Bollettino_Salesiano_201604

Bollettino_Salesiano_201604

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IL
APRILE
2016
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
L'invitato
Il signor
Celato
Giubileo
in famiglia
Tenerezza
Salesiani
nel mondo
Serbia
A tu
per tu
Signor
Santi
Il mistero del
cane di don Bosco

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
La Bibbia
sul muro
Siamo ancora qui. Dopo più di 160 anni
siamo ancora tutte qui. Siamo le frasi
della Bibbia scritte sui portici di Valdoc-
co. Noi, la vecchia pompa sul secondo pi-
lastro e la statuetta della Madonna, nella
parete di fondo, siamo i testimoni muti
di un passato incantevole e troppo spesso trascu-
rato. Il presente è molto distratto: sono così pochi
quelli che alzano gli occhi verso di noi.
Il buon don Bosco aveva pensato subito di fare
uno spazioso porticato davanti alla sua nuova
casa. Pensava soprattutto ai ragazzi. Avevano bi-
sogno di uno spazio in cui giocare e intrattenersi
anche quando imperversava il maltempo e anche
di un luogo tranquillo di transizione prima dello
studio, della preghiera in chie-
sa, del sonno.
Ne venne fuori un porticato
basso ma elegante, nello
stile dell’epoca. Nella
parte interna degli undi-
ci pilastri e nelle lunette
contro la parete della
casa nascemmo noi.
Don Bosco chiese al suo
fedele Enria di dipin-
gerci in bello stile. Sotto
uno dei pilastri, proprio
sotto una di noi, veniva
collocato il piccolo pul-
pito mobile da cui don
Bosco tutte le sere dava
la “Buonanotte” ai suoi
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
Don Bosco voleva coronare degnamente il portico della
sua prima vera casa e, intonacati i portici e dato loro il
bianco, pensò di far scrivere da Pietro Enria e a grossi
caratteri maiuscoli alcune iscrizioni tratte dalla Sacra
Scrittura. Voleva che perfino le mura della sua casa par-
lassero della necessità di salvarsi l’anima. Le iscrizioni
erano latine e sotto erano tradotte in italiano.
ragazzi. E Lui spesso spiegava il nostro significa-
to ai ragazzi. Lo stesso faceva con i forestieri con
i quali passeggiava sotto il porticato e ci definiva
articoli del suo codice, che costituiscono, come
diceva, l’arte di ben vivere e di ben morire. Era
solito dire: «Sotto questi portici talora i giovani si
arrestano stanchi dal giuoco, ovvero passeggiano.
I forestieri che vengono per vari affari all’Orato-
rio, qui si fermano aspettando il momento di ave-
re udienza. Gli uni e gli altri vedendo le iscrizioni
sono presi dalla curiosità di leggere, se non altro
per passare la noia, ed ecco un buon sentimento
che loro resta scolpito nella mente e può a suo
tempo produrre un frutto salutare».
Le scritte nostre sorelle sui muri della nuova casa
Pinardi sono un vero trattato sulla confessione.
Una vera galleria della misericordia di Dio.
Noi dalla parte del cortile invece eravamo i
nobili Dieci Comandamenti. Io ero il primo:
Dominum Deum tuum adorabis ei illi soli servies,
Adorerai il Signore Iddio tuo e servirai a lui
solo: significa che Dio è tutto per noi e noi sia-
mo tutto per Dio. Ed era quello che don Bosco
faceva vivere ai suoi ragazzi.
Don Bosco era orgoglioso di noi e fece dipingere
altre iscrizioni tratte dalla Bibbia nei successivi am-
pliamenti dell’Oratorio. Credo che se fosse dipeso
solo da lui avrebbe scritto sui muri del suo Ora-
torio l’intera Bibbia. Oggi molte scritte sono state
cancellate. Per don Bosco erano parole vive. Ed era
felice quando qualcuno alzava gli occhi verso di
noi e poi gli chiedeva il senso dell’iscrizione.
Amava la Sacra Scrittura come pochi altri nel
suo tempo e voleva che i suoi ragazzi le trovas-
sero anche sui muri per imparare a scriverle nel
loro cuore.
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Aprile 2016

