungo le
sponde del Rio Paranà e questo aspetto è quel-
lo che la rende magica: città frenetica e in mo-
vimento, è la principale metropoli di una delle
zone agrarie più produttive dell’Argentina, centro
commerciale, di servizi e di industrie diversifica-
te. Centro d’istruzione, di cultura e di sport, van-
ta inoltre importanti musei e biblioteche, e le sue
infrastrutture turistiche includono bellezze ar-
chitettoniche, gradevoli belvedere, viali e parchi.
Fa pensare perché questo giovane riflessivo, dallo
sguardo trasparente, il sorriso costante che parla
con calma, conosce miserie, ingiustizie e disgra-
zie, gioie e tristezze che vive una parte della gente
di Ludueña, l’altra faccia di una città e di un pae-
se, la faccia che nessuno vorrebbe vedere.
Dirà che molti ragazzi che conosce non sanno il si-
gnificato della parola resilienza (la capacità di una
persona di superare le circostanze traumatiche) ma
sono esperti in materia: imparano ad affrontare la
vita e venire fuori più forti anche quando la morte
li accompagna dal giorno della nascita.
Don Federico Salmer n ha studiato per dodici
anni prima dell’ordinazione sacerdotale e lavora
nella comunità “S. Domingo Savio” di Ludueña,
dove ogni giorno i salesiani danno da mangiare,
giocano a calcio, insegnano e promuovono la vita
attraverso le più svariate attività educative, for-
mali e informali.
«Quando dissi alla mia famiglia che volevo farmi
prete, ai miei genitori e a mio fratello andò per tra-
verso il pranzo, adesso sono contenti». Sua madre,
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la sera dell’ordinazione, gli raccontò che quando
era nato aveva dei serissimi problemi respiratori e
lei lo aveva raccomandato a Dio perché lo salvasse.
Racconta che ha voluto essere sacerdote per aiu-
tare soprattutto i ragazzi e i giovani. Che ha già
lavorato nei quartieri poveri della Boca e di Isidro
Casanova.
Risponde a tutte le domande con serenità, anche
a quelle futili che piacciono ai giornalisti: «Credi
nel celibato? Ti sei mai innamorato?»
Sì, dice. Pensa che il celibato sia esattamente lo
stile di vita consacrata che ha scelto e con il quale
vuole esprimere che Dio esiste e il suo amore può
riempire una vita. Spiega: «Nel celibato uno dona
tutto, anche la sessualità e la paternità biologica
che si vive come servizio agli altri. Io lo vivo nella
pace e mi sento realizzato».
«Ho scoperto il problema della tossicodipendenza
durante gli anni di studio a Cordoba, lavorando
nelle “villas miseria”, dove come salesiani cerca-
vamo di portare una presenza amica e un aiuto
concreto, soprattutto con i giovani che corrono il
rischio maggiore».
Questo sacerdote che porta al collo una croce con
le parole di don Bosco legata con un cordoncino
nero, fu molto colpito dalla tossicodipendenza del
fratello di un amico a Tucuman. Pensa che se quel
ragazzo avesse avuto un amico disposto ad aiutar-
lo, probabilmente non sarebbe caduto.
Forse non bastava…
«Certo. La tossicodipendenza distrugge le perso-
ne e le loro famiglie. La prima cosa da fare con i
ragazzi è affiancarli, parlare con loro, condividere
qualche esperienza, giocare a calcio e aprire spazi
di confidenza che li aiutino a lasciarsi aiutare e
incominciare a ripartire, perché solo loro lo pos-
sono fare, ma da soli non ci riescono».
Come sono i ragazzi di Ludueña?
«Nel quartiere c’è molta vita e tanta voglia di cre-
scere. Sono ragazzi che non ce l’hanno con noi.
Sono ragazzi come tanti. In ognuno c’è bontà
e impariamo molto da loro, anche da quelli che
sono alla deriva.
Però vivono in un ambiente di esclusione e di
violenza che tira fuori il loro lato peggiore. Al-
cuni hanno i genitori in prigione o non li hanno
per niente, tuttavia tentano di uscire dai consumi
problematici e dalla violenza e andare avanti. Ma
sono invischiati in una realtà orrenda ogni gior-
no. Pochi giorni fa c’è stata una sparatoria in stra-
de dove giocano bambini di cinque anni. E tutto
sembra naturale.
C’è molta violenza domestica, lavoro minorile,
maschilismo, abusi, droga e morte. Per molto
tempo, qui, la Chiesa è stata lontana dalle zone
povere, ma poi le cose sono cambiate per l’im-
pegno di padre Edgardo Montaldo che per qua-
A pagina
precedente :
Il sorriso del
Chingui, con
l’inseparabile
bicicletta.
Sopra: Alcuni volti
del “barrio”.
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1.10 Page 10

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SALESIANI NEL MONDO
Non riusciamo a dare risposte sufficienti con i no-
stri pasti perché sono insufficienze profonde.
Tuttavia continuiamo ostinatamente, con tanta
speranza a lavorare tutti i giorni per evitare che
nel quartiere ci siano persone che non possono
accedere a un lavoro degno».
Due murales che
testimoniano il
disagio giovanile
di tante periferie.
«Il sistema
non vuole che
i colpevoli si
riabilitino, ma
che marciscano
in carcere».
rant’anni ha donato la vita nelle periferie ed è
stato un pilastro della promozione umana. Poi,
grazie alle comunità che hanno seguito il suo
esempio, si è mosso qualcosa.
E, con il suo perenne sorriso, dice che quando ar-
rivò a Ludueña sentì una battuta singolare: «An-
diamo dai preti a mangiare e al sabato al culto
evangelico».
El Chingui vive in una comunità a 15 isolati dalla
“villa”, dove arriva tutti i giorni in bicicletta. Non
lo dice, ma poco tempo fa, mentre portava latte
ed alimenti ad una bambina, uno dei ragazzi che
conosce e che era pesantemente drogato gli rubò
tutto quello che aveva, mentre un altro lo teneva
sotto tiro con una pistola.
Tornò a trovarli. Tutti e due. Dopo pochi gior-
ni. Siccome qui vige la legge del silenzio, nessu-
no disse niente. Perché El Chingui sapeva che il
giovane era vittima del suo contesto di esclusione,
in un mondo di meschinità, di poco cibo, scarse
opportunità e molta violenza.
Naturalmente non li denunciò. Crede che que-
sta non possa essere la soluzione al problema dei
ragazzi. E dice che la società pensa al sistema
poliziesco e carcerario in termini di repressione e
castigo, anche se la Costituzione afferma il con-
trario. «Il sistema non vuole che i colpevoli si ria-
bilitino, ma che marciscano in carcere».
Allora?
«Quindi dobbiamo convertirci, lavorare insieme
agli altri, sopportare la sensazione di impotenza di
fronte a questa realtà. Ecco perché dico sempre che
bisogna essere umili e lavorare con i bambini».
C’è denutrizione?
«Sì, molti casi specialmente con bambini piccoli.
Dovrei consultare le statistiche, ma si notano ragaz-
zini che hanno un livello di deterioramento mentale
per mancanza di alimentazione durante l’infanzia.
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LA VOCE DEI RAGAZZI
La realtà delle “villas miseria” è uno dei peggiori volti dell’impoverimento sociale.
I salesiani lo sanno. E sanno anche che è meglio ascoltare la voce di una
giovane che racconta i suoi problemi, sperando che qualcuno alzi il volume
del proprio udito.
Questa è la testimonianza scritta da Lorena, allieva della scuola “Don Bosco”,
che racconta il suo “quotidiano”: «Siamo stati testimoni della perdita di tanti
dei nostri ragazzi negli ultimi tre anni e oggi si legge sul volto di molti la
mancanza di alimentazione, ogni giorno sperimentiamo nelle nostre strade la
povertà, la droga e la delinquenza.
Una volta, un tale venuto a vedere il barrio chiese: “Perché preferiscono compra-
re la droga invece di qualcosa da mangiare?”. I ragazzi risposero che la droga ti
fa dimenticare la fame e la dura realtà in cui vivi, anche se solo per poco tempo.
Questi ragazzi non trovano lavoro e spesso non ci riescono perché non hanno
terminato la scuola. È l’inizio di una catena di rifiuti che si ripetono, portandoli
alla totale emarginazione dalla società, che volta la testa e finge che non esistano.
I ragazzi del quartiere hanno anche sogni, hanno tutti tanta bontà nel cuore, an-
che se a volte si sentono intrappolati in una realtà che li spinge a prendere deci-
sioni sbagliate. Le famiglie lottano ogni giorno per crescere in dignità, mettendo
insieme un piatto di cibo per i loro figli, facendo lavoretti e cercando tra i rifiuti».
Circolano armi nel barrio?
«Sì, molte ed è facile averle».
La mortalità è alta?
«In Ludueña ci sono moltissime persone oneste e
laboriose che sono spaventate dalla violenza e dal-
la morte così “normale” e lottano per aumentare
la consapevolezza della cura della vita. Ma ci sono
anche famiglie che hanno perso una persona cara
per l’impunità, la violenza, la droga e il grilletto
facile. Ci sono ragazzi che hanno sulle spalle la
morte di una persona cara e, siccome non hanno
fiducia nella giustizia legale, vogliono farsela da
soli. Alcuni sono talmente “partiti” che vedono
la morte come mezzo normale e non rispettano
niente e nessuno».
El Chingui riparte sulla sua bicicletta verso il
centro di Ludueña.
Il giovane salesiano ha una missione “impossibi-
le”, ma non si rassegna. E nel nome di don Bosco
non si rassegnerà mai.
Il giovane
salesiano nel
suo “ufficio” e in
bicicletta per il
giro nel quartiere.
Vive e soffre con
i giovani.
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L’INVITATO
B.F.
«La pastorale giovanile afferma un’idea di Chiesa
in uscita, che si rende presente nei luoghi di vita
dei giovani, soprattutto in quelli di maggiore povertà,
per manifestare loro la prossimità del Signore e il suo
desiderio di vederli felici nel tempo e nell’eternità».
Incontro con
don Rossano Sala
Direttore della rivista
«Note di Pastorale Giovanile»
Può autopresentarsi?
Sono nato nel cuore della Brianza il
9 agosto del 1970, Provincia e Dio-
cesi di Milano. Sono cresciuto in una
famiglia cristiana e all’oratorio del
paese nella semplicità e nella bellezza
della vita di campagna. A quattordici
anni sono entrato nella casa salesiana
di Milano, per imparare il mestiere di
tipografo. Lì ho incontrato don Bosco
e i suoi figli, che mi hanno mostrato
tutta la bellezza di un ambiente di fa-
miglia autentico.
Dopo quell’incontro la mia vita è
cambiata radicalmente: non ho più
lasciato la realtà salesiana e, finita la
scuola e il servizio militare, ho inco-
minciato il cammino di vita tra i fi-
gli di don Bosco, che mi ha portato
alla professione perpetua nel 1998 e
all’ordinazione sacerdotale, durante il
grande Giubileo del 2000.
Da allora ho passato quattro anni nel-
la casa salesiana di Bologna e sei anni
in quella di Brescia: tutti anni indi-
menticabili di vita spesa felicemente
in mezzo ai giovani. Poi nel 2010 mi
è stato chiesto di concludere il Dotto-
rato in Teologia per poter insegnare
discipline pastorali: allora ho passa-
to due anni a Torino-Crocetta e da
ormai quattro anni sono di stanza a
Roma, vivendo presso l’Istituto Sale-
siano Pio XI e insegnando nella no-
stra Università Pontificia Salesiana.
Perché ha scelto di essere
salesiano?
In realtà non posso dire di “aver scel-
to”, ma di “essere stato scelto”. La vo-
cazione è sempre un mistero più gran-
de di noi, e i veri motivi della chiamata
risiedono sempre nella bontà e nella
libertà di Dio. La mia è stata una ri-
sposta al Suo amore, che ho percepito
in vari modi: dalla cura che i figli di
don Bosco hanno avuto per me, dalla
fiducia che mi hanno accordato, dallo
12
Marzo 2017

2.3 Page 13

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spirito di famiglia che ho respirato. In-
somma, il Signore fa sentire la sua voce
e chiede corrispondenza e generosità,
che cerco di vivere ogni giorno in una
fedeltà che ha sempre bisogno di cu-
stodia e di purificazione.
Impegnare la vita per
la felicità e la riuscita
dei giovani vale la pena?
Sì, vale assolutamente la pena, so-
prattutto oggi, in un mondo pieno di
incertezza e superficialità dove i gio-
vani cercano degli adulti significativi,
capaci di testimoniare uno stile di vita
conforme al Vangelo.
Aiutare un ragazzo, un adolescente
e un giovane a camminare nella vita
con integrità, sapienza e coraggio è
una delle cose più belle che possa ca-
pitare a noi salesiani: e quando questo
avviene, si percepisce che la vita è ben
spesa, che ha creato presente e futuro
per la società e per la Chiesa.
è stato il grande Riccardo To-
nelli, che ci ha lasciati il 1° di ottobre
del 2013. Poi, per qualche anno, gli
è succeduto Alberto Martelli, oggi
Direttore della nostra casa madre di
Valdocco. Io sono arrivato, in punta
di piedi, solo nel settembre del 2016.
La rivista ha effettivamente uno scopo
più che ardito, quello di riflettere sulla
pastorale giovanile, che di solito è una
serie di tante attività fatte con passione
ed entusiasmo, ma poco pensate e poco
approfondite dal punto di vista teorico.
Molti chiedono sussidi, ma non han-
no tempo per pensare, e questo è un
guaio, perché senza pensiero non si va
in profondità, ma si resta in superficie.
Vincerà questa
scommessa?
Le scommesse oggi non si vincono da
soli, ma sognando e lavorando insie-
me. È un suicidio pensare di vincere
da soli le grandi sfide della pastora-
le giovanile: la profezia è ancora una
volta quella della fraternità, anche in
ambito accademico, come in quello
pastorale. Per questo la rivista lavora a
cerchi concentrici, attraverso due équi-
pe: il “gruppo di direzione”, che è più
di indole pratica e operativa, formato
da quattro persone; e il “gruppo di re-
dazione”, che è un gruppo di pensiero
e di condivisione, formato da dodici
persone. Poi ci sono tanti collaboratori
che a vario titolo offrono il loro contri-
buto per la crescita della rivista.
Come si può definire, oggi,
la Pastorale Giovanile?
Si tratta dell’impegno che la Chiesa
mette in campo per la cura educativo-
pastorale delle giovani generazioni.
Don Rossano in un incontro con papa Francesco.
Il prossimo Sinodo sui giovani vedrà protagonisti
anche i salesiani.
Lei è il direttore della
rivista «Note di Pastorale
Giovanile», una rivista
unica nel suo genere che si
rivolge proprio a coloro che
vogliono impegnarsi con
intelligenza e riflessione
nell’unico campo che può
cambiare il mondo: la
formazione intellettuale
e spirituale della nuova
generazione. Non è una
sfida fin troppo ardita?
In realtà sono un Direttore “da poco”
della rivista. Sono un piccolo nano
sulle spalle di giganti. Per quasi un
quarantennio lo storico Direttore di
Marzo 2017
13

