Bollettino_Salesiano_201606

Bollettino_Salesiano_201606

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IL
GIUGNO
2016
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
L’invitato
Don Bosco
se quedó
en Panama
I nostri santi
Don Francesco
Convertini
Le case di
don Bosco
San Donà
Salesiani
nel mondo
Ruanda
Bell’estate all'oratorio

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LE COSE DI DON BOSCO
B. F.
Il parafulmine
La storia
La notte del 15 maggio 1861, un fulmine sconquassò
la parte di edificio dove c’era la cameretta di don Bosco
scendendo attraverso il camino di don Bosco. Miracolo-
samente ci furono solo danni materiali. Don Bosco decise
di collocare in alto, nel centro del timpano, proprio dove
era caduto il fulmine, una statua di Maria Immacolata.
Sono bizzarro, violento, capriccioso,
fortissimo, rumoroso, luminoso. Sono
un fulmine. Incuto una paura atavica in
uomini e animali. Tutti conoscono la
mia roboante voce.
Ma quando vengo da queste parti, mi
devo fermare timoroso e pieno di rispetto. Mi ri-
cordo bene quando, tanti e tanti anni fa, ero venuto
qui più che mai deciso a far venire una gran bella
tremarella ai ragazzi e al prete che vivevano qui.
Operai un primo breve passaggio per studiare
la situazione. Mentre cominciava ad infuriare
il mio fratellino temporale, guizzai nelle prime
stanze, arrivai quatto quatto e poi
!
Esplosi il mio formidabile rimbombo, che scosse
dalle fondamenta la casa. Il povero don Bosco in
quel mentre passava un brutto momento.
Io ero passato per il camino, avevo rotto il muro,
gettato a terra lo scaffale dei libri, rovesciato il
tavolo con quanto c’era sopra. Poi stavo facendo
uno dei miei migliori giochi di prestigio:
sollevavo il letto e lo facevo ballare, lo sollevavo
dal suolo più di un metro e lo trasportavo verso
il lato opposto, circondandolo di luce
abbagliante. Ma don Bosco fece ai due giovani un
breve cenno di ciò che gli era accaduto e aggiunse
con la solita giovialità: «Malcreato di un fulmine!
Senza chiamar permesso entra in mia camera,
mette tutto sossopra, getta il letto da una parte
e me dall’altra. Bisogna farlo stare a tavola di
punizione!».
Nella camerata avevo diffuso un tremendo odore
di zolfo. Dappertutto strida di voci, gemiti e
pianti. Avevo fatto un buon lavoro! Ma quel don
Bosco entrò in dormitorio con volto imperturbato,
sorridendo e facendo animo a tutti: «Non abbiate
paura, disse; abbiamo in cielo un buon Padre ed
una buona Madre che vegliano a nostra difesa».
Al vederlo i giovani respirarono come se fosse
entrato un angelo consolatore. Solo un giovane
rimaneva inerte. Don Bosco si accorse che era
stato colpito da una piccola scheggia, gliela tolse
delicatamente e il ragazzo, immaginando di essere
molestato da un compagno, diede un pugno a don
Bosco, gridando in dialetto piemontese: «Cattivac-
cio! Lasciami dormire!». Tutti scoppiarono a ridere.
Consigliarono a don Bosco di mettere un
parafulmine sulla casa. «Sì», rispose. «Vi collo-
cheremo la statua della Madonna!». Così in alto,
proprio dove avevo colpito io, ora c’è una statua
di Maria Immacolata. E io non ho più dato
fastidio in quella casa. Dove c’è la Regina del
Cielo, non c’è posto per i fulmini.
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Giugno 2016

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IL
GIUGNO 2016
ANNO CXL
Numero 6
IL
GIUGNO
2016
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
L’invitato
Don Bosco
se quedó
en Panama
I nostri santi
Don Francesco
Convertini
Le case di
don Bosco
San Donà
Salesiani
nel mondo
Ruanda
Bell’estate all'oratorio
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina: Durante l’estate, gli oratori salesiani
diventano spazio di gioia, attività e amicizia. Sono un
grande dono per migliaia di bambini, ragazzi e famiglie
(Foto Shutterstock).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 SALESIANI NEL MONDO
Ruanda - Rango
10 L’INVITATO
10
Don Bosco se quedó en Panama
14 FINO AI CONFINI DEL MONDO
16 A TU PER TU
Il procuratore
19 INIZIATIVE
20 FMA
Da 140 anni
Salesiani Cooperatori
22 POSTER
24 LE CASE DI DON BOSCO
16
San Donà di Piave
28 I NOSTRI SANTI
Don Francesco Convertini
32 IL GIUBILEO IN FAMIGLIA
La generosità
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
28
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Cesare
Bissoli, Pierluigi Cameroni, Roberto
Desiderati, Emilia Di Massimo,
Ángel Fernández Artime, Cesare
Lo Monaco, Rita Lovera, Raphael
Katanga, Alessandra Mastrodonato,
Francesco Motto, Pino Pellegrino,
Anna Peiretti, Wally Perissinotto,
O. Pori Mecoi, Luigi Zonta, Fabrizio
Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Tullio Orler (Roma)
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DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Sogno una Famiglia Salesiana
che vive la gioia del Vangelo
Sappiamo vivere dimostrando che siamo, come
educatori ed evangelizzatori, degli appassionati
dei giovani, coinvolti nella “trama di Dio”.
Porto cinque sogni nel mio cuore, caris-
sima Famiglia Salesiana disseminata nel
mondo, amici e amiche, quei sogni che
credo siano tra i frutti più belli del Bi-
centenario della nascita di don Bosco.
Uno di questi sogni, il quarto, è quello di
una Famiglia Salesiana che vive la gioia del Vange-
lo, e questo perché è convinta che deve essere una
Famiglia di evangelizzatori e di educatori nella
Fede, in tutti gli angoli del mondo dove si trova.
Voglio ricordarvi le parole con le quali papa Fran-
cesco inizia la sua Esortazione Apostolica “Evan-
gelii Gaudium” (La gioia del Vangelo): «La gioia
del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di colo-
ro che s’incontrano con Gesù. Coloro che si lascia-
no salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla
tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con
Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia».
Il Papa invita ogni cristiano a rinnovare l’incon-
tro personale con Gesù o a lasciarsi “incontrare”
da Lui, contro il rischio dell’isolamento, contro
un ritmo di vita che porta a vortici pressanti che
non lasciano spazio agli altri e ai rapporti vera-
mente personali.
Questa è una sfida enormemente attuale e provo-
cante soprattutto per noi, Famiglia Salesiana, che
dobbiamo portare nella Chiesa quel dono unico
che ci è proprio, forte e irresistibile come il ca-
risma che abbiamo ereditato da don Bosco.
Perché questo sogno? Perché realmente non
vorrei che fossero profetiche le parole di
don Vecchi quando, riferendosi al primato
dell’evangelizzazione, diceva: «Può capi-
tare che, presi da una moltitudine di atti-
vità, preoccupati delle strutture e indaffa-
rati nell’organizzazione, corriamo il rischio
di perdere di vista l’orizzonte della nostra
azione, e di apparire come attivisti o “movi-
mentisti” pastorali, gestori di opere o strutture,
ammirevoli benefattori, ma poco come testimoni
espliciti di Cristo, mediatori della sua azione salvi-
fica, formatori di anime, guide nella vita di grazia.
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Giugno 2016