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IL
APRILE 2016
ANNO CXL
Numero 4
IL
APRILE
2016
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
L'invitato
Il signor
Celato
Giubileo
in famiglia
Tenerezza
Salesiani
nel mondo
Serbia
A tu
per tu
Signor
Santi
Il mistero del
cane di don Bosco
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina: Il tocco del soprannaturale nella vita
di don Bosco si è manifestato in molti modi. Anche
attraverso la presenza di un misterioso cane “custode”
(Disegno Shutterstock).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 SALESIANI NEL MONDO
Serbia
10 L'INVITATO
10
Il signor Celato
14 FINO AI CONFINI DEL MONDO
16 A TU PER TU
Un guru in tipografia
19 DON BOSCO NEL MONDO
20 LA MIA STORIA SALESIANA
Il dottor Artemide
22 FMA
24 LE CASE DI DON BOSCO
Torre Annunziata
16
28 CONOSCERE LA FAMIGLIA SALESIANA
Exallieve ed Exallievi delle FMA
32 IL GIUBILEO IN FAMIGLIA
Misericordia è tenerezza
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
20
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
Tel./Fax 06.65612643
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Roberto Desiderati,
Emilia Di Massimo, Ángel
Fernández Artime, Jesus Jurado,
Cesare Lo Monaco, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto,
Nallayan Pancras, Pino Pellegrino,
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O. Pori Mecoi, Yoshiki Sekiya,
Luigi Zonta, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Tullio Orler (Roma)
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Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Sogno una Famiglia Salesiana
che porta nel cuore i più poveri
Un altro dei miei sogni per la Famiglia Salesiana
e gli amici di don Bosco di tutto il mondo, frutto
di questo Bicentenario, che abbiamo vissuto
come anno di grazia del Signore, è quello che
è stata la norma della sua vita: portare nel cuore
i più poveri, specialmente i bambini, i ragazzi,
i giovani, i più disagiati, i più svantaggiati.
Mentre vi scrivo ho
negli occhi e nel
cuore la visita di
diciotto giorni che
ho vissuto in Sier-
ra Leone, dove ho
potuto incontrarmi con alcune
delle nostre autentiche ragioni
di profonda felicità: i ragazzi
raccolti dalle strade, le bambi-
ne liberate dallo sfruttamento
sessuale che le incatenava, i ra-
gazzi e i giovani orfani a cau-
sa di Ebola. Vederli tutti nella
casa salesiana di Freetown, e vedere come le loro
vite avessero ora un nuovo orizzonte, mi faceva
provare la stessa gioia che provava don Bosco a
Valdocco e Maria Mazzarello a Mornese con i
loro primi ragazzi.
Visitando il carcere giovanile della capitale, in un
incontro con il dieci per cento dei detenuti (160
su 1600), dei quali più di 1200 giovani tra i 18 e
i 25 anni, provavo i sentimenti di don Bosco alla
“Generala” di Torino.
Quando ad Accra, capitale del Ghana, incontrai
le nostre sorelle fma con i ragazzi raccolti nella
loro casa e nel “Don Bosco” i bambini e gli ado-
lescenti vittime dei trafficanti di vite umane, non
potei fare a meno di commuovermi e ringraziare
il Signore che ci dona la grazia come Famiglia
Salesiana di essere un raggio di luce in mezzo a
tante tenebre.
A Mecanisa, Addis Abeba (Etiopia), incontrando
i 500 bambini che ogni giorno da noi possono
mangiare e frequentare la scuola e salutando i ra-
gazzi recuperati dalle strade che stanno imparan-
do un mestiere o i 28 che arrivano ogni giorno
dalla strada per alimentarsi, stare con degli amici
e con i salesiani per decidere se tornare alla vita
randagia o far parte dei giovani allievi della casa,
il mio cuore batteva all’unisono con quello di don
Bosco che certamente sosteneva tutto questo in-
sieme a Gesù, che continua a chiederci di andare
incontro ai più poveri.
Per questo, cari fratelli della nostra famiglia e ami-
ci di don Bosco, vi ripeto ancora una volta la mia
convinzione che sono i più poveri la ragione della no-
stra esistenza come Famiglia Salesiana nella Chiesa e
la dedizione a loro la ragione delle nostre vite.
Sono convinto che è preziosa la testimonianza di
tanti confratelli che danno la vita ogni giorno con
vera passione educativa ed evangelizzatrice a fa-
vore dei giovani; sono convinto che sono tante le
presenze salesiane che guardano con predilezione
ai più poveri.
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Rendo grazie al Signore per questo e vi ripeto:
fratelli e sorelle, dobbiamo “andare più in là”.
Dobbiamo avere tutti un cuore come quello del
Buon Pastore, come quello di don Bosco, dei san-
ti e delle sante di questa famiglia religiosa che
mira a dare il meglio di sé in favore dei giovani.
Dobbiamo unire questo nostro impegno a quello
di tutte le persone di buona volontà.
Penso veramente che il metodo salesiano per
illuminare il mondo in maniera profetica e con-
trocorrente è ben radicato in tutti noi e in tutte le
nostre case. E non abbiate il minimo dubbio che
vivendo e lavorando così, anche senza necessità di
parole, il messaggio è interpellante e con grande
forza testimoniale; e non dubitate: vivendo così
non mancheranno i mezzi per arrivare ai più po-
veri. Ricordiamo la solida fiducia di don Bosco
nella Divina Provvidenza.
Papa Francesco dice nel messaggio ai religiosi:
“Svegliate il mondo, illuminandolo con la vostra testimonianza
profetica e controcorrente”.
Se è così, che cosa ci resta ancora da fare? La rispo-
sta è continuare questo cammino di ascesa finché a
ogni salesiano, a ogni Figlia di Maria Ausiliatrice,
a ogni Laico della Famiglia Salesiana di ciascuno
dei trenta gruppi che oggi formano questo gran-
de albero germogliato dal carisma di don Bosco,
rincresca nel profondo dell’anima di non soccor-
rere ogni ragazzo o ragazza povera che ha bisogno
di noi. Se il nostro cuore sente questo, troveremo
sempre soluzioni e sempre saremo molto fedeli alla
scelta preferenziale dei giovani più poveri.
Nella Evangelii Gaudium il Papa cita un Padre
della Chiesa, san Giovanni Crisostomo, che
dice: “Non condividere i propri beni con i poveri
significa derubarli e privarli della vita. I beni che
possediamo non sono nostri, ma loro”.
Il Papa richiama la globalizzazione dell’indiffe-
renza che rende incapaci di provare compassio-
ne dinanzi al grido di dolore degli altri, in una
cultura del benessere che ci anestetizza (EG 54).
Con grande forza richiama la nostra attenzione
alla cultura dello “scarto” alla quale socialmente
abbiamo dato inizio, nella quale gli esclusi non
sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi” (EG 53).
Alla luce di questa espressione pure fondamentale
ed essenziale del nostro carisma vi dico, amiche
ed amici, che in questa direzione non dobbiamo
preoccuparci per l’identità della nostra missione
e per la nostra fedeltà. Siamo sulla buona strada.
Vi benedico tutti, perché il Signore continui a
riempire la nostra vita con quella pienezza che
viene solo da lui.
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SALESIANI NEL MONDO
B. F.
Don Janez Jelen
«Siamo il cuore
di don Bosco in Serbia»
Don Rua ha detto ai primi salesiani sloveni
a Ljubljana: «Voi non dovete andare
nelle missioni estere, voi avete le missioni
nei Balcani!»
Puoi autopresentarti?
Io sono nato in Slovenia, nel comune di Velenje,
una città mineraria in cui i comunisti non hanno
consentito fino ad oggi di costruire una nuova
chiesa. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, i
partigiani di Tito hanno ucciso un gran numero
dei loro avversari ideologici; tra loro anche alcu-
ni salesiani molto giovani. Tra gli assassinati ci
fu anche mio zio France Brenčič, fratello di mia
madre. Come tanti altri cristiani, è stato ucciso
senza alcun processo, in una foiba (una grotta
carsica).
La mia mamma da giovane scriveva e pubbli-
cava poesie. Mio padre, che aveva un vivaio di
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piante, comprò un libretto di poesie, “Canto
della valle silenziosa”. Gli piacquero molto le
poesie e anche la poetessa. Così la sposò. Dal
loro amore nacquero nove bambini. Secondo i
medici, il primo bambino non avrebbe dovu-
to nascere, ma i miei genitori non si arresero,
fidandosi totalmente della divina provvidenza.
Mia sorella nacque sana e fu gioia e sostegno
dei genitori. È interessante che il mio fratello
maggiore si chiami Antonio, il minore Giusep-
pe e io Giovanni, proprio come nella famiglia
di don Bosco.
Com’è nata la tua vocazione
salesiana?
Mio padre coltivava piante da frutto. Quando i
nazisti occuparono la nostra regione, mio padre
forniva loro frutta e verdura di giorno e di notte la
forniva ai partigiani. Una volta arrivarono insie-
me, ma mia madre riuscì a convincere i tedeschi a
ritirarsi senza sparare perché c’era un bambino in
casa. Ero io, nato il 25 luglio 1944. I miei genito-
ri e mia sorella maggiore furono deportati, ma si
salvarono grazie all’intervento di un soldato cat-
tolico austriaco. Sotto il comunismo, mio padre si
rifiutò di iscriversi al partito, cosicché dovemmo
sempre pagare tasse molto più elevate.
Ma, grazie alla Provvidenza, non ci mancò
mai nulla. Fui iscritto nel Liceo dei Salesiani a
Križevci in Croazia (64 km nord-est di Zaga-
bria). La scuola era gratuita, ma quando capii
che era un aspirantato decisi di tornare a casa.
Durante le vacanze invernali feci gli Esercizi
Spirituali, guidati da due bravissimi salesiani.
Sperimentai la vicinanza di Dio, una pace e
una gioia speciali. In quel momento nacque la
mia vocazione. Anche mia sorella Ivanka, nata
nel 1958, decise di farsi suora. Penso che le no-
stre vocazioni siano il frutto della vita cristiana
esemplare dei genitori, ma anche dell’interces-
sione degli innumerevoli martiri sloveni sotto il
comunismo.
Perché ti trovi in Serbia?
Ho ricevuto l’ordinazione sacerdotale nel 1972 a
Celje. In quell’anno in Slovenia furono ordinati
61 sacerdoti novelli. Fui mandato poi a Cerknica
come cappellano, dove provai la gioia di lavorare
come catechista dei bambini. Nel centenario del-
le Missioni Salesiane, ho chiesto di partire come
missionario, ma i superiori mi hanno mandato in
Serbia dicendo: «Don Rua ha detto ai primi sale-
siani sloveni a Ljubljana: “Voi non dovete andare
nelle missioni estere, voi avete le missioni nei Bal-
cani!”». Nel 1975 sono arrivato a Belgrado, allora
capitale della Jugoslavia. L’Ispettoria jugoslava
nel 1970 è stata divisa. Alla Slovenia sono rima-
ste le case della Serbia, il Kosovo, la Vojvodina
e il Montenegro (Titograd, adesso Podgorica).
Esiste però una grande differenza tra il lavoro ve-
ramente missionario e questo in diaspora. Questo
in diaspora, per certi motivi, è il lavoro più diffi-
cile e più pericoloso, perché i pagani accettano i
missionari, ma qui i fedeli cattolici sono dispersi,
in una maggioranza ortodossa o islamica, e sono
pieni di indifferenza. Tuttavia questo lavoro mi
Sopra e a pagina
precedente: Don
Janez nella vita
di tutti i giorni in
mezzo ai giovani
e ai ragazzi.
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SALESIANI NEL MONDO
è molto piaciuto: visitare le famiglie e benedirle,
confessare gli ammalati, giocare con i giovani. In
seguito i superiori mi hanno trasferito a Mužlja,
nel 1984. Qui i salesiani operano nelle parrocchie
con la minoranza ungherese e altri piccoli grup-
pi etnici. La lingua ungherese è molto difficile:
inoltre la dittatura antireligiosa comunista ha
provocato difficoltà e ostacoli.
La buona vicinanza
ecumenica: la
chiesa evangelica
slovacca (a sinistra)
e quella cattolica
ungherese-bulgara
(a destra).
In alto: La torta per
i cento anni della
chiesa di Mužlja
con gli alunni di
Emaus.
Qual è la situazione della Chiesa
in Serbia?
La posizione della Chiesa in Serbia è relativa-
mente buona. Dopo la caduta di Milošević è arri-
vata una sorta di democrazia. Ora si sono aperte
nuove possibilità e abbiamo fondato i Vojvodina
Scouts e il collegio per i ragazzi Emaus a Mužlja.
Dal 2000 abbiamo anche l’educazione religiosa
nelle scuole elementari e medie. Il vero problema
è la povertà.
La disoccupazione costringe molti ad emigra-
re. Il nostro arcivescovo salesiano di Belgrado,
il mio compagno di classe monsignor Stanislav
Hočevar, crea un clima di fiducia, cooperazione
ed ecumenismo. Ma i credenti sono ogni gior-
no di meno, perché lasciano la Serbia. Purtroppo
vogliono eliminare la religione dalle scuole supe-
riori, mentre l’educazione religiosa nelle scuole è
molto utile per i giovani, perché porta cultura,
socialità e democrazia.
Che cosa significa la presenza
salesiana?
La presenza salesiana significa molto per la gen-
te di qui. Le persone sono molto affezionate ai
salesiani e al loro modo di impartire l’istruzio-
ne, così stiamo cercando di realizzare il Siste-
ma Preventivo di don Bosco, che è il miglior
sistema educativo nel mondo moderno. È stato
attuato in lezioni di religione, scout e nell’in-
ternato, guidato dai salesiani di Mužlja. Ognu-
no di noi ha ricevuto la personale riconoscenza
da parte del Comune di Mužlja: Stojan Kalapiš
per il lavoro con i giovani dell’internato, Stanko
Tratnjek, il parroco, per i buoni rapporti tra la
Chiesa e l’autorità civile, Zoltán Varga per gli
scouts e Janez Jelen per la cura degli ammalati a
casa e negli ospedali.
Come sono i giovani serbi?
I giovani serbi e ungheresi sono simili a tutti gli
altri giovani nel mondo. Sognano la pace, hanno
voglia di stare insieme, pensano all’amore. La
realtà è purtroppo molto dura, perciò manca una
speranza di futuro qui, in Vojvodina o Serbia,
perché manca la possibilità di lavorare in patria.
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Quasi tutti vogliono andare in futuro all’estero,
soprattutto in Ungheria e in Germania.
La mia impressione è che questa gioventù non
abbia generalmente una religiosità di lunga du-
rata o profonda, ma solo temporanea. La stessa
cosa succede con la vocazione: non si vogliono
impegnare per tutta la vita (nel matrimonio o
nella vita religiosa). Per la scelta della vita reli-
giosa spesso manca il supporto di genitori, di pa-
renti e di altri adulti. Il dopo Cresima vede un
grande declino o l’abbandono della frequenza
della chiesa. Resiste in verità un piccolo “resto”,
raccolto in vari movimenti, che è la forza costante
nella vita parrocchiale. Qui ci sono i cooperatori
salesiani, i gruppi di sposi, il gruppo biblico, gli
animatori di oratori, i vecchi, il gruppo di pre-
ghiera Međugorje ecc. Qui da noi c’è un gruppo
di scout, gli animatori per l’oratorio estivo, i gio-
vani del coro vocale-strumentale don Bosco, che
canta ogni domenica alla santa Messa.
I giovani partecipano volentieri ai pellegrinaggi,
agli incontri di gioventù a Taizé, agli incontri in-
ternazionali o europei con il Papa. Per quanto ri-
guarda le vocazioni è un periodo difficile, sebbe-
ne noi salesiani abbiamo alcune buone vocazioni.
Quali sono le caratteristiche
della vostra opera?
Qui noi abbiamo due parrocchie: Mužlja e Belo
Blato. Credo che la parrocchia sia un buon campo
per una pastorale globale e anche giovanile. Que-
sto lavoro ci insegna il rispetto per persone diverse
e anche per l’integrazione di diverse generazioni e
caratteri nella comunità. Ai nuovi salesiani piace
lavorare con i giovani. La mia occupazione pri-
maria è la preoccupazione per gli ammalati. Fin
dall’inizio della mia vita sacerdotale, ho dedicato
una particolare attenzione agli infermi, perché
questi rappresentano il gruppo più a rischio. Si
ammalano anche i giovani e con loro ci vogliono
gran tenerezza, allegria e pazienza. Io sono anche
confessore in un internato, nel quale lavoriamo
bene insieme: un confratello è direttore del con-
vitto per ragazzi, un altro è il parroco, un con-
fratello ha la cura degli scout, non solo a Mužlja,
ma in tutta la Vojvodina. Ognuno ha un proprio
campo, lavoriamo però come una comunità per lo
stesso scopo, come aveva detto don Bosco: “Da
mihi animas - caetera tolle!”.
Quali sono i tuoi sogni per il futuro?
Mi rendo conto che la morte è forse vicina, ma mi
piacerebbe ancora vivere: per visitare i poveri e gli
ammalati, e finire alcuni dei bei progetti: leggere
e scrivere sulla Storia dei Papi; contattare i gio-
vani e salvarli dai pericoli dell’anima e del corpo.
Vorrei suscitare almeno una vocazione salesiana e
sacerdotale. Vorrei vivere per vedere la beatifica-
zione di almeno un salesiano sloveno, per esem-
pio, il grande missionario Andrej Majcen, che ha
fondato la vita salesiana in Cina e ancora di più in
Vietnam. È stato espulso da entrambi i paesi. Lo
conoscevo di persona. Nella casa di Ljubljana fu
un buon confessore “usque ad mortem”. Infine,
vorrei lasciare nella pace con Dio questo mondo e
incontrare tutte quelle anime che il mio aposto-
lato e la grazia di Dio hanno salvato e aiutato ad
arrivare nella patria celeste.
Don Zoltán Varga
celebra la Messa
all’aperto per gli
scout.
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L’INVITATO
JESUS JURADO
«Ho accarezzato il Grigio»
Incontro con il signor Renato Celato
Un salesiano della
“vecchia guardia” autista
fidato e discreto di quattro
Rettori Maggiori, una
lunga vita di servizio
eroicamente osservante
e puntuale. Con un
“misterioso” incontro.
«Sono nato 93 anni fa.
Eravamo undici fra-
telli. Solo uno oltre
a me è ancora vi-
vente. Uno dei miei
fratelli è morto du-
rante la guerra ucciso in una foiba dai
partigiani comunisti».
Come ha conosciuto
i salesiani?
«È stata una cosa singolare. Girava nei
nostri paesi, nell’anno della canoniz-
zazione di don Bosco, il 1934, molto
materiale propagandistico salesiano.
C’era in particolare una cartolina con
la figura in bianco e nero di don Bo-
sco. Bisognava fissare un punto per
un po’ di secondi, poi, se si chiudeva-
no gli occhi, si vedeva la figura a colo-
ri di don Bosco sorridente. È proprio
quello che mi ha incuriosito e attrat-
to. Vedere don Bosco così sorriden-
te mi ha affascinato. Ho parlato poi
con il viceparroco e lui ha combinato
tutto. Per l’intervento anche di un sa-
lesiano che conoscevo, perché al mio
paese c’erano altri tre salesiani, sono
andato al Colle don Bosco, che allora
si chiamava Casa Paterna, nel 1935, e
sono rimasto là per l’aspirantato. Nel
1940, in piena guerra, sono andato in
Noviziato. Dopo la Prima Professio-
ne sono stato mandato per un anno
alla Crocetta come sguattero per dare
una mano alle suore, poi sono tornato
al Colle e ci son rimasto fino al 1958.
Ero incaricato delle piante da frutto.
Ne avevamo più di mille da coltivare.
Mi occupavo anche delle api: avevamo
sessanta alveari. Negli ultimi giorni
di gennaio del 1958, il direttore mi
chiamò: “Ti desiderano i superiori di
Torino, vai a vedere quello che voglio-
no”. Mi presentai all’Economo Gene-
rale, don Fedele Giraudi, il quale mi
disse: “Abbiamo pensato che tu possa
fare l’autista del Rettor Maggiore ma,
bada, altri tre salesiani hanno fatto da
autisti al Rettor Maggiore e tutti e tre
sono usciti di Congregazione. Pensaci
e dammi una risposta”. Mi consultai
con il direttore del Colle che mi disse
di non pensarci, ma il 29 gennaio do-
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vetti fare le valigie e andare a Torino.
Ero il più giovane di Valdocco. Quan-
do mi vide il Rettor Maggiore, don
Ziggiotti, mi disse: “Povero Figlio,
sei finito nella fossa dei leoni! Ma
non avere paura. Per qualsiasi diffi-
coltà vieni da me e risolviamo tutto”.
Ci restai fino al 26 maggio del 1971
quando venni qui a Roma Pisana.
Sempre con lo stesso incarico: autista
del Rettor Maggiore e poi incaricato
dell’Ufficio Postale interno. E sono
ancora qua».
Sotto il titolo:
Il signor Renato
Celato.
Accanto: Uno dei
tanti monumenti
di don Bosco
con il suo
“Grigio”.
Tra i tanti salesiani
che ha conosciuto, chi l’ha
impressionato di più?
Certamente il signor Luigi Fortini
morto a Valdocco qualche anno fa
a 99 anni. Quando arrivai in colle-
gio vidi un signore con il rosario in
mano. Mi ha fatto impressione: non
ero abituato a vedere un uomo con il
rosario in mano. Era lui. Un salesiano
coadiutore esemplare.
Quanti Rettori Maggiori
ha conosciuto da vicino?
Don Ricaldone veniva quasi tutte le
settimane al Colle. Seguiva di per-
sona i lavori per l’avviamento della
Scuola Grafica e del sito dove sa-
rebbe sorto il Tempio di don Bo-
sco. Là, in quel tempo, c’era una
collina e sopra la collina la ca-
scina dove era nato don Bosco.
Ho potuto dormire per molti
anni proprio nelle camere dove
era nato don Bosco prima che la
casa fosse demolita. Poi don Zig-
giotti: sono stato il suo autista per
tutto il rettorato, poi don Ricceri
e don Viganò e don Vecchi. Don
Chávez aveva come autista il suo
segretario, così ho cominciato ad
occuparmi della posta interna a
tempo pieno, con il compianto
signor Egidio Brojanigo, morto
due anni fa a 102 anni. La fati-
ca più grossa erano le spedizioni,
veramente impegnative.
Come autista dei Rettori Mag-
giori ho viaggiato molto, per
tutta l’Italia e l’Europa.
E sempre con la massima
discrezione. Quando ho in-
cominciato a Torino, mi hanno detto:
“Tu sei cieco, sordo e muto”.
Ma ha ascoltato molto!
Ho ascoltato fin troppo! Durante i
lunghi spostamenti in automobile,
naturalmente, si occupava il tempo
chiacchierando. Si prospettavano e
risolvevano problemi. Sentivo, ma
non sono mai venuto meno al segreto
professionale.
Che cosa ricorda
del misterioso cane
che vide accanto all’urna
di don Bosco?
Lo hanno raccontato tante volte. Ho
potuto vedere, toccare, accarezzare
quel misterioso cane. Era il 5 o il 6
di maggio del 1959, dopo l’inaugura-
zione del grande tempio di Cinecittà.
Eravamo di ritorno da Roma con l’ur-
na di don Bosco. L’urna era rimasta a
Roma vari giorni. Era venuto ad ono-
rarla anche papa Giovanni XXIII. In
contemporanea c’era a Roma anche
l’urna con le spoglie di san Pio X.
L’urna di don Bosco rimase due gior-
ni in San Pietro, intanto che si face-
vano le pratiche burocratiche per il
viaggio di ritorno a Torino. Siamo
partiti da Roma nel tardo pomerig-
gio. Cominciava a farsi buio. Dove-
vamo arrivare a La Spezia alle quat-
tro del mattino, sennonché eravamo
stanchi e don Giraudi ci consigliò di
fermarci un paio d’ore a Livorno dai
salesiani. Arrivammo a La Spezia
verso le sette invece che alle quattro.
Il confratello sacrista, signor Bodrato,
aveva aperto le porte della Chiesa alle
quattro e mezzo e aveva visto questo
Aprile 2016
11

2.2 Page 12

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L’INVITATO
cane accovacciato davanti alla porta e
gli aveva rifilato un calcio per man-
darlo via. Senza reagire, il cane si era
ritirato in disparte ed aveva aspettato
l’arrivo dell’urna.
Quando siamo arrivati, abbiamo por-
tato l’urna in chiesa e l’abbiamo ap-
poggiata su un bancone dei falegnami,
il cane ci ha seguiti e si è accoccolato
sotto l’urna. Lì per lì nessuno ci ha
badato. Poi quando incominciò ad ar-
rivare la gente e iniziarono le Messe e
le funzioni, il direttore si preoccupò
e disse ai carabinieri: “Mandate via
questa bestia che sta sotto l’urna!”. Ma
non ci riuscirono. Il cane digrignava i
denti e sembrava arrabbiato. Rimase
là fino a mezzogiorno. A quell’ora
chiusero la chiesa. Il cane uscì e co-
minciò a gironzolare tra i ragazzi in
cortile. I ragazzi naturalmente erano
felici di averlo in mezzo a loro: lo ac-
carezzavano, gli tiravano la coda. Mi
unii anch’io a loro.
Andammo a pranzo. C’erano l’ispet-
tore, tutti i direttori dell’ispettoria, i
novizi e i confratelli che erano riusciti
ad entrare. La sala da pranzo era al
piano superiore. Durante il pranzo
vedemmo questo cane che tranquil-
lamente spinse la porta con le zampe
anteriori ed entrò. Cominciò a gi-
ronzolare tra le tavole. Don Puddu,
segretario del Consiglio Superiore,
gli sferrò un calcio, ma il cane non si
scompose e continuò a passeggiare.
Gli offrirono pane, prosciutto, sala-
me. Annusava in segno di gradimen-
to, ma non toccò niente. Rimase lì per
Il signor Celato nell’Ufficio Postale della Pisana.
Sotto: Il misterioso cane che non ha mai lasciato
l’urna di don Bosco nel 1959.
A destra: Il quadro delle camerette di don Bosco.
tutto il pranzo. Poco prima della pre-
ghiera finale, aprì di nuovo la porta
da solo ed uscì.
Verso le quattordici, tornammo in
chiesa per ripartire, perché il viaggio
era ancora lungo. Il cane era di nuovo
accovacciato sotto l’urna. Come aveva
fatto a entrare? La chiesa aveva le por-
te sbarrate, com’è facile immaginare.
Caricammo la pesantissima urna
sul furgone e il cane era ancora lì in
mezzo a noi. Ho lasciato in archivio
una fotografia che documenta quel
momento. Partimmo per Genova
Sampierdarena, passando per il valico
del Turchino. Non c’era l’autostrada
allora. Don Giraudi, che era in mac-
china con me, mi diceva ogni tanto:
“Sta attento, guarda un po’ se c’è il
cane!” C’era. Sempre dietro il nostro
furgone, anche in città. Lo vidi anco-
ra fino al terzo tornante della salita.
Poi scomparve.
12
Aprile 2016