2.4 Page 14

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L’INVITATO
È fatta di passione e competenza,
e chiede di mettersi in gioco come
gruppo di adulti che desiderano cam-
minare con i ragazzi, gli adolescenti
e i giovani, per aiutarli a scoprire i
loro talenti e a metterli a servizio con
generosità. La pastorale giovanile af-
ferma un’idea di Chiesa in uscita, che
si rende presente nei luoghi di vita
dei giovani, soprattutto in quelli di
maggiore povertà, per manifestare
loro la prossimità del Signore e il suo
desiderio di vederli felici nel tempo e
nell’eternità.
Come la vede nella Chiesa
Italiana? E nella Famiglia
Salesiana?
Entrambe condividono una medesima
passione per i giovani. Non per nulla
nel “gruppo di direzione” della rivista
è presente il responsabile del “Servizio
Nazionale della Pastorale Giovanile”
della Conferenza Episcopale Italiana,
don Michele Falabretti, con il quale
condividiamo davvero tanto, con una
sintonia di alto livello su tutti i temi.
Effettivamente in Italia nessuno può
parlare di pastorale giovanile senza far
riferimento a don Bosco e alla sua ope-
ra, che ha segnato tutta la penisola in
maniera forte e decisa.
Anche come salesiani stiamo lavo-
rando molto per il rinnovamento
della nostra presenza educativo-pa-
storale. Basti solo pensare al lavoro
di ripensamento che ha portato alla
pubblicazione del nuovo “Quadro di
riferimento per la Pastorale Giovanile
Salesiana”, un testo di ampio respiro,
la cui realizzazione è durata più di un
sessennio.
Papa Francesco ha
annunciato che il prossimo
sinodo sarà sui giovani.
Ci può dire qualcosa
in merito?
Questa è la grande novità e il bel re-
galo di un Papa che è stato battez-
zato da un salesiano! L’attenzione al
mondo dei giovani è nel suo DNA
ecclesiale e il gesto dell’annuncio di
un Sinodo dal tema “I giovani, la fede
e il discernimento vocazionale” lo di-
mostra senza ombra di dubbio.
Il Sinodo si svolgerà nell’ottobre del
2018, ma ciò che importa è tutto il cam-
mino che lo precederà e che lo seguirà.
Il primo passo è stato il “Documento
preparatorio” o Lineamenta, uscito nel
gennaio di quest’anno, un documento
che ha lo scopo di interpellare tutte le
Chiese del mondo in merito al tema:
esso si conclude con un “Questiona-
rio”, le cui risposte faranno da base
all’Instrumentum laboris, che è il testo
base che i padri sinodali avranno tra le
mani. Dopo il Sinodo, le proposizioni
raccolte faranno da base all’Esortazio-
ne Post-Sinodale, che uscirà presumi-
bilmente nella primavera del 2019.
Come si può vedere, ciò che veramen-
te importa è che tutta la Chiesa, per
almeno quattro anni, sarà impegna-
ta a riflettere su ciò che noi salesiani
non cessiamo di trattare: i giovani, il
loro mondo, il loro cammino, la loro
vocazione.
In che modo la rivista
intercetterà questo
cammino sinodale?
Fin dall’inizio abbiamo preso sul serio
la questione. Tutti gli editoriali sono
14
Marzo 2017

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dedicati al tema e il numero di febbraio
2017 è diventato un numero speciale
sul Sinodo, dove abbiamo chiesto ai
vari protagonisti di dirci le loro aspet-
tative, i loro sogni, i loro desideri in
merito a quello che la Chiesa intende
vivere in questi prossimi anni. Insieme
abbiamo presentato il “Documento
preparatorio”, offrendo anche moda-
lità concrete di lavoro nei vari organi
ecclesiali di partecipazione.
Continueremo a monitorare e a riflet-
tere con profondità intorno al tema
del Sinodo e attorno al Sinodo stesso.
Quali sono i temi nodali
della rivista “Note di
Pastorale Giovanile”?
Prima di parlare dei temi, bisogna dire
innanzitutto che la rivista è più di una
rivista, perché il gioco è più grande:
c’è la parte stampata, con otto numeri
annuali di 80 pagine; c’è la newsletter,
che viene inviata a chi la richiede, che
offre tematiche inerenti al numero in
corso, ma con molti materiali di ap-
profondimento in più; e poi c’è il sito
www.notedipastoralegiovanile.it, che
è un grande archivio on line di pasto-
rale giovanile, che contiene pratica-
mente la maggior parte del materiale
pubblicato dal 1966 ad oggi!
Dando un occhio al sito si vede im-
Il prossimo Sinodo sarà sui giovani:
è la grande novità e il bel regalo
di un Papa che è stato battezzato
da un salesiano!
mediatamente che la pastorale gio-
vanile non è semplicemente una “di-
sciplina accademica”, ma un’ampia e
articolata “area di ricerca e di azio-
ne”: condizione giovanile, cam-
mini di evangelizzazione e di
spiritualità, materiali per la
formazione della coscienza,
analisi di esperienze significative di un profilo insieme teorico e pratico:
corresponsabilità apostolica e di pro- deve aiutare “gli operatori” a confron-
gettazione pastorale, esegesi biblica tarsi con idee solide e profonde e deve
dedicata al mondo giovanile, rifles- aiutare “gli accademici” a confrontarsi
sione a partire dai luoghi della pa- con la realtà pastorale concretamente
storale giovanile, catechesi artistiche, esistente.
materiali per la formazione degli ani-
matori e tanto altro fanno parte del Qual è il suo sogno?
repertorio di .
Il sogno che mi spinge ad anda-
A chi si rivolge e come può
essere diffusa e utilizzata?
re avanti con entusiasmo è sempre
quello che condivido con don Bosco,
il quale non smetteva di dire ai suoi
La rivista, che tutto sommato ha una ragazzi che li voleva vedere “felici nel
tiratura limitata, si rivolge a due grandi tempo e nell’eternità”.
tipologie: al mondo degli operatori di Ma ogni sogno, per diventare realtà,
pastorale giovanile, ovvero coloro che ha sempre bisogno di impegno intel-
operano direttamente con i giovani lettuale e di generosa dedizione. Per
(animatori, insegnanti, catechisti, sa- questo egli aggiungeva: “Io per voi
cerdoti, consacrati, operatori pastora- studio, per voi lavoro, per voi vivo, per
li) e al mondo accademico, cioè coloro voi sono disposto anche a dare la vita”.
che studiano la pastorale giovanile e Qui si vede come lo “studio” non è
sono docenti di materie nel campo qualcosa di estraneo alla vocazione
educativo e pastorale.
salesiana, ma ne è un’articolazione
L’attenzione a queste due diverse tipo- necessaria e doverosa proprio per il
logie di destinatari chiede alla rivista vero bene di tutti i giovani.
Marzo 2017
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MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
2
4
3
FINO AI CO
RUSSIA 1
I Salesiani tra
musulmani e ortodossi
A Mosca, i Salesiani
gestiscono la Casa
della Divina Provvi-
denza, che accoglie
32 bambini e ragazzi
in età scolare, tra i 7
e i 18 anni, lì ospitati
a causa delle difficili
situazioni delle loro famiglie. Provengono da diversi
paesi e ambienti. Una parte sono bambini delle ex re-
pubbliche dell’Unione Sovietica – Kirghizistan, Tagiki-
stan, Uzbekistan. La maggior parte proviene da famiglie
ortodosse. Alcuni sono battezzati, e un terzo di essi sono
musulmani. Da un anno sono arrivati anche due bam-
bini cattolici. Due sono i Salesiani che vi lavorano: don
Krzysztof Calaba, della Polonia, e don Petros Petrosjan,
della Georgia.
L’educazione è basata sui valori cristiani. “Vogliamo
formare i ragazzi nella consapevolezza che sono amati da
Dio. Non abbiamo paura di condividere con loro i valori
cristiani. Offriamo il tradizionale pensiero salesiano della
“buonanotte” e le preghiere per tutti. Tutti gli studenti
appartengono a religioni monoteiste, che condividono
il rispetto e il perdono. Quando saluto i cristiani, faccio
loro il segno della croce sulla fronte, agli altri pongo le
mani sulla testa. A tutti auguro una buona giornata”.
CONGO 2
I Salesiani per i giovani più svantaggiati
I missionari salesiani a Uvira, nella regione del Sud Kivu,
Repubblica Democratica del Congo, stanno fornendo
l’opportunità di andare a scuola a decine di bambini e a
giovani adulti. Molti di questi studenti sono ex bambini
soldato, bambini di strada, bambini accusati di strego-
neria, donne particolarmente vulnerabili a violenze e
sfruttamento.
Partendo da una formazione di recupero, con una parti-
colare attenzione per l’alfabetizzazione, il progetto lavora
per aumentare le conoscenze di base degli studenti, al
fine di prepararli alla formazione di competenze avanza-
te. Il programma scolastico comprende inoltre un pasto
al giorno per ogni studente e attività sportive 2 volte a
settimana.
“La maggior parte di questi allievi ha avuto un accesso
molto limitato all’educazione – spiega don Mark Hyde,
Responsabile della Procura Missionaria Salesiana di
New Rochelle, negli Stati Uniti d’America –. Hanno
frequentato per alcuni anni le scuole elementari e poi le
circostanze non hanno più permesso loro di proseguire.
I Salesiani hanno iniziato il progetto educativo affinché i
giovani adulti e le madri di famiglia possano apprendere
un mestiere e ottenere un lavoro e così rompere il ciclo
della povertà”.
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Marzo 2017

2.7 Page 17

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1
MOZAMBICO 3
Novizi salesiani con i detenuti
BRASILE 4
La missione salesiana
di Iauaretê
Namaacha è una cittadina situata nella Provincia di
Maputo, la capitale del Mozambico, al confine con lo
Swaziland. Ricca di bellezze naturali e con il clima tipico
delle montagne, offre però poche opportunità ai suoi
abitanti, motivo per cui molti suoi giovani migrano verso
la capitale o i paesi vicini in cerca di migliori condizioni
di studio o di lavoro. In questo ambiente opera la comu-
nità salesiana del Noviziato inter-ispettoriale di Angola
e Mozambico.
Durante l’Anno Santo della Misericordia, la Comunità
Formativa del Noviziato Salesiano ha deciso di aprire una
nuova forma di apostolato ai novizi, attraverso la pastora-
le nel carcere locale. Da allora, durante tutto l’anno, ogni
sabato pomeriggio un gruppo di novizi, accompagnato
dal Maestro, don Adolfo Sarmento, e con il supporto dei
Salesiani Cooperatori e di membri della Chiesa locale,
porta un po’ di compagnia ai detenuti, la maggior parte
dei quali ha tra i 18 e i 29 anni, e offre loro formazione:
musicale, sui temi dell’igiene orale e della prevenzione
dell’ , lingua inglese, oltre a momenti di preghiera
e accompagnamento spirituale.
La situazione riscontrata nel carcere non è molto diversa
da quella presentata da don Bosco nelle Memorie dell’O-
ratorio. Oltre che per le condizioni della propria cella,
alcuni detenuti soffrono il dover aspettare a lungo l’esito
del proprio caso giudiziario.
La missione salesiana di Iauaretê è situata nel profon-
do Ovest dell’Amazzonia Brasiliana, al confine con la
Colombia, ed è una delle missioni più distanti e difficili
da raggiungere. Per raggiungerla servono normalmente 3
giorni, di cui uno su una barca a motore, risalendo il Rio
Negro e poi continuando verso la Colombia navigando
nel Rio Uaupes. Come si può intuire, Iauaretê è lontana
da tutto, da istituzioni, centri abitati grandi e, purtroppo,
lontana anche da servizi minimi di sussistenza, come
ospedali e posti di salute.
Oltre al lavoro catechetico e di evangelizzazione, l’am-
bito che più impegna i Salesiani è il lavoro con bambini,
adolescenti e giovani. Sono di una semplicità estrema e
accettano con un sorriso e con un “Anyu” (grazie in lin-
gua tukano) ogni proposta: un gioco, una camminata, un
tuffo nel fiume, una preghiera, mai fanno mancare il loro
sorriso. Anche se nelle loro case di legno, con il tetto di
lamiera o paglia hanno solo le amache dove dormire, un
fuoco per la pentola, se va bene un armadio dove tengono
con cura i 4 vestiti che hanno e… basta!
A tutti i minori bisognosi i Salesiani offrono un luogo
dove divertirsi, studiare, fare attività di gruppo, corsi di
chitarra, Inglese, dattilografia, sport… E soprattutto la
certezza di un futuro.
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2.8 Page 18

