Bollettino_Salesiano_201607

Bollettino_Salesiano_201607

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IL
LUGLIO
AGOSTO
2016
Le case di
don Bosco
Catania
La Salette
L’invitato
Don Danijel
Vidovic´
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Salesiani
nel mondo
Indonesia
I nostri santi
Simone Srugi

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
La bottigdlieall’olio
Non ero nient’altro
che una bottiglia
piena di prezioso
olio d’oliva. Mi
comprò una donna
dal carattere de-
terminato. Tutti la chiama-
vano Mamma Margherita.
Il mio destino fu di andare
a vivere in un’umile casetta
nella Borgata Becchi. Il
fragile vetro di cui era fatto
il mio corpo iniziò subito
a tremare non appena vidi
i tre figli di Margherita.
Giocherelloni, allegri, irrequieti.
La buona donna, conoscendo il rischio cui
era esposto il mio corpo di vetro, pensò bene
di collocarmi in alto, sopra uno degli armadi
della cucina. Iniziai quindi a sentirmi più che
tranquilla e, proprio quell’altezza, sarebbe
stata, o almeno così pensavo, la fonte della mia
salvezza.
Una sfortunata mattina, purtroppo, capitò il
prevedibile imprevisto.
Margherita era uscita per andare al mercato.
Il silenzio dei campi e dei prati si era impos-
sessato della casa. La porta si spalancò all’im-
provviso ed entrò Giovannino, il più piccolo dei
tre figli. Alzò lo sguardo e mi contemplò per
alcuni secondi. Prese una sedia, la spostò fino
a metterla vicino all’armadio e ci salì sopra.
Allungò ben bene la mano destra. Sentivo il
calore della sua mano di bambino e i suoi ditini
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
Giovannino Bosco rompe una bottiglia d’olio che Mam-
ma Margherita conservava sull’armadio della cucina. Co-
sciente del danno combinato, il piccolo prepara una can-
na e la dà a sua madre quando questa torna a casa dopo
aver fatto la spesa al mercato. Alla vista di un così nobile
gesto, Margherita lo perdona e gli insegna l’importanza
del prevenire le conseguenze delle nostre malefatte (Me-
morie Biografiche, Volume I).
che cercavano di avvolgermi, ma erano troppo
piccoli per potermi afferrare. Pochi secondi
dopo il mio corpo era già in frantumi sul pavi-
mento della cucina.
Il piccolo Giovanni stava disperatamente cer-
cando di porre rimedio al danno. Prese i vari
pezzetti di vetro in mano ma non riuscì a fare
proprio niente per eliminare quella macchia di
sangue giallo che avevo lasciato sul pavimento.
Dopo alcune ore di totale silenzio la porta si aprì
di nuovo ed entrò Margherita con volto assai
arrabbiato e pronta per impartire un bel castigo.
Dietro di lei c’era il piccolo Giovanni, silenzioso
e con la testa bassa. Ancor prima che iniziasse
a parlare, Giovannino stese la mano e offrì alla
mamma un bastoncino di legno. La madre,
sorpresa, restò senza parole. Giovanni interrup-
pe quel silenzio così: “Mamma, ti ho preparato
questo bastone così mi puoi castigare”.
Con mia grandissima sorpresa non ci furono
grida o rimproveri. La buona madre, con am-
mirevole serenità, dimostrò al figliolo quanto sia
pericoloso agire senza riflettere sulle possibili
conseguenze.
In quello stesso istante in cui m’incamminavo
verso il Paradiso delle bottiglie dell’olio, mi sem-
brò di vedere sul viso di quel bimbetto un sorriso
furbetto, appena percepibile. Lasciai dunque
questo mondo terreno con una domanda: che
ne sarebbe stato di quel bambino che conosceva
così bene il cuore della propria madre? Che cosa
avrebbe riservato la vita a quel ragazzino tanto
giovane, ma allo stesso tempo capace di mette-
re insieme con tanta abilità la bontà, l’umiltà e
l’astuzia?
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Luglio/Agosto 2016