2.3 Page 13

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DON BOSCO RICORDA (dalle Memorie dell’Oratorio)
Che cosa vorrebbe dire
ai giovani salesiani
e ai tanti amici
di don Bosco, oggi?
Essere generosi. Dire sempre di “sì”
qualsiasi cosa capiti. Nella vita c’è sem-
pre Qualcuno che ci assiste. C’è sem-
pre Qualcuno che ci guida. Dobbiamo
sempre avere fiducia. Sono contento
della mia vita perché ho sempre cerca-
to di dire di “sì”. Ed essere utile a tutti,
anche se mi costava. Prima come au-
tista e poi come incaricato della posta.
Giorno e notte a disposizione di tutti,
sempre pronto a qualsiasi servizio.
E che trovino sulla loro strada tanti
salesiani come il signor Fortini.
«Il cane Grigio fu tema di molti discorsi e di varie supposizioni. Non pochi di voi l’avranno
veduto ed anche accarezzato. Ora lasciando a parte le strane storielle che di questo cane
si raccontano, io vi verrò esponendo quanto è pura verità. I frequenti insulti di cui era fatto
segno mi consigliarono a non camminare da solo nell’andare o nel venire dalla città di Tori-
no. A quel tempo il Manicomio era l’ultimo edifizio verso l’Oratorio, il rimanente era terreno
ingombro di bossoli e di acacie.
Una sera oscura alquanto sul tardi veniva a casa soletto non senza un po’ di panico; quando
mi vedo accanto un grosso cane che a primo aspetto mi spavento; ma non minacciando atti
ostili, anzi facendo moine come se io fossi il suo padrone, ci siamo tosto messi in buona
relazione, e mi accompagnò sino all’Oratorio. Ciò che avvenne in quella sera, succedette
molte altre volte; sicché io posso dire che il Grigio mi ha reso importanti servigi…
Tutte le sere che non era da altri accompagnato, passati gli edifizi, mi vedeva spuntare il
Grigio da qualche lato della via. Più volte lo videro i giovani dell’Oratorio, ma una volta ci
servì di commedia. Lo videro i giovani della casa entrare nel cortile: chi lo voleva battere,
chi prenderlo a sassate.
– Non si disprezzi, disse Buzzetti Giuseppe, è il cane di don Bosco.
Allora ognuno si fece ad accarezzarlo in mille guise e lo accompagnarono da me. Io era in refet-
torio a cena con alcuni chierici e preti, e con mia madre. A quella vista inaspettata rimasero tutti
sbigottiti: Non temete, io dissi, è il mio Grigio, lasciatelo venire. Di fatto compiendo egli un largo
giro intorno alla tavola si recò vicino a me tutto festoso. Io pure lo accarezzai e gli offerii minestra,
pane e pietanza, ma egli tutto rifiutò, anzi volle nemmeno fiutare queste offerte. – Ma dunque che
vuoi? soggiunsi. Egli non fece altro se non isbattere le orecchie e muovere la coda. – O mangiar,
o bere, o altrimenti stammi allegro, conchiusi. Continuando allora a dar segni di compiacenza,
appoggiò il capo sulla mia tovaglia come volesse parlare e
darmi la buona sera, quindi, con grande maraviglia ed alle-
gria fu accompagnato dai giovani fuori della porta. Mi ricordo
che quella sera venni sul tardi a casa, ed un amico mi aveva
portato nella sua carrozza.
L’ultima volta che io vidi il Grigio fu nel 1866 nel recarmi da
Murialdo a Moncucco presso di Luigi Moglia mio amico.
Il parroco di Buttigliera mi volle accompagnare un tratto di
via, e ciò fu cagione che fossi sorpreso dalla notte a metà
cammino. – O se avessi il mio Grigio, dissi tra me, quanto
mi sarebbe opportuno! – Ciò detto, montai in un prato per
godere l’ultimo sprazzo di luce. In quel momento il Gri-
gio mi corse incontro con gran festa, e mi accompagnò
pel tratto di via da farsi, che era ancora di tre chilometri.
Giunto alla casa dell’amico, dove ero atteso, mi prevenne-
ro di passare in sito appartato, affinché il mio Grigio non
venisse a battaglia con due grossi cani della casa. Si sbra-
nerebbero l’un l’altro, se si misurassero, diceva il Moglia.
Si parlò assai con tutta la famiglia, di poi si andò a cena, e il
mio compagno fu lasciato in riposo in un angolo della sala.
Terminata la mensa, bisogna dare la cena anche al Grigio,
disse l’amico, e preso un po’ di cibo lo si portò al cane, che
si cercò in tutti gli angoli della sala e della casa. Ma il Grigio
non si trovò più. Tutti rimasero maravigliati, perciocché non
si era aperto né uscio né finestra, né i cani della famiglia die-
dero alcun segno della sua uscita; si rinnovarono le indagini
nelle abitazioni superiori, ma niuno più poté rinvenirlo.
È questa l’ultima notizia che io ebbi del cane Grigio, che
fu tema di tante indagini e discussioni. Né mai mi fu dato
poterne conoscere il padrone. Io so solamente che quell’a-
nimale fu per me una vera provvidenza in molti pericoli in
cui mi sono trovato.
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2.4 Page 14

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MONDO
4
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
2
CAMBOGIA 1
FINO AI CO
39 biciclette
per gli allievi
Joseph Sinnott, giovane sta-
tunitense, allievo di un liceo salesiano e boy scout, ha
completato un progetto per la raccolta e riparazione di bi-
ciclette in favore di alcuni allievi salesiani in Cambogia.
Alla fine del 2015, grazie al suo progetto, sono state di-
stribuite 39 biciclette agli studenti seguiti dall’organizza-
zione salesiana cambogiana “Don Bosco Children Fund”
(dbcf), che aiuta bambini e ragazzi tra i 6 e i 15 anni che
non frequentano la scuola.
Grazie a quest’iniziativa sono stati selezionati studenti
di quattro scuole salesiane nelle province cambogiane di
Kep, Kampot e Takeo. Molti bambini, infatti, vivono in
zone remote del paese e devono percorrere grandi distan-
ze per frequentare un centro educativo.
La donazione comprende anche dei ricambi per le bici,
pompe per gli pneumatici e otto sacchi di coperte usate,
in buono stato, sempre per gli studenti.
Attualmente, quasi il 25% dei cambogiani di età superio-
re ai 15 anni è analfabeta. A fronte di ciò i Salesiani in
Cambogia animano 45 piccole scuole nei villaggi rurali,
attraverso una collaborazione tra i Salesiani e il Ministe-
ro dell’Educazione, e guidano anche 7 centri di forma-
zione professionale che offrono le competenze professio-
nali più richieste dal mercato del lavoro.
UGANDA 2
Agricoltura, un’opportunità educativa
per i giovani
L’Uganda è un paese prevalentemente agricolo, con l’80%
della sua superficie dedicata all’agricoltura. Tuttavia, i
giovani cercano lavoro nelle aree urbane, spesso lasciando
incolte le piccole proprietà agricole delle zone rurali. Nel
paese, dal suolo fertile, si registrano due stagioni delle
piogge l’anno, che si traducono in due raccolti l’anno, e
i Salesiani hanno iniziato a trarre vantaggio da questa
situazione per offrire un’ulteriore opportunità educativa.
Le strutture dell’opera “Don Bosco Kampala” a Namu-
gongo si estendono su una superficie di quasi 6 ettari;
i religiosi si sono presi carico della tenuta agricola nel
2005 e gli inizi sono stati difficili. Nel 2013 si è fatto il
primo tentativo di coltivare il vasto territorio incolto per
coinvolgere i ragazzi interessati in un progetto agricolo.
Contemporaneamente s’intraprese il progetto di una fat-
toria, con oche e anatre, maiali, capre e mucche, e fu un
successo. Ma il progetto agricolo nei primi due anni non
produsse una buona resa.
L’anno scorso, tuttavia, ha portato gioia e felicità a tutta
la comunità salesiana di Namugongo, per i risultati
ottenuti: cavoli, carote, cipolle, fagioli, mais, manioca,
melanzane, peperoni e patate dolci…
Grazie a questa proposta agricola, molti bambini e
giovani hanno appreso un mestiere che garantisce loro
un futuro, oltre ad aver ricevuto un’educazione di qualità
presso l’opera Don Bosco Kampala.
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2.5 Page 15

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INDIA 3
Una speranza per i bambini
affetti da HIV
AUSTRIA 4
3
1
Giornata dei bambini
di strada
Nella zona meridionale dello Stato indiano del Tamil
Nadu i Salesiani si sono fatti carico con gioia e dedizione
di quei minori che non riescono ad avere un’infanzia:
sono i bimbi malati di hiv.
Sono bambini di strada, divenuti tali perché rifiutati
dalle famiglie una volta diagnosticata la malattia; bam-
bini traumatizzati, perché hanno vissuto sulla loro pelle
l’abbandono; bambini senza speranza, perché sanno che
il loro futuro è limitato; bambini stigmatizzati, perché
l’aids spesso è ancora un marchio infamante.
Il “Don Bosco Care Home” di Salem è nato nel 2009,
perché i Salesiani che si occupavano di bambini di
strada si resero conto che tra loro ce n’erano moltissimi
affetti da hiv e i centri sanitari esistenti accoglievano
solo i bambini sino agli 8 anni circa. Da qui, la scelta di
creare un luogo per ospitare bambini affetti da hiv dai
dieci anni in su. Giungono al centro attraverso gli ospe-
dali pubblici. Sono chiusi, introversi, segnati dall’ab-
bandono e dalle discriminazioni subite, con percorsi di
crescita deficitari a causa dell’alimentazione e delle cure
insufficienti.
Contemporaneamente, sono reinseriti nel percorso edu-
cativo e accompagnati fino alla scuola superiore e all’uni-
versità.
Sul sito dell’“Associazione Missioni Don Bosco” di Tori-
no sono disponibili ulteriori informazioni.
In occasione
della “Giornata dei
bambini di strada”,
che si celebra
in Austria il 31
gennaio, la ong
austriaca “Jugend
Eine Welt”, che
da anni sostiene
numerosi progetti
salesiani in tutto il
mondo, ha ma-
nifestato estrema
preoccupazione
per il crescente nu-
mero di bambini
che in grandi città
come Atene o Istanbul chiedono l’elemosina per le strade,
vendono piccoli oggetti o sono addirittura coinvolti nella
prostituzione. In particolare, i rifugiati minorenni non
accompagnati devono affrontare grandi rischi lungo le
loro rotte e sono spesso vittime della tratta con il rischio
che il problema peggiori dato il crescente numero di paesi
europei che chiude le frontiere per gli immigrati che non
provengono da paesi in conflitto.
Il salesiano coadiutore Lothar Wagner, attivo presso la
ong “Don Bosco Fambul” di Freetown, Sierra Leone, è
stato invitato dall’ong austriaca a compiere un viaggio in
varie province di Austria, Svizzera, Liechtenstein, Ger-
mania e Italia per raccontare la realtà della Sierra Leone
in questa fase post-Ebola.
Egli ha confermato che molti giovani africani hanno
percezioni errate dei paesi occidentali e ritiene che
molti giovani dell’Africa occidentale cercheranno di
arrivare in Europa in primavera, dato che non hanno
nulla da perdere. “Le famiglie hanno già deciso chi
andrà e migliaia di giovani hanno fatto le valigie”, ha
dichiarato.
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2.6 Page 16

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A TU PER TU
NALLAYAN PANCRAS
Un guru in tipografia
Giuliano Santi salesiano coadiutore
«Sono al tramonto della
mia vita e per me è stato
motivo di grande gioia
e soddisfazione lavorare
per i ragazzi poveri.
Vorrei esalare il mio
ultimo respiro qui in India
e spero che il buon Dio
mi accolga nel suo Regno,
con la ricompensa
promessa al servo
fedele».
Per i giovani indiani
il signor Santi è una
leggenda.
Una vocazione “tranquilla”
Il giovane Giuliano si sentì più o meno
consapevolmente motivato a scegliere
la via che sta seguendo ancora oggi
quando nel 1946 vide la distruzione
che era stata provocata dalla Seconda
Guerra Mondiale. Tanti orfani vaga-
vano per le strade e tanti giovani vive-
vano senza alcuna speranza per il fu-
turo. Un numero sempre maggiore di
loro rimaneva dunque senza una casa.
Giuliano poteva limitarsi a prova-
re dispiacere di fronte alla situazio-
ne che vedeva o avrebbe potuto fare
qualcosa di più?
Nella stessa epoca, un giovane uomo
energico si presentò in qualità di sale-
siano laico. Arrivava da Torino, la terra
di don Bosco. La sua visita era finaliz-
zata a interessare i ragazzi a studiare
per imparare una professione e Giulia-
no aderì immediatamente al progetto.
Nel 1947 il giovane Giuliano si tro-
vava al Colle Don Bosco, nello splen-
dido Istituto di Arti Grafiche. La
Scuola segnò l’inizio e la cornice di
tutto ciò che Giuliano avrebbe realiz-
zato in seguito nella vita.
Al Colle, Giuliano sperimentò un
profondo spirito di famiglia. Vi re-
gnavano armonia, comprensione re-
ciproca, serenità, gioia, entusiasmo e
amore. Quell’esperienza motivò Giu-
liano a voler entrare a far parte della
famiglia di don Bosco.
Era una chiamata di Dio e Giulia-
no Santi la accolse con gratitudine.
Completò la sua formazione ed entrò
in Noviziato. Qui approfondì la pre-
ghiera e lo studio dello spirito di don
Bosco. Seguì la sua prima professione
religiosa e il signor Santi il 16 agosto
1952 diventò figlio di don Bosco.
La vita per i giovani poveri
Il signor Santi aveva così raggiunto il
suo primo obiettivo, quello di diventa-
re salesiano di don Bosco. Lasciò dun-
que la sua famiglia ed entrò a far parte
della nuova famiglia di don Bosco. La
chiamata da parte di Dio però non si
concluse così. Tramite i suoi superiori,
Dio chiamò ancora il giovane signor
Santi: «Le missioni la aspettano. Vada
a lavorare per i poveri. Faccia per loro
ciò che farebbe lo stesso don Bosco». Il
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Aprile 2016

2.7 Page 17

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È STATO UN DONO PER ME
signor Santi rispose a questa chiamata
e nel 1952 arrivò a Madras (Chennai)
per lavorare presso l’Istituto Tecnico
San Giuseppe a Basin Bridge.
Questo era il suo secondo obiettivo:
lavorare per i giovani poveri e orfa-
ni. Il signor Santi coltiva ancora oggi
questo impegno. Lavorava di giorno e
di notte, bussando alla porta di bene-
fattori generosi. Il suo sincero spirito
di sacrificio a favore dei poveri fu be-
nedetto da Dio e cominciarono ad ar-
rivare i fondi necessari. Il signor Santi
rispondeva a ogni lettera nel giorno
stesso in cui la riceveva. Anche lui,
come don Bosco, ringraziava tutte le
persone che gli offrivano un aiuto e
gli aiuti si moltiplicavano.
Le macchine migliori
per uomini migliori
Il signor Santi comprese presto che
per formare i suoi ragazzi poveri il
denaro non era tutto, dato che le
macchine con le quali si esercitavano
erano antiquate e obsolete. Elaborò
dunque il suo terzo obiettivo. E ri-
cordando il Creatore dell’Universo,
il signor Santi disse: «Allestiamo una
tipografia, con le macchine da stampa
più innovative e avanzate, formiamo i
nostri ragazzi e mettiamoli in condi-
zione di imparare e di realizzare mi-
gliori guadagni».
Si rivolse di nuovo ai suoi amici e be-
nefattori, che risposero positivamen-
te. Tutti vedevano nel signor Santi
Conservo bei ricordi degli anni che ho trascorso con il signor Giuliano Santi, sia come stu-
dente di Tipografia, sia nel periodo successivo, quando sono entrato a far parte del personale
della struttura. L’ho sempre considerato un “don Bosco vivo”, poiché arrivava da Colle Don
Bosco - Becchi. Abbiamo progredito insieme come salesiani con piena fiducia e amicizia. Per
me è stato un modello e una guida. Dopo aver vissuto alcuni anni di formazione e di espe-
rienza salesiana qui in Italia, ho avuto di nuovo la fortuna di lavorare con lui in tipografia e di
vivere nella stessa Comunità. Ho apprezzato la sua presenza fraterna e la sua guida. Ho capi-
to che era un confratello salesiano straordinario, attento ai giovani poveri e abbandonati. Era
un vero figlio di don Bosco e un fedele servitore di nostro Signore Gesù Cristo. Ha dedicato
tutta la sua vita a insegnare i valori umani e cristiani ai giovani del Tamil Nadu, a Chennai,
e a trasmettere loro le conoscenze e l’arte di cui era portatore. È per me un privilegio e un
dovere farlo conoscere alla Famiglia Salesiana, con la speranza che tanti si sentano ispirati
dalla sua vita e dalla sua dedizione al lavoro nella vigna del Signore secondo la via indicata
da don Bosco. (N.P.)
un’anima disponibile e attenta, una
persona ispirata, desiderosa di conti-
nuare l’opera di don Bosco al servizio
dei poveri di Madras. I suoi amici e
benefattori non erano ricchi; doveva-
no anzi lavorare duramente per vive-
re. Anche la famiglia del signor Santi
si impegnò nel progetto. Tutti inte-
ressarono gli abitanti delle case vicine
e i lavoratori dei dintorni e l’intero
paese contribuì generosamente alla
richiesta.
Il signor Santi compì diversi viaggi
in Italia. Coglieva ogni occasione per
parlare dei suoi ragazzi poveri di Ma-
dras e per trovare un sostenitore per
ogni giovane. Inoltre, dopo ogni visi-
ta portava nuove macchine da stampa
al siga (Salesian Institute of Graphic
Arts - Istituto Salesiano di Arti Gra-
fiche). Guardava i bambini poveri con
gli occhi del cuore.
Al signor Santi venivano offerte le
migliori macchine da stampa e tutto
A pagina precedente : Il signor Giuliano Santi
oggi e, a destra, il signor Santi con il direttore
dell’opera e l’autore dell’articolo.
Aprile 2016
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2.8 Page 18