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A TU PER TU
O. PORI MECOI
Stazione speranza
Incontro con
don Emanuele
De Maria
«Vivere di fronte alla Stazione Termini di
Roma mi mette nelle condizioni di incontrare
e sperimentarmi con una grande varietà di
“categorie” umane e questo arricchisce
ogni giorno di più il mio essere salesiano
e sacerdote, anche se a prezzo di qualche
immancabile fatica».
di mia sorella sulle giornate trascor-
se al mare e, ogni giorno, chiedevo
di poter partecipare anch’io… Devo
essere stato molto insistente, visto
che alla fine i salesiani hanno accet-
tato di accogliermi, a patto che mia
sorella avesse un occhio di riguardo
per me, anche se ancora non avevo
sei anni!
Chi per primo
ti ha parlato di Gesù?
Iniziamo subito con una domanda
difficile! Fatico a ricordarlo con pre-
cisione, perché, come tanti miei coe-
tanei italiani, sono nato e cresciuto in
un ambiente in cui Gesù faceva parte,
più o meno!, dell’orizzonte familiare.
Tenendo qualche margine di incer-
tezza, però, potrei immaginare che la
prima a parlarmi di Gesù sia stata la
mia nonna paterna.
Come hai conosciuto
i salesiani?
Questo lo ricordo bene! Il mio in-
contro con i salesiani passa attraverso
mia sorella, cinque anni più grande
di me: frequentava l’oratorio salesia-
no di Frascati-Capocroce, durante
l’estate. Con mia mamma andavamo
a riprenderla il pomeriggio ed io mi
incantavo a vedere tutti quei ragaz-
zi sulla gradinata, in ascolto della
“buonanotte”… poi sentivo i racconti
Com’è la tua famiglia
e come hai preso
la tua vocazione?
La mia famiglia è “ordinaria”. Papà,
mancato qualche anno fa, era un gran
lavoratore. Mia mamma, infermiera,
una donna generosa e buona. Non
hanno mai ostacolato la mia scelta
di diventare salesiano e sacerdote,
anche se all’inizio hanno faticato un
po’ a “digerirla”… soprattutto mia
mamma.
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2.9 Page 19

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Don Emanuele con alcuni dei giovani accolti nel
centro: «È straordinario contemplare le meraviglie
che Dio opera nei giovani con cui mi mette a
contatto, scorgere come Dio plasma il cuore
di chi si apre al suo Vangelo».
Quali sono state le tappe
della tua scelta?
Dopo che ho conosciuto i salesiani, il
Signore non li ha più tolti dall’oriz-
zonte della mia vita! All’inizio solo
in estate e in seguito anche durante
l’anno: ho infatti frequentato la scuo-
la media e il liceo classico presso la
scuola salesiana Villa Sora di Frascati.
Nell’adolescenza ho avuto un paio
di anni di forte ribellione in cui ho
provato in tutti i modi a convince-
re i miei a farmi cambiare scuola…
non ho avuto successo! Poi è inizia-
to un certo riavvicinamento e, pian
piano, il coinvolgimento nel grup-
po formativo e nell’animazione dei
più piccoli. È stato un crescendo
che si è poi radicato in un cammino
di fede solido, in cui hanno avuto
importanza cruciale, soprattutto ne-
gli anni dell’università, l’ascolto della
Parola di Dio, l’accompagnamento
spirituale e il servizio ai ragazzi.
Perché impegni la tua vita
come salesiano?
Perché ho sentito e sento che il Si-
gnore ha disegnato per me questo
“vestito”: offrire la mia vita a lui in
modo molto concreto, attraverso l’e-
ducazione dei giovani. È un’avventura
che mi affascina, che sento mia e che
riempie la mia vita, la rende straordi-
nariamente bella…
Sei nel cuore
di un’umanità dolente.
Come hai incominciato?
Ho incominciato quasi tre anni fa,
quando il mio Superiore mi ha detto:
“Andrai al Sacro Cuore!”. Certo, non
era la prima volta che sperimentavo la
presenza di povertà e disagi, ma mai
avevo vissuto un contatto così quoti-
diano e continuo con questo tipo di
realtà. Vivere di fronte alla Stazione
Termini di Roma mi mette nelle con-
dizioni di incontrare e sperimentarmi
con una grande varietà di “categorie”
umane e questo arricchisce ogni gior-
no di più il mio essere salesiano e sa-
cerdote, anche se a prezzo di qualche
immancabile fatica.
Qual è la cosa più bella
che ti è capitata?
Sono due… alla pari! La prima è ve-
dere quanti giovani, anche a costo di
sacrifici, hanno il desiderio sincero di
mettersi al servizio di chi vive situa-
zioni di povertà e di fatica.
La seconda è contemplare le meravi-
glie che Dio opera nei giovani con cui
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2.10 Page 20

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A TU PER TU
mi mette a contatto, scorgere come
Dio plasma il cuore di chi si apre al
suo Vangelo.
Don Emanuele con un amico e collega. «Mi torna
in mente come un faro la frase, tanto semplice
quanto profonda, di don Bosco: “Basta che siate
giovani perché io vi ami”».
Com’è la tua giornata?
Questa domanda è più difficile della
prima! La varietà di proposte in cui
sono coinvolto non mi permette di
avere una giornata tipo… L’inizio del
giorno, però, è sempre scandito dalla
meditazione, dalla preghiera e dalla
celebrazione eucaristica nella basilica
costruita da don Bosco stesso. Il resto
della giornata trascorre tra incontri
di gruppo o personali, la cappella-
nia universitaria del dipartimento di
Scienze della Formazione di Roma
Tre, le riunioni con le équipe educa-
tivo-pastorali (spesso condivise anche
con le suore Missionarie di Cristo
Risorto, con cui condividiamo il no-
stro progetto), le attività di servizio
insieme ai giovani e a favore di chi ha
bisogno (giovani rifugiati, senza fissa
dimora della Stazione…). Pur nella
varietà delle proposte, comunque, c’è
un comun denominatore, che è il la-
voro per e con giovani di età compresa
soprattutto tra i 19 e i 30 anni. Que-
sto è per me un dono prezioso, perché
sono gli anni in cui fanno le loro scel-
te, decidono della loro vita, si forma-
no e si sperimentano come cittadini
attivi e cristiani adulti nella fede.
Che cosa chiedi a Dio nella
tua preghiera quotidiana?
Una delle preghiere frequenti che ri-
volgo al Signore è quella di aiutarmi
ad essere “centrato”, a non lasciare che
gli impegni e i ritmi serrati mi distol-
gano dall’essenziale, a farmi ricordare
sempre che ogni gesto e parola devo-
no trovare radici in Lui.
Spessissimo, affido a Dio situazioni
concrete con cui entro in contatto, le
storie dei giovani, le loro fatiche e le
loro gioie. Ogni giorno, poi, ringra-
zio per la “densità” della vita che mi
dona, così ricca e piena di relazioni.
Chi sono veramente i
rifugiati che accogliete?
Lascio ad altri più esperti dettaglia-
te risposte sociologiche o antropolo-
giche… Quando noi accogliamo un
rifugiato in casa, per una delle pro-
poste a loro dedicate, vediamo prima
di tutto un giovane. Quante volte, in
questi tre anni, incontrando giovani
rifugiati di altre religioni e culture,
mi è tornata in mente come un faro
la frase, tanto semplice quanto pro-
fonda, di don Bosco: “Basta che siate
giovani perché io vi ami”. Per me, per
noi, sono prima di tutto giovani. Poi,
ovviamente, proviamo ad aiutarli in
ciò di cui hanno bisogno.
Che cosa cercano?
Rispondo naturalmente in base alla
mia limitata e parziale esperienza.
Nel momento in cui si mettono in
viaggio cercano la vita, essendo il ri-
fugiato una persona che, per motivi
fondati, non può più rimanere nel suo
Paese di origine in condizioni sicure.
Quando arrivano da noi, spesso,
cercano un luogo in cui ricevere al-
cuni strumenti che facilitino la loro
integrazione (lingua, informatica,
orientamento al lavoro, sostegno allo
studio…).
Spesso, però, c’è un’evoluzione nel
loro approccio alla nostra casa e, al-
lora, si rendono conto che qui, oltre
a risposte molto pratiche, possono
cercare amicizie, relazioni con coeta-
nei in una casa che li considera non
solo dal punto di vista dei problemi
che hanno, ma anche come giovani in
cammino, bisognosi di un ambiente
sereno e familiare a partire dal quale,
spesso, ricostruire una vita che sem-
bra aver perso le sue fondamenta.
Che cosa dovremmo
dare loro?
È ovvio che non possiamo far finta
che non abbiano bisogno di aiuti pra-
tici, come quelli prima descritti. Per-
tanto dobbiamo rispondere a questi
bisogni, per quanto possibile.
Da salesiani, però, non possiamo
fermarci a questo tipo di intervento,
peraltro portato avanti anche da tanti
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Marzo 2017

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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altri agenti sociali. Noi possiamo of-
frire loro il nostro specifico, il carisma
educativo fatto di affiancamento e ac-
compagnamento, di relazione schiet-
ta e sincera, di dialogo, di ascolto, di
spirito di famiglia per chi spesso la
famiglia non ce l’ha più o l’ha dovuta
lasciare nel proprio Paese.
Una caratteristica di quello che possia-
mo offrire loro sta nel fatto che que-
sti giovani si inseriscono in un centro
giovanile non strutturato solo per loro,
ma per tutti i giovani... questo fa sì
che non si crei una sorta di “ghetto”,
ma un ambiente in cui l’integrazione
può avvenire in modo molto concreto,
nelle pieghe del quotidiano, nelle pro-
poste condivise da tutti. Anche questo
aspetto, mi sembra, può essere carat-
terizzante di ciò che, come salesiani,
possiamo offrire loro.
Si potrà mai risolvere
questo problema?
Faccio fatica a usare la parola “proble-
ma”. Sono giovani che spesso hanno
“problemi” complessi da gestire, ma
non sono loro un “problema”. Per-
Non credo che ci sia qualcosa da
risolvere, ma solo un segno dei tempi
che ci interpella e attraverso cui
il Signore vuole bussare alla nostra
porta per operare meraviglie
tanto non credo che ci sia qualcosa
da risolvere, ma solo un segno dei
tempi che ci interpella e attraver-
so cui il Signore vuole bussare alla
nostra porta per operare meraviglie.
Non è forse quello che ha fatto don
Bosco? Accogliere i segni dei tempi
e adoperarsi concretamente, secondo
il carisma specifico che gli era stato
concesso.
Qual è la soluzione
che vedi tu?
Favorire il più possibile i canali di
scambio e di incontro, che permet-
tano di crescere nella conoscenza
reciproca, nel riconoscimento dei
propri limiti e dei propri pregi, nella
collaborazione fattiva in alcuni pro-
getti, magari anche a vantaggio della
società.
Le soluzioni che a volte si paventano
nelle grandi istituzioni e che mira-
no a porre argini di qualsiasi tipo mi
sembra che siano anacronistiche e che
non tengano conto dei motivi per cui
ci si muove dalle proprie terre… non
sarà un muro in più a scoraggiare chi
vive in condizioni disperate dall’in-
traprendere un viaggio verso una vita
che reputa migliore.
Qual è il tuo sogno?
Portare Gesù a tanti giovani, attra-
verso la testimonianza di una vita im-
pegnata e gioiosa… in due parole, una
vita salesiana!
Don Emanuele e la sua bella famiglia. «Sono nato
e cresciuto in un ambiente in cui Gesù faceva
parte dell’orizzonte familiare».
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3.2 Page 22

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La lettera
di un giovane
santo a suo padre
Un raro autografo di san Domenico Savio
Dalle Memorie Biografiche di san Giovanni Bosco:
«Siamo sul finire dell’agosto 1855. In questo stesso mese il
coléra era ricomparso in Torino, ma, grazie a Dio, in modo
assai mite. Don Bosco e i suoi giovani erano pronti per l’ufficio
d’infermiere e per l’assistenza spirituale, ma non ve ne fu
bisogno. I colpiti dal morbo guarivano, e pochi ne morirono.
Ne scrisse a suo padre il giovanetto Savio Domenico che era
già tornato nell’Oratorio. Questa lettera noi la conserviamo
religiosamente nell’archivio».
Carissimo padre,
Ho una novella molto curiosa da scrivervi,
ma prima di tutto vi dò delle mie nuove. Io
ringraziando il Cielo fin qui sono sempre
stato bene e ancor godo una perfetta
salute, come pure spero di voi e di tutta
la famiglia. I miei studi vanno avanti
progressivamente e D. Bosco ne è ogni
ora più contento. La novella è che avendo
potuto stare un’ora, solo, con D. Bosco,
siccome per lo addietro non ho mai potuto
stare dieci minuti solo, gli parlai di molte
cose, tra le quali di un’associazione per
l’assicurazione dal coléra. Mi disse che
il morbo è in sul principio e se non fosse
del freddo che già s’inoltra, forse
farebbe un grande guasto. Mi
ha anche associato ad una sua
compagnia, il che sta tutto in
preghiere. Gli parlai anche di
mia sorella come voi mi
avete detto, e mi disse che
la conduciate a casa sua

3.3 Page 23

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alla festa della
Madonna del
Rosario per
giudicare della
sua capacità
e delle altre
qualità che ha. Quindi ve ne
intenderete. D’altro non mi resta
che salutare voi e tutta la famiglia,
il mio maestro D. Cugliero,
ed anche Robino Andrea ed anche
il mio amico Savio Domenico
di Ranello. Sono il vostro
Aff. ed amantissimo figlio
Savio Domenico

