Bollettino_Salesiano_201605

Bollettino_Salesiano_201605

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IL
MAGGIO
2016
A tu per tu
Don Coelho
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Le case di
don Bosco
La giostra
I nostri santi
La famiglia
Gheddo
Salesiani
nel mondo
Nuova
Zelanda
Tutti figli miei

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LE COSE DI DON BOSCO
B. F.
Lempiilrloalecolose
La storia
Una testimonianza nelle Memorie Biografiche. Ci raccon-
tò don Giovanni Garino: «Era l’anno 1862 ed io mi tro-
vava preso da lenta febbre, che ogni dì più mi indeboliva
per modo da non potermi io occupare nei miei studii di
filosofia. D. Bosco il seppe e mi diede una scatoletta con
nove pillole, dicendomi di prenderne tre per mattina e re-
citando un’Ave Maria ogni pillola. Feci quanto mi coman-
dò e le febbri sparirono tosto completamente. Aggiungo
che d’allora in poi sino al presente (6 maggio 1888) non
ebbi mai più a soffrir febbri» (Volume VII, pag. 159).
Sono l’ultima. Sono stata dimenticata in
una fessura di questo cassetto e sono qui
da più di cent’anni. Non mi ha mai trova-
to nessuno. Il bello è che sono una delle
prime che quel chierico dallo sguardo
limpido e i capelli ricciuti aveva prepara-
to. Tutti dicevano che eravamo miracolose ed era
vero. Ho visto guarigioni straordinarie per opera
delle mie sorelle. Eppure eravamo solo palline di
mollica di pane con un po’ di zucchero colorato.
Ma Giovanni Bosco, il chierico che ci aveva
preparate, si serviva di noi in un modo prodigio-
so: guariva gli ammalati! Naturalmente la ricetta
era un po’ più complessa e il malato che voleva
giovarsi del nostro straordinario potere medi-
co doveva aggiungere un’invocazione a Maria
Santissima, accostarsi ai Sacramenti e recitare
un dato numero di Ave, di Salve Regina o di altre
preghiere alla Madonna. La prescrizione
della medicina e delle preghiere
talora era assegnata per tre
giorni, talora per nove. I
malati anche i più gravi
guarivano. Non so dirvi se
era per il nostro potere
di medicine o per le
preghiere a Maria, ma
la fama del medico
chierico si sparse di
paese in paese e le
persone che ricorre-
vano al nuovo medico
erano sempre di più.
A volte c’era una discreta coda davanti alla sua
porta e tutti avevano una fiducia incondizionata
nelle sue pillole miracolose. Lui attribuiva tutto
il merito all’intercessione della Madonna, ma in
fin dei conti, anche noi contavamo qualcosa.
Saremmo anche diventate famose e chissà quanti
premi avremmo vinto, ma il nostro chierico
faceva di tutto per tenere nascosto questo suo
potere. Era fatto così: era proprio buono buono
e non voleva diventare oggetto di ammirazio-
ne. Anche quando divenne “don” Bosco, dopo
l’Ordinazione sacerdotale, al Convitto Ecclesia-
stico di Torino, continuò a fabbricare le pillole
miracolose. Noi eravamo felici. Dietro la sua
semplice ricetta sapevamo benissimo che c’erano
il sorriso e la dolcezza di Maria.
Un certo signor Turco, guarito da una febbre
maligna, recatosi a Torino a far visita a don
Bosco per ringraziarlo, gli disse che il suo far-
macista, esaminate le pillole, aveva scoperto
che erano soltanto pane e lo pregò di ma-
nifestargli il segreto della medicina. «Ha
recitato con fede le tre Salve Regina?» gli
domandò don Bosco. «Oh certamen-
te!» rispose quel signore. «È
proprio quello l’in-
grediente segreto!»
concluse don Bosco.
Da quel giorno,
don Bosco si limitò
a ricorrere unicamente
all’efficacia delle benedi-
zioni.
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Maggio 2016

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IL
Mensile di
IL
informazione e
MAGGIO
2016
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
cultura religiosa
A tu per tu
Don Coelho
Le case di
don Bosco
La giostra
I nostri santi
La famiglia
Gheddo
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
MAGGIO 2016
ANNO CXL
Numero 5
Salesiani
nel mondo
Nuova
Zelanda
Tutti figli miei
In copertina: Maggio è il mese di Maria Ausiliatrice, il
mese in cui viviamo la sua affettuosa maternità offerta a
tutti gli uomini del mondo (Disegno di Stefano Pachì).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 MARTIRI OGGI
8 LA NOSTRA MERAVIGLIOSA STORIA
Maria Ausiliatrice,
don Bosco e noi
12 SALESIANI NEL MONDO
Nuova Zelanda
15 DON BOSCO NEL MONDO
16 A TU PER TU
Don Ivo Coelho
19 INIZIATIVE
20 FINO AI CONFINI DEL MONDO
22 POSTER
24 LE CASE DI DON BOSCO
La giostra
28 I NOSTRI SANTI
La famiglia Gheddo
31 I NOSTRI LIBRI
32 IL GIUBILEO IN FAMIGLIA
La compassione
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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28
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Antonio Cappo, Roberto
Desiderati, Ángel Fernández
Artime, Donatella Inferrera, Lia
Lafronte, Cesare Lo Monaco,
Giacomo Morgando, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto,
Michele Novelli, Pino Pellegrino,
Anna Peiretti, Linda Perino, O. Pori
Mecoi, Luigi Zonta, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
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DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
La misericordia
è la carta d’identità
del
nostro Dio Dall’intimopiùprofondodel
mistero di Dio, sgorga e scorre
senza sosta il grande fiume della
Mia carissima Famiglia
Salesiana, amici e ami-
che di don Bosco e del
suo carisma e lettori del
Bollettino, il mio saluto
di questo mese vi arriva
dal mio cuore e dall’Isola Rossa, il
misericordia. Questa fonte non
potrà mai esaurirsi, perché la
misericordia di Dio è senza fine.
Di essa noi dobbiamo essere i
“missionari” forti e convincenti.
Madagascar.
padre Thomas, che ha eroicamente voluto condi-
Siamo nel Tempo di Pasqua, un videre il sacrificio delle quattro suore della carità
tempo che ci invita ancora una vol- di Aden e del quale fino a questo momento non
ta ad approfondire la nostra sappiamo assolutamente nulla.
Fede e la nostra Speranza Vi ho invitato ripetutamente a pregare per tutti
come fondamento della coloro che sono vittime innocenti della violenza,
nostra vita.
di ogni tipo di violenza e della fame, dell’emigra-
Ma vi scrivo aven- zione forzata e delle calamità naturali.
do nel cuore e negli Continuiamo a pregare per i tanti martiri che
occhi i drammi dei perdono la vita a causa della loro Fede in Gesù
giorni passati. Ab- Cristo, anche in questo momento. Nella comu-
biamo iniziato la Set- nione della Chiesa Universale sentiamoci un cuor
timana Santa con immagini di morte in Europa, solo e un’anima sola con loro.
ricordate gli attentati di Bruxelles nell’aeroporto Nello stesso tempo vi ricordo le parole di papa
e nella metropolitana, i cristiani del parco giochi Francesco che ci invita a vivere ricordando sempre
di Lahore e la viva sofferenza della nostra Fami- che la Misericordia è la carta d’identità di Dio.
glia con il cuore sommerso dalla preoccupazione Mi pare molto bella e toccante questa espressione
e dalla paura per la sorte del nostro confratello semplice e colloquiale attribuita al Papa.
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Dobbiamo riconoscere che spesso il nostro cuo-
re è cinico e insensibile e nel tempo si indurisce
sempre più.
Crediamo di essere alla ricerca della Pace univer-
sale, ma in questo momento la violenza infuria
in tutti gli angoli del nostro pianeta. Chiudiamo
le frontiere ed innalziamo muri davanti alla gen-
te che sta vivendo un autentico Esodo. Dimen-
tichiamo facilmente che anche la nostra gente
è stata migrante, i nostri antenati, forse i nostri
progenitori… Così il nostro cuore, meraviglioso
e capace di grande amore, ma a volte meschino e
fragile, si barrica e si chiude.
Davanti a questa realtà possiamo solo alzare le
nostre mani verso Dio Padre, guardare al Risor-
to e chiedere allo Spirito Santo di concederci il
dono della Misericordia, lo stesso che fa parte
dell’essenza di Dio.
Come scrive papa Francesco: «Con lo sguar-
do fisso su Gesù e il suo volto misericordioso
possiamo cogliere l’amore della SS. Trinità. La
missione che Gesù ha ricevuto dal Padre è sta-
ta quella di rivelare il mistero dell’amore divino
nella sua pienezza. “Dio è amore” (1 Gv 4,8.16),
afferma per la prima e unica volta in tutta la Sacra
Scrittura l’evangelista Giovanni. Questo amore è
ormai reso visibile e tangibile in tutta la vita di
Gesù. La sua persona non è altro che amore, un
amore che si dona gratuitamente».
Imploriamo la grazia di crescere nella Miseri-
cordia che senza alcun dubbio ci fa più umani.
Crescere nella Misericordia genera pace nel cuo-
re ed è il presupposto e la base per essere felici.
Chiediamo a Dio perché, con le parole del profeta
Ezechiele, il nostro cuore non sia un cuore di pie-
tra ma un cuore di carne.
Ricorro ancora alle parole di papa Francesco che
ci invita a commuoverci davanti alla realtà del-
la carta d’identità di Dio: la Misericordia, quella
misericordia che è rivolta a ciascuno di noi e la
cui prima condizione è che anche noi la rendiamo
viva con i nostri fratelli e sorelle.
Misericordia, compassione, tenerezza, gentilezza,
tolleranza, perdono... sono solo i diversi aspetti
della stessa ricca realtà. Di quale di essi abbia-
mo più bisogno nel momento che viviamo? Tocca
a ciascuno di noi ascoltare il battito del proprio
cuore e la vita concreta di ogni giorno.
Vi auguro di vivere intensamente il tempo di Pa-
squa in questo mese di maggio dedicato alla Ma-
dre Ausiliatrice. La dolcezza del suo sguardo ci ac-
compagni, perché tutti possiamo riscoprire la gioia
della tenerezza di Dio. E possiamo sentirci ogni
giorno di più stretti nel suo Amore di Madre.
Due giovani
dipingono il
ritratto del nostro
Rettor Maggiore.
È il simbolo di
un affetto che
dice l’unità della
Famiglia Salesiana
intorno al
successore di
don Bosco.
La misericordia di Dio non è un’idea astratta, ma una realtà concreta
con cui Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre
che si commuovono fino dal profondo delle viscere per il proprio figlio.
(Papa Francesco)
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MARTIRI OGGI
LINDA PERINO
Sia gloria a Marguerite,
Anselma, Reginette, Judith
e al nostro don Tom Martiridella
Misericordia
La loro ultima lettera:
«Insieme viviamo, insieme
moriamo con Gesù, Maria
e la nostra Madre”.
I volti delle quattro
Missionarie della Carità
sacrificate da un odio
insensato.
A pagina seguente:
Padre Thomas
Uzhunnalil.
Quattro sari bianchi bordati di
azzurro sulle tormentate rive
del Golfo di Aden. Quattro
volti mansueti apparsi fuga-
cemente su qualche sito cat-
tolico, un accenno sui media
internazionali, poi più niente, cancel-
lati, eliminati dallo tsunami degli at-
tentati, dagli sproloqui degli esperti,
dai roboanti servizi sensazionali. Era-
no solo quattro suore, così piccole, così
straordinariamente ordinarie che era
quasi impossibile sapere il loro nome e
la loro nazionalità. Marguerite, Regi-
nette, Judith, Anselma. Due ruandesi,
una keniota, un’indiana. E poi un prete
indiano. Quasi un simbolo dell’univer-
salità del cristianesimo e della sua vi-
talità. Formavano una comunità e don
Tom Uzhunnalil faceva da cappellano
nei momenti sacri, venendo dalla casa
salesiana. Era l’unico sacerdote cattoli-
co rimasto ad Aden.
Nessuno osava più venire o restare in
questo paese poverissimo, insangui-
nato da una guerra tribale, religiosa e
geopolitica che ha fatto più di dieci-
mila morti e due milioni di profughi.
Loro sapevano benissimo i rischi che
correvano. Ma rifiutarono di lasciare
Aden, perché significava lasciare i
poveri, gli anziani, gli infermi, i bam-
bini e i ragazzi che contavano solo su
di loro. Fedeli a questa loro vocazione
così sottostimata erano rimasti a ser-
vire anziani e disabili.
Nello Yemen il cristianesimo è fuo-
rilegge, ma Gesù è stato nuovamente
(e realmente) crocifisso il 4 marzo,
quando due assassini hanno fatto
irruzione nel convento delle Missio-
narie della Carità. Le hanno ritro-
vate con il loro grembiule da lavoro,
mentre si preparavano a servire la
colazione ai ricoverati. Una pallotto-
la nella testa. Si tenevano per mano.
Una dozzina di volontari laici esani-
mi con loro. La superiora si trovava
nella dispensa e non fu trovata. Don
Tom avrebbe potuto fuggire, ma era
corso nella cappella per evitare che le
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Le Missionarie della Carità hanno deciso di
rimanere qui fino alla morte. Se la mia missione
è per loro, dovrò rimanere con loro
ostie consacrate fossero profanate dai
terroristi. Un gesto forte, come quello
che unisce il Giovedì santo al Venerdì
santo. Di lui, fino ad oggi, non si sa
più nulla. Aveva scritto alcuni mesi
fa: “Le Missionarie della Carità han-
no deciso di rimanere qui fino alla
morte. Se la mia missione è per loro,
dovrò rimanere con loro”.
Nell’ultima lettera inviata alle conso-
relle di Roma le suore hanno scritto
così: «Ogni volta che i bombarda-
menti si fanno pesanti noi ci inginoc-
chiamo davanti al Santissimo espo-
sto, implorando Gesù misericordioso
di proteggere noi e i nostri poveri e di
concedere pace a questa nazione. Non
ci stanchiamo di bussare al cuore di
Dio confidando che ci sarà una fine
a tutto questo. Mentre la guerra con-
tinua ci troviamo a calcolare quanto
cibo potrà essere sufficiente. I bom-
bardamenti continuano, le sparatorie
sono da ogni parte e abbiamo farina
solo per oggi. Come faremo a sfamare
domani i nostri poveri? Con fiducia
amorevole – scrivevano le suore – e
abbandono totale, noi cinque corria-
mo verso la nostra casa d’accoglien-
za, anche quando il bombardamento
è pesante. Ci rifugiamo a volte sotto
gli alberi pensando che questa è la
mano di Dio che ci protegge. E poi
corriamo di nuovo velocemente per
raggiungere i nostri poveri che ci at-
tendono sereni. Sono molto anziani,
alcuni non vedenti, altri con disabilità
fisiche o mentali. Subito iniziamo il
nostro lavoro pulendo, lavando, cuci-
nando utilizzando gli ultimi sacchi di
farina e le ultime bottiglie d’olio pro-
prio come la storia del profeta Elia e
della vedova. Dio non può mai essere
da meno in generosità fino a quan-
do rimaniamo con lui e i suoi poveri.
Quando i bombardamenti sono pe-
santi ci nascondiamo sotto le scale,
tutte e cinque sempre unite. Insieme
viviamo, insieme moriamo con Gesù,
Maria e la nostra Madre”.
Proprio la misericordia vissuta accan-
to agli ultimi in un paese poverissimo
e scosso da decenni di tensioni poli-
tiche è la chiave della presenza nello
Yemen delle Missionarie della Carità
e dei sacerdoti salesiani. Fu proprio
Madre Teresa – quando nel 1973 ac-
colse l’invito delle autorità dell’allo-
ra governo dello Yemen del nord ad
aprire una casa per i disabili nel paese
– a insistere perché con le sue suore
potessero essere presenti anche dei sa-
cerdoti. Un desiderio realizzatosi gra-
zie alla provincia salesiana dell’India,
presente con i propri missionari nello
Yemen da 29 anni: padre Uzhunna-
lil è uno dei cinque preti tuttora nel
Paese, al servizio di una piccolissima
comunità cristiana formata totalmen-
te da immigrati provenienti dall’Asia
e dall’Africa (anche cinque dei lavo-
ratori uccisi nella strage erano etiopi).
Il sacerdote di cui non si hanno più
notizie ha 57 anni ed è originario di
Ramapuram, nel Kerala; è missiona-
rio nello Yemen dal 2012.
Papa Francesco:
«L’uccisione delle quattro
Missionarie della Carità nello
Yemen svegli le coscienze,
guidi a un cambiamento
dei cuori e ispiri tutte
le parti a deporre le armi
e a intraprendere un cammino
di dialogo»
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LA NOSTRA MERAVIGLIOSA STORIA
GIACOMO MORGANDO
Maria Ausiliatrice,
don Bosco e noi
“Dove c’è don Bosco c’è
Maria”. È così in tutto
il mondo. L’elemento
fondamentale della
spiritualità salesiana è la
devozione alla Madonna.
Era una devozione forte
nella pratica cristiana
di allora e don Bosco
l’ha assorbita, vissuta e
trasmessa ai Salesiani
e ai giovani, e attraverso
loro alla Chiesa.
29 ottobre 1835. Giovanni
Bosco ha vent’anni. Da quat-
tro giorni ha vestito l’abito
clericale (in parrocchia), deve
entrare in seminario. La sera,
mentre piegava la sua roba,
Mamma Margherita si avvicina.
«Quando sei nato ti ho consacrato alla
Madonna. Quando hai incominciato
gli studi ti ho raccomandato di voler
bene a questa nostra madre. Ora ti
raccomando di essere tutto suo, Gio-
vanni». Quando terminò queste paro-
le mia madre era commossa. «Madre
vi ringrazio di tutto quello che avete
fatto per me. Ne farò tesoro in tutta
la mia vita».
La vita di don Bosco e di mamma
Margherita dicono certo l’apprensio-
ne di tutte le madri, ma certamente
anche una grande fede.
Nel sogno dei nove anni, l’uomo ve-
nerando con il mantello bianco dice:
«Io sono il Figlio di Colei che tua
madre ti insegnò a salutare tre volte
al giorno». L’Angelus allora era una
preghiera tradizionale. E certamente
Mamma Margherita ha insegnato e
Giovanni praticato.
Ricordate Giovanni alla Cascina
Moglia. Il vecchio zio Giuseppe ar-
riva sfinito a mezzogiorno, si butta
a sedere per tirare il fiato. Suonava
la campana della chiesa. Vede Gio-
vannino che si inginocchia e recita
l’Angelus. Tra serio e faceto: «Ma
bravo! Noi padroni lavoriamo fino
a non poterne più e il garzone se la
prende calma e prega in santa pace».
E Giovannino: «Barba, sapete che
nel lavoro non mi tiro indietro. Mia
madre mi ha insegnato che quando
si prega due grani danno quattro
spighe, quando non si prega quattro
grani danno due spighe».
Allora, alla sera, si recitava il Rosa-
rio in ogni famiglia. Nella Cascina
Moglia, la signora Dorotea, ammi-
rata dal suo raccoglimento, sovente
invitava Giovanni a guidare la pre-
ghiera.
1847, Valdocco. Cappella Pinardi.
Compra la prima statua della Ma-
donna. Molto torinese: è la Con-
solata. Costa 27 lire. Era carissima
(un operaio meccanico guadagnava
2 lire al giorno) pur essendo di car-
tapesta.
Nella chiesa di San Francesco di Sa-
les, nel 1852, volle un altare dedicato
alla Madonna e i marchesi Frassati
donarono una bella statua che andò
persa nei lavori successivi.
La statua trafugata
Curiosa la vicenda della statua del-
la Madonna della Cappella Pinardi.
Racconta il Lemoyne: «In testa al
portico dalla parte della chiesa fu col-
locata in una nicchia una bella statua
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Il quadro del pittore Crida nella cappella di don Bosco nel santuario di Maria Ausiliatrice.
della Madonna, innanzi alla quale,
adornata con tappezzeria e lumi nel
mese di maggio, dicevano le orazio-
ni della sera i giovani studenti nella
bella stagione. Sotto la nicchia in un
quadro solevansi esporre i fioretti e le
giaculatorie proposte per ogni gior-
no del mese di Maria e delle princi-
pali novene. Ma quella nicchia per
verità aspettava un’altra statua, che
per dieci anni aveva fatta la guardia
a casa Pinardi dal 1846 al 1856, ed
era scomparsa nei lavori di demo-
lizione. E come era andata la cosa?
Don Giacomelli aveva trovato modo
di trafugarla. Volendo ritenere per sé
ciò che esso chiamava il più insigne
monumento della fondazione dell’O-
ratorio, cioè delle grazie di Maria, la
trasportò ad Avigliana nella sua casa
paterna, ove da lui e dalla sua fami-
glia ebbe sempre ed ha anche dopo la
sua morte, culto di preghiere, lumi e
fiori». Dopo la canonizzazione di don
Bosco la statua fu ritrovata e rimessa
nella cappella Pinardi e poi, per evi-
tare gli affettuosi colpetti dei fedeli,
fu sostituita da una copia in gesso e
portata nel museo delle camerette di
don Bosco.
La prima “Madonna” di don Bosco fu
quindi la Consolata.
Ma a metà dell’Ottocento si svilup-
pò la devozione a Maria Immacolata.
Era anche una reazione contro il cre-
scente anticlericalismo, l’indifferenza
religiosa e la campagna di odio verso
il Papa. L’Immacolata veniva raffigu-
rata con un piede che schiacciava il
serpente e veniva invocata come Colei
che avrebbe fatto rivivere la fede nel
mondo cristiano.
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LA NOSTRA MERAVIGLIOSA STORIA
La proclamazione del dogma dell’Im-
macolata Concezione di Maria nel
1854 e le apparizioni di Lourdes del
1858 contribuirono alla diffusione
esplosiva della devozione. Don Bo-
sco aggiungeva volentieri l’aspetto di
Madre Purissima. A Lei chiedeva la
purezza, la vita in grazia e il fiorire
delle vocazioni. Con Domenico Savio
fonda la “Compagnia dell’Immacola-
ta”, un’intuizione magnifica: un drap-
pello di giovani impegnati nella vita e
nell’apostolato tra i compagni.
Nel 1867, sulla cupola della Basilica
don Bosco fa collocare una gigantesca
statua dell’Immacolata in atto di bene-
dire la città di Torino. La statua dello
scultore Giuseppe Argenti di Novara
fu poi dorata e ancora oggi brilla e be-
nedice. Scrive Edmondo De Amicis:
«Alla tristezza di quel quartiere corri-
sponde la campagna circostante piana
e silenziosa specialmente d’inverno,
all’ora del tramonto, quando al di so-
pra delle case e dei campi scintilla an-
cora l’alta statua dorata di Maria ritta
sulla cupola della sua chiesa solitaria
colle braccia stese verso le Alpi».
In Umbria, in una cappella in rovina,
la Madonna apparve ad un bambino
di 5 anni, Righetto, figlio di poveri
contadini che abitavano poco distan-
te dal luogo. Lo prese per mano e gli
disse: «Righetto, sii buono».
La notizia delle visioni si sparse im-
mediatamente. I pareri furono discor-
di e nacquero dicerie. Ma nel marzo
del 1862 avvenne il primo di una lun-
ga serie di miracoli che accreditarono
il racconto del bambino: Giovanni
Castellani, un giovane tisico che lot-
tava con la morte, guarì non appena
mise piede nel tempietto. L’Arcive-
scovo di Spoleto mandò una relazione
entusiasta che fu pubblicata dall’Ar-
monia, il giornale cattolico di Torino
e contemporaneamente lanciò l’idea
di costruire sul luogo dell’apparizione
un grande tempio dedicato a Maria
Auxilium Christianorum.
Don Bosco lesse l’articolo ai giova-
ni e poco dopo fece il famoso sogno
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delle “colonne”: quella dell’Eucari-
stia e quella che innalzava la statua
di Maria Immacolata con la scritta
Auxilium Christianorum. Tanti piccoli
indizi che, messi insieme, diedero a
don Bosco il titolo del suo santuario.
Non fu subito accettato. Alle autori-
tà sembrava un titolo un po’ troppo
“bellicoso”. Con la sua solita furbizia
don Bosco insinuò che era solo un’i-
dea provvisoria, ma non lo cambiò.
La chiesa di Spoleto si chiamò poi
“Madonna della Stella”, mentre l’Au-
siliatrice divenne “La Madonna di
don Bosco”.
Fino all’ultimo respiro
Don Bosco non diceva quasi mai:
“Farò questo o quello” ma sempre “la
Madonna farà questo e quest’altro”.
Quando gli appare chiaro che Maria
vuole un santuario, don Bosco applica
la sua stupenda logica: «La Madonna
vuole una chiesa grande? Se la faccia!»
E naturalmente Maria si è fatta la sua
chiesa. Attraverso migliaia e migliaia
di grazie: una per ogni mattone.
L’ultima notte che precedette il suo in-
gresso nel seminario di Chieri, nell’u-
mile casetta dei Becchi, la mamma
stava piegando il suo corredo. Scelse
questo momento per una importan-
te rivelazione, un segreto tra madre e
figlio: «Gioanni mio, quando sei venuto
al mondo ti ho consacrato alla Beata Ver-
gine; quando hai cominciato i tuoi studi
ti ho raccomandato la divozione a questa
nostra Madre; ora ti raccomando di esserle
tutto suo». La santa Mamma Marghe-
rita sapeva come a quei tempi era pau-
rosamente alta la mortalità infantile,
sia nella casupola dei poveri come nel
palazzo del re. “Ti ho consacrato” vo-
leva dire: ti ho affidato a Maria, ti ho
offerto a Lei, sei suo! Un atto di fidu-
ciosa consegna alla Mamma che tutto
può. «Speriamo molto da chi molto può»:
don Bosco ripeteva a tutti ciò che tante
volte aveva udito da sua madre. Così,
in mezzo ai ragazzi, trasmetteva loro
lo stesso stile di devozione: non come
un abito festivo, quello che si usa solo
alla domenica, ma l’incontro quoti-
diano, familiare, feriale con Maria, la
mamma di tutti i giorni!
Il lavoro senza sosta, piano piano,
esaurì le forze di Giovanni. Nell’anno
1888, non riusciva più a muovere né
braccia né gambe. Stava paralizzato
a letto. Fino al momento dell’ultimo
respiro pensò ai suoi ragazzi. Chiese:
«Dite ai miei ragazzi che li aspetto
tutti in paradiso». Poi pregò Maria:
«Madre, aprimi la porta del cielo!»
Chissà se l’ha fatto prontamente!?
Senza dubbio. Come ogni madre che
vede tornare a casa il proprio bambino.
A pagina precedente: la statua di Maria Immacolata
collocata da don Bosco sul vertice della Basilica
di Maria Ausiliatrice. È alta quasi quattro metri,
modellata dall’Argenti di Novara e realizzata
dal cavalier Boggio di Torino “parte colla
galvanoplastica, parte col martello e cesello”. Il
volto della Madonna “è assai maestoso ed insieme
pieno di dolcezza”. Il suo costo superò di molto le
previsioni e la doratura dovette essere rifatta.
Sotto: Il trionfo di Maria Ausiliatrice nella cupola
grande del santuario. L’autore è il pittore Giuseppe
Rollini.
Maggio 2016
11