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IL
LUGLIO/AGOSTO 2016
ANNO CXL
Numero 7
IL
LUGLIO
AGOSTO
2016
Le case di
don Bosco
Catania
La Salette
L’invitato
Don Danijel
Vidovic´
Mensile di
informazione e
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
Salesiani
nel mondo
Indonesia
I nostri santi
Simone Srugi
In copertina: Il sorriso di una giovane asiatica
per ricordarci che oggi il centro del mondo non risiede
più nella vecchia Europa, ma nelle nuove potenze
arrembanti di Asia e America (Foto Shutterstock).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 SALESIANI NEL MONDO
Indonesia
10 L’INVITATO
Žepcˇe
14 FINO AI CONFINI DEL MONDO
16 A TU PER TU
Don Raphael Lee
18 AVVENIMENTI
Il quadro di Santa Faustina
20 FMA
22 POSTER
24 LE CASE DI DON BOSCO
Catania - La Salette
27 ABBIAMO BISOGNO DI VOI!
28 I NOSTRI SANTI
Simone Srugi
32 IL GIUBILEO IN FAMIGLIA
Pietà per Madre Terra!
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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16
20
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
Tel./Fax 06.65612643
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web: http://biesseonline.sdb.org
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Alessandro
Barelli, Teresio Bosco, Pierluigi
Cameroni, Giuseppe Casti, Andre
Delimarta, Roberto Desiderati,
Emilia Di Massimo, Ángel
Fernández Artime, Mihovil Kurkut,
Raphael Lee, Cesare Lo Monaco,
Alessandra Mastrodonato, Marcello
Mazzeo, Francesco Motto, Pino
Pellegrino, Anna Peiretti, O. Pori
Mecoi, Luigi Zonta, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Tullio Orler (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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- Torino
Stampa: Mediagraf s.p.a. - Padova
Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Quei miracoli
di educazione
che cambiano per sempre
la vita di molti ragazzi
L o sto ripetendo in vari luoghi e occasioni,
mia carissima Famiglia Salesiana, amici e
amiche dell’Opera di don Bosco, e tutti
voi che incontro mensilmente sulle pagine
di questa rivista: ogni giorno avvengono
dei prodigiosi “miracoli” di educazione
che cambiano per sempre la vita di tanti ragazzi e
ragazze. Lo affermo con certezza perché io stesso
ne sono stato testimone e, ripensandoci, il mio
cuore si riempie di gioia e di speranza.
La festa di don Bosco
in Sierra Leone
Quest’anno ho celebrato la festa di don Bosco,
il 31 gennaio, in Sierra Leone. Ho voluto vivere
la festa con i miei fratelli che operano in quella
nazione e con i loro ragazzi e giovani. Ho potu-
to anche trascorrere una mattinata con i giovani
detenuti nel carcere della capitale. Dovunque ho
visto tanto dolore, ma anche tanta speranza. Una
speranza che ha molto a che fare con la presen-
za quotidiana di salesiani e volontari laici in quel
luogo di pena.
Sono stato in compagnia dei ragazzi raccolti dalla
strada che vivono e sono educati nella casa di don
Bosco. E mi sono sentito sopraffare dall’emo-
zione ascoltando le parole di una ragazza, sui 25
anni, che raccontava la sua storia davanti a tutti.
E tra i presenti c’erano 38 ragazze sottratte alle
reti di sfruttamento sessuale.
Quella ragazza aveva subito terribili abusi e vio-
lenze nella sua famiglia, appena aveva perso la
madre, ma quando finalmente era riuscita a la-
sciare la sua casa e la sua città, era arrivata nella
casa di don Bosco, e lì aveva trovato una casa, una
famiglia, un rifugio sicuro e un modo per prepa-
rarsi per la vita.
Questa storia mi ha veramente commosso. So-
prattutto quando la ragazza ha avuto il coraggio
di dire ai giovani che l’ascoltavano che più impor-
tante della liberazione dalle catene della violenza
e degli abusi è stato l’aver trovato una casa e la
possibilità di studiare e prepararsi per la vita. Ora
poteva provvedere a se stessa, con una vita felice
ed un lavoro qualificato.
«Non piangere»
Sono più che mai convinto che ogni giorno av-
vengano straordinari “miracoli educativi” in tante
zone del mondo e con certezza in quasi tutte le
case salesiane. Si tratta di veri miracoli di ragaz-
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zi e ragazze che hanno avuto una possibilità, che
sono stati riscattati dalla strada, che hanno trova-
to accoglienza in una casa salesiana dove hanno
incontrato autentici padri e madri, che esistono
solo per amarli ed educarli. Miracoli che cambia-
no la loro vita per sempre e che squarciano l’oppri-
mente e spietato muro di paura che li tormenta
dalla nascita, per far passare ciò che è necessario
per vivere come l’aria. Quel respiro nuovo che si
chiama speranza.
A fare i miracoli sono uomini e donne che, come
Gesù a Nain, dicono: «Non piangere!». Dio non
vuole che l’essere umano pianga. Come Gesù,
don Bosco è stato capace di gioire profondamente
dell’amore del Padre per i piccoli, con la capacità
di soffrire con loro e alleviare il loro dolore. Que-
sto è il testamento che don Bosco ci ha lasciato.
I primi Salesiani e le prime Figlie di Maria Ausi-
liatrice si proponevano di dare nuove possibilità di
vita a coloro che erano convinti di non averne nes-
suna. E preparavano i ragazzi alla vita e alla fede
nella vita. In un clima di affetto e comprensione.
Come testimonia un antico racconto sapienziale
intitolato “Il segreto”: «Da piccolo, Mordecai era
una vera peste. Così i suoi genitori lo portarono
da un sant’uomo a cui tutti ricorrevano per chie-
dere consigli nei casi più difficili. “Lasciatemelo
qui un quarto d’ora” disse il sant’uomo.
Quando i genitori furono usciti, l’anziano chiuse
la porta. Mordecai sentì un po’ di timore.
Il sant’uomo si avvicinò al bambino e, in silenzio,
lo abbracciò. Lo abbracciò in modo intenso.
Quel giorno, Mordecai imparò come si converto-
no gli uomini».
parlare di miracoli. Ma voglio rivendicare que-
sta luminosa realtà. Il bene che si fa, ed è tanto,
non deve essere nascosto. «Vedano le vostre opere
buone» dice Gesù ai suoi. Tutti sognano un mon-
do di pace, serenità, dove si respirino rispetto e
attenzione.
Coraggio, allora. Possiamo fare miracoli. Ci sono
quelli in prima fila e quelli che li aiutano e li so-
stengono. Ci sono educatori, religiosi, religiose,
laici che consumano ogni giorno della loro vita
perché i giovani più sfavoriti abbiano futuro e
speranza. Li possiamo appoggiare ed aiutare for-
nendo loro solidarietà, affetto e mezzi concreti.
Sappiamo la profonda verità della massima che
afferma che un albero che cade fa più rumore di
una foresta che cresce. Siamo di quelli che fanno
crescere ogni giorno la foresta della speranza e del
senso della vita in tante persone che non hanno
niente da perdere, perché hanno già perso tutto, e
molto da guadagnare.
Sia questo l’impegno della Famiglia Salesiana nel
mondo.
La foresta che cresce
Oggi, i trenta gruppi che formano la Famiglia
Salesiana fanno questo in tutto il mondo, ciascu-
no con le proprie caratteristiche specifiche, attin-
gendo alla stessa sorgente del carisma salesiano.
In un mondo in cui tutto è sempre più materia-
le, scettico e pragmatico, può sembrare strano
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SALESIANI NEL MONDO
ANDRE DELIMARTA
Traduzione di Marisa Patarino
I Salesiani in Indonesia
Doveva essere soltanto la base
per entrare in Timor Est, ma
poi arrivarono le vocazioni...
L’Indonesia è il Paese musulmano più
grande del mondo. Su una popolazione
di 250 milioni di abitanti, ci sono solo
8 milioni di cattolici circa, sparsi in 29
Diocesi. I cattolici in questa nazione
sono un’assoluta minoranza.
L’Indonesia si trova tra l’Asia e l’Australia, conta
oltre 18 000 isole ed è l’arcipelago più grande e
più variegato della terra. Molte isole sono anco-
ra disabitate, mentre le isole più grandi di Giava,
Kalimantan (Borneo), Irian Jaya (Papua), Su-
matra e Sulawesi (Celebes) ospitano la maggior
parte della popolazione. Le coste dell’Indonesia
confinano con 3 Paesi: Malesia, Timor Est e Pa-
pua Nuova Guinea.
L’autore dell’articolo davanti
ad uno dei tanti monumenti
storici indonesiani. L’Indonesia è
l’arcipelago più grande e variegato
della Terra. È formato da più di
18 mila isole. Ma i Salesiani sono
anche qui.
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Per combinazione provvidenziale
I Salesiani sono arrivati a Giacarta, la capitale
dell’Indonesia, nel 1985. Vivevano in una piccola
casa in affitto che si trovava proprio di fronte a
una moschea. Don José Carbonell Llopes è
stato il pioniere della presenza salesiana in questo
paese e il primo direttore della casa. La presenza
salesiana in Indonesia non era finalizzata a un’o-
pera specifica, ma costituiva principalmente una
base per l’entrata dei missionari salesiani a Timor
Est (che all’epoca era sotto il controllo del gover-
no indonesiano). Quando però vi si stabilirono,
cominciarono ad arrivare loro molte richieste di
intervento. Il vicino Istituto Tecnico “Strada” ge-
stito dai Gesuiti chiese ai Salesiani di celebrare
una volta al mese la Messa e di amministrare il
sacramento della confessione agli studenti catto-
lici. In quel periodo le vocazioni salesiane in In-
donesia cominciarono a crescere. Fino al 2002, i
candidati erano mandati a Timor Est a seguire
il loro percorso di formazione. Mentre costituiva
un appoggio per i missionari salesiani per Timor
Est, la casa ospitava anche seminaristi che studia-
vano filosofia. Nel 2002 fu affidata ai Salesiani la
Parrocchia San Giovanni Bosco.
Per quasi 20 anni l’attenzione delle opere salesia-
ne e del loro sviluppo è stata concentrata su Ti-
mor Est. Solo nel 1999, quando l’esercito indone-
siano lasciò Timor Est, i Salesiani cominciarono
a pensare a un centro di formazione separato
da Timor Est e a sviluppare un’opera pastorale
salesiana in Indonesia. Ora i Salesiani gestisco-
no due Centri di Formazione Professionale per
giovani poveri. Uno è il Centro di Formazione
Professionale a Tigaraksa, Tangerang, una zona
industriale abitata principalmente da musulmani
e giovani immigrati provenienti dalle campagne.
Il centro offre corsi di inglese, informatica, per-
corsi riguardanti la manutenzione di autoveicoli,
la meccanica, la gestione di impianti elettrici e
altri corsi tecnici. Tutti questi corsi sono fina-
lizzati ad aiutare questi giovani immigrati a mi-
gliorare le loro capacità per prepararsi meglio al
loro futuro. Oggi quasi 400 studenti frequentano
i vari corsi proposti da questo Centro di Forma-
zione Professionale gestito da cinque Salesiani. Il
secondo Centro di Formazione Professionale si
trova nell’isola di Sumba, nell’Indonesia orien-
tale. Sumba è situata 2055 km a est di Giacarta
ed è la provincia più povera dell’Indonesia. Qui,
nella piccola città di Waitabula, i Salesiani sono
arrivati nel 2002 per rispondere alla richiesta del
Vescovo di portare avanti l’opera di un Centro di
Formazione che in precedenza era stato gestito
dai Padri Redentoristi. Il centro non era più se-
guito e decine di giovani erano rimasti abbando-
Allegria, amicizia,
attenzione ai
più poveri e
preparazione
alla vita. Anche
in quest’angolo
sperduto del
mondo i Salesiani
portano il cuore di
don Bosco.
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SALESIANI NEL MONDO
La vita di don
Bosco recitata in
teatro continua a
catturare grandi e
piccoli.
il Centro di Formazione di Sumba propone corsi
di carpenteria, saldatura, manutenzione di auto-
veicoli e gestione di impianti elettrici. Ogni anno
circa sessanta-settanta studenti dei vicini Istituti
Tecnici seguono tirocini pratici in questi labo-
ratori.
nati, senza che nessuno si prendesse cura di loro.
All’epoca era ancora tenuto un corso di carpen-
teria e un solo docente laico seguiva gli allievi.
Appena se ne assunsero la direzione i Salesiani,
il centro cambiò aspetto. L’offerta formativa fu
modificata, vennero acquisiti nuovi macchinari e
nuove attrezzature, i Salesiani compirono opera
di promozione in vari villaggi affinché il mag-
gior numero possibile di giovani imparasse un
mestiere. Quando il Centro non fu più in grado
di ospitare tutti gli allievi, i Salesiani avevano
bisogno di una sede più ampia per i laboratori
ed eventualmente per avviare altri corsi. Il Ve-
scovo allora offrì un appezzamento di terra in un
villaggio chiamato Weepangali. L’appezzamento
era abbastanza grande per costruire tre laborato-
ri, un pensionato e un edificio residenziale. Ora
Nella stima generale
I Salesiani sono conosciuti per la loro opera al
servizio dei giovani e per il sistema preventivo
che propongono nel pensionato, nella scuola e nei
Centri di Formazione Professionale. Per questo
motivo molti Vescovi invitano i Salesiani a lavo-
rare nelle loro Diocesi. Nella Diocesi di Surabaya
sono stati affidati ai Salesiani una parrocchia con
una scuola media e un Istituto Tecnico a Blitar,
frequentati da oltre 800 studenti. Nella Dioce-
si di Purwokerto i Salesiani gestiscono anche
una scuola media con un pensionato per giovani
poveri provenienti dai villaggi circostanti. Ed è
stato recentemente avviato a Sumba un regolare
Istituto Tecnico, che ha ricevuto un importante
sostegno da parte del governo indonesiano e della
Chiesa locale. In omaggio al carisma salesiano,
la maggior parte degli studenti di queste scuole
proviene da famiglie molto povere.
Ovunque andiamo, incontriamo molti giova-
ni, abbandonati e poveri. Questi giovani hanno
molto bisogno di assistenza non solo educativa
e spirituale, ma anche economica. Molti di loro
provengono da famiglie povere, di agricoltori la
cui sussistenza dipende dalle condizioni aleatorie
della natura. Ad esempio, gli studenti di Sumba
pagano la frequenza ai corsi scolastici con semi
o animali (capre, maiali o polli). Generalmente
arrivano aiuti da amici e famiglie che vivono in
città come Giacarta o Surabaya e che apprezzano
le nostre opere. A Sumba, i Salesiani ricevono an-
che aiuto da parte del governo locale.
I temi riguardanti la religione sono molto sentiti
in Indonesia. Spesso piccoli incidenti provoca-
ti da alcuni fanatici vengono collegati alle reli-
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gioni e questo in molti casi crea conflitti. Nello
svolgimento della loro opera e delle loro attività,
i Salesiani si avvalgono anche della collaborazio-
ne di persone che professano religioni diverse. A
Blitar e Tigaraksa ad esempio, dove i Salesiani
gestiscono rispettivamente un Istituto Tecnico e
un Centro di Formazione Professionale, gli allie-
vi, i docenti e gli insegnanti tecnico-pratici sono
in maggioranza musulmani. Per i Salesiani, però,
questo non crea difficoltà o conflitti. Lavorando
insieme con persone di religioni diverse, i Salesia-
ni mostrano il fine della loro presenza: il bene dei
giovani, qualunque religione professino. Per que-
sto i Salesiani sono spesso rispettati e ammirati
per la loro capacità di relazionarsi e di rapportarsi
alle figure che ricoprono un’autorità. Questo non
impedisce ai Salesiani di essere anche fedeli alla
loro missione. La massima della congregazione:
aiutare i giovani a essere buoni cristiani e onesti
cittadini, è parafrasata con “educare i giovani a
temere il Signore e a essere onesti cittadini”, per
non dare l’impressione di voler promuovere con-
versioni.
Oltre ai Centri di Formazione Professionale e
alle scuole, i Salesiani dedicano anche particolare
attenzione alla formazione dei candidati alla vita
salesiana. In Indonesia ci sono tre case di forma-
zione: la Comunità per Salesiani Coadiutori a
Serpong, il Prenoviziato e il Noviziato a Sumba
e la comunità di Postnoviziato a Sunter, a nord
di Giacarta. Oggi 25 giovani confratelli (laici e
seminaristi) stanno seguendo il percorso iniziale
di formazione. Alcuni di loro stanno studiando
nelle Filippine e uno a Ratisbona.
per i giovani, organizzare attività e seminari, per
non parlare dei tanti Vescovi che aspettano che
i figli di don Bosco vadano ad aiutare i giovani
delle loro Diocesi a prepararsi al futuro. In secon-
do luogo, molti confratelli salesiani sono giovani.
L’età media dei indonesiani è di 40 anni. Al
momento ci sono circa 60 Salesiani indonesiani e
6 missionari. Non si deve dimenticare la
presenza delle famiglie salesiane,
che stanno crescendo lentamente.
Ci sono circa 30 Salesiani Coo-
peratori, 5 Suore e centi-
naia di Exallievi provenienti
da diversi Centri di Formazio-
ne Professionale.
Con la serietà
e la dedizione i
Salesiani si sono
conquistati la
stima della gente
e della Chiesa
locale.
Un radioso futuro
La presenza e l’opera salesiana in Indonesia sono
ancora giovani e promettenti. Innanzitutto, i Sa-
lesiani sono apprezzati dalla gente e dalla Chiesa
locale. La loro opera è spesso richiesta non solo
per la formazione tecnica, ma anche per la pasto-
rale giovanile nelle parrocchie, per predicare ritiri
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L’INVITATO
MIHOVIL KURKUT
Žepcˇ e
Appena arrivati, tre confratelli si sono inseriti
nel territorio, nella scuola statale ed hanno
cominciato a seguire la moltitudine dei giovani,
che fino a quel momento non avevano mai visto
“preti alla don Bosco”, sempre con loro.
Il sogno
Incontro con
e la
sfida
don Danijel Vidovic´,
direttore dell’oratorio.
sono inseriti nel territorio, nella scuola
statale ed hanno cominciato a seguire
la moltitudine dei giovani, che fino a
L a città di Žepče si trova nel-
la Bosnia centrale, nella parte
collinosa del paese, sulla via
principale che taglia il pae-
se da nord a sud, a est della
Croazia verso Sarajevo e Mo-
quel momento non avevano mai vi-
sto “preti alla don Bosco”, sempre con
loro. Allo stesso tempo i salesiani, pro-
prio come don Bosco, hanno subito so-
gnato la costruzione di un grande cen-
tro salesiano con delle scuole, cortili,
star. I salesiani sono arrivati in questo chiesa… Loro tre, senza soldi in tasca,
paesino, quando tutti se ne andavano, senza casa e senza idee su come con-
in piena guerra nel 1995. Il vescovo cretamente realizzare questo sogno. Si
dell’Arcidiocesi di Sarajevo, il cardi- sono affidati alla Provvidenza.
nale Vinko Puljić, ha voluto dare un E la Provvidenza è arrivata, un po’
segno di speranza per questa pove- alla volta. Molte buone persone hanno
ra gente provata da una sanguinosa incominciato ad aiutare, si sono fatti
guerra. La comunità cattolica, che era molti giri in Italia e Germania a chie-
stata accerchiata per 4 anni dai mu- dere una mano. Da buoni figli di don
sulmani e dai serbi aveva resistito fino Bosco, non hanno mai smesso di lavo-
all’ultimo. Arrivata la pace, ci voleva rare, pregare e sperare per dare delle
un motivo per rimanere a vivere in risposte adeguate a questi giovani.
un contesto, per molti aspetti ancora Hanno iniziato con la costruzione del
oggi molto problematico.
Liceo per formare la futura classe di-
La sfida più grande era donare fiducia rigenziale, ma subito hanno pensato
in un domani migliore. Questa era la di dover affiancare un Istituto tecnico
sfida affidata dalla Chiesa ai salesia- e professionale. I benefattori hanno
ni. Appena arrivati, tre confratelli si finanziato una bella officina mecca-
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La città di Žepcˇe si trova quasi al centro
della Bosnia.
A pagina precedente : Don Danijel
dà il “buongiorno” ai ragazzi.
Sotto: la palestra.
Žepcˇe
nica che ancora oggi forma giovani
alle abilità pratiche che altrove non
potrebbero mai imparare.
Ottocento giovani
nei cortili
Negli ultimi sei anni è incomincia-
ta anche l’opera dell’Oratorio con la
messa festiva e molte attività per i
ragazzi e i giovani. Con la costruzio-
ne del palazzetto dello sport, la città
ha fornito una struttura dove tutta la
gioventù senza distinzione di nazio-
nalità o religione possa sviluppare le
proprie abilità sportive.
Tutti i giorni, circa 800 giovani pas-
sano per i cortili salesiani, diventati
un vero centro giovanile della piccola
cittadina. Tutta la zona vive attorno
alla casa di don Bosco e sostiene le
speranze e il futuro di questi giovani
e delle loro famiglie.
Purtroppo le difficoltà negli ultimi
anni sono aumentate. La situazione
politica ed economica sta passando
dal male al peggio ed è molto diffi-
cile vederci chiaro. Un politico loca-
le ha definito bene la difficoltà del
momento, dicendo in un programma
televisivo: “Dove finisce la logica, lì
comincia la Bosnia ed Erzegovina!”.
Qui tutto è diviso in tre parti (serba,
croata e musulmana): dai posti assi-
curati ai politici, alle telecomunica-
zioni, le poste e i gestori della corren-
te elettrica.
Dopo anni di degrado, i giovani e
intere famiglie si spostano verso l’oc-
cidente sperando di trovare un po’ di
sicurezza per i propri figli. In modo
particolare i cattolici, che sono la mi-
noranza ed hanno tutti anche la citta-
dinanza croata, dunque della comu-
nità europea, più facilmente decidono
di partire per l’Austria, la Germania
o la Croazia.
Quando abbiamo chiesto ai nostri al-
lievi quali sono i loro progetti per il
futuro, più dell’85% ha risposto che
se ne vuole andare via da qui.
Questa è la più grande sfida del mo-
mento.
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L’INVITATO
Domande a don Danijel
Chiediamo a don Danijel Vidović
, giovane direttore spirituale del-
la scuola e incaricato dell’Oratorio,
di dirci qualcosa della sua esperienza
con i ragazzi di Žepče. Danijel è la
vera anima di questa casa, lavora in-
stancabilmente dal mattino alla sera.
Lo si può vedere in tutti gli angoli
della casa, sempre sorridente e dispo-
nibile. Un vero figlio di don Bosco.
Danijel, puoi presentarti?
Sono don Danijel Vidović, sono nato
in Bosnia, a Žepče e proprio nel mio
paese nativo mi hanno mandato i su-
periori per la mia prima obbedienza
da sacerdote! Ho quattro sorelle e la
mamma, purtroppo il mio caro papà
è stato ucciso durante la guerra nel
1994. Da allora la mia mamma ha do-
vuto assumere anche il ruolo paterno.
È una brava mamma! Ci ha insegnato
ad amare prima di tutto il Signore ed
ogni uomo, perché suo figlio. E per
questo la ringrazio. Da lei ho impara-
to a cercare Dio nella mia vita, e così
con questa fede ho scoperto che Dio
mi stava chiamando per donarmi agli
altri. Dopo ho conosciuto i salesiani
che sono venuti nel nostro paese mar-
toriato dal conflitto, loro mi hanno
insegnato che si può essere gioiosi,
anche se molte cose non vanno bene,
che la vita ha uno scopo più profondo.
Che la gioia più grande è darsi a Dio
e ai giovani!
Quali sono i problemi
più urgenti?
Prima di tutto bisogna dare la speran-
za ai giovani e alle loro famiglie per-
ché imparino ad amare la loro terra,
per non dimenticare la sofferenza e
il dono di coloro che hanno dato la
vita per portare la pace. Oggi molti
se ne vanno via da questa terra, ver-
so la Germania. Dobbiamo costrui-
re la pace tra la gente, perdonare le
cose che ci sono state, dov’è odio
far fiorire la pace, guarire le fe-
rite. Che fatica, che compito:
una grande missione!
Quali sono i sogni
per il futuro?
Noi salesiani con l’aiuto della Provvi-
denza abbiamo fatto una bella scuo-
la, l’oratorio, la palestra; la struttura
è molto attrezzata, moderna come ce
ne sono poche! Però questo non basta,
abbiamo capito che senza il lavoro la
La “Via Crucis” nel bosco. Il compito
più importante dei Salesiani è far
rifiorire la pace in questa terra
martoriata dalla guerra.
12
Luglio/Agosto 2016