3.4 Page 24

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LE CASE DI DON BOSCO
GAETANO URSO
Un’Etna salesiana
L’Opera del Sacro Cuore di Catania-Barriera
Con fantasia e organizzazione un manipolo di
salesiani anima quest’opera molto apprezzata
in città per la molteplicità dei settori e delle
attività che promuove, ma anche per la tipica
spiritualità e pedagogia salesiana
In alto:
Il santuario
del Sacro Cuore
di Gesù.
Sotto: Una
scalinata
con i piccoli
protagonisti
dell’Oratorio.
Catania è una città giovane, ospitale, con
una posizione geografica eccezionale che
le consente di coniugare perfettamen-
te mare e montagna, le sue fantastiche
coste e la presenza dell’Etna. In uno dei
quartieri, convenzionalmente chiamato
Barriera, che conserva un importante patrimonio
architettonico e culturale e dove si trovano anche
la Cittadella Universitaria e il Policlinico, da circa
cento anni il nome “Don Bosco” significa educa-
zione ed accoglienza.
Per i figli della guerra
L’Opera Salesiana del Sacro Cuore di Barriera
nasce come Ospizio il 16 ottobre 1916, voluto dal
cardinale Giuseppe Francica Nava, arcivescovo di
Catania. Viene affidato inizialmente ai Fratelli
delle Scuole Cristiane, e in seguito, il 6 settembre
1923, ai Salesiani, con il parere positivo di don
Rinaldi, Rettor Maggiore.
In esso vengono ospitati centinaia di ragazzi po-
veri e orfani della guerra del ’15-’18: i Salesiani
offrono loro accoglienza, formazione professiona-
le (nei primi anni calzoleria, falegnameria, ebani-
steria, legatoria, tipografia…, nel 1938 si aggiun-
ge il laboratorio di meccanica e, gradualmente,
i laboratori esistenti vengono sostituiti da quelli
di elettromeccanica, saldatura, analisi chimica,
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Marzo 2017

3.5 Page 25

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radiotecnica, elettronica, informatica e stampa li-
tografica, e da quest’anno quello di ristorazione).
L’8 dicembre 1933, per volontà espressa dell’arcive-
scovo monsignor Carmelo Patanè, nasce l’Oratorio,
con lo scopo di aggregare ragazzi e giovani, dan-
do loro l’opportunità di una formazione integrale,
umana e cristiana, attraverso le attività del tempo
libero ed iniziative di educazione alla fede, con lo
stile di don Bosco, padre e maestro dei giovani.
Nel 1938 viene inaugurato il Santuario del S. Cuo-
re di Gesù, voluto come tempio a lui dedicato, dal
cardinale Nava, e divenuto Parrocchia nel 1949.
Se muore anche la speranza
Oggi, la situazione sociale e religiosa è segnata
dalla crisi di valori e dal secolarismo che carat-
terizza la società italiana, appesantita dalla par-
ticolare condizione della Sicilia, ove le difficoltà
generali sono aggravate dal lavoro scarso e spesso
mal retribuito.
La situazione delle famiglie è problematica; la
frequenza alle pratiche religiose è scarsa; forte è
l’evasione scolastica a Catania (circa il 28% dei
minori in obbligo scolastico), molti i minori che
lavorano in nero, o in giro per le strade del quar-
tiere in motorino; in crescita lo spaccio e l’uso di
stupefacenti e i casi di microcriminalità.
Le Parrocchie, i Centri Giovanili e gli altri Cen-
tri di incontro e di aggregazione sono scarsamen-
te collegati e senza un progetto in rete a favore dei
ragazzi e delle famiglie.
Il problema più scoraggiante è che a Catania un
giovane su due non lavora e, in Sicilia, oltre il 70
per cento ha perso anche la speranza e la spinta
a cercare occupazione. Nei dati Istat per l’occu-
pazione, Catania “strappa” anche un altro record
non proprio invidiabile: quello dei giovani cosid-
detti “neet”, cioè giovani che non lavorano, non
studiano e non frequentano corsi di formazione e
non cercano lavoro, perché sfiduciati.
È proprio il caso di dire: «Qui ci vogliono i Sa-
lesiani!»
Un’esplosione di iniziative
I Salesiani si sono rimboccati le maniche e han-
no dato inizio a quest’opera molto apprezzata in
città per la molteplicità dei settori e delle attività
che promuove, ma anche per la tipica spiritualità
e pedagogia salesiana.
Nel suo insieme la presenza e l’azione educativa
pastorale salesiana di Barriera ha come punti di
forza la molteplicità dei settori di animazione e di
educazione civile e religiosa, la serietà e la qualità,
mantenuta fin dalle origini, nell’impegno educa-
tivo e pastorale, l’apertura al sociale e alla Chiesa
locale e l’accoglienza indiscriminata di tutte le ca-
tegorie di ragazzi nel e nell’Oratorio. Oggi è
necessario crescere in queste dimensioni mirando
con più decisione agli obiettivi educativi da adot-
tare con strumenti idonei ai giovani di oggi.
Sopra: Un gruppo
di animatori con
don Gaetano
e don Saverio.
Sotto: Il gruppo
degli animatori
al completo.
Marzo 2017
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3.6 Page 26

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LE CASE DI DON BOSCO
Ottima è la collaborazione con le famiglie. Sono
tante le famiglie presenti ed impegnate nelle diver-
se attività della Parrocchia e dell’Oratorio. La loro
presenza ed il loro impegno creano un senso di fa-
miglia nell’ambiente giovanile. Vi è anche nell’am-
biente Parrocchiale una consistente presenza di
famiglie impegnate in cammini di formazione e di
evangelizzazione e che a loro volta divengono ope-
ratori di evangelizzazione a diversi livelli.
Il Grest o Gruppo
estivo fa vivere,
per un mese
intero, un clima
di festa e allegria
a tutta la comunità.
Sotto: Molto attivo
è il CAV “Domenico
Savio“ (Centro di
Aiuto per la Vita
e la Famiglia),
formato da quanti
condividono
l’amore alla Vita
e i valori della
famiglia.
Tutto questo rende faticoso portare i giovani, ma
anche gli adulti, ad apprezzare i valori essenziali
della vita e dello spirito. Ma queste sono le sfide
da affrontare e le mete importanti alle quali ten-
dere, che impegnano tutte le nostre energie e che
richiedono un’accurata ricerca comunitaria con
umiltà ma con determinazione per dare senso alla
nostra stessa vita di consacrati per i giovani e per
chiunque ci sta accanto.
Oggi l’Opera Salesiana Sacro Cuore si configura
come Parrocchia, Oratorio, Centro di Formazio-
ne Professionale e Collegio Universitario.
Il quartiere conta da 20 000 a 30 000 abitanti,
tutti molto vicini ai Salesiani, che con le Figlie
di Maria Ausiliatrice sono gli unici che operano
nella zona, soprattutto per l’azione apostolica che
essi svolgono in modo particolare attraverso l’O-
ratorio, frequentato da molti ragazzi e giovani, e
la Formazione Professionale. Questo ha permesso
a molti genitori, specie nei giorni festivi, di essere
presenti con i loro figli nell’Oratorio.
Significativa è la disponibilità della comunità ad
aiutare le Parrocchie vicine, nonostante il livello
di età dei confratelli. Il servizio delle confessioni
è molto apprezzato anche da tanti fedeli prove-
nienti dalla città. Particolare è il rapporto con la
Diocesi di Caltagirone in quanto nella struttura
salesiana vive il Seminario di detta diocesi; sono
frequenti le visite del loro Vescovo, con il quale
ci siamo proposti degli incontri di condivisione
spirituale e pastorale.
Un Lab-Oratorio di vita e festa
L’Oratorio di Barriera sottolinea nel progetto di
vita oratoriana l’importanza dell’allegria e della
gioia di vivere, sull’esempio di Domenico Savio e
dei primi ragazzi dell’Oratorio di Valdocco, che
facevano consistere la santità nello stare sempre
molto allegri: tale espressione riassume il clima
oratoriano, in cui si esprime concretamente la
spiritualità della gioia e dell’ottimismo, fedeli a
don Bosco, che ha insegnato ai suoi educatori ad
“amare ciò che amano i giovani” (musica, teatro,
gite, sport, arte…).
In questi anni è cresciuta la voglia di festa: oltre
alle tante ricorrenze e celebrazioni liturgiche, re-
golarmente valorizzate e partecipate, gli Animatori
dell’Oratorio hanno dato vita ad un evento settima-
nale, il Sabato in festa, che raccoglie tantissimi fan-
ciulli della catechesi e degli altri gruppi in un mo-
mento corale di gioia e di festa, con giochi e canti,
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Marzo 2017

3.7 Page 27

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TRE DOMANDE A DON GAETANO E A DON SAVERIO
sino al momento delle preghiere e della “buona sera”
con tutti gli oratoriani e famigliari, in cortile.
Periodicamente le Feste stagionali prendono il so-
pravvento sull’ordinario “sabato in festa” e diventano
Festa di autunno, a metà novembre, con l’ormai mi-
tica Castagnata con castagne arrostite e salsicciata
(arrusti e mangia!), o Festa d’inverno, il sabato che
precede la Festa di don Bosco, o Festa di primavera,
in occasione della ricorrenza di san Domenico Savio;
e, poi, per un intero mese e passa, l’Oratorio riassu-
me tutte le feste con giochi, balli, bans, gite, arte,
sport, spettacoli…, in un evento magico, il Grest o
Gruppo estivo, che fa vivere, per un mese intero, un
clima di festa e allegria, contagiando le centinaia di
ragazzi che lo frequentano e le loro famiglie.
Segreto di tutto è la scelta dei gruppi e delle asso-
ciazioni, che hanno alla base la formazione degli
Animatori, attraverso un vero Lab-Oratorio di
formazione all’animazione, con incontri teorici e
veri laboratori di animazione.
L’Oratorio è parte integrante della parrocchia,
anche se accoglie ragazzi e animatori da altri
quartieri e dall’hinterland catanese. Nel rapporto
con la Parrocchia è sempre più assodato l’affida-
mento all’Oratorio dell’animazione della pastora-
le giovanile con particolare riferimento alla cate-
chesi dell’iniziazione cristiana.
Numerosi sono i gruppi d’impegno cristiano (o
formativi) e le Associazioni all’interno dell’Ora-
CFP, Santuario, Universitari oltre all’Oratorio Centro Giovanile.
Come si articola tutta questa complessità?
Il segreto è un’autentica collaborazione costruttiva tra le varie componenti che
hanno realtà e problematiche diverse. Ma quello che vogliamo tutti è favorire
la comunicazione, la condivisione e la comunione tra tutti; prestare un’atten-
zione particolare ai giovani e alla famiglia; camminare con i ragazzi, giovani e
famiglie verso Gesù Cristo: da conoscere, amare, seguire nella via della vita
e dell’amore, fedeli al Vangelo e al Magistero della Chiesa, con lo stile di don
Bosco.
Qual è la cosa che ti dà più soddisfazione?
La cosa che mi dà più soddisfazione è il vedere in Oratorio la crescita e la
presenza nel Territorio di vari gruppi d’impegno cristiano o formativi e di tante
associazioni del tempo libero come C.G.S., P.G.S., T.G.S. e di indole educati-
vo-sociale e volontariato come gli Scout/Agesci, l’S.C.S. e il CAV – centro di
aiuto alla vita “Domenico Savio”, con tanti animatori e dirigenti, impegnati a
favore dei giovani e delle famiglie, con spirito di volontariato e innamorati di
don Bosco.
Quali sono i sogni per il futuro dell’opera?
Risponde don Saverio Arockiam, nuovo incaricato dell’Oratorio: «Il mio so-
gno è quello di favorire la realizzazione di un Oratorio che sia ancor di più
”Una famiglia di famiglie”, con la partecipazione di ragazzi, giovani e adulti
delle varie componenti dell’Oratorio stesso... Quest’anno abbiamo già avviato
alcune iniziative nel Territorio del Vicariato come la Scuola o Lab-Oratorio di
animazione aperta anche ai giovani provenienti da altre Parrocchie, un torneo
di calcio a 5 interparrocchiale e una serie di incontri su temi familiari, alla luce
dell’“Amoris laetitia”, coordinati dal nostro “CAV Domenico Savio”.
torio-Centro Giovanile Salesiano: i gruppi d’im-
pegno con momenti periodici d’incontri formativi
e organizzativi; i gruppi di animazione liturgica
come i ministranti e i cantori; il gruppo musica-
le e un magnifico gruppo di volontariato: il
“Domenico Savio” (Centro di Aiuto per la Vita e
la Famiglia), formato da quanti condividono l’a-
more alla Vita, i valori della famiglia e lo spirito
del volontariato e si impegnano per la difesa e la
promozione di tali valori.
I Volontari sono impegnati nella sensibilizzazio-
ne ai valori della vita e della famiglia all’interno
dell’Opera salesiana e nel Territorio, in particola-
re con la presenza periodica nelle Scuole superiori
e in alcune Case famiglia, nel sostegno di mam-
me in attesa e di famiglie in difficoltà, con un
supporto spirituale, psicologico, medico, legale e
materiale, convinti che “La vita umana è sacra e
inviolabile. Ogni diritto civile poggia sul ricono-
scimento del primo e fondamentale diritto, quello
alla vita” (papa Francesco).
Marzo 2017
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3.8 Page 28