2.2 Page 12

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SALESIANI NEL MONDO
B. F.
Traduzione di Marisa Patarino
Don Bosco nella “terra
della lunga nuvola bianca”
Le opere salesiane fioriscono anche
nella Terra agli esatti antipodi dell’Italia.
Incontro con don Mathew Vadakkevettuvazhiyil.
La Nuova Zelanda, che i Maori, gli originari abitanti,
chiamano Aotearoa o “terra della lunga nuvola
bianca”, è anche la patria di molti migranti. I Salesiani
sono arrivati qui nel 2009. Nel 2010 la parrocchia di
San Paolo, a Massey, è stata affidata a noi e, nel 2013,
anche la parrocchia dell’Immacolata Concezione a
Avondale. Quattro salesiani lavorano in queste due
parrocchie che formano una sola comunità.
Qual è la storia dei Salesiani
in Nuova Zelanda?
Quando l’allora Rettor Maggiore don Egidio Vi-
ganò visitò le Isole Samoa nel 1983, gli si presentò
il sogno missionario di don Bosco da Valparaiso
a Pechino (Memorie Biografiche, vol. , pag.
72). Don Bosco vide le innumerevoli isole del Pa-
cifico e tutti i loro abitanti che gli chiedevano di
mandare là i suoi figli. Disse che, sebbene avesse
letto più volte il resoconto di questo sogno, non
ne aveva pienamente compreso le implicazioni.
Espresse poi il desiderio di avviare opere sale-
siane nelle Isole Samoa e di diffondere quindi le
attività in altre nazioni insulari.
Nel 2008 il vescovo Patrick Dunn invitò don
Frank Moloney, che all’epoca era a capo dell’I-
spettoria dell’Australia-Pacifico, a inaugurare
una presenza salesiana nella città di Auckland.
Mercoledì 8 aprile 2009 don James Adayadiel,
missionario nelle Isole Samoa da oltre 30 anni,
partì alla volta della Nuova Zelanda. Don Ma-
thew Vadakkevettuvazhiyil, dell’Ispettoria sa-
lesiana dell’Africa orientale, lo raggiunse nel
12
Maggio 2016

2.3 Page 13

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Un momento di
preghiera dei
giovani della
parrocchia
salesiana.
A pagina
precedente: la
comunità salesiana
di Massey al
completo.
settembre 2009. La parrocchia di San Paolo a
Massey fu affidata ai Salesiani, che il 31 gennaio
2010 avviarono così formalmente la loro prima
presenza salesiana in Nuova Zelanda. Presto si
aggregò a loro don Mika Leilua. La prima comu-
nità era dunque costituita da tre Salesiani.
Nel mese di agosto del 2010 don Mathew si tra-
sferì nella parrocchia di Helensville, dove prestò
la sua opera per circa tre anni. All’inizio del 2012,
don James lasciò il servizio e don Mika Leilua fu
nominato parroco, mentre don Aleki Piula arri-
vò dalle Isole Samoa per aiutarlo. La diocesi era
felice della presenza dei Salesiani e il Vescovo ci
affidò una seconda parrocchia ad Avondale. Il
31 gennaio 2013 fu affidata ai Salesiani la par-
rocchia di Maria Immacolata ad Avondale. Don
Mathew Vadakkevettuvazhiyil fu nominato par-
roco e don James Adayadiel viceparroco.
Il 22 gennaio 2016 don Joseph Pham, provenien-
te dall’Ispettoria Salesiana del Vietnam, è entrato
a far parte della Comunità Salesiana di Massey /
Avondale per rafforzare e consolidare la presenza
salesiana nella città di Auckland.
ta di una Chiesa missionaria, si presenta l’urgente
necessità di suscitare l’interesse per Gesù presso
persone che non lo conoscono oppure hanno una
fede tiepida o hanno smesso di praticarla. Tutte
le nostre attività e i nostri progetti sono orientati
verso questo obiettivo.
I Salesiani sono anche attenti alle necessità spiri-
tuali e si impegnano al servizio della formazione
cattolica degli allievi delle due scuole elementari
gestite all’interno delle nostre parrocchie. Ac-
compagnare gli allievi ogni giorno nel loro per-
corso in spirito di amicizia con loro e con i loro
genitori è gratificante. Le nostre scuole diventano
sedi di evangelizzazione, poiché alcuni bambini
chiedono di ricevere il battesimo.
L’animazione della Famiglia Salesiana, e in parti-
colare degli exallievi di don Bosco e degli Amici
di don Bosco, è un’altra importante opera di que-
sta comunità. C’è molto da fare per realizzare la
vocazione dei Cooperatori salesiani.
La nostra Comunità Salesiana considera una
priorità raggiungere i giovani per le strade e pre-
stare attenzione ai rifugiati e ai migranti.
Quali sono oggi le nostre opere?
Le nostre parrocchie, come tutte le altre parroc-
chie salesiane, alimentano la fede della gente e
cercano di mettersi in ascolto delle necessità di
tutti e in particolare dei giovani. Dato che si trat-
Perché lei si trova in Nuova
Zelanda? Qual è la storia
della sua vocazione?
Sono nato e cresciuto in India. Sono nato in una
felice famiglia cattolica che conta sette figli. Fin
Maggio 2016
13