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A TU PER TU
il materiale era portato e installato
nella tipografia. Questo terzo sogno
o obiettivo fu realizzato così bene che
nel 2007 l’Associazione dei Tipografi
di Chennai conferì al signor Santi il
premio Johannes Gutenberg. Il signor
Santi non se ne inorgoglì, perché,
come diceva: «tutto è un segno della
bontà di Dio e dell’aiuto da parte dei
benefattori e della comunità».
Un amico attento
e disponibile: un eroe
Dopo aver svolto un ruolo di guida
per 53 lunghi anni, il 24 maggio 2010
il signor Santi ha passato il testimone,
affinché forze più giovani continuino
a svolgere la buona opera avviata per
il bene dei giovani poveri.
Il signor Giuliano Santi è ricordato da
tutti con gratitudine e affetto come
pioniere e patrocinatore del siga. La
semplicità e la frugalità della sua vita
Il signor Santi circondato dai suoi exallievi. Per
loro è un eroe della bontà.
quotidiana, l’impegno instancabile e
la testimonianza convinta della sua
vita religiosa sono un fedele riflesso
del messaggio di don Bosco e del ca-
risma salesiano. «Vedere che tanti ra-
gazzi poveri emergono nella vita gra-
zie alla formazione che ricevono qui,
trovano un buon lavoro e si realizzano
infonde in me grande soddisfazione e
gioia. So che migliaia di ragazzi po-
veri e le loro famiglie hanno ricevuto
benefici grazie al siga».
Quasi tutti gli exallievi considerano il
signor Santi il loro eroe e per molti
il salesiano laico è stato un guru, un
maestro, un amico e una guida. Era
un amico attento e disponibile. I suoi
allievi crescevano insieme a lui e ave-
vano il privilegio della sua amicizia.
Non rinunciava a fare visita al labora-
torio quasi ogni ora, per guidare, di-
rigere e incoraggiare il personale e gli
allievi. Era piuttosto timido e schivo
e non ricercava mai lodi o elogi. Ve-
dere i poveri e la loro sofferenza era
una grande sofferenza per lui. Quan-
do doveva essere decisa l’ammissione
degli allievi, diceva chiaramente agli
altri salesiani che l’unico criterio da
tenere presente per la scelta dei ragaz-
zi era che fossero molto, molto poveri.
La sua opera più recente per i ragazzi
poveri, il suo “canto del cigno”, è un
edificio di quattro piani con eccellen-
ti strutture di accoglienza per i ragaz-
zi poveri che frequentano il siga.
Quando gli fu domandato se apprez-
zasse di più don Bosco o il signor
Santi, un exallievo rispose che gli
piaceva di più il signor Santi, perché
in lui vedeva don Bosco.
Quando gli è stato chiesto quali so-
gni coltivasse per il futuro, il signor
Santi ha risposto con umiltà: «Sono
al tramonto della mia vita e per me
è stato motivo di grande gioia e
soddisfazione lavorare per i ragazzi
poveri. Vorrei esalare il mio ultimo
respiro qui in India e spero che il
buon Dio mi accolga nel suo Regno,
con la ricompensa promessa al servo
fedele».
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Aprile 2016

2.9 Page 19

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Fondazione
DON BOSCO
NEL MONDO
La Fondazione DON BOSCO NEL MONDO grazie
al 5x1000 quest’anno sta realizzando il progetto
di protezione sociale e di sicurezza alimentare
per i minori a rischio nella città di Guayaquil in
Ecuador.
Obiettivo del progetto è garantire l’accesso al cibo
e alla salute di 620 bambine, bambini e
adolescenti di strada e in situazione di
vulnerabilità accolti nei quattro “Centros
de Referencia” che i missionari salesiani
gestiscono per tutelare l’infanzia a rischio.
Insieme a quanti hanno deciso di destinare
il 5x1000 alla Fondazione DON
BOSCO NEL MONDO è possibile
ancora una volta essere nelle
strade delle zone più povere del
mondo per offrire ai bambini
di strada la possibilità di
un sano sviluppo fisico e
psichico, l’opportunità
di una vita migliore.

2.10 Page 20

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LA MIA STORIA SALESIANA
YOSHIKI SEKIYA
Il dottor Artemide
Incontro con Osamu Urushibata, exallievo salesiano
Tokyo, Giappone. In una piccola clinica
di Shimokitazawa, un quartiere della città
di Tokyo, lavora un dermatologo che esercita
la professione medica seguendo lo spirito
dei Salesiani. Non propone solo terapie
e rimedi, ma s’impegna anche a curare
la mente e l’anima dei pazienti.
Il Professor Osamu Urushibata è docente della
Toho University ed è Direttore Generale della
Clinica Dermatologica Artemide.
Perché è andato a scuola
dai Salesiani?
Prima di tutto, i miei genitori desideravano che
io mi impegnassi nello studio. A quell’epoca le
scuole d’infanzia erano meno numerose rispetto
a quanto accada ora. Inoltre, non era così abituale
che i bambini fossero iscritti alla scuola d’infan-
zia. Ne era però stata aperta una vicino alla casa
in cui vivevamo e così l’ho frequentata per due
anni e mezzo. Ho poi continuato il percorso pres-
so una scuola elementare salesiana.
Conservo ancora ricordi molto nitidi della scuola
d’infanzia e della scuola elementare che ho fre-
quentato. Ero un bambino piuttosto vivace. Gio-
cavo con il fuoco e bruciavo fieno selvatico vicino
alla stazione insieme ai miei amici. Dopo aver
compiuto questi scherzi pericolosi, andavamo a
pregare davanti alla statua della Madonna nella
cappella di legno che si trovava là vicino. Sebbene
fossi ancora un bambino, sentivo che la cappella
era “un luogo molto sacro”. Fin dall’infanzia ho
ritenuto che la presenza di Maria fosse molto ef-
ficace e potente.
Ricordo che nella nostra scuola si teneva una pro-
cessione in onore della Madonna. Adesso il percor-
so è limitato al cortile della chiesa, ma a quell’epo-
ca seguivamo la statua della Madonna, sistemata
su un camioncino a tre ruote, dalla nostra scuola
alla stazione. Anch’io prendevo parte alla proces-
sione, indossando un costume da crociato.
Nell’ambito dell’educazione salesiana che mi è
stata proposta, è stato particolarmente importan-
te l’insegnamento ricevuto dalle Suore, le quali ci
ricordavano che Dio ci guarda sempre con amore.
Se si presentava qualche difficoltà, le Suore ci spie-
gavano semplicemente che Dio voleva prepararci
al nostro passo successivo, o qualcosa del genere.
20
Aprile 2016

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Per le Suore la religione non era
una realtà severa o rigida e questo
modo di pensare mi ha aiutato in
tante circostanze della vita.
Perché ha scelto
la professione sanitaria?
Quando frequentavo il liceo avevo deciso di stu-
diare pianificazione urbana e architettura presso
la facoltà di ingegneria dell’Università Tohoku.
Proprio a quell’epoca mio zio aprì una clinica
dermatologica nel quartiere Ikebukuro, la prima
che fosse avviata nella città di Tokyo. Di tanto in
tanto andavo a trovare mio zio e con il tempo fui
attratto dalla vita a Tokyo.
Quando gli confidai il mio segreto, mio zio mi
suggerì di frequentare la facoltà di medicina.
All’inizio ero un po’ perplesso, ma alla fine decisi
di studiare medicina. Mi iscrissi dunque all’U-
niversità Toho e mi specializzai in pediatria,
con l’obiettivo di aprire una clinica pediatrica. Il
professor Yasuda mi invitò però a frequentare il
suo reparto di dermatologia. Per questo rimasi
all’Università ed entrai nel suo reparto, per gra-
titudine nei suoi confronti. Nel reparto di medi-
cina dobbiamo esercitare la pratica ospedaliera,
frequentare seminari, svolgere attività di ricerca
e partecipare alle riunioni con i medici. Era una
vita sempre piena di impegni.
A quell’epoca mio zio si ammalò. Per questo, se-
guendo le sue orme, ho aperto una nuova clini-
ca dermatologica, presso la quale lavoro tuttora.
Quando ripenso al mio passato, mi sembra che
Dio mi abbia invitato a compiere i passi che mi
indicava, progettando tutto per me.
Anche in una clinica dermatologica si presentano
pazienti affetti da problemi mentali. Ascolto le
loro preoccupazioni e parlo loro con delicatezza,
in modo che possano essere trattati, guarire o co-
munque essere curati con nuovi metodi. Questo
impegno è piuttosto difficile, ma a volte la cura
della mente determina il benessere fisico.
Perché la sua clinica
porta il titolo
di Artemide?
Don Angelo Hitoshi Yamanouchi
ha pensato a questo nome per la
nostra clinica. A quel tempo due
miei figli frequentavano la scuola d’infanzia sa-
lesiana e mia moglie era rappresentante dell’I-
stituto, di cui frequentava la chiesa. Successiva-
mente, il mio figlio maggiore dovette scegliere la
scuola elementare. Voleva frequentare un istituto
“in cui potesse trovare la Madonna”. Fu dunque
iscritto alla scuola elementare Meguro Seibi Ga-
kuen. Inoltre, cogliemmo l’occasione perché tutti
i componenti della nostra famiglia ricevessero il
battesimo. Don Yamanouchi era allora parroco
della chiesa Saginuma e gli sono sempre grato per
la sua gentile disponibilità.
Quando la clinica fu aperta e dovevamo pensare
al nome da imporle, chiedemmo qualche sugge-
rimento al sacerdote. «Potreste chiamarla Artemi-
de?», suggerì. Era il nome di un Salesiano laico,
il beato Artemide Zatti, che curava i corpi e le
anime e così si è fatto santo. Per questo abbiamo
adottato il nome Artemide per la clinica.
Sotto il titolo: Il
dottor Urushibata.
Sopra: La reliquia
del Beato Artemide
Zatti a cui è
intitolata la clinica.
Sotto: Lezione
di catechismo
nell’Oratorio
salesiano.
Aprile 2016
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3.2 Page 22

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FMA
EMILIA DI MASSIMO
Tracce: la periferia
al centro di Roma
L a Basilica del Sacro Cuore di
Gesù, nelle vicinanze della
Stazione Termini e di fronte
ad un centro commerciale,
ci spiega don Emanuele De
Maria, responsabile del Cen-
tro giovanile, è a tutti gli effetti “una
periferia al centro”: crocevia di pen-
dolari e viaggiatori, di businessman e
vacanzieri, certo, siamo nel cuore del-
la metropoli, eppure nell’area intor-
no al primo scalo ferroviario regna il
degrado. Accampati sui cartoni, clo-
chard di tutte le nazionalità. I senza-
tetto e insieme a loro tanti altri poveri
trovano rifugio a Termini.
Il Progetto Missionario Sacro Cuore desi-
dera “dare vita” a una comunità eccle-
siale dal forte carattere giovanile, che
viva in pienezza la propria missione
educativa ed evangelizzatrice condi-
videndo, con le povertà che intercetta,
un’esperienza di Risurrezione. Manue-
la, giovane operatrice pastorale, raccon-
ta: «Nel 2011 ho partecipato alla gita
con i rifugiati e mi si è aperto un mon-
do. Cominciano le mie esperienze di
volontariato, di servizio civile e tutt’og-
gi di tirocinio al Sacro Cuore. Parte-
cipo ad attività quali l’insegnamento
dell’italiano, l’orientamento al lavoro,
il cineforum, le feste. Inoltre laboratori
di arte-terapia, a cui prendono parte ra-
gazzi rifugiati ed italiani. Il centro gio-
vanile è fondamentale per la mia vita,
senza non sarei quella che sono adesso,
non avrei scelto di diventare educatrice
e non sarei cresciuta giorno dopo gior-
no così tanto, come accade».
Tracce educative
Accanto alle attività e alla catechesi
per i più piccoli, i cammini offerti si
rivolgono prevalentemente ai giovani
studenti romani e fuorisede, lavora-
tori, migranti, rifugiati e richieden-
ti asilo, e possono essere sintetizzati
in tracce: prima di tutto di incontro
22
Aprile 2016

3.3 Page 23

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e di servizio. Tante le possibilità di
dedicarsi agli altri nel volontariato.
Quest’ultimo sta coinvolgendo anche
giovani universitari del dipartimento
di Scienze della Formazione dell’U-
niversità Roma Tre. La Basilica del
Sacro Cuore, infatti, è anche cappel-
lania universitaria e un salesiano e
una figlia di Maria Ausiliatrice si de-
dicano in modo particolare ai giovani
studenti del Dipartimento.
Teresa, universitaria e volontaria, ci
dona la sua testimonianza. È consa-
pevole che quando ci si trova a con-
dividere esperienze così travolgenti, si
rischia di cadere nel banale e di tra-
smettere un messaggio ovvio: «Pen-
sando al volontariato – ci dice – penso
soprattutto al fatto che le cose più belle
sono gratuite, il senso profondo per me
è proprio questo, la vera bellezza risie-
de nella spontaneità e nella gratuità,
lo facciamo perché ci viene dal cuore,
non perché è conveniente farlo. Que-
sto non significa che non abbiamo un
“ritorno” per quello che facciamo: non
guadagniamo biglietti di carta, ma
una montagna di sorrisi; sguardi ricchi
di ammirazione e d’amore; abbracci e
strette di mano che traboccano di en-
tusiasmo, tanto che nemmeno gli argi-
ni più resistenti saprebbero contenere.
La potenza delle emozioni che si vive
è infinita come la forza della natura.
Abbattere le barriere dell’indifferenza
e del pregiudizio non è facile, però è
necessario, riempie l’anima d’amore
e questo, a catena, si riversa su ogni
aspetto dell’esistenza. Per chi è scettico
e non ci crede avrei un consiglio: pro-
vare a mettersi nella condizione di re-
galare un sentimento positivo a chi gli
sta davanti, chiunque esso sia, e sentire
che cosa si prova, questo penso che sia
più efficace di mille parole!».
Dare senso ai sogni
Offrire ai giovani una casa dove stare
insieme, un luogo dove crescere e sva-
riate opportunità per servire gli altri,
ci ricordano gli educatori ed operatori
pastorali, è impossibile senza tracce di
formazione e di profondità, per cui il
volontariato procede di pari passo con
un iter spirituale diversificato che,
non prescindendo dal dato umano,
presenta un comune obiettivo: avvici-
nare i giovani a Gesù tramite l’acco-
stamento alla Parola e la testimonian-
za di giovani impegnati.
Tra le tracce di formazione proposte,
anche incontri che formano ad essere
volontari nei vari servizi, e un percorso
sulla vita di coppia, l’amore, l’affetti-
vità. Ma sembra che non basti ancora,
poiché don Emanuele sostiene che i
giovani sono alla ricerca di un progetto
di vita, sognano la loro realizzazione,
pertanto è necessario creare le condi-
zioni che li aiutino a comprenderlo.
In questo orizzonte si inserisce la
comunità giovani, che si incontra
settimanalmente per un cammino
di gruppo e di formazione umana e
cristiana. Per chi si riavvicina alla
fede dopo qualche anno, invece, c’è
la possibilità degli Incontri con Gesù:
uno spazio per conoscere il Signore
e approfondire la propria fede con
la Parola e la preghiera. L’adora-
zione eucaristica serale del giovedì,
animata dai giovani e con la Chiesa
aperta fino alle 22, «chiude il cer-
chio» delle proposte per i giovani. In
questo anno del Giubileo, la comu-
nità educativo-pastorale consente ai
giovani provenienti da vari luoghi di
sperimentare un weekend della mise-
ricordia, nel quale vivere il Giubileo
nel servizio ai poveri e nel contatto
con la Roma storica ed artistica, in
un clima tutto salesiano.
A sinistra: Il ritiro di Natale.
A destra: Un incontro formativo con suor Emilia.
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3.4 Page 24

