Bollettino_Salesiano_201502

Bollettino_Salesiano_201502

1 Pages 1-10

▲back to top

1.1 Page 1

▲back to top
IL
FEBBRAIO
2015
L’invitato
“Sono
a Cuba
da 45 anni”
A tu per tu
Juan Linares
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Come
don Bosco
Perché
difendiamo
la famiglia

1.2 Page 2

▲back to top
LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
Il quaderno della
“Società dell’Allegria”
Sono solamente un vecchio quaderno.
Il mio antico proprietario aveva termi-
nato gli studi e non si era più curato di
me. Ero rassegnato al mio destino di
“cartaccia”, quando un pomeriggio, una
mano decisa scrisse un nome in coperti-
na: Società dell’Allegria.
Era un sedicenne di nome Gioanin e i ragazzi
del gruppo, che gli chiocciava intorno, lo ascolta-
vano con rispetto e stima.
Gioanin con aria un tantino compassata cominciò
una delle mie pagine con la parola “Regolamento”.
Gli impegni erano semplici e geniali: «1° Ogni
membro della Società dell’Allegria deve evitare
ogni discorso, ogni azione che disdica ad un buon
cristiano; 2° Esattezza nell’adempimento dei dove-
ri scolastici e dei doveri religiosi». Ma soprattutto
«era obbligo stretto a ciascuno di cercare quei libri,
introdurre quei discorsi e trastulli che avessero
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
Corre l’anno 1832 e Giovanni Bosco, adolescente di di-
ciassette anni, studia e lavora nella città di Chieri. Con un
gruppo di amici fonda la “Società dell’Allegria”, un’asso-
ciazione giovanile con lo scopo di diffondere l’allegria e
promuovere i valori civili e cristiani. Avevano scritto una
lista vera e propria, con tutti i nomi e cognomi dei par-
tecipanti (Memorie dell’Oratorio, prima decade, n. 6-7).
potuto contribuire a stare allegri; pel contrario
era proibita ogni cosa che cagionasse malinconia,
specialmente le cose contrarie alla legge del Signo-
re. Chi pertanto avesse bestemmiato o nominato
il nome di Dio invano o fatto cattivi discorsi era
immediatamente allontanato dalla società».
Da quel momento seguii quella banda in un
vecchio e malconcio tascapane. I nomi degli
iscritti alla Società aumentavano ogni giorno.
Lungo la settimana poi la Società dell’Allegria si
raccoglieva in casa di uno dei soci per parlare di
religione e di cose serie. A questi raduni inter-
veniva liberamente chi voleva. Era un piacere
vedere quei ragazzi. Erano capaci di scatenarsi
in giochi fragorosi e poco dopo seguire attenti
pie conferenze, letture religiose, preghiere, buoni
consigli. Addirittura si impegnavano in sedute in
cui cercavano di correggersi i difetti gli uni con
gli altri in un clima di vera e profonda amicizia.
Oggi sono vecchio e pieno di “orecchie”, ma sono
rimasto con lui. Mi godo la vita, riposandomi su
uno degli scaffali della scrivania di Giovanni Bo-
sco. Quel ragazzo di cui vi raccontavo prima, ora
è diventato sacerdote, accoglie e educa i ragazzi
poveri di Torino. Le mie pagine, ormai ingiallite
dal tempo, si riempiono di orgoglio ogni volta
che mi mostra a uno dei suoi ragazzi e, con voce
un poco commossa dice: «Guarda, ecco com’è
iniziato tutto questo. Qui ci sono i nomi dei primi
ragazzi che, con me, hanno deciso di formare una
società con lo scopo di essere sempre allegri».
E, sempre tenendomi tra le mani, parla di un
passato che è diventato futuro. E le mie pagine,
ancora una volta, sono travolte da un grande
senso di allegria.
2
Febbraio 2015

1.3 Page 3

▲back to top
IL
FEBBRAIO 2015
ANNO CXXXIX
Numero 2
IL
FEBBRAIO
2015
L’invitato
“Sono
a Cuba
da 45 anni”
A tu per tu
Juan Linares
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Come
don Bosco
Perché
difendiamo
la famiglia
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina: Trasmettere ai più piccoli la bontà
e la grandezza di Dio. È il compito di tutti i salesiani
del mondo, perché il nome di Dio è “Sorriso”
(Foto Shutterstock).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 SALESIANI NEL MONDO
Lothar Wagner
10 L'INVITATO
Don Bruno Roccaro
14 FINO AI CONFINI DEL MONDO
16 FMA
Fotogrammi dalle periferie
18 CONOSCERE LA FAMIGLIA SALESIANA
SOSC
21 I NOSTRI LIBRI
22 A TU PER TU
Don Juan Linares
26 LE CASE DI DON BOSCO
Catania
28 INIZIATIVE
In Inghilterra con il TGS
30 I NOSTRI EROI
Suor Angela Vallese
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D'OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
6
16
22
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
Tel./Fax 06.65612643
e-mail: biesse@sdb.org
web: http://biesseonline.sdb.org
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Maria Antonia Chinello,
Roberto Desiderati, Marta Drei,
Ángel Fernández Artime, Cesare Lo
Monaco, Alessandra Mastrodonato,
Francesco Motto, Pino Pellegrino,
Maria Vanda Penna, Linda Perino,
O. Pori Mecoi, Giovanni Punzi,
Giuseppe Salamone, Cristina
Tangerding, Igino Zanandrea, Luigi
Zonta, Fabrizio Zubani
Diffusione e Amministrazione:
Tullio Orler (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
Via della Pisana 1111 - 00163 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
web: www.donbosconelmondo.org
CF 97210180580
Banca Prossima
IBAN: IT 24 C033 5901 6001 0000 0122 971
BIC: BCI TIT MX
Ccp 36885028
Progetto grafico: Andrea Morando
Impaginazione: Puntografica s.r.l.
- Torino
Stampa: Mediagraf s.p.a. - Padova
Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

1.4 Page 4

▲back to top
IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Il cosiddetto “Progetto Europa”
non comincia sulla carta né sul
tavolo del Consiglio Generale, ma nel
Svegliati, nostrocuore.Dobbiamocoltivare
questo desiderio di “essere” più che
di “fare”, il desiderio di unità
nella bellezza della diversità,
Europa! ildesideriodirinforzareinostri
legami come famiglia di popoli.
“F ate attenzione, vegliate!” ci dice
molte volte il Vangelo.
Gli evangelisti sottolineano in
questo modo un’insistenza tipica
di Gesù detta in diversi modi.
L’invito è a fare attenzione e ve-
gliare per non addormentarci, cioè rimanere
“svegli”. Addormentarsi, infatti, significa chiude-
re gli occhi, chiuderci all’attenzione dell’esterno
e degli altri, spegnere le luci del nostro discer-
nimento e l’energia della nostra forza, rimanen-
do immobili, tralasciando di ascoltare e vedere
la realtà... Chi pensa più all’eredità ricevuta e si
addormenta sui tesori ricevuti, corre il rischio di
diventare parte di un museo, anche senza accor-
gersene, e quindi, diventare anacronistico.
Carissimi, la ricca Europa, e non lo dico tanto in
senso economico, ma piuttosto culturale, storico e
sociale, ha questo rischio.
Papa Francesco ha avuto il coraggio di chiamar-
la “nonna” in presenza degli eurodeputati pochi
giorni fa, e l’ha caratterizzata come “invecchiata”.
Facciamo attenzione e vegliamo perché i nostri tesori
storici e carismatici europei diventino le nostre forti
e succulente radici e non il legno della nostra bara.
Ma c’è una seconda immagine che mi viene in
mente al sentire la parola “vegliate” ed è l’imma-
gine di una mamma che, sveglia, non si separa dal
suo piccolo figlio ammalato e aspetta, con serena e
fiduciosa attesa, che sia sfebbrato. Quindi, vegliare
è anche aprire il cuore agli altri, soprattutto a quelli
che sono i “nostri figli”, che nel buio e in momenti
di difficoltà hanno bisogno di “un amico che si pren-
da cura di lorocome dice don Bosco a riguardo dei
giovani carcerati, nelle Memorie dell’Oratorio.
Tante volte i nostri ragazzi e ragazze, come la
gente dei nostri popoli, e anche i nostri confratel-
li fanno salire al cielo le stesse parole del profeta
Isaia: “Tu, Signore, sei nostro padre, / da sempre ti
chiami nostro redentore. / Perché, Signore, ci lasci va-
gare lontano dalle tue vie / e lasci indurire il nostro
cuore, così che non ti tema? / Ritorna per amore dei
tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità. / Se tu
squarciassi i cieli e scendessi!”.
Ma noi siamo testimoni del kairos già avvenuto!
Giacché noi siamo testimoni non solo dei cieli
squarciati ma anche della terra squarciata perché
il Figlio Santo di Dio è venuto sulla terra a cercare
Adamo e come non l’ha trovato sulla terra è andato
fino all’Hades a cercarlo!, come dice una bella pre-
ghiera pasquale della liturgia bizantina di Gio-
vanni Damasceno.
Noi, carissimi fratelli, abbiamo la grande sfida
dei tempi che viviamo e che sono come sono, non
come erano o come vogliamo immaginarli. In
questo senso, noi dobbiamo essere testimoni di
4
Febbraio 2015