2.4 Page 14

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SALESIANI NEL MONDO
I parrocchiani
intorno al
loro parroco e
alla bandiera
nazionale.
14
da quando ero bambino ho nutrito il desiderio di
diventare sacerdote missionario. Dopo aver con-
seguito il diploma, sono entrato nell’Aspirantato
Salesiano e ho seguito il percorso del noviziato
a Kottagiri e gli studi di filosofia a Yercaud, in
India. A quell’epoca i Salesiani dell’India furono
invitati a entrare a far parte del Progetto Africa
in Africa Orientale. Sono felice di dire che la mia
richiesta fu accettata e nel 1983 fui mandato a
Marsabit, in Kenya, per il tirocinio.
Dopo aver lavorato in Africa per oltre 25 anni,
ho avvertito il bisogno di cambiare e desideravo
lavorare in un altro Paese e in un altro ambien-
te. Grazie all’intervento di don Vaclav Klement,
all’epoca Consigliere per le Missioni, mi sono
trasferito in Nuova Zelanda, dove l’Ispettoria Sa-
lesiana dell’Australia-Pacifico avrebbe avviato la
prima opera nel 2010.
Qual è il futuro della Chiesa
in Nuova Zelanda?
Questa domanda è molto importante e non sono
certo di poter rispondere in modo autorevole.
Ad Auckland vive un terzo della popolazione della
Nuova Zelanda e si tratta di una città multicultu-
rale. Le nostre chiese sono piene di cattolici immi-
grati. Gli immigrati hanno portato con sé la loro
fede e per loro la fede è importante. Devo dire che
il futuro della Chiesa è nelle mani dei migranti.
Credo che il futuro della Chiesa sia anche nelle
mani delle donne e dei nonni. Nella maggior parte
dei casi è la madre a prendere l’iniziativa di far bat-
tezzare i suoi figli e a interessarsi della loro educa-
zione religiosa e della formazione nella fede. I non-
ni svolgono un ruolo significativo per incoraggiare
la crescita nella fede cattolica dei nipoti. Questi
segni sono incoraggianti, in termini di fede.
Mentre il numero di vocazioni è in calo, regi-
striamo vocazioni da parte di immigrati, in parti-
colare provenienti dall’Asia e dal Pacifico.
Le nostre scuole cattoliche sono sedi di evange-
lizzazione. Attraverso le scuole cattoliche viene
impartita un’educazione religiosa a tutti i bam-
bini. L’interesse della gente per la fede cattolica,
l’aumento del numero dei battesimi e la frequen-
za degli altri Sacramenti, il riavvicinamento alla
fede dei cattolici, l’attenta partecipazione alle
messe domenicali, le numerose persone che pre-
stano opera di volontariato nelle parrocchie per
varie attività sono segni di impegno e di crescita.
La Chiesa continuerà a crescere e darà il suo con-
tributo specifico soprattutto per la costruzione di
una società che sia in grado di far sentire la sua
voce e di diventare profetica, camminando con i
poveri e con gli emarginati.
E i Salesiani?
Il Rettor Maggiore, durante la sua visita in Nuova
Zelanda nel maggio 2015, ha ribadito l’impegno
dei Salesiani in Nuova Zelanda e il loro contribu-
to per la Chiesa ad Auckland.
Ha quindi mandato qui un nuovo confratello dal
Vietnam. L’accordo con la Diocesi è stato rin-
novato. Siamo felici dell’affetto manifestato nei
nostri confronti dalla gente, dal clero e dalla co-
munità intesa in senso più ampio. Questi segni
mostrano che c’è bisogno di noi in Nuova Zelan-
da e che abbiamo molto da offrire ai giovani e in
generale alla Chiesa.
Maggio 2016

2.5 Page 15

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Fondazione
DON BOSCO
NEL MONDO
La Fondazione DON BOSCO NEL MONDO grazie
al 5x1000 quest’anno sta realizzando il progetto
di protezione sociale e di sicurezza alimentare
per i minori a rischio nella città di Guayaquil in
Ecuador.
Obiettivo del progetto è garantire l’accesso al cibo
e alla salute di 620 bambine, bambini e
adolescenti di strada e in situazione di
vulnerabilità accolti nei quattro “Centros
de Referencia” che i missionari salesiani
gestiscono per tutelare l’infanzia a rischio.
Insieme a quanti hanno deciso di destinare
il 5x1000 alla Fondazione DON
BOSCO NEL MONDO è possibile
ancora una volta essere nelle
strade delle zone più povere del
mondo per offrire ai bambini
di strada la possibilità di
un sano sviluppo fisico e
psichico, l’opportunità
di una vita migliore.

2.6 Page 16

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A TU PER TU
O. PORI MECOI
Traduzione di Marisa Patarino
La nostra missione è
portare Dio nel mondo
Incontro con don Ivo Coelho,
Consigliere per la Formazione.
Don Ivo condivide con
il Rettor Maggiore
l’impegno non facile della
formazione spirituale
della Congregazione
e della Famiglia Salesiana.
ne che ci invitava a leggere perché poi
presentassimo agli altri il contenuto
che avevamo appreso. Sapeva anche
porre le domande giuste al momento
opportuno, per noi e per le nostre fa-
miglie. Sono così arrivato all’aspiran-
tato di Lonavla, e infine, con tutte le
decisioni piccole e grandi che hanno
costellato il cammino, nel noviziato
salesiano che in quegli anni operava a
Yercaud, nell’India meridionale.
Qual è la storia
della sua vocazione?
Sono cresciuto in una parrocchia sa-
lesiana di Mumbai, dove abbiamo
avuto la benedizione della presenza
di un giovane salesiano molto dina-
mico, che curava in modo particolare
la formazione dei ministranti. La sua
opera andava ben al di là dell’organiz-
zazione di giochi e pic-nic e delle ini-
ziative riguardanti la visione di film e
altri momenti ricreativi. Don Mathew
Thalanany, che è ancora vivo e felice,
comprese molto bene che la pastorale
giovanile salesiana va oltre l’attenzione
per il tempo libero, perché riguarda la
formazione e l’evangelizzazione. Don
Mathew Thalanany riservava partico-
lare attenzione alla nostra vita sacra-
mentale e a poco a poco ci presentò
don Bosco e i suoi ragazzi. Aveva an-
che una piccola biblioteca (si trattava
solo di un modesto armadio) con libri
su Domenico Savio e Michele Mago-
Quali sono stati i momenti
più felici della sua vita
salesiana?
Se ripenso ai momenti più felici della
mia vita salesiana, ricordo subito l’an-
no di tirocinio pratico con i ragazzi e i
giovani in difficoltà nella Casa “Bosco
Boys Home” a Borivli, vicino a Mum-
bai. Ricordo anche altri momenti,
come gli 8 anni che ho trascorso adem-
piendo l’incarico di Rettore e docente
nel postnoviziato di Nashik, vivendo
esperienze splendide con i giovani
postnovizi e con i giovani di Nashik, e
i 3 anni in cui ho risieduto a Ratisbona,
16
Maggio 2016

2.7 Page 17

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«Don Bosco ci ha insegnato che la formazione
è questione di cuore e credo che questa sia la
grande sfida».
in Terra Santa: è stato un periodo in-
dimenticabile per la comunità e per la
grazia di poter provare la concretezza
dell’incarnazione nella terra in cui Dio
ha scelto di camminare.
Qual è il compito
del Consigliere
per la Formazione?
Il quesito riguardante l’opera di Con-
sigliere Generale per la Formazione è
una buona domanda. Lo comprendo
assistendo il Rettor Maggiore nel suo
compito di promuovere «la costante
fedeltà dei confratelli al carisma sale-
siano» (C126). Le Costituzioni parla-
no chiaramente di «promozione della
formazione integrale e permanente dei
confratelli», con particolare attenzione
per la formazione iniziale. È interes-
sante che le Costituzioni, quando par-
lano di “formazione”, intendano la for-
mazione globale, che termina solo con
la morte e che comprende la formazio-
ne iniziale come uno dei momenti del
percorso. È una vera sfida: condurre
tutta la comunità, tutti i confratelli, a
comprendere, accettare e vivere tutto
questo, dedicando pure particolare at-
tenzione alla formazione iniziale.
Secondo lei, qual è il
livello di formazione della
Congregazione Salesiana?
Abbiamo documenti importantissimi,
che sono molto ammirati e apprezzati
da tante altre congregazioni religiose.
La nostra sfida consiste nel conoscerli,
assimilarli e, soprattutto, metterli in
pratica. È interessante come abbiamo
un punto di vista radicalmente nuo-
vo sulla formazione permanente dal
1984. Nelle Costituzioni promulgate
nel 1984, la parola “formazione” fa
riferimento alla formazione perma-
nente, all’interno della quale la forma-
zione iniziale è solo uno dei momenti,
sebbene sia essenziale. La chiamata
di Dio è permanente e continua, e la
formazione, che è la nostra risposta
a questa chiamata, è altrettanto per-
manente e continua (si veda C96). Si
potrebbe dire che la formazione per-
manente sia un atteggiamento conti-
nuo di discernimento, “fare esperienza
dei valori della vocazione salesiana”
(C98), la capacità di discernere la voce
dello Spirito negli avvenimenti della
vita quotidiana (C119), la capacità di
vedere Dio nelle persone da cui siamo
mandati (C95).
Come potrebbe essere una
formazione spirituale per la
Famiglia Salesiana?
Don Bosco ci ha insegnato che la for-
mazione è questione di cuore, e credo
che questa sia l’altra grande sfida: fare
in modo che la formazione iniziale,
in particolare, sia una questione di
cuore. Se il cuore non viene toccato,
non vi è nessuna formazione. Non vi
è alcuna formazione, se rimaniamo
solo al livello di una conformità ester-
na, lasciando che il nostro cuore sia
sollecitato da ogni sorta di altre moti-
vazioni. Si avverte quindi la necessità
di una preparazione sistematica dei
nostri formatori e dei nostri rettori,
ricorrendo a ogni aiuto che le scien-
ze umane possono dare, e attingendo
dalla tradizione semplice, ma straor-
dinaria, che don Bosco ci ha lasciato.
Quanti sono attualmente
i noviziati e gli studentati
del mondo?
Al momento il mondo salesiano conta
circa 40 noviziati, con una media di
450 novizi ogni anno. Abbiamo ap-
pena terminato un corso per i maestri
dei novizi di lingua italiana, spagnola
e portoghese, a cui hanno preso parte
circa 20 allievi. A novembre 2016 ter-
remo un altro corso per maestri dei no-
vizi di lingua inglese, che sarà seguito
Maggio 2016
17

2.8 Page 18

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A TU PER TU
da altri 20 partecipanti. Ci sono poi
postnoviziati di vario genere: alcuni
che hanno un loro centro di studi, al-
tri organizzati in centri gestiti da altre
congregazioni religiose o dalla diocesi.
C’è poi il momento della formazione
specifica. Abbiamo diversi centri per
salesiani coadiutori, tra cui
a
Città del Guatemala, Sandor House a
Paranaque, nelle Filippine, e altri per
candidati a diventare sacerdoti salesia-
ni. Oltre a questi, praticamente ogni
ispettoria ha una propria comunità di
munità di formazione in diverse parti
del mondo e scoprire giovani Salesiani
e candidati alla vita religiosa che pos-
sono essere considerati semplicemente
meravigliosi. Posso solo dire che Dio
continua a mandarci giovani straordi-
nari. E penso che con questo suo dono
ci inviti a essere preparati meglio ad
accoglierli e accompagnarli.
La Famiglia Salesiana è un tesoro
ancora da scoprire in molte parti del
mondo. Ricordo a questo proposito
l’invito di don Chávez: passare dal-
to Rettor Maggiore, incontrò i parte-
cipanti al programma di formazione
di Quito: è stato semplicemente stra-
ordinario vedere tanti laici alzarsi per
parlare con semplicità e orgoglio del-
la loro “vocazione salesiana”. Quito è
una delle grandi tappe fondamentali
della formazione di Salesiani e laici
insieme, ma ci sono anche molte altre
meravigliose esperienze che dobbia-
mo scoprire e da cui possiamo impa-
rare, come quelle del Belgio e della
Spagna.
prenoviziato. Penso che il prenovizia-
to dovrebbe essere considerato con la
stessa serietà riservata al noviziato, ma
questa deve ancora diventare una real-
tà nella nostra congregazione, malgra-
do l’insistenza su questo aspetto degli
ultimi anni.
Quali sono i motivi
di maggior soddisfazione?
La mia gioia più grande è stata sicu-
ramente la possibilità di visitare co-
la mentalità tipica di un’associazione
a quella peculiare di un movimento.
Gli ultimi documenti della Famiglia
hanno infatti enormemente amplia-
to il campo di azione della Famiglia
stessa, in modo che abbracci tutti i
numerosi amici e ammiratori di don
Bosco, cioè i tanti laici che condivi-
dono la missione di don Bosco. Ri-
cordo l’esperienza che ho vissuto
qualche anno fa a Valdocco, quando
don Ángel, che era appena stato elet-
Lei ha fatto un bel
documento sulla
“Vita come preghiera”.
Come possiamo realizzare
una “vita come preghiera”?
Lo riassumo per me come il sempli-
ce invito a Venire e Vedere: vedere
Dio in coloro ai quali siamo inviati e
mostrare loro Dio. Mi piace pensare
alla nostra vocazione come un’epifa-
nia: non siamo chiamati a essere per-
sone che lavorano per i giovani e per
il ceto dei lavoratori, ma persone che
sono segni e portatori dell’amore di
Dio per loro. Il volto misericordioso
del Padre per loro. E le nostre Costi-
tuzioni ci rivolgono il meraviglioso
invito a vedere Dio anche in coloro
dai quali siamo mandati. Dio infatti
è di fronte a noi, presente e operante.
Siamo chiamati a vedere, a ringrazia-
re, a pregare, a intercedere. I giovani
sono il nostro roveto ardente: siamo
chiamati a riconoscere questa realtà
e a toglierci i sandali. Siamo invita-
ti a permettere loro di entrare nella
nostra consapevolezza e nella nostra
preghiera.
18
Maggio 2016