2.3 Page 13

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gente non può rimanere qui. Il nostro
sogno è aiutare questa gente a fare
partire le fabbriche e i posti di lavoro.
Questa è una vera sfida! Sogno an-
che una fede più forte e più fiducia in
Dio, perché abbiamo bisogno di con-
versione del cuore, per credere nella
Sua promessa. Solo così questo paese
sarà più giusto, più vero. Solo allora la
nostra casa sarà un’oasi di pace, luogo
dove le divisioni non esistono.
Come sono i giovani
di questo territorio?
Sono ricchi di umanità, con una gran
voglia di essere impegnati nel loro la-
voro. Sono sinceri e pronti a stare con
gli altri. Sono molto curiosi e hanno
una forte volontà di progredire.
E le tue preoccupazioni?
Ringrazio sempre il Signore di aver-
mi fatto conoscere don Bosco e vor-
rei ripetere le sue stesse parole: per
voi sono disposto a dare la mia vita
fino all’ultimo respiro. È bello essere
figlio di don Bosco per consumare la
vita per i giovani in modo particolare
più poveri. E quello che mi preoccupa
è che molti che hanno a che fare con
i giovani non li amano. Li sfruttano
promettendo una vita “bella” senza
sacrificio, senza amore che si dona,
ma che solo si consuma. Li fanno
crescere senza donarsi, imparano solo
ad “amare se stessi”, una vita che non
porta frutti.
I ragazzi bosniaci sono ricchi di umanità, sinceri
e socievoli.
Come si muove la Chiesa
cattolica in Bosnia
ed Erzegovina?
Cerca di costruire la pace tra la gente e
guarire le ferite che si sono aperte con
la guerra. Sta cercando di testimoniare
e stare con la gente, che spesso rischia
di cedere alla sfiducia perché il cuore
degli uomini è profondamente corrot-
to. Purtroppo quello che vediamo tutti
i giorni è che ognuno fa per sé, e guar-
da solo i propri interessi, dimenticando
il bene comune. I nostri politici ed im-
prenditori spesso ragionano in modo
settoriale, guardando solo davanti al
proprio naso. È difficile perché sem-
bra che le persone oneste non abbiano
futuro in questo paese. Voi direte che
questo si ripete ovunque nel mondo,
ma in questo paese ancora diviso, con le
ferite mai chiuse, è ancora più doloroso.
Ma il Signore ha i suoi progetti, e solo
Lui sa che alla fine a trionfare sarà la
sua Misericordia. Io credo che per que-
sto noi figli di don Bosco siamo venuti
in questa terra e in questo paese.
Luglio/Agosto 2016
13

2.4 Page 14

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MONDO
1
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
2
SIRIA 1
FINO AI CO
Con i giovani,
costi quel che costi
Don Pier Jabloyan, salesiano
di Aleppo, racconta in un’intervista la sua visione sulla
guerra attuale, i giovani, il presente e il futuro, la quoti-
dianità in tempo di conflitto armato e qual è, in definiti-
va, “il vero senso della vita di un salesiano”.
Che cosa ti fa più paura:
il rumore delle bombe
o il cortile vuoto?
Quando il cortile è pieno di ragazzi
e giovani vuole dire che c’è
ancora speranza per un
presente e futuro mi-
gliori. Come ha detto
don Pascual Chávez:
i giovani non sono
soltanto una risor-
sa per il futuro,
i giovani sono
una risorsa per
il presente! Per
questo, i rumori
delle bombe di sicuro passeranno, ma quando non ci
sono i giovani, non promette bene.
Le Costituzioni dicono che il Salesiano è pronto a sop-
portare caldo e freddo, sete e fame, fatiche e disprezzo,
ogni volta che si tratti della gloria di Dio e della salvezza
delle anime. Penso che possiamo aggiungere anche la
guerra e tutti i mali che ne derivano.
R.D. CONGO 2
Calcio sotto il vulcano
Honorato Alonso, Salesiano Coadiutore spagnolo, orga-
nizza da 35 anni il più importante Campionato Giovanile
di Calcio nella regione orientale della Repubblica Demo-
cratica del Congo, un vero evento. Honorato viene salu-
tato dagli autisti dell’autobus, dalle donne che vendono
arachidi tostate e dai ragazzi che lottano con la vita negli
angoli della città. Lo riconoscono anche gli scolari in
divisa che tornano a casa a piedi o gli uomini che scarica-
no i sacchi da un camion. Honorato lo conoscono tutti i
congolesi, perché è uno di loro.
Nel 1981 lasciò la nativa Burgos e si stabilì a Goma,
nell’Est della Repubblica Democratica del Congo. Nello
stesso anno organizzò un campionato di Calcio a livello
giovanile aperto a tutti e gratuito. Fu una rivoluzione,
arrivarono centinaia di ragazzi provenienti da tutti i
quartieri vicini. Il campionato divenne una leggenda.
Quest’anno, un centinaio di squadre e 1600 bambini
partecipano al più grande campionato per i ragazzi dai 9
ai 15 anni. Nel torneo, giocato sul campo di calcio della
scuola Don Bosco, tutti i gruppi etnici e le classi sociali
della città si mescolano. Se chiedete in giro per le strade
di Goma, molti si gonfiano il petto d’orgoglio: “Io ho
pure giocato nel campionato di Honorato”.
Che cosa sta facendo adesso
la vostra comunità?
Continuiamo la nostra vita: di mattino andiamo in due
cappellanie, dalle suore Giuseppine che hanno un ospe-
dale, e dalle suore Francescane. Poi ci ritroviamo per la
meditazione e le Lodi. Quindi i lavori ordinari in casa:
manutenzione, preparazione per le attività o vari incontri
con giovani e non.
14
Luglio/Agosto 2016

2.5 Page 15

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FILIPPINE 3
Un vivaio per le
piantagioni di cacao
ISOLE SALOMONE 4
34
Porta Santa itinerante
Molti degli “schiavi” del secolo sopravvivono con la
raccolta di cacao, e tra di essi molti sono bambini. Secon-
do la relazione presentata in occasione della giornata del
“Giusto Commercio”, il 10 maggio, quasi 300 000 bam-
bini sono vittime di questo sfruttamento, in un settore
che continua a crescere. Eppure c’è anche un altro modo
di produrre cioccolato; per questo i Salesiani a Cebu,
nelle Filippine, hanno deciso di avviare il progetto: “un
vivaio per le piantagioni di cacao”.
Già si è trovato il terreno e sono stati avviati i pre-
parativi per la costruzione del vivaio. Le condizioni
climatiche e le caratteristiche del suolo nelle Filippine
sono favorevoli a questo tipo di coltura e nella zona vi è
un crescente interesse degli agricoltori locali, perché la
domanda locale e internazionale per i prodotti di cacao
è elevata.
Il progetto avrà inizio con una piantagione di “cacao
biologico” a Ginatilan, Cebu e prevede anche di formare
dei tecnici agricoli sulla coltura del cacao, in modo che
possano gestire il vivaio. Allo stesso tempo, esso servirà a
motivare gli agricoltori locali nella piantagione del cacao
e nel trattare umanamente tutti i lavoratori”.
Annunciando il Giubileo della Misericordia papa Fran-
cesco ha disposto che si aprisse in ogni diocesi una Porta
della Misericordia. Il problema nella diocesi di Gizo, Iso-
le Salomone, è però che l’isolamento e la lontananza del-
le parrocchie dal centro diocesano rendono praticamente
impossibile per le popolazioni dei villaggi raggiungere
la cattedrale e la Porta Santa. È per questo che l’équipe
pastorale della diocesi, guidata da monsignor Luciano
Capelli, , ha pensato ad una Porta Santa itinerante.
Se la popolazione isolata non può raggiungere la Porta
Santa nella cattedrale, sarà la Porta Santa che farà il giro
delle parrocchie e dei villaggi per raggiungere la gente
isolata, ha pensato l’équipe pastorale. Così per due mesi
la Porta Santa ha percorso i più sperduti isolotti e villaggi
del territorio della diocesi. La sua peregrinazione è finita
il 9 maggio, e ha conseguito una partecipazione liturgica
mai vista prima in ognuna delle 14 stazioni visitate.
Il programma è stato replicato in maniera pressoché
analoga in ogni villaggio.
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2.6 Page 16

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A TU PER TU
RAPHAEL LEE
Traduzione di Marisa Patarino
Non abbandoniamo
Tonj!
Sulle orme del defunto don
John Lee (1962-2010),
un altro missionario
D coreano è andato a vivere
a Tonj, nel Sudan del Sud.
Don Raphael Lee, che ha
57 anni, ha sinceramente
on Lee è il terzo salesiano co-
reano che sia andato a vivere a
Tonj. Don John se n’è andato
nel 2009 e due anni dopo vi
si è stabilito don Henry Woo,
che è rimasto a lavorare qui
ammesso: «Nell’anno per un anno. Quattro anni più tardi
appena trascorso ho l’ex maestro dei novizi della Corea è
stato mandato qui a seguito dell’accor-
avvertito in ampia misura do della durata di tre anni siglato dal
delegato per l’Ispettoria AFE-Sudan e
i miei limiti umani. Negli dall’Ispettore coreano.
ultimi 10 mesi, con questo Don Raphael sognava da sempre la
clima, ho perso oltre vita missionaria. Già prima di essere
30 chili di peso». ordinato sacerdote aveva chiesto ai
suoi superiori di essere mandato in
missione, ma solo a 56 anni ha potuto
realizzare il suo sogno. Due anni fa fu
invitato da un missionario del Sudan
del Sud, Jim Comino, che gli disse:
«Se pensa ancora alla missione, ven-
ga a Tonj!». Adesso don Raphael fa
parte della solida comunità di quattro
sacerdoti salesiani, che comprende il
rettore don John Peter. La missio-
ne principale della sua comunità è la
parrocchia del Sacro Cuore, che conta
8 succursali disseminate in un vasto
territorio ed è anche responsabile di
molte strutture educative.
Gli shock culturali
Le difficili condizioni di vita della
missione di Tonj non sono l’ostacolo
principale. Don Lee è nato in campa-
gna, subito dopo la fine della guerra
di Corea. Sa adattarsi alle difficoltà.
La sfida più significativa per lui è co-
stituita dai vari shock culturali che
ha subito: bambini che rubano senza
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Luglio/Agosto 2016

2.7 Page 17

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I PROBLEMI DI TONJ, SUD SUDAN
alcuna remora di coscienza nella Casa
dei Salesiani, studenti che disturbano
continuamente durante le sue lezioni
di catechismo e altri atteggiamen-
ti del genere, molto diversi dalla sua
esperienza culturale coreana.
Don Lee confida: «All’inizio pensa-
vo che dopo qualche gentile richiamo
avrebbero cambiato atteggiamento e
nutrivo molte speranze, ma poi è su-
bentrata in me la sensazione di non
riuscire a capire, insieme al timore
che non si sarebbe verificato mai al-
cun cambiamento».
Quelle esperienze hanno poi condot-
to don Lee ad acquisire una mentalità
veramente missionaria: «Siamo qui
per seminare e qualcun altro racco-
glierà tra qualche anno. Affidiamo
al Signore tutte queste preoccupazio-
ni!». Così il nuovo-vecchio missiona-
rio scopre a poco a poco la necessaria
spiritualità missionaria e il bisogno di
stare vicino a Dio nella preghiera.
Dopo essere vissuto per un anno
nella sede in cui era stato don John
Lee, don Raphael Lee confida: «Ho
l’impressione di non essere un mis-
sionario ben preparato. Quando si
presentano nuove difficoltà, guardo
la foto di John Lee appesa alla pare-
te e penso: «15 anni fa qui non c’era
quasi nulla. Adesso almeno ci sono
200 000 abitanti, 6000 bambini che soffrono a causa della de-
nutrizione, della carenza d’acqua e delle malattie endemiche.
Mortalità materna 700/100 000 nascite, mortalità infantile
99/1000 nascite.
91/1000 bambini nati vivi raggiungono i 5 anni.
1 persona su 10 ha accesso all’acqua potabile nelle zone rurali.
Tasso di analfabetismo 43,4% totale (42,3% uomini, 85%
donne).
buone infrastrutture. I missionari che
ci hanno preceduti avevano affrontato
situazioni molto più difficili rispetto
alla nostra comunità attuale».
«Gesù andrebbe via
o rimarrebbe qui?»
«Qualche volta ho pensato di tornare
in Corea, ma tutte le volte in cui sen-
to sorgere questa tentazione rifletto:
Gesù andrebbe via o rimarrebbe qui?».
Don Raphael dedica il suo “tempo li-
bero” al piccolo orto che si trova dietro
la casa salesiana. Grazie ai semi inviati
da alcuni benefattori coltiva pomo-
dori, peperoncini, cavoli e altre utili
verdure. Questa attività è abbastanza
impegnativa. «Quando vedo crescere
lentamente queste verdure, comprendo
che come missionario ho bisogno di
molta pazienza per diventare un picco-
lo seme in questa missione di Tonj, nel
Sudan del Sud. Dio è un agricoltore e
“Raphael Lee” è uno dei suoi semi. Un
giorno qualche altro Salesiano potrà
raccogliere i frutti!».
Istantanee missionarie di don Raphael: i primi
giorni, ancora “prosperoso”; la terribile malaria;
la gioia con i piccoli; la scuola con i suoi problemi
disciplinari.
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2.8 Page 18

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AVVENIMENTI
ALESSANDRO BARELLI
Il quadro di
Santa Faustina
Il quadro di Gesù Misericordioso che migliaia di giovani
venereranno nel santuario di Cracovia non fu mai visto
da santa Faustina. Vi raccontiamo la storia dell’unico
quadro dipinto cui la mistica polacca diede le indicazioni
e che vide dipingere poco per volta. È conservato
a Vilnius, in Lituania.
stina una volta alla settimana andava
a piedi a fare visita al suo padre spi-
rituale e dava le indicazioni concrete
al pittore su come avrebbe dovuto
apparire l’effigie di Gesù. Più e più
L a città di Vilnius, capitale
della repubblica baltica della
Lituania, in questo anno san-
to dedicato alla Misericordia
di Dio ha assunto il nome di
“città della Misericordia” ed
è meta di parecchi pellegrinaggi da
tutto il mondo. Anche in Italia, come
in molta parte del mondo, è conosciu-
to il quadro di Gesù Misericordioso
che è conservato a Łagiewniki in
Polonia, luogo di sepoltura di santa
Faustina Kowalska. Ma pochi sanno
che quel quadro non fu mai visto dal-
la mistica polacca.
La cuoca e il pittore ateo
Le apparizioni di Gesù a suor Fausti-
na, che era l’umile giardiniera e cuoca
del convento, iniziarono in Polonia
nel 1931. Ma dal 1933 al 1936 la suo-
ra fu mandata dalle superiore del suo
ordine, le suore della Madre della Di-
vina Misericordia, nel loro convento
di Vilnius, all’epoca unita con la Po-
lonia. Gesù qui continuò ad appari-
re alla mistica, indicandole anche un
padre spirituale “secondo il suo Cuo-
re”, don Michele Sopocko, ora beato.
Grazie alle rivelazioni di Gesù, e su
consulto di don Michele, suor Fau-
stina nel 1934 diede le indicazioni
al pittore Eugenio Kazimirowski su
come raffigurare il Cristo che le ap-
pariva, e che desiderava tanto che la
sua immagine fosse esposta alla pub-
blica devozione nella domenica dopo
Pasqua. Cosa che avvenne veramente
nel 1935.
Il pittore Kazimirowski era ateo, ma
viveva nella medesima casa di don
Michele, al pian terreno. Suor Fau-
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Luglio/Agosto 2016