1.5 Page 5

▲back to top
gioia e di speranza; di un umanesimo ottimista;
della bellezza della dignità dell’uomo, una dignità
che non è tale se non è aperta alla trascendenza;
siamo testimoni della bellezza e forza della co-
munione che non è mai una semplice giustappo-
sizione di particolarità e differenze, ma l’intreccio
della diversità, in tal modo che questo armonico
intreccio viene a dare splendore e senso all’unità.
In questi giorni il nostro grande tema è l’identità
della nostra presenza nel subcontinente europeo.
L’Europa viene vista oggi come una famiglia di
popoli che ancora non riesce a ripristinare la sua
propria identità, perché negli ultimi decenni ha di-
menticato le sue radici umanistiche e cristiane, e
anche quelle che emergono dall’intreccio delle di-
verse etnie antiche, e dalle diverse radici culturali
e religiose che da millenni sono presenti tra di noi.
La preziosa immagine della famiglia, usata anche
da papa Francesco a Strasburgo, è per noi come un
gioiello perché l’icona della famiglia è molto radi-
cata nella nostra identità salesiana. Noi possiamo
dare molta vita ancora in questo continente che non
è più vecchio degli altri in quanto continente, ma
che con mentalità eurocentrica così si è pensato e
anche per quello, magari, si è, infatti, invecchiato.
Noi siamo animatori di una nuova vita che potrà
far ringiovanire le comunità e presenze, aiutando a
risvegliare il tipico umanesimo europeo, l’arte e la
scienza a “misura umana”, il prendersi cura di co-
loro che sono più dimenticati, più in pericolo, più
emarginati. Noi abbiamo la grave responsabilità di
animare e governare in Europa le nostre presenze
perché diventino case aperte a tutti, dove si respira
speranza e memoria, semplicità e familiarità, inter-
culturalità e integrazione generazionale ed etnica,
rispetto per le differenze e costruzione dell’unità.
L’Europa viene chiamata a essere aperta a tutti i
popoli del mondo, apportandone la propria ric-
chezza umana e culturale e ricevendo dal resto
del mondo altre ricchezze delle diverse culture e
popoli. E noi, salesiani, siamo presenti in questa
realtà in modo molto vivo e coinvolto. Ma non
possiamo essere significativi in questo contesto, e
non possiamo affrontare queste sfide, se non sve-
gliamo per primo il nostro cuore, se non vegliamo
con attenzione e tenerezza su questa realtà euro-
pea, soprattutto sulle nuove generazioni.
Carissimi, il così detto “Progetto Europa” non
comincia sulla carta né sul tavolo del Consiglio
Generale, ma nel nostro cuore. Solo se portiamo
questo desiderio di “essere” più che di “fare”, il
desiderio di unità nella bellezza della diversità,
il desiderio di rinforzare i nostri legami come
famiglia di popoli, potremmo vivere veramente
la “testimonianza di Cristo [già] stabilita tra [di noi]
così saldamente che non ci manca più alcun carisma”.
Solo con Lui e radicati in Lui, e con l’aiuto ma-
terno della nostra Madre Ausiliatrice potremo
“aspettare la manifestazione del Signore nostro Gesù
Cristo” insieme al popolo multietnico, plurireli-
gioso e multiculturale che cammina in Europa, e
insieme a tutti i popoli della Terra.
Febbraio 2015
5

1.6 Page 6

▲back to top
SALESIANI NEL MONDO
CHRISTINA TANGERDING
Lothar Wagner
Un salesiano
nell’occhio
del ciclone ebola
foto: Don Bosco Mission
Il salesiano Lothar
Wagner durante
una conferenza di
sensibilizzazione
sul problema
ebola.
In Africa occidentale il virus ebola si sta dif-
fondendo a una velocità spaventosa. Sebbene
sia dedicata un’attenzione specifica a questo
grave problema, gli esperti prevedono che la
situazione peggiorerà. Il salesiano coadiutore
Lothar Wagner, direttore del Centro “Don
Bosco Fambul” (in italiano: famiglia) a Freetown,
in Sierra Leone, è impegnato in un’assistenza co-
stante insieme ai suoi collaboratori.
Signor Lothar Wagner, da quando
l’epidemia ha cominciato a dilagare,
lei si è messo all’opera insieme ai
suoi collaboratori per prestare aiuto
alla popolazione. Che cosa fate
esattamente?
Accogliamo orfani dell’ebola e bambini abban-
donati che sono stati colpiti in modo particolare
dall’epidemia. Ci occupiamo anche di giovani la
cui situazione non riscuote più particolare inte-
resse: ragazze che hanno subito violenza, che
ospitiamo nella nostra casa di accoglienza per ra-
gazze e donne, e ragazzi che si trovano in carcere.
In questo momento non sono quasi più in corso
indagini di polizia e processi. Chiunque può al-
lora attaccare le ragazze, e i ragazzi attendono in
prigione in condizioni indegne. Anche qui abbia-
mo portato un aiuto significativo.
Operiamo inoltre nell’ambito di una campagna di
informazione tramite un servizio telefonico de-
dicato. Cerchiamo così di arginare l’epidemia e
prevenire ulteriori decessi. Alla fine di settembre
è stato preparato il registro nazionale dei bambini
e degli adolescenti colpiti da ebola. Mentre po-
chi mesi fa questo servizio dava principalmente
consigli per la prevenzione, adesso chiamano solo
bambini e giovani direttamente colpiti dall’epi-
demia: orfani, bambini in quarantena o bambini
che avevano contratto la patologia e sono stati ri-
fiutati dalle famiglie. Le chiamate sono sempre
più numerose. Sono state messe a disposizione 20
nuove linee e il numero di contatti è triplicato. È
stato implementato un nuovo software, grazie al
quale è possibile gestire più rapidamente le in-
formazioni e prestare un’assistenza più mirata e
controllata.
6
Febbraio 2015