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Fa parte del nostro , della nostra essenza più
autentica, ereditata da don Bosco, essere evange-
lizzatori dei giovani, specialmente dei più poveri».
E questo inoltre perché crediamo realmente che
Dio ci sta aspettando nei giovani per offrirci la
grazia dell’incontro con Lui. Si aspetta da noi che
siamo veramente servitori dei giovani per servirlo
in loro, riconoscendo la loro dignità ed educando-
li alla pienezza di vita.
Le persone che vivono profondamente questa
realtà provano la reale gioia del Vangelo. Una
esistenza molto diversa da coloro che, come dice
papa Francesco ( 6), sono cristiani che sembra-
no avere uno stile di Quaresima senza Pasqua.
Miei cari amici e amiche, con la sensibilità di don
Bosco, bevendo alla fonte del suo carisma non
possiamo permetterci di cadere nella tentazione
del pessimismo e della mancanza di gioiosa soddi-
sfazione. Le difficoltà si dovranno affrontare, però
è molto più bello animare ogni persona dei nostri
gruppi a proseguire dando il meglio di se stessi, di
quello che siamo, cioè vivere mostrando che siamo,
come educatori ed evangelizzatori, degli appassio-
nati dei giovani, coinvolti nella trama di Dio”. E che
insieme con i nostri fratelli salesiani, nella nostra
Famiglia Salesiana e con tanti educatori, educa-
trici, amici, laici impegnati, vogliamo continuare
trasformando in realtà questo sogno di don Bosco,
con il medesimo entusiasmo con il quale egli riu-
scì a trasmetterlo ai suoi primi salesiani e laici per
meritare la qualifica che ci diede Paolo VI, chia-
mandoci “missionari dei giovani”.
Essere missionari nella vita significa prima di tut-
to credere che il centro della propria vita è Gesù.
Significa credere realmente che la vita si arricchi-
sce quando si dona, quando si consegna agli altri
e al contrario si indebolisce e intristisce nell’isola-
mento o quando si ricerca solo il proprio comodo.
Significa credere che la vita più bella è quella che
trova la felicità nel donare felicità e vita agli altri.
«Possa il mondo del nostro tempo – che cerca
ora nell’angoscia, ora nella speranza – ricevere la
Buona Novella non da evangelizzatori tristi e sco-
raggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del
Vangelo la cui vita irradii fervore, che abbiano per
primi ricevuto in loro la gioia del Cristo» ( 10).
Miei cari amici e amiche, questo è il cuore del
mio sogno per una Famiglia Salesiana che deve
sentirsi più viva che mai, con il dovere ecclesiale
di offrire il meglio di sé, per donare gratuitamen-
te quello che gratuitamente ha ricevuto, come ci
dice Gesù nel Vangelo.
L’augurio più bello è che i nostri volti riflettano
sempre quella gioia che sogniamo e che può veni-
re solo da Lui.
I ragazzi delle
Filippine felici
intorno al
successore
di don Bosco.
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SALESIANI NEL MONDO
RAPHAËL KATANGA
Traduzione di Marisa Patarino
Ruanda L’impegno dei Salesiani al servizio
dei rifugiati del Burundi
Rango Dopoleelezionipresidenzialidel21luglio
2015, che hanno assegnato un terzo con-
troverso mandato all’attuale presidente,
altre famiglie hanno lasciato il Paese per
stabilirsi in Ruanda. Hanno così abban-
donato un Paese francofono per stabilirsi
A partire dall’inizio della crisi politica in una nazione di lingua inglese.
Nel mese di settembre del 2015, i Salesiani di don
in Burundi, cominciata nel mese Bosco che lavorano a Rango (Huye/Butare) hanno
di aprile del 2015, decine di migliaia aperto le porte delle loro scuole a 75 giovani rifu-
giati provenienti dal Burundi, ragazze e ragazzi ai
di famiglie che risiedevano nel Paese quali viene data l’opportunità di imparare l’inglese
sono fuggite dalle violenze che hanno in vista dell’inserimento nella scuola, dove segui-
ranno programmi insegnati in questa lingua.
caratterizzato il periodo Nello stesso tempo, i cristiani della parrocchia
«Voglio
dimenticare tutto
del Burundi, anche
i nostri nomi».
salesiana di Rango si sono impegnati per offrire
pre-elettorale per cercare generi alimentari, abiti e altro materiale per aiutare
rifugio nel vicino Ruanda. i rifugiati che vivono fuori del “campo profughi”.
Molti di loro vivono in condizioni difficili e hanno
perso la speranza nel futuro a causa dell’insicurez-
za che regna in alcune zone del loro Paese. Dato
che molti di questi rifugiati hanno perso il lavoro
che svolgevano in Burundi e sono fuggiti all’im-
provviso senza portare nulla con sé, nelle loro fa-
miglie vi sono molti “disoccupati” che vivono in
condizioni precarie dal punto di vista materiale.
I rifugiati provenienti dal Burundi che vivono nel
territorio della parrocchia di Rango non ricevono
un’assistenza adeguata e alcuni sono traumatizza-
ti dalla perdita dei benefici di cui godevano nel
loro Paese. Tutto ciò rende più fragile il tessuto
sociale. Molti giovani non hanno i mezzi per stu-
diare. Al momento, alcuni di loro seguono corsi
presso il Centro di Formazione Professionale dei
Salesiani di don Bosco di Rango.
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Una guerra civile lontano
dagli occhi del mondo
Thierry vuole parlare, scrive The Guardian, ma
si blocca al ricordo dei colpi e delle coltellate ac-
compagnati dalla voce di suo padre che implorava
di aver salva la vita, prima che uomini dal volto
coperto lo facessero a pezzi. Si richiude in se stes-
so, freddo e piccolo su un’umida panca di legno in
Tanzania. L’inferno si trova a un paio di chilome-
tri di distanza, al di là di un fiume, nel paese che
fino a due ore fa era la sua patria.
“Il sangue scorre ovunque in Burundi, le cose
stanno così”, racconta il giovane agricoltore, arro-
tolandosi i pantaloni e una manica della camicia
per mostrare tagli e lividi. Ha chiesto di cambia-
re il suo nome per proteggere i famigliari che si
trovano ancora in Burundi. Profugo all’età di 27
anni, è solo una delle tante vittime di una crisi
che ha costretto più di 250 mila persone all’esilio
e che adesso minaccia la fragile stabilità di una
regione con un tetro passato di genocidi. I rac-
conti di chi è fuggito sono pieni di torture, ag-
gressioni, rapimenti e omicidi.
“Voglio dimenticare tutto del Burundi, anche i
nostri nomi”, dice un altro giovane, crollato a ter-
ra davanti a un centro di registrazione per i profu-
ghi. Per metterla in salvo, ha trasportato dall’altra
parte del fiume sua sorella di sedici anni, incinta
in seguito a uno stupro. Si sono lasciati alle spalle
la tomba di un’altra sorella, uccisa l’anno scorso
da un proiettile sparato da un soldato.
Mentre in Burundi cresce la violenza e circolano
voci insistenti sulle milizie dell’opposizione che
si starebbero addestrando nei paesi vicini, i so-
pravvissuti avvertono che il governo, nel timore
di perdere il potere, sta facendo ricorso alla stessa
velenosa propaganda etnica che ha alimentato le
guerre nel paese e il genocidio nel vicino Ruanda.
Eppure il mondo sembra non accorgersene. A
quanto pare la comunità internazionale non per-
cepisce l’urgenza di fermare l’implosione del Bu-
rundi e, secondo le organizzazioni umanitarie,
ancora meno di fornire cibo e rifugio alle vittime.
L’urgente necessità di assistere questi giovani ri-
fugiati richiede da parte di tutte le componenti
della società un impegno concreto. È questo il
motivo per cui la comunità salesiana si è mobi-
litata nella sua missione pastorale al servizio di
questi rifugiati provenienti dal Burundi.
In questo momento i Salesiani di Rango bussa-
no alla porta dei benefattori per cercare i mezzi
necessari a coprire le spese per la scuola e altro
materiale per questi giovani in difficoltà.
Il loro obiettivo è chiaro: aiutare i giovani rifugia-
ti e i loro genitori a costruire una nuova società in
cui siano in grado di provvedere a se stessi.
Accompagnare i rifugiati è un nuovo apostola-
to in cui i Salesiani di Rango si impegnano con
costanza. Organizzano anche attività extrasco-
lastiche, formative e ricreative per i bambini e i
giovani rifugiati.
Immagini Shutterstock
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SALESIANI NEL MONDO
Non dimenticateci!
Alcune testimonianze di studenti poveri che frequentano
il Centro di formazione professionale di Rango
Emmanuel Niyomugabo, allievo del primo anno
del corso per saldatori
Mi chiamo Emmanuel Niyomugabo. Sono nato nel
1994 in una famiglia di cinque figli. Mio padre è morto quan-
do avevo tre anni. La nostra famiglia era povera e io sono
l’unico che abbia potuto frequentare la scuola e che sappia
leggere e scrivere nella nostra lingua materna.
Purtroppo, quando frequentavo la prima media è mancata an-
che mia madre. Sono rimasto nella nostra casa con il mio fra-
tellino, il più giovane della famiglia. Dopo la morte di mia ma-
dre, ho cominciato a sperimentare l’amarezza della vita. È stato
l’inizio del mio calvario su questa terra. Il mio fratellino e io
abbiamo cominciato ad andare a scuola senza aver mangiato.
Poiché non sono riuscito a trovare nessuno che potesse pa-
gare le tasse scolastiche per me, ho abbandonato la scuola.
Un anno dopo, un mio amico ha pregato i suoi genitori di
ospitarmi a casa loro e ha ottenuto il loro assenso.
Mi sono iscritto al Centro professionale San Giovanni Bosco
di Rango perché desidero imparare il mestiere che mi aiute-
rà a guadagnarmi da vivere.
La famiglia che mi ospitava mi ha messo alla porta.
La mia vita è di nuovo un calvario. Non ho più speranze di
trovare le risorse necessarie per pagare le spese scolasti-
che. Sono disgustato da questo stile di vita, nonostante
i consigli che mi vengono dati da alcune persone. I miei
genitori sono morti e non c’è più nessuno che mi asciughi
le lacrime. Un volatile vale più di me. Maledico il giorno in
cui sono nato. Per me, la morte è meglio
della vita.
Chiedo aiuto. Vorrei almeno terminare gli
studi per cercare di provvedere alla mia
vita.
Ishimwe Hyacentha, allieva del primo anno del corso di cucina
Mi chiamo Ishimwe Hyacentha e sono nata nel
1996, nel campo profughi dei rifugiati ruandesi, nella Re-
pubblica Democratica del Congo. Da quando sono nata,
non ho mai vissuto nella casa dei miei genitori. Sono la più
giovane di quattro figli.
Nel 1994, nel corso del genocidio, i miei genitori avevano
lasciato il Ruanda, il nostro Paese, per rifugiarsi nella Re-
pubblica Democratica del Congo. I miei genitori e i miei fra-
telli vivevano nel campo profughi e là io sono nata nel 1996.
Tre mesi dopo la mia nascita, scoppiò la guerra in Congo. I
ribelli attaccarono il nostro campo profughi. Fu una disfatta.
Così mia madre e mio padre furono separati contro la loro
volontà. Mio padre fuggì portandomi in braccio. Dato che
non sapeva dove andare con me fra le braccia, decise di tor-
nare in Ruanda. La mia nonna materna, che era rimasta in
Ruanda, mi accolse a casa sua e mio padre decise di sposare
un’altra donna. L’esperienza con mio padre finì così. Non è
mai venuto a trovarmi. Mia nonna faceva tutto il possibile
per pagarmi le spese scolastiche e acquistare il materiale
necessario per la scuola.
Nel 2008 mia madre, che credevamo fosse morta, tornò dal
Congo. Aveva però avuto un altro figlio da un marito che
non conoscevamo, un uomo che aveva incontrato in Congo.
Quando arrivò nel nostro paese, scoprì che mio padre aveva
venduto tutti i campi e anche la casa ed era andato a vivere
in un’altra provincia dello Stato con la sua seconda moglie.
Adesso mia nonna è anziana e non ha più la forza di lavorare
nei campi per pagarmi le spese scolastiche e provvedere alle
mie necessità di base. Mia madre vive in Congo e nessuno
ha notizie di lei. Mio padre vive con sua moglie e i loro cin-
que figli e non si occupa di me. Sono infelice su questa terra.
Sono nata per soffrire. Per me la vita è una via crucis. Sono
stata rifiutata dai miei genitori anche se sono innocente. Solo
mia nonna mi vuole bene, ma non ha più forze. A stento ho da
mangiare. Penso che lo studio sia l’unica via che possa aiu-
tarmi a preparare un futuro. Frequento il primo anno presso il
Centro di Formazione Professionale. Non ho alcuna speranza
di portare a termine il corso biennale di formazione professio-
nale perché non dispongo del denaro necessario a pagare le
tasse scolastiche. Sono addolorata e scoraggiata.
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James Nsengiyumva,
allievo del primo corso
di falegnameria
Mi chiamo James Nsengiyumva.
Sono il primogenito di una fami-
glia di tre figli. Mio padre è mor-
to di AIDS e mia madre è in carcere.
Anche lei è affetta da AIDS ed è stata
condannata a trent’anni di reclusione.
È stata accusata ingiustamente da
una persona che voleva imposses-
sarsi della nostra casa.
La nostra vita è difficile, perché nostra
zia non ha un lavoro.
Ho deciso di imparare un mestiere per
prepararmi ad affrontare il futuro e per
aiutare mia zia che ci ospita a casa
sua. Purtroppo, mia zia non dispone
dei mezzi necessari per pagare le mie
spese scolastiche. Non sono certo di
riuscire a portare a termine il corso
biennale di formazione a causa della
mancanza di risorse finanziarie.
Iragukunze Alice, allieva del primo anno
del corso di cucina
Mi chiamo Iragukunze Alice e sono nata nel 1997. Da quando sono nata, non ho
mai sperimentato la gioia della vita. La mia vita è sempre stata triste. Non ho conosciuto
mio padre, non ho avuto l’opportunità di apprezzare l’amore paterno come gli altri bambini.
Questo spiega la ferita che porto nel cuore.
Prima del genocidio del 1994 (in Ruanda), mia madre viveva con suo padre e sua madre,
in una famiglia di 7 figli. Tutti i suoi famigliari sono stati uccisi nel genocidio. Solo lei è
sopravvissuta.
Per consolarsi, mia madre ha sposato un altro uomo. Purtroppo il mio patrigno è alcolista e
irresponsabile. Non vuole saperne di me. Spesso mi insulta chiamandomi bastarda e spaz-
zatura. Ne sono addolorata e questo è il motivo della disperazione che vivo ora. Il mio patri-
gno mi ordina di andare da mio padre, il quale non mi accetta. Da chi dovrei andare? Sono
tra l’incudine e il martello. Una volta intendevo
togliermi la vita, per non essere più oggetto di
scherno e di derisione, ma mia madre ha ostaco-
lato questa intenzione.
Ora sto seguendo un corso di formazione profes-
sionale per prepararmi ad affrontare il futuro. Pre-
go sempre di trovare una persona di buona volontà
che possa aiutarmi a completare gli studi perché io
possa farmi strada in questo mondo, perché vedo
tutto buio. Gli studi sono la mia salvezza.
Œuvres de Don Bosco AGL
Banque: KBC
Arenbergstraat 7
1000 Bruxelles - BELGIQUE
Compte N° 733 – 0384218
31Euro
IBAN: BE04 7330 3842 1831
SWIFT: KREDBEBB
Indirizzo postale:
Communauté salésienne de Rango
P.B: 57 Butare/Rwanda
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L’INVITATO
O. PORI MECOI
Don Bosco llegó
y se quedó en Panama
Una delle urne di don Bosco
ha trovato casa in Panama.
Intervista al parroco della
cattedrale don Michele
Giorgio Donato.
Qual è la storia
della sua vocazione?
La mia famiglia era contadina, per cui
avevamo un pezzo di terra in affitto
e un altro nostro. Ciò vuol dire che
tutti i giorni i miei genitori si recava-
no a lavorare la terra e noi figli rima-
nevamo in paese per andare a scuola.
Ma, nelle vacanze, ci mandavano alle
terre dei nonni, a pascolare greggi e
vacche, maiali. Facevamo la vita dei
pastori, dormendo all’aperto davan-
ti alla porta dell’ovile per guardare il
gregge dai lupi che parecchie volte si
erano visti. Sono nato ad Anzi ( )
in Lucania ed i primi due anni la mia
mamma mi vestì da sant’Antonio, cioè
come un fraticello, per la sua devozio-
ne a sant’Antonio. Usi e costumi del
paesetto a 1067 metri. L’avventura sa-
cerdotale cominciò a otto anni durante
la novena di Natale. Attratto dal can-
to “Regem venturum Dominum venite
adoremus”, con altri due compagni di
gioco occupavamo i primi banchi del-
la chiesetta. Ciò incuriosì il parroco
che alla fine della messa ci chiamò in
sacrestia. E in quattro e quattro otto
ci propose di fare i chierichetti. Prese
una tovaglia di altare per fare le cotte e
pezzi di stoffa nera per la veste. Così,
prima che finisse la novena, eravamo
attorno all’altare.
Il parroco, don Teodosio Jacobuzzi,
era un ex salesiano che per stare con
la mamma durante la guerra aveva
abbandonato il teologato salesiano.
Tutte le sere dopo la messa ci porta-
va a passeggio per le vie del paese o
ci proiettava le “filmine Don Bosco”.
Da allora nell’inverno, a casa mia fa-
cevo la messa con una coperta sulle
spalle e tutti recitavamo il Rosario
con le litanie.
Insomma dopo la quinta elementare,
don Teodosio ci fece la proposta di
portarci a studiare in un aspirantato
salesiano dove si pagava poco, a Ba-
gnolo Piemonte, a quasi mille chilo-
metri di distanza dal nostro paesetto.
Fu nel mese di ottobre del 1955 che
in cinque ragazzi ci accompagnò in
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2.1 Page 11

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Anche se ancora
don Bosco non è
stato proclamato
patrono di Panama, tuttavia in realtà lo è.
Il Paese è pieno di parrocchie
intitolate a don Bosco .
L’hanno scritto sulla facciata della
cattedrale: «Don Bosco è arrivato
in Panama e qui si è fermato».
A pagina precedente : Don Michele
Giorgio, attuale parroco della
Cattedrale.
In basso: Panoramica della città.
treno da Potenza a Bagnolo Piemonte
e ci consegnò al direttore: don Ma-
rio Marin, che era stato compagno di
filosofia di don Teodosio quando era
salesiano.
Bellissima esperienza nell’aspiranta-
to: messe, novene solenni, studi seri,
spettacoli con teatrino, ambiente di
amicizia. Ogni tanto veniva qualche
missionario salesiano a trasmetterci le
sue esperienze della missione, insom-
ma alla metà del quinto corso gin-
nasiale, nel giorno dell’Immacolata,
presentai la domanda per andare in
missione con altri sei compagni. Nel-
la festa di Maria Ausiliatrice il diret-
tore annunciò i nomi degli ammessi
alla missione.
Alcuni destinati per il Venezuela e
due per il Centro America. Uno ero
io. A giugno ci fu la vestizione con
la presenza della mia mamma. Il 17
ottobre 1962, una settimana dopo l’a-
pertura del Concilio Vaticano II, ci
hanno portato a Genova per imbar-
carci. Eravamo undici salesiani desti-
nati a Ecuador, Colombia e Centro
America. Dopo venti giorni di nave
siamo arrivati in Panama e dopo, in
aereo, in Salvador. Il noviziato era
fuori di San Salvador, ad Ayagualo.
Eravamo in trentacinque.
Il giorno di Natale del 1963, alle
quattro del pomeriggio feci la pri-
ma professione. Così iniziò la mia
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11

2.2 Page 12

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L’INVITATO
avventura da consacrato. In più di
50 anni di vita salesiana sono stato
15 anni in Nicaragua, 10 in Panama,
10 in El Salvador, 10 in Guatemala.
La presenza di Maria Ausiliatrice è
stata fortissima e la protezione di don
Bosco molto efficace, soprattutto nei
tempi delle difficoltà in Nicaragua. In
ogni passo della mia vita missionaria
è stata realtà la promessa di Gesù: «Io
sarò con voi tutti i giorni». L’espe-
rienza della presenza di Cristo Buon
Pastore è stata per me incoraggiante.
Perché ora si trova
in Panama?
Perché da giovane sacerdote salesia-
no ho fatto l’esperienza della Novena
in onore di don Bosco. Per ben sette
anni ho commentato attraverso la ra-
dio la processione con più di duecen-
tomila persone. Ho scritto il canto:
“Don Bosco el pueblo de Panama te
aclama” che il popolo subito ha canta-
to a pieni polmoni con le bande del-
la polizia e dei pompieri, soprattutto
L’urna di don Bosco è stata accolta con grandi
festeggiamenti in tutto il Paese.
all’arrivo della statua di don Bosco
davanti alla sua basilica.
Inoltre sono stato in Peru con tre gio-
vani panamensi nel 1980 per cono-
scere i programmi giovanili che con
i giovani abbiamo poi lanciato in tut-
to il Centro America salesiano e che
dopo 35 anni ancora esistono ed han-
no prodotto molte vocazioni sacerdo-
tali e religiose.
È la terza volta che sono in Panama, e
mi è toccato venire in Italia a ricevere
la reliquia di don Bosco che i superio-
ri hanno regalato alla nostra Basilica
Don Bosco.
Com’è visto don Bosco
in Panama?
Anche se ancora don Bosco non è
stato proclamato Patrono di Pana-
ma, tuttavia in realtà lo è. Nel paese
ci sono molte parrocchie intitolate a
don Bosco. Noi salesiani abbiamo
solo due presenze: la Basilica Don
Bosco e l’Istituto Tecnico Don Bo-
sco. Ma la diffusione della devozione
a don Bosco è dovuta agli ex allievi
dell’“Hospicio internato Don Bosco”
che oggi si chiama Istituto Tecnico.
L’umile sacerdote salesiano don Sol-
dati fu il pioniere di questa devozione
costruendo il “Templo Don Bosco”,
oggi Basilica Minore.
Per avere una risposta a questa do-
manda bisogna venire nella Basilica
durante la novena e la festa del 31
gennaio: tre novene con predicazione
alle 7 del mattino, alle 17 e alle 18.30
trasmesse da tre stazioni radio.
Il culmine è la processione del 31
gennaio con migliaia di persone tra
cui molte figure politiche, che rag-
giunge le 250 mila persone. Per la
predicazione sfilano vescovi salesia-
ni e professori del nostro seminario.
Il cardinale Oscar Rodriguez Mara-
diaga ha predicato 5 volte la novena.
Insomma in tutto il Panama risuona
il nome di don Bosco.
Com’è stata accolta l’urna
di don Bosco?
Il giorno 16 aprile l’urna è partita
dall’aeroporto di Panama, accompa-
gnata da una carovana di macchine,
con la presenza dell’arcivescovo dell’ar-
chidiocesi monsignor José Domingo
Ulloa. Ci siamo fermati per mezz’ora
davanti alla Chiesa Don Bosco della
zona di Pedregal, dopo ci siamo diretti
all’Istituto Tecnico Don Bosco, dove
l’urna fu ricevuta dagli allievi di tre
collegi della Famiglia Salesiana.
Come sono le opere
salesiane nell’America
Centrale?
In Centro America abbiamo 25 pre-
senze con 2 Università e 8 centri di
Formazione Professionale, oratori in
tutte le presenze con 176 Salesiani.
12
Giugno 2016