2.9 Page 19

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INIZIATIVE
MICHELE NOVELLI - michele.novelli@poste.it
A scuola di solidarietà
“Il mio caro lontano compagno di banco”
Diario scolastico 2016-2017
Dietro la spinta di Missioni Don Bosco e
del (la dei Salesiani), vede la luce
un diario che, a buona ragione, potrebbe
innanzitutto definirsi “missionario”, cioè
mirato a suscitare negli alunni un’atten-
zione solidale ai loro pari età meno for-
tunati sparsi nel sud del mondo.
Il titolo, un po’ lungo ma decisamente significa-
tivo, suona:
. E l’idea che lo caratterizza è che que-
sto diario vale doppio: ogni bambino italiano che
lo acquista, automaticamente ne regala uno iden-
tico ad un altro bambino che va a scuola lontano
dall’Italia. Naturalmente quest’altro bambino lo
riceverà nella sua lingua e quindi il diario (pro-
babilmente caso unico nel settore) ha 5 edizioni:
italiano, spagnolo, portoghese, francese, inglese.
Se questa della solidarietà personale è la
caratteristica fondamentale, non è certo
l’unica. Ogni mese il presenta una
scuola con cui le classi italiane possono
gemellarsi, disseminate nelle più svariate
parti del mondo: dall’Angola all’Alba-
nia; dalla Bolivia al Camerun; dalla Li-
beria al Madagascar; da Betlemme alla
Repubblica Democratica del Congo.
Il leit-motiv che accompagna le pagine
del diario è dato dalla storia (in 9 tap-
pe, una per mese) di Jonathan Junior (di
Bruno Ferrero) il figlio del celebre Jona-
than Livingstone. Una storia nata per
accompagnare i preadolescenti nella loro
crescita verso la maturità e indurli a scel-
te consapevoli e coraggiose.
Agli insegnanti e agli Edu-
catori in genere, viene offer-
to un sussidio che possa va-
lorizzare questo percorso.
Gli autori del diario ten-
gono a sottolineare che
il suo uso potrebbe non essere
prettamente scolastico. Può benissimo essere un
sussidio per i gruppi di bambini e preadolescenti
presenti negli Oratori, nelle Parrocchie, nella Ca-
techesi, nelle Associazioni in genere.
Il costo, tenuto popolare, prevede anche sconti
per quelle Istituzioni che ne adottano un certo
numero.
Tutte le informazioni sul sito del diario:
www.diarioscolastico.com
Maggio 2016
19

2.10 Page 20

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MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
2
1
SENEGAL 1
NICARAGUA 2
FINO AI CO
Progetto in favore
delle donne
Venerdì 11 marzo si è concluso
presso il centro salesiano “Kër Don Bosco” il progetto
“Apprendimento dei mestieri attraverso la formazione e
l’educazione dei giovani in condizioni di esclusione so-
ciale e alfabetizzazione delle donne del Comune di Yoff ”
a Dakar, in Senegal. È un progetto che affronta insieme
i problemi dell’alto tasso di disoccupazione giovanile di
Yoff, a causa delle basse qualifiche professionali di tanti
ragazzi a rischio, e la condizione di vulnerabilità delle
donne in quell’area.
Le disuguaglianze tra uomini e donne non danno pos-
sibilità alle donne di accedere al mercato del lavoro o a
un’economia e a degli incarichi che favoriscano l’equità:
le donne nell’area rappresentano solo il 13% dell’occu-
pazione totale. Ma c’è anche un altro problema: l’alta
percentuale di analfabetismo tra la popolazione giovanile
delle aree rurali, che raggiunge le vette più alte tra le
donne e le ragazze.
Durante lo sviluppo del progetto è stato costruito ed
equipaggiato un centro socio-educativo, che dispone di
una grande sala polivalente, una sala informatica, tre la-
boratori, due aule per l’alfabetizzazione, una sala riunioni
e alcuni uffici. Al termine dei lavori sono stati avviati i
primi corsi di formazione ai mestieri: sartoria, cucina e
idraulica per circa 70 giovani, oltre al corso di alfabetiz-
zazione per più di 150 donne.
Speranza tra i bambini più bisognosi
A febbraio 2016 per la sesta volta la scuola salesiana
“Don Bosco Prep” di Ramsey, Stati Uniti, ha inviato una
spedizione missionaria giovanile in Nicaragua. 23 allievi
superiori, accompagnati da 12 adulti, hanno raggiunto
Masaya e collaborato al lavoro pastorale presso il cen-
tro della Fondazione Mamma Margherita e vi hanno
costruito una casa, che è la terza realizzata in loco dagli
allievi dell’istituto salesiano statunitense.
In questa occasione gli studenti hanno portato vesti-
ti, giocattoli e strumenti per l’igiene dentale. Tutti i
giovani missionari tra le loro attività hanno preparato
da mangiare e distribuito il cibo agli affamati nei pressi
della discarica di Masaya. Lo studente Parker Stone,
inoltre, nell’ambito di un progetto scout, ha portato
pure 100 zaini con materiale scolastico per altrettanti
bambini del centro; l’insegnante d’Arte Veronica Cutter
ha aiutato gli allievi americani a realizzare un murales
su un edificio della Fondazione Mamma Margherita. E
va segnalato pure che 4 bambini di Masaya quest’anno
possono studiare e frequentare la scuola salesiana grazie
alla borsa di studio dedicata alla memoria di Andy
Feliz, un allievo del Don Bosco Prep prematuramente
scomparso.
20
Maggio 2016

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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MONGOLIA 3
Il lavoro
missionario
nel paese
3
PAPUA NUOVA GUINEA 4
4
Salesiani e Figlie di Maria
Ausiliatrice insieme per
preparare educatori-evangelizzatori
“Sono preoccupato
al pensare ai bam-
bini che incontro
ogni giorno. Le famiglie mongole non si prendono cura
dei loro figli, s’interessano solo quando il governo dà loro
dei soldi. La mancanza di reddito poi fa sì che spesso le
famiglie si dividano. I bambini soffrono di più perché
restano sulla strada dove rubano, subiscono abusi ses-
suali o si prostituiscono”. È la dura realtà che racconta il
salesiano coadiutore Krzysztof Gniazdowski, missionario
in Mongolia.
In Mongolia la terra non è di nessuno. La terra si con-
divide e si ama; su di essa i Mongoli si muovono con
rispetto e seguendo le tradizioni stagionali. I Mongoli
non hanno un loro posto. O si accampano, o camminano.
“È difficile costruire la Chiesa su delle fondamenta
mobili – continua il sig. Krzysztof –. Nel 2013 la Chie-
sa Cattolica in Mongolia ha festeggiato il suo primo
anniversario: vent’anni di Cristianesimo in Mongolia.
Quest’anno celebreremo l’ordinazione del primo sacerdo-
te locale, che ha studiato in Corea e sarà ordinato in terra
mongola”.
I Salesiani hanno due case nel paese. Nella capitale,
Ulaanbaatar, e a Darkhan. Sono due comunità interna-
zionali. Ad Ulaanbaatar ci sono la scuola tecnica “Don
Bosco” e il rifugio per i bambini di strada. La scuola, che
forma circa 300 studenti, ha una buona reputazione e il
giorno degli esami finali i rappresentanti delle aziende
aspettano i diplomati fuori dalla porta.
Il “Don Bosco Technological Institute” ( ) è un isti-
tuto universitario a Port Moresby, Papua Nuova Guinea,
dove i Salesiani ( ) e le Figlie di Maria Ausiliatrice
( ) lavorano insieme per preparare i giovani a essere
istruttori tecnici ed educatori nelle scuole secondarie.
Esso mira a formare gli studenti ad essere servi-leader
(Gv 13, 13-14) nella loro società.
Molti studenti appartengono a diverse confessioni
cristiane, alcuni sono membri di famiglie i cui genitori
appartengono a chiese diverse; alcuni non sono nemme-
no battezzati. Molti di loro poi chiedono di ricevere il
battesimo. Per i futuri educatori ci sono corsi di cateche-
si, studi sul Sistema Preventivo e la Pastorale giovanile
salesiana. Gli studenti non solo imparano l’insegnamento
sociale della Chiesa, ma hanno anche attività di sen-
sibilizzazione per i poveri. L’identità cattolica è molto
sostenuta e promossa nel campus.
Infine, la testimonianza di spirito di famiglia tra ,
, Salesiani Cooperatori, exallievi/e, collaboratori
e studenti è un potente mezzo per il primo annunzio,
suscitando l’interesse per Gesù Cristo e il suo Vangelo.
Lo sforzo continuo degli e delle per servire
con gioia e dedizione è un’esperienza di famiglia. Ciò
contribuisce al funzionamento armonioso dell’istituzione
e di quell’ambiente familiare che promuove il successo
nell’educazione.
Maggio 2016
21

3.2 Page 22

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3.3 Page 23

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3.4 Page 24

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LE CASE DI DON BOSCO
Cento anni di giostra!
L’opera salesiana “San Matteo” di Messina dopo il terremoto del 1908. Il terreno fu adibito
Giostra è un magnifico sogno diventato realtà: a baracche, attorno alle quali prese presto vita la
“Da soli si va veloci, insieme si va lontano”! Chiesa di S. Leonardo in S. Matteo, dapprima
data in gestione alla Curia, poi passata ai Salesia-
Questo lo slogan dei festeggiamenti ni. Con don Di Gaetano, l’8 dicembre 1915, ini-
del centenario dell’Opera e il leit-motiv ziò la missione dei figli di don Bosco, che seppero
dare vita ad una vera e propria “casa che educa
di salesiani e collaboratori che da cento anni alla vita”, facendo fronte alle condizioni di preca-
rietà economica, culturale e sociale del quartiere.
seminano instancabilmente tracce di bene che, Negli anni, salesiani e giovani si sono susseguiti,
con le gambe dei giovani oratoriani, alla sequela di un carisma, quello salesiano, che
si diffondono per il mondo. coinvolge e interpella ciascuno a spendersi per i
giovani, specialmente per quelli più bisognosi, e
oggi, come ieri, le sfide sono pressanti.
T utto ebbe inizio 100 anni fa grazie alla
generosità del principe di Collereale e
della moglie, che misero a disposizione
del Comune di Messina una tenuta at-
torno alla loro villa (Villa Lina) per aiu-
tare la popolazione rimasta senza casa
Un quartiere difficile
Il quartiere, tra i più popolosi per presenza gio-
vanile, ha un alto tasso di degrado, disoccupa-
zione, dispersione scolastica, povertà economica
e culturale ed è triste palcoscenico di attività
delinquenziali che coinvolgono anche giovani e
minori. Tali problematicità si accompagnano a
un forte desiderio di cambiamento e riscatto e a
potenzialità inespresse che costituiscono il pun-
to di partenza degli educatori, quotidianamente
intenti a “tirar fuori” le qualità dei “più disgra-
ziati”. La sfida si fa concreta nelle animazioni
dell’Opera salesiana, Centro giovanile e Parroc-
chia, punto di riferimento per tutta la zona. È
“opera”, che è attiva, “in opera”, al servizio della
gente ed è “opera”, creatura di Dio. Se animare
significa dare anima, soffio vitale alle cose, le
attività dell’Opera mirano a dar vita, speranza,
energie nuove a ogni persona che entra in con-
tatto con essa. La parrocchia e l’oratorio, parti di
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Maggio 2016

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uno stesso corpo, legate dalla stessa anima, l’O-
pera salesiana, promuovono quanto è utile per la
vita della comunità.
Nella parrocchia, diretta e coordinata dal Diret-
tore-Parroco, don Enzo Pisano, coadiuvato da
don Giuseppe Cigna, sono attivi numerosi grup-
pi tipici delle nostre case, segno di grande vitalità
salesiana. Menzione speciale merita la catechesi
dei ragazzi, che da 5 anni segue l’impostazione
catecumenale per i sacramenti dell’iniziazione
cristiana indicata dalla : di essa si occupa par-
ticolarmente don Salvatore Barbetta, che è anche
vicario della comunità.
L’oratorio-centro giovanile è punto di incontro
di bambini, giovani, adulti, anziani, famiglie,
gruppi. Molte le attività: sport, musica, teatro,
doposcuola, educazione alla legalità, danza litur-
gica…; a realizzarle concorrono cooperatori, ex-
allievi, gruppi giovanili, associazioni, famiglie:
dietro ogni realtà ci sono animatori e volontari,
che dedicano il proprio tempo alla realizzazione
di un sogno iniziato duecento anni fa, ma sempre
attuale.
Pallone, chiacchiere e lavoro
Ogni giorno il cortile ospita numerosi ragazzi
intenti a giocare a pallone o a fare quattro chiac-
chiere in attesa delle attività; la preghiera pome-
ridiana, accompagnata da una breve riflessione
del direttore dell’oratorio, don Arnaldo Riggi, è
un momento di comunione che, come la “buona
notte” di don Bosco, è da stimolo alla riflessione
personale. Qui è possibile incontrare i ragazzi che
non fanno parte dei vari gruppi e a cui è sempre
importante far sperimentare la presenza di un
amico e modello da seguire. Particolare attenzio-
ne viene data all’assistenza. Prima dell’apertura
pomeridiana, giovani, adulti, docenti e volonta-
ri del servizio civile si occupano del doposcuola,
che trova il suo punto di riferimento nel salesiano
tirocinante Marco Tomaselli. Considerati lo scar-
so profitto di molti e l’elevato tasso di dispersio-
ne scolastica che si registra nel territorio, questa
attività è quanto mai necessaria sia per colmare
lacune nelle varie discipline sia per generare au-
tonomia di pensiero e stimolare all’istruzione, es-
senziale per trovare impieghi dignitosi ed essere
Accanto: Gli
animatori
dell’Oratorio.
A pagina
precedente: Art
Attack!
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3.6 Page 26

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LE CASE DI DON BOSCO
in grado di far valere i propri diritti. A usufruire
di questo servizio sono più di 50 ragazzi, mes-
sinesi e immigrati. I cortili dell’oratorio, oltre a
ospitare quanti giocano a calcio (tra cui anche una
squadra di minori migranti ospiti nei Centri di
accoglienza cittadini), sono la sede degli allena-
menti della (calcio, basket e pallavolo), segui-
ti da allenatori che, attraverso lo sport, educano
al rispetto delle regole e al benessere psico-fisico.
L’oratorio-centro giovanile è dotato di tre cortili e
numerose stanze; a renderle vive sono attività va-
rie e riunioni dei molteplici gruppi. Interessante
l’iniziativa portata da diversi anni dalla comunità
e dal centro locale dei salesiani cooperatori,
che sperimentano la fraternità nella formazione
condivisa mensile. Il teatro dell’oratorio è sede
delle prove e degli spettacoli della “Compagnia
degli Orattori”.
La varietà delle proposte costituisce una ricchez-
za per tutto il territorio e un’attrattiva per i ra-
gazzi, chiamati a essere “buoni cristiani e onesti
cittadini”. È questo il titolo di un progetto, por-
tato avanti dall’Associazione
Don Bosco
S. Matteo, che opera all’interno dell’Oratorio,
dal “Gruppo teatrale Angelo Maio” (nato più
di trent’anni fa in oratorio), in collaborazione con
l’Ispettoria salesiana sicula e l’oratorio salesiano
di Barcellona Pozzo di Gotto, e finalizzato alla
diffusione della cultura della legalità attraverso
laboratori di fotografia, murales, percorsi forma-
tivi, sport, teatro, cineforum...: frutto del proget-
to è anche il “murale della legalità” ben visibile
nella piazza antistante l’oratorio.
Don Bosco con le braccia aperte
L’Opera non va mai in vacanza, cambia solo veste.
D’estate i locali dell’oratorio si colorano delle ma-
glie dei bambini di Grest e mini-Grest; tra gite,
giochi, danze e momenti formativi, luglio passa
in fretta; agosto è il mese delle uscite, dei campi-
scuola e degli incontri con altri giovani di Sicilia,
d’Italia e del mondo, importanti per condividere
le proprie esperienze e respirare a pieni polmoni
la spiritualità giovanile salesiana. D’inverno, una
volta al mese, ci si riunisce con altri giovani del
di Messina per la “tenda della riconciliazio-
ne” (penitenziale per i giovani nel Giubileo della
Misericordia), e spesso ci si incontra con il
La festa di don
Bosco. “L’Opera
non va mai in
vacanza, cambia
solo veste”.
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3.7 Page 27