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LE CASE DI DON BOSCO
SAMSON PJETRAJ
Don Bosco
alle falde del Vesuvio
I Salesiani a Torre Annunziata
a presenza dei Salesiani a Torre Annun-
Il Vesuvio alle spalle e il sole ziata risale al 1929. Primo Direttore fu
che si riflette nel mare creando lo stimatissimo don Ermidoro Carama-
schi. Lo zelante sacerdote diocesano di
un gioco di luci che danzano. Torre don Pasqualino Dati, che tanto si
La generosità spontanea e L adoperava per l’educazione cristiana dei
i sorrisi sinceri della gente ragazzi della sua città, ottenne da don Paolo
del Sud, che nel dolore talvolta Albera, secondo successore di don Bosco, che si
impiantasse a Torre un Oratorio Salesiano e ac-
trova ancor più umanità. quistò lui stesso il terreno e un piccolo fabbricato
La Comunità Salesiana di Torre in contrada “Piè d’ulivo” per far iniziare il lavoro
dei Salesiani per i giovani di Torre. I Superiori
Annunziata sorge in un luogo Salesiani oltre all’Oratorio pensarono, da subi-
baciato dalla bellezza ma segnato to, di mettere una scuola per ragazzi aspiranti
al sacerdozio. Negli anni Quaranta e Cinquanta
dalla sofferenza. Un posto dove è stata anche studentato filosofico per i giova-
ni salesiani che si preparavano al sacerdozio. I
il bene annaspa ma cerca salesiani di Torre hanno continuato a formare
di restare a galla combattendo altri giovani salesiani fino alla fine degli anni
cattiveria e ignoranza. Settanta.
È qui che la missione di Sin dalla loro venuta, divennero subito un punto
di riferimento significativo per tantissimi giova-
don Bosco trova il suo ni della città e per tutto l’ambiente cittadino, dal
senso più profondo. punto di vista spirituale, ma anche civile e so-
ciale. Diretta e animata da Salesiani dinamici e
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3.5 Page 25

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La Casa Famiglia
è chiamata
“Mamma Matilde”
per onorare e
ricordare il gesto
coraggioso di una
donna.
convinti, specie in certi momenti storici delicati
e drammatici per la città, la presenza salesiana
in particolare attraverso l’oratorio è stata pun-
to di riferimento unico, ha dato un contributo
eccezionale per la solidarietà sociale e cristiana,
riconosciuto dalle più alte autorità civili e reli-
giose.
Alla fine del 1993 i superiori hanno accolto
la richiesta del Vescovo di Nola di animare la
parrocchia “Santa Maria del Carmine”, dando
un’impronta ancora più attenta alla dimensione
di evangelizzazione ed ecclesiale della presenza
salesiana.
Dal dicembre del 2004, la struttura ospita la Co-
munità famiglia “Mamma Matilde”, segno evi-
dente dell’attenzione riservata ai minori con gravi
e diverse difficoltà individuali.
Oltre ai Salesiani, la Famiglia Salesiana è presen-
te a Torre Annunziata con le Figlie di Maria Au-
siliatrice, i cooperatori, gli exallievi, i Testimoni
del risorto.
La Comunità Salesiana
È composta da cinque salesiani sacerdoti: don
Antonio Carbone, direttore e parroco, che è an-
che responsabile dell’emarginazione per l’Ispet-
toria; don Samson Pjetraj, vicario della Casa e
incaricato dell’oratorio, originario del Kosovo;
don Gianpaolo Roma, salernitano, economo in-
caricato delle vocazioni e delle missioni ispetto-
riali; don Savino De Muro, di Melfi, è il veterano
della Comunità, che cura soprattutto la pastorale
degli adulti; don Ciro Izzo, napoletano verace, in
questa Comunità da due anni, segue in particolar
modo il percorso spirituale degli adulti.
La Casa Famiglia
Nel giugno del 1997 tre madri di Torre Annunzia-
ta denunciarono una banda di pedofili che abusava
dei loro figli. L’inchiesta coinvolse una scuola ele-
mentare e diciannove furono le persone incrimi-
nate. A sette anni da quell’atto di coraggio una di
loro è stata uccisa. Matilde Sorrentino, venerdì 26
Aprile 2016
25

3.6 Page 26

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LE CASE DI DON BOSCO
Scene di vita
oratoriana.
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marzo 2004, alle otto e venti di sera, apre la porta
pensando che fosse il figlio di ritorno a casa. C’era
invece qualcuno armato di pistola che la uccise.
Nel 2004, a Torre Annunziata, nella nostra Co-
munità, nasceva una casa famiglia chiamata pro-
prio “Mamma Matilde”, per ricordare e onorare
il gesto coraggioso della donna. Oggi la comunità
alloggio accoglie minori di età compresa tra i 13 e
i 17 anni, tutti con disagi familiari, sociali o con
procedimenti penali in corso. Ai ragazzi sono as-
sicurati percorsi di studio e di recupero persona-
lizzati, a seconda delle esigenze individuali. Non
manca, inoltre, il giusto apporto affettivo che
possa colmare anche le loro mancanze più pro-
fonde. Un percorso da condividere insieme come
una piccola, grande famiglia.
La Parrocchia
Nata nel 1996 per richiesta del Vescovo, oggi
conta circa 5000 fedeli. Trovandosi in un quartie-
re particolarmente a rischio, è un punto di ritrovo
per ragazzi e famiglie appartenenti a gruppi di
preghiera diversi. Al suo interno i gruppi biblico,
di Carmelo, ministranti e il coro, organizzano le
attività e le funzioni religiose e si impegnano nel-
la diffusione del messaggio cristiano. Talvolta si
effettuano viaggi e pellegrinaggi che coinvolgono
tutti i fedeli. La parrocchia è soprattutto un rife-
rimento per tanti giovani e bambini che si appre-
stano a muovere i primi passi nella conoscenza di
Gesù. Sono attivi, inoltre, corsi pre-matrimoniali
e di catechismo per adulti.
L’Oratorio
Partendo dalle esigenze del territorio, il nostro
oratorio ha attuato una scansione degli “iscritti”,
per coprire tutte le fasce d’età e tutti gli interessi
dei ragazzi:
Gruppi formativi, per tutte le fasce d’età, dalla
seconda elementare fino ai 35 anni. I ragazzi dal-
la seconda alla quarta elementare sono orientati
all’iniziazione cristiana; dalla quinta alla terza
media viene inculcata una formazione stretta ri-
guardo le tematiche che propongono la Chiesa o
la congregazione stessa; il biennio, il triennio e i
giovani, invece, quest’anno, trattano temi socia-
li partendo dal tema generale della Misericordia
(che quest’anno ci suggerisce il Papa) fino alla de-
lineazione della figura dell’onesto cittadino pro-
posta da don Bosco;
Gruppi culturali: riguardano soprattutto ele-
mentari, medie e giovani dai 17 in su. Doposcuo-
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la, laboratori di disegno, cucina e
manualità, lezioni di danza e aerobi-
ca, di pianoforte, chitarra e batteria.
Queste sono solo alcune delle attività
in continuo aggiornamento;
Gruppi sportivi: comprendono
un’ampia fascia d’età, dai 7 fino ai
30 anni. Gli sport praticati sono:
calcio, basket, rugby, boxe, ping
pong e tennis.
Basta un sorriso
dei nostri ragazzi
Torre Annunziata vive un letargo pericoloso so-
prattutto per i più giovani. Il lavoro è in fase di
stallo da anni e anche le attrattive (sportive, arti-
stiche e culturali) mancano all’appello da tempo
immemore. Per questo, i ragazzi più fragili e più
esposti a certe situazioni sono facili prede di di-
strazioni pericolose. Il nostro compito, svolto con
l’umiltà e la passione di don Bosco, è quello di
toglierli alla strada, donando loro quella spensie-
ratezza che è solo un opaco riflesso nelle loro vite
incerte. In molti casi, poi, i nostri occhi diven-
tano i loro occhi, per prendere coscienza di una
prospettiva diversa, più pulita e più onesta. Non
è facile nemmeno per noi, che andiamo avanti
nonostante la consapevolezza dell’enorme com-
promissione di questo territorio e delle sue fasce
più deboli. Ma basta un sorriso dei nostri ragazzi,
un loro cambiamento osservato nel nostro picco-
lo mondo, per ricaricare le energie e continuare a
lottare.
Una corsa non
competitiva
organizzata per i
giovani della città.
Sono tantissime
le iniziative dei
Salesiani, per
questa zona
socialmente
difficile.
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3.8 Page 28

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CONOSCERE LA FAMIGLIA SALESIANA
O. PORI MECOI
La Confederazione Mondiale
delle Exallieve ed Exallievi
delle Figlie di Maria Ausiliatrice
Hanno le mani nel mondo
e le radici nel cuore di
don Bosco. Si impegnano
nella loro crescita umana
e spirituale collaborando
nella promozione ed
educazione della donna,
nella difesa della vita
e della famiglia
Quando è nata la
Confederazione?
Il 19 marzo 1908 nella casa delle Fi-
glie di Maria Ausiliatrice di Torino,
dal beato Filippo Rinaldi.
Chi ne fa parte?
All’associazione aderiscono uomini e
donne formati nelle case delle Figlie
di Maria Ausiliatrice indipendente-
mente dalla loro appartenenza reli-
giosa, culturale, sociale ed etnica, che
vogliono condividere, approfondire e
testimoniare i valori umani e religiosi
nei quali sono stati educati secondo il
sistema preventivo di don Bosco.
Qual è lo scopo
della Confederazione?
Le Exallieve ed Exallievi delle Fi-
glie di Maria Ausiliatrice partecipano
alla missione educativa delle Figlie di
Maria Ausiliatrice e nell’ambiente in
cui operano si inseriscono con lo stile
laicale salesiano. Hanno le mani nel
mondo e le radici nel cuore. Si im-
pegnano nella loro crescita umana
e spirituale collaborando nella pro-
mozione ed educazione della donna,
nella difesa della vita e della famiglia.
Sostengono la difesa dei diritti umani
e della pace senza distinzione di raz-
za, lingua o religione.
Perseverano nei buoni principi rice-
vuti attraverso l’educazione in una
casa salesiana che, con parole di don
Bosco, è “essere buoni cristiani e one-
sti cittadini”, nell’attenzione alla fa-
miglia, nell’aiuto reciproco e nell’in-
coraggiamento mutuo tra le exallieve
e gli exallievi.
Quando, come e dove
vi radunate?
Il Consiglio Confederale è l’orga-
no di governo della Confederazione,
eletto dall’Assemblea, in carica un
sessennio: si riunisce almeno tre vol-
te all’anno presso la sede di Roma al
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Aprile 2016

3.9 Page 29

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LA PRESIDENTE CONFEDERALE
fine di promuovere la vitalità dell’As-
sociazione proponendo ed organiz-
zando incontri di studio e formazione
delle/degli associati.
A livello regionale abbiamo le Federa-
zioni suddivise a loro volta in Unioni
che adottano le direttive ricevute dal
Consiglio Confederale applicandole
nel contesto territoriale e riunendosi
secondo le loro esigenze.
Quali sono le attività?
Le Exallieve ed Exallievi sono impe-
gnati nei loro territori, in opere educa-
tive, caritative, di promozione umana
e sociale, di alfabetizzazione, di cate-
chesi, oltre che nell’animazione di cen-
tri giovanili, oratori, cooperando, con
stile laicale salesiano-mornesino, alla
realizzazione del progetto educativo di
don Bosco e di madre Mazzarello.
Per dare una risposta concreta e ope-
rativa ai bisogni urgenti dell’umanità
che ha il volto delle bimbe e dei bimbi
indifesi ed affamati, della gente pri-
vata dei diritti per la sopravvivenza,
delle donne sfruttate o non ancora
integrate e valorizzate, la Confedera-
zione mondiale Exallieve ed Exallie-
vi delle Figlie di Maria Ausiliatrice,
unitamente ad alcune Federazioni,
dieci anni fa ha creato un’associazio-
ne: la “Non uno di meno onlus”.
Si può autopresentare?
Mi chiamo Maria, vivo e lavoro a Milano in una multinazionale. Ho due sorelle maggiori,
cinque nipoti, quattro pronipoti e con i cognati e nipoti acquisiti siamo una grande famiglia,
mentre i miei genitori ci guardano da lassù.
Ho conosciuto le Figlie di Maria Ausiliatrice studiando come “Corrispondente in lingue este-
re” alla scuola europea M. Mazzarello a Cinisello Balsamo. Terminati gli studi sono entrata
nel mondo delle “Ex” dove nel 1988, in occasione del 1o Congresso Mondiale Exallievi di don
Bosco e Exallieve delle Figlie di Maria Ausiliatrice, convocato per la celebrazione del cente-
nario della morte di don Bosco, ho lavorato in segreteria con altri ragazzi come interprete.
Congresso che ha visto la partecipazione di 1200 exallieve/i prevenienti da tutto il mondo.
Appartengo all’Unione di Cusano Milanino e alla Federazione Lombarda Sacra Famiglia e dal
2009 sono nel Consiglio Confederale.
Sto cercando di diventare a tutti gli effetti una cittadina del mondo, forse perché amo viag-
giare, fotografare, parlare e cercare di imparare la lingua delle persone che incontro nella
mia vita e alle quali cerco sempre di donare un sorriso, perché sono sicura che sia la via più
semplice per comunicare e per creare buone relazioni.
Mi sento molto vicina alle persone che attraversano i mari nei loro viaggi della speranza,
perché anch’io nel passato ho vissuto e lavorato all’estero, dove a volte la lontananza dal
tuo paese, abitudini, lingua e affetti ti assale, riempiendoti gli occhi di lacrime e facendoti
stringere i pugni per continuare. Così come l’esperienza di volontaria in ospedale mi ha
avvicinata al mondo della sofferenza.
Come trova il tempo per questo impegno così delicato e gravoso?
Bella domanda! Non è semplice far coincidere gli impegni di lavoro con quelli dell’Associa-
zione. Al lavoro dedico le ore dal lunedì al venerdì e all’Associazione quelle dal venerdì sera
alla domenica sera oltre alle ore notturne… Fortunatamente per l’Associazione, non ho un
marito o dei figli ai quali render conto dei miei orari o ai quali sottrarre del tempo...
Che cosa significa essere presidente confederale?
Non la ritengo una carica d’élite, ma un servizio a tutte le exallieve/i del mondo, essere la
loro voce facendomi carico delle loro necessità, delle loro richieste come si fa in famiglia.
Come sente lo Spirito Salesiano?
È difficile da definire o dire come e quando ho iniziato a sentirlo nella mia vita. La scuola
frequentata, gli insegnamenti e i valori ricevuti, le esperienze avute con incontri, congressi,
dove ti senti parte di una grande e unica famiglia, sono stati come ricevere una spruzzata di
profumo che poi non se ne è più andato.
Come vedete il futuro
dell’Associazione?
La nostra è una grande associazione
ricca di esperienze, culture e costumi
La Presidente della Confederazione Maria
(al centro).
A pagina precedente : Il nuovo Consiglio Federale.
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3.10 Page 30