2.3 Page 13

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Don Bosco è considerato
il patrono della nazione.
Quali sono le speranze
e i progetti per il futuro?
Le speranze per il futuro sono poste
nel lavoro con i giovani più poveri.
Attraverso i Centri di formazione
Professionale, gli oratori, le missioni
e le parrocchie.
Qual è la situazione
della Chiesa?
La Chiesa panamense è abbastanza
organizzata quanto all’evangelizza-
zione. Ma non bastano i sacerdoti e le
religiose per coprire la grande “messe”
che c’è in abbondanza. Nella capitale
Panama, città cosmopolita, ci sono
moltissimi indiani, con i loro negozi
di aggeggi elettronici, spagnoli, con
mobilifici, italiani, con ristoranti, e
statunitensi, per cui in città non si
può contare su molti fedeli, ma nella
periferia ci sono ancora molti cattolici
che riempiono la nostra basilica con
quasi ottomila persone che frequen-
tano. Adesso con la presenza della
Reliquia di don Bosco è aumentato
l’afflusso. Molto spesso le messe più
importanti il vescovo le fa da noi.
Quasi tutte le domeniche alle 8 tra-
smettono 4 canali di dalla basili-
ca. Spesso durante la settimana Radio
Maria trasmette la nostra messa delle
7. Le relazioni con l’arcivescovo ed il
clero locale sono ottime.
Come sono i giovani?
Noi in parrocchia abbiamo dieci
gruppi giovanili. I giovani sono frut-
ti dell’ambiente di una città portua-
le. Morale bassa, vizi in aumento,
c’è anche tanta delinquenza, ma non
quanto nel Nord del Centro America.
La famiglia organizzata non esiste.
Abbondano i divorziati, i matrimoni
civili, le unioni di fatto. Mi stupisce
un po’ la quantità di omosessuali,
parecchi dei quali frequentano i no-
stri confessionali. I giovani non sono
molto aiutati, non trovano lavoro.
Molti vengono dalle province a cer-
care lavoro in città. Su dieci giovani
che si avvicinano a noi, più della metà
vengono a chiedere aiuto economi-
co. I nostri giovani della parrocchia
per la Settimana Santa sono stati nei
villaggi perduti a fare le celebrazioni
liturgiche del tempo. In tutte le par-
rocchie ci sono vari gruppi giovanili
inclusi i chierichetti che abbondano
dappertutto.
Che cosa sognano?
Sognano un Panama libero dalla cor-
ruzione, in cui ci sia posto per tutti,
spazi di lavoro, anche se oggi i pa-
namensi della città non amano lavori
umili, vogliono essere tutti impiegati,
lasciando i lavori faticosi agli stra-
nieri centroamericani. Per esempio
piacerebbe loro un posto nel Canale
di Panama, lavorare in compagnie
aeree e nei Centri di Comunicazione.
Cercano un ambiente che promuova
lo sviluppo e la realizzazione delle
loro abilità, cercano soprattutto adulti
disponibili a compiere il compito di
orientatori.
Attualmente la maggior parte della
gioventù panamense prende le cose
troppo alla leggera, le sue priorità sono
le attività personali, giochi elettronici,
il calcio, le feste. Quello che più stima-
no in noi salesiani è l’amicizia, lo stare
insieme, l’orientamento spirituale, la
nostra capacità di prepararli ad af-
frontare la vita con serenità, seguendo
il pensiero di don Bosco: essere buoni
cristiani ed onesti cittadini.
E il suo sogno?
Come don Bosco dare la mia vita per
la missione salesiana, sentirmi felice di
veder crescere in tutti i sensi la gioven-
tù delle nostre presenze, avere fiducia
nella protezione di Maria Ausiliatrice,
essere uno strumento efficace nelle
mani di Gesù, Buon Pastore, rendermi
conto che vale la pena spendere tutta
la vita nella vigna del Signore, perché i
frutti non possono mancare.
Giugno 2016
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2.4 Page 14

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MONDO
1
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
2
FINO AI CO
STATI UNITI 1
Il cambiamento
è possibile solo con
un adeguato sostegno
PARAGUAY 2
Donazione di alimenti per oltre 40 000
sfollati a causa delle inondazioni
Nel novembre 2015, il Dipartimento statunitense per la
Casa e lo Sviluppo Urbano stimava 115 738 senzatetto
nello Stato della California, un numero in crescita rispet-
to all’anno precedente; nello stesso anno una valutazione
parziale della Contea di Los Angeles ne calcolava oltre
40 000. Secondo i dati diffusi, la stragrande maggioranza
dei senzatetto già ha alle spalle altri problemi, riguar-
danti la salute mentale, l’abuso di sostanze, la violenza
domestica e la disabilità.
I membri del “Dance with Me,
group” (Balla
con me, gruppo Zumba) della parrocchia salesiana di
Bellflower non sono rimasti indifferenti di fronte a que-
sta realtà. Ogni fine-settimana s’incontrano al mattino
davanti alla parrocchia e preparano un pasto completo
per alimentare almeno circa 40 persone. Tale cibo poi
lo consegnano in 6-7 comunità di senzatetto, lungo un
viaggio di circa 25 km da South Gate a Long Beach.
Nel loro servizio umanitario incontrano persone come
Andrew, un giovane afro-americano, ex riparatore di bici-
clette; o Jimmy, un asiatico disoccupato da sei mesi; o un
signore caucasico che ha perso la sua piccola tavola calda
durante il passaggio dell’uragano Kathrina; o Nieshell, un
tossicodipendente che vive per strada da 8 anni.
Le famiglie che vivono lungo il fiume Paraguay, ad
Asunción, capitale e maggiore città del paese, quest’anno
hanno ricevuto aiuti alimentari d’emergenza, dato che la
regione ha subito le peggiori inondazioni degli ultimi 50
anni. Nello scorso dicembre le autorità del paese hanno
dichiarato lo stato di emergenza e costretto circa 130 000
persone ad abbandonare le proprie case.
Gli aiuti alimentari d’emergenza sono stati possibili grazie
alla collaborazione tra la Procura Missionaria di New
Rochelle e l’organizzazione “Feed My Starving Children”
(letteralmente, “nutri i miei bambini affamati”). L’aiuto è
consistito nella donazione di 10 000 chili di riso arricchito,
in grado di garantire la sicurezza alimentare per 40 000
persone rimaste vittime delle inondazioni. I Salesiani in
Paraguay stanno dando risposta alle continue esigenze
delle vittime delle inondazioni e il loro lavoro è sempre sta-
to finalizzato all’educazione e alla formazione dei giovani,
affinché abbiano migliori opportunità per il futuro.
Le aree sulle rive del fiume, dove vivono per lo più fami-
glie povere, sono state evacuate durante l’ultima alluvione
e quasi tutti i suoi abitanti sono stati trasferiti nei rifugi
temporanei.
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Giugno 2016

2.5 Page 15

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3
PORTOGALLO 3
Salesiani e FMA al servizio dei profughi,
per un’Europa diversa
R.D. CONGO 4
4
Nel paese più ricco
del mondo, la povertà
continua a distruggere le vite dei giovani
A febbraio il Primo Ministro portoghese aveva comu-
nicato alle autorità di Grecia, Italia, Austria e Svezia la
disponibilità del paese ad accogliere 5800 rifugiati in più,
oltre i 4500 che fanno parte del sistema delle quote;
e ad ospitare altre 2500-3000 persone richiedenti asilo
oltre le 2800 inizialmente previste. “Siamo contro un’Eu-
ropa chiusa, che blinda i suoi confini per non fare entrare
i rifugiati. Vogliamo un’Europa diversa” aveva commen-
tato il Primo Ministro.
Nell’ambito di questo impegno umanitario è inserita
anche la Famiglia Salesiana, attraverso le attività della
“Fundação Salesianos” e delle Figlie di Maria Ausiliatri-
ce ( ), entità che hanno aderito entrambe alla Piat-
taforma di Aiuto ai Rifugiati (Plataforma de Apoio aos
Refugiados – ).
A marzo la Fundação Salesianos ha provveduto ad ac-
cogliere le prime due famiglie. Una di queste, composta
dai genitori e dai loro 3 figli, di 3, 6 e 8 anni, proviene
dalla regione di Damasco, in Siria, e sarà ospitata nel
Comune di Cascais, in una casa ristrutturata con l’aiuto
del volontariato educativo dell’Istituto Salesiano di
Estoril.
Il Congo è stato definito dal giornalista D. Snow “il pae-
se maledetto dalla sua ricchezza”. Per le strade di Bukavu
vagano centinaia di giovani tra i 14 e i 20 anni. Alcuni
di loro non hanno mai frequentato la scuola. La povertà
delle loro famiglie li costringe a cercare un lavoro e molti
di loro sopravvivono impegnandosi in piccoli lavoretti.
Mantengono sempre la speranza di tornare a scuola. E il
loro lavoro è sempre sottopagato.
Don Giovanni Querzani, missionario italiano, ha inizia-
to a lavorare con i giovani del quartiere Kadutu di Buka-
vu. Ha iniziato con una scuola professionale a Bukavu,
per dare alla gente una professione concreta. Grazie a dei
benefattori italiani ha ricevuto molte macchine meccani-
che e per la lavorazione del legno. Poi ha consegnato la
scuola ai Salesiani.
I Salesiani organizzano un corso di alfabetizzazione per i
bambini di strada, con l’obiettivo di valutare e armoniz-
zare il livello di educazione iniziale. Per i giovani invece
è stato organizzato un programma di formazione pro-
fessionale in tre settori: edilizia, carpenteria e meccanica
automobilistica, anche se presso l’opera mancano molti
strumenti.
Giugno 2016
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2.6 Page 16

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A TU PER TU
RITA LOVERA
Sudlleellafrmonistieerreicordia
Nel nome di don Bosco
“MISSIONI DON BOSCO”
è un marchio conosciuto
e stimato in tutto il mondo.
Il salesiano Giampietro
Pettenon è il responsabile
di questa task force
della carità.
Lei è il procuratore
dell’Italia salesiana.
Qual è il significato
di questa responsabilità?
L’Italia è stata la nazione che più di
altre ha dato missionari che sono an-
dati in tutto il mondo e, ancora oggi,
l’Italia continua a sostenere le mis-
sioni, con l’invio di aiuti che garan-
tiscono la sopravvivenza a tantissimi
ragazzi e giovani in tanti paesi poveri.
Qual è la storia
della sua vocazione?
Sono salesiano coadiutore da trent’an-
ni ed ho vissuto tutta la mia storia e
la mia attività in opere salesiane del
Triveneto, la mia area geografica di
provenienza. A settembre del 2014 il
Rettor Maggiore dei Salesiani, don
Ángel Fernández Artime, mi ha af-
fidato l’incarico di dirigere “Missioni
Don Bosco Valdocco” la procura mis-
sionaria salesiana con sede a Torino
Valdocco.
Come funziona
una procura?
La Procura Missionaria funziona un
po’ come il nostro cuore, oppure come
un polmone: prima si dilata e poi si
contrae. Quando si dilata raccoglie la
generosità dei benefattori che inten-
dono sostenere le missioni salesiane
tramite un’offerta. Quando si contrae
eroga tutto quello che è stato raccolto
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Giugno 2016

2.7 Page 17

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e lo destina ai bisogni più urgenti che
la congregazione salesiana avverte,
nei tanti paesi poveri del mondo.
Com’è organizzata?
Lo staff di persone che lavorano nella
procura missionaria è diviso per aree
di competenza: i progetti, la comuni-
cazione, il rapporto con i benefattori,
l’amministrazione. Noi entriamo in
relazione con i benefattori tramite i
tanti mezzi di comunicazione a di-
sposizione: posta, internet, video… e
presentiamo le urgenze, i progetti di
sviluppo, le adozioni a distanza. Con
grande libertà ogni persona buona
può sostenerci, inviando un’offerta
che poi noi destiniamo alle finalità
presentate. Verifichiamo che gli aiuti
erogati vengano effettivamente de-
stinati ai progetti presentati e che i
costi siano congrui rispetto ai preven-
tivi presentati. Il tutto nella massima
trasparenza. Siamo come una casa
le cui pareti sono in vetro, le tende
sono tirate e dentro c’è la luce acce-
sa. Chiunque dall’esterno ha interes-
se, può guardarci dentro e vedere che
cosa accade.
Quali sono le sue più grandi
soddisfazioni?
Le soddisfazioni sono tante e conti-
nue, ben più di quanto io mi possa
aspettare. E ripagano ampiamente lo
sforzo e l’impegno che questo compi-
to richiede. È una bella soddisfazione
constatare che nonostante la crisi eco-
nomica che da anni morde l’Italia, la
fiducia in don Bosco e nei suoi figli,
i salesiani, non è venuta meno, anzi!
Proprio nel 2015 abbiamo aumentato
la raccolta di fondi rispetto all’anno
precedente. Un’altra bella soddisfa-
zione sono le lettere di ringrazia-
mento che i missionari ci scrivono:
raccontano la vita e le storie dei loro
ragazzi, spesso sono commoventi.
Quali sono state
le realizzazioni
che le stanno più a cuore?
Le realizzazioni che mi stanno più a
cuore sono le opere scolastiche, per-
ché visitando la parte del mondo che
è più povera, mi sono reso conto che la
cultura e formazione tecnica e profes-
sionale sono gli strumenti con i quali
noi possiamo insegnare ai giovani a
pescare, e non gli diamo semplice-
mente un pesce per sfamarsi oggi.
Quali sono le difficoltà
da superare?
Non mi soffermo sulle mie difficoltà
o quelle della Procura Missionaria.
Guardo invece alle difficoltà che in-
contrano i salesiani missionari nel
portare avanti quotidianamente il
proprio compito di educatori ed evan-
gelizzatori nello spirito di don Bosco.
Il signor Pettenon su una canoa con monsignor
Luciano Capelli, vescovo delle Isole Salomone.
Una grandissima difficoltà è quella
del rispetto del valore della vita uma-
na anche e soprattutto dei più pic-
coli. In tanti paesi i piccoli non sono
considerati, vengono usati, messi ai
margini, spesso sfruttati. Cambiare la
mentalità della gente e porre i piccoli
al centro è proprio un’opera evangeli-
ca, che da Gesù in poi non è ancora
un’opera pienamente compiuta.
Quali sono le Opere
salesiane che più l’hanno
impressionata?
In India mi hanno colpito come un
pugno allo stomaco le tre case sale-
siane che ho visitato per ragazzi or-
fani a causa dell’ . In una casa ho
trovato un sessantina di ragazzi di
strada, che sono stati abbandonati a
loro stessi e raccolti dai salesiani per-
ché orfani di genitori morti a causa
dell’ . In una seconda casa ho in-
contrato altri sessanta ragazzi, sempre
orfani di genitori morti di , che
Giugno 2016
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2.8 Page 18