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di zona e con la diocesi, convinti della ricchezza
dell’incontro con l’altro.
Fondamentale l’accoglienza: la rendono subito
evidente una riproduzione del “Don Bosco con le
braccia aperte di Valdocco” e la costante presenza
del salesiano don Giuseppe Polizzi, che accoglie
tutti e ciascuno con un amichevole saluto e un
preciso ricordo.
Naturale la domanda a don Arnaldo: perché è
importante accogliere i ragazzi che entrano in
oratorio?
«L’accoglienza è fondamentale per instaurare un
clima positivo e gioviale tra gli assidui frequenta-
tori del cortile: chiamarli per nome significa dar
testimonianza di conoscere le loro storie, interes-
sarsi alle loro vite e voler loro bene. Ed è anche
importantissima per quanti entrano per la prima
volta nel nostro ambiente: chi si sente a casa, è più
felice di tornarci!».
Sempre a don Arnaldo chiedo quanta fatica ci sia
nell’impegnarsi costantemente per raddrizzare i
“sentieri storti” di ragazzi che a volte finiscono
per perdersi.
«La fatica è umana e le delusioni anche, ma io e i
miei confratelli, coadiuvati dai laici, non ci scorag-
giamo perché crediamo che un cambiamento pos-
sa realizzarsi e sappiamo di aver riposto la nostra
fiducia nel Signore Risorto. Cerchiamo, quando
possibile, di seguire le situazioni dei ragazzi che
ci destano più preoccupazione, di creare rete con
le famiglie, quando presenti, e di essere comun-
que sempre a loro disposizione. Sapere di avere
un amico che ti vuol bene per come sei e non per
quello che fai o che hai, può essere incoraggiante al
punto da far cambiare vita: è il potere dell’amore di
Gesù: don Bosco ci credeva; se non ci credessimo
anche noi, che figli di un sognatore saremmo?».
Al direttore don Enzo chiedo come coniughi la
sua missione salesiana e quella di parroco.
«Sono un salesiano presbitero, che svolge la sua
missione salesiana da parroco, in un ambiente
popolare e pienamente corrispondente al cari-
sma salesiano; cerco di mettermi al servizio delle
persone lavorando per “la maggior gloria di Dio
e la salvezza delle anime”, così come voleva don
Bosco! Sono aiutato in questo da tanti che per
anni hanno condiviso la nostra missione salesia-
na. Mi rendo inoltre presente in oratorio per stare
in mezzo ai giovani e, con una certa regolarità,
verifichiamo le varie iniziative e attività con i
confratelli».
All’Opera salesiana S. Matteo il lavoro non man-
ca, ma non mancano neanche l’entusiasmo e la
gioia di vivere con i giovani e per i giovani; gli al-
legri festeggiamenti del centenario, alla presenza
del Rettor Maggiore, lo hanno dimostrato. Nel
nome di Giovanni quel sogno si fa oggi realtà in
questo quartiere in cui si investe ancora nell’edu-
cazione, certi che da soli, forse, si andrà più velo-
ci, ma solo insieme si potrà andare lontano!
I festeggiamenti
del centenario con
il Rettor Maggiore.
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3.8 Page 28

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I NOSTRI SANTI
LIA LAFRONTE
Sposi, genitori,
salesiani, santi RosettaFranzi
serva di Dio insieme al
marito Giovanni Gheddo.
Rosetta Franzi e Giovanni Gheddo, in cammino
verso la proclamazione della loro santità da parte
della Chiesa, sono stati una coppia semplice
e giovane. Fusione perfetta dell’amore umano e
divino, hanno eucaristicamente donato la vita.
Rosetta, martire della maternità, Giovanni
dell’estrema generosità sul campo di battaglia.
I coniugi Gheddo.
Il loro matrimonio
durò solo 6 anni
ma fu ricchissimo.
Rosetta nacque il 3 dicembre
1902 a Crova ( ), in una fa-
miglia molto religiosa com-
posta dal padre Francesco,
dalla mamma Maria Rovie-
ra, donna di Azione Cattoli-
ca, e da tre sorelle. Il papà nel 1889
era entrato all’Oratorio Salesiano di
Torino Valdocco perché voleva diven-
tare sacerdote: ambizione abbando-
nata per le necessità della famiglia a
causa della morte improvvisa del pa-
dre. Tra le figliole Franzi, tutte cre-
sciute nella preghiera quotidiana, era
la piccola Rosetta che si distingueva
per la partecipazione quotidiana alla
Messa ed alle altre funzioni. Ac-
compagnava volentieri la mamma in
chiesa e mostrava uno spiccato amore
per Gesù, Maria e per i Santi. Già da
bimba aveva gesti semplici di carità:
questa propensione divenne sempre
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Maggio 2016

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più grande e connotò
la sua vita. Dal 1914
frequentò le scuo-
le delle Figlie di
Maria Ausiliatrice
di Casale Monfer-
rato, dove rimase a
convitto fino al 1920,
conseguendo il diploma di
maestra. In quegli anni assorbì il ca-
risma di don Bosco e di madre Maria
Mazzarello, approfondendo la cono-
scenza della loro vita ed i loro inse-
gnamenti. Fece propria la devozione
al Sacro Cuore tanto che formulò
questa intensa preghiera: “O Santo
Sangue sparso! O Sangue di pietà!
Cuore di Cristo aperto, Cuor pieno di
bontà! La grazia che Ti chiedo, fam-
mela per carità!”. Tornata a Crova, si
dedicò all’asilo curato dalla zia Mar-
gherita Molinaro, lavorando tutto il
giorno gratuitamente. Tale amore-
vole cura si allargò ai giovani ed agli
adulti senza istruzione, agli anziani.
Rosetta si donava non rifiutando nul-
la a nessuno: nell’insegnamento, nella
carità intesa come vera condivisione,
nell’organizzare rappresentazioni re-
ligiose, nella cooperazione in chiesa
come catechista e per i canti e le pro-
cessioni. Il suo donarsi era impron-
tato a due speciali virtù: l’umiltà ed
il grande rispetto per l’altro. Pregava
instancabilmente e faceva novene e
voti per ottenere grazie. Era convinta
del valore del sacrificio: “per chiede-
re, bisogna dare”. Quando faceva le
novene andava per chilometri a piedi
verso una cappellina lontana dalla sua
casa e si privava di cose materiali cui
teneva, come atto di mortificazione. I
familiari erano stupiti
della fede assoluta
che aveva nell’acco-
glimento delle sue
richieste al Signo-
re. La sua era una
dimensione spirituale
superiore anche se vive-
va la vita in modo sempli-
ce. Non era una mistica staccata dal
mondo ma viveva il mondo in modo
mistico. Era calata in una dolcezza ed
in un’umiltà tali che la facevano con-
siderare una figura vicina ed al tempo
stesso avvolta da una segretezza dia-
fana, ascetica. La vedevano come una
“Madonnina” perché ricordava le ico-
ne ammantate di celestialità.
Di lei fu scritto, due anni
dopo la sua morte,
che era un ‘fiore fra-
grante di celestia-
li profumi’. Il suo
modo speciale di
pregare, in chiesa, si
distingueva da quel-
lo degli altri fedeli in
un perché impalpabile. Fu
promotrice, con il suo confessore don
Giuseppe Oglietti, parroco di Crova,
dell’arrivo delle Suore Salesiane all’a-
silo della zia Margherita, nel 1927. Le
Suore, ancora molti anni dopo la sua
morte, la indicavano alle giovinet-
te che frequentavano l’oratorio come
esempio splendido di spiritualità.
Pochi mesi dopo l’arrivo delle Sale-
siane, Rosetta si iscrisse formalmente
all’ . Ella è dunque salesiana a
pieno titolo perché exalunna delle
Figlie di Maria Ausiliatrice e perché
iscritta tra i Devoti di Maria: ma lo è
soprattutto perché nel suo petto bat-
teva un cuore salesiano.
Missione Amore
La vita di Rosetta e la sua anima si
fusero, dal 1926, con la vita e l’anima
di Giovanni; tra loro fu intima unio-
ne per alti sentimenti d’amore e per
convergenza assoluta di valori.
Giovanni, nato a Viancino di Crova il
22 aprile 1900 da Pietro e da Augu-
sta Anna Campasso, era un giovane di
ideali che si ispiravano sia al carisma
salesiano, respirato con l’aria stessa
delle risaie vercellesi e fermentato con
il lievito delle letture di cui era avi-
do, sia ai principi cardine di Azione
Cattolica: preghiera, azione,
sacrificio. Appassionato
di matematica, tanto
che anche durante la
campagna di Russia
nelle lettere chiede-
va libri di algebra e
geometria, più che
maglie e calzettoni,
divenne geometra e dal
1918 iniziò la sua carriera
militare alternandola alla professione
per i frequenti richiami in servizio.
Nel 1926 divenne presidente dei Gio-
vani di Azione Cattolica e sempre ri-
mase fedele all’Associazione: indossò
il distintivo di A.C. ricusando sempre
quello del Partito Fascista, al quale
non si era mai voluto iscrivere. Questo
rifiuto, come quello di partecipare alle
manifestazioni civili e militari e l’aiu-
to prestato a dissidenti politici che, in
quanto tali, non riuscivano a trovare
lavoro, causarono a Giovanni la par-
tenza per la campagna di Russia, nel
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3.10 Page 30

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I NOSTRI SANTI
luglio del 1942: fu mandato in prima
linea in quanto oppositore del regime.
Il giovane esercitò la sua professione
come una missione: fu il “geometra
dei poveri”, non facendosi pagare da
chi non aveva mezzi e sempre cercan-
do di aiutare il prossimo. Era ritenu-
to tanto elevato spiritualmente e così
autorevole, per il suo amore assoluto
della pace e della giustizia, che veni-
va soprannominato “il paciere” ed era
chiamato a risolvere le liti, frequenti
all’epoca tra proprietari terrieri e tra
famiglie: lo faceva tenendo in mano il
Vangelo, non il codice.
Il 16 giugno 1928 Rosetta e Giovanni
si sposarono a Crova. Il matrimonio
di Rosetta e Giovanni durò solo 6
anni ma fu ricchissimo: iniziarono i
figli all’amore per Dio fin da piccoli,
con la preghiera quotidiana ed il ro-
sario recitato insieme. La loro fu una
genitorialità vissuta in modo coin-
volgente tanto dalla mamma quanto,
cosa rara all’epoca, dal papà.
Furono sempre aperti agli altri. La
carità fu la voce più alta del loro vo-
cabolario spirituale. La insegnarono
ai loro figli con l’esempio. La giovane
mamma faceva fare due mucchietti di
dolcetti e doni ricevuti, di cui uno re-
stava ai suoi bimbi e l’altro veniva por-
tato a quelli poveri. Se il papà invitava
a casa un mendicante, diceva ai figlioli
che dovevano essere grati perché Gesù
stesso, nella persona del povero, aveva
pranzato con loro. Rosetta e Giovanni
vissero la loro santità nella vita d’ogni
giorno: l’eroicità delle loro virtù è con-
sistita soprattutto nella continuità del
loro esercizio più che nella grandiosità
delle azioni, senza mai far venire meno
la fede e la fiducia nella Provvidenza
Divina. Anche Giovanni diceva: «Sia-
mo sempre nelle mani di Dio» e rite-
neva che occorresse fare la Sua volontà
anche a costo di lasciare ‘brandelli di
carne’ per la strada.
Il 26 ottobre del 1934 per Giovanni
arrivò il dolore più grande: la morte
dell’amatissima sposa.
Il marito accettò la vedovanza sempre
nell’amorevole ricordo di lei e portò
avanti la paternità dando ai suoi bam-
bini vicinanza, amore ed insegnamen-
ti. È stupefacente che i figli di Rosetta
e Giovanni non abbiano mai sentito la
loro assenza nella vita ma solo la loro
presenza, pur essendo rimasti orfani
molto presto. Segno indubitabile, que-
sto, di un’unione di spirito che va al di
là del tempo e dei luoghi terreni.
La partenza di Giovanni per la Rus-
sia fu una vera persecuzione: vedovo,
con tre bambini piccoli e con diverse
patologie fisiche, non sarebbe dovuto
partire. Fu però occasione per l’atto
conclusivo ed esaltante della sua vita.
Egli morì in un vero martirio di carità
che ricorda quello di san Massimiliano
Kolbe. Il 17 dicembre 1942 ebbe l’or-
dine di ritirarsi lasciando, con i 36 fe-
riti intrasportabili di un ospedaletto da
campo, soltanto il più giovane ufficiale,
Mino Pretti di Vercelli. Giovanni non
si sentì di mandare a morte certa il mi-
litare e gli ordinò di fuggire e salvarsi:
rimase al suo posto, volontariamente
ed eroicamente. Il corpo di Giovanni
non è mai stato ritrovato e mai è sta-
to restituito ai suoi cari. Un destino
straordinario ed opposto si è realizzato
per la sua Rosetta: il suo corpo, dato in
dono alla maternità, è stato rinvenu-
to assolutamente incorrotto a 30 anni
esatti dalla morte, nel 1964.
Per chiudere questa sintetica storia
dell’esemplare capitano Giovanni e
della dolcissima mamma Rosetta ri-
cordiamo le parole dette dal parroco
di Crova alla folla di fedeli durante
la messa funebre per lei, celebrata in
paramenti bianchi e con le campane
che suonavano a festa: “Rosetta era un
angelo, una santa ed è già in Paradiso.
Non celebriamo la messa dei morti ma
cantiamo quella degli Angeli!”.
Per chi voglia approfondire le biogra-
fie di Rosetta e Giovanni si segnala-
no i libri di padre Piero Gheddo: ‘Il
Testamento del Capitano’, San Paolo
Edizioni 2002 e ‘Questi santi geni-
tori’, San Paolo Edizioni 2005. Se
invece si desidera segnalare grazie ri-
cevute, si può scrivere alla postulatrice
via mail: lia.lafronte@libero.it
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4.1 Page 31

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I NOSTRI LIBRI
NOVITÀ
Vittorio Pozzo
Pianeta Islam
Partendo dall’attualità, drammatica
e problematica, queste brevi pagine
offrono un serio contributo
alla conoscenza dell’Islam attraverso
una panoramica sui suoi princìpi
e le sue pratiche.
Indice del volume:
1. L’attualità ci interpella
(Incompatibilità o possibile
convivenza?
- Il terrorismo islamista
- L’attuale “invasione” islamica
e la formazione di un Islam europeo...).
2. L’Islam e il suo Profeta
(Maometto - Il Corano - I pilastri dell’Islam...).
3. Cristiani e musulmani
(Affinità e divergenze - È possibile il dialogo?...).
Pagine 80
Adalberto Mainardi
Ilaria Pigaglio (disegni)
La Pasqua di Gesù
raccontata ai bambini
Il racconto degli ultimi giorni
della vita di Gesù, fino alla sua
risurrezione: una “riscrittura”
fedele ai Vangeli e attenta alla
sensibilità dei bambini. Lo stile
è quello dell’adulto che racconta
al bambino: semplice, colloquiale,
che invita a “chiedere per saperne
di più”. I disegni che illustrano
le “scene” sono adatti ai gusti
dei piccoli e ne attirano l’attenzione,
rendendo più avvincente il racconto.
Uno splendido libro illustrato,
dedicato a tutti i bambini che vogliono conoscere meglio Gesù.
Pagine 80
Silvia Allocco (disegni)
Coloro il mio Gesù
Oltre sessanta disegni al tratto che raccontano i grandi episodi
del Vangelo di Gesù. I bambini li potranno colorare liberamente,
con l’aiuto dei genitori e degli educatori.
Un primo, utile e pratico strumento di catechesi biblica, per iniziare
in famiglia l’educazione cristiana dei figli.
Disegno dal tratto vivace, ma mai banale né caricaturale.
Pagine 64
Francesco Mosetto
Uno sguardo nuovo
su Gesù
I misteri della vita di Cristo
I “misteri” di Cristo sono anzitutto
quelli che professiamo nel Credo:
l’Incarnazione del Figlio di Dio, la sua
Passione e Risurrezione. Ma anche
la sua infanzia e l’annuncio del regno
di Dio, le guarigioni, l’insegnamento,
la chiamata dei discepoli e l’invio
dei Dodici, il cammino verso
Gerusalemme, il suo stile di vita...
tutto è “mistero”.
Lo insegnano i Padri della Chiesa,
i grandi teologi e i maestri di vita
spirituale, lo viviamo ogni domenica
nella liturgia. Questo saggio
offre un aiuto a chi desidera approfondire un tema della massima
rilevanza per la fede e per la vita cristiana.
Una prospettiva originale nel panorama degli studi biblici.
Lo studio ideale per chi è alla ricerca di una lettura
non banale della vita e del messaggio di Cristo.
Pagine 408
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4.2 Page 32