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SIGNIFICATO DEL LOGO
volte il pittore dovette correggere l’o-
pera svolta in quella settimana, per-
ché la suora era irremovibile, e come
modello vivo prese don Sopocko. Nel
quadro attuale, grazie alle tecniche
moderne si possono ancora vedere
varie correzioni apportate sulla tela,
frutto delle modifiche volute da suor
Faustina. Quando il quadro fu termi-
nato, nella preghiera suor Faustina si
mise a piangere con Gesù per l’insod-
disfazione, dicendo “è bello, ma non
quanto l’originale!”.
Il quadro “originale” che si trova a Vilnius, in
Lituania, e quello conosciutissimo del santuario
di Cracovia.
La GMG 2016 avrà luogo dal 26 al 31 luglio a Cracovia
una bellissima città della Polonia, carica di storia e spirituali-
tà e, come annunciato da papa Francesco, avrà come motto:
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia”.
Il logo è composto di tre colori: il blu, il rosso e il giallo, e
si riferiscono al tema scelto per l’incontro. Il segno grafico
della GMG è rappresentato dalla forma della Polonia, con
una croce inscritta in essa che rappresenta Gesù Cristo,
centro dell’incontro. I raggi della Divina Misericordia sca-
turiscono dalla croce, con gli stessi colori e forme del dipinto “Gesù
confido in Te”, realizzato su richiesta dello stesso Gesù Cristo a santa Faustina Kowalska.
Cracovia è segnata nella forma della Polonia con un cerchio, che rappresenta anche i giovani
e che è stato usato molte volte con lo stesso significato nei precedenti loghi delle Giornate
Mondiali della Gioventù.
Più volte Gesù nelle apparizioni a
suor Faustina, promise varie grazie e
benedizioni per coloro che avessero
pregato con devozione dinanzi a que-
sto quadro.
Nel 1936 suor Faustina ritornò in Po-
lonia e il quadro rimase in custodia a
don Michele. Ma l’orrore della guerra
mise una pausa al culto di questa im-
magine, tanto cara a Gesù stesso.
Dopo la seconda guerra mondiale
le suore della congregazione di suor
Faustina, che nel frattempo era mor-
ta, cercarono di portare in Polonia il
quadro. Ma dinanzi al rifiuto delle
suore che nel frattempo don Michele
aveva fondato a Vilnius, si acconten-
tarono di un’immaginetta in bianco
e nero. Diedero ad un pittore que-
sta immaginetta, davvero piccola,
e chiesero di dipingere un grande
quadro che sostituisse, senza troppo
distaccarsene, il quadro originale,
eseguito sotto le ispirazioni di suor
Faustina. È proprio questa “copia”
l’immagine da tanti di noi conosciuta
e che vediamo in varie chiese e case
riprodotta. Ma le differenze, specie
nelle fattezze del viso di Gesù, sono
notevoli.
Il santuario di Vilnius
Il quadro originale ora si trova, dopo
varie peripezie durante gli anni
dell’Unione Sovietica, in un santua-
rio a lui dedicato a Vilnius. È meta di
vari pellegrinaggi e aumentano gli ex
voto per grazia ricevuta accanto alla
sua cornice.
Anche in questo santuario vi è una
porta santa per il Giubileo della Mi-
sericordia, e tutti i giorni si alternano
due sacerdoti a turno per ascoltare le
confessioni. Anche in questo servizio
si inseriscono i sacerdoti della comuni-
tà salesiana di Vilnius, in sintonia con
il clero locale. Racconta don Alessan-
dro Barelli, parroco della parrocchia di
san Giovanni Bosco di Vilnius: «Du-
rante l’anno santo mi sono impegnato
ad andare una volta al mese ad ascolta-
re le confessioni nel santuario di Gesù
Misericordioso. Devo riconoscere che
nonostante vada in giorni infrasetti-
manali, vi sia un flusso ininterrotto
di gente che viene a pregare, a cercare
Gesù, e ad incontrarsi con la sua Mi-
sericordia anche attraverso il dialogo
spirituale e il sacramento della ricon-
ciliazione. I frutti della Grazia miseri-
cordiosa di Gesù sono tangibili».
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2.10 Page 20

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FMA
EMILIA DI MASSIMO
Il Vangelo corre Illuogoèdefinito
un “paradiso” per la
ricchezza della sua foresta
sul fiume Waupes edeisuoifiumi,perlasua
flora e per la sua fauna,
ed è in tale “paradiso”
che vive la comunità
delle Figlie di Maria
Ausiliatrice.
guono gruppi di giovani e di exallievi,
raggiungono bambini ed adolescenti,
organizzano iniziative missionarie,
attività relative alla lettura e realizza-
no progetti sociali collaborando con
gli organismi in difesa dei diritti in-
digeni.
Rosalina, Bernadette e Angela le tre Figlie
di Maria Ausiliatrice di Iauretê.
Al di qua
del fiume Waupes…
L’Amazzonia, nota anche come Fo-
resta Amazzonica, è una foresta plu-
viale tropicale nel Bacino dell’Amaz-
zonia, in Sud America; è situata per
circa il 65% del territorio in Brasile,
ma si estende anche in Colombia,
Perù, Venezuela, Ecuador, Bolivia,
Guyana, Suriname e Guyana france-
se. Da 86 anni le Figlie di Maria Au-
siliatrice sono presenti nella zona di
São Gariel da Cachoeira, esattamente
a Iauretê, ai confini con la Colombia.
Il luogo, ci dice suor Bernadette, è de-
finito un “paradiso” per la ricchezza
della sua foresta e dei suoi fiumi, per
la sua flora e per la sua fauna, ed è
in tale “paradiso” che vive la comuni-
tà delle Figlie di Maria Ausiliatrice:
suor Rosalina Lemos, suor Bernadet-
te Barbosa e suor Angela Cardoso. Le
suore sono a contatto con la popola-
zione indigena, composta da diverse
etnie che vivono pacificamente, al
di là della diversità culturale, ci dice
suor Rosalina Lemos; chiediamo qual
è la lingua ufficiale con la quale si
comunica: il popolo parla il Tukana,
mentre come seconda lingua il porto-
ghese; interessandoci alle attività che
si svolgono all’interno del luogo, le
sorelle ci dicono che si dedicano all’e-
ducazione, alle opere parrocchiali, se-
… e al di là
Oltre alle attività presentate, suor
Rosalina ci spiega che, in seguito
all’ultimo Capitolo generale
delle Figlie di Maria Ausiliatrice, si
è ravvivato nelle suore il desiderio di
essere maggiormente con i giovani
missionarie di gioia e di speranza,
così si è vivacizzato l’oratorio nella
casa il sabato e, due volte al mese, i
ragazzi sono accolti anche al mattino.
Un’altra iniziativa, ci dice suor Ange-
la, è l’oratorio itinerante, organizzato
insieme ad un gruppo di giovani che
partecipano ai corsi di formazione
tenuti dalle Figlie di Maria Ausilia-
trice. In pratica, afferma suor Ber-
nadette, come missionarie, anche se
felici di essere attivamente presenti in
cortile, si avverte l’urgenza di anda-
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Luglio/Agosto 2016

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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re anche al di là del fiume Waupes
per raggiungere i popoli che vivono
ai margini della società, in partico-
lare i bambini e gli adolescenti. A
loro si offre la possibilità di imparare
il mestiere di artigiano, di ricevere
una formazione umana che conferi-
sca loro maggiore dignità. In modo
particolare, ci spiega suor Angela,
con le donne dell’etnia Hupda, una
delle più deboli rispetto alle altre, si
sta sviluppando il progetto “Tessendo
cittadinanza”, il quale prevede l’in-
segnamento della lavorazione degli
oggetti indigeni. Soprattutto, si offre
loro uno spazio di riflessione sulla
Parola di Dio e la possibilità di aprire
dibattiti circa alcuni temi importanti
per la loro comunità e, ci dice suor
Rosalina, questo è uno spazio nel
quale le donne possono essere libere
di esprimersi, ridere, scambiarsi opi-
nioni, vivere un’esperienza di solida-
rietà perché molte volte si aiutano re-
Piccoli e ragazzi sono molto ricettivi, rispondono
attivamente a quanto viene loro offerto perché
sentono l’affetto delle suore.
ciprocamente per la realizzazione del
prodotto artigianale. L’etnia Hupda
è una delle ultime che, da nomade,
ha compiuto il passaggio alla seden-
tarizzazione, rimanendo così nella
zona di Iauretê!
Un popolo di allegria
Il nostro popolo, afferma con senso
di appartenenza suor Rosalina, è un
popolo che potremmo definire di
allegria, un’innata allegria salesiana
che viene declinata in accoglienza,
semplicità e, in modo particolare, nel
vivere solo con quanto è essenziale.
Forse è per tale stile di vita che i bam-
bini hanno un volto che fa pensare al
sorriso di Dio e nello sguardo dei gio-
vani si può vedere tanta tenerezza; sia
i piccoli sia i ragazzi sono molto ricet-
tivi, rispondono attivamente a quanto
viene loro offerto perché sentono che
le suore vogliono loro bene. L’affetto è
avvertito anche dal gruppo delle “lau-
rite”, il più antico rispetto agli altri;
attualmente esso vede la presenza di
bambine, adolescenti e giovani, per
un totale di 86. Le ragazze partecipa-
no settimanalmente all’attività della
lettura, dell’arte indigena, del ricamo,
e imparano a cucinare; non manca
la formazione, quindi, ci dice suor
Bernadette, la giornata inizia con un
pensiero che dà loro il “buongiorno”
e si chiude con la tradizionale “buona
notte” salesiana, in genere commen-
tando un brano della Parola di Dio
o un altro tema che fa riflettere. Le
sorelle della comunità concordano
nel dire che ogni bambino, ragazzo,
giovane, è la loro terra santa, per que-
sto, chiunque arriva nella loro casa, è
accolto, viene inserito in un ambiente
sereno, pieno di vita, può scegliere tra
varie proposte, in base alle necessi-
tà di ciascuno ma, soprattutto, trova
quanto stava a cuore a don Bosco: “un
amore che ama le cose che amano i
giovani perché loro possano amare
quello che noi amiamo”.
Luglio/Agosto 2016
21

3.2 Page 22

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DIOè d
go

3.3 Page 23

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dappertutto
odetevelo

3.4 Page 24

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LE CASE DI DON BOSCO
MARCELLO MAZZEO
Catania La Salette
D Nel quartiere più grande e antico della città,
che è anche il più problematico e difficile,
i Salesiani fanno vivere un’oasi di passione
e coinvolgimento educativo.
on Francesco Piccollo, uno dei primi
salesiani, di tanto in tanto partiva dalla
Sicilia, dove lavorava, per andare a Tori-
no a conferire con don Bosco. Di solito
sentiva dalla bocca del Santo un elogio
e una lode per il suo lavoro, per la bontà
24
Luglio/Agosto 2016