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CONOSCERE LA FAMIGLIA SALESIANA
Il Primo Congresso asiatico mondiale delle
exallieve nel 2013.
Sotto: La Presidente, la Tesoriera e la Delegata in
visita ad una scuola d’infanzia ad Hong Kong.
dati dalla miriade di associati pro-
venienti da tutte le parti del mondo.
Siamo coscienti che in questa era
tecnologica, dove i giovani tendono
a rinchiudersi dietro ad un computer,
occorra risvegliare in loro la voglia
di interagire con il mondo esterno e
i suoi bisogni, passando dalla teoria
alla pratica.
In che modo vi sentite parte
della Famiglia Salesiana?
Perché la Confederazione Mondia-
le delle Exallieve ed Exallievi delle
Figlie di Maria Ausiliatrice “è una
associazione laicale senza scopo di
lucro, promossa dall’Istituto delle
Figlie di Maria Ausiliatrice (o Sale-
siane di don Bosco), e come tale è
un gruppo della Famiglia Salesiana,
nella quale il Rettor Maggiore –
successore di don Bosco – è padre e
centro di unità” (Statuto Confederale
art. 1.1).
Le exallieve ed exallievi hanno come
collegamento il periodico Unione, or-
gano di formazione e di informazione
fondato nel 1921, che unisce tutte le
exallieve e gli exallievi del mondo. Il
periodico viene pubblicato in lingua
italiana, spagnola e portoghese.
30
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4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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4.2 Page 32

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IL GIUBILEO IN FAMIGLIA 5
BRUNO FERRERO - ANNA PEIRETTI
Misericordia Latenerezzanonè
affatto qualcosa di molle
e appiccicoso: non è
è tenerezza dolcezzasvenevole.
Implica tutti gli altri
linguaggi esistenti oltre
quelli verbali: il linguaggio
La tenerezza è come l’ossigeno
L’uomo ha due specie di esigenze:
dello sguardo, del tatto,
dell’odore, della vicinanza
materiali e spirituali. Le esigenze ma-
teriali sono le più facili da soddisfare:
cibo, riparo dalle intemperie, vestiti,
ecc. Le esigenze spirituali ed emotive
sono altrettanto importanti. Se non
vengono soddisfatte, possono produr-
re esiti letali al pari della fame, della
fisica, respiro, vibrazione.
È tutti i “linguaggi
dell’attenzione”: ascolto,
sorriso, reciprocità,
crescita insieme.
mancanza di ricovero, dell’impossibi-
lità di placare la sete.
potuto sorgere nell’ottavo giorno del-
«Oggigiorno» scrive Leo Buscaglia
la creazione se solo... l’umanità avesse
«ciascuno di noi è troppo indaffara- prezioso, come un essere eccezionale. fatto ancora un piccolo sforzo.
to per indugiare ad ascoltare i suoi Ho visto il corpo di una signora mol- Ogni rapporto umano è una sfida.
interlocutori, per fare mente locale to anziana raddrizzarsi, divenire più Milioni di uomini e donne si strug-
e porger l’orecchio alle istanze al- leggero, ignorare tanti suoi reumati- gono per un amore profondo e non lo
trui, quand’anche si tratti dei suoi smi e ridere di contentezza, quando trovano. La maggior parte di questi
familiari. È quella che io definisco la il figlio grande che l’aveva presa fra prova un senso di isolamento interio-
“sindrome dell’uomo invisibile”. Una le braccia per sollevarla fino al ripia- re. Perché, si chiedono, si sentono soli?
persona ci è davanti tutti i giorni, a no più alto della credenza ove c’era la Perché la vecchia ansia persiste? Le
tavola, in salotto, a letto. Ne avvertia- marmellata, la poggiò a terra mentre braccia di una madre, la mano calda
mo la presenza fisica, eppure non la stringeva fra le mani un barattolo di di un amico possono dare il coraggio
vediamo. Ci rifiutiamo, si direbbe, di mirtilli dell’anno precedente.
necessario a rendere più tollerabile la
guardarla». La tenerezza è come l’os-
sigeno. È presente ovunque allo stato
di germe, di fiore e di sole in ognu-
Soprattutto la tenerezza è
qualcosa di assolutamente
no di noi. È assolutamente necessaria gratuito
coscienza della solitudine.
Dinamiche di tenerezza
Ricevere l’attenzione dell’amore
per vivere. Può nascere in occasione Si vive al di fuori di ogni costrizione, La stranezza della nostra epoca sta nel
di ogni incontro, in ogni tipo di rela- non s’inscrive in un rapporto di potere fatto che la maggioranza degli uomini
zione. Ricevere tenerezza è sentirsi ri- perché è anzitutto abbandono e offerta. dedica quasi tutto il proprio tempo alle
conosciuto e accettato come un essere La tenerezza è tutto ciò che sarebbe necessità materiali (fino ad affogare
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4.3 Page 33

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LA TENEREZZA È UNA MADRE
nel “troppo” di tutto), mentre dimen-
tica le necessità spirituali ed emotive
(salvo poi ricorrere a sistemi di sollievo
artificiali o chimici). L’uomo necessita
di essere veduto, ascoltato, apprezzato,
fatto oggetto di tenerezza, sessual-
mente appagato. L’amore avverte e ri-
conosce queste necessità. La tenerezza
è presente ovunque allo stato di seme e
di sole in ognuno di noi. Ricevere tene-
rezza è sentirsi riconosciuto e accettato
come un essere prezioso, eccezionale.
Imparare a ricevere
II primo passo è imparare a ricevere.
Accogliere con amore significa rinun-
ciare a certe caratteristiche distruttive
come il bisogno di avere sempre ra-
gione; voler essere primi in tutto; sen-
tire il bisogno di possedere e di ma-
nipolare gli altri. Quando si prende
in esame il proprio comportamento
sarebbe bene chiedersi: «Se abitassi
con me, vorrei starmi vicino?» Acco-
gliere significa modificare il proprio
comportamento, in modo da diventa-
re veramente “amabili”. La tenerezza
ha bisogno di tempo e di spazio.
Inventare nuove forme di relazione
Una giovane donna sola raccontava
Lui mi diceva che ero carina.
Mia madre mi diceva che puzzavo di roba chimica.
Lui mi diceva “Fuggiremo insieme”.
Mia madre mi diceva “Pulisci la tua stanza”.
Lui mi diceva “Sei la mia amica per sempre”.
Mia madre mi diceva “Lascia libero il telefono”.
Poi lui improvvisamente scomparve.
E fu allora che mia madre, col suo odore di latte caldo, mi disse che ero bella.
che, una sera di primavera, era anda-
ta a fare una passeggiata in città, poi
era entrata in un bar e “contrariamente
alle mie abitudini, ho chiesto di poter-
mi sedere ad un tavolo già occupato da
qualcuno, e quell’uomo mi ha detto:
«Non è la vigilia di Natale, ma che re-
galo lei mi fa». Abbiamo parlato così
più di cinque ore. Non ho mai più ri-
visto quell’uomo, ma che bella serata
ho passato...”. È una singolare contrad-
dizione della nostra epoca detta “della
comunicazione” che a mancare sia la
forma più semplice e più necessaria dei
contatti umani: la conversazione.
Più gente ci circonda, più ci si sente
soli. Rivolgere la parola a uno scono-
sciuto è cosa che non si fa... Anche un
sorriso può essere giudicato con so-
spetto: «Ma che cosa vuole questo?».
Esprimere tenerezza
Un uomo raccontò agli amici il dono
straordinario di sua moglie, un lunedì
mattina: «Mi aveva accompagnato fin
sul marciapiede della stazione per salu-
tarmi. E pochi istanti dopo la partenza
del treno, la vidi sedersi di fronte a me.
“Nella emozione, mi disse, avevo di-
menticato di dirti quanto fossi impor-
tante per me, e avrò bisogno di molto
tempo, fino alla prossima stazione...
per dirtelo”». Una donna confessava,
con tono intriso di sconforto: «Sono
dieci anni che è morto mio padre. E
sento ancora il rimorso per non avergli
mai detto: “Ti voglio bene”».
Quando l’apicoltore raccoglie il miele
dalle arnie delle sue api, si muove con
cautela, quasi con delicatezza, per non
suscitare l’ira delle api che potrebbero
ridurlo a mal partito. Non tira calci
all’alveare, perché invece del miele
rimedierebbe dolorose punture. Ma
quanta gente invece affronta le sue
giornate “tirando calci all’alveare, con
critiche, condanne, giudizi affrettati.
Tenerezza è ricordarsi delle feste, dei
compleanni e degli onomastici. Tene-
rezza è scambiarsi regali.
Tenerezza è responsabilità
Oggi anche la tenerezza è inquina-
ta: molti la intendono come mezzo
di seduzione per possedere l’altro,
per “conquistarlo”. La tenerezza ama
i frutti maturi, non quelli acerbi: ha
il senso dell’attesa. Di questo la tene-
rezza non ha mai paura. Perché, an-
che se può sembrare un paradosso, la
gioia della tenerezza nasce sempre e
solo nel sacrificio.
Aprile 2016
33

4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Pedagogia targata misericordia
I sei verbi della
misericordia
Continuiamo a scavare in quella che è forse la più preziosa
parabola di Cristo: la parabola del ’Padre misericordioso’
(la si può leggere nel quindicesimo capitolo del Vangelo di san Luca).
In essa troviamo sei mosse (sei verbi) che ci fanno vedere in diretta
che cosa significhi impostare l’educazione sulla misericordia.
Dopo aver presentato i primi due verbi
3 “Gli corse incontro” (“Lovide”e“Sicommosse”)passiamoalterzo.
Nel mondo orientale non era
dignitoso per un anziano
mettersi a correre. Eppure
il padre non appena intra-
vede il figlio, si alza e a pas-
so veloce gli va incontro. È
l’amore che gli fuoriesce e lo fa scatta-
re. Anche questo è un punto centrale
della misericordia.
Essere misericordioso significa essere
attratto dagli altri, come la calamita
è attratta dal ferro. Essere misericor-
dioso significa non appartenere a se
stessi, ma a chi è nel bisogno.
Possiamo dire che i genitori miseri-
cordiosi non sono ‘egocentrici’, ma
‘allocentrici’: centrati sul figlio.
Parole densissime, che vanno inter-
pretate bene. Essere centrati sul figlio
non significa eleggerlo a capo fami-
glia. Sarebbe un errore gravissimo.
Lo sottolinea con chiarezza la famosa
psicanalista francese Françoise Dolto
(1908-1988): “Niente è peggio per un
bambino che avere la sensazione che suo
padre e sua madre siano completamente
dediti a lui”.
Sono esageratamente centrati sul
figlio i genitori che, ad esempio, la-
sciano che sia lui a scegliere che cosa
si mangia a cena; che sia lui a deter-
minare quale tipo di auto comprare,
che sia ancora lui a condizionare il
luogo della vacanza. Essere attrat-
ti dal figlio, non significa neppu-
re dedicargli tutti i nostri pensieri,
tutto il nostro tempo. Anche questo
sarebbe un grave sbaglio. Non c’è
matrimonialista che non metta in
guardia, soprattutto le neomamme,
dal lasciarsi rubare tutta l’attenzio-
ne, tutta la concentrazione dal figlio,
sottraendo, in tal modo, l’affetto e
l’amore al marito. Perché il matri-
monio sia piacevole e duri, i compe-
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Aprile 2016

4.5 Page 35

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I PROVERBI DEL PAPÀ
tenti ci dicono che è indispensabile
che marito e moglie si ritaglino, ogni
giorno, un congruo spazio di tempo
per guardarsi, parlarsi, amarsi.
Essere attratti dal figlio non significa
neppure soddisfare tutti i suoi capric-
ci. Le pesanti conseguenze dell’attua-
le educazione troppo morbida sono
così macroscopiche (ragazzi mollicci,
friabili, con la grinta della mozzarel-
la) da obbligarci a dire che i genitori
troppo morbidi sono quelli che fanno
le peggiori ingiustizie al figlio.
Che cosa significa allora andare in-
contro al figlio, essere da lui attrat-
ti come il padre della parabola? La
risposta è breve: andare incontro al
figlio, essere centrati sul figlio si-
gnifica soddisfare i suoi reali bisogni
cioè i suoi diritti (tali sono, infatti,
i veri ‘bisogni’ del figlio, e non già
‘capricci’).
I veri bisogni dei figli
Tutti i bambini che approdano sul
pianeta Terra hanno tre bisogni (tre
diritti) assoluti: il bisogno di appar-
tenenza, il bisogno di pace, il bisogno
di vedere Uomini riusciti (bisogno di
‘adultità’).
• Bisogno di appartenenza
Proprio ora, mentre state leggendo
questa riga, nascono al mondo da tre
a quattro bambini.
Ebbene, se subito i neonati potessero
parlare, direbbero: «Non siamo pietre:
non ci basta esistere!»; «Non siamo pian-
te: non ci basta respirare!»; «Non siamo
animali: non ci basta mangiare!»; «Siamo
persone umane: abbiamo bisogno di essere
nel cuore e negli occhi di qualcuno!».
Nessuno ama essere figlio di nessuno.
Questo è il bisogno di appartenenza.
I genitori che accettano pienamente il
figlio anche se non risponde alle loro
attese; i genitori che lo avvolgono di
tenerezze e che lo nutrono soddisfano
il primo bisogno del figlio. Sono sag-
giamente centrati su di lui.
• Bisogno di pace
Per il bambino ogni forma di dissi-
dio, di tensione è insopportabile. La
psicologa Jacqueline Renaud non ha
dubbi: «Se tra i genitori vi è tensione,
mancanza di dialogo, il bambino soven-
te lo sente prima dei protagonisti».
È la prova che il bisogno di pace in fa-
miglia è un secondo bisogno assoluto.
Un sapiente proverbio africano recita:
«Quando due elefanti si combattono, chi
ci rimette è l’erba del prato».
Non solo nel caso del piccolo, ma sem-
pre, soprattutto nell’adolescenza, le
tensioni familiari sono causa di soffe-
renza.
Come canta l’abate, così risponde il frate.
In casa non c’è pace, se la gallina canta
e il gallo tace.
Marito innamorato sa fare anche il bucato.
Il leopardo non perde le chiazze del pa-
dre (Marocco).
Famiglia a metà, se non c’è papà.
Se il padre fa carnevale, ai figli tocca
fare la quaresima.
I passi del padre sono l’andatura del figlio.
• Bisogno di adultità
Chi non vede adulti (cioè uomini
“cresciuti”, come significa, appunto,
la parola “adulto”) non può maturare.
L’uomo, infatti, cresce solo all’ombra
dell’uomo, non delle cose. Insomma,
chi vede solo bonsai, non potrà mai
diventare sequoia.
È una legge pedagogica indiscutibile.
Ecco perché il diritto a vedere i propri
genitori cresciuti è il primo diritto del
figlio. Se ciò non avviene, il bambino
non potrà mai diventare ‘grande’, ma
dovrà limitarsi a diventare ‘grosso’.
In altre parole, il figlio che non vede
‘adulti’ è trattato (sia pure senza che
ce ne rendiamo conto) da animale (al
quale basta diventare ‘grosso’) e non
da uomo. Questo è il peggior danno
che i genitori possano fare al figlio.
Questi sono i tre diritti fondamen-
tali del figlio che i genitori davvero
centrati su di lui rispettano, per non
rubargli la vita che gli hanno dona-
to. Il padre della parabola che corre
incontro al figlio, riconoscendolo
tale (bisogno di appartenenza); il
padre che gli riporta la pace nel cuo-
re (bisogno di serenità); il padre che,
proprio andandogli incontro, mostra
un’alta maturità (bisogno di adulti-
tà). Il padre della parabola ancora
una volta ci fa da maestro nell’arte
di educare.
Aprile 2016
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4.6 Page 36