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IL GIUBILEO IN FAMIGLIA 6
BRUNO FERRERO - ANNA PEIRETTI
La compassione C’èunaqualitàumana
da riconquistare:
la compassione.
Vivere con i figli
Il modo più semplice di esprimere
agli altri compassione (o empatia)
è ascoltarli.
«Tanto di me non importa niente a
nessuno». Così a 14 anni ha tentato
il suicidio. Le persone che “ascolta-
no” stanno diventando una rarità. Sono
molte quelle che interrompono chi
parla dopo pochi secondi per inondar-
questa straordinaria
virtù è diventato
più che mai necessario.
Si tratta di una virtù
intensamente umana e
fortemente evangelica.
lo di consigli, che di solito riguardano
quando ci lasciamo dietro le spalle il
tutt’altro. I cattivi ascoltatori non sono parti aveva la benché minima capacità bisogno di avere nella vita una nicchia
“con” la persona che vuole comunica- e volontà di vedere le cose dal punto di speciale, quando il nostro interesse
re. Parlare, nella migliore delle ipotesi, vista dell’altro? È doloroso, ma succe- principale è essere come gli altri e vive-
significa condividere. Ascoltare vera- de, e possiamo constatarlo ogni giorno re questa uguaglianza nella solidarietà,
mente una persona significa dirgli: «Tu sulla scena dei rapporti internazionali. allora siamo capaci di vederci l’un l’altro
sei importante per me. Perciò ti do tut-
ta la mia attenzione».
Comunicare
L’essere umano può sopravvivere sol-
Guardare gli altri
con occhi “puliti”
Per chi è libero da pregiudizi e fana-
tismi, la compassione non è la pietà e
come un dono unico. Raccolti insieme
nella comune vulnerabilità, scopriamo
di avere tante cose da darci a vicenda.
Non essere competitivi
tanto in una comunità di persone e ciò neanche semplice tolleranza, ma capa- I nostri talenti specifici non dovrebbe-
non è possibile se di queste persone cità di cancellare differenze e di non ro essere oggetto di competizione, ma
non si colgono come proprie le emo- essere indifferenti con apatia. Proprio elemento di comunione. Positivi o ne-
zioni e le intenzioni. L’empatia è ne- questo spiega perché la chiamata a es- gativi, i tanti paragoni impediscono al
cessaria alla comunicazione, alla col- sere compassionevoli suscita una resi- bambino di costruirsi un’identità sana;
laborazione e alla coesione
stenza profonda. La compassione è già tentato di confrontarsi agli altri e
sociale. Se la annullia-
è un modo nuovo, non definirsi in rapporto a fratelli e com-
mo ridiventiamo sel-
competitivo di stare insie- pagni, è assorbito abbastanza dallo
vaggi, anzi perdiamo la
me agli altri, e ci apre gli spirito di competizione senza che i ge-
capacità stessa di soprav-
occhi a vicenda. Quando nitori contribuiscano. Così, piano pia-
vivere. Inoltre l’empatia è
rinunciamo al nostro no, si finisce per vedere gli altri come
il mezzo di gran lunga più
desiderio di essere im- semplici pedine sulla scacchiera della
utile per migliorare qualsia-
portanti o diversi, vita. Tutto questo che cosa provoca?
si rapporto. Avete mai as-
Mancanza di compassione, sostituita
sistito a un diverbio in
con indifferenza o anche rabbia per chi
cui nessuna delle due
non è all’altezza delle aspettative.
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4.3 Page 33

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“FORESTIERI”
IL FOLLETTO MALIGNO
A causa della crescente mobilità di un
grande numero di persone sul nostro pia-
neta, accade sempre più spesso che ci
troviamo faccia a faccia con individui di
altre culture. Sono persone cresciute in
ambienti diversissimi dal nostro. Hanno
una religione diversa dalla nostra. Anche
il colore della pelle, magari, è diverso. E
così le usanze, l’alimentazione, il modo
di vestire, di affrontare la sessualità, di
percepire il tempo, di concepire le buone
maniere e il senso del dovere, l’atteggia-
mento verso il denaro e il lavoro, insomma
tutto. La nostra prima reazione è spesso
di sospetto. È stato dimostrato che il pre-
giudizio razziale ha radici profonde e che
il sospetto non è razionale, ma basato
su una reazione emotiva immediata sulla
quale non possiamo esercitare alcun con-
trollo. Quindi anche le persone che dicono
di non avere pregiudizi, in realtà in qualche
misura ne hanno. L’educazione all’empatia
è forse una delle necessità più urgenti nei
nostri programmi educativi a tutti i livelli.
Fermarsi sulla strada
dove qualcuno ha immediato
bisogno di attenzione
I genitori possono incominciare con
esercizi quotidiani di empatia. Un
piccolo esempio. Se camminiamo per
la strada con nostro figlio e questo
inciampa e cade, possiamo reagire in
due modi. Da una parte, possiamo
percepire la sua sofferenza, non solo
sentendo nel nostro corpo il dolo-
re fisico e lo spavento che potrebbe
essersi procurato con la caduta, ma
anche immedesimandoci nella vergo-
gna e nell’imbarazzo che può provare
di fronte a noi. Dall’altra, possiamo
commentare in maniera sprezzante:
«Ma perché non guardi dove vai? Per
forza che poi cadi». Nel primo caso,
cerchiamo di identificarci con nostro
figlio e partecipiamo della sua soffe-
renza. Nel secondo, vogliamo elimi-
Due uomini erano amici fin da bambini e fra loro c’era un rapporto forte e profondo. Era-
no cresciuti passando quasi tutto il loro tempo libero assieme. Quando si erano sposati,
avevano costruito le loro case una davanti all’altra, separate solo da un sentiero, nessuno
steccato. Così per molti anni le loro due famiglie andarono d’amore e d’accordo. Ma un gior-
no un folletto decise di mettere alla prova la loro straordinaria amicizia. Si mise un mantello
speciale, diviso in due a metà, rosso a destra, blu a sinistra. Mentre i due stavano lavorando
nei campi, il folletto, camminando sul sentiero, attirò su di sé la loro attenzione. Alla fine del
lavoro, uno dei due amici commentò, dicendo all’altro:
«Quell’uomo aveva un mantello rosso che era proprio bello».
«Era blu», disse l’altro.
«No, era rosso».
«Non sono stupido! Era blu».
Così incominciarono a discutere alzando sempre di più la voce, fino a che finirono per litiga-
re. «Questa è la fine della nostra lunga amicizia!», esclamarono entrambi.
A quel punto il folletto ritornò e incominciò a danzare girando lentamente su se stesso da-
vanti ai due litiganti, i quali subito videro entrambi i colori.
«Ci hai fatto litigare, sei un nemico! Per tutta la nostra vita siamo stati amici. Hai incomin-
ciato una guerra fra noi!» urlarono.
«No, non sono stato io a causare il litigio. Avevate ragione entrambi, e avevate torto entram-
bi. Litigavate perché ognuno ha guardato solo dal suo punto di vista».
nare ogni tipo di empatia. Il contrario
della gentilezza, infatti, sono il biasi-
mo, il ripudio, l’esclusione dell’altro.
È molto importante donare ai figli la
capacità di immaginare la vulnerabi-
lità dell’altra persona e, di riflesso, di
accettare la propria, la disponibilità a
riconoscere la sofferenza e il piacere
dell’altro e ad astenersi dal desiderio
di punirlo o di sfruttarlo. Un rischio
che vale la pena di correre per smet-
tere di vivere sulla difensiva e per
esporci fiduciosi alle esperienze e alla
ricchezza che possono arrivare dagli
altri.
Costruire la misericordia
in famiglia
Anthony Cymerys è un barbiere che da
venticinque anni taglia i capelli ai bar-
boni e agli anziani poveri della sua cit-
tà, in Connecticut. Quando cominciò,
andava in giro con la macchina a cer-
care persone che potessero aver bisogno
di un taglio; adesso che ha più di ot-
tant’anni ha deciso di farsi trovare ogni
mercoledì con una sedia di legno nel
Bushnell Park. C’è la fila; sanno che lui
non si scandalizza davanti a nessuno.
Taglia capelli, fa la barba e massaggia
il viso e le spalle di chi
si siede. Tutto quello
che chiede in cambio
è un grande abbraccio.
Se anche in famiglia
sapessimo riconoscere
e comprendere i biso-
gni degli altri, renderci
disponibili e in cambio
chiedere solo grandi
abbracci!
Maggio 2016
33

4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Maria Madre
a pieno titolo SenzalaMadonna
saremmo tutti più bassi:
ci mancherebbe un
altissimo punto di
riferimento e saremmo
tutti più poveri:
ci mancherebbe
una speranza a cui
aggrapparci.
Parlare di Maria
ci arricchisce sempre
Tutte le carte in regola
La Madonna ha tutte le carte in rego-
la per dirsi vera madre. Gesù è “inco-
minciato” piccolissimo nel suo seno:
pesava un terzo di milligrammo. Pro-
prio come tutti noi.
Dopo i primi 15 giorni, Gesù era
già 125 mila volte più grande. Al 18°
giorno, il suo cuore pulsava.
Al 90° giorno, polmoni e bronchi era-
no pronti per respirare. Verso la fine del
quarto mese il Bambino (come tutti i
piccoli del mondo) pesava circa un etto
ed era lungo quasi venti centimetri.
Là, nel seno della Madonna, Gesù
dormiva, si svegliava, sognava, sen-
tiva il suono del sangue che scorreva
Foto Shutterstock
ritmicamente con il battito del cuore
di Maria, si succhiava il pollice, strin-
geva il pugno, cambiava posizione,
agitava gambe e braccia, registrava
e sentiva l’accettazione della madre,
sentiva la pienezza e la dolcezza del
“Sì” della Madonna che, mese dopo
mese, gli tesseva il corpo finché a Na-
tale tutto Gesù fu pronto per essere
regalato al mondo. Grazie a Maria,
sua vera madre.
Esperta in maternità
Essere” madre è la cosa più facile del
mondo: “ fare” la madre è la cosa più
impegnativa del mondo.
Tutte le madri che hanno un figlio
sono” madri, ma non tutte sanno
fare ” le madri! La Madonna cono-
sceva bene l’arte della maternità.
Ha allattato il suo bambino.
Proprio l’allattamento è stato uno
dei primissimi modi di raffigurare
la Madonna, modo già attestato nel-
le catacombe: la Madonna regge sul
petto Gesù Bambino tenuto sul brac-
cio sinistro.
È interessante notare che raffiguran-
do il bambino seduto sul braccio sini-
stro, i pittori dell’antichità dimostra-
no d’aver già intuito quello che solo
(pochi) decenni fa è stato scoperto e
provato, cioè che il bambino tenuto in
34
Maggio 2016

4.5 Page 35

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CAPOLAVORO “MADRE” DECALOGO SEMPLICE
“Immersa nei pannolini, nelle pappe e nei
rigurgiti, la mamma si sente spesso fru-
strata intellettualmente; ma può trovare
una diversa prospettiva se è consapevole
che la sua intelligenza, il suo talento, la
sua sensibilità sono praticamente le sole
cose che permettono a quel batuffolo
umano di emergere dalla notte animale e
diventare un essere pensante.
Il suo compito è molto simile a quello di
uno scultore, di un pittore, di un musicista.
Il figlio è in buona parte sua ‘composizio-
ne’, per la quale occorre altrettanto talento
quanto può occorrerne ad un artista per
realizzare una creazione personale. E forse
di più”.
(Piero Angela)
quel modo è nelle condizioni migliori
per ascoltare il suono della voce della
madre.
Allattare il bambino, infatti, fa bene
a due cuori: al cuore del piccolo in
quanto rafforza il legame affettivo
con la mamma, fa bene al cuore della
madre come dimostrano tutti gli stu-
di i quali rivelano che proprio l’allat-
tamento ha effetti benefici sulla salu-
te cardiovascolare della madre.
Ha coccolato il Bambino.
A questo riguardo vi sono icone (dipin-
ti su tavole, tipici soprattutto dell’arte
bizantina e russa) dolcissime: le guan-
ce di Gesù e di Maria si avvicinano
fino a toccarsi: il Bambino e la madre
si scambiano baci e carezze. In alcune
icone Gesù si stringe al collo della ma-
dre con le sue brevi braccia. Tutto ciò
dimostra che la Madonna sapeva che
senza tenerezza il bambino sfiorisce.
La Madonna sapeva che non si può
essere madre riuscita senza coccolare
il piccolo. Anche qui siamo nella pe-
dagogia più aggiornata. Oggi nessuno
discute più su una frase come questa:
ogni coccola è una piccola salvezza.
L’amore rimedia a tutto, anche a qualche sculacciata!
È una sottile forma di crudeltà costringere il bambino a fare gli straordinari per dimostrare
d’aver messo al mondo un genio.
Le parole innaffiano l’anima. Non parlare al bambino è trattarlo da animale domestico.
Ogni sorriso è un gol strepitoso.
Il bambino non si manda a letto: si accompagna.
Le querce robuste crescono nel magro!
Bimbo che non gioca, gioia ne ha poca.
Prima di parlare, è bene chiedere permesso all’esempio.
Gli dico che non è cattivo, così diventa buono.
I bisogni del bambino hanno nomi semplici: pane, casa, vestiti e coccole.
Ha saputo gestire bene tutte
le difficoltà che la maternità
comporta.
Pure a Maria infatti, non sono man-
cate le prove. Ha dovuto fuggire in
Egitto; a 12 anni Gesù si perde nel
tempio di Gerusalemme; a trenta se
ne va di casa senza soldi, senza si-
curezze, senza una famiglia, lungo
le strade di Palestina per predicare a
tutti e aiutare tutti.
Parrà strano ma il Vangelo ci presen-
ta Maria sempre e solo nei momenti
di difficoltà: a Betlemme (Lc 2,1-7),
a Cana (Gv 2,1-11), sul calvario (Gv
19,25), nel cenacolo (At 1,13-14).
Il grande teologo belga Edward
Schillebeechk (1914-2008) nota che
Maria ha conosciuto le nostre stesse dif-
ficoltà”. Dunque la Madonna capisce
tutte le madri che pagano con soffe-
renze, talora atroci, la loro maternità.
Le capisce ed è disposta a dar loro una
mano, come ha fatto a Cana.
Quel “Non hanno più vino” rivolto al
Figlio oggi può diventare: “Non hanno
più pace in casa: manca il lavoro, il figlio
si droga, la figlia convive, ha abbando-
nato la fede!”.
L’ascendente di Maria su Dio non è
venuto meno; la sua sensibilità ma-
terna rimane: basta invocarla, magari
fino alle lacrime.
Non smette mai di essere madre.
Anche questa è una prova della sua
competenza nell’arte della materni-
tà. La madre non abbandona mai il
figlio. Lo ama e lo sostiene fino alla
fine, fino alla morte.
Sì, la Madonna ha tutte le carte in re-
gola per poter essere guardata come
modello: resta sempre punto di riferi-
mento per la donna che oltre ad ‘essere
madre, decide, saggiamente di ‘fare’ la
madre.
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4.6 Page 36