3.5 Page 25

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dei suoi ragazzi in mezzo ai quali sarebbero sorte
parecchie vocazioni. L’oratorio di Catania, dopo
quello di Torino, al dire di molti confratelli, era
uno dei migliori e don Bosco per esso nutriva una
grande predilezione.
Una volta però dal Santo udì un biasimo: l’orato-
rio era frequentato in maggioranza dagli studenti
e venivano trascurati i ragazzi poveri.
Don Piccollo si difese meglio che poté, apportan-
do dei motivi sulla reale situazione dell’oratorio:
era più accessibile agli studenti e non agli operai
che vivevano in luoghi distanti. Ed allora don Bo-
sco, dopo averlo ascoltato, si fermò un istante a
pensare, poi aggiunse: «Ebbene, capisco le cose;
cerca di aprire un altro oratorio più comodo per gli
operai e voi continuerete come avete fatto finora».
Il desiderio di don Bosco fu portato a conoscen-
za dell’arcivescovo Dusmet che in quel periodo
aveva fatto costruire la chiesa di Santa Maria del-
la Salette in un quartiere popolare e periferico.
Quale posto migliore per un oratorio rivolto ai
ragazzi poveri?
E fu così che il 19 marzo 1893, festa di san Giu-
seppe, alla presenza del cardinale Dusmet veniva
affidato ufficialmente ai Salesiani l’oratorio festivo
che in onore del Papa fu chiamato “Leone XIII
alla Salette”. Scrive lo storico don Ceria: «Chi scri-
ve, vide allora nel suburbio una località, che sem-
brava un grosso villaggio di zingari: abbandono,
squallore, miseria. Essendo numerosa la prole nella
famiglia, vi brulicavano i ragazzi mal vestiti, mal
puliti, mal educati. Là in mezzo i Salesiani anda-
rono a piantare un oratorio festivo. Ogni domenica
un torrente di fanciulli vi irrompeva dentro. Biso-
gna aggiungere però che quei poveri figlioli si por-
gevano docili a quanto comandavano i catechisti e
soprattutto il Direttore. Dopo qualche anno se ne
scorgevano i buoni effetti.
I pionieri che vi portarono con tanta umiltà i loro
sudori e sacrifici, hanno ben meritato di quella
popolazione: l’umile don Savini in particolare
sarebbe degno di un monumento. Ma il monu-
mento egli se l’è eretto da sé, e imperituro, nel
cuore di centinaia e centinaia di figli del popolo,
oggetto delle sue cure paterne».
L’attività dell’oratorio festivo durò per parecchi
anni, anzi nel periodo della prima guerra mon-
diale i confratelli si prestarono anche per il servi-
zio parrocchiale. Nel 1945 venne posata la prima
pietra del nuovo “Oratorio Salesiano S. Giovanni
Bosco Pro Ragazzi della Strada”, dal 1947 i Sa-
lesiani sono una Comunità religiosa regolare per
offrire la loro vita a questo quartiere povero ed
abbandonato con la Parrocchia, la scuola e l’Ora-
torio - Centro giovanile.
Il quartiere San Cristoforo
Alla Salette, fin dal loro primo arrivo, subito dopo
la guerra, con tutti i problemi e le conseguenze
lasciate da quella macchina infernale, i Salesiani
hanno impegnato le loro forze e il loro impegno
per promuovere ed elevare le condizioni disastrose
del quartiere: hanno sfamato migliaia e migliaia di
bambini, ragazzi, giovani ed anche adulti; hanno
dato loro di che vestirsi, lavarsi, giocare, divertirsi
sanamente, istruirsi sia culturalmente sia religio-
samente, divenendo così per Catania il segno della
potenza dello spirito di don Bosco, che può cam-
biare il volto dei ragazzi e di un quartiere ricevendo
anche dalle autorità pubbliche, civili e religiose, il
Il cortile
dell’oratorio
è sempre gremito
di ragazzi.
A pagina
precedente :
Gli animatori
nelle braccia
di don Bosco.
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LE CASE DI DON BOSCO
plauso, la riconoscenza e l’aiuto materiale e spiri-
tuale per continuare la loro missione.
L’opera salesiana è inserita nel quartiere san Cri-
stoforo, il più grande e antico della città, nel quale
risiede il maggior numero di famiglie problema-
tiche della città (problemi lavorativi, relazionali,
devianze...) e dove lo spaccio della droga è un’at-
tività quasi naturale per sopravvivere.
Ciò nonostante gli abitanti del quartiere sono
molto allegri e cordiali, laboriosi e “industriosi”;
non si scoraggiano mai dinnanzi alle varie diffi-
coltà della vita e se ne inventano una più del dia-
volo per poter sopravvivere.
L’Oratorio - Centro giovanile
È la parte più importante e caratteristica dell’o-
pera della Salette, in quanto vi confluisce libera-
mente un gran numero di ragazzi e giovani non
solo della nostra parrocchia, ma anche di tutto
quanto il Quartiere.
È un pullulare di giovani in una marea di attività
per il tempo libero che impegnano tutti i giorni
e tutte le ore pomeridiane la Comunità Salesiana
educativa: Salesiani, volontari del Servizio Civile
Nazionale, animatori, allenatori, amici, exallievi,
simpatizzanti dell’opera Salesiana che offrono la
loro collaborazione gratuita per tanti ragazzi bi-
sognosi del quartiere.
Recentemente è stata realizzata una sala giochi
multifunzionale, grazie al contributo dei Salesiani
per il Sociale e Missioni Don Bosco, secondo i gu-
sti degli adolescenti e giovani: giochi informatici,
giochi da tavolo, biliardini, giochi interattivi, tv,
proiezioni di film, ascolto di musica ed un inter-
net point… così da coinvolgerli all’interno di un
sano contesto educativo, diventare buoni cristiani
e onesti cittadini, crescere nella fede, realizza-
re esperienze di condivisione fuori dal quartiere,
essere accompagnati da psicologi ed educatori per
lavorare sul proprio vissuto.
Anche durante l’estate l’Oratorio non si ferma, anzi
trova un suo culmine e la sua massima espressione
nell’attività del Grest. Centinaia di ragazzi e ragaz-
ze, animati da Salesiani, laici e giovani animatori,
trascorrono circa due mesi di svago e divertimento,
al mare e in montagna, fra canti, musica, giochi,
attività varie e formative, culturali e ricreative.
Altre info anche su: https://oratoriosgboscosalet-
tect.wordpress.com
L’Oratorio è
la parte più
importante e
caratteristica
dell’opera,
in quanto vi
confluisce
liberamente un
gran numero di
ragazzi e giovani
della parrocchia
e di tutto il
Quartiere.
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Dopo settantacinque anni di liete armonie
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SANTI DELLA FAMIGLIA SALESIANA
TERESIO BOSCO
Simone Srugi
Coadiutore salesiano
venerabile (15aprile1877-
27 novembre 1943)
Nato nel paese di Gesù, fu come lui servo di tutti
Nella casa di Àazar Srugi
veniva conservata tra i do-
cumenti preziosi la «genea-
logia», come quella di Gesù
che si legge nei Vangeli. È
un’usanza rispettata dalle
famiglie palestinesi. Si leggeva: Ăaz
figlio di Tannus, figlio di Faddùl, fi-
glio di Gìrges, figlio di Jùssef... La
genealogia risaliva fino a Faraòn, che
aveva abitato nella Siria meridionale
nel 1550, ed era emigrato con la fami-
glia verso la Palestina. Nell’ultima riga
della genealogia si leggeva: «Ăazar ha
sposato Dàlleh, ed hanno generato
Simàan il 15 aprile 1877, a Nazareth».
Simàan (che noi all’europea chiame-
remo Simone) ricevette il Battesimo
a Nazareth il 10 maggio di quell’an-
no: concittadino di Gesù, e da quel
giorno anche suo fratello. Solo tre
anni dopo, Simone ebbe la più grave
disgrazia che possa toccare a un bam-
bino: nello spazio di pochi mesi perse
il papà e la mamma. Fu accolto dalla
nonna, e venne su esile come un filo
d’erba, con un’ombra di tristezza in
fondo agli occhi, e con un prepotente
bisogno di amore.
Di orfani, in quel tempo, ce n’era-
no tanti in Palestina. Affollavano le
viuzze di ogni villaggio. L’Impero
Turco, a cui la Palestina apparteneva
da milleduecento anni, non mani-
festava molto interesse per loro. Un
prete italiano, don Antonio Belloni,
che si trovava a Gerusalemme, co-
minciò ad aprire case per quei «ra-
gazzi di nessuno». Amico e imitatore
di don Bosco, don Antonio nelle sue
case dava agli orfani scuola, mestiere,
catechismo, e tanta tanta bontà. Fu
ribattezzato dalla gente Abuliatama,
padre degli orfani.
Nel 1888 Simone compiva 11 anni, ed
entrò nella casa dell’Abuliatama aperta
a Betlemme. Dopo aver dato addio al
papà e alla mamma, aveva dato addio
anche alla faccia buona e rugosa del-
la nonna. Ma trovò la faccia buona e
gentile di don Antonio, che in poco
tempo Simone sentì come un nuovo
Il venerabile Simone Srugi (a sinistra) con il suo
atteggiamento mite e gentile e la sua smisurata
bontà conquistò l’affetto dei grandi e dei piccoli.
papà. Andò a scuola, imparò a impa-
stare la farina nella panetteria, a go-
vernare il forno.
Nel 1891 succede un avvenimento
grande, che influenzerà tutta la vita
di Simone Srugi. Don Antonio Bel-
loni e tutti i sacerdoti che l’aiutano
nella cura degli orfani, diventano «sa-
lesiani»: entrano nella congregazione
di don Bosco. Simone, che proprio in
quell’anno si era deciso a restare con
don Antonio per mettersi come lui al
servizio degli orfani, diventò «di don
Bosco, per sempre». Aveva 17 anni
quando andò nell’Orfanotrofio-scuo-
la agricola di Beit Gemàl, fondato
da don Antonio Belloni sulle ultime
colline della Giudea, che vanno decli-
nando nella pianura di Shefèlah.
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Le file rumorose
dei contadini
Vi andò come «aspirante salesiano».
Vi completò i suoi studi, nel 1895 fece
il noviziato, e nel 1896 si consacrò al
Signore con i voti di povertà, castità
e obbedienza, diventando salesiano.
Aveva 19 anni.
La casa di Beit Gemàl era collocata in
alto sul colle come un’antica abbazia,
ed era autosufficiente in tutto. Aveva
il mulino, il forno, il torchio per le oli-
ve, le cantine, i granai. Alla sua impo-
nente costruzione si aggrappavano le
casette dei contadini musulmani, che
si appoggiavano alla grande casa per
poter vivere. E in file sempre rumo-
rose e litigiose entravano nella grande
casa perché il mulino trasformasse il
grano in farina bianca, le olive in olio
profumato...
Quel ragazzo mite e gentile arrivato
da Betlemme cominciò a trasportare,
curvo e silenzioso, taniche d’olio, sac-
chi di grano e farina. Era gracile, ma
faticava volentieri. Quello sguardo
profondo e vivace sorrideva appena
incrociava un altro sguardo, e la sua
voce esile salutava con parole gentili
e scherzose.
Cominciò così (e continuerà per 45
anni) la vita del salesiano Simone
Srugi, servo di tutti. Fu incaricato
di moltissime cose. Sembravano in-
compatibili tra loro, ma la sua bontà
riuscì a metterle in fila quasi tutti i
giorni della sua vita. Al mattino ser-
viva la Messa, guidava la meditazio-
ne dei salesiani, assisteva i ragazzi
orfani in chiesa, in cortile, faceva
scuola. Contemporaneamente trova-
va il tempo di mettersi al banco di
una botteguccia dove i contadini ve-
nivano a comprare le cose di prima
necessità. Era anche l’infermiere per
chi si ammalava, badava al forno e al
mulino (l’unico nel raggio di trenta
chilometri). In tutte queste occu-
pazioni che bruciavano ogni attimo
del suo tempo, Simone seppe unire
sempre due cose quasi inconciliabili:
la laboriosità instancabile e la gen-
tilezza delicata. Un ragazzino mu-
sulmano che veniva a scuola scalzo e
denutrito, durante la lezione di arabo
verso mezzogiorno si addormentò
profondamente nel banco. Neanche
la campana che segnava la fine delle
lezioni riuscì a svegliarlo. Il dito sulle
labbra di Simone fece uscire gli altri
ragazzi in punta di piedi. Quando il
ragazzino si svegliò non riusciva a
capire dov’era, e come mai il maestro
Srugi gli era accanto e gli porgeva i
panini del pranzo.
Le mani bianche di farina
1915. L’ltalia entra nella prima guerra
mondiale contro Austria, Germania e
Impero Turco. I Salesiani italiani, poi-
ché la Palestina fa parte dell’Impero
Turco, vengono imprigionati il 23 ago-
sto. I ragazzi sono inviati dal governo
in un orfanotrofio musulmano.
Nel 1917 la Palestina è conquistata
dalle truppe inglesi. I Salesiani pos-
sono tornare al loro lavoro. Simone
ha 40 anni. Comincia per lui il pe-
riodo luminoso della piena maturità.
Gli viene affidato in maniera totale il
mulino. Stare al mulino vuol dire sta-
re nel cuore della zona. Ogni giorno
dai cinquanta villaggi intorno vi sale
una carovana di muli e di cammelli
carichi di sacchi di grano. Nel cortile,
durante l’attesa o prima di ripartire,
si combinano gli affari, si comunica-
no le notizie, scoppiano anche litiga-
te solenni. Srugi macina la farina di
tutti, incontra tutti, parla con tutti,
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SANTI DELLA FAMIGLIA SALESIANA
La casa salesiana di Beit Gemal, sulle dolci
colline della Terra Santa, custodisce la tomba
(sotto a destra) di quest’uomo buono di cui i
contadini dicevano: «Dopo Allah c’è Srugi.
È un mare di carità».
sorride a tutti. Durante le liti più
clamorose esce con le mani bianche di
farina e si caccia tra i contendenti con
il rischio di prendersi una coltellata.
Riporta la pace. A volte li rimprovera
con parole forti, ma non se la prendo-
no: «È come il padre di tutti», dicono.
E si fidano. La farina che mette nei
sacchi è la razione giusta che spetta
a ciascuno, nessuno discute. Dicono:
«Dopo Allah c’è Srugi». Simone vede
in loro i suoi fratelli. Anche dei più
litigiosi, maneschi, ladri, dice: «An-
che loro sono figli di Dio». Poco per
volta viene ribattezzato Muàllem,
cioè maestro. I suoi consigli sono il
condensato del Vangelo. Comincia
quasi sempre: «Gesù dice...», «Ma-
ria SS. ti direbbe...». Si giunge al
punto che sulla bocca di quei mu-
sulmani i nomi di Gesù e di Maria
diventano familiari.
Da Muàllem ad Haqìm
Molte di quelle persone accoccolate al
sole in attesa del loro turno al mulino
erano scosse dai brividi della malaria,
soffrivano per piaghe aperte e non cu-
rate. Muàllem Srugi, infermiere nella
casa salesiana, cominciò a diventare
l’infermiere di tutti. Iniezioni, poma-
te, medicine fatte con le erbe. E così,
accanto alla fila dei muli che porta-
vano i sacchi di grano al mulino, co-
minciò a salire un’altra fila, più lenta,
più silenziosa. Uomini, donne, bam-
bini e vecchi, vestiti in tutte le fogge,
con il volto contratto dalla sofferen-
za. Arrivarono a cento, centoventi al
giorno. Muàllem divenne Haqìm, il
medico. Non avevano molte medicine
i salesiani in quegli anni. Haqìm Sru-
gi metteva a disposizione il poco che
c’era: alcool per disinfettare, tintura
di iodio per pulire, bende per fasciare,
medicine ricavate da piante e da erbe.
Chi poteva gli dava un soldo, chi non
poteva sussurrava «Viva Gesù!», il
suo saluto preferito. Sovente le mam-
me gli portavano i loro bambini, che
stavano bene. Ma volevano che lui
mettesse la mano sulla testolina, di-
cesse una preghiera. E andavano via
contente. I salesiani costruirono un
dispensario. Ma sovente più che di
cure, quella gente aveva bisogno di
cibo. Haqìm Srugi distribuiva il pane
fragrante del forno agli «ammalati di
fame». Ai bambini portava dolci e la
frutta a cui i confratelli rinunciavano
per loro.
Qualcuno confidava che nelle case
vicine alla sua c’erano altri malati, e
Srugi andava a cercarli. Un giova-
ne yemenita, povero in canna, sta-
va morendo nella sua stanza sporca,
abbandonato da tutti. Haqìm Srugi
andò a trovarlo, lo persuase ad andare
con lui. Nella casa salesiana gli fece le
cure necessarie e lo nutrì. Nella lunga
convalescenza persuase l’economo a
tenerlo come domestico.
Il direttore lo trovava sovente a notte
alta nel dispensario a preparare le me-
dicine con le erbe, e anche a vegliare
quei poveretti che per qualche giorno
non potevano tornare a casa. Un gior-
no gli portarono un malato così gra-
ve che solo all’ospedale poteva essere
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curato. Ma l’ospedale era lontano,
gestito da stranieri, e quella povera
famiglia aveva paura, non ne voleva
sapere. Allora Simone dette qualche
medicina che sapeva insufficiente, e
mormorò: «Pregate Sitti Màriam. Se
lei vuole, Dio lo guarirà». Tornarono
qualche giorno dopo a ringraziare,
con il malato perfettamente gua-
rito. E lui disse: «Ringraziate Sitti
Màriam, la Vergine Maria. È lei che
ottiene da Dio ciò che vuole».
stallazioni ebraiche. L’Inghilterra
intervenne militarmente, e tentò di
imporre la spartizione della Palestina
in due stati. L’intransigenza delle due
parti fece fallire ogni tentativo.
Nel 1938 anche la casa salesiana di
Beit Gemàl fu coinvolta nella guer-
riglia. Sospettando che con il telefono
il direttore salesiano tenesse contatti
con gli inglesi, i guerriglieri palesti-
nesi lo sequestrarono e lo uccisero.
Al dispensario, Srugi vide arrivare
giovani armati e violenti che portava-
no un loro ferito da arma da fuoco.
Urlavano a Srugi di curarlo subito,
una suora intervenne per rimprove-
rarli, nel parapiglia Simone fu gettato
per terra. Si alzò con calma dicendo:
«Suora, Gesù ha detto: Padre, perdo-
na loro perché non sanno quello che
fanno. Così dobbiamo comportarci
anche noi». E curò il ferito.
Nel 1939 il mondo fu travolto dalla
seconda guerra mondiale. Il 10 giu-
gno 1940 anche l’Italia entrò in guer-
ra contro Francia e Inghilterra. I sale-
siani italiani furono arrestati, e gran
parte del lavoro piombò sulle spalle
stanche di Simone Srugi. Aveva or-
mai 63 anni, e un anno prima era sta-
to colpito dalla malaria e da una dop-
pia polmonite.
Il progresso aveva camminato. Attor-
no, nei villaggi, c’erano ormai medici,
farmacie, ospedali. Ma la gente ve-
niva ancora da Haqìm Srugi, perché
«le sue mani avevano la potenza e la
dolcezza di Allah».
Nell’ottobre 1943 la tosse e l’asma lo
sigillarono nella sua cameretta. Dopo
una crisi disse: «È terribile quando
manca il respiro. Ma se il Signore
vuole, va bene». Morì da solo, nel si-
lenzio della sua cameretta, durante la
notte tra il 26 e il 27 novembre. I con-
tadini musulmani sporchi, rissosi, ac-
corsero con le lacrime agli occhi, con
i bambini in braccio, perché vedesse-
ro ancora una volta Haqìm Srugi. Lo
portarono loro al cimitero. Mormo-
ravano: «Dopo Allah c’era Srugi. Era
un mare di carità».
La storia camminava
Mentre Haqìm Srugi lavorava e servi-
va in quel cantuccio dimenticato della
Palestina, la storia andava avanti, con
il suo bene e il suo male.
Nel 1936 gli arabi si ribellarono
all’amministrazione inglese, e ini-
ziarono la guerriglia contro le in-
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IL GIUBILEO IN FAMIGLIA 8
BRUNO FERRERO - ANNA PEIRETTI
Pietà per
La virtù più importante,
e anche la più dimenticata,
della misericordia
Madre Terra! èlaresponsabilità.
E tutte le creature hanno
la responsabilità della
loro “casa” comune.
Che parola “responsabilità”!
Significa “dover dare una ri-
sposta”. Come dire: “hai un
compito da fare, come lo hai
fatto?” Il racconto biblico del-
la Creazione dice che Dio ha
creato l’Universo e poi ha detto all’uo-
mo: «È tutto tuo! Fallo funzionare».
Dio è come un insegnante
di matematica che asse-
gna agli alunni un compito
difficile e poi lascia l’aula.
Tutti fanno calcoli su cal-
coli. Sembra che il compito
non ne voglia sapere di far-
si risolvere. Alcuni diven-
tano diffidenti e dicono:
il compito è irrisolvibile.
L’insegnante di matematica
è stato cattivo. Altri comin-
ciano a capire che non ne verran-
no fuori con le formule conosciute.
Devono sviluppare altre formule. Fra
questi alunni si annoverano anche
quelli che non riescono a immaginar-
si che ci possa essere un insegnante
cattivo. Essi si tengono saldi a que-
sta fiducia: l’insegnante ci ha dato un
compito e ci ha creduti capaci di risol-
verlo. Egli vuole che percorriamo vie
nuove. Così anche noi possiamo dire:
Dio è complicato, ma non cattivo. Ci
ha dato un compito difficile, che però
non è irrisolvibile in linea di princi-
pio. Dobbiamo solo cercare la solu-
zione su vie nuove. Lui sa che ce la
possiamo fare.
Papa Francesco ha scritto un docu-
mento che inizia così: «“Laudato si’,
mi’ Signore”, cantava san Francesco
d’Assisi. In questo bel cantico ci ri-
cordava che la nostra casa comune è
anche come una sorella, con la quale
condividiamo l’esistenza, e come una
madre bella che ci accoglie tra le sue
braccia: “Laudato si’, mi’ Signore, per
sora nostra matre Terra, la quale ne
sustenta et governa, et produce diversi
fructi con coloriti flori et herba”.
Questa sorella protesta per il male che
le provochiamo, a causa dell’u-
so irresponsabile e dell’abuso dei
beni che Dio ha posto in lei. Siamo
cresciuti pensando che eravamo
suoi proprietari e dominatori,
autorizzati a saccheggiarla.
La violenza che c’è nel cuo-
re umano ferito dal peccato
si manifesta anche nei sintomi
di malattia che avvertiamo nel
suolo, nell’acqua, nell’aria e ne-
gli esseri viventi. Per questo, fra
i poveri più abbandonati e mal-
trattati, c’è la nostra oppressa e de-
vastata terra».
Un modo di pensare unico
Tutte le creature hanno quindi di-
ritto al totale rispetto. Dobbiamo
rispettare sempre e a qualsiasi costo
le persone, le cose e naturalmente noi
stessi. «In primo luogo» scrive papa
Francesco «implica gratitudine e gra-
tuità, vale a dire un riconoscimento
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Luglio/Agosto 2016