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A TU PER TU
LA NOSTRA MISSIONE
Abbiamo costruito più di 8000 opere, tra
queste:
1775 oratori e centri di accoglienza gio-
vanili,
741 scuole primarie,
367 scuole professionali,
46 scuole agricole,
1902 parrocchie e missioni,
564 opere assistenziali e di promozio-
ne sociale (asili, lebbrosari, dispensari
medici...),
270 opere speciali per assistenza ai gio-
vani in difficoltà,
448 convitti e pensionati e ancora...
acquedotti, infermerie, farmacie, instal-
lazioni di energia elettrica, centri nutri-
zionali per i più piccoli, case per i senza
tetto...
sono portatori sani dello stesso male.
Nella terza casa ho incontrato altri
sessanta ragazzi malati di , che
dai salesiani sono curati per fermare
il male, ma che sono destinati a vive-
re da “appestati” in una società che,
a causa della divisione in caste e del
principio della reincarnazione, riten-
gono queste persone, questi bambini
“meritevoli” della sofferenza da inno-
centi che li affligge. Di fronte a questi
ragazzi non si resta indifferenti.
Come vede il futuro?
Il futuro è dei giovani e in questo
mondo ce ne sono davvero tanti. Non
proprio tanti nella nostra patria ed in
Europa. Ma se guardiamo all’Africa e
all’Asia, il futuro mi viene da dire che
è proprio loro. La Chiesa e la nostra
Congregazione salesiana vivono una
primavera prorompente in questi pae-
si. A piccoli passi, ma con continuità,
andiamo verso un mondo più giusto e
più “umano”. Sono quindi sfacciata-
mente ottimista.
Come può partecipare
alla vostra missione
la Famiglia Salesiana?
La Famiglia Salesiana è pienamente
operativa già fin d’ora nel sostegno
alla procura missionaria e gli stessi
membri della Famiglia Salesiana ne
sono i beneficiari, in altre parti del
mondo. Tanti sono in particolare
gli exallievi che aiutano le missio-
ni come forma di riconoscenza e di
gratitudine per il bene ricevuto in
gioventù quando sono stati accol-
ti ed educati in una casa salesiana.
Ogni persona che ama don Bosco ed
apprezza il suo stile educativo ed il
suo amore ai giovani, specialmente i
più poveri e bisognosi, può dare una
mano. Non importa quanto diamo,
non preoccupiamoci di dover o voler
fare tutto noi. Noi mettiamo qualco-
sa di nostro ed insieme, con l’aiuto di
Maria, faremo miracoli. Questa era
anche la certezza di don Bosco che
si è buttato a capofitto in iniziative
grandiose, partendo da niente, ma
confidando nell’aiuto della divina
Provvidenza.
MISSIONI DON BOSCO VALDOCCO ONLUS
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 - Torino - Italia
Tel. +39 011-3990101 Fax. +39 011-3990195
Email info@missionidonbosco.org
Cod. Fiscale: 97540630015
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Giugno 2016

2.9 Page 19

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INIZIATIVE
Educatore o psicologo?
Basta scegliere!
ISalesiani conservano nel loro la passio-
ne per l’educazione: non si fa mai abbastanza.
Seguendo questa spinta l’Istituto Universita-
rio Salesiano di Torino Rebaudengo ( ),
assieme alle Lauree in Psicologia, avvia un
nuovo Corso di Laurea proprio per Educatori
Professionali Sociali.
È una Laurea di tre anni professionalizzante. Che
cosa vuol dire? Ce lo spiega il Direttore di ,
prof. Alessio Rocchi: “È una Laurea che permet-
te di lavorare subito dopo il suo conseguimento.
Tutti i tirocini si svolgono durante il percorso
universitario e non c’è esame di Stato. Il giorno
dopo la discussione della tesi un neolaureato può
già essere assunto con il titolo di educatore”. Ma
c’è lavoro per gli educatori o è una laurea da tene-
re nel cassetto per ricordo?
L’educatore professionale sociale come quello che
viene formato a
ha un ventaglio di possibili-
tà lavorative molto ampio: centri diurni e comunità
per minori, per persone con disabilità, per anziani;
servizi di supporto alla famiglia, progetti di svi-
luppo di comunità e promozione multiculturale,
centri di formazione professionale.
Ma quello che ci interessa in modo particolare è
la salesianità di questo professionista. Anche chi
lavora con altre fasce di età si trova a vivere la
relazione educativa fondata sul Sistema Preventi-
vo. Ci ha raccontato la Coordinatrice prof. Paola
Rainoldi, una educatrice, professionista da più di
25 anni, come “Attraverso la ragione, la religio-
ne e l’amorevolezza tipiche salesiane è possibile
raggiungere il cuore di ogni persona”. Conclude
il preside Ezio Risatti ( ): “Se vuoi che ci siano
educatori con il cuore di don Bosco, preparali! Se
vuoi che ci siano educatori che amano i giovani,
preparali! Dunque, se vuoi che ci siano educatori
preparati, preparali!”.
Lauree Triennali
- Scienze dell’Educazione - Educatore Professionale So-
ciale (L 19).
- Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione (L 24).
Anche in orario per lavoratori.
Lauree Magistrali (LM 51)
- Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione.
- Psicologia del Lavoro, delle Organizzazioni e della Co-
municazione.
- Psicologia Clinica e di Comunità.
IUSTO
- Massimo 80 studenti per Corso.
- Rapporto diretto con i docenti.
- Qualità della didattica e di ricerca.
- Tutorship personalizzata.
Aggregata alla FSE dell’Università
Pontificia Salesiana
www.ius.to - info@ius.to
Tel. 011 2340083
Sede: Torino, Piazza Conti di Rebaudengo, 22
Giugno 2016
19

2.10 Page 20

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FMA
EMILIA DI MASSIMO
Da 140 anni
Più che mai attuale il sogno
di don Bosco del salesiano
esterno
Salesiani Cooperatori
Dal sogno profetico
“I Salesiani Cooperatori nascono per
intuizione carismatica di don Bosco”,
è quanto spiega suor Leslye Sandi-
go, delegata mondiale delle Figlie
di Maria Ausiliatrice. In don Bosco
era molto vivo il desiderio di forma-
re i laici perché collaborassero con i
consacrati alla missione educativa ed
evangelizzatrice salesiana.
Don Bosco ha creduto nei Salesiani
Cooperatori 140 anni fa, e ancora
oggi quel sogno continua ad essere
una realtà sempre più diffusa e – sot-
tolinea suor Leslye – “in questi ultimi
anni si è cercato di dare più visibilità e
credibilità al Salesiano Cooperatore”,
valorizzando così il sogno di don Bo-
sco del Salesiano esterno.
Il Salesiano Cooperatore è una perso-
na ricca di umanità, elemento tipico
dell’umanesimo di san Francesco di
Sales, ha una visione positiva di sé,
della realtà, della Chiesa, del mondo,
insegna a vedere Dio in tutte le cose
e a guardarle con gli occhi misericor-
diosi di Dio.
Un battezzato che vive con gioia, ri-
conoscenza e responsabilità la sua
condizione di Figlio di Dio, è disce-
polo di Gesù, è inserito nelle realtà
temporali con una chiara identità e
un agire secondo gli ideali di vita cri-
stiana. Un Salesiano Cooperatore nel
mondo, secondo l’intuizione origi-
nale di don Bosco, è un appassionato
collaboratore di Dio impegnato nei
diversi ambiti della missione salesia-
na: la famiglia, i giovani, l’educazio-
ne, l’impegno sociale e politico. Così
spiega Noemi Bertola, Coordinatrice
mondiale dei : «Sono diventata
Salesiana cooperatrice nel 1990, ma-
turando la convinzione di voler se-
guire Cristo nella Chiesa secondo il
carisma di don Bosco che amavo fin
da bambina. Educando le mie figlie,
exallieve delle Figlie di Maria Ausi-
liatrice, desideravo per loro il meglio,
e volevo dare qualcosa anche ad al-
tri ragazzi meno fortunati delle mie.
Ho cominciato ad impegnarmi come
educatrice salesiana nella scuola,
nell’oratorio, nella catechesi, offrendo
sostegno ai ragazzi/e più bisognosi».
All’oggi della realtà
I Salesiani Cooperatori realizzano la
loro missione nel Mondo anche at-
traverso progetti di educazione della
donna e promozione umana e cristia-
20
Giugno 2016

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

▲back to top
na. Suor Leslye ci spiega il Progetto
Yolia a favore delle bambine di stra-
da, una proposta formativa alternati-
va che, secondo la logica del Sistema
Preventivo, prevede accoglienza e
accompagnamento nel cammino di
crescita delle ragazze a livello fisico,
psicologico e spirituale.
“Educare ai valori”, e lo si fa attra-
verso l’arte del circo, del gioco, come
Giovannino Bosco, quando faceva il
saltimbanco! L’Opera è gestita dal
Centro di Salesiani Cooperatori di
Città del Messico.
Il Progetto del “dopo scuola” è rea-
lizzato nel Centro dei Salesiani Coo-
peratori ad Hong Kong; qui si accol-
gono i bambini e gli adolescenti per
aiutarli nello svolgimento dei compiti,
si insegnano loro i valori umani e cri-
stiani in modo informale, con il gio-
co, l’accoglienza, la testimonianza.
Nella Regione Iberica, i Salesiani
Cooperatori hanno creato un’Organiz-
zazione non governativa ( ), “Coo-
peración Salesiana para los Jóvenes del
mundo” per rispondere ai bisogni dei
più poveri. Attualmente il progetto è
sostenuto da più di mille benefattori e
gode della collaborazione sistematica
delle Province dei .
Ad Harare, capitale dello Zimbab-
we, è attivo un Centro di Salesiani
Cooperatori, che realizzano la pro-
posta pastorale attraverso la catechesi
e l’animazione del centro giovanile.
Piero e Maria Luisa Bottone raccon-
tano: «Cerchiamo di promuovere il
valore della famiglia, infatti, presso
l’Istituto delle Figlie di Maria Ausi-
liatrice di via Dalmazia, a Roma, ci
sono circa 800 ragazzi, dai 3 ai 19
anni, che frequentano la scuola e l’o-
ratorio del centro giovanile. Abbiamo
pensato di dare un senso alla nostra
presenza e abbiamo proposto ai bam-
bini, ai ragazzi e alle loro famiglie
momenti formativi nello stile della
spiritualità salesiana e progettando
diverse iniziative. Facciamo cono-
scere la vita dei santi della Famiglia
Salesiana e creiamo occasioni per
pregare insieme, educando i più pic-
coli a vivere bene i momenti liturgici.
Organizziamo la missione educativa
con i ragazzi provenienti dai centri
diurni e di accoglienza di famiglie in
difficoltà. Mettiamo in contatto le fa-
miglie della scuola con le famiglie dei
centri disagiati, permettendo loro così
di aiutarli a migliorare le condizioni
di vita».
Con cuore oratoriano
Suor Leslye ci parla dell’organizzazio-
ne di governo e di animazione, che si
realizza a tre differenti livelli: locale,
provinciale e mondiale. L’Associazio-
ne nella pluralità di lingue, di cultu-
ra, di tradizioni è unita dalla passione
educativa per i giovani, dall’amore a
Gesù e Maria Ausiliatrice testimo-
niato con cuore oratoriano. Con la
formazione, a tutti i livelli, i Salesiani
cooperatori rispondono ai bisogni più
urgenti della realtà e con coraggio e
audacia si impegnano in campo civile,
culturale, socio-economico, politico,
ecclesiale e salesiano. Condividono la
visione etico-cristiana della vita, col-
laborano e cooperano per promuovere
i diritti della persona umana, in par-
ticolare dei bambini e dei giovani più
poveri. L’Associazione, conclude suor
Leslye, è un sogno che si è realizzato
e che continuerà lungo gli anni, per-
ché segno profetico di don Bosco, un
uomo mandato da Dio!
Suor Leslye Sandigo e i Salesiani Cooperatori
di Harare in Zimbabwe.
A pagina precedente : Il consiglio dei Salesiani
Cooperatori della Regione Iberica con la
Segretaria Esecutiva Regionale.
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Chi sono i personaggi del quadro
di Maria
Ausiliatrice
7
4
56
8
9
10
11
12
13
3
14
2
15
1
x

3.3 Page 23

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1. SAN PIETRO APOSTOLO. Ha in mano le “Chiavi
del Regno dei Cieli” secondo la parola di Gesù.
2. SAN MARCO EVANGELISTA. Il leone
è il suo segno.
3. SAN GIOVANNI APOSTOLO ED EVANGELISTA.
È discepolo prediletto. L’aquila è il suo segno.
4. SAN BARTOLOMEO APOSTOLO. Venne scorticato.
Tiene in mano un coltello.
5. SAN TOMMASO APOSTOLO. Fu ucciso con
una lancia. Apostolo delle terre dell’India.
6. SAN SIMONE APOSTOLO. Venne segato vivo.
7. SAN MATTIA APOSTOLO. Venne lapidato.
Tiene una pietra.
8. SAN GIUDA TADDEO APOSTOLO E PARENTE
DI GESÙ. Gli venne tagliata la testa.
Tiene in mano una scure.
9. SAN GIACOMO IL MINORE, APOSTOLO
E PARENTE DI GESÙ. Venne ucciso a colpi di clava.
10. SANT’ANDREA APOSTOLO. Fratello di san Pietro.
Fu crocifisso.
11. SAN FILIPPO APOSTOLO. Morì crocifisso,
come Gesù.
12. SAN GIACOMO IL MAGGIORE. Fratello di
san Giovanni. È vestito da pellegrino.
È il patrono dei pellegrini.
13. SAN MATTEO APOSTOLO. È l’autore
del primo Vangelo.
14. SAN PAOLO APOSTOLO E DOTTORE
DELLA CHIESA.
15. SAN LUCA EVANGELISTA. Suo segno
è un giovenco.
X. Veduta del santuario e dell’Oratorio come era
ai tempi di don Bosco nel 1868.

3.4 Page 24

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LE CASE DI DON BOSCO
WALLY PERISSINOTTO
L’oratorio più bello
del mondo L’opera salesiana
di San Donà di Piave
«Avverto di seguire una direzione già tracciata,
di stare sulle spalle dei giganti che mi hanno
preceduto: dei tanti validi Salesiani che hanno
fatto onore alla loro vocazione lasciando ricordi
indelebili e permettendo a quanti li seguono
di vedere più lontano».
L’entrata
dell’oratorio.
La vivace articolazione architettonica
dell’Oratorio Don Bosco di San Donà
si impone per classica bellezza e possen-
te volumetria sulla fisionomia moderna
della città lambita dall’ultimo tratto del
Piave. Ed è proprio in queste acque ‘pla-
cide’ che possiamo scorgere la prima traccia di
don Bosco: alcune “viole mammole primaticcie
colte sul greto del Piave ai primi soli di marzo” del
1918 dal futuro R.M. don Ziggiotti, in pieno
conflitto bellico, sembrano essere l’annuncio
profetico della straordinaria fioritura dell’opera
sandonatese.
Un’opera che affonda le sue radici proprio fra le
rovine di un paese devastato dalla Grande Guerra
(1915-18). Con la premura di un padre, il giova-
ne arciprete Saretta individua come prioritaria la
necessità di prendersi cura dei tanti ragazzi ab-
bandonati che il conflitto ha lasciato senza pane
e senza tetto e pensa a don Bosco. La fama del
prete torinese e del suo straordinario metodo edu-
cativo ha già varcato i confini del Veneto (la Casa
di Mogliano è a sole poche ore di calesse da San
Donà) e don Saretta è bramoso di sperimentarne
l’efficacia.
Dopo un primo tentativo di approccio con don
Albera, solo a settembre del 1920 presenta for-
male richiesta all’Ispettore veneto don Giraudi.
La trattativa si rivela lunga e faticosa tanto che
don Saretta deve ricorrere all’intercessione della
‘Madonna dei Salesiani’: la statua lignea dell’Au-
siliatrice viene esposta per un mese al centro della
chiesa per “strappare alla madre ciò che i suoi figli
non hanno potuto concedere”.
I risultati non si fanno attendere: il Rettor Mag-
giore don Rinaldi, giunto a San Donà nel 1926
24
Giugno 2016