1.7 Page 7

▲back to top
Non sono mai stato
così contento di vivere
qui e ora
E ci occupiamo anche delle persone che ci aiuta-
no. Distribuiamo equipaggiamenti di protezione,
e innanzitutto forniamo una preparazione e una
formazione continua. È una questione di soprav-
vivenza nel vero senso della parola.
Come si fa fronte alla paura?
Sono bravo a sopprimerla (ride). La paura viene
solo quando c’è un caso sospetto presso il nostro
istituto. Questo è successo due volte. In tal caso,
tutto deve funzionare senza problemi. Isolamento
immediato, terapia e chiamata dei medici. E se ci
vuole del tempo prima che il bambino venga pre-
so in consegna, sono molto agitato, torturato dalle
domande, se ad esempio proteggiamo a sufficienza
gli altri bambini e il personale da tali casi... Ma
non possiamo chiudere ora. Ci sono molti dilemmi
di natura etica che dobbiamo affrontare.
Che ruolo hanno Dio e la fede
in questo contesto?
Senza Dio e la mia relazione con lui, sicuramente
non sarei qui. O mi nasconderei nel mio ufficio
a curare la logistica al computer, per zittire la co-
scienza. Ma non sono mai stato così contento di
vivere qui e ora. Sì, sono felice. Gli incontri quo-
tidiani con i bambini e i giovani sono per me in-
contri con Cristo. Sono alla Via Crucis del nostro
tempo, offrendo il panno della Veronica, contri-
buendo a portare la Croce. Ora sono i bambini che
attualizzano Cristo nella mia vita. Attraverso di
loro e attraverso Gesù so che la mia vita non finirà
con la crocifissione, ma che celebreremo la Pasqua.
L’ONG salesiana
“Don Bosco
Fambul”, una
delle principali
organizzazioni
dedite alla cura
dei minori, specie
dei più bisognosi,
di tutta la Sierra
Leone, ha donato
20 lavandini
mobili al Ministro
del Welfare, gli
Affari di Genere e i
Bambini, affinché
vengano utilizzati
nella capitale,
Freetown.
Febbraio 2015
7

1.8 Page 8

▲back to top
SALESIANI NEL MONDO
I bambini e i
giovani sono molto
ansiosi e insicuri:
hanno bisogno di
spiegazioni chiare
e praticabili.
È ancora possibile pianificare
la vita quotidiana al Centro?
No, tutto brucia! Si presentano continuamen-
te situazioni in cui dobbiamo intervenire subito.
Ad esempio, pochi giorni fa centinaia di famiglie
povere e con molti figli hanno ricevuto generi
alimentari dal “Don Bosco Fambul”. Abbiamo
avuto la possibilità di mettere a disposizione di
una casa per bambini giocattoli e generi alimen-
tari. Molti ospedali sono chiusi, e attualmente 18
bambini e adolescenti del “Don Bosco Fambul”
affetti da non ricevono farmaci. È stato pre-
disposto un piano di emergenza che deve affron-
tare la situazione globale del paese in questo sen-
so, che attualmente è molto problematica.
Al “Don Bosco Fambul” sono stati cancellati tutti
gli eventi fino alla fine dell’anno, tra cui la messa
annuale per il centro di formazione professionale e
la festa di fine corso. Sono particolarmente impe-
gnato: i bambini ci chiamano e confidano la loro
sofferenza, e noi informiamo le autorità locali e la
comunità internazionale, che sono anche presenti
sul posto con numerose organizzazioni. Non sem-
bra però che l’aiuto diretto ai giovani costituisca
una priorità. Poi usciamo con le nostre auto e cer-
chiamo di alleviare le difficoltà che si presentano
a livello nazionale. Spesso combattiamo battaglie
perse. Abbiamo possibilità limitate ed è penoso ri-
scontrare che a volte non possiamo offrire un aiuto
diretto o tempestivo. Questo mi preoccupa molto.
Voi e i vostri collaboratori vivete
nel costante pericolo di infettarvi.
Come vi difendete?
I bambini, i giovani e i collaboratori arrivano da
noi e si recano in altre sedi. In questo momento in-
formiamo dettagliatamente tutte le persone che ci
aiutano in merito alle misure di sicurezza e di pro-
tezione. Dobbiamo essere più che mai buoni osser-
vatori. Come si comporta un bambino? Dorme su
una panchina o ha la febbre ed è malato? Ogni tre
ore occorre misurare la temperatura. Le procedure
per il ricovero durano più a lungo a causa delle ri-
cerche da compiere in merito alla documentazione
clinica riguardante la persona e la situazione del
suo ambiente nelle ultime tre settimane. Vengono
ricoverati molti orfani e bambini colpiti dalla pato-
logia. Dobbiamo avere molta pazienza.
La situazione diventa ad esempio critica con i casi
sospetti. L’abbiamo già sperimentato due volte.
Poi tutto deve funzionare. Occorre procedere
subito con l’isolamento, indossare indumenti di
protezione che coprano completamente il corpo,
prestare le prime cure e chiamare un medico. E se
tutto questo richiede un certo tempo, mi ritrovo
in grande tensione, e mi tormento a domandarmi
se salvaguardiamo gli altri bambini e il personale
in modo adeguato. Grazie a Dio i due casi che ci
si sono presentati sono risultati negativi.
In realtà, io non posso e non dovrei rifiutare l’i-
potesi di un rischio. Qui tutti siamo a conoscenza
di questo rischio e ce lo assumiamo per aiutare i
giovani.
Di fronte all’epidemia di ebola,
qual è la situazione dei bambini
e dei giovani?
I bambini e i giovani sono molto ansiosi e insicu-
ri. Le scuole sono chiuse e i campi da calcio sono
8
Febbraio 2015

1.9 Page 9

▲back to top
vuoti. Oltre 2000 bambini hanno perso i genitori a
causa del virus. Molti altri hanno contratto la ma-
lattia e sono morti. In particolare nelle zone rurali,
dove l’assistenza medica non c’è o è praticamente
inesistente. E un enorme numero di bambini che è
stato possibile curare continua a essere emarginato
dalle famiglie e dalle comunità.
Scene di vita
quotidiana
nell’opera
salesiana di
Freetown.
L’ONG salesiana è anche nota
per i suoi operatori sociali
che si preoccupano dei bambini
di strada a Freetown.
Esatto. E dal 1° dicembre siamo sulla strada an-
cora di più nella notte, dato che per le strade si
trovano i primi orfani dell’ebola. 20 assistenti
sociali vanno nella notte per le “periferie”, come
papa Francesco ci chiede di fare. Perché come re-
ligiosi dobbiamo svegliare e scuotere la società.
Quali sono i passi più importanti
che l’Africa occidentale deve
compiere nel più breve tempo
possibile per arginare l’epidemia?
Abbiamo bisogno nel più breve tempo possibile
di almeno 5000 posti letto per pazienti colpiti dal
virus ebola, di un maggior numero di laboratori
che possano eseguire immediatamente test per
individuare il virus, e naturalmente di persona-
le specializzato. Più ritardiamo, più la battaglia
contro il virus ebola diventa costosa. Ho senti-
to molte dichiarazioni di intenti, ma questo non
ci aiuta. Sono deluso. E c’è anche un equivoco.
Sono naturalmente contento perché 5000 mili-
tari e civili presteranno la loro opera volontaria-
mente. Questo però non significa che ora avremo
qui davvero 5000 collaboratori dei quali abbiamo
davvero urgente bisogno. Ho capito che arrive-
ranno solo 150 volontari, che ogni sei settima-
ne saranno sostituiti. Ho cercato per settimane
di avere qui in loco un termometro a ultrasuoni
dalle Nazioni Unite. Non ho avuto alcun risulta-
to. Al “Don Bosco Fambul” ci prendiamo cura di
2000 giovani, nella casa delle donne, in carcere,
per strada. E io, in qualità di direttore, non posso
proteggere adeguatamente i miei collaboratori e i
giovani e dipendo da iniziative private.
L’aiuto da parte della comunità internazionale è
dunque tiepido e anche confuso. L’aiuto proposto
non è ancora adeguato alla situazione attuale. E
non cambierà nulla fino al momento in cui gli
aiuti promessi arriveranno qui. I politici dovreb-
bero anche comprendere che i trasferimenti di
denaro ai governi locali hanno poco significato,
qui. Purtroppo questa emergenza non è analoga
alla crisi dell’euro, per la quale si può attendere.
Abbiamo bisogno di ospedali mobili, laboratori,
reparti di isolamento, materiale di protezione e
anche di personale qualificato e del know-how
che permetta di curare i pazienti e di proteggersi,
di personale che abbia un’idea dell’organizzazio-
ne e della logistica senza volersi arricchire.
Febbraio 2015
9