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FMA
EMILIA DI MASSIMO
.n..oMnasiotneompi
cambiati?
È evidente che la proposta
fatta a venti giovani da
parte di suor Brittany
Harrison, animatrice
pastorale nella scuola di
Mary Help of Christians
Academy (New Jersey),
è veramente audace.
Ti propongo
un corso di LIGHT
L’abbigliamento firmato, l’ultimo cel-
lulare, accessori eccentrici. Spesso è
questo l’identikit dei ragazzi di oggi.
Chi oserebbe proporre loro un percor-
so spirituale? Certamente chi crede nei
giovani e sa andare al di là dell’esterio-
rità. Credendo nella forza dell’educa-
zione, è evidente che la proposta fatta a
venti giovani da parte di suor Brit-
tany Harrison, animatrice pasto-
rale nella scuola di Mary Help of
Christians Academy (New Jersey)
è veramente audace; ce la racconta
Tatiana Perez.
“Suor Brittany ci ha invitate a parteci-
pare al corso
(Living In God’s
Holiness Together), vivere la santità
con Dio, un’esperienza da fare insie-
me per approfondire la relazione con
Gesù, soprattutto guardando a Ma-
ria; l’adesione alla proposta ha sorpre-
so molto, generando entusiasmo sia
nelle suore sia nelle giovani stesse”.
Il valore del gruppo, così importante
per la pedagogia salesiana, è in ogni
tempo un valido aiuto per maturare
come persone e come credenti. Le
ragazze che hanno deciso di parte-
cipare, studentesse dai 15 ai 18 anni,
ogni venerdì hanno avuto un incontro
guidato da suor Brittany, la quale le
ha introdotte con gradualità alla pre-
ghiera delle lodi e all’adorazione. La
santità proposta ha guardato a san
Louis de Monfort, a san Maximilian
Kolbe, a Madre Teresa di Calcutta e
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Marzo 2017

3.9 Page 29

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a papa Giovanni Paolo II; le ragazze
hanno avuto l’opportunità di accosta-
re la biografia di ciascuno e di com-
prenderne lo spessore della fede vis-
suta, in particolare hanno analizzato
l’importanza che per ognuno di essi
ha avuto la consacrazione a Maria.
Il tempo dell’adorazione, ci dice Ta-
tiana Perez, è stato un momento
prezioso nel quale preghiera e vita
si sono reciprocamente confrontate;
gradatamente la fede è diventata più
matura ed ha assunto un volto nuovo
rispetto a prima.
Dopo l’adorazione, le giovani han-
no avuto la possibilità di condividere
quanto compreso durante la preghie-
ra personale, un confronto reciproco
che ha aiutato ognuna a crescere come
persona e come cristiana. Personal-
mente, afferma Tatiana, l’esperienza
l’ha aiutata a rivedere e a vivere la
propria fede con maggiore intensità,
l’ha maturata spiritualmente e le ha
donato interiormente la pace.
Solo le donne
accendono luci
Sono i giovani che richiamano altri
giovani, raggiungendo e contagiando
quanti hanno nel cuore analoghe at-
tese di senso. È quanto hanno fatto le
ragazze che hanno vissuto il percorso
spirituale, parlando e testimoniando
ai loro coetanei l’esperienza vissuta.
Dopo aver condiviso la cena con la
comunità delle Figlie di Maria Au-
siliatrice, è iniziata una veglia duran-
te la quale suor Brittany ha spiegato
loro che nel mondo del Giudaismo
le donne sono le uniche ad accendere
le luci delle candele in occasione del
Sabbath (la festa del riposo osservata
ogni sabato nella religione ebraica).
Porre la nostra fede in relazione con
la propria è incontrare Maria, l’unica
che, donando Gesù, ha portato la luce
nel mondo. Ancora oggi, è Lei che
può aiutarci, dice Tatiana, per que-
sto durante la veglia abbiamo acceso
le nostre candele e le abbiamo poste
sull’altare: un gesto simbolico per
esprimere il desiderio e l’impegno di
portare la stessa luce, Gesù, agli altri.
Il giorno seguente alla veglia l’intera
scuola è stata presente in Cappella,
dove le venti ragazze, pubblicamente,
hanno posto la loro vita nel cuore di
Gesù, affidandosi a Maria. Tatiana
racconta: “abbiamo provato un po’ di
ansia proclamando la nostra fede da-
vanti agli insegnanti e ai compagni di
classe, ma poi abbiamo trovato il co-
raggio, così abbiamo recitato il nostro
atto di affidamento con sicurezza,
pronunciando il nostro nome per ri-
cordare maggiormente che ciascuna si
rendeva personalmente e liberamente
responsabile di quanto prometteva di
vivere”.
Il sacerdote ha benedetto ogni ragaz-
za e ha donato a ciascuna un rosario
come ricordo e aiuto per vivere l’im-
pegno preso. L’applauso scrosciante
della comunità educante è stata la ri-
sposta più eloquente; certamente altri
giovani decideranno di percorrere lo
stesso cammino intrapreso dalle loro
coetanee e, tale decisione, ci dice suor
Brittany, sarebbe davvero il segno che
la testimonianza delle ragazze è vera
ed incisiva. Mai, dunque, fermarsi
alle apparenze, soprattutto per chi nel
cuore sente il fascino di… “Living In
God’s Holiness Together”!...
La casa delle Figlie di Maria Ausiliatrice che
organizza l’audace corso Light: vivere la santità
con Dio, un’esperienza da fare insieme per
approfondire la relazione con Gesù, soprattutto
guardando a Maria.
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3.10 Page 30

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UNA FAMIGLIA DI SANTI
TERESIO BOSCO
La venerabile
Dorotea De Chopitea
«La nostra mamma di Barcellona»
P A duecento anni dalla nascita, Dorotea de Chopitea (5 giugno
1816-3 aprile 1891) è considerata la promotrice dell’opera
sociale più importante del XIX secolo a Barcellona.
Sposa e madre di sei figli, fu la prima Salesiana Cooperatrice di
cui si avviò la causa di beatificazione. Fu una delle pochissime
edro Nolasco de Chopitea e
Isabella Villota ebbero 18 fi-
gli. Dorotea fu una delle ul-
time ad arrivare nella grande
famiglia. Nacque, fu battez-
zata e ricevette la cresima nel-
persone cui don Bosco diede l’appellativo di “mamma”. Trentun lo stesso giorno: 5 agosto 1816. Quella
fondazioni sono nate grazie alla sua generosità.
di don Pedro e Isabella era una fami-
glia spagnola emigrata in Cile. Era
molto ricca, molto cristiana e molto
impegnata a usare le sue ricchezze per
la gente povera che la circondava.
Il 1816, anno della nascita di Dorotea,
fu il tempo in cui i cileni cominciarono
a rivendicare apertamente l’indipen-
denza dalla Spagna, dopo essere stati
per quasi trecento anni un suo ter-
ritorio coloniale. L’indipendenza fu
raggiunta nel 1818. L’anno seguente, a
causa dei tumulti politici che poteva-
no coinvolgere i suoi figli più grandi,
don Pedro trasbordò la famiglia al di
là dell’Atlantico, a Barcellona in Spa-
gna. Ma continuò a mantenere una
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Marzo 2017
Dorotea proveniva da una famiglia molto ricca,
molto cristiana e molto impegnata a usare le sue
ricchezze per la gente povera che la circondava.

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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fitta rete di relazioni con gli ambienti
politici ed economici del Cile.
Nella vasta casa di Barcellona la pic-
cola Dorotea (3 anni) fu affidata alle
cure particolari della sorella Giusep-
pina (12 anni). Così Giuseppina, che
diventò poi «suor Giovanna»», diven-
ne per la piccola Dorotea la «mammi-
na giovane». Si abbandonò a lei con
affetto totale, si lasciò guidare con
docilità. Quando compì 13 anni, con-
sigliata da Giuseppina, prese come
direttore spirituale il sacerdote Pietro
Nardo, della parrocchia Santa Maria
del Mar. Per 50 anni don Pietro fu
il suo confessore e il suo consigliere
nei momenti delicati e difficili. Il sa-
cerdote la educò con dolcezza e forza
a «staccare il cuore dalle ricchezze».
Per tutta la vita, Dorotea considererà
le ricchezze di famiglia non come una
fonte di divertimento e di dissipazio-
ne, ma come un grande mezzo mes-
sole in mano da Dio per fare del bene
ai poveri. Don Pietro Nardo fece leg-
gere tante volte a Dorotea la parabola
evangelica del ricco Epulone e del po-
vero Lazzaro. Come segno distintivo
cristiano, consigliò a Giuseppina e a
Dorotea di vestire sempre con mo-
desta semplicità, senza la cascata di
nastri e le nuvole di seta leggera che
la moda del tempo imponeva alle gio-
vani aristocratiche.
Dorotea ricevette in famiglia una so-
lida istruzione scolastica. Al processo
apostolico, Romolo Pinol testimonie-
rà: «Ricevette l’istruzione che a quel
tempo s’impartiva alle ragazze di
ricca famiglia. Difatti più tardi aiutò
molte volte suo marito nella profes-
sione di commerciante».
Sposa a sedici anni
A 16 anni Dorotea visse il momento
più delicato della sua vita. Era pro-
messa sposa a Giuseppe Maria Serra,
un giovane commerciante di 22 anni,
ma di matrimonio si parlava come di
un avvenimento proiettato nel futuro.
Invece don Pedro Chopitea dovette
tornare in America Latina per di-
fendere i suoi interessi, e poco dopo
anche mamma Isabella si preparò a
varcare l’Atlantico per raggiungerlo
in Uruguay con i figli più giovani.
All’improvviso, Dorotea fu messa
davanti a una scelta fondamentale per
la sua vita: interrompere l’affetto pro-
fondo che l’univa a Giuseppe Serra e
partire con la mamma, o sposarsi a 16
anni. Dorotea, con il consiglio di don
Nardo, decise di sposarsi. Dorotea era
una personcina esile e slanciata, di ca-
rattere forte e deciso. Il «Ti amerò per
sempre» giurato dai due sposi davanti
a Dio, si srotolò in una affettuosa e
salda vita matrimoniale, che diede la
vita a sei figlie: Dolores, Anna Maria,
Isabella, Maria Luisa, Carmen e Ge-
suina. Cinquant’anni dopo il sì pro-
nunciato nella chiesa di Santa Maria
del Mar, Giuseppe Serra dirà che in
tutti quegli anni «il nostro amore è
cresciuto ogni giorno».
Donna Dorotea è la signora della casa,
dove lavorano diverse famiglie di do-
mestici. È la compagna intelligente
nel lavoro di Giuseppe, che in breve
acquista celebrità e distinzione nel
mondo degli affari. È accanto a lui nei
momenti di successo e nei momenti di
incertezza e di insuccesso, che a trat-
ti rendono la vita dura e amara. Nei
viaggi all’estero Dorotea è accanto al
marito. È con lui nella Russia dello zar
Alessandro II, nell’Italia dei Savoia e
nella Roma di papa Leone XIII. In
quel tempo donna Dorotea ha 62 anni,
ed è accompagnata dalla nipote Isidora
Pons, che al processo apostolico testi-
monierà: «Fu ricevuta dal Papa. Mi è
rimasta impressa la deferenza con cui
Leone XIII trattò la zia, alla quale of-
frì in dono la sua papalina bianca».
Dolce e forte
I domestici, in casa Serra, si sentiva-
no parte della famiglia. Maria Ame-
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4.2 Page 32

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UNA FAMIGLIA DI SANTI
nos ha dichiarato sotto giuramento:
«Aveva per noi, suoi domestici, un
affetto di madre. Si preoccupava con
amore concreto del nostro bene ma-
teriale e spirituale. Quando qualcuno
si ammalava, procurava che non gli
mancasse nulla, si occupava anche dei
particolari più insignificanti. Quanto
al salario che ci dava, era più alto di
quello che veniva dato ai domestici
nelle altre famiglie». Allora non esi-
stevano contratti sindacali, né si era
ancora coperto d’infamia il termine
paternalismo. Donna Dorotea fu fi-
glia del suo tempo, ma specialmente
di quel cristianesimo che ci ha tra-
sformati in fratelli e sorelle.
Persona esile e slanciata, carattere
forte e deciso. Questo carattere fu il
campo di battaglia dove donna Do-
rotea combatté per tutta la vita per
acquistare umiltà e calma, a lei non
regalate dalla natura. Come grandi
erano i suoi impeti, grande fu la sua
forza per vivere sempre alla presenza
di Dio. Di fronte a Lui scopriamo e
viviamo la nostra vera dimensione.
E donna Dorotea scrisse nei suoi ap-
punti spirituali: «Porrò ogni cura per-
ché fin dal mattino le mie azioni sia-
no tutte rivolte a Dio»; «Non lascerò
la meditazione e la lettura spirituale
senza grave motivo»; «Farò venti atti
di mortificazione al giorno e altret-
tanti di amor di Dio»; «Far tutte le
azioni da Dio e per Dio, rinnovan-
do spesso la purezza d’intenzione...
Prometto a Dio di purificare la mia
intenzione in tutte le azioni».
Cooperatrice salesiana
Negli ultimi decenni del 1800 Bar-
cellona è una città dove sta arrivando
la «rivoluzione industriale». La pe-
riferia è affollata di gente poverissi-
ma. Mancano asili, ospedali, scuole.
Negli esercizi spirituali che compie
nel 1867, donna Dorotea scrive tra i
propositi: «Mia virtù prediletta sarà
la carità verso i poveri, anche se mi
dovesse costare grandi sacrifici». E
Adriano de Gispert, pronipote di
Dorotea, testimonierà: «Mi consta
che zia Dorotea fondò ospedali, asili,
scuole, laboratori d’arti e mestieri e
molte altre opere. Rammento di aver-
ne visitate alcune in sua compagnia».
Vivente il marito, fu aiutata da lui in
queste opere caritativo-sociali. Dopo
la morte di lui (29 agosto 1882) sal-
vaguardò innanzitutto il patrimonio
delle cinque figlie viventi; poi i beni
«suoi personali» (la sua ricchissima
dote, i patrimoni ricevuti personal-
mente in eredità, i beni che il marito
volle intestati a lei) li spese con una
oculata e saggia amministrazione per
Il magnifico santuario del Tibidabo sulla collina
che domina Barcellona. È affidato ai Salesiani.
Qui Dorotea cominciò la costruzione di una
piccola chiesa.
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Marzo 2017