4.3 Page 33

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IL GIARDINIERE INVISIBILE
STORIA UNIVERSALE
Due esploratori che percorrevano una giungla inesplorata per conto di una
società geografica s’imbatterono in uno spettacolo sorprendente.
Una fila di alberi poderosi celava uno splendido giardino. Era magnifica-
mente organizzato con viali, aiuole di fiori, scalinate, fontane e alberi cari-
chi di frutti. Il tutto in un ordine perfetto.
Ammirati, i due esploratori cercarono il giardiniere. Ma nel
meraviglioso giardino non c’era l’ombra di un giardiniere!
Frugarono dappertutto e ispezionarono minuziosa-
mente il giardino dentro e fuori. Nessun giardiniere!
«È un giardiniere invisibile!» decise il primo e per
provarlo ricorse a recinzioni, cani, elettrotrappole. Niente.
«Il giardiniere è insensibile alle scariche elettriche, non ha impedimenti ad attraversare le
recinzioni e i cani non riescono a sentirne l’odore» affermò.
L’altro era un agnostico. Non vedeva alcuna differenza tra un giardiniere invisibile ed eterna-
mente in fuga e un giardiniere che non c’è per niente.
«E dopotutto il giardino avrebbe potuto anche essersi formato da solo!» Ma erano entrambi
insoddisfatti e pieni di dubbi.
Poi arrivò un gruppo di gente semplice. Percorsero i viali del giardino con gli occhi e i cuori
colmi di stupore e celebrarono una festa perché nella giungla avevano trovato ordine e sen-
so! Formularono disposizioni che obbligavano ad aver cura del giardino.
Riconobbero che l’ordine nel giardino e dentro di loro era lo stesso: entrambi si accordavano
come la melodia e l’accompagnamento, ambedue erano parte di una sinfonia della vita.
Queste persone, infine, narrarono la storia di un giardiniere che tutto ha creato e che ha affidato
loro il giardino. La loro storia è poesia, ma, benché sia del tutto inventata, contiene la verità!
del mondo come dono ricevuto dall’a-
more del Padre, che provoca come
conseguenza disposizioni gratuite
di rinuncia e gesti generosi anche se
nessuno li vede o li riconosce».
Cambiare mentalità e abitudini
Ogni giorno della nostra vita, dall’alba
al tramonto, noi consu-
miamo: elettricità,
acqua, detersivi, ali-
menti, farmaci. È
facile sprecare e
rovinare, usare
prodotti chimi-
ci senza pensare
che sono dannosi
per la natura, in-
quinare, trattare male
piante e animali. È così
facile anche sporcare
le strade e rovinare i
giardini pubblici.
È necessario formarsi una co-
scienza ecologica, in due modi: in
modo scientifico, cioè conoscere i ter-
mini del problema, l’ambiente in cui
si vive, essere attivi per la sua salva-
guardia; in modo pratico, ritrovando
il senso pulito ed essenziale della vita.
Una diversa concezione
del progresso
Imparare a pensare che il vero pro-
gresso dell’uomo è proprio «crescere
in umanità»: perché ogni uomo pos-
sa avere la possibilità di soddisfare
i suoi bisogni fondamentali, come
l’alimentazione, la casa, l’istruzione,
la salute, la dignità e la vita in un
ambiente sereno.
Imparare a
«contemplare la natura»
Siamo afflitti dal «complesso dell’in-
gegnere». Ci sono persone che davan-
In principio la terra era tutta sbagliata,
renderla più abitabile fu una bella faticata.
Per passare i fiumi non c’erano ponti.
Non c’erano sentieri per salire sui monti.
Ti volevi sedere? Neanche l’ombra di un
panchetto.
Cascavi dal sonno? Non esisteva il letto.
Per non pungersi i piedi, né scarpe, né stivali.
Se ci vedevi poco non trovavi gli occhiali.
Per fare una partita non c’erano palloni:
mancava la pentola e il fuoco per cuocere
i maccheroni,
anzi a guardare bene mancava anche la pasta.
Non c’era nulla di niente. Zero via zero e basta.
C’erano solo gli uomini, con due braccia
per lavorare,
e agli errori più grossi si poté rimediare.
Da correggere, però, ne restano ancora tanti,
rimboccatevi le maniche, c’è lavoro per
tutti quanti.
G. Rodari, Favole al telefono, Einaudi
ti a una stupenda montagna pensano
immediatamente a quanto si potreb-
be guadagnare dotandola di impianti
sciistici, alberghi, strade e parcheggi.
Tutti corriamo inseguiti dai nume-
ri scanditi dagli orologi e non siamo
più capaci di contemplare un fiore,
un volto, un tramonto. Viviamo come
tante formiche indaffarate senza mai
alzare la testa. E non ci accorgiamo
più che «i cieli narrano la gloria di
Dio».
Pensare che economia, politica
e tecnologia devono essere
vincolate ecologicamente
Il pianeta azzurro su cui viviamo è
l’unica vera grande risorsa dell’uma-
nità. Spesso l’uomo assomiglia a quel
boscaiolo stolto che tagliava il ramo
su cui era seduto. Segni di speranza
non mancano. Sono sempre di più i
giovani che si impegnano in organiz-
zazioni che proteggono la vita e la na-
tura.
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4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Pedagogia targata misericordia
I sei verbi della
misericordia
Siamo alla quinta mossa del Padre
misericordioso, il protagonista della
parabola che ormai conosciamo.
Siamo al punto più alto del racconto!
“Lo baciò!”. Anche questo verbo è tutto
da comprendere, da gustare, da imitare.
La nostra competenza pedagogica
non ne trarrà che vantaggi!
5 “Lo baciò”
A bbracciare è già tanto, ba-
ciare è di più! Ecco: già in
questa prima annotazione
abbiamo un insegnamento:
la misericordia punta sem-
pre al massimo, al meglio.
Concretizziamo per la misericordia:
è meglio sorridere che deridere,
è meglio la collaborazione che la
competizione,
è meglio muoversi che commuoversi,
è meglio un bicchier d’acqua ai vivi
che cento ceroni accesi ai morti,
è meglio dare una mano che dare
un consiglio,
è meglio l’incontro che lo scontro,
è meglio essere girasoli che salici
piangenti,
è meglio il bacio che il semplice ab-
braccio.
La verità di quest’ultimo ‘meglio’, la
tocchiamo con mano proprio nel ba-
cio che il padre della parabola regala.
Invece di indignarsi con il figlio egoi-
sta e sprecone, il padre lo bacia!
Questo è il bacio più prezioso di tutti
gli altri baci che troviamo nei Vangeli.
Lasciamo il bacio di Giuda (Mc
14,45) e pensiamo ai tanti baci della
peccatrice deposti sui piedi di Gesù
(Lc 7,45). Il bacio del padre miseri-
cordioso al figlio che ritorna a casa è
il più prezioso tra tutti perché è un
gesto pieno di significati. Baciando il
figlio, il papà gli invia tanti messaggi
tutti positivi: “Ti amo!”. “Siamo amici
intimi!”. “Ti sono vicinissimo!”. Il bacio
del padre è l’espressione culminante
del suo animo misericordioso. Così
culminante che ‘timbra’ per sempre il
cuore del figlio.
Il bacio dalle labbra scende nella zona
più intima e profonda dell’anima del
figlio come una benedizione simi-
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Luglio/Agosto 2016