1.10 Page 10

▲back to top
L’INVITATO
O. PORI MECOI
Don Bruno Roccaro
“Sono a Cuba da 45 anni”
Abbiamo davanti
una grande sfida, però
ci sono spiragli di luce
Puoi autopresentarti?
Sono don Bruno Roccaro, veneto, ul-
timo sopravvissuto di diciassette fra-
telli. Ho già compiuto 94 anni. Come
sacerdote sono stato sempre in case
di formazione: Castello di Godego,
Nave, Cison, Seminario interdioce-
sano dell’Avana. Laureato in mate-
matica a Padova e abilitato all’inse-
gnamento nelle scuole superiori in
matematica e fisica in Roma. In Cuba
ho vissuto per venticinque anni nel
Seminario S. Carlo come coordina-
tore degli studi umanistico-filosofici.
Per ventidue anni delegato dei sale-
siani in Cuba, questo mi ha obbligato
ad avere relazioni con molte autorità
ecclesiastiche, civili e con i religiosi di
Vita Consacrata.
Perché hai deciso di partire
per le Missioni?
Non ho deciso; ho accettato. Anche
se fin da chierico avevo sognato le
missioni, perché avevo già un fra-
tello in Cile e una decina di nipoti
tutti missionari. La mamma era già
avanti con gli anni, avevo abbando-
nato la mia idea, accontentandomi
di inculcare nei giovani salesiani lo
spirito missionario. Nell’anno 70, al
termine dei tre anni di direttore a
Nave, il Rettor Maggiore don Ricceri
mi chiese di andare a Cuba, per col-
laborare alla formazione dei sacerdoti.
Sono arrivato al Seminario S. Carlo
di Cuba il 13 ottobre del 1970, a cin-
quant’anni compiuti. Ho condiviso
per venticinque anni la vita dei futuri
sacerdoti e altri sette da insegnante
esterno. Dopo quarantacinque anni,
sono ancora qui, contento di essere
venuto anche se per una missione non
pensata.
Ti è costato molto?
No, per me l’obbedienza è fonte di
pace e fecondità. Inoltre ho sempre
cercato di amare ciò che non mi piace
e ciò che si ama non costa.
Al principio mi sono preoccupato un
poco perché non conoscevo la lingua
e avevano bisogno di un professore di
filosofia. Ho messo i miei libri di ma-
tematica e fisica in uno scaffale e non
li ho più toccati. Mi sono messo a di-
sposizione. Ho insegnato cosmologia
e sociologia, sotto la guida dell’Ar-
civescovo dell’Avana e nel tempo li-
bero andavo dove c’era bisogno, così
ho conosciuto la maggior parte delle
parrocchie di Cuba.
10
Febbraio 2015

2 Pages 11-20

▲back to top

2.1 Page 11

▲back to top
Ci puoi descrivere l’opera
di Habana Compostela?
Habana-Compostela è attualmente,
delle cinque comunità, la più proble-
matica. È una comunità inserita nella
parrocchia del Cristo del Buen Viaje,
che abbiamo animato pastoralmente
fino a due anni fa. La costruzione è
parte dell’ex Convento delle Carme-
litane, patrimonio nazionale, in via
di ricostruzione da parte del Comune
della città. La Chiesa è bella ma per il
momento non accessibile. La comu-
nità, una volta piena di vita, è ridotta
di numero e spazio. Ciò nonostante
funziona un mini oratorio, con corsi
di inglese e informatica con 150 alun-
ni. Si pensa di prepararla come sede
della Delegazione.
Come sono i giovani
che hai incontrato?
In tanti anni mi sono incontrato con
adolescenti e giovani di tutta l’isola.
Non considero corretto accomuna-
re tutti sotto un’unica etichetta: ci
sono bianchi, neri e mulatti; diversi
sono i giovani dell’inizio della rivo-
luzione e quelli di oggi, quelli della
campagna e quelli delle città, i cat-
tolici e quelli delle numerose sette e
credenze diverse e i militanti della
(la gioventù comunista). Mi li-
mito ad alcuni tratti. Sono vivaci,
intelligenti, più intuitivi che ragio-
natori, facili a discutere su tutto,
allegri, furbi. Amanti del ben vive-
re e vestire, della musica, del ballo,
dell’arte. Si entusiasmano facilmen-
te e facilmente si scoraggiano. Sono
creativi, accoglienti, con forte senso
della solidarietà. Molti pensano a
emigrare e molti emigrano anche con
rischio della vita, alla ricerca di un
futuro migliore. Personalmente, con
loro ho sempre lavorato con piacere
perché accompagnandoli e coinvol-
gendoli, collaborano. Attualmente
la pastorale giovanile deve affrontare
una grande sfida: come trasmettere il
Vangelo a giovani cresciuti e indot-
trinati in un ambiente completamen-
te estraneo alla fede, o per lo meno
indifferente se non ostile, con una
famiglia sfasciata, con un’educazione
che si preoccupa più della morale so-
ciale, che di quella personale e meno
che mai di quella cristiana.
Cuba è veramente
in cammino verso la libertà
e la prosperità?
Non sono un politico né un giorna-
lista, ma per quanto ho visto, letto
e vissuto in questi anni, mi pare di
poter dire che la Cuba comunista di
Fidel Castro è stata vista da parte
dell’America latina come un model-
lo da imitare nella promozione della
cultura, della salute, dello sport. La
conquista del prestigio internaziona-
le però non ha consentito di sviluppa-
re l’agricoltura, l’industrializzazione,
le vie di comunicazione, la conserva-
zione degli edifici, la costruzione di
nuove case frequentemente danneg-
giate dagli uragani.
A destra: Alcuni confratelli salesiani di Cuba. Don
Bruno è il primo a sinistra. In alto: Il Santuario del
Cobre, notissimo nell’isola.
Febbraio 2015
11

2.2 Page 12

▲back to top
L’INVITATO
Pochi anni fa furono pubblicati dei
“nuovi lineamenti” orientati a favo-
rire la produzione agricola, le indu-
strie, il lavoro artigianale, la struttu-
ra turistica, gli investimenti stranieri
con forte aumento dell’interscambio
commerciale con Cina, Russia, Bra-
sile, Venezuela. Ma è un movimento
lento.
Qual è la situazione
della Chiesa a Cuba?
Come la Chiesa universale anche la
Chiesa cubana è in movimento. I cat-
tolici, tanto la gerarchia come i laici,
hanno appoggiato la lotta dei ribelli
Un gruppo di adolescenti durante un ritiro
nella casa salesiana.
sia sui monti sia nelle città. Ma la Ri-
voluzione finì per privare la Chiesa
di tutte le strutture pastorali, e que-
sta, svuotata anche di personale, vide
drasticamente diminuire il numero
dei fedeli. Al mio arrivo a Cuba i
sacerdoti erano ridotti a 200 (prima
erano più di 800), le religiose meno
di 300 (prima erano almeno 2200).
Cercando di sopravvivere di fronte
alla pressione di un ateismo militan-
te, la Chiesa cubana soffre in silenzio,
ma in attesa. Comincia un lento pro-
gressivo risveglio; la Chiesa è ancora
viva. Avvenimenti internazionali e
nazionali, tanto civili quanto religio-
si, hanno influito sulla visione della
religione e della Chiesa. Un grande
convegno del 1986 è stato come una
nuova Pentecoste, generatore di entu-
siasmo, di cui si stanno raccogliendo i
frutti. Feconde sono state le posteriori
visite di san Giovanni Paolo II e Be-
nedetto XVI, così come l’appoggio,
anche economico, delle conferenze
episcopali della Germania, dell’Italia,
degli e di altre Istituzioni be-
nefiche.
Oggi la Chiesa ha riorganizzato le sue
strutture pastorali, sono state create
cinque nuove diocesi. Il Direttorio
della Conferenza Nazionale Cuba-
na dei Religiosi del 2014 registra 585
religiose (25,5% cubane), 189 religio-
si (23% cubani), i sacerdoti superano
i 400. È stato costruito un Semina-
rio nuovo, i candidati al sacerdozio
hanno sempre superato i cinquanta.
Quest’anno ha già pubblicato il suo
quarto “Piano pastorale nazionale”.
12
Febbraio 2015