4.3 Page 33

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i poveri. Un testimone ha affermato
sotto giuramento: «Dopo aver prov-
veduto alla famiglia, come atto di
giustizia dedicò il resto ai poveri».
Conosciuto don Bosco, gli scrisse il 20
settembre 1882 (aveva 66 anni, don
Bosco 67). Gli disse che Barcellona era
una città «eminentemente industriale e
mercantile», e che la giovane e dina-
mica congregazione salesiana avrebbe
trovato molto lavoro tra i ragazzi dei
sobborghi. Offriva una scuola per ap-
prendisti lavoratori. Don Filippo Ri-
naldi, oggi «beato», che arrivò a Bar-
cellona nel 1889, scrive: «Siamo andati
a Barcellona chiamati da lei, perché
voleva provvedere specialmente ai gio-
vani operai e agli orfani abbandonati.
Acquistò il terreno con una casa, di
cui curò l’ampliamento. Io arrivai a
Barcellona quando la costruzione era
già finita... Ho veduto coi miei occhi
tanti casi di soccorsi a bambini, vedo-
ve e vecchi, disoccupati, malati. Sentii
ripetere molte volte che compiva verso
gli infermi i più umili servizi».
Nel 1884 pensò a una scuola materna
da affidare alle Figlie di Maria Ausi-
liatrice: occorreva pensare ai bambini
di quella periferia.
«Don Bosco poté recarsi a Barcellona
solo nella primavera del 1886 – scri-
ve Luigi Castano –, e le cronache e
le biografie raccontano ampiamente
le trionfali accoglienze avute nella
metropoli catalana, e le affettuose e
devote premure con le quali donna
Dorotea, le sue figlie, i nipoti e pa-
renti circondarono il Santo».
Il 5 febbraio 1888, comunicandole la
morte di don Bosco, il beato Michele
Rua le scriveva: «II nostro carissimo
padre don Bosco è volato in Paradiso,
lasciando in dolore i suoi figli. Egli
dimostrò sempre viva stima e ricono-
scente affetto per la nostra mamma
di Barcellona – com’egli la chiamava
–, mamma dei Salesiani e delle .
Anzi, prima di morire assicurò che
andava a prepararle un bel posto in
cielo». In quello stesso 1888 donna
Dorotea dona ai Salesiani l’oratorio e
le scuole popolari di via Rocafort, nel
cuore di Barcellona.
L’ultima opera che dona alla Famiglia
Salesiana è la scuola «Santa Dorotea»
affidata alle . All’acquisto man-
cano 70 mila pesetas. Ed essa le con-
segna dicendo: «Dio mi vuole povera».
Quella somma era l’unica previdenza
per la sua vecchiaia, che si riservava
di vivere modestamente insieme alla
affezionata cameriera Maria.
Nel Venerdì santo del 1891, nella
fredda chiesa di Maria Riparatrice,
mentre passava a chiedere la questua,
fu colpita dalla polmonite. Aveva 75
anni e fu subito chiaro che non avreb-
be superato la crisi. Don Rinaldi ac-
corse e rimase a lungo al suo capez-
zale. Scrisse: «Nei pochi giorni che
rimase in vita, al male non pensava.
Pensava ai poveri e alla sua anima.
Volle dire qualcosa in particolare a
ciascuna delle figlie, e tutte le bene-
La preziosa foto di don Bosco durante la visita a
Barcellona nella primavera del 1886. Nel riquadro
in rosso il volto di Dorotea, che don Bosco
chiamava “la nostra mamma di Barcellona”.
disse in nome del Padre, del Figlio e
dello Spirito Santo, come un antico
patriarca. Mentre eravamo intorno al
suo letto per raccomandarla al Signo-
re, a un tratto alzò gli occhi. Il con-
fessore le diede il crocifisso da bacia-
re. Noi presenti ci inginocchiammo.
Donna Dorotea si raccolse, socchiuse
gli occhi e soavemente spirò».
Era il 3 aprile 1891, cinque giorni
dopo la Pasqua.
San Giovanni Paolo II l’ha dichiara-
ta «venerabile», cioè «cristiana che ha
praticato l’amor di Dio e del prossimo
in grado eroico», il 9 giugno 1983.
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4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Per una pedagogia consapevole
L’interrogativo è il nocciolo dell’intelligenza:
fa scattare il cervello e lo tiene sotto pressione.
Anche nell’arte di educare la domanda ha un ruolo
centrale. Il buon senso non basta: è meglio informarsi.
Ecco il perché dei nostri interventi a favore di una
pedagogia consapevole per non farci imprigionare
dalla teoria di turno.
I genitori
servono ancora?
D Le dotazioni native
e le influenze ambientali
hanno il loro peso ma,
fino ad oggi, non si è
a qualche anno è in circola-
zione un libro della psicologa
Judith Rich Harris: “Non è
colpa dei genitori” che sembra
fatto apposta per far discutere.
In esso la psicologa ameri-
ancora trovata altra cana sostiene che, ormai, i figli im-
parano più fuori casa che in famiglia,
strategia migliore per più dai coetanei che dai genitori. In-
educare un uomo che somma i genitori conterebbero sem-
pre meno: la crescita buona o meno
quella di una coppia di buona dei figli dipenderebbe non già
bravi genitori. dal padre e dalla madre, ma dal codi-
ce genetico e dal contesto sociale.
Che dire? Ha ragione la Harris?
Intanto, per iniziare il dibattito, ecco
la nostra opinione.
«La Torre di Pisa
pende dalla base»
Non c’è dubbio che nella formazione
della persona umana intervengono
più fattori: due di questi sono, appun-
to, il fattore ereditario e l’ambiente in
cui ci si viene a trovare.
Nell’adolescenza, in particolare, il
fattore ‘gruppo’ è fondamentale. In
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Marzo 2017

4.5 Page 35

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GENITORI CON LA PATENTE PEDAGOGICA A PIENI PUNTI.
1. Non perdono mai la capacità di produrre sorriso.
2. Sono seducenti, non seduttori.
3. Si ricordano d’essere stati pur essi bambini.
4. Lasciano che il figlio a sei anni si sbucci l’arancia da solo.
5. Non lo fanno crescere con il sedere nel burro.
6. Scrivono qualche volta sulla bocca: Chiusa per nervi.
7. Accettano pienamente il figlio, anche se non diventerà un cavallo di razza.
8. A parole d’oro non fanno seguire fatti di piombo.
9. Non fanno pensare che diventare adulti significhi diventare noiosi.
10. Hanno il cervello con le radici nel cuore.
esso il ragazzo si sente protetto, de-
responsabilizzato, fino a perdere, ta-
lora, la propria identità e ad assumere
un ‘io’ collettivo.
Dunque il libro del quale stiamo di-
scutendo ha, indubbiamente, una
funzione positiva: serve a liberare i
genitori dai sensi di colpa, come se un
eventuale fallimento educativo dipen-
desse totalmente da essi.
Il che non è affatto vero! Ogni esse-
re umano dipende anche dalla pro-
pria libertà, dalla propria coscien-
za. Tutti sappiamo che persino alla
scuola di Gesù vi fu un clamoroso
fallimento.
Sì, aveva tutte le ragioni il cardinale
Carlo Maria Martini (1927- 2012) a
domandarsi: “È forse colpa della sorgen-
te se il corso del torrente si perde in un
pantano?”.
Fin qui perciò possiamo essere d’ac-
cordo con il libro: “Non è colpa dei ge-
nitori”.
Però (andando più a fondo nell’anali-
si) vi è un risvolto che può essere gra-
ve e pericoloso.
Il lavoro della Harris può fornire un
comodo alibi ai padri e alle madri per
smettere d’essere genitori generativi,
vale a dire genitori che continuano a
far nascere i figli fino all’ultima sera
della loro vita. Il che sarebbe da irre-
sponsabili.
Da irresponsabili perché ancor oggi i
genitori, lo vogliano o non lo voglia-
no, formano o deformano i figli.
È vero, ripetiamo, che l’eredità e il
contesto sociale hanno una loro inci-
denza, ma il primo ambiente, il pri-
mo gruppo con cui il bambino viene
a contatto è quello familiare proprio
nei primi anni della vita nei quali si
impianta lo zoccolo duro della nostra
personalità.
La Torre di Pisa pende dalla base”.
Passati i primi sei anni è difficile mutar
panni”, recitano due indovinati pro-
verbi.
Per non dilungarci, la conclusione più
razionale ci pare possa essere questa:
ammesso pure che le dotazioni native
e le influenze ambientali abbiano il
loro peso, fino ad oggi non si è anco-
ra trovata altra strategia migliore per
educare un uomo che quella di una
coppia di bravi genitori.
Ancor oggi continua ad aver ragione
lo psicologo statunitense John Powell
(1963) quando dice: “In certi casi può
sembrare spaventoso, ma il nostro desti-
no è nelle mani dei genitori. Noi siamo,
tutti quanti, il prodotto di coloro che ci
hanno amati o che si sono rifiutati di
amarci”.
I genitori servono ancora?
I genitori d’oggi servono come quelli
di ieri!
La differenza sta nel fatto che oggi
il loro influsso è meno appariscente,
ma non meno decisivo in quanto in-
delebile: padre e madre ce li portiamo
‘dentro’ per la vita intera.
Spazio permettendo, lo potremmo
provare in lungo e in largo. Questa la
nostra opinione sul ruolo fondamen-
tale dei genitori anche nella nostra
società digitale 2.2.
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4.6 Page 36

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LA LINEA D’OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
La ricerca
della felicità
Realizzazione professionale,
coronamento del proprio
sogno d’amore, costruzione
di una propria famiglia,
raggiungimento della serenità
interiore: qualunque sia il nome
che ciascuno sceglie di dare
al proprio progetto di vita, la
Q uanti giovani adulti mettono consapevol-
mente al primo posto, nel proprio agire
quotidiano e nelle proprie scelte di vita,
la “ricerca della felicità”? Quanti di loro
sono disposti a mettere in gioco se stes-
ricerca della felicità accomuna
tutti gli uomini
percorrere – nello studio, nel lavoro, nelle relazio-
si e la propria tranquillità per tendere a ni affettive – sentieri faticosi e impegnativi, fatti
un’esistenza più piena e appagante, anche a costo di sacrifici, perseveranza, infinita tenacia, fedeltà
di lasciare il certo per l’incerto e di intraprendere a se stessi e al proprio anelito di felicità. Ancora
un cammino in salita che non offre alcuna garan- troppo pochi, tuttavia, se si considera che tanti
zia di successo? Tantissimi, se si pensa al numero altri si accontentano di modesti surrogati, rimuo-
crescente di giovani che, con il cuore carico di at- vono del tutto questa attesa dall’orizzonte delle
tese e speranze, decidono di infilare tutta la pro-
pria vita in una valigia e inseguire il proprio sogno
di realizzazione personale, accettando la sfida del
nomadismo e del confronto con la diversità. O a
tutti quei giovani che rifuggono da facili
scorciatoie e compromessi e scelgono di
Vincerò le mie paure,
indosserò l'armatura migliore,
in punta di piedi,
con mille guerrieri
ed in gola il cuore.
Piangerò lacrime asciutte
perché la corazza rimanga intatta,
giù in fondo all'inferno
o su in alto nel cielo,
con la schiena dritta...
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4.7 Page 37