3.5 Page 25

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per un sopralluogo, dà garanzia di aprire la nuova
Casa “anche a costo di sacrifici”.
L’intera cittadinanza si sente subito investita di
tale responsabilità: le poche famiglie benestanti
prendono a cuore le sorti di un paese con trop-
pi ragazzi “dediti a monellerie…” mentre la gente
umile mette a disposizione ciò che può: le braccia
forti, qualche soldo sottratto all’indispensabile, il
sostegno incondizionato e la preghiera.
I primi Figli di Don Bosco (il direttore don Ric-
cardo Giovannetto, il chierico Luigi Ferrari e il
coadiutore Mauro Picchioni) fanno ingresso in
città il 24 settembre del 1928, temporaneamen-
te ospitati all’orfanotrofio dove sono costretti a
rivolgere il loro intervento ai soli ospiti maschi
del convitto. Quando a settembre del 1930 viene
inaugurato l’edificio attuale, il nuovo direttore,
don Castellotti, dà avvio ad ogni sorta di attività.
La risposta è sorprendente: i tanti ragazzi poveri,
cui si sono aperte prospettive culturali, ricreative
e spirituali insperate, accorrono in massa proprio
come mosche attirate dallo zucchero”. E l’arrivo di
don Zaio, testimone in gioventù di alcuni fatti
prodigiosi (il miracolo delle nocciole e la guari-
gione della sciancata), permetterà a don Bosco di
rendersi quasi percepibile.
Il cortile sempre gremito e vivace diventa il mo-
tore di ogni attività. È talmente spontaneo il ri-
chiamo a Valdocco, che don Domenico Moret-
ti, direttore dell’oratorio sandonatese negli anni
Cinquanta, lo definisce senza indugio: “l’Orato-
rio più bello del mondo”.
Il cortile
dell’oratorio
sempre gremito
di ragazzi.
Sotto: Un’aula
della scuola.
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3.6 Page 26

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LE CASE DI DON BOSCO
«L’oratorio,
cresciuto in
stretta sinergia
con la città, ha
conquistato
nel tempo una
felice posizione
centrale che ha
favorito il richiamo
dei giovani
ed un’ampia
opportunità di
dialogo con le
parrocchie».
ancora forte il legame con i valori fondanti del
passato, in primis quello della fede.
La disponibilità delle strutture (ampie e ben attrez-
zate) permette l’accoglienza di molti ragazzi: solo le
associazioni ,
, Calcio, Banda raccolgo-
no mediamente 800 giovani e giovanissimi.
La ricchezza di proposte, la piena disponibilità
dei Salesiani, svincolati da obblighi parrocchia-
li, ne fanno luogo privilegiato di aggregazione e
di incontro. Il supporto delle famiglie è palpabile
con una bella presenza di laici che ha a cuore l’o-
pera e si spende con gioia per il bene dei giovani,
stimolando i Salesiani con suggerimenti e sempre
nuove iniziative.
TRE DOMANDE AL DIRETTORE
Al giovane direttore di oggi,
don Enrico Gaetan, chiediamo
quali punti di forza giustificano tale
appellativo e se in qualche modo
avverte di essere inserito in un
solco che lo guida e lo sospinge.
Avverto di seguire una direzione già tracciata,
di stare – parafrasando Newton – sulle spalle dei
giganti che mi hanno preceduto: dei tanti validi
Salesiani che hanno fatto onore alla loro voca-
zione lasciando ricordi indelebili e permettendo a
quanti li seguono di vedere più lontano.
Gli ingredienti che determinano il successo
dell’opera sandonatese sono molteplici: l’Orato-
rio, cresciuto in stretta sinergia con la città, ha
conquistato nel tempo una felice posizione cen-
trale che ha favorito il richiamo dei giovani ed
un’ampia opportunità di dialogo con le parroc-
chie (pur dipendendo solo da quella del Duomo)
e con la città, che pur nella sua evoluzione sente
Ma quali progetti offre l’oratorio
alla città?
Con la sua poliedrica ricchezza, l’opera salesiana
s’impegna quotidianamente a prevenire il disa-
gio giovanile proponendosi come supporto alle
famiglie, in sinergia con le agenzie educative del
territorio.
Già a partire dal 1932, l’apertura del biennio ele-
mentare e del ginnasio inferiore aveva garantito
l’accesso agli “studi superiori” a molti giovani pri-
vi di prospettive. Leggendo provvidenzialmente i
segni dei tempi, negli anni Cinquanta i Salesiani
decisero di convertire la scuola privata in Centro di
Addestramento Professionale puntando sul settore
Meccanico, Elettrico, Chimico e sulla Falegname-
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Giugno 2016

3.7 Page 27

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ria. Nel tempo alcuni corsi sono stati soppressi, altri
attivati. Da una decina d’anni il centro ha ampliato
la sua offerta formativa investendo sui settori mec-
canico, elettrico, dell’auto e in quello informatico.
In un’ottica di apertura e di accoglienza, il Centro
di Formazione Professionale rivolge la sua atten-
zione alla fascia più debole dei ragazzi, molti dei
quali sia comunitari sia extracomunitari (sono pre-
senti studenti di 8 credi e 15 differenti nazionalità),
nel tentativo di contrastare l’insuccesso scolastico e
l’abbandono ma soprattutto con l’impegno di edu-
care e formare bravi professionisti e valide persone.
Il progetto “Dopo la campanella” da quasi
vent’anni svolge una valida azione di supporto
all’attività scolastica favorendo il processo di inte-
razione tra oratorio, famiglia e istituzioni. Rivolto
agli alunni della scuola primaria e secondaria di
primo grado, coinvolge un centinaio di ragazzi
che vengono seguiti da una decina di operatori
qualificati affiancati dai volontari.
Ma il fiore all’occhiello è rappresentato dalla
. . ., la proposta estiva che offre un’alternativa
positiva e significativa al tempo libero improdut-
tivo di tanti ragazzi. Per cinque settimane con-
secutive l’oratorio si riempie di vita fino a tarda
serata: laboratori, tornei, escursioni settimanali
al mare o ai parchi di divertimento, momenti di
preghiera, giochi in cortile coinvolgono un mi-
gliaio tra ragazzi e giovani animatori in un clima
gioioso che contagia anche i genitori.
Rimane la curiosità di conoscere
l’evoluzione di un ambiente tanto
vitale. Sollecitiamo don Enrico
a fare uno sforzo di immaginazione
per definire i lineamenti dell’“Oratorio
Don Bosco” di domani.
Non ho la capacità di prevedere il futuro. Ma so di
certo che l’oratorio è sempre stato in grado di rinno-
varsi: le diverse iniziative che stiamo portando avanti
(dalla didattica digitale al sistema duale per quanto
riguarda la Formazione Professionale, alla proposta
del cinema in 3D, al lavoro di collaborazione con i
laici) vanno in questa direzione. Il mio sogno è che
si continui ad accogliere generazioni di ragazzi che
sappiano attingere ad un pozzo ricco di valori e di
opportunità per essere poi capaci di impegnarsi nel
sociale, portando il carisma salesiano ovunque.
Ora che i nostri confini assumono sempre più
le dimensioni europee e mondiali, don Bosco ci
suggerisce di essere coraggiosi e di seminare pro-
spettive audaci.
Come ci ha ricordato don Chávez in occasione della
sua visita del 2013, dobbiamo lavorare per costrui-
re già nel presente uomini che sappiano rendere la
propria vita un capolavoro, tendendo alla santità.
Solo allora l’Oratorio di San Donà potrà orgoglio-
samente dirsi, non il primo, ma il terzo oratorio più
bello del mondo, dopo quello di Valdocco e quello
di Poznań che ha sfornato grandi santi.
Da una decina di
anni, il centro ha
ampliato la sua
offerta formativa
investendo nei
settori meccanico,
elettrico, dell’auto
e informatico.
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3.8 Page 28

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SANTI DELLA FAMIGLIA SALESIANA
TERESIO BOSCO
«Fadar Bendra»
Il servo di Dio Francesco Convertini (29 agosto 1898-11 febbraio 1976)
Nella contrada di Papariello,
nella Murgia dei trulli e
delle querce, Francesco per-
se suo papà Sante quando
aveva solo tre mesi di vita,
e vide morire sua mamma
Caterina quando aveva 11 anni. Era
il 1909. Francesco era nato in uno dei
bianchi trulli di pietra dalla cupola
grigia, che popolavano la campagna
attorno alla sua parrocchia di Loco-
rotondo (Bari). Sua madre, in quella
campagna riarsa dalla siccità e spopo-
lata dalla miseria, lo copriva con il suo
delicato amore e lo chiamava Cicilluz-
zo. Fece in tempo a insegnargli i mi-
steri del rosario (che rimarranno per
sempre il suo catechismo) e a dirgli
tante volte (mentre gli dava da com-
piere i primi lavoretti): «Metti amore!
Metti amore!».
Cicilluzzo e suo fratello Samuele (13
anni) furono portati alla fiera dove si
affittavano i ragazzi-pastore. Ebbe-
ro la fortuna di essere presi da Vito e
Anna Petruzzi di Fasano (Brindisi), il
paese della loro mamma. Furono te-
nuti come figli, ed essi li chiamarono
«papà» e «mamma» e tutte le sere reci-
tavano il rosario con loro. Ma in quella
terra di povera gente, Francesco vide
che per sfruttare i più poveri veniva
usato anche il rosario. Quando quindi-
cenne cominciò a fare il mietitore pa-
gato a giornata, sapeva che il tramonto
del sole segnava la fine del lavoro. Ma
il padrone proprio in quel momento
faceva cominciare il rosario, e lo tira-
vano a lungo fino al buio, quando i
mietitori dovevano reagire con rabbia:
«Basta falce, basta rosario!».
Aveva un grande desiderio: imparare.
Nelle serate invernali andava da non-
no Erasmo, muratore, che per mezza
lira la settimana insegnava a leggere,
a scrivere e a far di conto tracciando le
cifre sui muri, perché la lavagna non
c’era.
Prigioniero
ai laghi Masuri
Nel maggio del 1915 l’Italia entrò
nella prima guerra mondiale. Fran-
cesco fu chiamato alla visita di leva
nel gennaio 1917, e nel maggio entrò
in linea sul fronte del Trentino, con il
124° reggimento «Chieti». Aveva 18
anni e mezzo, ed era alto 1,56, due
centimetri in più del minimo richiesto.
Sembravano bambini mandati al ma-
cello, con quelle mantelline più lunghe
di loro. Le mitragliatrici austriache,
quando i fantaccini italiani uscivano
dalle trincee per l’attacco, facevano
stragi enormi. I vuoti venivano cinica-
mente colmati gettando al fuoco altri
giovanottini che mai avevano saputo
cosa fosse l’Austria, e per i quali nes-
suna scuola si era aperta per insegna-
re cos’era la patria. Il 24 ottobre 1917
gli austriaci sferrarono una violenta
offensiva. Sfondate le linee italiane
a Caporetto, avanzarono in quindici
giorni fino al Piave, catturando 300
mila prigionieri. Accanto alla marea
dei soldati in rotta, camminava la folla
dei profughi: vecchi, donne, bambini.
Trascinavano la loro povera roba su
carrette o in spalla. Il fante France-
sco Convertini partecipò alla batta-
glia del Piave che in novembre arrestò
l’avanzata austriaca. Il 23 dicembre
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MARCIA DELLA PACE E DELLA MISERICORDIA
era in linea con il suo reggimento. In
un inferno di fuoco e di gas fu preso
prigioniero con il suo reparto. Dopo
un interminabile e disastroso viaggio
a piedi, fu internato in un campo di
concentramento presso i laghi Masu-
ri, in Polonia. Vi rimase undici mesi, e
là patì la fame vera, quella che uccide.
Ne vide morire tanti, dei suoi compa-
gni. La guerra finì il 4 novembre 1918.
Francesco, letteralmente scheletrito,
fu restituito all’Italia il 15 novembre,
e subito fu aggredito dalla meningite,
la malattia (a quei tempi) dei bambini e
dei soldati. Fu mandato in isolamento
all’ospedale di Cuneo e fu a un passo
dalla morte. Ma se la cavò. Appena
tornato alla sua terra, andò a piedi al
santuario di Alberobello. In quel 1918
aveva vent’anni, e ormai sapeva che
il mondo non finiva con i trulli. Che
fare della vita? Il fratello Samuele, che
aveva fatto la guerra pure lui, decise di
emigrare in America. Francesco, dopo
essersi inginocchiato alla tomba di suo
padre e di sua madre, mise la firma
nella Guardia di Finanza per tre anni.
Fu a Trieste, a Pola, poi a Torino come
«attendente» di un capitano. E a Tori-
no lo aspettava don Bosco.
La spedizione
dei missionari
Devotissimo della Madonna, appena
giunto a Torino si recò al Santuario
di Maria Ausiliatrice, e si accostò
al primo confessore per chiedere il
perdono di Dio. Chi lo confessò era
don Angelo Amadei, uno dei grandi
biografi di don Bosco. Fu impressio-
nato dall’onestà e dalla fede di quel
Domenica 14 febbraio nel suggestivo scenario della Valle d’Itria (Puglia), con i suoi trulli e
olivi secolari, si è svolta l’11a edizione della marcia della pace, della solidarietà e della miseri-
cordia, in memoria del servo di Dio Francesco Convertini (1898-1976), missionario salesia-
no nel Bengala (India). Oltre un migliaio di partecipanti, partiti da Cisternino e Locorotondo,
hanno raggiunto il luogo natio del Servo di Dio. La marcia è stata accompagnata dalle note
festose della Banda della Scuola Media e dall’Orchestra di Fiati di Cisternino, dai gonfaloni
dei comuni, da striscioni e stendardi di diverse Associazioni e dalla grande bandiera della
pace. «Padre Francesco nel suo cammino ha saputo intercettare le vite degli altri, ha saputo
incontrare le persone con il suo cuore, la sua bontà e la sua umanità e le porte delle case
dei musulmani, degli indù e dei protestanti si sono aperte all’incontro e al dialogo. È questa
un’eredità che viene consegnata soprattutto alle nuove generazioni».
giovanottone in divisa militare. E
Francesco tornò a confessarsi da lui,
a parlargli, a sentire da lui, nel cortile
dell’Oratorio, la storia di don Bosco e
delle sue opere che ormai coprivano il
mondo. Il 23 ottobre 1923, nel San-
tuario di Maria Ausiliatrice gremito
di gente, Francesco vide il commo-
vente addio a undici missionari sale-
siani partenti per l’India. Don Ange-
lo Amadei, vedendolo molto colpito,
buttò là: «Perché non diventi missio-
nario anche tu?».
Francesco ci pensò. Sarebbe stata una
maniera bellissima di spendere la vita.
C’era un istituto salesiano che prepa-
rava alle missioni giovanottoni come
lui, poveri di studio e ricchi di buo-
na volontà: il «Cardinal Cagliero» di
Ivrea. Francesco vi entrò il 6 dicembre
1923. Affrontò lo studio con la stessa
volontà feroce con cui aveva zappato,
falciato, era andato all’assalto con la
baionetta. E ci riuscì. A stento, ma ci
riuscì. La pagella impietosa dell’ul-
timo anno scolastico (1926-27), nel-
la casella «matematica» registra uno
zero in febbraio, un sei all’esame fi-
nale. E l’anno terminò con la «festa
delle destinazioni». Nell’ampia sala
di studio affollata dai compagni, pre-
sente don Filippo Rinaldi, successo-
re di don Bosco (e oggi «beato»), «ci
distribuirono quei foglietti con cui ci
dividevamo il mondo – ricordava Ce-
sare del Grosso suo compagno –: tu
in India, tu in Venezuela, tu in Pata-
gonia, tu in Cina. Eravamo quaranta
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SANTI DELLA FAMIGLIA SALESIANA
Un gruppo di primi missionari salesiani in India
intorno a monsignor Mathias.
giovanotti appena rivestiti della tona-
ca nera e pronti ad andare in capo al
mondo». Francesco Convertini sentì
la parola «India».
La lezione
di «Fadar Bendra»
Francesco ebbe appena il tempo di
andare a salutare amici e parenti di
Papariello e Locorotondo. Il 7 dicem-
bre 1927 s’imbarcò con i compagni
di missione sulla motonave Genova.
Il 26 approdarono a Bombay. Prose-
guirono in treno per Calcutta. Venne
a raggiungerli monsignor Mathias,
vescovo della missione salesiana. In
treno costeggiarono la vastissima pia-
nura formata dai delta congiunti del
Gange e del Brahmaputra, fertilissi-
ma ma devastata dagli uragani, op-
pressa da un clima umido insoppor-
tabile per gli europei. Al confine della
pianura, una corriera dalle panche di
legno li portò ai 1640 metri di Shil-
long, la capitale dello stato indiano
dell’Assam, centro di quella missione
salesiana.
Durante il noviziato (1928) e gli studi
di filosofia (1929-30) Francesco im-
parò a fare il missionario guardando
e accompagnando don Costantino
Vendrame, «Fadar Bendra», come
lo chiamava la gente. Era un grande
camminatore. Al mattino, caffè e fet-
ta di pane, zaino in spalla e avanti con
passo sostenuto di villaggio in villag-
gio. Entrava nelle capanne, sedeva al
fumoso focolare, giocherellava con
i bambini, viveva la vita della gente.
Don Vendrame fu il libro miglio-
re che Francesco Convertini studiò,
imparò e imitò in tutta la sua vita di
missionario.
1935. Francesco viene ordinato sacer-
dote il 29 giugno, all’età di 37 anni.
L’obbedienza gli chiede subito di ab-
bandonare l’Assam e di raggiungere
la missione salesiana di Krishnagar.
Monsignor Ferrando, vescovo di
quella missione, lo affidò al parroco
di Bhoborpara, uno dei villaggi ora
nel Bangladesh. E lì cominciò la sua
missione. Krishnagar era una diocesi
molto povera, con sei milioni di abi-
tanti, metà musulmani e metà indù,
sparsi in 12 500 villaggi. I cattolici
erano l’uno per mille: una microsco-
pica zolla nell’immensa pianura. Fin
dai primi giorni fu circondato da uno
stuolo di ragazzi, che divennero i suoi
maestri, ben felici di insegnargli la
lingua bengalese. Nelle prediche, don
Francesco diceva poche parole, ripe-
teva le grandi verità del Vangelo che
non hanno bisogno di tante parole.
Andava per i villaggi numerosissimi
attorno a Bhoborpara. Camminava a
piedi nudi, così risparmiava le scar-
pe e con quei soldi poteva comprare
qualcosa da mangiare per la gente.
Incredibilmente buono
con tutti
Don Francesco è buono, per questo
tutti lo vogliono per amico. Le case
degli indù sono severamente chiuse
agli estranei. Ma i bambini lo affer-
rano per la veste e lo tirano dentro
le loro case. E lui parla a tutti, indù
e musulmani, di Gesù, del suo amo-
re per tutti. È venerato da tutti come
un grande sadhu, monaco che porta la
pace di Dio. Digiuna giorni e giorni
mentre cammina, perché quella gente
ha tanto poco da sfamarsi. Da quando
sanno che ha «l’acqua di Gesù che sal-
va», molti vecchietti che aspettano la
morte in silenzio, gliela chiedono con
mille sotterfugi, per non offendere la
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Giugno 2016