2.3 Page 13

▲back to top
Si sono moltiplicate le manifestazio-
ni religiose pubbliche, si sono potute
riparare varie chiese danneggiate. Il
dialogo Chiesa-Stato, sempre cercato
e non sempre concesso, si è fatto più
facile e frequente.
Come va la Congregazione
Salesiana in questa
nazione?
In Cuba la Congregazione ha seguito
la sorte della Chiesa: fu spogliata di
tutti i centri educativi e di formazione.
Rimasero 9 salesiani che animavano
4 parrocchie: Santiago de Cuba, San-
ta Clara, San Juan Bosco a l’Avana-
Vibora, la Chiesa di Maria Ausiliatrice
a l’Avana Vecchia, aspettando la siste-
mazione della nostra parrocchia.
Hanno sempre conservato una mini
catechesi, gruppi ridotti di adole-
scenti e giovani. Alla fine degli anni
Sessanta, padre Iginio Paoli diede
inizio alle “Convivenze mobili di
giovani”; mobili perché, per non ri-
chiamare l’attenzione, si riunivano
ogni giorno in luoghi diversi. Questa
iniziativa è stata progressivamente
assunta dalle varie diocesi ed estesa
agli adolescenti, alle famiglie e oggi
sono una feconda attività formativa.
Cuba, al momento della fondazione
nel 1952, è stata sede della Ispettoria
delle Antille, insieme a S. Domingo,
Haiti, Porto Rico: adesso è ridotta
a Delegazione. A partire dagli anni
Ottanta sono arrivate alcune voca-
zioni cubane. Oggi, i salesiani ope-
rano a Santiago di Cuba con una
parrocchia, due cappelle e una venti-
na de “Case missione”. E un fiorente
oratorio pieno d’iniziative.
A Camagüey, abbiamo una grande
parrocchia, 4 cappelle, quasi parroc-
chie, e più di 20 piccole comunità in
campagna. C’è una bella parrocchia a
Santa Clara, ben organizzata, vivace.
Qui ha operato don Giuseppe Van-
dor, di cui è stata introdotta la causa
di beatificazione. Opera qui anche un
Centro di Comunicazione sociale.
La casa di Habana-Vibora. Sotto: La chiesa
parrocchiale dedicata a san Giovanni Bosco.
Nella capitale, l’Avana, ci sono due
opere: la parrocchia san Giovanni Bo-
sco, nel quartiere di Vibora, con una
bella chiesa, una comunità ben orga-
nizzata che ha organizzato anche cor-
si di lingue e informatica, molto fre-
quentati; e Habana-Compostela dove
vivo io.
Come vedi il futuro?
Non sono profeta, ma penso che que-
sto processo di avvicinamento con-
tinuerà a migliorare. Per i religiosi,
e anche per noi salesiani, credo sia
giunto il momento di accentuare la
propria identità e carisma, doni pre-
ziosi alla Chiesa e alla società. Diffi-
coltà e limitazioni persistono, però ci
sono spiragli di luce. La flessibilità e
creatività di don Bosco ci aiuteranno
a immaginare iniziative compatibili
con il sistema.
Febbraio 2015
13

2.4 Page 14

▲back to top
FINO AI CONFINI DEL MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
COLOMBIA
L’impegno
dei salesiani
per l’impiego
dei giovani
(ANS - Bogotà) – Il centro “Juan Bosco
Obrero” è situato a Ciudad Bolivar, uno dei
quartieri più popolati, più poveri e meno
sicuri di Bogotà, che ospita molte fami-
glie scappate dalla lotta armata tra i diversi
gruppi (para)militari e rivoluzionari. Lì,
15 anni fa, don Jaime García ha iniziato a
realizzare il suo sogno di costruire un Centro
di Formazione Professionale per i ragazzi
del quartiere. Molti giovani vengono atti-
rati tramite lezioni settimanali di rap, salsa,
capoeira e break dance e circa 800 ogni anno
sono accolti nei corsi per diventare elettrici-
sti, falegnami e meccanici. Inoltre, dopo aver
constatato che molte aziende del settore auto-
mobilistico e dei trasporti, durante le selezio-
ni scartavano i lori allievi, i salesiani hanno
stabilito con alcune di esse il “Pacto Motor”,
un accordo multilaterale che fa incontrare
le esigenze delle imprese con la formazione
dei ragazzi. Al termine del corso-pilota 2013
attraverso il Pacto Motor hanno trovato un
lavoro dignitoso oltre 150 giovani, cioè il
98% dei laureati.
INDIA
Suore contro
lo sfruttamento
delle donne
(ANS - Calcutta) – Messi
da parte abiti e velo, ve-
stite “in borghese”, alcune
Suore Catechiste di Maria
Immacolata Ausiliatrice
(SMI) – uno dei gruppi
della Famiglia Salesiana
– conducono dei “raid”
notturni, assieme alla
polizia, nei postriboli di
Calcutta, per liberare don-
ne e ragazze, addirittura
di 12 anni, dalle grinfie
dei loro sfruttatori. “In 4
anni, abbiamo mandato
in carcere 30 trafficanti
di esseri umani”, ha detto
ai giornalisti suor Sharmi
D’Souza, una delle SMI,
nel corso di una Confe-
renza Stampa in Vaticano.
“Solo in una notte abbia-
mo salvato 37 ragazze” ha
detto, aggiungendo che
10 erano minorenni. Le
suore offrono sostegno
e assistenza alle giovani
donne, che poi forni-
scono informazioni utili
alla polizia per fermare i
trafficanti.
REPUBBLICA
CENTRAFRICANA
“Noi restiamo
per i giovani”
(ANS - Bangui) –
“Molti genitori ci
portano i loro figli sicuri che alla Don Bosco
si può sfruttare quest’anno scolastico e molti
giovani vengono con la speranza di poter
studiare in pace”, diceva nel dicembre dello
scorso anno don Desiré Adjeckam, Direttore
della scuola secondaria salesiana a Dama-
la, nella città di Bangui. “Abbiamo appena
iniziato l’anno scolastico e molti centri non
apriranno in questo contesto di incertezza”.
D’altronde, aggiungeva il salesiano “girano
molte armi incontrollate per la città” e “lo
Stato deve ancora molti mesi di salario arre-
trato agli insegnanti”. Eppure “noi restiamo
per i giovani. Dai salesiani ci sono educatori,
lezioni e uno spazio di sicurezza. Non si può
lasciar disperdere i giovani sulla strada, con
il rischio della violenza e di perdere il ritmo
della formazione. Il nostro lavoro è far sì che
i giovani abbiano speranza, che credano nel
futuro della Repubblica Centrafricana e che
bisogna prepararsi già oggi per un domani di
pace e prosperità”.
14
Febbraio 2015