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LA LINEA D'OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
Dentro ad una scatola
Solo l’amore ci apre all’alterità, ci incoraggia a
superare le nostre paure, ci spinge ad uscire
dal nostro guscio calcareo per cominciare
a guardare il mondo con “simpatia”.
Chiusi in una scatola. A dispetto della cre-
scente fluidità e interconnessione della
società contemporanea, di una sempre
più accentuata mobilità geografica e vir-
tuale che riduce le distanze e moltiplica
le relazioni, i giovani adulti del terzo
millennio si ritrovano spesso a sperimentare un
radicale senso di distacco rispetto al mondo ester-
no, la difficoltà di superare la propria autoreferen-
zialità per instaurare uno scambio cordiale con la
realtà che li circonda. Ripiegati su se stessi, chiusi
a doppia mandata, attenti soprattutto a proteg-
gere la propria sfera privata da intrusioni esterne,
fanno fatica ad aprirsi al mondo, ad attraversare
È la prima volta che mi capita.
Prima mi chiudevo in una scatola,
sempre un po' distante dalle cose della vita,
perché così profondamente
non l'avevo mai sentita.
E poi ho sentito un'emozione accendersi veloce
e farsi strada nel mio petto senza spegnere la voce
e non sentire più tensione, solo vita dentro di me.
Nessun grado di separazione,
nessun tipo di esitazione,
non c'è più nessuna divisione tra di noi.
Siamo una sola direzione in questo universo
che si muove...
quella linea sottile che marca i confini della loro
individualità, a lasciarsi toccare nel profondo da
ciò che accade intorno a loro.
È la tentazione, sempre in agguato, di rimanere a
guardare da spettatori lo scorrere della vita, pre-
diligendo la via sicura dell’estraneità alla scom-
messa del coinvolgimento. Una tentazione che
sembra farsi più forte man mano che si cresce,
quando l’insicurezza costitutiva del diventare
grandi e la paura di rimettere in discussione l’e-
quilibrio faticosamente raggiunto portano con sé
il bisogno di difendere i propri spazi, mentre au-
menta sempre di più la fatica della relazione.
Si tratta di un esito solo apparentemente para-
dossale, se si considera che assai spesso il rag-
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4.7 Page 37

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giungimento dell’età adulta, anziché segnare un
più consapevole protagonismo e una più matura
capacità di tenere insieme la dimensione privata
dell’intimità e quella socializzante della condivi-
sione, è accompagnato dalla tendenza a chiudersi
nel proprio individualismo, frapponendo barriere
sempre più insormontabili tra sé e gli altri e ri-
nunciando a priori ad ogni coinvolgimento emo-
tivo che rischi di destabilizzare le proprie, seppur
fragili, certezze.
Ma la scelta dell’isolamento, per quanto allettan-
te e soprattutto meno impegnativa della dispo-
nibilità a mettersi in gioco, non è mai priva di
controindicazioni. Dall’interno buio di una sca-
tola non si può apprezzare la bellezza del mondo
esterno, non si può scrutare l’orizzonte dell’av-
venire o godere del calore dell’amicizia, ma so-
prattutto non si può sperimentare quella genuina
empatia che scaturisce dal farsi prossimi a chi ci
sta accanto.
Tutto sta, allora, nel trovare il coraggio di sco-
perchiare quella scatola all’apparenza così acco-
gliente e rassicurante, ma che a lungo andare ri-
schia di trasformarsi in una prigione; nel lasciare
che l’amore di chi ci sta vicino abbatta quella in-
visibile muraglia che ci siamo costruiti attorno,
a protezione del nostro piccolo “orticello”. Solo
l’amore, infatti, ci apre all’alterità, ci incoraggia
a superare le nostre paure, ci spinge ad uscire
dal nostro guscio calcareo
per cominciare a guardare
il mondo con “simpatia”.
Certo, non è mai sempli-
ce rinunciare alla propria
autoreferenzialità per far
spazio alla condivisione
con gli altri di emozioni,
progetti, paure e speran-
ze. Ma è soltanto cam-
minando al fianco degli
altri che riusciamo a
trovare un nostro sen-
Davo meno spazio al cuore e più alla mente,
sempre un passo indietro e l'anima in allerta
e guardavo il mondo da una porta
mai completamente aperta
e non da vicino...
E no, non c'è alcuna esitazione
finalmente dentro di me.
Nessun grado di separazione,
nessun tipo di esitazione,
non c'è più nessuna divisione tra di noi.
Siamo una sola direzione in questo universo
che si muove...
(Francesca Michielin, Nessun grado di separazione, 2016)
so di marcia, che possiamo cominciare a dare una
direzione e una meta al nostro peregrinare. Per-
ché anche se la “prossimità” è un valore esi-
gente, non c’è altra via per assecondare quel
desiderio di qualità e pienezza di vita che
immancabilmente accompagna il per-
corso verso l’adultità.
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
L’altra metà
di don Bosco
“Lotta a spada tratta contro l’eresia”.
Chi non conosce le avven-
ture di Giovannino Bosco
bambino alla sua borgata
dei Becchi, ragazzo al paese
di Castelnuovo, adolescen-
te e giovane seminarista a
Chieri? Chi non ha sentito parlare
di Bartolomeo Garelli, dell’oratorio
itinerante attorno a Valdocco, della
casa Pinardi e della nascita colà del
primo oratorio? Lui stesso, del resto,
con una certa compiacenza ha narra-
to questa sua affascinante storia nelle
Memorie dell’Oratorio. E sull’onda di
esse è sorta una serie infinita di libri,
libretti, album, fumetti, filmine, dia-
positive, videocassette, , fiction,
film che ci hanno commossi tutti e a
volte anche fatto piangere. Si potreb-
be così dire che dei primi 35-40 anni
di don Bosco conosciamo quasi tutto,
magari con qualche aneddoto e fanta-
sia di troppo.
Ma… e dell’altra metà della sua vita,
di quella per la quale “don Bosco è
diventato don Bosco”, per tutti possia-
mo dire altrettanto? Direi di no. Ecco
perché in questa rubrica, intitolata ap-
punto “Don Bosco sconosciuto”, stiamo
cercando di andare avanti, di vederlo
cioè in azione da adulto, da uomo ma-
turo, da anziano, immerso in un mare
di impegni al di là di Valdocco. E lo
facciamo per lo più attraverso lo stru-
mento migliore a nostra disposizione,
che sono le lettere che nessuno anco-
ra conosce, perché inedite. In queste
prossime puntate ne vedremo alcune
delle 150 relative al biennio 1880-
1881, contenute nel volume del suo
epistolario appena pubblicato.
In contrapposizione
ai Protestanti in Toscana
La strenua difesa della fede cattolica,
e dunque di un’educazione cattolica
dei giovani, don Bosco la condusse
non solo a metà del secolo a Torino,
ma anche successivamente e tanto in
Italia, quanto in America Latina. Qui
ovviamente lo fece attraverso i suoi
missionari, che arrivarono alla città
più a sud del mondo, a Usuhaia (Terra
del Fuoco) evangelizzata per primi da
missionari anglicani.
Come è noto, non erano tempi quelli di
ecumenismo, di dialogo interreligioso
o interconfessionale, ma di duro scon-
tro e forte polemica. Se papa Francesco
ha visitato a Torino il tempio valdese il
22 giugno 2015 arrivando fino a chie-
dere “perdono per gli atteggiamenti e
i comportamenti non cristiani, persino
non umani che, nella storia, abbiamo
avuto”, don Bosco da par suo vi aveva
costruito accanto, in contrapposizione
di fede e non mai di persone, una sua
chiesa. Anzi di alcuni protestanti si era
fatto quasi amico.
Ma in una lettera, inviata da Lucca il
29 aprile 1880 al Segretario di Stato,
cardinale Lorenzo Nina, scriveva: “A
Firenze poi ho dovuto essere testi-
monio di un doloroso spettacolo. Alle
quattro pomeridiane di domenica di
consenso coll’arcivescovo di questa
diocesi facevo un giro per osservare un
sito e locale che potesse convenire ad
un oratorio festivo per poveri ragaz-
zi; quando mi si presenta una schiera
di oltre quattrocento giovanotti che
a bandiera spiegata camminavano in
forma di processione. Ecco, mi fu det-
to, questi sono tanti giovani cattolici
che frequentano le scuole dei prote-
stanti ed ora vanno dalla scuola al loro
tempio ad ascoltar gli insulti che vomi-
tano contro alla fede cattolica”.
Don Bosco, uomo dalla fede cattolica
adamantina, convinto come tutti all’e-
poca che “fuori della chiesa (cattolica)
non ci fosse salvezza”, ne rimase sem-
plicemente “commosso e sdegnato e
precisamente nel luogo di mezzo tra le
scuole e il tempio dei protestanti si tro-
vò un locale, spigionato e di poi dal ve-
scovo definitivamente comprato. Nello
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Maggio 2016

4.9 Page 39

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spazio di non più di tre mesi i salesiani,
spero, potranno aprire scuole, chiesa,
giardino di ricreazione. Così saranno
almeno scuole cattoliche per coloro
che le vorranno frequentare”.
Don Bosco ne era sicuro, sulla base
dell’esperienza, perché a Lucca le
scuole salesiane, aperte da poco tem-
po, erano già frequentate da circa 400
allievi sottratti proprio alle scuole
evangeliche, costrette di conseguen-
za a chiudere. E, dopo aver detto al
cardinale che per quelle di La Spezia
lo avrebbe aggiornato successivamen-
te, concludeva: “Come vede la E.V.
dobbiamo lottare colla eresia a spada
tratta”.
Il caso scandaloso
di La Spezia
Anche in Liguria, ed esattamente a
Vallecrosia (Imperia), don Bosco aveva
ottenuto i medesimi positivi risultati
con le sue scuole in contrapposizione
ai protestanti. Ma a La Spezia la si-
tuazione era diversa in quanto l’aver
sottratto colà circa 400 ragazzi alle
scuole dei protestanti, aveva scatenato
invettive giornalistiche. “Allora essi
– scrive con una forte carica polemi-
ca don Bosco allo stesso Segretario
di Stato da Genova-Sampierdarena il
7 maggio 1880 – pensarono di appi-
gliarsi ad un’arte degna di loro”. Che
era successo?
Era successo che nella casa affittata per
la chiesa e scuole salesiane avevano pure
sede le scuole dei protestanti, i quali, al
vedersi sottrarre gli allievi, avevano
aperto “una casa di prostituzione […]
nello stesso piano dei nostri religiosi”.
Don Bosco ovviamente protestò con
il proprietario, il quale rispose che a
lui interessava solo l’affitto. A don
Bosco non restò “che dare diffida-
mento alla pigione e reclamare contro
a quell’insulto alla pubblica moralità
dei nostri allievi”. Sperava almeno di
esserne liberato per i nove mesi di du-
rata del suo contratto di affitto.
Che fare dopo?
Traslocare altrove, è ovvio. E “lassù
qualcuno gli volle bene”. Difatti gli
riuscì “di trovare un terreno molto
opportuno, ed un signore che ne fa
spesa di acquisto in franchi 15 000.
Un disegno fu già abbozzato, e al più
presto si darà principio ai lavori in
modo che al febbraio 1881 possiamo
colà trasferire le nostre scuole”.
Una consolazione don Bosco l’aveva
anche da un’altra parte: “Qui a S. Pier-
darena le cose vanno assai meglio. È
vero che abbiamo una chiesa evange-
lica di fronte e due logge massoniche
di fianco, ma il Municipio ci è favo-
revole, e niuno cerca di disturbarci.
Anzi i protestanti, vedendo la totale
cessazione di allievi nelle loro classi
hanno chiuso le loro scuole. Così l’in-
segnamento scolastico e religioso, le
stesse pubbliche funzioni sono affatto
e liberamente cattoliche”.
Ma non c’è rosa senza spina. Povero,
vecchio don Bosco. Con grande ama-
rezza così si accomiatava dall’amico
“cardinal Protettore” dei salesiani:
“Ricevo in questo momento (sic) una
nuova strillata proprio in questo mo-
mento (sic) dal Card. Ferrieri perché
senza esserne autorizzato ho aperto
un noviziato a Marsiglia”. Non era
del tutto vero, perché, scrive, in real-
tà “Questo noviziato doveva essere
aperto da due anni, ma non avendosi
potuto ottenere risposta alcuna fu per
ora occupato da artigianelli e non mai
da alcun novizio”.
Insomma non c’era solo da lottare
contro i Protestanti del Piemonte,
della Liguria e della Toscana, c’era
anche da farsi capire dai Cattolici ita-
liani, addirittura dalle massime auto-
rità della Chiesa di Roma.
Maggio 2016
39

4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione dei nostri beati, venerabili
e servi di Dio, sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di maggio preghiamo monsignor Stefano
Ferrando, che il 3 marzo 2016 il Santo Padre Francesco ha
dichiarato Venerabile.
Stefano Ferrando, nato a Rossiglione (provincia di Genova e diocesi di Ac-
qui Terme) il 28 settembre 1895, frequentò le scuole dai salesiani, prima
a Fossano e poi a Torino, rimanendo affascinato dalla vita di don Bosco.
Interruppe forzatamente gli studi allo scoppio della prima guerra mondiale,
alla quale partecipò come ufficiale, guadagnandosi una medaglia d’argento.
Dopo l’ordinazione sacerdotale, nel 1923, partì per le missioni salesiane
del Nord Est dell’India, dove divenne uno dei grandi pionieri dell’epopea
missionaria salesiana in quella vasta regione.
Nel 1934 viene nominato da Pio XI vescovo della Diocesi di Krishnagar, ma dopo appena un anno, è
trasferito alla sede di Shillong, che diventerà per 35 anni il centro di tutta la sua feconda azione apostolica
ed evangelizzatrice.
Il suo apostolato è caratterizzato dallo stile salesiano: gioia, semplicità e contatto diretto con la gente.
La sua umiltà, semplicità, l’amore per i poveri spingono molti a convertirsi e a richiedere il Battesimo.
Ricostruisce la grande Cattedrale e il complesso missionario. Diffonde la devozione a Maria Ausiliatrice
e a don Bosco. Vuole che gli indiani siano i primi evangelizzatori della loro terra.
Da un gruppo di catechiste indiane fonda le Suore Missionarie di Maria Aiuto dei Cristiani (MSMHC)
aggregate alla Famiglia Salesiana il 27 giugno 1986.
Il 26 giugno 1969, dopo aver preso parte ai lavori del Concilio, rassegna le dimissioni dalla propria Dio-
cesi. Aveva trovato in Assam 4000 cattolici, ne lasciava 500 000. In Italia l’anziano vescovo missionario
si ritira nella casa salesiana di Quarto (Genova). Muore il 20 giugno 1978.
L’Inchiesta diocesana iniziò l’8 ottobre 2003 e si concluse a Shillong il 13 agosto 2006.
Il 3 marzo 2016 il Papa ne ha riconosciuto le virtù eroiche dichiarandolo Venerabile.
PREGHIERA
Dio onnipotente ed eterno, che vuoi la salvezza di tutti gli uomini,
noi ti rendiamo grazie perché hai donato a Stefano Ferrando
la vocazione ad essere sacerdote e religioso tra i figli di don Bosco,
e ne hai fatto un intrepido missionario tra i popoli dell’India del Nord-Est,
un vescovo buono e prudente, il fondatore di una nuova famiglia religiosa.
Umilmente ti preghiamo, per intercessione di Maria Aiuto dei Cristiani,
per la tua gloria e l’edificazione del popolo cristiano,
fa’ che la Chiesa riconosca in Stefano Ferrando il segno della tua santità,
e il popolo cristiano possa trovare nella sua vita un esempio,
nella sua intercessione un aiuto,
nella comunione di grazia con lui
un vincolo di amore fraterno.
E se ciò è conforme alla tua volontà concedici,
per sua intercessione, la grazia che imploriamo dalla tua bontà.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere non firmate e senza recapito.
Su richiesta si potrà omettere l’indicazione del nome.
Ringraziano
Ringrazio la nostra cara mamma
Maria Ausiliatrice, san Gio-
vanni Bosco e tutta la grande
famiglia salesiana per aver inter-
ceduto presso il Signore nell’aver
fatto superare un esame difficile a
mio fratello seminarista. Grazie di
cuore anche per tutto l’aiuto che
danno anche a me!
Roberto Loperfido – Taranto
Nell’aprile 2015 ho fatto richiesta
per poter ricevere l’abitino di san
Domenico Savio, conosciuto
tramite un’amica del gruppo di
preghiera che frequento con mio
marito. Ci siamo sposati il 1°
giugno 2013 e nel maggio 2016
daremo alla luce la piccola Ester.
Ringraziamo con tutto il cuore
san Domenico, l’intercessione di
Maria e il Buon Dio per questo
prezioso dono!
Adelaide e Mirko – Carate Brianza
In data 31 gennaio 2016 mio pa-
dre ha avuto un infarto con 5 ar-
resti cardiaci. I medici lo davano
per morto. Don Bosco e Maria
Ausiliatrice hanno fatto un mi-
racolo. È vivo e ora è a casa.
Alessia Giordano
Desideriamo ringraziare il Signore
perché attraverso l’intercessione di
san Domenico Savio il 21 luglio
2015 è venuta al mondo la tanto
attesa secondogenita Karola. San
Domenico Savio vegli sempre su
di lei e sulla sua sorellina Giulietta
e protegga sempre noi genitori.
Giampiero e Tiziana
S. Stefano di Rogliano (CS)
Ringrazio il servo di Dio don
Carlo Braga per la sua inter-
cessione a favore di mia figlia Se-
rena che vive una grave situazio-
ne psichica, per le possibilità di
cura e di assistenza che le sono
garantite a suo conforto e nostra
consolazione.
Mamma Rossella
40
Maggio 2016