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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religione ufficiale della loro famiglia.
E don Francesco finisce per battezza-
re migliaia di persone, dopo aver loro
parlato di Gesù. La vita di tutti questi
suoi anni di missione non ha nulla di
clamoroso. È fatta di diecimila gesti di
bontà che non offrirebbero a un gior-
nalista in cerca di sensazionale nem-
meno il necessario per un articolino di
cronaca. Famiglie cattoliche hanno ac-
cettato il protestantesimo per avere de-
gli aiuti materiali. Don Francesco non
sgrida nessuno, le invita a continuare a
pregare, a rimanere amici. Dorme in
qualunque capanna, tra topi, serpi e
scorpioni. E anche quelli lo rispettano.
Raccontano che nelle paludi, mentre
portava il viatico a un moribondo, ha
incontrato la tigre. E ha pregato anche
lei di lasciarlo passare, perché quell’uo-
mo stava morendo. E la belva l’ha la-
sciato passare. Quando il monsone
cattivo ha distrutto ponti e allagato
capanne e strade, è andato a raccoglie-
re la gente con la zattera, e l’ha portata
sul tetto della chiesa, che è come un’i-
sola su un lago grande. Quando la sta-
gione è bella e la campagna fiorente,
don Francesco fa la processione della
Madonna tra i villaggi: una processio-
ne di dieci chilometri, con un fiume
di gente, cristiani, musulmani, indù.
Gridano e cantano alla Signora bella,
mamma di Gesù.
Poiché il cuore cominciava a zoppi-
care per il grande caldo e il grande
camminare, i superiori lo mandarono
in Italia due volte, nel 1952 e nel 1974.
Poté riabbracciare suo fratello Sa-
muele, rientrato dall’America, e dare
la prima Comunione alla nipotina
Cristangela. Ma rimase spaventato al
vedere che il rosario non si diceva più
nelle famiglie, e che si gettava via tan-
to pane, mentre i suoi bambini ben-
galesi morivano di fame. Ritornò alla
sua Krishnagar con il cuore sempre
più stanco. Una specialista in cardio-
logia, visitandolo in Puglia, gli aveva
detto crudamente la verità: con un
cuore in quelle condizioni ogni gior-
no di vita era un miracolo. Rinnovò il
miracolo fino all’1 febbraio 1976. Le
ultime parole che riuscì a dire furono:
«Madre mia, non ti ho mai dispiaciu-
to in vita... ora, aiutami!».
La cattedrale che accolse i suoi resti
mortali si riempì di cristiani, musul-
mani, indù. Piangevano la perdita di
un amico, di un fratello.
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IL GIUBILEO IN FAMIGLIA 7
BRUNO FERRERO - ANNA PEIRETTI
La generosità Almenounosudieci
italiani, cioè sei milioni,
pratica il volontariato.
Si occupa di estranei
Quando ci fu il terribile at-
tentato delle torri gemelle a
New York, il mondo intero
seppe in pochi minuti ciò
che stava accadendo. Alcuni,
però, lo seppero in ritardo.
C’era una tribù nel Kenya meridio-
Queste persone che avevano cono-
sciuto i tormenti della fame erano
pronte a privarsi del loro cibo per of-
frire solidarietà ad altri esseri umani
che non avevano mai incontrato.
La generosità è la virtù del
dono, della gratuità, risponde
senza essere pagato.
«Che nessuno venga a voi
senza ripartire migliore e
più felice. Siate la vivente
espressione della bontà
nale, in una zona delle più povere e
lontane dalla tecnologia del mondo
occidentale, che lo ha saputo con set-
te o otto mesi di ritardo. Non so come
queste persone, che non conoscono il
nostro mondo se non per sentito dire,
possano raffigurarsi la grande città
americana e la catastrofe che l’ha col-
pita. Ma hanno capito che è stato un
solo alla legge dell’amore e della soli-
darietà. Supera anche la giustizia, che
pure è una virtù importante. È la ca-
pacità di donare denaro, ed è la parte
più facile, e se stessi, la propria vita,
ed è il volontariato e il sacrificio.
La solidarietà, base della generosità,
significa sentirsi parte di qualcosa di
più grande. È coesione, interdipen-
di Dio. Bontà sul vostro
volto, bontà negli occhi,
bontà nel sorriso, bontà
nella vostra accoglienza
piena di calore».
(Madre Teresa)
avvenimento tragico. Abbigliati nelle denza, comunione d’interessi e di de- abitiamo il medesimo pianeta, siamo
loro vesti multicolori, hanno tenuto stino. È partecipare ad una medesi- ecologicamente solidali.
una riunione solenne e hanno deciso ma storia con altre persone. Noi tutti Esiste un interesse comune, ma la ge-
che avrebbero mandato quanto di più
nerosità va ancora più in là.
prezioso avevano agli abitanti di New
Per la strada camminavano mamma e
York – sedici vacche – per aiutarli
bambino. Il bambino aveva in mano un
in quel momento di
difficoltà.
IL CHICCO DI FRUMENTO
Un chicco di frumento si nascose nel granaio.
Non voleva essere seminato.
Non voleva morire.
Non voleva essere sacrificato.
Voleva salvare la propria vita.
Non gliene importava niente di diventare pane.
Né di essere portato a tavola.
Né di essere benedetto e condiviso.
Non avrebbe mai donato vita.
Non avrebbe mai donato gioia.
Un giorno arrivò il contadino.
Con la polvere del granaio spazzò via anche il chicco di frumento.
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PANE BIANCO, PANE NERO IL MANIFESTO DELLA GENTILEZZA
Attorno a te il pane non manca.
Non si tratta solo del pane di farina.
Tu stesso hai bisogno di altro pane per vi-
vere una vita veramente umana:
il pane bianco dell’amicizia, dell’accoglienza,
del rispetto, dell’aiuto reciproco, dell’amo-
re fraterno, della giustizia e libertà,
quello dei diritti e delle responsabilità,
quello della salute e della cultura.
Tutto questo condividilo: sarai “fra-
tello” di tutti gli uomini.
Ma c’è anche il pane nero: quello della povertà,
della sofferenza e solitudine,
della disperazione, della malattia, dell’i-
gnoranza.
Se non saprai condividere anche questo,
non sei discepolo del Signore.
Se non condividerai il pane, quello bianco
e quello nero,
resterai nella situazione dei due discepoli
di Emmaus:
erano vicinissimi al Cristo, camminavano
accanto a Lui,
ma non potevano riconoscerlo...
Lo riconobbero solo allo spezzar del pane.
Card. KIM (Corea)
dolce. Passarono davanti ad una pove-
ra donna che stendeva la mano verso i
passanti. Accanto a lei stava accucciato
un ragazzino sporco, infagottato in abi-
ti unti e troppo larghi per lui. Il bam-
bino, sempre tenendo la mano della
mamma, si fermò e fissò sconcertato il
ragazzino. Poi guardò il dolce che aveva
in mano e la mamma, quasi per chiede-
re il permesso. La mamma acconsentì
con un leggero movimento della testa.
Il bambino tese la manina verso lo zin-
garello e gli donò il dolce. Poi ripartì
trotterellando accanto alla mamma.
Un passante, che aveva assistito alla
scena, disse alla mamma: «Adesso gli
comprerà un altro dolce, magari più
grosso?».
La mamma rispose semplicemente:
«No».
«No? Perché?».
«Perché chi dona rinuncia».
Noi crediamo che in un mondo che tende alla disumanizzazione, abbiamo più che
mai bisogno di gentilezza. Verso noi stessi, gli altri, il pianeta.
Noi crediamo che essere gentili voglia dire essere rispettosi nei confronti di tutto quello
che ci circonda: persone, animali ambiente.
Noi siamo convinti che l’era dell’aggressività e del “ciascuno per sé” sia tramontata.
Noi crediamo che sia arrivato il momento di affrontare la vita con più dolcezza, più com-
prensione, più attenzione.
Noi crediamo che essere gentili significhi essere parte attiva di un processo di migliora-
mento dell’esistenza di tutti.
Noi crediamo che la gentilezza sia una forza interiore e una forma alta di intelligenza.
Noi crediamo che la gentilezza sia una capacità e che come tale si possa apprendere.
Noi crediamo che la gentilezza sia contagiosa e, di conseguenza, trasmissibile.
Noi siamo convinti che la gentilezza debba concretizzarsi in piccole azioni.
Noi crediamo che tanti piccoli atti di gentilezza cambieranno il mondo.
Essere generosi è rischiare. La
generosità è proprio questo: dare ciò
che ci è più caro. È un atto che ci tra-
sforma. Dopo saremo più poveri, ma
saremo più ricchi.
Ciò che abbiamo, o che crediamo di
avere, ce lo teniamo stretto: una per-
sona, una posizione sociale, un og-
getto, la nostra sicurezza. E in questo
trattenere c’è paura. Possiamo donare
solo ciò che possediamo, a patto di
“non essere posseduti” dalle nostre
cose. Per questo la generosità è sem-
pre un gesto profondamente libero.
Essere generosi è condividere
risorse, emozioni, se stessi.
La generosità nasce dalla libertà e
dalla volontà di usare bene la propria
libertà. Per questo la ge-
nerosità è questione di
volontà. È l’esatto con-
trario dell’egoismo.
Ognuno di noi – questa è
la natura della nostra vita
– possiede beni che per
altri sono d’importanza
vitale, o perlomeno di
un certo interesse: denaro,
tempo, risorse essenzia-
li come acqua o cibo, la
capacità di dare stima e
attenzione e via dicendo. Li vogliamo
condividere oppure no? La nostra vita
è congegnata proprio così, come un
gioco di carte in cui ognuno dei gioca-
tori ha delle carte che interessano agli
altri, e gli altri hanno delle carte che
sono vitali per lui.
Inoltre la vera generosità è consa-
pevole. È un dare che non è dettato
da sensi di colpa, da un debito o dal
desiderio di creare dipendenza. È un
dono libero che genera a sua volta li-
bertà. Questa è gentilezza nella sua
forma più bella.
Essere generosi è la gioia di far
felice un altro.
Tutti vogliono amare ed essere amati,
la strada che porta all’amore si chiama
generosità.
La generosità porta verso gli altri e
può avere diversi nomi:
unita al coraggio diven-
ta eroismo; unita alla
giustizia diventa equi-
tà; unita alla compas-
sione diventa benevolen-
za; unita alla misericordia
è indulgenza. Ma il suo più bel nome è
anche il suo segreto, che tutti conoscia-
mo: insieme alla dolcezza, si chiama
bontà.
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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Pedagogia targata misericordia
I sei verbi della misericordia
Siamo, ormai, alla quarta mossa del Padre misericordioso
che san Luca ci presenta nel quindicesimo capitolo del suo Vangelo.
Dunque, il padre, dopo aver visto il figlio che sta ritornando a casa,
‘si commosse’, ‘gli corse incontro’ e ‘gli si gettò al collo’ (quarta mossa).
Anche questo gesto è una della tante facce della misericordia.
Anche da questa mossa abbiamo molto da imparare.
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“Gli si gettò
al collo”
L’abbraccio è tra le più tene-
re manifestazioni d’affetto.
L’abbraccio non può che
nascere da un cuore ben
fatto come quello del Padre
della parabola che stiamo
gustando.
Abbracciando il figlio, il padre gli
impedisce di inginocchiarsi per chie-
dergli perdono. Ecco la misericordia
allo stato puro: mai umiliare, ma
innalzare sempre. Ecco la terapia
dell’abbraccio.
Terapia vincente.
Un fatto reale.
Una ragazza era di pessimo umore.
Aveva tutte le sue spine fuori, pro-
prio come un porcospino tormentato
da un cane. Troppi compiti a casa,
troppe interrogazioni, troppo tutto...
ecco! La madre le ripeteva la solita
predica, con ragionamenti, spiegazio-
ni e raccomandazioni.
La ragazza si fece ancora più scura.
Poi guardò la madre dritta negli oc-
chi e scandì: «Mamma, sono stanca
e stufa delle tue prediche. Perché in-
vece non mi prendi tra le tue braccia
e mi tieni stretta? Nessun consiglio
potrà mai farmi altrettanto bene!».
La madre rimase a bocca aperta. Gli
occhi della figlia imploravano un ab-
braccio. Con la voce rotta dalla voglia
di piangere, disse: «Vuoi... vuoi che
ti abbracci? Ma lo sai che anch’io...
anch’io voglio che tu mi abbracci?».
Accolse la figlia nelle braccia aperte e
la strinse a sé, come fosse ancora una
bimba. E tutte le tensioni svanirono.
«Per favore, abbracciami!» L’abbraccio
è una preghiera, una supplica, tanto ci
è indispensabile.
Pochi mesi prima di morire, la scrit-
trice Natalia Ginzburg (1916-1991)
confidava: “Il mio mestiere è quello di
scrivere”, ma, subito dopo, abbrac-
ciando il piccolo pronipote aggiunge-
va: “Questa è la vita! Non i libri!”.
Non c’è dubbio che basta essere uo-
mini per aver bisogno della tenerezza
di qualcuno.
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IL SEGRETO
A LORO LA PAROLA
Da piccolo, Mordecai era una vera peste. Così i suoi genitori lo
portarono da un sant’uomo a cui tutti ricorrevano per chiedere
consigli nei casi più difficili.
«Lasciatemelo qui un quarto d’ora» disse il sant’uomo.
Quando i genitori furono usciti, l’anziano chiuse la porta.
Mordecai sentì un po’ di timore.
Il sant’uomo si avvicinò al bambino e, in silenzio, lo abbracciò.
Lo abbracciò in modo intenso.
Quel giorno, Mordecai imparò come si convertono gli uomini.
Foto Shutterstock
Giacomo Leopardi (1798-1837) in
una lettera del novembre 1822 grida-
va al fratello Carlo:
Amami, per Dio! Ho bisogno di amore,
amore, amore!”.
Ancora nel luglio 1828 ripeteva vana-
mente: “Io non ho bisogno di gloria, né
di stima, né di altre cose simili, ma ho
bisogno di amore!”.
Bisogno di abbracci
Oggi i sociologi ci fanno notare che
non è bastato liberare il sesso e rimuove-
re il concetto di morte per avere un popolo
felice” (Sabino Acquaviva 1927-2015).
Che cosa manca, dunque?
Manca la tenerezza, manca l’abbraccio.
Scavando alle pendici dei vulcani,
l’archeologo sovente ritrova schele-
tri abbracciati: uniti dal terrore della
lava. Abbracciati è più leggero vivere
e fa meno paura morire!
A proposito di abbracci, in America è
stata pensata un’iniziativa forse discuti-
bile, certo originale. Si tratta della “Fe-
sta delle coccole” (il ‘Cuddle Party’). In un
appartamento privato, si è liberi di coc-
colare, di abbracciare chi si vuole per
tre ore e mezza (costo: venti euro). Le
regole sono molto chiare: ci si distende
sul pavimento, indossando il pigiama.
Sono ammessi cuscini e peluche. Il ses-
so è vietato. Prima di baciarsi è neces-
sario chiedere il permesso. Se qualcuno
allunga le mani, appositi buttafuori ri-
portano immediatamente l’ordine.
Secondo gli ideatori i ‘Cuddle Party’
sono un modo per guarire dall’aliena-
zione metropolitana. Sono validissimi
per ritrovare l’umanità, dopo tanti in-
contri con sole macchine, con soli og-
getti. Perché questo è il punto: l’uomo
ha bisogno dell’uomo, del profumo
dell’uomo, del contatto dell’uomo. Le
cose, da sole, non bastano mai: pos-
sono riempire il cuore, ma non sod-
disfarlo.
A costo di ripeterci, riportiamo an-
cora una volta la testimonianza di un
medico.
La maggioranza degli alcolizzati si
sono abbandonati al vizio del bere per
“Il mio papà non mi abbraccia più come
una volta.
Non so se lui pensi che io non ne abbia
più bisogno.
Però i suoi abbracci mi mancano” (Ma-
rianna, 15 anni).
“So che a volte è difficile vivere con me. I
miei genitori devono adattarsi ai miei vari
stati d’animo..., ma quando mi abbraccia-
no o mi mettono anche solo una mano
su un braccio, mi sembra che tutto vada
bene” (Lorena, 13 anni).
superare un turbamento infantile, per
cancellare una ferita che si è aperta e non
si è più rinchiusa. Si attaccano al collo
della bottiglia perché non hanno potuto
attaccarsi al collo della mamma”.
Dunque, perché non riportare, senza
se e senza ma, l’abbraccio nell’arte di
educare? Siamo convinti che sarebbe
la più intelligente e benefica rivolu-
zione della misericordia intesa per
quello che è: non compassione, non
commiserazione, ma capacità di sin-
tonizzarsi con i bisogni profondi del
cuore umano.
Foto Shutterstock
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LA LINEA D'OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
La rdievlleopluiczicoonlee cose
Abbiamo due soluzioni: un bell’asteroide e si
riparte da zero o una somma di piccole cose.
Una somma di passi che arrivano a cento,
di scelte sbagliate che ho capito col tempo.
Ogni voto buttato, ogni centimetro in più,
come ogni minuto che abbiamo sprecato
e non ritornerà... (Niccolò Fabi)
Sono le piccole cose che fanno la differen-
za. In una società che tende ad appiatti-
re, omologare, standardizzare ogni cosa
e che privilegia la rapidità e lo schema-
tismo della sintesi ai tempi lunghi e alla
minuzia dell’analisi, l’attenzione al det-
taglio diventa un valore sempre più raro. I gran-
di quadri d’insieme soppiantano l’interesse per
il particolare, la fretta spinge a trascurare tutto
ciò che non è immediatamente funzionale al rag-
Il sorriso regalato a quel passante,
il paragrafo di una pagina qualunque,
la storia è un equilibrio tra le fonti,
il disegno che compare unendo i punti.
Un patto firmato,
un bacio non dato,
il futuro che cambia
è una somma di piccole cose,
una somma di piccole cose.
Una somma di passi
che arrivano a cento,
di scelte sbagliate
che ho capito col tempo.
Ogni voto buttato,
ogni centimetro in più,
come ogni minuto che abbiamo sprecato
e non ritornerà...
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giungimento dei propri fini e l’ansia di raggiun-
gere la meta porta a smarrire il senso del percorso.
È, questa, una malattia universale, trasversale ad
ogni età anagrafica, ma forse più accentuata nel-
le generazioni più giovani, per via del loro prag-
matismo, del loro desiderio di bruciare le tappe e
puntare dritto al traguardo finale, della loro pre-
dilezione per i gesti plateali e per i cambiamenti
radicali.
Troppo impegnati in mille occupazioni per pre-
stare attenzione ai segni in apparenza insignifi-
canti disseminati sul loro cammino, troppo pro-
tesi verso la realizzazione dei propri obiettivi per
“perdere tempo” a considerare l’importanza dei
singoli passi compiuti, troppo concentrati sul-
la visione d’insieme per riuscire a cogliere l’in-
treccio sottile dei fili che compongono l’ordito,
i giovani del terzo millennio tendono spesso a
privilegiare il tutto rispetto alla parte e appaiono
più interessati al prodotto finale delle scelte in-
traprese piuttosto che ai processi minuti che vi
sono alla base.
Eppure sono proprio i singoli fram-
menti che rendono intellegibi-
le l’insieme. Sono le piccole
scelte quotidiane che con-
tribuiscono a imprimere
la rotta al percorso. Sono i
gesti più semplici, i dettagli
impalpabili, le sfumatu-
re sottili che danno colo-
re all’esistenza. La felicità
è fatta di una pluralità di
istanti meravigliosi e irri-
petibili, il futuro si costrui-
sce passo dopo passo, il
cambiamento si realizza a
partire dal quotidiano.
C’è un grande potere ri-
voluzionario nelle piccole
cose. Esse sono in grado di
dare qualità ad ogni espe-
La salvezza in ogni grano di un rosario,
ogni lettera del mio vocabolario,
scavalchiamo quei cancelli uno ad uno,
nelle cellule di un uomo è il suo destino.
Abbiamo due soluzioni:
un bell'asteroide e si riparte da zero
o una somma di piccole cose.
Una somma di passi
che arrivano a cento,
di scelte sbagliate
che ho capito col tempo.
Ogni voto buttato,
ogni centimetro in più,
come ogni minuto che abbiamo sprecato
e non ritornerà...
(Niccolò Fabi, Una somma di piccole cose, 2016)
rienza riscattando il banale e l’ordinario, stravol-
gono la prospettiva da cui guardiamo il mondo,
mettono in moto il cambiamento, appagano il
nostro bisogno di bellezza e autenticità. Nella
loro disarmante semplicità ci riconciliano con la
nostra fragilità di piccoli uomini desiderosi di co-
struire qualcosa di grande.
È esattamente in questo che risiede la poten-
za salvifica delle piccole cose, la loro capacità
di riempire di senso il cammino verso l’adultità,
troppo spesso percorso “in apnea” senza riuscire
a godere pienamente dei singoli passi compiuti,
delle tappe intermedie che segnano il graduale
avvicinamento alla maturità, dei momenti unici
e irripetibili che scandiscono l’itinerario esisten-
ziale di ciascuno.
Perché se è vero che, come ha scritto qualcuno,
«le rivoluzioni più clamorose non fanno rumore»,
forse la vera rivoluzione nella vita di ogni giovane
consiste proprio nella conquista della consapevo-
lezza che è nel piccolo che si manifesta lo straor-
dinario e che non c’è autentico equilibrio senza la
capacità di abbracciare, nel contempo, il tutto ed
il frammento.
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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Don Bosco
e le strade ferrate
Un’intelligente collabora-
zione privato-pubblico
Se c’è un aspetto della vita di don Bo-
sco che non è mai stato tematizzato a
dovere è quello del suo rapporto con
le ferrovie, che, per lo meno in Ita-
lia, risale agli inizi della costruzione
di quelle che all’epoca si chiamavano
le “strade ferrate”. Il primo tratto, di
Don Bosco colse immediatamente l’importanza
del nuovo mezzo di trasporto per la sua nascente
Congregazione. Diede pure un contributo economico
per la realizzazione della ferrovia Torino-Lanzo.
8 km in Piemonte fu Torino-Mon-
calieri, inaugurato nel 1848; sei anni
dopo toccò al percorso Torino-Geno-
va di 165 km, di cui si servì quattro
anni dopo don Bosco per andare a
Roma via mare (Genova-Civitavec-
chia). Negli anni Settanta don Bosco
poi si adoperò per trovare azionisti ed
oblatori per la ferrovia Torino-Lanzo,
cui diede pure un contributo econo-
mico e per la cui inaugurazione uf-
ficiale il 6 agosto 1876 prestò il suo
locale collegio al presidente del Con-
siglio Depretis ed altre autorità.
L’importanza
delle ferrovie
Don Bosco colse subito l’impor-
tanza del nuovo mezzo di traspor-
to per il suo progetto educativo. Se
voleva raccogliere nelle sue opere il
maggior numero di ragazzi, aveva
bisogno che essi potessero andare
e venire con una certa facilità. Se
lui stesso voleva incontrare autorità
civili e religiose, benefattori e bene-
fattrici, residenti lontano da Torino,
che lo potessero sostenere nei suoi
avveniristici progetti, doveva poter
viaggiare con una certa facilità e
rapidità (anche se non con grande
comodità e comfort). Se voleva far
visita alle sue case sparse in Italia
ed in Francia, il treno era pratica-
mente l’unico mezzo di trasporto
disponibile.
Così in effetti fece per oltre 30 anni e
nessuno ha mai contato le migliaia di
km che ha percorso in treno per rag-
giungere tantissime volte le maggiori
città d’Italia – 20 volte solo a Roma
– molte volte la riviera italo-france-
se, ed una volta Parigi e Barcellona.
Non si fece mancare una puntatina
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in Austria. Dati i suoi ottimi rappor-
ti con le autorità piemontesi prima e
italiane poi, egli ha quasi sempre go-
duto di viaggi gratuiti per sé e per il
suo segretario; ogni anno gli veniva
rinnovata l’esenzione senza troppe
difficoltà.
Il problema si poneva invece per le
centinaia di ragazzi “poveri ed ab-
bandonati” e le decine di salesiani,
pure poveri, che avevano bisogno di
viaggiare in treno. Che fare? Esco-
gitò una strategia vincente. Avanzò
alla direzione delle ferrovie una pro-
posta: egli assicurava l’accoglienza
gratuita o semigratuita nelle case sa-
lesiane a tutti i ragazzi, specialmente
orfani, degli impiegati delle ferrovie
e nello stesso tempo garantiva l’uten-
za ferroviaria di centinaia e centinaia
di ragazzi ed adulti delle sue case;
in cambio chiedeva uno sconto, fino
al 50%, del prezzo del loro biglietto
ferroviario.
La proposta fu accolta prima dal-
le Ferrovie del Piemonte e poi da
quelle dell’Alta Italia, sia pure con
qualche resistenza, multa e rimpro-
vero per qualche abuso perpetrato da
chi non aveva titoli per la riduzio-
ne. Nel novembre 1880 ad esempio
fu costretto a rimborsare 12,90 lire,
pagate dall’impiegato delle ferrovie,
che il 31 agosto aveva erroneamen-
te concesso una riduzione di metà
biglietto di seconda classe Bologna-
Torino ad un alunno di Torino che
aveva diritto alla riduzione solo per
la terza classe.
Ma limitiamoci ora alla sola docu-
mentazione inedita del biennio 1880-
1881.
Le ferrovie
del Centro-Sud
Lo sviluppo della Congregazione sa-
lesiana al centro-sud Italia ad inizio
degli anni Ottanta obbligò don Bo-
sco a contattare i singoli direttori ge-
nerali dei tratti di ferrovia di quella
parte d’Italia. Non esisteva all’epoca
una rete ferroviaria nazionale; sarebbe
sorta solo nel 1905.
Il 9 gennaio 1880 chiese al direttore
delle ferrovie meridionali, con la soli-
ta motivazione, la riduzione del prez-
zo dei biglietti ferroviari per i dipen-
denti ed i ragazzi delle case salesiane
di Brindisi e di Randazzo (Catania).
Esattamente un mese dopo, la richie-
sta fu accordata per una sola tratta,
e non per le Ferrovie calabre-sicule,
per le quali si chiese di compilare un
modulo allegato. Don Bosco nel rin-
graziare colse l’occasione per inserire
nella sua richiesta le Figlie di Maria
Ausiliatrice e le loro allieve.
Grazie al treno, don Bosco poté compiere un
viaggio memorabile a Parigi e farsi conoscere da
importantissimi personaggi, come Victor Hugo.
Le ferrovie romane
Ancor più difficile fu ottenere la ri-
duzione sui tratti delle ferrovie roma-
ne, di cui don Bosco aveva bisogno,
soprattutto dopo aver accettato di
costruire la chiesa del Sacro Cuore
e aver progettato un attiguo ospizio.
Respinta una prima volta la domanda
del 20 aprile 1880, tornò alla carica il
2 luglio 1881, indicando come già da
tempo godesse dello stesso favore da
parte delle Società delle Strade Fer-
rate di tutta Italia ed anche di molte
Società francesi.
A questo punto si dovrebbe aprire il
capitolo sulla fondazione, da parte di
don Bosco, di quasi tutte le case sale-
siane in località facilmente raggiun-
gibili via treno. Ma questa è “tutta
un’altra storia”.
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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione dei nostri beati, venerabili
e servi di Dio, sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di giugno preghiamo per la beatificazione della venerabile Dorotea De
Chopitea, di cui ricorre quest’anno il bicentenario della nascita.
La venerabile Dorotea De Chopitea, sposa e madre di sei figli, fu la prima salesiana Cooperatrice di cui
si avviò la causa di beatificazione. Fu una delle pochissime persone a cui don Bosco diede l’appellativo
di “mamma”. E fu veramente una mamma per tutti: sempre pronta ad intervenire là dove c’era bisogno di
aiutare. È stato compilato un elenco di ben trentuno fondazioni dovute alla sua generosità.
Dorotea Chopitea era nata a Santiago del Cile il 5 giugno 1816. I genitori provenivano dalla Spagna ed
erano di condizione economica molto agiata. Lei fu una delle ultime di una bella nidiata di 18 figli. Aveva
tre anni quando la famiglia si trasferì, per motivi politici, a Barcellona. A 16 anni contrasse matrimonio
con il ricco commerciante Giuseppe Maria Serra. Nacquero sei figlie: Dolores, Anna Maria, Isabella,
Maria Luisa, Carmen e Gesuina. Diventeranno “tutte eccellenti cristiane e madri esemplari”. Dorotea fu
una donna di grande fede, di pietà viva, di ardue penitenze. Ogni anno partecipava agli Esercizi spirituali.
In uno di questi, prese tra l’altro i seguenti propositi: non lascerò la meditazione e la lettura senza grave
motivo; farò venti atti di mortificazione al giorno, portando al mattino per due ore il cilicio”.
La virtù che rifulse maggiormente in lei fu la carità. “L’elemosiniera di Dio” sacrificò i beni di fortuna come
nessun’altra persona fece in Barcellona ai suoi tempi. Nella scala dei valori, mise al primo posto l’amore
ai poveri: “I poveri saranno il mio primo pensiero”. Don Rinaldi, che la conobbe direttamente, attestava:
“Ho veduto con i miei occhi tanti casi di soccorso a bambini, vedove e vecchi, disoccupati, ammalati...
sentii ripetere molte volte che la serva di Dio compiva verso gli infermi i più umili servizi”. In ciò lei ebbe,
da parte del marito, piena fiducia e collaborazione. Quando questi morì, lei si dedicò a tempo pieno alla
sua missione preferita.
Fu in questo periodo che nacque e subito crebbe il rapporto con i Salesiani e le Figlie di Maria Ausilia-
trice. Scrisse a don Bosco il 20 settembre 1882 per chiedere la fondazione di un collegio nelle periferie
di Barcellona. Il collegio nascerà a Sarrià. Due anni dopo, fonda un’opera delle FMA. Nell’86, dopo
pressanti suoi inviti, don Bosco è in Spagna, accolto dalle sue premure. Egli può rendersi conto delle
realizzazioni compiute dalla grande benefattrice. Dopo la morte di don Bosco è la volta del Collegio di S.
Dorotea. Per comprare la Casa mancavano settemila pesetas: era proprio la somma che lei aveva pensato
di tener da parte per la sua vecchiaia. Ma la diede generosamente esclamando: “Dio mi chiede di essere
veramente povera: lo sarò”.
Presiedeva una questua di beneficenza, il Venerdì Santo del 1891, quando contrasse una polmonite.
Nello spazio di sette giorni questa la portò alla tomba. Prima di morire, risvegliandosi un giorno da un
assopimento, espresse una sola preoccupazione: che ai poveri e alle opere per loro fondate non si faces-
se mancar nulla. I resti mortali riposano presso il Santuario di Maria
Ausiliatrice di Sarrià.
È stata dichiarata Venerabile da san Giovanni Paolo II il 9 giugno 1983.
PREGHIERA
Signore Gesù,
che hai lasciato ai tuoi discepoli
il comandamento nuovo dell’amore fraterno
e infondesti nella Venerabile Dorotea De Chopitea
una carità ardente nel servizio ai poveri e agli emarginati;
concedici, per sua intercessione, la grazia di...
e fa’ che siamo sempre disposti
a fare la volontà del Padre.
Tu che vivi e regni per i secoli dei secoli. Amen.
CRONACA DELLA
POSTULAZIONE
Il 1° aprile 2016 la Congrega-
zione delle Cause dei Santi ha
promulgato il Decreto di vali-
dità relativo all’Inchiesta dio-
cesana del servo di Dio don
Carlo della Torre (1900-1982),
sdb, missionario in Thailandia
e fondatore delle Figlie della
Regalità di Maria Immacolata,
Istituto oggi suddiviso tra le
Figlie della Regalità di Maria
Immacolata, consacrate seco-
lari, e le Suore della Regalità
di Maria Immacolata, consa-
crate religiose.
Il 7 aprile 2016, nel corso del
Congresso peculiare dei Con-
sultori teologi presso la Con-
gregazione delle Cause dei
Santi, è stato dato parere po-
sitivo in merito al martirio del
servo di Dio Titus Zeman, nato
a Vajnory il 4 gennaio 1915 e
ivi morto l’8 gennaio 1969,
salesiano sacerdote slovacco,
martire delle vocazioni.
Ringraziano
Volevo ringraziare san Domeni-
co Savio per la grazia ricevuta
dopo aver recitato la novena con
tutto il cuore: a ottobre 2015 è ar-
rivata Giada.
Erika da Venezia
Papà Pasquale, mamma Antonia
e i nonni ringraziano san Do-
menico Savio per la nascita del
bellissimo Mattia Domenico.
Pannarano (BN)
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
40
Giugno 2016