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LA LINEA D'OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
Lo sguardo degli altri
Che lo vogliamo o no, gli altri ci provocano,
ci interpellano, ci mettono in discussione.
Spesso rappresentano una presenza scomoda,
ingombrante, difficile da gestire.
In altri casi ci appaiono distanti, inespugnabili,
quasi un enigma insolubile.
Nel faticoso cammino verso l’adulti-
una delle sfide più ardue che ogni
giovane è chiamato ad affrontare è
l’incontro/scontro con l’alterità. La
costruzione dell’identità non è mai un
percorso solitario, ma passa inevitabil-
mente attraverso il confronto con l’altro da sé, la
consapevolezza che la vita di ciascuno è legata
a doppio filo con quella di chi gli sta accanto,
la presa d’atto della complessità insita in ogni
relazione.
Le storie degli altri ci insegnano la nostra.
La vita è una domanda,
la fuga è una risposta,
tra giorni di vuoto difficili da colmare
e giorni di piena carichi da sprofondare.
Ma le storie, si sa, sono i nostri sogni
e i nostri sogni, si sa, sono la nostra vita.
C’è qualcosa di me che non ti so rispondere,
c’è qualcosa di me che ti parla d’amore.
Non c’è distanza, non c’è assenza,
soltanto voglia di ritorno,
come di luce dentro un giorno,
come di luce dentro un giorno...
Che lo vogliamo o no, gli altri ci provocano, ci in-
terpellano, ci mettono in discussione. Spesso rap-
presentano una presenza scomoda, ingombrante,
difficile da gestire. In altri casi ci appaiono distan-
ti, inespugnabili, quasi un enigma insolubile, che
però quanto più ci sembra indecifrabile tanto più ci
appassiona. Immancabilmente fanno vacillare tut-
te le nostre certezze e ci costringono a decentrare
l’angolo visuale da cui ci affacciamo sul mondo.
Certo, si tratta di una difficoltà che caratterizza
ogni fase della vita, poiché accettare che la cate-
goria dell’umano possa realizzarsi in modi diffe-
renti dai propri non è mai un’operazione scontata.
Ma, forse, il confronto con l’alterità si rivela par-
ticolarmente impegnativo in concomitanza con
il delicato passaggio verso l’età adulta, quando la
genuina empatia che contraddistingue gli adole-
scenti lascia il campo a una crescente diffidenza
verso il prossimo, alla disillusione circa la possi-
bilità di penetrare fino in fondo il “mistero” che
l’altro cela dentro di sé, a un certo individualismo
che è foriero di chiusura e autoreferenzialità. Man
mano che ci si addentra nel cammino della vita,
fidarsi incondizionatamente di chi ci sta accanto
diventa più difficile, le relazioni si complicano e
di fronte ai tanti fraintendimenti che costellano i
rapporti con gli altri si fa più forte la tentazione
di “gettare la spugna”, di rinunciare in partenza a
capire e farsi capire, scegliendo deliberatamente
di porre tra sé e gli altri una distanza incolmabile.
Ma, per quanto si cerchi di erigere muri e scavare
fossati, nessuno può fare a meno degli altri. L’al-
terità, per quanto faticosa, destabilizzante, talvol-
ta persino irritante, è ciò che dà colore e respiro
all’esistenza. È nel confronto con la diversità che
si impara a fare i conti con se stessi, a rivedere
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Aprile 2016

4.7 Page 37

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le proprie convinzioni, a misurarsi con la propria
capacità di cambiamento. Anzi, la cifra della pro-
pria maturità sta proprio nella capacità di con-
frontarsi con ciò che è differente da sé.
Ogni cosa, inoltre, acquista un gusto diverso
quando è condivisa: le gioie diventano più in-
tense, le difficoltà e gli ostacoli più lievi, i sogni
meno irrealizzabili. Come in uno specchio, nel-
lo sguardo degli altri ritroviamo noi stessi, con
la nostra complessità e le nostre imperfezioni, e
riconoscendoci nelle loro storie sperimentiamo il
sollievo di non essere soli al mondo.
È questa la ricchezza più grande che l’alterità
porta con sé, lo stimolo più forte a “decentrarsi” e
a superare la distanza che ci divide dagli altri, la
promessa più concreta di riuscire a costruire con
chi ci sta di fronte un’autentica comunione e una
genuina simpatia.
Forse, come ha scritto qualcuno, si diventa vera-
mente adulti quando si è disposti a mettere da
E ti vorrei raccontare del doloroso crescere
dall’altra parte del mondo,
che, come sai, porta lacrime,
ma ci spinge ad andare,
ci spinge a cercare,
ci spinge a provare e ritornare a sognare.
Perché i sogni, si sa, sono la nostra vita.
E non c’è niente di me che ti vorrei nascondere,
ma tutto, proprio tutto, vorrei ti parlasse d’amore,
che riempie il buio di una partenza.
Non c’è distanza, non c’è assenza,
soltanto voglia di ritorno,
come di luce dentro un giorno,
come di luce dentro un giorno...
(Paola Turci, Le storie degli altri, 2012)
parte la «certezza inoppugnabile della propria ve-
rità» per approssimarsi all’altro e accettare che
«ciascuno ha la propria verità che va accolta e rispet-
tata».
Aprile 2016
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Dagli emigrati italiani
e dai collegiali argentini...
agli indios della Patagonia
Un autentico cambio di prospettiva
Don Bosco attendeva un segno
dall’alto per avviare l’azio-
ne missionaria. Il segno gli
venne, dopo l’approvazione
definitiva delle Costituzioni
(aprile 1874), con un provvi-
denziale contatto estivo con il console
argentino in Savona, Giovanni Batti-
sta Gazzolo. Suo tramite gli pervenne
la richiesta sia di provvedere preti per
la Chiesa della misericordia in Buenos
Aires da parte del Vicario generale
monsignor M.A. Espinosa, sia di ge-
stire un erigendo collegio a San Ni-
colás de los Arroyos (Buenos Aires)
da parte di una Commissione di laici
e di un parroco di origine italiana.
Don Bosco accettò immediatamente.
Sapeva bene che in America Latina
era in corso una forte evangelizzazio-
ne attraverso i religiosi. Inoltre si sa-
rebbe trattato di lavorare fra italiani,
in un ambiente culturalmente vicino a
quello italiano e con una lingua faci-
le da apprendere. Quanto all’attività,
se la società salesiana – che all’epoca
comprendeva il ramo femminile delle
Figlie di Maria Ausiliatrice – aveva
come suo primo obiettivo la cura del-
la gioventù povera (con catechismi,
scuole, collegi, ospizi, oratori festivi),
non escludeva però di estendere i suoi
servizi a ogni tipo di sacro ministero.
Dunque in quel fine 1874 don Bo-
sco non offriva all’Argentina altro di
quello che già si faceva in Italia.
Una svolta importante
Le cose cambiarono nel volgere di po-
chissimi mesi. La sera del 29 gennaio
1875 – festa di san Francesco di Sa-
les (!) – don Bosco da un palco eretto
nella sala di studio tenne un solenne
discorso a tutta la comunità salesiana
di Valdocco, ragazzi compresi. Aveva
al suo fianco in pittoresca uniforme, il
console Gazzolo. Annunciò che era-
no state formalmente accolte le due
suddette domande in Argentina alla
sola condizione che tali “Missioni in
sud America” (cosa che in questi ter-
mini invero nessuno aveva offerto) ri-
cevessero l’approvazione papale. Don
Bosco con un colpo da maestro pre-
sentava così a Salesiani e giovani un
entusiasmante “progetto missionario”.
A Valdocco l’ardore missionario si im-
padronì di tutti, e tutti intuirono che
una nuova storia stava per incomincia-
re. Don Bosco avviò immediatamente
una febbrile preparazione della spe-
dizione oltreoceano, prevedibile per
ottobre. Il 5 febbraio con una circo-
lare invitò i salesiani ad offrirsi libera-
mente per tali missioni, dove, a parte
alcune aree civilizzate, essi avrebbero
esercitato il loro ministero fra “popoli
selvaggi sparsi in immensi territori”.
Se anche aveva individuato nella Pa-
tagonia la terra del suo sogno missio-
nario di qualche anno prima – dove
selvaggi crudeli di zone sconosciute
uccidevano missionari ed invece ac-
coglievano benevolmente quelli sale-
siani – tale piano di evangelizzazione
di “selvaggi” ancora una volta andava
ben oltre le richieste pervenute ed ac-
colte dall’America. Di certo non ne
era consapevole, almeno in quel mo-
mento, l’arcivescovo di Buenos Aires,
monsignor Léon F. Aneyros.
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Aprile 2016

4.9 Page 39

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In estate i salesiani prescelti si tra-
sferirono in Liguria per imparare un
po’ di spagnolo con il console Gazzo-
lo. Il 31 agosto don Bosco comunicò
al cardinale prefetto di Propaganda
Fide di avere accettato la gestione del
collegio di S. Nicolás de los Arroyos
come “base per le missioni”. Pertanto
aveva bisogno di facoltà spirituali e di
quei contributi economici solitamente
concessi in tali casi. Ebbe le prime,
ma non i secondi, perché l’Argentina
non dipendeva dalla Congregazione
di Propaganda Fide, in quanto con
un arcivescovo e quattro vescovi resi-
denziali non era “terra di missione”.
Evidentemente le decine di migliaia
di indios sparsi negli sconosciutissi-
mi due terzi del Paese non esistevano!
Pazienza, avrà pensato don Bosco.
Avrebbe fatto diretto appello ai soliti
generosi benefattori.
Una svolta ribadita
Nella cerimonia di addio ai dieci
missionari – tenutasi l’11 novembre
1875 nella chiesa di Maria Ausilia-
trice – don Bosco si soffermò sulla
missione universale di salvezza data
dal Signore agli apostoli e dunque
alla Chiesa. Parlò della carenza di
sacerdoti in Argentina, delle famiglie
di emigranti e soprattutto del lavo-
ro missionario fra le “grandi orde di
selvaggi” della Pampa e nella Patago-
nia: regioni “che circondano la parte
civilizzata”, dove “non penetrò ancora
né la religione di Gesù Cristo, né la
civiltà, né il commercio, dove piede
europeo non poté finora lasciare al-
cun vestigio”. Stranamente non fece
però alcun accenno diretto alle due
sedi di lavoro concordate con l’altra
sponda dell’Atlantico.
Lavoro per gli emigrati – e in pro-
spettiva per radicare i salesiani nel
nuovo paese – e poi plantatio eccle-
siae nella Patagonia: ecco il duplice
obiettivo che don Bosco assegnava
al manipolo di missionari (sei sacer-
doti, quattro coadiutori) che quell’11
novembre, dopo la solenne cerimonia
di addio, abbracciò ad uno ad uno ai
piedi del quadro di Maria Ausiliatri-
ce. Li accompagnò poi fin sulla soglia
della chiesa fra due ali di salesiani, di
giovani, di amici commossi fino alle
lacrime. Anche la piazza antistante
era gremita di popolo e di carrozze
per il corteo.
I missionari andavano, via mare, a
Buenos Aires, “quasi alla fine del
mondo”. Da là, dopo cinque anni,
alcuni di loro sarebbero partiti per la
sospirata Patagonia, dove avrebbero
vissuto un’epopea. Ma sempre da là,
138 anni dopo, un figlio di piemon-
tesi come loro, addirittura un “loro”
allievo, Francesco Bergoglio, sareb-
LA PRIMA SPEDIZIONE (1875)
1. Don Giovanni Cagliero. 2. Don Bosco. 3.
Giovanni Battista Gazzolo, console argentino a
Savona. 4. Don Giuseppe Fagnano, destinato
direttore del collegio di S. Nicolás. 5. Coad.
Bartolomeo Scavini, maestro falegname. 6.
Sconosciuto. 7. Don Valentino Cassini. 8. Don
Giovanni Baccino, che morirà diciotto mesi dopo,
stroncato dall’eccessivo lavoro. 9. Coad. Stefano
Belmonte, musico e attendente all’economia
domestica. 10. Don Domenico Tomatis, cronista
della spedizione. 11. Ch. Giacomo Allavena. 12.
Coad. Bartolomeo Molinari, maestro di musica
strumentale e vocale.
be stato chiamato in Italia, al soglio
di Pietro. Quel “piccolo granellino
di miglio o di senapa”, come ebbe a
dire don Bosco in quel lontano 1875,
aveva fruttificato e “prodotto un gran
bene”.
Aprile 2016
39

4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione dei nostri beati, venerabili Da diversi anni ero angustia-
e servi di Dio, sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
to da seri problemi dentari che
sembrava non si potessero mai
IL SANTO DEL MESE
Ringraziano
risolvere. Inoltre ero scoraggiato
per le notevoli spese mediche
In questo mese di aprile preghiamo la beata Laura
Vicuña di cui ricorre il 125° della nascita.
Nasce a Santiago (Cile) il 5
aprile 1891. Nel 1900 Laura
fu accolta nel collegio delle
Figlie di Maria Ausiliatrice a
Junín de los Andes situato
nella zona del Neuquén, Ar-
gentina. L’anno seguente fece
la Prima Comunione e, come
Domenico Savio, formulò i
propositi di amare Dio con tut-
ta se stessa; di mortificarsi e
morire pur di non peccare; di
far conoscere Gesù e ripararne
le offese. Dopo aver intuito che
la madre viveva in una situa-
zione di peccato, si offrì al Signore per la sua conversione. Laura
intensificò l’ascesi e, con il consenso del confessore, abbracciò
con voto privato i consigli evangelici. Consunta dai sacrifici e dalla
malattia, morì a Junín de los Andes (Argentina) il 22 gennaio 1904.
Nell’ultima notte aveva confidato: “Mamma, io muoio! L’ho chiesto
a Gesù da tempo, offrendogli la mia vita per te, per ottenere il tuo
ritorno a Dio... Mamma, prima della morte non avrò la gioia di ve-
derti pentita?”. Nel giorno del funerale di Laura la mamma ritorna ai
sacramenti ed inizia una nuova vita. La sua salma è nella cappella
delle Figlie di Maria Ausiliatrice a Bahía Blanca (Argentina). Il 3 set-
tembre 1988 al Colle Don Bosco papa Giovanni Paolo II l’ha beatifi-
cata e l’ha proposta ai giovani quale modello di coerenza evangelica
Nel sito “Preghiere per la fa-
miglia”, come Santo protettore
dell’anno mi è stato assegnato
il beato Michele Rua. L’ho
già invocato in una circostanza
delicata, fonte per me di ansia e
preoccupazione. Tutto è andato
bene. Continuerò a invocare l’in-
tercessione del Beato in tutte le
difficoltà della mia vita.
Lorena Colla - Parma
Intendo ringraziare Maria
Ss.ma Ausiliatrice per l’aiuto
elargitomi.
Angelina Santisi - Pisa
Dopo molto tempo, a causa di
problemi di salute, ho dovuto
lasciare il lavoro. In seguito, tro-
vandomi in difficoltà proprio in
vista di un possibile reinserimen-
to, mi sono rivolta al servo di
Dio monsignor Oreste Ma-
rengo. Grazie al suo intervento
questa mia difficile situazione si
è risolta per il meglio. In ricono-
scenza intendo appoggiare la sua
causa di beatificazione.
R. D. - Macerata
sostenute, che si aggiungevano
alle preoccupazioni giornaliere.
Come exallievo salesiano, ho
sempre creduto nei grandi valori
educativi di don Bosco; perciò
in questa difficile situazione mi
sono affidato specialmente alla
sua intercessione, ma anche ai
santi della Famiglia Sale-
siana. Recandomi spesso pres-
so una cappella, ho ricordato
con riconoscenza e stima i cari
Salesiani defunti che sono stati
miei educatori. Oggi posso dire
che la mia situazione sta miglio-
rando. Fiducioso nella bontà del
Signore, ringrazio di cuore tutti i
“santi” della Famiglia Salesiana.
Pettinato Marcello - Milano
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
portata fino al dono della vita, per una missione di salvezza. Il 22
gennaio si celebra la Memoria liturgica.
PREGHIERA
CRONACA DELLA POSTULAZIONE
O Beata Laura Vicuña,
tu che hai vissuto fino all’eroismo
la configurazione a Cristo
accogli la nostra fiduciosa preghiera.
Ottienici le grazie di cui abbiamo bisogno
e aiutaci ad aderire con cuore puro e docile
alla volontà del Padre.
Dona alle nostre famiglie pace e fedeltà.
Fa’ che anche nella nostra vita, come fu nella tua,
risplendano fede coerente, purezza coraggiosa,
carità attenta e sollecita per il bene dei fratelli.
Amen.
Il 18 febbraio 2016, nel corso del Congresso peculiare dei
Consultori teologi, è stato dato parere positivo in merito alla
fama di santità e all’esercizio delle virtù eroiche del Servo di Dio
José Wech Vandor (1909-1979), salesiano sacerdote, mis-
sionario nell’isola di Cuba, in tempi difficili per la Chiesa e per la
Congregazione.
Il 23 febbraio 2016, nella sessione ordinaria dei Cardinali e
Vescovi membri della Congregazione delle Cause dei Santi è stato
espresso parere positivo in merito alla fama di santità e all’esercizio
delle virtù eroiche del Servo di Dio monsignor Stefano Ferran-
do, nato a Rossiglione il 28 settembre 1895 e morto a Genova il 20
giugno 1978, vescovo salesiano di Shillong (India) e fondatore delle
Suore Missionarie di Maria Ausiliatrice.
40
Aprile 2016