2.5 Page 15

▲back to top
REPUBBLICA
DEMOCRATICA
DEL CONGO
Cilanda, accusata
di stregoneria,
salvata
dai bambini
(ANS - Mbuji-
Mayi) – Ci-
landa è una
bambina che è
stata torturata
e abbandonata
dalla sua stessa
famiglia perché
ritenuta strega.
Raccolta per
strada dalla po-
lizia e lasciata
all’ospedale,
è stata poi
affidata ai salesiani di Mbuji-Mayi. Giunta
presso l’opera in condizioni psico-fisiche
terribili, Cilanda aveva bisogno di essere
reidratata e alimentata gradualmente: così
ogni mezz’ora un bambino o una bambi-
na – uno dei 500 accusati di stregoneria
che sono accolti presso l’opera – le dava
una goccia d’acqua e, secondo le indica-
zioni mediche, un po’ di cibo. I salesiani
le hanno dato un riparo, il calore e l’amore
di una famiglia, ma sono stati i piccoli che,
salvati a loro volta dalla discriminazione e
dalla violenza della superstizione, l’hanno
recuperata. In diverse aree dell’Africa sono
molti i bambini picchiati, abbandonati o
persino uccisi perché considerati streghe/
stregoni. Per contrastare questo fenomeno
i salesiani di Madrid hanno lanciato la
campagna “Yo No Soy Bruja” (Io non sono
strega).
STATI UNITI
I parrocchiani
di Tampa
in uscita verso
i bisognosi
(ANS - Tampa) – Da oltre
2 anni il programma di
coinvolgimento della par-
rocchia salesiana “Maria
Ausiliatrice” di Tampa
vede diversi parrocchiani
spendere ogni ultimo
sabato del mese nelle aree
più difficili della città, allo
scopo di nutrire i senzatet-
to e pregare con le persone
più bisognose. I volontari
s’incontrano il sabato mat-
tina presso la parrocchia e
preparano il cibo, i prodotti
per l’igiene, gli abiti, le Bib-
bie e i rosari che serviranno
durante la giornata, insieme
a varie insegne e 3 cartelli
che danno visibilità al
programma: “Cibo gratis”,
“Dio ti ama!” e “Fermati
e Prega”. Dopo aver
caricato tutto questo su un
pulmino, si sistemano nei
pressi di un centro Caritas
e realizzano una sorta di
stand: l’idea è di creare un
avamposto missionario
nella città.
SPAGNA
Numerose
iniziative
per un Natale
di solidarietà
(ANS - Madrid) – Per permettere di
trascorrere a quante più persone possibile
un Natale di serenità e gioia, i salesiani
dell’Ispettoria “Maria Ausiliatrice” hanno
dato vita a numerose iniziative di solida-
rietà. A Sant Boi de Llobregat, Mataró e
Martí Codolar, hanno lanciato la “Campa-
gna dei Re”, grazie alla quale, nella notte
dell’Epifania, nelle case delle famiglie
bisognose sono arrivati i regali acquistati
da molti benefattori.
A Girona è stato realizzato un concerto
per sovvenzionare delle borse di studio per
minori a rischio di esclusione sociale.
Al Santuario del Tibidabo, sopra Barcello-
na, le elemosine raccolte per le feste natali-
zie sono andate alla Caritas diocesana e ad
un centro di accoglienza; a Barcellona e ad
Alcoy si è raccolto materiale per un proget-
to a favore della maternità, mentre a Ciuta-
della de Menorca le donazioni sono consi-
stite in generi alimentari per i poveri; a Sant
Vicenç dels Horts, infine, sono stati raccolti
materiale scolastico e denaro per una scuola
salesiana a Cinkassé, in Togo.
Febbraio 2015
15

2.6 Page 16

▲back to top
FMA
MARIA ANTONIA CHINELLO
Il Capitolo generale 23 si è concluso.
Le Figlie di Maria Ausiliatrice hanno
Fotogrammi riconfermato la scelta di essere
missionarie di gioia e di speranza tra e
dalle con i giovani più poveri. Abbiamo dialogato
con alcune di loro per capire come
la passione per Dio e per i giovani inviti
periferie aduscireeadandarenelleperiferie.
«In Venezuela è urgente il
dialogo tra le forze po-
litiche per individuare
vie di risoluzione a una
situazione ormai diffi-
cile e precaria – spiega
suor Margarita Hernández –.
È inammissibile che in una Nazione
che incassa milioni per la sua grande
ricchezza, il petrolio, si debbano fare
lunghe file per comprare il cibo e per
procurarsi le medicine. Molte aziende
estere si sono ritirate, riducendo così
le fonti per un lavoro dignitoso». È
un’analisi accorata e lucida la sua, che
riconosce il ruolo assunto dai Vescovi
del paese che chiedono un tavolo di
dialogo nazionale per ricreare un cli-
ma di fiducia che consenta la riattiva-
zione della produzione e dello svilup-
po socio-economico a vantaggio dei
più poveri e vulnerabili.
«All’impotenza e alla rabbia, sceglia-
mo l’ascolto della Parola, che ci ri-
manda alla nostra missione di ,
cittadine venezuelane che continuano
a vivere e seminare l’amore e la speran-
za. Puntiamo all’onestà, alla traspa-
renza, al dialogo e alla responsabilità
sociale attraverso la nostra missione
educativo-evangelizzatrice, come se-
gno di denuncia e annuncio profetico,
soprattutto per i nostri bambini e i gio-
vani più poveri. Tutti hanno diritto a
un’istruzione di base, a realizzare i loro
sogni e a vivere in pace. Nelle comuni-
tà sorgono iniziative che ci aiutano a
sperare, come il progetto Familias en
accion a Güiria. Le suore e i laici hanno
individuato alcune famiglie più pove-
re: vanno da loro e, insieme, si cerca di
fare una lettura sapienziale della realtà
alla luce della Parola che salva».
Suor Edna Mary MacDonald
è responsabile della presenza
nella regione Sud Pacifico: quattor-
dici Stati indipendenti e un decina
16
Febbraio 2015