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Scalerò le montagne
con il vento in faccia
ed il sole alle spalle,
sfidando i nemici,
che restino vivi,
mi daranno forza.
Resterò l'unico mostro da battere
a colpi di carta e di inchiostro;
la mia antagonista porta il mio nome,
che vinca il migliore...
Da quanto ti volevo?
Ti ho cercata dentro me e nel mondo.
Da quando ti volevo,
ti ho trovata: eccoti felicità!
(Levante, La rivincita dei buoni, 2015)
proprie speranze o si limitano a porsi obiettivi
contingenti, rinunciando in partenza a ricercare
un senso più alto per il proprio agire, a costruire
un “progetto di vita” che funga da guida per le
loro scelte presenti e future.
Eppure si tratta di una questione che non può es-
sere elusa, perché ad essa è indissolubilmente lega-
ta quella del senso e del fine dell’esistenza umana.
Per quanto i giovani adulti appaiano spesso più
rinunciatari e disincantati degli adolescenti rispet-
to alla concreta possibilità di tradurre in essere le
proprie attese, benché essi siano talvolta fagocitati
da una quotidianità monotona e ripetitiva che re-
lega in secondo piano le loro aspirazioni più au-
tentiche in nome di bisogni e preoccupazioni ap-
parentemente più impellenti, fa parte della stessa
natura umana la tensione mai del tutto soddisfatta
e perennemente rinnovantesi verso una maggiore
pienezza di vita e nessuno può esimersi da questa
ricerca incessante e irresistibile che coinvolge tutta
la persona, chiamando in causa la sfera emotiva ed
affettiva, non meno di quella razionale e volitiva.
Realizzazione professionale, coronamento del
proprio sogno d’amore, costruzione di una pro-
pria famiglia, raggiungimento della serenità inte-
riore: qualunque sia il nome che ciascuno sceglie
di dare al proprio progetto di vita, la ricerca della
felicità accomuna tutti gli uomini ed è il motore
di ogni azione e cambiamento, la motivazione che
ci spinge a superare i nostri limiti, a metterci in
discussione, a sfidare ogni scoglio e impedimen-
to. Essa è spesso un percorso impervio e faticoso,
in cui ci ritroviamo a fare i conti con deviazioni
non previste e circostanze avverse e nel corso del
quale giungiamo talvolta a constatare che l’osta-
colo più grande verso una vita piena e all’altezza
dei nostri sogni siamo noi stessi, con le nostre
paure ed esitazioni che ci impediscono di fare
scelte coraggiose e di assecondare le nostre attese.
La felicità, dunque, è insieme “dono” e “conqui-
sta”: inizialmente, incontro tra la libertà e la re-
sponsabilità personale e, nel tempo, progressiva
apertura verso la consapevolezza di poter contri-
buire anche alla felicità degli altri, mentre si ricer-
ca la propria. E, se è vero che quest’equilibrio non
può essere duraturo, perché sempre in bilico tra il
desiderio e la sua realizzazione, l’averlo raggiunto
in alcuni momenti apre alla speranza di poterlo
replicare anche in circostanze differenti e magari
più complesse.
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
La grande guerra in casa
e il dopoguerra
A questo punto non ci rimane
che verificare quali conse-
guenze la guerra ebbe sul
migliaio di Salesiani d’Ita-
lia che per tante ragioni non
indossarono l’uniforme.
Pure loro combatterono, anche se sul
fronte interno, a casa propria. Dovet-
tero infatti assumersi il lavoro di quelli
chiamati alle armi. E se il numero dei
ragazzi loro affidati diminuì, non ven-
ne però meno la loro tradizionale atti-
vità educativa ed assistenziale, portata
avanti anche durante le estati. Essi poi
fecero tutto il possibile perché i ragazzi
accolti in casa non vivessero il dramma
in corso nel Paese; ridussero soltanto le
tradizionali feste che avevano forti ri-
cadute esteriori. La stessa partenza da
casa dei Salesiani mobilitati avveniva
spesso in modo riservato, quasi segreto.
Con la diminuzione dei giovani al-
lievi venne però a ridursi anche l’u-
nica risorsa economica sicura, con le
ovvie conseguenze. Per gli orfani ed
i profughi dovettero far ricorso ai vari
Comitati per il pane, il vestiario, la
biancheria usata e altro ancora.
Sovente le opere salesiane su tut-
to il territorio nazionale, e non solo
nei teatri di guerra, divennero “case
del soldato”, dove i giovani militari
in libera uscita poterono trovare un
posto accogliente dove riposare, leg-
gere, scrivere alle famiglie, studiare,
divertirsi in cortile, recitare sul palco,
festeggiare in compagnia, frequentare
i sacramenti. Si accolsero pure feriti e
profughi e per loro si organizzarono
fiere di beneficenza, serate benefi-
che, con tanto di bozzetti patriottici e
farse esilaranti, preparati a turno dai
giovani della casa, dell’oratorio, alter-
nati dai medesimi militari.
Come non bastassero le difficoltà, ecco
che nella primavera-estate del 1918
scoppiò la terribile pandemia spagno-
la. Nella sola Europa fece 30 milioni
di morti. In tutte le case salesiane si
cercò di correre ai ripari, con la me-
dicina, con la prevenzione, con l’invio
in famiglia per un certo tempo degli
allievi, ma anche, alla stregua di quan-
to don Bosco aveva fatto a suo tempo
in analoga occasione, con l’aiuto del
cielo, ossia con preghiere, medagliette,
“fioretti”. I risultati non mancarono e i
morti furono molto pochi.
Un rara fotografia di una trincea della Prima
Guerra Mondiale. In molte di queste almeno mille
Salesiani vissero la terribile vicenda bellica.
Il primo dopoguerra
Terminata la guerra il 4 novembre
1918, i Salesiani si trovarono ad affron-
tare altri particolari problemi: il riavvio
a pieno ritmo dell’attività nelle case, la
riparazione o ricostruzione di quelle
danneggiate, il rientro dei Salesiani pri-
gionieri, il reinserimento dei reduci in
comunità, la richiesta di smobilitazione
e la necessità di un urgente aiuto econo-
mico per gli istituti salesiani di mezza
Europa e del Medioriente con migliaia
di ragazzi orfani, poveri, abbandonati.
Per la ripresa normale delle attività
proprie di ogni casa il vertice sale-
siano diede immediate disposizio-
ni, visto anche che l’anno scolastico
1918-1919 era cominciato in ritardo e
che talora si dovette interrompere in
alcune nazioni per la succitata spagno-
la. Da Torino si suggerì di sopperire
con il ridurre le vacanze di Natale e
con una migliore preparazione delle
lezioni da parte dei professori.
In tempi rapidi le case trasformate in
caserme ed ospedali furono riconse-
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4.9 Page 39

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LETTERA DEL SALESIANO GIORGIO PROSDOCIMO
gnate ed esse, con quelle semidistrutte,
furono rimesse in condizione di essere
adibite alla normale attività educativa.
Quanto alle varie decine di Salesia-
ni che avevano vissuto una durissima
esperienza di prigionia, si cercò di farli
rimpatriare, ma non fu tanto facile, in
quanto la prigionia fu sovente giudica-
ta dalle autorità italiane una resa poco
onorevole, quasi una vigliaccheria.
Invece il reinserimento in comunità dei
Salesiani reduci non sembra sia risulta-
to troppo complesso, forse per aver essi
mantenuto stretti contatti epistolari con
i superiori di Torino e le case. A norma
di decreto della Società Concistoriale
del 25 ottobre 1918, essi dovettero pri-
ma fare otto giorni di esercizi spirituali.
I novizi e gli studenti a loro volta ritor-
narono alle rispettive case di formazio-
ne e si esortarono i direttori ad avere
particolare cura dei Salesiani coadiutori.
La smobilitazione poi, mal gestita
dalle autorità italiane, tardò a venire.
Un caso piuttosto raro
La guerra mondiale se ovviamente
assottigliò le file dei Salesiani in Ita-
lia – alcune decine i loro morti come
si è visto – non incide più di tanto sul
loro abbandono della Congregazione
dopo la guerra, diversamente da quan-
al Rettor Maggiore don Albera
«… guai a chi s’attenta d’avvicinarsi a quei corpi
che il freddo ancora conserva apparentemente in-
tatti! Correrebbe il rischio di aver la stessa sorte
dei poveretti che là caddero. Qui solo si può com-
prendere quanto sia orribile la guerra. L’immagina-
zione più fervida non può averne che una lontana
idea. E dire ch’io non fui che in splendida trincea,
ben riparata, al sicuro dalle artiglierie.
Non ho camminato sui cadaveri, non ho dormito
nell’acqua, non ho mangiato sopra i morti, non
mi son servito d’essi quali scudi come fecero
quasi tutti i nostri soldati, che, senza scarpe, coi
piedi gonfi ravvolti nei sacchi a terra, corsero
all’assalto, che mancando di munizioni o d’armi,
con i sassi perfino respinsero il nemico.
Che epopee vi sarebbero da cantare!
E questi eroi sono d’una bontà sconfinata,
d’una affezione incredibile per i loro ufficiali,
ch’essi trattano come padri e fratelli…»
to avvenne per altri istituti religiosi e
per il clero diocesano. Nel quadriennio
post bellico solo otto sacerdoti su 279
chiesero di lasciare la Congregazione.
Quanto ai chierici, ai coadiutori ed ai
novizi, il numero degli abbandoni non
superò il normale numero fisiologico.
Ora considerato che si trattava per
lo più di giovani strappati dalle case
di formazione dopo pochi mesi, di
certo impreparati a sostenere sfide
impegnative come quelle incontrate
vestendo l’uniforme, lo si potrebbe
attribuire al valore della pur breve
formazione ricevuta e ai soddisfacenti
contatti epistolari e personali tenuti
nel corso della guerra. Si potrebbe
anche trovare un’ulteriore ragione nel
fatto che i Salesiani, come non si era-
no impegnati nei dibattitti ideologici
sulla guerra giusta o ingiusta, oppor-
tuna o meno, preferendo la semplice
obbedienza alle decisioni di quelle
che loro, come quasi tutti all’epoca,
ritenevano le legittime autorità, così
non sembra si siano posti eccessivi
problemi di coscienza al loro ritorno
alle normali occupazioni di un tempo.
Se di certo la terribile esperienza
bellica rappresentò per i mille Sa-
lesiani in uniforme una frattura con
il proprio retroterra collegiale, ora-
toriano, parrocchiale, educativo in
genere, tale frattura non sembra sia
stata insanabile: “Niente fu più come
prima” per la Chiesa, è stato scritto
recentemente (B. Bignani, La chiesa
in trincea, Roma, 2014) per indicare
un nuovo modo di servire l’umanità,
ossia “nella condivisione e nell’empa-
tia per il mondo salvato dall’amore di
Gesù Cristo”. Quanto lo fu anche per
i Salesiani andrebbe verificato, dal
momento che la loro azione educati-
vo-pastorale anche nel cinquantennio
precedente era stata ispirata all’amore
di Dio per la salvezza della gioventù,
con la quale condividere gioie e dolo-
ri. E lo sarebbe stato ancora nel secolo
successivo.
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per
intercessione dei nostri beati, venerabili e servi di Dio,
sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di marzo preghiamo per la beatificazio-
ne del venerabile don Francesco Convertini.
Don Convertini nacque in contrada Papariello di Locorotondo (Bari)
il 29 agosto 1898. Durante la Prima Guerra Mondiale fu chiamato
sotto le armi. Fu ferito, fatto prigioniero e condotto in Polonia. Tor-
nato in Patria dice “sì” alla chiamata del Signore manifestatasi at-
traverso la mediazione di don Angelo Amadei e della Comunità del
“Cagliero” di Ivrea. Parte da Genova per l’India dopo aver ricevuto
il Crocifisso dalle mani del Beato don Rinaldi. Novizio del Venera-
bile Stefano Ferrando, discepolo di monsignor Luigi Mathias e del
Servo di Dio don Costantino Vendrame si distingue per un ecce-
zionale zelo apostolico. Suo campo di missione fu il Bengala, dove
nessuno come padre Francesco ebbe tanti amici, tanti figli spirituali
tra ignoranti e sapienti, tra ricchi e poveri. Era l’unico missionario
che poteva entrare in una casa di indù o di musulmani. Era conti-
nuamente in cammino di villaggio in villaggio. Mezzi di trasporto
erano il cavallo e la bicicletta. Ma egli preferiva mettere sulle spalle
il proprio zaino e girare a piedi, perché così avrebbe potuto incon-
trare tanta gente e parlare loro di Cristo. Si donava indistintamente
a tutti: Musulmani, indù, cristiani... e da tutti fu amato e venerato
come Maestro di vita interiore che possedeva abbondantemente la
“sapientia cordis”. Morì, lui devotissimo della Vergine, l’11 febbraio
del 1976 mormorando: “Madre mia, io non ti ho mai dispiaciuto in
vita. Ora aiutami tu!”.
PREGHIERA AL VENERABILE FRANCESCO CONVERTINI
O Signore, che hai donato al tuo servo,
Francesco Convertini,
un cuore distaccato dai beni terreni
e acceso dalla fiamma della carità,
soprattutto per i più poveri,
donaci di imitare le sue virtù
e concedici, per sua intercessione,
la grazia... che con fede ti chiediamo.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Per la pubblicazione
non si tiene conto
delle lettere non firmate
e senza recapito.
Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione
del nome.
Ringraziano
Esprimiamo nuovamente la
nostra gratitudine a san Do-
menico Savio, poiché dopo il
dono meraviglioso di diventare
genitori il 7/1/2011 della nostra
splendida bambina Maria Fran-
cesca, ancora una volta con la
recita della novena ha accolto le
CRONACA DELLA POSTULAZIONE
Il 10 gennaio 2017, nella Sessione ordinaria dei Cardinali e
Vescovi membri della Congregazione delle Cause dei Santi, è sta-
to espresso parere positivo, in merito alla fama di santità e all’eser-
cizio delle virtù eroiche del Servo di Dio Francesco Convertini,
nato a Locorotondo (Bari) il 29 agosto 1898 e morto a Krishnagar,
India, l’11 febbraio 1976.
Il 17 gennaio 2017, nella Sessione ordinaria dei Cardinali
e Vescovi membri della Congregazione delle Cause dei Santi, è
stato espresso parere positivo in merito alla fama di santità e all’e-
sercizio delle virtù eroiche del Servo di Dio José Vandor, nato a
Dorog (Ungheria) il 29 ottobre 1909 e morto a Santa Clara (Cuba)
l’8 ottobre 1979, salesiano missionario, messaggero di speranza e
operatore di pace.
PADRE FRANCESCO CONVERTINI
E PADRE JOSÉ VANDOR SONO VENERABILI
Il 20 gennaio 2017, il Santo Padre ha
autorizzato la Congregazione a pro-
mulgare i decreti riguardanti le virtù
eroiche del Servo di Dio Francesco
Convertini, e del Servo di Dio José
Vech Vandor.
La Venerabilità è il riconoscimento da
parte della Chiesa che un Servo di Dio
ha praticato in grado eroico le virtù
teologali della fede, speranza e carità
verso Dio come verso il prossimo, e
le virtù cardinali della prudenza, giu-
stizia, temperanza e fortezza e le altre
virtù connesse. Rendiamo grazie per
questi nuovi Venerabili della Famiglia
Salesiana che ci ricordano la passio-
ne missionaria del carisma salesiano,
vissuto con fedeltà ed eroismo anche in
condizioni difficili e di prova.
nostre preghiere: il 26/1/2016 è
nato il nostro secondo bambino
Gaetano Domenico. Ringraziamo
san Domenico Savio per questi
due miracoli, di essere nostro
protettore e di vegliare su di noi.
Annarita Perna -
Somma Vesuviana (NA)
Ringrazio di tutto cuore Maria
Ausiliatrice per la guarigione
straordinaria di mio figlio, a se-
guito di una novena a Lei fatta
con promessa di offerta per le
missioni salesiane.
G. Aimale, cooperatore
Desidero ringraziare don Bosco
e Maria Ausiliatrice per aver
aiutato mio nipote e averlo salva-
to da un brutto incidente stradale.
Marocchino Maria Rita - Vercelli
Desidero ringraziare con tutto il
cuore san Domenico Savio
per la nascita di mia cugina Giulia
e per quella futura di Pietro.
Marta - Cassolnovo (PV)
Grazie a Maria Ausiliatrice e
a san Domenico Savio per la
nascita, il giorno di Natale, di Giu-
ditta, come dono di Dio Padre.
Nonna Luciana - Vicenza
40
Marzo 2017