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HANNO DETTO
le a quella che l’autore della parabola
(Gesù) deve aver sentito pronunciare
dal padre Giuseppe e dalla madre Ma-
ria al tredicesimo compleanno di vita.
Allora, secondo la legge ebraica, il
figlio diventava maggiorenne. In
quell’occasione i genitori lo salutava-
no con queste affettuose parole: “Fi-
glio, qualsiasi cosa ti accadrà nella vita,
sia che abbia successo o no, sia che diventi
importante o no, che abbia salute o no,
ricordati quanto tuo padre e tua madre
ti amano!”. Ebbene, tutte queste dolci
parole stanno racchiuse nel bacio del
padre al figlio commosso.
Potenza del bacio
La forza del bacio sta nel fatto che
quell’accostamento delle labbra del
padre a quelle del figlio provoca una
commozione così profonda che si
scrive sull’anima per una vita intera!
“Il bacio di mia madre mi ha fatto pit-
tore” diceva il grande Michelangelo
Buonarroti (1475-1564).
Allora, passando all’operativo, perché
“La più significativa scoperta della scienza psichiatrica attuale è il potere dell’amore di
proteggere e ristabilire la mente” (George Vickers, psicologo inglese).
“Il legame mamma-bambino deve essere vissuto in ‘modo carnale’: cioè i pasti, la pulizia
personale, devono essere occasioni di carezze, di abbracci, di baci” (Jacqueline Renaud,
psicologa).
“Noi scopriamo che vale la pena di vivere il giorno in cui sentiamo di essere qualcuno per
qualcuno” (Giuseppe Colombero, psicologo).
nasconderci nell’armadio per dimo-
strare il nostro amore?
I genitori che si baciano davanti ai fi-
gli emanano educazione!
“Quando vi vedo innamorati, sento vo-
glia di vivere e mi innamoro di tutto!”
è la secca dichiarazione di Monica
(13 anni).
I baci aggiustano i cuori. Perché,
dunque, non valorizzarli come fattori
educativi?
I baci formano nel figlio gli anti-
corpi necessari per resistere quando
il sole picchia forte e la vita mostra
i denti. Poter contare sempre sul
bacio dei genitori, anche dopo un
deragliamento, dà pace, dà forza!
I baci dicono ciò che sovente ci è
difficile esprimere con le parole.
I baci rasserenano, tranquillizzano,
come la musica di Mozart (1756-
1791) che, stando a serie ricerche, i
bambini prediligono fin dal grem-
bo materno.
Insomma i baci sono mattoni di
prim’ordine nell’arte di educare. Sa-
rebbe grave sprecarli. Eppure può suc-
cedere. Succede, ad esempio, quando
diventano cascata: così eccessivi da
soffocare i figli (in questo caso, anche
i piccoli, giustamente, li respingono).
I baci si sprecano quando sono au-
toreferenziali, quando cioè vengono
dati non già per gratificare il figlio,
il nipote, ma per soddisfare le nostre
esigenze affettive. In questo caso il
bacio non è per chi lo riceve, ma per
chi lo dà (una sottile forma di egoi-
smo che strumentalizza il figlio o il
nipote).
Il bacio perfetto resta sempre
quello del Padre della parabo-
la: bacio che non ha altro sco-
po che mettere una pietra defi-
nitiva sul passato sbagliato del
figlio e ridargli credito.
Un simile bacio porta primavera in
chi lo riceve e gli dà gioia e grinta per
riprendere a vivere.
Non c’è dubbio che sarebbe un gran-
de successo pedagogico se l’Anno
Santo della Misericordia, in pieno
svolgimento, portasse, in tutte le fa-
miglie, alla moltiplicazione dei baci
modellati su quello del Padre del fi-
glio prodigo.
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Distendersi su un prato e respirare la luce, confondersi in un fiore
e ritrovarsi a sentire l'odore dell'estate, la fatica delle salite,
per apprezzarle meglio quando saranno discese.
Eppure gioia,
se penso che son vivo
anche in mezzo al casino.
Eppure gioia,
se penso che da ieri
io sono ancora in piedi...
(Modà, Gioia, 2013)
a favore della dimensione della gioia: è come se
il mondo degli adulti ritenesse poco conveniente
scommettere su questo valore, dando per scontato
che la vita riserva soltanto affanni e grattacapi,
per cui è preferibile adottare un atteggiamento
pragmatico e realista ed abituarsi quanto prima
ad abbassare il tiro delle proprie aspettative e a
mettere in preventivo la possibilità sempre in ag-
guato di delusioni e fallimenti.
Non si immagina minimamente fino a che pun-
to questo modo di ragionare rischi di deprivare
i giovani adulti di un’essenziale riserva di entu-
siasmo e positività su cui contare per affrontare
ogni situazione in modo costruttivo, per restitui-
re serenità alle esperienze quotidiane, per ridare
slancio a ogni progetto o iniziativa.
Un’esistenza che valga la pena di essere vissuta ri-
chiede la lungimiranza di sospingere lo sguardo
oltre le nuvole per riuscire a scorgere il cielo stel-
lato che si cela dietro la tempesta, il coraggio di
spiegare le vele e di prendere il largo anche quando
l’esito della navigazione appare incerto, la capaci-
tà di ridimensionare i propri problemi, ricordando
l’inestimabile valore del dono della vita, che già di
per sé non può che essere fonte di gioia autentica.
In questa prospettiva anche i momenti di fatica e
di difficoltà acquistano un significato nuovo, come
banco di prova per testare le proprie risorse inte-
riori e superare i propri limiti, nella consapevolezza
che i traguardi raggiunti si apprezzano maggior-
mente e sono motivo di una soddisfazione più pie-
na quando sono il frutto di sforzi e sacrifici.
Certo non è affatto semplice, in un mondo gra-
vato da tante complicazioni, riuscire a riconoscere
le piccole occasioni di gioia che la vita riserva a
chi sa scoprirle con sguardo contemplativo; ma è
forse proprio in questa scommessa di essere gioio-
si “nonostante tutto” che si gioca la possibilità di
costruire il giusto equilibrio tra il senso della re-
altà e la capacità di fare spazio alla dimensione del
desiderio. Il “diritto alla gioia” merita di ritrova-
re cittadinanza nell’orizzonte di senso della vita
adulta!
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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Moriva cento anni fa a Santiago (Cile)
Monsignor Fagnano,
il missionario dai tanti primati
Fu il primo salesiano ad attraversare
lo stretto di Magellano e a mettere
piede nella Terra del Fuoco.
A stigiano come don Bosco
(Rocchetta Tanaro, 1844),
seminarista senza seminario,
garibaldino mancato, a 15
anni entrò a Valdocco, dove
conseguì il diploma univer-
sitario per l’insegnamento nelle scuo-
le ginnasiali inferiori nel 1868, l’anno
stesso della sua ordinazione sacerdo-
tale. Insegnante prima nel collegio di
Lanzo Torinese (1863-1872), economo
poi in quello di Varazze, nel 1875 don
Bosco lo inserì nel primo drappello di
missionari inviati in Argentina, come
primo direttore di un collegio fuori Italia,
S. Nicolás de los Arroyos. Don Bosco,
confidando nella sua dedizione alla
Monsignor
Fagnano
(a sinistra)
durante uno dei
viaggi apostolici
“con garibaldino
ardimento”.
causa e puntando sul suo garibaldino
ardimento, gli affidò nel 1880 la ge-
stione della parrocchia di Carmen de
Patagones, prima casa salesiana in Pata-
gonia e ulteriore avamposto ideale ver-
so gli Indios delle sconfinate pianure
dove erano stati cacciati dalla “conqui-
sta del desierto” del general Roca.
A Patagones don Fagnano dispiegò le
sue doti di intraprendenza piemontese
costruendo edifici di educazione e di
culto e organizzando l’eterogenea co-
munità di indi, di negri discendenti da
schiavi africani e d’immigrati europei
per lo più anticlericali. Nel dicembre
1883 la Santa Sede lo nominò Prefetto
apostolico – il primo della congregazione
salesiana – della Patagonia meridionale,
delle Malvine e delle isole che si esten-
devano oltre lo stretto di Magellano.
Intanto, in attesa di lasciare l’Argen-
tina per Punta Arenas in Cile (1887),
lungo la vale del Rio Negro si mise in
contatto con i gruppi di indios della
zona, arrivando nel 1884 a progettare
nel Chubut una “riduzione” indigena.
Alla fine del mondo
Da Punta Arenas (1500 ab.), meta in
quegli anni di commercianti cosmopo-
liti, piccoli armatori di navi, cercatori
d’oro, avventurieri, monsignor Fagna-
no fece della Terra del Fuoco il campo
preferenziale della sua attività, aggre-
gandosi a spedizioni esplorative mili-
tari o scientifiche allo scopo di meglio
conoscere le popolazioni fueghine.
Fu il primo salesiano ad attraversare lo
stretto di Magellano ed a mettere piede
nella Terra del Fuoco. Il lago scoperto
nel 1892 (lungo 100 km) porta il suo
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Luglio/Agosto 2016