2.7 Page 17

▲back to top
di territori con una popolazione di
almeno 36 milioni di abitanti e una
superficie di 7 mila km² circa. Un
continente antico e nuovo: «Oggi la
Chiesa in Oceania è una realtà pal-
pitante di vita tra molti popoli. Gesù
chiama a una fede più profonda e a
una vita più ricca in Lui». Il cuore dei
giovani e della gente è terreno buono
per far germinare la parola evangeli-
ca. La carità pastorale e l’intelligenza
pedagogica del Sistema preventivo
danno continuità anche in questo
estremo lembo del mondo al sogno
di don Bosco e di Madre Mazzarello
con catechesi e animazione nelle par-
rocchie, istruzione e formazione nelle
scuole materne, elementari e medie,
accompagnamento spirituale degli
universitari, promozione degli im-
migrati: «Insieme ai laici e ai giovani
realizziamo campi estivi e invernali,
sosteniamo l’associazione mariana e
collaboriamo con i salesiani in ora-
tori, centri giovanili a tempo pieno,
volontariato Cagliero Project, Movi-
mento giovanile salesiano e accompa-
gnamento dei Salesiani Cooperatori».
«L’India è una nazione complessa,
avviata verso un grande sviluppo sia
a livello economico che tecnologico.
Nonostante ciò, non riesce a proteg-
gere i bambini e i giovani che vivono
in gravi situazioni di rischio. I cri-
stiani sono una minoranza. Con la
nostra presenza e missione educativo-
evangelizzatrice riusciamo a raggiun-
gere la maggior parte della gente e ad
offrire un’educazione di qualità insie-
me ai valori evangelici. La situazione
politica è incerta e i cristiani vivono
momenti dolorosi a causa di atti di
violenza e persecuzione». È suor
Mary Kanickaraj Tamizharasi
a parlarci della missione delle
nel sud del subcontinente indiano.
La loro presenza si spinge fin nelle
stazioni ferroviarie e degli autobus
in cerca delle giovani donne sfruttate
e maltrattate, che vengono accolte a
Marialaya, la casa di Maria. Di loro
ci si prende cura, riabilitandole e of-
frendo loro opportunità lavorative più
dignitose.
Suor Julienne Munyemba vie-
ne dal Sud Africa, la rainbow nation,
chiamata così proprio per la diversità
delle culture presenti. La fine dell’a-
partheid 20 anni fa non ha risol-
to del tutto i problemi tra bianchi e
neri. Continua il processo di pace e
di riconciliazione per una conviven-
za serena e armoniosa. Il cammino è
faticoso e richiede pazienza e corag-
gio, anche per fronteggiare le onda-
te migratorie che arrivano dai paesi
confinanti, una povertà incalzante
che colpisce le fasce più deboli della
popolazione. L’impegno è quello di
sempre: stare dalla parte dei poveri,
curando la promozione e l’evange-
lizzazione con la formazione dei ca-
techisti e degli animatori pastorali e
incentivando la presenza nei media
cattolici. «Gestiamo le scuole che si
trovano proprio nelle periferie e ac-
colgono i ragazzi che vivono situazio-
ni di grave disagio. Qui le suore, oltre
ad occuparsi della formazione e della
promozione dei valori, si fanno carico
dell’insicurezza alimentare offrendo
quotidianamente i pasti. Questi cen-
tri sono aperti a tutti e sono punti di
riferimento per la gente. Un’altra at-
tenzione è alla situazione di precarie-
tà che vivono i rifugiati, in particolare
le donne a cui si offre un aiuto morale
e spirituale. Di fronte alla crisi econo-
mica e alla crescente disoccupazione,
le cercano strategie e vie per tro-
vare lavoro».
Febbraio 2015
17

2.8 Page 18

▲back to top
CONOSCERE LA FAMIGLIA SALESIANA
MARTA DREI
Le Salesiane Oblate asoccorrerelapopolazionepoveradel-
la terra di Calabria, con predilezione
verso i piccoli e la gioventù, nei luoghi
privi di aiuti spirituali e dove altri non
del Sacro Cuore
si sentivano di andare. “Raccogliere le
briciole dell’apostolato” – parafrasi del
brano evangelico “Raccogliete i pez-
zetti avanzati, perché nulla vada per-
duto” (Gv 6,12) – diviene così regola
Hanno come distintivo l’umiltà, la piccolezza, la ricerca
fondamentale delle nascenti suore Sa-
dei luoghi più poveri e bisognosi di assistenza e formazione
cristiana del popolo e della gioventù povera e trascurata.
“Raccogliete le briciole dell’apostolato” è la loro regola
fondamentale. Il fondatore monsignor Giuseppe Cognata,
uomo di finissimo e raro intelletto e di profonda santità
di vita esprimeva il desiderio che le figlie spirituali fossero
consacrate “in piena Oblazione” al Cuore di Cristo.
lesiane Oblate del Sacro Cuore. Com-
pito primario delle suore è l’educazione
cristiana dell’infanzia e della gioventù
con l’istituzione di asili, oratori e la-
boratori e il servizio pastorale nelle
parrocchie, affiancando i parroci nella
catechesi e nella pastorale.
Sono presenze insostituibili soprattutto in piccoli centri,
privi di altre presenze religiose.
Chi è il fondatore?
Il fondatore, monsignor Giuseppe Co-
Le Salesiane Oblate del
gnata (1885-1972), è ricordato da quanti
papa Pio XI, l’8 dicembre 1933 fonda lo hanno conosciuto come vero e appas-
Sacro Cuore hanno da poco le Salesiane Oblate del Sacro Cuore. sionato figlio di don Bosco e discepo-
celebrato i primi ottant’anni Comincia così, nella più assoluta sem- lo fedele di san Francesco di Sales, del
dalla fondazione. Siete
plicità, l’opera apostolica delle Salesia- quale seguì lo zelo pastorale, la spiritua-
una Congregazione molto
giovane. Come, dove
ne Oblate, chiamate dalla Provvidenza lità, la dottrina, l’ottimismo. La nomi-
e perché siete nate?
Le Suore Salesiane Oblate del Sacro
Cuore sono nate da poco più di ot-
tant’anni: l’8 dicembre 1933. Dopo
pochi mesi dal suo ingresso nella Dio-
cesi di Bova, monsignor Giuseppe Co-
gnata si rese immediatamente conto
delle estreme necessità civili, morali e
religiose della sua diocesi. Non trovan-
do suore disposte ad affrontare i gravi
disagi ambientali, con il consenso di
I giovani, destinatari privilegiati dell’impegno
apostolico delle SOSC, condividono gli impegni
della missione.
18
Febbraio 2015

2.9 Page 19

▲back to top
MONSIGNOR GIUSEPPE COGNATA
Storia di un uomo speciale
Nato da importante famiglia agrigentina sullo scorcio dell’800, dimo-
strò fin da bambino una grande ricchezza di doti e di talenti umani:
di nobiltà di sentimenti, acutezza d’ingegno, volontà ferma e decisa,
bontà diffusiva.
Quando Peppino Cognata entrò dodicenne nel collegio “San Basilio”
di Randazzo, prima opera di don Bosco in Sicilia, il suo cuore era
pronto ad accogliere la chiamata alla vita sacerdotale e apostolica
tra i salesiani; una vocazione fortemente contrastata dal padre e dal
nonno, con le sue prove e le sue lotte lunghe e sofferte, ma coronata
da gioioso successo.
La prima guerra mondiale vide don Cognata soldato a Palermo, Tra-
pani, Padova. E proprio a Trapani, in veste militare, egli gettò le prime
basi dell’opera salesiana che fu chiamato a dirigere alcuni anni dopo,
terminata la guerra.
Il nuovo direttore si distinse largamente e luminosamente nelle varie
attività apostoliche, facendosi “tutto a tutti”, sempre instancabile,
pronto a ogni istanza, sempre mite e sorridente. Fece sorgere quasi
dal nulla una chiesa dedicata all’Ausiliatrice, si dedicò con impegno e
con zelo alla scuola, all’oratorio... Fu direttore di opere, ma più ancora
direttore di anime.
Da Trapani fu chiamato a dirigere il collegio di Randazzo, poi quello di
Gualdo Tadino in Umbria, e finalmente fu direttore al “Sacro Cuore”
di Roma. Passava ovunque come mite riflesso della bontà di Dio...
Questa luce non poteva rimanere nascosta: il santo padre Pio XI,
nel Concistoro del 16 marzo 1933 nominò don Giuseppe Cognata
vescovo di Bova, una Diocesi di Calabria particolarmente povera e
disagiata: una vera “missione” in terra italiana, sul piano umano, ci-
vile, culturale, religioso, spirituale. Piccoli centri, sperduti tra i monti,
privi di strade, di acqua, di pane, di scuola, di sacerdote. Attraverso
sentieri scoscesi e mulattiere monsignor Cognata, che aveva scelto
come motto episcopale l’espressione paolina «Caritas Christi urget
nos», volle in perfetto stile missionario, visitare e confortare non solo
tutti i paesetti della diocesi, ma anche i gruppi di povere famiglie
sparse qua e là nei luoghi più remoti e più inaccessibili, sui monti di
Bova o nelle valli dell’Amendolea.
Nacque così la Congregazione delle Salesiane Oblate del Sacro Cuo-
re a Bova Marina l’8 dicembre 1933.
Il nuovo Istituto, suscitato dalla Provvidenza nel solco dello spirito
salesiano, con fine specificamente pastorale e missionario in aiuto
alla Chiesa locale, crebbe e si sviluppò in pochi anni con una ricca
fioritura di vocazioni.
Nel 1939 una bufera infernale si scatenò contro il Fondatore e la sua
istituzione: monsignor Cognata dovette vivere per lunghi anni nel si-
lenzio e nella solitudine, separato dalle sue figlie spirituali, ma donando
a quanti poteva incontrare, con il suo inalterabile sorriso, comprensio-
ne, dolcezza, bontà.
Monsignor Giuseppe Cognata nella Pasqua del 1962 venne riabilitato,
partecipò al Concilio Vaticano II e chiuse la sua lunga giornata terrena
il 22 luglio 1972.
na a Vescovo nel 1933 lo trova direttore
dell’opera salesiana del Sacro Cuore a
Roma, dopo vasta esperienza di educa-
tore e guida spirituale in varie case di
Italia. Il 1933 fu Anno Straordinario
della Redenzione e il cuore pastorale di
monsignor Giuseppe Cognata, da sem-
pre sensibile e attento, si conforma sem-
pre più a immagine del Cuore di Cristo
che dona tutto se stesso in Oblazione al
Padre per la Redenzione dell’umanità.
Da questa sensibilità la scelta del
motto episcopale: “Caritas Christi
urget nos” – “L’amore di Cristo ci
spinge” (2Cor 5,14) che affidò poi
alla nascente congregazione.
Qual è il vostro carisma
specifico?
Il carisma dell’Oblazione è attiva par-
tecipazione all’offerta volontaria di
Gesù sulla croce per la gloria di Dio
Padre e la salvezza dei fratelli. La vo-
cazione della Salesiana Oblata è tutta
compendiata in una parola: Carità.
Essa richiede un esercizio costante di
abnegazione e umiltà, ma in uno stile
di molta naturalezza e semplicità.
Dove sono le vostre opere?
La Congregazione è diffusa in varie
regioni d’Italia, in Bolivia e in Perù.
Le “missioni” – questa la denomi-
nazione indicata dal Fondatore per
ciascuna opera per indicare lo spirito
missionario che le deve caratterizzare
– si trovano prevalentemente in piccoli
centri, privi di altre presenze religiose.
In Italia è data grande attenzione alla
Febbraio 2015
19