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
CESARE BISSOLI
DON ZELINDO TRENTI
Morto a Roma l’11 febbraio 2016, a 82 anni.
Tanta fu la sua riservatezza nell’e-
sprimere i suoi sentimenti, altret-
tanto grandi e visibili furono la
sua fede e la sua fedeltà al Signo-
re, nella vocazione di salesiano
di don Bosco. Zelindo, un nome
raro e dolce a dirsi, inizia la sua
vita nel 1934 a Dro, in provincia
di Trento, questa salubre area del
Trentino che sfocia sul bel lago di
Garda. Perse subito il papà e si
trasferì con mamma a Tolmezzo,
nell’opera salesiana dell’ispetto-
ria veneta, dove la signora Irene
si dimostrò cuoca eccellente, e
il piccolo Zelindo, frequentando
il ginnasio respirò il tradizionale
clima di famiglia di don Bosco,
ed ebbe in dono la vocazione
di restare con lui. Fece tutto il
percorso formativo: la prima
professione nel 1951, tirocinio,
studi di teologia al Pas di Torino
Crocetta, ordinazione sacerdo-
tale a Torino l’11 febbraio 1962.
Successivamente la sua vita ebbe
tre momenti.
Docente e formatore
dei giovani, soprattutto
nel collegio di Pordenone
fino al 1985, dove fu stimato ed
amato ed ancora ricordato quale
professore di filosofia nel liceo,
in particolare per il suo impe-
gno educativo cordiale, aperto,
incoraggiante, innovativo se-
condo lo stile di don Bosco. Non
possiamo tacere di una iniziativa
nuova a quei tempi: aver istituito
e diretto a Pordenone un centro
di aggiornamento pastorale-
pedagogico per sacerdoti e laici,
ponendosi al servizio della for-
mazione altrui, compito questo
che fu una sua caratteristica.
All’Università Salesiana,
nella Facoltà di Scienze
dell’educazione e nel ben noto
Istituto di catechetica
Gli impegni che gli furono asse-
gnati e cui si dedicò seriamente
furono molteplici: la catechesi
giovanile e l’insegnamento della
religione sono state le aree che
lo occuparono maggiormente.
All’area della docenza di reli-
gione diede una impostazione
originale, organica e creativa ad
una struttura di servizio per inse-
gnanti di religione a estensione
nazionale particolarmente nei
campi estivi di Val di Fassa e qui
all’Ateneo. Il suo im-
pegno lo portò alla
ricerca sul campo e
alla pubblicazione
di volumi che fecero
testo sulla condizio-
ne del docente di
religione in Italia, in
collaborazione con
l’Ufficio scuola del-
la CEI, che sempre
l’apprezzò nel suo
lavoro. Non è errato
dire che in questo ambito del rap-
porto religione e scuola, la sua
– assieme ai suoi validi collabo-
ratori – fu un’impresa unica nel
panorama italiano, riconosciuta
a livello europeo, che portò inte-
resse e stima verso questa Uni-
versità, suscitando una schiera
di discepoli che continuano la
sua impostazione, che possiamo
chiamare di ermeneutica esisten-
ziale del fatto religioso.
Assistente generale delle
Volontarie di Don Bosco
di tutto il mondo
Con l’entrata nell’emeritato, iniziò
il terzo momento della sua vita.
I Superiori valorizzarono la sua
competenza culturale e spiritua-
le, la sua saggezza e lo stile ap-
propriato riservato e accogliente
chiedendogli il servizio di Assi-
stente generale delle Volontarie
di don Bosco in tutto il mondo.
Zelindo accettò e fece questo
servizio con umiltà, dedizione,
delicatezza. Poi sopravvenne la
dura malattia che lo scosse ma
non lo piegò al lamento o a qual-
che ribellione, tenendo per sé la
sofferenza, come era sua condot-
ta virtuosa e rispondendo come
poteva con un timido sorriso.
Mite, tranquillo, delicato, signorile
negli atteggiamenti, era profonda-
mente umile, non cercava mai i
primi posti, felice del grazie affet-
tuoso che riceveva ma non infelice
se veniva dimenticata la sua per-
sona. Uomo di relazioni sempre
aperte all’amicizia,
accoglieva con un
sorriso ed era pron-
to al dialogo. Il suo
impegno intellettua-
le era legato a una
grande attenzione
ai rapporti umani e
a una grande dispo-
nibilità all’amicizia.
Uomo intimamente
religioso e fedele
visse la sua con-
sacrazione religiosa, in intima
comunione con Dio, in generosa
fraternità con il prossimo, in mis-
sione verso i giovani nella cura
dei loro educatori.
Non possiamo dimenticare la
decina di suoi libri presso la El-
ledici in cui fissò i suoi pensieri
su ciò che significa insegnare o
meglio educare alla componente
religiosa intrinseca alla vita nel-
la visione cristiana, traducendo
il suo pensiero in volumi per la
scuola di religione che per il ta-
glio originale ebbero notevole
successo e in testi di spiritualità
giovanile proponendo con finezza
e suggestivo linguaggio i tratti di
quell’umanesimo cristiano che fu
la cifra della sua vita.
Giugno 2016
41