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Il Lago Fagnano si trova sull’Isola Grande
della Terra del Fuoco, ed è suddiviso tra il Cile
e l’Argentina.
nome, Fagnano, così come altri luoghi
nelle isole e nella Patagonia australe.
A Punta Arenas, vincendo ostilità
politico-burocratiche ed impegnan-
dosi in rischiosi investimenti, fondò
collegi, luoghi di culto, scuole e ora-
tori per i giovani. Con l’aiuto dell’ar-
chitetto salesiano don Bernabè, fu il
primo a produrre mattoni con impasto
di materiali locali, invenzione che con-
tribuì a cambiare rapidamente il volto
della cittadina.
Nel 1889 comperò la goletta “Mafia
Auxiliadora” con cui poté più facil-
mente stabilire contatti con le varie
tribù fueghine, per trasferirsi sull’isola
Grande della Terra del Fuoco, dove
nei primi anni novanta lo stesso sacri-
ficatissimo Fagnano, su un vasto ter-
reno ottenuto in modo precario e mal
precisato dal governo argentino, aveva
raccolto centinaia di ovini e bovini e
provveduto alla costruzione di edifici
per Salesiani, Figlie di Maria Ausilia-
trice, indios onas. A questa missione,
intitolata a “Nostra Signora della Can-
delariaoggi monumento naziona-
le essi affluirono numerosi per un
decennio nonostante un devastante
incendio il 12 dicembre 1896. L’acqui-
sto di un naviglio a vapore, battezzato
“Torino”, che garantiva contatti rapi-
di con Punta Arenas, costituì un altro
inedito nella storia salesiana. Intanto
nell’ambito della Prefettura apostolica
in quei medesimi anni salesiani era-
no andati alle isole Malvine (1891), a
Ushuaia (1904) e altrove.
Ma l’imperterrita colonizzazione di
terre nelle plaghe argentine australi
rese impraticabile anche il progetto di
una “riduzione” per indios della Cande-
laria, per cui presto da azienza pecuaria
per loro si trasformò in grande scuola
agrotecnica per la popolazione locale.
Gli anni del tramonto
Negli anni seguenti vennero esercitate
pressioni da parte del Vescovo dioce-
sano di Ancud, perché Punta Arenas
non fosse più il centro residenziale di
una Prefettura apostolica. I salesiani,
non volendo cedere i luoghi di culto
eretti con tanti sacrifici, si oppose-
ro. La Santa Sede salomonicamente
nell’ottobre 1916 eresse il Vicaria-
to apostolico di Magellano con sede
principale a Punta Arenas affidan-
dolo però due mesi dopo al salesiano
cileno don Abrahán Aguilera.
L’anziano monsignor Fagnano, esau-
torato e stanco, carico di debiti per
un’amministrazione economica molto
coraggiosa ma non sempre attenta agli
approfittatori, continuò comunque a
viaggiare in Argentina e in Cile, fin-
ché la morte lo colse a Santiago (Cile)
il 18 settembre 1916. Su richiesta
della cittadinanza di Punta Arenas,
fu sepolto nella locale cattedrale, che
egli stesso aveva costruito, a lato nella
piazza dove troneggia il monumento
all’indio patagone (“dal grande piede”)
ormai scomparso, che invano monsi-
gnor Fagnano aveva cercato di salvare.
Resta il fatto che la terra, che don
Bosco ha visto solo in sogno, è stata
fecondata dal sudore di monsignor
Fagnano e di altri grandi pionieri sa-
lesiani (come don Giovanni Bernabè,
don Alberto de Agostini, don Mag-
giorino Borgatello…) che ne hanno
lasciato tracce indelebili.
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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione dei nostri beati, venerabili
e servi di Dio, sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
I SANTI DEL MESE: JAN SWIERC E COMPAGNI
In questo mese di luglio preghiamo per la beatificazione dei servi di Dio Jan Swierc e 8
compagni, salesiani, che fanno parte del secondo gruppo di martiri polacchi della Se-
conda Guerra Mondiale, vittime del nazismo. Il gruppo conta 122 persone tra sacerdoti,
religiosi e laici, e ha come capogruppo il servo di Dio don Antoni Henryk Szuman.
Jan Swierc nacque a Królewska Huta, in Alta Slesia, il 29 aprile 1877 da Matteo e Francesca Rother.
Grazie alla buona fama dell’Istituto Salesiano di Valsalice venne in Italia per compiervi gli studi ginnasiali.
Chiese di diventare salesiano e iniziò il noviziato a Ivrea. Studiò filosofia e teologia a Torino. Il 6 giugno
1903 venne ordinato sacerdote a Torino dal cardinale Richelmy. Tornato in Polonia, incominciò il lavoro
pedagogico salesiano con molta cura e diligenza, dando prova di ottima capacità e virtù religiosa. Fu
prima Direttore ad Oswiecim, poi in altre case salesiane polacche. Fu sempre consigliere ispettoriale dal
primo momento che si costituì il consiglio fino alla morte. Don Jan è un religioso e salesiano esemplare,
ama la Congregazione e don Bosco, dà sempre prova di possederne tutto lo spirito. È conosciuto per la
sua prudenza. A lui si affidavano gli affari più difficili e delicati. Il 23 maggio 1941, essendo egli Direttore
e parroco di Cracovia Debniki, venne arrestato con altri Confratelli dalla Gestapo e condotto nelle carceri
di Cracovia. Fu poi condotto nel campo di concentramento di Oswiecim. Il 27 giugno 1941 don Jan venne
crudelmente torturato e ucciso da un soldato tedesco perché prete e perché non smetteva di invocare il
nome di Gesù. Aveva 64 anni d’età, 42 di professione e 38 di sacerdozio. Di lui possiamo aggiungere che
già in vita ebbe fama di santità, a prescindere dal martirio.
Con lui vennero martirizzati nel campo di stermino di Auschwitz:
don Ignacy Antonowicz: nato nel 1890 a Wieslawice, Rettore del Seminario di Kraków, morì il 21 luglio
1941 nell’ospedale del campo di concentramento;
don Ignacy Dobiasz: nato nel 1880 a Ciechowice, fu ucciso il 27 giugno 1941 nelle cave di ghiaia;
don Karol Golda: nato nel 1914 a Tychy, venne condannato a morte per aver confessato i soldati tede-
schi; l’esecuzione fu compiuta il 14 maggio 1942;
don Franciszek Harazim: nato nel 1885 a Osiny, morì il 27 giugno 1941, ammazzato anch’egli nelle
cave di ghiaia;
don Ludwik Mroczek: nato nel 1905 a Kety, morì nell’ospedale di Auschwitz il 6 gennaio 1942;
don Wlodzimierz Szembek: nato nel 1883 a Poreba Zegoty, morì nel campo di concentramento il 22
settembre 1942;
don Kazimierz Wojciechowski: nato nel 1904, morì il 27 giugno 1941, ucciso durante il lavoro nelle
cave di ghiaia.
Fa parte del gruppo anche don Franciszek Miska: nato il 5 dicembre 1898 a Swierczyniec, in Alta Slesia,
Direttore a Jaciazek e poi a Lad, internato nel campo di concentramento di Dachau, morì per maltratta-
menti e sevizie il 30 maggio 1942.
PREGHIERA
Signore Gesù Cristo,
vincitore della morte, dell’inferno e di satana,
ti rendiamo grazie per il dono dell’amore e della fortezza
che rifulsero nei tuoi servi Giovanni Swierc e compagni,
fedeli alla loro vocazione nella persecuzione e nel martirio.
Umilmente ti supplichiamo
di glorificare questi tuoi eroici testimoni;
concedici la grazia che per loro intercessione
fiduciosi ti chiediamo.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Ringraziano
Ringraziamo con immensa de-
vozione san Domenico Savio
per la grazia ricevuta: dopo una
difficile gravidanza è nata Maria!
Nei mesi dell’attesa abbiamo te-
nuto sempre vicino l’abitino di
san Domenico Savio, pregando-
lo di intercedere per noi... e ora
possiamo stringere tra le braccia
questo miracolo di cui il Signo-
re ci ha resi destinatari! Siamo
sicuri che san Domenico Savio
continuerà sempre a proteggerci
e a vegliare su di noi.
Mirco & Michela, Corridonia (MC)
Voglio rendere grazie, anche a
nome dei miei parenti, al venera-
bile Attilio Giordani che ci ha
impetrato una grazia straordinaria.
Mio cugino, Gianni Tarenga, affet-
to da tumore maligno al polmone
era ricoverato nel luglio scorso
all’ospedale di Monza; il primario
non era propenso ad operarlo, sia
per l’età di 82 anni, sia per la si-
tuazione non buona dei bronchi;
tuttavia, dopo un consulto con la
sua équipe, decise l’intervento di
lobotomia. All’uscita dalla sala
operatoria disse alla moglie: “È
stato meno complesso di quanto
pensassi”. Noi iniziammo le pre-
ghiere di ringraziamento al vene-
rabile Giordani. Al controllo dopo
un mese il professore esclamò:
“Ripresa incredibile”. Ora mio
cugino sta bene, senza assume-
re nessuna terapia, e addirittura
dopo soli due mesi ha potuto ri-
prendere la sua vita.
Suor Emilia Arosio FMA Contra
di Missaglia (LC)
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
GIUSEPPE CASTI
AGNESE BRISU
SALESIANA COOPERATRICE
Piccola, grande donna morta a Cagliari a 92 anni
Di mattina presto si vedeva una
piccola donna con una borsa a
tracolla che attraversava veloce-
mente le vie di Cagliari. Se qual-
cuno la fermava e le chiedeva dove
andava così di fretta, lei risponde-
va con un sorriso: «Vado a cercare
il pane per i miei bambini». I suoi
bambini? Sì, i suoi bambini erano
i bambini di un paese lontano: il
Madagascar. Lei, sola, che non
aveva mai conosciuto una fami-
glia, si era inventata una grande
famiglia. Da quando aveva cono-
sciuto i missionari salesiani che
le avevano indicato il Madagascar
come paese povero e bisognoso
della sua generosità, non pensava
ad altro che a procurare il pane per
i “suoi bambini”. Solo l’amore può
fare simili miracoli. Un amore che
la spingeva a bussare alle case dei
Cagliaritani, a suonare campanelli
a tutte le ore del giorno. Si presen-
tava umilmente ma con grande co-
raggio dappertutto: per la strada,
in chiesa, nei bus, nei ristoranti; a
tutti chiedeva: «il pane per i miei
bambini». Era difficile resistere
all’invocazione di quella piccola
donna che aveva negli occhi la
luce e la passione di una vera ma-
dre. Le offerte che lei raccoglieva
andavano puntualmente ai bam-
bini della missione di Betafo, in
Madagascar. Nel centro di questa
grande isola i salesiani della Sar-
degna avevano iniziato una pre-
senza molto bella in favore dei più
poveri, soprattutto dei bambini.
La scuola cresceva e, grazie alle
offerte di Agnese, potevano offrire
pane, vestiti, medicine. Tutto ciò
che richiede una sana educazione.
I missionari erano in contatto con
lei e la informavano regolarmente
degli sviluppi dell’opera. Ma que-
sto non bastava. È andata perso-
nalmente per due volte a vedere,
abbracciare, accarezzare i suoi
bambini. Era la donna più felice
del mondo. Finalmente poteva ve-
dere con i suoi occhi i volti, la gioia
e i sorrisi dei suoi bambini. Per
tutti, piccoli e grandi, ormai era
«Mamma Agnese». Così, anche
lei, desiderava essere chiamata.
Piccola, grande donna. Picco-
la di statura, fragile, sembrava
che il vento la portasse via da
un momento all’altro. Piccola, di
condizione umile e povera. Non
si vergognava delle sue origini.
Quante volte ricordava che co-
minciò a lavorare all’età di 10 anni
come domestica in una famiglia
alla quale fu affidata. In sardo si
dice «serbidora», serva. Un tem-
po si usava così. Per sottrarle alla
fame, i poveri davano le bambine
alle famiglie ricche, relegandole al
ruolo di servette a vita. Solo poco
più che schiave. Agnese è stata
una di loro. A servizio dall’età di
10 anni, vittima spesso di incre-
dibili angherie. Come quella volta
che la legarono e la gettarono nel
pozzo per recuperare un secchio.
Agnese era una donnina piccola e
magrissima. Di quegli anni le era
rimasto il tipico modo di rispon-
dere delle servette: «Comandi!».
Gli altri comandavano e lei lavo-
rava, lavorava, lavorava, lavorava.
Ha lavorato tanto, fino alla fine.
Alle soglie dei 90 anni andava
ancora nelle famiglie a stirare e a
fare pulizia. Non lo faceva più per
amore del lavoro, ma per respirare
aria di casa, di famiglia, quella che
le era sempre mancata.
Piccola, ma grande donna, che ha
dato a migliaia di bambini malga-
sci la gioia dell’infanzia che le era
stata negata. L’amore incontenibile
le aveva dato la fantasia di crearsi
una famiglia senza frontiere. Gran-
de donna, perché ha saputo vivere
pienamente la vocazione speciale
di ogni donna che è quella di es-
sere una madre autentica. Grande
donna perché ha espresso natu-
ralmente il genio femminile che
è quello di essere attento ai più
poveri e di chinarsi con tenerez-
za verso chi soffre. Per questo il
comune di Cagliari le ha dato un
attestato di riconoscenza come
“Donna al traguardo”. Il suo tra-
guardo era uno solo: «il pane per i
miei bambini».
Piccola, grande donna che ha sa-
puto dare un volto alla fede. Sa-
peva istintivamente che una fede
senza le opere è vana. La sua è
stata una fede incarnata, viva,
una fede che la spingeva a “usci-
re” tutte le mattine a mendicare il
pane per i poveri.
Non è difficile immaginare l’in-
contro con il Signore Gesù che le
apre le braccia dicendo: «Vieni,
mamma Agnese, piccola, grande
donna, benedetta dal Padre, rice-
vi in eredità il premio preparato
per te, perché ho avuto fame e mi
hai dato da mangiare». Sorpresa,
chiederà: «Ma quando, Signore,
ti ho visto affamato e ti ho dato
da mangiare?». Sorridendo, il
Signore l’abbraccerà dicendo:
«Ogni volta che l’hai fatto al più
piccolo dei bambini del Madaga-
scar, l’hai fatto a me!».
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5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
LA SECONDA “CASA” DI DON BOSCO
Non erano passati neanche un paio d’anni dall’apertura dell’ora-
torio di Valdocco che già don Bosco sentì la necessità di dare
nuovi spazi ai ragazzi che sempre più numerosi lo frequentavano.
Per di più, molti di questi provenivano da zone lontane con gra-
ve disagio negli spostamenti. Era il 1847, don Bosco, pressato
da questa incombenza, si consigliò con l’amico Giovanni Borel
e con l’arcivescovo Fransoni sull’idea che stava germogliando:
raccogliere sotto un tetto altrettanto accogliente quanto quello del
primo oratorio i ragazzi di un’altra zona della città di Torino, Porta
Nuova, “presso il ponte di ferro” un tempo problematica periferia meridionale (oggi San Salvario). Il
primo passo fu prendere in affitto un edificio con un orticello e una tettoia. Vi fece costruire un piccolo
campanile per richiamare i giovani, la scuderia annessa fu convertita in cappella e il magazzino in
sacrestia. Seguirono una messa, celebrata da don Borel e l’inaugurazione. Nacque così, da piccole
opere e spazi modesti, il secondo Oratorio salesiano, dedicato a XXX Gonzaga. Il primo direttore fu
Giacinto Carpano, un teologo, e negli anni successivi si susseguirono personalità quali don Michele
Rua, primo successore di don Bosco, don Giovanni Cagliero,
don Leonardo Murialdo. L’area su cui sorgevano gli edifici si
ampliò e si arricchì di nuove costruzioni: venne inaugurata
nel 1882 la chiesa di San Giovanni Evangelista, una seconda
sede che sarà retta dal futuro santo don Luigi Guanella e l’o-
spizio, trasformato nella seconda metà del secolo scorso in
scuole elementari e medie e infine in collegio universitario.
Nonostante le trasformazioni e il passare di 169 anni si sente
viva come agli inizi la presenza di don Bosco, che tanto volle,
amò e frequentò questi luoghi.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Campare senza
amare! - 3. Fu maestro di Paganini - 6.
Celebre rete televisiva USA - 8. I regni
delle fiabe - 12. È buona in montagna -
14. Si dice acconsentendo - 15. Fine
della commedia - 17. Perfida - 18.
Il Philippe che fu Yanez nel Sandokan
televisivo - 20. Una robusta calzatura -
24. Iniziali della Sastri - 26. Una glo-
riosa fabbrica di biciclette - 27. Un’an-
tica moneta che ricorda un quotidiano
- 28. È famosa quella de’ Tolomei -
29. Ha solo due ruote - 30. XXX
- 31. I ministri del negus - 32. Altari
pagani - 33. Antica lingua francese -
34. Si ripetono nei telegrammi - 35.
Gorizia - 36. Il dittongo di Pietro - 37.
Importante città coreana - 39. Esercito
Italiano - 40. Quella …di notte è un
capolavoro di Rembrandt - 42. Il più
grande lago dell’Europa Centrale - 44.
Il nome di Chiari, indimenticato attore
comico - 45. Il professionista a cui si
ricorre per consigli finanziari.
VERTICALI. 1. Vi si immergevano
i pennini - 2. Un supremo magistrato
nell’antica Roma - 3. L’apostolo nato a
Tarso - 4. Iniz. della Sampò - 5. Asce-
se nuovamente - 6. Inutili chiacchiere
- 7. Luce incerta - 9. Lunghe fasi sto-
riche - 10. Agio senza pari - 11. In-
canto, fascino - 13. Arrabbiate, furenti
- 16. Repubblica africana con capita-
le Brazzaville - 19. La fine dei maya
- 21. C’è chi lo mena per l’aia - 22.
Religiosi, devoti - 23. Io e te - 25. La
città sarda con la Festa dei Candelieri -
28. Preparata, sollecita - 30. Gestisce
concorsi come il Superenalotto - 33.
Città finlandese - 35. Lo sport di Tiger
Woods - 37. Mezzo fascio - 38. La
valle del Trentino con Cles - 40. Royal
Air Force (sigla) - 41. Il… in tedesco
- 42. Benevento - 43. Nuovo Testa-
mento - 44. L’Allen che ha diretto Io e
Annie (iniz.).
42
Luglio/Agosto 2016

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Perché esistono
i deserti
Disegno di Fabrizio Zubani
Che ci crediate o no, al tempo
dei tempi, la terra intera
era verde e fresca come una
foglia appena spuntata: mille
ruscelli correvano tra l’erba,
e fichi, aranci, cedri e datteri
crescevano insieme sullo stesso ramo;
il leone giocava con l’agnello e le
tribù degli uomini vivevano in pace e
non sapevano che cosa fosse il male.
All’inizio dei tempi, il Signore ave-
va detto agli uomini: «Questo giar-
dino fiorito è tutto vostro, e vostri
sono i suoi frutti. Badate però, che
a ogni azione malvagia io lascerò
cadere sulla terra un granello di
sabbia, e un giorno gli alberi verdi e
l’acqua fresca potrebbero scomparire
per non tornare mai più».
Per molto tempo il suo monito venne
obbedito e ricordato, finché un giorno
due beduini litigarono per il possesso
di un cammello, e appena la prima
parola cattiva fu pronunciata il Signore
gettò al suolo un grano di sabbia, così
minuscolo e leggero che nessuno se ne
accorse. Ben presto alle parole segui-
rono i fatti, e molti nuovi granelli si
formarono e caddero, mentre il piccolo
mucchio di sabbia cresceva lentamente.
Gli uomini allora si fermarono a
guardarlo, incuriositi.
«Cos’è questo, Signo-
re?», chiesero.
«Il frutto della vostra
cattiveria», rispose
Lui. «Tutte le volte
che agirete ingiusta-
mente, che alzerete la
mano su un fratello,
che mentirete e in-
gannerete, un granel-
lino si aggiungerà agli
altri. E chissà che un
giorno la sabbia non
ricopra la terra intera».
Ma gli uomini si misero a ridere.
«Anche se fossimo i più perfidi fra
i perfidi, non basteranno milioni di
milioni di anni perché questa polvere
leggera riesca a farci del male. E
poi, chi può aver paura di un po’ di
sabbia?».
Così ricominciarono a ingannarsi e a
combattersi, uno contro l’altro, tribù
contro tribù, finché la sabbia seppellì
i pascoli verdi e i campi, cancellò il
corso dei ruscelli e cacciò le bestie
lontano, in cerca di cibo.
In questo modo fu creato il deserto,
e da allora in poi le tribù andarono
vagando fra le dune, con tende e cam-
melli, pensando alla verde terra per-
duta. E qualche volta in pieno deserto,
sognano e vedono cose che non ci
sono più: laghi azzurri e alberi fioriti.
Ma sono visioni che subito svanisco-
no: la gente li chiama miraggi.
Solo dove gli uomini hanno osservato
le leggi del Signore ci sono ancora
palme verdi e sorgenti pulite, e la sab-
bia non può cancellarli, ma li circonda
come il mare fa con le isole. I viaggia-
tori le chiamano oasi, e là si fermano
per trovare riposo e ristoro, ricordan-
do ogni volta le parole del Signore alle
tribù: «Non trasformate il mio mondo
verde in un deserto infinito».
Ecco, ora sapete perché anche
oggi, sulla Terra, i deserti con-
tinuano ad avanzare.
Luglio/Agosto 2016
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
Salesiani nel mondo
In bicicletta
verso il futuro
I Salesiani in India
Il poster
Il mazzo di fiori
del sogno di don Bosco
L’invitato
Don Filiberto Gonzalez
«Internet non è
un nemico»
A tu per tu
Bebe Vio
L’incredibile forza
di un’allieva
La serie
Vivere il Giubileo della
misericordia in famiglia
Il sacrificio
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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