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
DON LANFRANCO M. FEDRIGOTTI
Don Francesco Pezzola
Morto a Hong Kong il 9 febbraio 2016, a 91 anni
Un totale di circa 50 anni di servi-
zio diretto, 77 anni di vita missio-
naria (era venuto in Cina nel 1939
a 15 anni!) culminata nell’ultima
dozzina d’anni di offerta generosa
degli acciacchi della vecchiaia in
unione alla Passione redentrice
del Signore (2003-2016). Una
vita stupenda. È stato nell’Istituto
Salesiano di Macau come Prefet-
to agli Studi e Vice-Direttore; nel-
la Tang King Po School di Kowlo-
on come Assistente, Cappellano
e Vice-Parroco; nel Tang King
Po College di Hong Kong; nella
Aberdeen Technical School; nella
Our Lady of China Parish come
Vice-parroco.
Don Francesco è spirato in que-
sto Anno Giubilare della Divina
Misericordia mentre le Suore
recitavano la Coroncina, in cui
si ripete per ben 50 volte que-
sta splendida invocazione: “Per
la Sua dolorosa Passione, abbi
misericordia di noi e del mondo
intero”. Il Cuore misericordioso
di Gesù è venuto a prendersi il
suo servo fedele. Don Francesco,
come in tutti questi anni, è sta-
to conscio fino all’ultimo, anche
se da diversi anni incapace di
esprimersi oltre aprire gli occhi e
scuotere il capo.
Nell’ultima settimana pratica-
mente ogni giorno l’Ispettore ha
celebrato la Santa Messa al suo
capezzale, imitando il cardinale
salesiano monsignor Giuseppe
Zen Ze Kiun, vescovo emerito di
Hong Kong, che amava celebrare
la Santa Messa accanto al letto di
don Francesco. Nella sua ultima
giornata terrena diverse persone
sono venute a trovarlo, tra le altre
permettetemi di nominarne tre.
La prima è una signora di Macau,
di nome Chow Chok Mei, battez-
zata da don Francesco e che in
questi ultimi giorni è venuta ripe-
tutamente a visitarlo.
La seconda è il nostro ventiseien-
ne aspirante salesiano Bosco
Chan Pak Lam che ieri, assieme
a papà e mamma, è venuto a vi-
sitare don Francesco dicendogli:
“Don Francesco, sto per entrare
nella Società Salesiana!”. Allora
è come se don Francesco, veden-
dosi assicurato un successore,
abbia pronunciato il suo “Nunc
dimittis”, dicendo a Gesù: “La-
scia, o Signore, che il tuo servo
se ne vada in pace...”.
La terza persona è il tredicenne
Jason (forma grecizzata del nome
di Gesù) che studia nella Scuola
Media nell’Hong Kong Tang King
Po College, dove don Francesco
era stato Direttore dal 1979 al
1985. Una dozzina di giorni fa, il
29 gennaio, Jason aveva parteci-
pato con tutta la sua scuola alla
celebrazione del Giubileo d’Oro
della scuola nella Cattedrale di
Hong Kong, celebrazione presie-
duta dal vescovo di Hong Kong
il cardinale John Tong Hon. Alla
fine della Messa solenne, un ex-
allievo fu invitato a condividere
la sua esperienza come studente
del Tang King Po College. Duran-
te la sua condivisione, l’exallievo
menzionò due volte don France-
sco Pezzola dicendo che era stato
suo grande benefattore come Di-
rettore del Tang King Po College.
Infatti, senza l’aiuto e la compren-
sione di don Francesco, l’exallie-
vo disse che non avrebbe potuto
concludere i suoi studi seconda-
ri. Parlò di don Francesco come
un Direttore che ogni giorno era
alla porta della scuola a dare il
benvenuto agli studenti. È così
che l’exallievo poté far conoscere
i suoi problemi a don Francesco
e permettere a don Francesco di
aiutarlo a risolverli. Ora Jason,
sentita questa condivisione e
sentito che don Francesco era
gravemente ammalato cominciò
ad andare a trovarlo, pratica-
mente ogni giorno, in segno di
gratitudine per aver contribuito
alla creazione della bella comu-
nità educativa pastorale del Tang
King Po College. Praticamente
ogni giorno, finita la scuola, Ja-
son prendeva l’autobus e andava
a passare mezz’ora, un’ora, una
mezza giornata e perfino un’inte-
ra giornata (saltando i pasti!) ac-
canto al letto di don Francesco,
recitando ad alta voce il Rosario,
cantando bei canti sacri in cinese
e cantando perfino l’inno della
scuola, ben conosciuto da don
Francesco.
Il 9 febbraio, ho ricevuto una te-
lefonata dal Giappone. Chi non
è mai? È Jason che dice di aver
ricevuto la notizia della morte del
suo carissimo don Francesco,
dice che sta pregando per lui, e
chiede la data del funerale perché
vorrebbe fare il chierichetto.
Don Francesco: una vita donata
alla Cina, un dono del Signore
prezioso e gradito, il seme di un
albero che non mancherà di dare
frutti.
Aprile 2016
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5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
SALESIANI, OVUNQUE NEL MONDO
L’Argentina fu la prima nazione a richiedere l’apostolato ai salesiani
e nel 1875 don Bosco scelse i missionari da inviare per evange-
lizzare la Patagonia. In seguito, dall’Argentina si spostarono verso
le nazioni più a nord, fino agli Stati Uniti per poi estendersi gra-
dualmente nel tempo in tutti i continenti. XXX in America Latina
ebbero inizio in una parrocchia per emigrati italiani a Buenos Aires
e due anni dopo arrivarono anche le prime Figlie di Maria Ausilia-
trice. La loro opera assisté gli indios delle pampas, i quali ancora
oggi trovano nei missionari salesiani un antidoto all’estinzione e un aiuto per preservare la propria cultura.
Nel continente asiatico, invece, la diffusione missionaria cominciò dal Medio Oriente, quando un sacer-
dote genovese, don Antonio Belloni, fondò alcune opere a favore dei ragazzi in Terra Santa, mentre la pre-
senza salesiana in Africa iniziò durante il rettorato del beato Michele Rua, primo successore di don Bosco,
stabilendosi in Algeria nel 1891. Ma fu in Congo che l’apostolato della società ottenne i migliori successi:
i missionari giunsero nel Katanga nel 1912 e nel 1925 il territorio divenne prefettura apostolica. Nel 1906,
con l’arrivo in India, i salesiani estesero la loro missione all’Asia. Louis Mathias e Stefano Ferrando svol-
sero il loro apostolato nelle regioni al confine con il Tibet e
la Birmania e Vincenzo Cimatti guidò la missione salesiana
in Giappone. Nonostante non siano mancate le persecuzioni, il
lavoro dei missionari è sempre andato avanti con entusiasmo
e coraggio, unendo volontari provenienti da ogni parte del
mondo insieme ad un numero crescente di locali. L’apostolato
salesiano raggiunse l’Oceania nel 1922 con l’Australia come
prima tappa e nel 1998 è arrivato fino alle Isole Figi. Lo spirito
di don Bosco continua ad affascinare i giovani di queste terre
del Pacifico dove sono numerose le vocazioni religiose.
Definizioni
ORIZZONTALI. 2. Relativi alle
arterie… con i caselli - 12. La Pravo
cantante (iniz.) - 14. Il sonoro del te-
levisore - 16. Ne ha 24 il giorno - 17.
È Quito la sua capitale - 19. La squa-
dra di Ferrara - 20. Sorreggono il tetto
- 22. Nominato nel discorso - 23. Un
gestore di telefonia mobile - 24. Sono
esperti in un campo - 26. Giudice
Istruttore - 27. La sigla di Imperia -
28. XXX - 30. Le ha dispari il casale
- 32. Lo cura il contadino - 33. Un
secco rifiuto - 34. Oggetti non meglio
specificati - 35. Bloccano i muscoli
degli atleti - 37. I fiori dell’oblio - 39.
Un mitologico mostro come Celeno -
40. Molto poveri - 41. Persona che
accentua le differenze tra varie opinioni
ritenendole inconciliabili - 43. Il cen-
tro del sole - 44. Un Istituto dove si
praticano trattamenti a base di siero.
VERTICALI. 1. Un guaio bello e
buono - 2. Il nome dell’attore Sandler
- 3. Un sindacato - 4. Due volte in
torto - 5. Topo - 6. È opposto a “cis”
- 7. Vi si sottopone l’auto ciclicamen-
te - 8. Tra Paperon e Paperoni - 9.
Accusativo in breve - 10. Era … XIV
il re Sole - 11. Simili ai dittonghi -
12. Il suo simbolo chimico è K - 13.
Vale per “a favore” - 15. Unico Prezzo
Italiano Milano (sigla) - 18. Preposiz.
semplice - 20. Quelli moderni è un
celebre film di Chaplin - 21. L’ha so-
stituita l’IMU - 24. Si trovano ai lati
della testa - 25. Gioiosa… è in Cala-
bria - 28. Precedono i tuoni - 29. Il
centro di Genova - 30. Un terzo della
copertina - 31. Fedele e sincero - 32.
Il disordine primigenio - 34. Tracol-
lo finanziario - 36. L’indimenticato
Nureyev (iniz.) - 37. Abbreviazione
di latitudine - 38. Camion di grandi
dimensioni - 39. Sono pari nelle pa-
reti - 41. Modena in auto (sigla) - 42.
Cavalli vapore… inglesi!
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5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
La muffola rossa
Disegno di Fabrizio Zubani
Il giorno più freddo di quell’inver-
no, un uomo frettoloso perse la
muffola sinistra. Un topolino scor-
se la muffola e s’infilò dentro. Si
rannicchiò e, tutto appallottolato,
si addormentò.
Poco dopo, saltando a grandi balzi per
vincere il freddo, arrivò una ranoc-
chia. Cacciò la testa nella muffola e
domandò: «C’è ancora un posticino
libero?». II topolino si svegliò e bron-
tolò: «Se mi faccio piccolo piccolo,
forse sì!».
Stavano bene al caldo nella muffo-
la rossa tutti e due, il topolino e la
ranocchia. Improvvisamente, una
civetta piombò giù da un albero con
un gran sbattere d’ali. Né il topolino
né la ranocchia possono sopportare le
civette, ma la civetta si mise a frignare:
«Le mie piume sono gelate, vi prego,
lasciatemi entrare». Si strinsero un po’
e, con un colpetto di qua e uno di là, il
grosso uccello si sistemò.
Ora erano in tre nel tepore della
muffola rossa: il topolino, la ranocchia
e la civetta. Si erano appena assopiti
che passò una lepre e balbettò: «Oh!
Deve fare un bel calduccio lì dentro,
no? Fate largo che arrivo!» e si installò
comodamente in mezzo.
Erano in quattro, stretti stretti: il
topolino, la ranocchia, la civetta e la
lepre. E arrivò una volpe, che senza
dire né «a» né «be», si cacciò dentro
alla muffola gridando: «Pista!». Era
una volpe molto prepotente. Ahimè,
una cucitura cedette e dalla fessura
entrò una lama di aria gelida. Ma che
farci? Stavano ben stretti gli uni agli
altri, tutti e cinque nella muffola: il
topolino, la ranocchia, la civetta, la
lepre e la volpe. Grufolando e impre-
cando arrivò un cinghiale infreddolito,
tutto coperto di neve. «Stattene fuori!
Soffochiamo già per conto nostro...»
squittì il topolino. «E perché devo
restare fuori proprio io?» grugnì il
cinghiale. «Se c’è posto per voi, c’è
posto anche per me!». E, un colpetto
di qua un colpetto di là, il cinghiale si
sistemò in mezzo agli altri.
Purtroppo saltò un’altra cucitura e il
vento filtrò anche dall’altra parte. Ma
gli animali nella muffola non se ne
accorsero, tanto erano stretti gli uni
agli altri. Tutti e sei nella muffola.
Potevano a mala pena respirare: il
topolino, la ranocchia, la civetta, la
lepre, la volpe e il cinghiale.
Un orso arrivò trotterellando. Questa
volta tutti strillarono spaventati: «No!
No! Tu no». Il povero orso si sedette
nella neve davanti alla muffola e scop-
piò in un pianto dirotto. «Voi ve ne
state lì dentro al calduccio – singhioz-
zava – mentre io sono qui fuori al
freddo e al gelo. Mi si è gelata anche
la coda». «Va bene – si impietosirono
gli altri –, vieni dentro anche tu».
E si strinsero fino a soffocare. L’orso
si fece piccolo piccolo, quasi tutte le
cuciture crepitarono pietosamente,
ma anche l’orso riuscì quanto meno a
sistemarsi. Questa volta non c’era più
il minimo spazio nella muffola rossa,
dove si erano appallottolati tutti e set-
te: il topolino, la ranocchia, la civetta,
la lepre, la volpe, il cinghiale e l’orso.
Ma nessuno notò una formichina
minuscola che si infilò ancora, piano
piano, in mezzo a loro. E questo fu
troppo! Bum! La muffola scoppiò in
tanti pezzetti. Tutti gli animali rotola-
rono nella neve ghiacciata, frustati dal
vento gelido. E tutti ebbero di nuovo
un freddo terribile.
I rapporti fra le persone hanno
un equilibrio delicatissimo. Basta
un nonnulla per rovinare tutto.
Aprile 2016
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
Salesiani nel mondo
Nella Terra della lunga
nuvola bianca
Don Bosco in Nuova Zelanda
Il poster
Chi sono i personaggi
del quadro di Maria
Ausiliatrice?
L‘invitato
Don Ivo Coelho
Il Consigliere
per la formazione
Le case di don Bosco
Il San Matteo di Messina
L’anima della Giostra
La serie
Vivere il Giubileo della
misericordia in famiglia
La compassione
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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