5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
I GIOVANI PER I GIOVANI
Negli anni ’70, all‘interno della “famiglia” salesiana, dal
seme delle idee e dello spirito di don Giovanni Bosco
nacque un altro piccolo grande frutto che presto crebbe
e si diffuse ovunque si trovassero i salesiani: il XXX
Salesiano. Furono i giovani oratori siciliani (e poi quelli
di alcuni paesi del Sud America) a decidere di incontrarsi
per condividere le proprie esperienze e crescere insieme
nello stile di don Bosco come uomini e donne, come lai-
ci impegnati e come educatori. Nell’agosto 1975 questi
diedero vita a Catania, nella casa Auxilium sull’Etna, al primo convegno regionale degli oratori di Sicilia.
L’anno successivo, in occasione del secondo raduno, coniarono la MOGS dove la “O” stava per oratori,
e poi, pochi anni più tardi, questa grande branca della famiglia salesiana si estese dai soli oratori fino
a riunire i gruppi e le associazioni che si riconoscevano nell’impegno salesiano e a tutti i collaboranti
degli ambienti educativi salesiani, ivi incluse le Figlie di Maria Ausiliatrice. Nel 1988 in occasione dei
festeggiamenti del centenario della morte di don Bosco il Rettor Maggiore don Viganò, durante un
incontro di giovani provenienti da tutte le case salesiane del
mondo, dichiarò ufficialmente che facevano parte del XXX
Salesiano mondiale. Il MOGS divenne, quindi, abbreviando
ancor di più la sigla, MGS. La struttura, seppur minima,
del movimento prevede un organo di assemblea nazionale
(consulta nazionale) composto da un coordinatore nazionale
(laico), un delegato dei Salesiani (consacrato), una delegata
delle Figlie di Maria Ausiliatrice e vari altri rappresentanti
delle associazioni civilistiche, polisportive e volontarie di
stampo salesiano.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Sigari tra i più
apprezzati al mondo - 6. Modo di fare
di chi ama la praticità - 14. Alterarsi,
corrompersi - 15. C’è scritto sul bi-
glietto da un dollaro - 16. Accumuli
di siero nei tessuti - 17. La capitale
dell’Arabia Saudita - 20. La Socie-
tà Torinese per l’Esercizio Telefonico
- 22. XXX - 24. Il Giambattista
filosofo della Scienza Nuova - 26.
Fanno alteri gli atei - 27. Anterio-
re in breve - 28. XXX - 30. Non
sanno leggere né scrivere - 33. Iniz.
di Neeson - 34. Il centro di Lima -
35. Leggere senza consonanti! - 36.
Adesso in poesia - 37. Si chiude in
se stesso - 40. Ravenna - 41. Ci
furono i maggiori, come Isaia, e i
minori, come Giona - 43. L‘inizio
del rito - 44. Consiglio Supremo di
Difesa - 45. Sono famosi quelli dei
monaci camaldolesi - 46. Legame -
47. Cavallo rossiccio.
VERTICALI. 1. Portare a termi-
ne qualcosa - 2. Si dice giocando
a poker - 3. Facile a farsi - 4. Lago
vulcanico laziale - 5. Danno brio nei
villaggi turistici - 6. Già preparate -
7. Iniziali di Arbore - 8. Insolenti,
tracotanti - 9. Giovani Esploratori
Italiani - 10. Torino - 11. Come
una notte passata in bianco - 12.
Il luogo dove il regista gira la sce-
na del film - 13. Moltissimo - 18.
Avere a Parigi - 19. Mezzo divano -
21. Un cerchio… schiacciato - 23.
Prima di una certa data - 25. Hanno
perso la chioma - 29. Nello studio
dei pesci viene prima di … logìa -
31. Il re di una tragedia di Shake-
speare - 32. Lo dice il croupier con
ne va plus - 38. Quelle liete pas-
sano in fretta - 39. L’assicurazione
delle auto (sigla) - 41. Pubblico
Ministero - 42. Il Mattia Pascal di
Pirandello.
42
Giugno 2016

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Disegno di Fabrizio Zubani
La conversione Decimogiorno,soltantooggi,
mi rendo conto che è più comodo e
sicuro camminare sul marciapiede
di fronte.
Mi alzo una mattina,
esco di casa, c’è una
buca nel marciapiede,
non la vedo, ci casco
dentro.
Giorno dopo,
esco di casa, mi dimentico che
c’è una buca nel marciapiede, e ci
ricasco dentro.
Terzo giorno, esco di casa
cercando di ricordarmi che c’è una
buca nel marciapiede, e invece non
me lo ricordo, e ci casco dentro.
Quarto giorno, esco di casa
cercando di ricordarmi della buca
nel marciapiede, me ne ricordo,
e ciononostante non vedo la buca
e ci casco dentro.
Quinto giorno, esco di casa, mi
ricordo che devo tener presente la
buca nel marciapiede e cammino
guardando per terra, e la vedo, ma
anche se la vedo, ci casco dentro.
Sesto giorno, esco di casa, mi ri-
cordo della buca nel marciapiede, la
cerco con lo sguardo, la vedo, cerco
di saltarla, ma ci casco dentro.
Settimo giorno, esco di casa,
vedo la buca, prendo la rincorsa,
salto, sfioro con la punta dei piedi
il bordo dall’altra parte, ma non mi
basta e ci casco dentro.
Ottavo giorno, esco di casa,
vedo la buca, prendo la rincorsa,
salto, atterro dall’altra parte!
Mi sento così orgoglioso di esserci
riuscito, che mi metto a saltellare
per la gioia... e mentre saltello,
casco di nuovo nella buca.
Nono giorno, esco di casa, vedo
la buca, prendo la rincorsa, la salto,
e proseguo per la mia strada.
La strada della vita è dis-
seminata di buche: abitu-
dini, vizi piccoli e grandi,
mancanze fastidiose eppure
sempre uguali. In famiglia
si litiga sempre per le stesse
cose, si confessano sempre
gli stessi peccati, si commet-
tono sempre gli stessi errori.
Convertirsi significa pren-
dere l’altro marciapiede.
Giugno 2016
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
Salesiani nel mondo
Nel Paese musulmano
più grande del mondo
I Salesiani in Indonesia
Il poster
Dio è dappertutto.
Godetevelo
L’invitato
Don Mihovil Kurkut
Don Bosco
in Bosnia Erzegovina
Figlie di Maria Ausiliatrice
Donne coraggiose nella
foresta amazzonica
La serie
Vivere il Giubileo della
misericordia in famiglia
Pietà per Madre Terra!
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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