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
FRANCESCO MOTTO
Signor Michele Rinero (Davico)
Morto a Torino, il 25 dicembre 2016, a 82 anni
Tutti quelli che sono passati nel-
la Casa Generalizia, alla Pisana
(Roma), lo hanno incontrato e a
tutti ha lasciato il ricordo di un
salesiano gentile, premuroso, pio
e ottimista.
Nato il 2 gennaio 1934 a Bricco di
Cherasco (CN), diocesi di Alba, è
morto il giorno di Natale del 2016
a Torino-Casa Beltrami, dove il
31 luglio 2015 era stato trasferito
per poter avere un’adeguata assi-
stenza sanitaria.
Orfano di madre – il padre si
era risposato – dopo un bre-
ve soggiorno a Penango come
ragazzo aspirante missionario,
arrivò come giovane aspirante
coadiutore al Colle don Bosco.
Il 15 agosto 1952 entrò come
novizio coadiutore a Chieri-Villa
Moglia. Colà emise la sua prima
professione il 16 agosto 1953.
L’avrebbe rinnovata il 21 luglio
1956 al Colle don Bosco, dove
avrebbe fatto anche quella perpe-
tua il 18 luglio 1959.
Presso la casetta di don Bosco
rimase nove anni (1953-1962)
come prezioso collaboratore di
campagna, non potendo, per
motivi di salute, impegnarsi at-
tivamente nella locale scuola
tipografica. Sempre tranquillo,
docile, obbediente, “pronto a ri-
stabilire immediatamente la pace
fra i confratelli nel caso fosse
sorto qualche malinteso” ricorda
il signor Renato Celato che tanta
parte di vita ha condiviso con lui.
Intanto anche il cugino Michele
si era fatto coadiutore salesiano
(1951), tuttora vivente, e così
pure suo fratello acquisito, Fran-
cesco (1957).
Dal 1962 al 1971 il signor Miche-
le svolse lo stesso incarico nella
scuola agricola di Cumiana, dove
inizialmente fu incaricato del
grosso allevamento dei suini e
successivamente del mulino, che
produceva mangimi commercia-
bili per aziende. Un lavoro duro
e sacrificato, con dei “famigli”
collaboratori, che comportava
sovente attività ed assistenza
notturna. Ciononostante “non
solo non si lamentò mai, ma si
rese addirittura disponibile ad
aiutare i confratelli nella guida dei
mezzi pesanti di trasporto, come
i camion” afferma il coadiutore
Cesare Borlengo.
Passò successivamente due anni
a Torino-Valdocco come aiutan-
te di sacrestia nella basilica di
Maria Ausiliatrice (1971-1973).
«Quivi trascorreva le sue gior-
nate in chiesa e sacrestia, dispo-
nibile e pronto ad ogni servizio,
scrupoloso nel suo diuturno ser-
vizio, parco di parole ma ricco di
devozioni» (Renato Celato).
Dal 1973 al 2015 fu alla Casa
Generalizia, prima come addetto
alla Portineria (1973-1974), suc-
cessivamente come collaboratore
del Salesianum-Centro Spiritua-
lità, Cultura (1974-2000) e infine
nel ruolo di collaboratore della
Casa per ferie “Ente B. Michele
Rua” (RMG). Qui si è messo a
disposizione per i mille servizi
di cui gli ospiti, spesso stranieri,
avevano bisogno. Fra loro i mem-
bri di ben sette Capitoli Generali.
Chi è vissuto accanto a lui 35
anni, come il sottoscritto, può te-
stimoniare con piena conoscenza
di causa che quella del signor
Michele è stata una presenza di
estrema discrezione ed umiltà, di
grande disponibilità, di semplice
ma profonda spiritualità.
Estrema discrezione ed
umiltà: il signor Michele non
ha mai ha cercato di mettersi in
evidenza, di far valere i suoi giu-
sti diritti, di imporre il suo pun-
to di vista; mai ha cercato di far
leva sulla sua autorevolezza di
età, di ruolo, di presenza in co-
munità per farsi ascoltare, o per
ostacolare progetti altrui, o per
realizzare propri desideri e sogni.
Stava sempre un passo dietro gli
altri, anche se per la sua assidua
presenza e disponibilità a servire
meritava sovente il primo posto.
Grandissima disponibilità:
il signor Michele è stato l’uomo
della disponibilità fatta persona,
del “sì”, del: “come no?”, del: “lo
faccio subito”… Credo che non
abbia mai detto di no ad alcuno.
Dolce, gentile ed accomodan-
te, nessuno avrebbe mai potuto
rimproverargli alcunché, anche
quando negli ultimi anni la salute
lo andava minando… Credo che
le migliaia di persone passate
al Salesianum di Roma e prove-
nienti da tutto il mondo nei qua-
rant’anni del suo lavoro abbiano
trovato in lui la persona che ha
sempre e solo cercato di servir-
le in tutto e per tutto, nel modo
migliore e nel tempo più rapido
possibile; e soprattutto con il
sorriso sulle labbra. E lo fece fino
alla fine, magari accontentandosi
di vegliare sugli ospiti, stando in
disparte, su una poltrona della
reception.
Spiritualità semplice ma
profonda: uomo genuino, buo-
no per carattere, il signor Miche-
le ha assimilato profondamente
la spiritualità salesiana del quo-
tidiano, del lavoro, di qualunque
lavoro a lui richiesto, inteso
come vocazione divina; la spiri-
tualità della preghiera semplice
e fiduciosa, della confidenza in
Dio, nella Vergine, nei santi sa-
lesiani.
La storia salesiana non parlerà
del signor Michele, così come
non parlerà di altri confratelli
coadiutori passati alla Casa Ge-
neralizia di Roma, ma sono essi
che, con il loro umilissimo ser-
vizio, hanno messo tutti gli altri
– e fra questi ben cinque Rettori
Maggiori e loro Consigli – nella
migliore condizione di portare
avanti la missione salesiana.
Dal Cielo, anzi dal Paradiso sa-
lesiano, continuino ad operare
per noi intercedendo presso il
Signore e la Vergine Ausiliatrice
per il bene della Casa Generali-
zia e di tutta la nostra Congre-
gazione.
Marzo 2017
41

5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
FROTTOLE E CIARLATANI
Era insito nel carattere gioviale di don Bosco raccontare le pro-
prie esperienze di vita e condividerle con tutti. Ogni racconto
conteneva perle di saggezza e chi sapeva cogliere il bene di quei
suoi discorsi ne faceva tesoro e se ne arricchiva in spirito. Tra le
storie della sua giovinezza quando san Giovanni Bosco era sem-
plicemente Giovannino, era noto che egli si confrontò in abilità
ed arguzia con i saltimbanchi che venivano in paese. Un giorno,
invece, arrivò con gran pubblicità e suoni di tamburo, la carrozza di un personaggio che decantava
viaggi in Oriente e vantava conoscenze di principi persiani e dignitari cinesi. Tutto ciò per abbagliare i
più creduloni tra i presenti nel tentativo di spacciare per infallibili le sue pratiche mediche e per mira-
colose le guarigioni indotte dai prodotti che vendeva. Il momento più spettacolare era quando invitava
qualcuno sofferente ai denti di salire sulla cassetta del cocchiere e sottoporsi alle sue “cure” indolori e
immediate. Quella volta, il poveretto che si presentò, volontariamente e stoltamente, chiese se avrebbe
sofferto e come gli sarebbe stato estratto il dente. Il ciarlatano a gran voce disse che con il solo uso delle
dita avrebbe tolto il dente alla radice senza nessunissimo dolore. Ma in realtà, appena si avvicinò alla
bocca dello sfortunato, con un rapido gioco di mani, senza
farsi scorgere, l’improvvisato XXX fece scivolare una chiave
inglese dalla manica fino alle dita e assestò un colpo deciso al
dente cariato facendolo saltare di netto. Le urla del malcapi-
tato erano superate dalla voce del ciarlatano che esultava per
la riuscita dell’“operazione”. Gli mise una moneta d’argento in
tasca per zittirlo e provvide a vendere polvere “miracolosa” a
quanti non si erano accorti di nulla. La morale? Fuggire sem-
pre dai luoghi dove si fa baccano, si beve o si urla, perché ci
si perde non solo i denti ma soprattutto la grazia di Dio.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. L’impone la
striscia continua sulla mezzeria della
carreggiata - 17. Lo è la marcia del
progresso - 18. L’esercizio pubblico
con orario lungo e insegna corta - 19.
La più vasta pianura italiana - 20.
Prep. articolata - 21. Il Tramaglino
manzoniano (iniz.) - 23. Né sì né no -
24. Ha sede nel Palazzo di vetro - 25.
Oggi si chiama Agenzia Nazionale per
il Turismo (sigla) - 28. Vanno me-
dicate - 29. Il Pahlavi che fu Scià di
Persia - 31. Lavorare poeticamente -
34. Venite in centro - 35. Opposto a
off negli interruttori - 36. La nota che
si chiede - 38. XXX - 40. Maroso
- 44. A te - 45. Altro nome con cui
era nota la Tessaglia - 47. Aeronautica
Italiana - 48. Si stipula quello di pace
- 52. Il Natale dei francesi - 53. Eser-
citato in maniera seria e competente.
VERTICALI. 1. Lo “svago” usato per
indicare alcuni modi di praticare la nauti-
ca - 2. Vano, inutile - 3. La capitale del
Liechtenstein - 4. Impeto rabbioso - 5.
Sfocia nella baia di Donegal, in Irlanda -
6. Vi fu lo storico incontro tra Garibaldi
e Vittorio Emanuele II - 7. Poco ospitale
- 8. Cambiano i forti in dotti - 9. Istitu-
to Accertamento Diffusione - 10. Asta,
spranga - 11. Il petrolio a Dallas - 12.
Al centro dell’orlo - 13. Perpetuo - 14.
Iniziali dell’attrice Bullock - 15. C’è chi
non sa a quale votarsi - 16. Situato a
Levante - 22. Il figlio di Poseidone col
corno di conchiglia - 26. Istituto Profes-
sionale per il Commercio - 27. Linea-
menti - 30. Gli aerei ne hanno una per
lato - 32. Degli antenati - 33. Data alle
stampe, pubblicata - 37. Idonee - 39.
Pilone senza estremi! - 41. Organizza-
zione terroristica degli anni di piombo
(sigla) - 42. Il Creatore - 43. … longa,
vita brevis - 46. Le ha dispari l’iner-
te - 49. Anno scolastico (abbr.) - 50.
Ancona - 51. Ci seguono in scioltezza!
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5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Disegno di Fabrizio Zubani
Al parco
Un bambino voleva conoscere
Dio. Sapeva che era un lun-
go viaggio arrivare dove abi-
ta Dio, ed è per questo che
un giorno mise dentro al suo
cestino dei dolci, marmellata
e bibite e cominciò la sua ricerca.
Dopo aver camminato per trecento
metri circa, vide una donna anziana
seduta su una panchina nel parco.
Era sola e stava osservando alcune
colombe.
Il bambino le si sedette vicino ed
aprì il suo cestino. Stava per bere la
sua bibita quando gli sembrò che la
vecchietta avesse fame, ed allora le
offrì uno dei suoi dolci.
La vecchietta riconoscente accettò e
sorrise al bambino. Il suo sorriso era
molto bello, tanto bello che il bam-
bino le offrì un altro dolce per vedere
di nuovo il suo sorriso.
Il bambino era incantato! Si fermò
molto tempo mangiando e sorridendo.
Al tramonto, il bambino, stanco, si
alzò per andarsene, però prima si
volse indietro, corse verso la vec-
chietta e la abbracciò. Ella, dopo
averlo abbracciato, gli scoccò il più
bel sorriso della sua vita.
Quando il bambino arrivò a casa sua
ed aprì la porta, la mamma fu sor-
presa nel vedere la sua faccia piena di
felicità, e gli chiese: «Figlio, che cosa
hai fatto che sei tanto felice?».
Il bambino rispose: «Oggi ho fatto
merenda con Dio!».
E prima che sua mamma gli dices-
se qualche cosa aggiunse: «E sai?
Ha il sorriso più bello che ho mai
visto!».
Anche la vecchietta arrivò a casa
raggiante di felicità. Suo figlio restò
sorpreso per l’espressione di pace
stampata sul suo volto e le domandò:
«Mamma, che cosa hai fatto oggi
che ti ha reso tanto felice?».
La vecchietta rispose: «Oggi ho fatto
merenda con Dio, nel parco!».
E prima che suo figlio rispondesse,
aggiunse: «E sai? È più giovane di
quel che pensavo!».
Lo sapete?
Dio è più giovane di quel
che pensate ed ha un sorriso
splendido...
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5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
L’invitato
Don Tadeusz Rozmus
Consigliere Regionale
per Europa Centro e Nord
Salesiani nel mondo
Kazincbarcika
Una cittadella salesiana
in Ungheria
Centenario
L’istituto delle
Volontarie Don Bosco
Le donne con il cuore
salesiano
Le case di don Bosco
Frascati “Villa Sora”
Per i giovani, una vera
casa e una buona scuola
La linea d’ombra
La ricerca della felicità
La difficoltà di decidere
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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