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
ANTONIO CAPPO
Isabella Schiralli
La suora che la beata madre Morano chiamò “santa”
Chi era questa suora della quale
madre Morano aveva ritenuto
opportuno custodire alcune “re-
liquie”?
Isabella nacque a Corato, in pro-
vincia di Bari, il 1° gennaio 1870,
terza di sei figli, in una famiglia
agiata e profondamente religiosa
dalla quale ricevette un’educazio-
ne improntata ad uno spirito for-
temente cristiano. Crescendo si
delinearono presto in lei tratti di
umiltà, obbedienza e devozione,
e, divenuta adolescente, nacque
forte il desiderio di consacrarsi
a Dio in un istituto religioso. La
strada verso la vita consacrata
non fu però di facile percorrenza,
perché, non appena i genitori eb-
bero sentore del desiderio della
figlia, tentarono in ogni modo di
ostacolarne la riuscita. Già uno
dei suoi fratelli, Vincenzo, si era
consacrato al Signore divenendo
Salesiano, ed era stato inviato a
svolgere la sua missione in Spa-
gna; evidentemente il pensiero
di “perdere” anche questa figlia
era una prova troppo difficile da
accettare. Ma la vocazione della
giovane era tale che ben presto
dovettero rassegnarsi e, grazie
alla mediazione del fratello sacer-
dote, Isabella venne accettata tra
le Figlie di Maria Ausiliatrice. Era
il 1892 e il Direttore don Giovan-
ni Bonetti le consigliò di entrare
postulante ad Alì, in Sicilia, che
era all’epoca la casa più vicina
alla sua provincia, e Isabella, che
aveva 22 anni, vi ci giunse il 6
gennaio e il 18 ottobre 1892 vestì
l’abito di novizia.
La sua devozione verso Dio e la
Madonna era sincera e profon-
da e a queste devozioni, dopo
l’entrata nella congregazione, si
aggiunse quella per il suo Ange-
lo Custode grazie a un episodio
particolare, che ella stessa riferì
con semplicità alla superiora
della casa: “Ero novizia e, inca-
ricata di tenere pulita la piccola
tribuna della chiesa, avevo l’or-
dine di lasciare sempre distesa
la tenda della finestra che dava
sulla strada. Una volta mi ero
scordata di tirare quella tenda, e
la superiora mi aveva sollecitato
di farlo, anche perché quel mat-
tino doveva passare sulla tribuna
gente esterna. Io mi recai tosto
sul coro, ma, prima di compiere
l’obbedienza feci qualche breve
istante di adorazione a Gesù Sa-
cramentato, mentre però in cuore
volgevo il dubbio se fosse stato
meglio eseguire l’ordine avuto o
fare l’adorazione. In quell’istante
ecco che, come mossa da mano
invisibile, la tenda si distese da
sé e nel tempo stesso una voce
misteriosa parve mi ripetesse
all’anima: Vedi? Il tuo Angioletto
ti rimprovera, tu dovevi essere
più pronta ad eseguire gli ordini
ricevuti: l’obbedienza sta sopra
tutte le cose! Questo fatto mi
ispirò tanta riconoscenza verso
il mio buon Angelo e tanto de-
siderio d’essere docile ai suoi
consigli, che da quel giorno nutrii
una tenerissima devozione verso
questo caro custode dell’ani-
ma mia” e tutte le suore che la
conobbero testimoniarono che
Isabella non muoveva un passo o
pronunziava parola che non fosse
contrassegnata dall’obbedienza.
Sempre umile, sottomessa non
per ostentazione ma per vera
virtù, basata sul vero amor di
Dio, sul desiderio della propria
perfezione, suor Isabella conser-
vava sempre, anche all’esterno,
quel sorriso di pace interiore di
chi avverte la presenza di Dio e
trova gaudio nel conversar con
Lui, pur non trascurando i doveri
della vita.
Era stata assegnata agli uffici
di maestra del laboratorio e as-
sistente delle educande e nello
svolgere i suoi compiti teneva un
comportamento tale che la stessa
madre Morano fu udita esclamare
più volte: “Mettete suor Isabella
dinanzi al SS. Sacramento od oc-
cupatela nel suo laboratorio: per
lei è tutt’uno: vi tiene la medesi-
ma quiete, il medesimo raccogli-
mento”.
Nel 1896 si ripresentarono forti
i dolori che l’avevano già tor-
mentata e come ultimo rimedio
si pensò di farle cambiare aria.
Lasciò dunque la casa di Alì e
nella speranza di farle trovare il
luogo ideale per la guarigione,
l’ispettrice le fece visitare in un
anno quasi tutte le case della
Sicilia, dove si fermava qualche
settimana o qualche mese, e,
sebbene il fisico non ne traesse
giovamento, le suore delle case
che la accoglievano restavano
edificate dalla sua pietà, carità
e modestia tanto che più di una
direttrice pregò madre Morano
di farla rimanere nella propria
casa. Alla fine dell’anno scola-
stico ’96/97, non avendo otte-
nuto concreti miglioramenti di
salute, suor Schiralli fece defi-
nitivamente ritorno ad Alì. Negli
anni passati lì, frequentemente
sia suore sia alunne facevano
ricorso a lei per ottenere l’aiuto
delle sue preghiere e le grazie,
che quasi sempre arrivavano,
venivano attribuite alla potenza
della preghiera di suor Schiralli.
Molteplici furono gli eventi “so-
prannaturali” che caratterizzaro-
no la sua vita, soprattutto legati
al suo Angelo Custode che so-
vente mandava a risollevare mo-
ralmente o fisicamente qualche
suora che realmente ne avvertiva
la presenza, ciò non faceva che
aumentare l’ammirazione che le
consorelle avevano di lei, che la
percepivano chiaramente come
un’anima cara a Dio. Nel set-
tembre del 1900 suor Isabella fu
costretta a rimettersi a letto, ma
ben presto quella che si pensava
essere una lieve indisposizione
finì per rivelarsi nella terribile
gravità di un tumore e, sebbene
ciò avesse gettato lo sconforto
in tutta la casa, suor Isabella
trascorse gli ultimi mesi della
sua vita, serena e umile, abban-
donata alla volontà del Signore,
pur spesso afflitta da insop-
portabili dolori. Il suo calvario
terreno si concluse l’8 febbraio
1901 e la sua dipartita lasciò il
più vivo cordoglio in tutta la co-
munità. Madre Morano, giunta
in casa dopo qualche ora dalla
sua morte, prostrandosi dinanzi
alla salma esclamò: “Suor Schi-
ralli non era solo perfetta, ma
sant a ! ”.
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5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
UN ESPLORATORE TRA I SALESIANI
Scoprì un fiordo (in Sud America) che porta il suo nome, raccontò le sue
attività esplorative con la fotografia e con riprese cinematografiche, mez-
zi che all’epoca erano ancora moderni, vide luoghi mai visti ed entrò in
contatto con popolazioni che nessun occidentale aveva mai incontrato.
Ma prima di sentire il fascino del viaggio e dell’avventura che lo spingeva
lontano, XXX aveva ricevuto un ben altro richiamo. Nato a Pollone (Biel-
la) nel 1883, giovanissimo entrò nel seminario e nel 1909 venne ordinato
sacerdote salesiano. Portò, quindi, la parola del Signore lì dove era neces-
sario apprendere altri idiomi e poi oltre ancora, lì dove nessuno era stato,
in territori desolati, impervi e inospitali, dominati da un clima severo. Aveva
scelto di diventare missionario e fu inviato nelle zone meridionali del Cile
e dell’Argentina dove i salesiani già erano presenti dal 1875 per aiutare le popolazioni locali che so-
pravvivevano a malattie e alle violenze dei grossi allevatori di bovini che ne sfruttavano la manodopera.
Quindi, Terra del Fuoco e Patagonia divennero la sua casa e partendo da Punta Arenas, sullo Stretto di
Magellano, usata come base logistica, si spinse nei gelidi pianori dell’entroterra e sulle vette più alte,
come quando “conquistò” il Monte San Lorenzo e il Cerro
Paine al limitare meridionale delle Ande. Guardava con gli
occhi della mente e immortalava con la macchina da presa o
cinematografica quelle emozioni uniche in migliaia di scatti
e riprese che ora sono raccolti nel Museo Nazionale della
Montagna di Torino, riportava minerali e fossili da studiare e
disegnava accurate carte geografiche. Lo spirito d’avventura
e il desiderio di divulgarne i viaggi erano doti di famiglia,
infatti suo fratello era quel Giovanni che fondò lo storico Isti-
tuto Geografico De Agostini di Novara.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. È affidata ai me-
tronotte - 15. Vano, inutile - 16. Mu-
nicipi… non rari - 17. In Libia e in Ti-
bet - 18. Associano lavoratori cristiani
(sigla) - 19. Un tempo si chiamavano
Usl - 21. Tribunale per ricorsi - 22. La
Marleen di una famosa canzone - 24.
XXX - 28. Lo intima la sentinella -
30. Lo spiazzo della fattoria - 31. Agio
senza pari - 32. Questa in breve - 34.
Il simbolo dell’oro - 35. Salerno - 37.
XXX - 41. Portare in alto - 44. L’a-
stronauta Guidoni (iniz.) - 45. Un’utili-
taria della Ford - 46. L’ultima ingiuria a
Gesù sulla croce - 48. Fratello di Zeus
e dio degli Inferi - 49. Non ancora
pubblicata - 52. L’Edith morta ad Au-
schwitz e proclamata santa come Teresa
Benedetta della Croce - 53. Fu istituito,
tra gli altri organi collegiali, dai decreti
delegati sulla scuola del ’74.
VERTICALI. 1. Strada - 2. Fu una
fulgida civiltà precolombiana - 3. Cosa
assai leggera, che resta in superficie
- 4. Proibita, impedita - 5. Articolo
per ragazze - 6. Mie e tue - 7. Avan-
ti Cristo - 8. Redige atti legali - 9. Il
califfo che fece incendiare la Biblioteca
d’Alessandria - 10. Viaggia per diporto
- 11. Trento - 12. Una sigla sindacale
- 13. La Pizzi di Grazie dei fiori - 14.
Tendenza a ripetere determinati gesti -
19. Il centro di Sparta - 20. In fondo
al vicolo! - 23. Intelligenza Artificiale
- 25. Le vocali in festa - 26. Il mese
in cui si festeggia il 1° - 27. Era una
compagnia aerea italiana - 29. Il nome
di Newton - 33. La rivoluzionaria bra-
siliana che sposò Garibaldi - 36. L’in-
dimenticato Fabrizi attore - 37. Xiao-
ping politico cinese - 38. Appartiene
al Gruppo Volkswagen dal ’64 - 39. Il
marchio di una diffusa finta pelle - 40.
Agnese a Madrid - 42. Una dottrina
buddista - 43. Ruscelletti - 47. La
scientifica dei Carabinieri - 50. Artico-
lo spagnolo - 51. Turbo Diesel - 52. I
confini del Senegal.
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5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
La fotografia
Disegno di Fabrizio Zubani
Il marito di Maria era morto quan-
do la figlia Christina era piccola.
La giovane madre aveva ostina-
tamente rifiutato ogni opportu-
nità di risposarsi, si era trovata
un lavoro e aveva cominciato ad
allevare la figlia. Ora, quindici anni
dopo, il peggio era passato. Con il
suo stipendio da domestica Maria
non poteva certo concedersi molti
lussi, ma aveva un lavoro sicuro che le
permetteva di comprarsi cibo e vestiti,
una casetta con i tetti rossi, piccola ma
decorosa. A quindici anni, Christina
era abbastanza grande, poteva trovarsi
un lavoro e darle una mano.
Era una ragazza molto bella, con la
pelle ambrata e begli occhi castani
che le attiravano simpatia e giova-
notti. Aveva un modo contagioso di
riempire la stanza di risate. Ma non
si sentiva felice nel villaggio e diceva
spesso che voleva andare a vivere in
città. Sognava i viali eleganti, le ve-
trine lussuose, la vita raffinata. Ma-
ria era terrorizzata al solo pensiero di
veder partire sua figlia e le ricordava
sempre quanto fosse dura la vita nelle
strade cittadine: «La gente non ti co-
nosce. Il lavoro scarseggia e la vita è
crudele. Inoltre, se tu andassi a stare
in città, cosa faresti per vivere?».
Maria sapeva perfettamente cosa
avrebbe fatto Christina, o meglio
cosa avrebbe dovuto fare per vivere.
Ecco perché le si spezzò il cuore
quando una mattina, svegliandosi,
vide che il letto di sua
figlia era vuoto. Capì
immediatamente dove era
andata sua figlia.
Gettò velocemente alcuni
vestiti in una borsa, rac-
colse tutto il denaro che
possedeva e uscì di casa.
Mentre andava verso la
fermata dell’autobus, si
fermò per fare un’ultima
cosa.
Delle fotografie. Si sedet-
te nella cabina, chiuse la
tenda e spese tutto quello
che poteva per farsi delle
foto. Così, con la borsetta piena di
piccole foto in bianco e nero, salì sul
primo autobus per Rio de Janeiro.
Sapeva che Christina non aveva altri
modi per guadagnare denaro. Sapeva
anche che sua figlia era troppo testar-
da per darsi per vinta. Maria iniziò la
sua ricerca nei bar, negli alberghi, nei
night-club e in qualunque altro luogo
frequentato da donne di strada. Andò
dappertutto, e in ognuno di questi
posti lasciò la sua foto: sullo specchio
del bagno, nella bacheca degli alber-
ghi, nelle cabine telefoniche. Sul retro
di ogni foto scrisse un messaggio.
Ben presto sia il denaro sia le foto
finirono, e Maria dovette tornare a
casa. Si mise a piangere, sfinita, non
appena l’autobus cominciò il lungo
viaggio che l’avrebbe riportata al suo
villaggio.
Qualche settimana dopo, Christina
scendeva le scale di un albergo. Nes-
suna risata le illuminava il volto. Il
suo sogno era diventato un incubo. Il
suo giovane cuore era diventato una
pietra. Quando arrivò in fondo alla
scalinata, i suoi occhi notarono un
volto familiare. Guardò di nuovo e lì,
sullo specchio dell’ingresso, c’era una
piccola foto di sua madre. Le brucia-
vano gli occhi e aveva la gola serrata
quando tolse la foto dallo specchio.
Sul retro c’erano solo queste paro-
le: «Qualunque cosa tu abbia fatto,
qualunque sia la tua condizione, non
importa. Per favore, torna a casa».
E così fece.
Dio ha fatto lo stesso.
Ci ha lasciato la sua fotografia:
Gesù di Nazareth.
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5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
Salesiani nel mondo
Nel Paese musulmano
più grande del mondo
I Salesiani in Indonesia
Il poster
Chi sono i personaggi
del quadro di Maria
Ausiliatrice?
L’invitato
Don Giorgio Miguel
La nazione che ama
don Bosco
Le case di don Bosco
Viole mammole sul Piave
L’oratorio di San Donà
La serie
Vivere il Giubileo della
misericordia in famiglia
La generosità
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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