2.10 Page 20

▲back to top
CONOSCERE LA FAMIGLIA SALESIANA
collaborazione nella parrocchia per l’a-
zione pastorale oltre che all’educazione
dell’infanzia nelle scuole materne.
In questi ultimi anni si presta partico-
lare attenzione alla cura della famiglia
e al sostegno delle giovani mamme.
In America Latina accanto alle attivi-
tà tradizionali di carattere educativo
pastorale si svolgono attività di pro-
mozione umana e di sostegno alle po-
polazioni povere.
A Cochabamba, in Bolivia, le Sale-
siane Oblate accolgono nella scuola
circa un migliaio di bambini e ragaz-
zi offrendo loro educazione e spesso
garantendo anche un sicuro soste-
gno alimentare oltre che sanitario. A
Barranca, in Perù, si prendono anche
cura dell’evangelizzazione e della pro-
mozione umana delle popolazioni che
dal “campo” scendono verso la città e
l’oceano occupando appezzamenti di
terra arida, privi di ogni servizio, con
lamiere e cartoni, come materiale per
la costruzione di ripari, dando luogo a
primitivi insediamenti urbani. A Na-
poli, in collaborazione con i salesiani,
offrono la loro presenza nell’anima-
zione della parrocchia san Giovanni
Unidad educativa “Divino Niño” Cochabamba: un momento di ricreazione.
Bosco; a Firenze da pochi mesi hanno
accettato l’invito ad aprire una mis-
sione finalizzata all’animazione spiri-
tuale di giovani universitarie; in tanti
altri piccoli paesi d’Italia condividono
con le popolazioni la scarsità di pre-
senze sacerdotali diventando punto di
riferimento per le comunità cristiane.
Da quando appartenete
alla Famiglia Salesiana?
Che cosa significa questo
per voi?
Dal 1983 le Salesiane Oblate del Sacro
Cuore sono parte della Famiglia Sale-
siana. Questo ci colloca all’interno di
un grande albero dai molteplici rami,
ci arricchisce del grande patrimonio
comune che fa riferimento a san Gio-
vanni Bosco e consente di portare la
tradizione carismatica salesiana in am-
bienti che non la conoscono e che sono
privi di altre presenze salesiane.
Qual è il vostro sogno
per il futuro?
In risposta alle istante evidenziate dal
X Capitolo del 2013, la Congregazione
si sta orientando verso un approfondi-
mento della propria esperienza spiri-
tuale per offrire agli uomini e donne
di oggi rinnovato slancio apostolico e
missionario; si prepara, in questo anno
2015, a celebrare nelle proprie realtà,
e in piena comunione con la Famiglia
Salesiana presente sul territorio, il Bi-
centenario della nascita di san Giovan-
ni Bosco e i centotrenta anni della na-
scita di monsignor Giuseppe Cognata.
Un sogno: essere portatrici della gioia
e della speranza che scaturiscono dalla
salvezza operata dal Redentore!
20
Febbraio 2015
Tivoli (RM): La scuola dell’infanzia come
momento di formazione integrale del bambino.

3 Pages 21-30

▲back to top

3.1 Page 21

▲back to top
I NOSTRI LIBRI
I centri professionali
salesiani di Lubumbashi
(Congo) Risultati della loro valutazione in occasione
della celebrazione del Centenario
dell’Ispettoria d’Africa Centrale.
"Alla fine del continente americano,
sullo stretto di Magellano, sognato da Don Bosco
e navigato da Darwin, vi è una croce che sfida il vento:
annunciata nel Vangelo, ma forse ancora più indietro,
dai profeti della Bibbia"
aSUD
delSUD
ondaires
mbashi
et centres
, a donné à
eulement de
qualification
tés formatives
e limites est
ganisation de
uteur montre,
eut certes se
st appelée à
uelques-unes,
non scolarisés ;
apprentis ; la
du salaire des
ore conformes
straction de la
restige excessif
e et le manque
s, spécialement
nts.
se une réforme
C conditionnées
on Bosco, prêtre,
supérieures de
heologicum Saint-
l’éducation avec
professionnelle de
, il est aujourd’hui
Turin.
Titus Mwamba Kalemba
et cdeanLntarseqlsuedaspelriéotLcéfueodbsleeussimlo’sénbednacuesoclhnsaidtsiaaoilnréessiens
Résultats d’une enquête
Titus Mwamba Kalemba è un
giovane sacerdote salesiano, ori-
ginario dell’Ispettoria dell’Afri-
ca Centrale. Ha seguito gli studi
superiori di filosofia a Kanse-
bula e di teologia nel Theolo-
gicum Saint-François-de-Sales a L’shi.
Dottore in scienze dell’educazione con
Préface de Guglielmo Malizia
specializzazione in pedagogia scolastica
e formazione professionale all’Universi-
tà pontificia salesiana di Roma, è oggi
professore di scienze dell’educazione all’ di Torino.
In questo importante volume prende in esame il sistema educativo
della Repubblica Democratica del Congo ( ). Fa notare che la scuola
della è un’istituzione relativamente giovane che, certamente, può
vantare uno sviluppo significativo, ma che al tempo stesso è chiamata
ad affrontare un complesso di problematiche molto serie. Tra esse:
“l’infinito non lo vedi
se nel cuore non ce l’hai”
regia
Salvatore Metastasio
da un’idea di
Nicola Bottiglieri
e Francesco Motto
dialoghi e sceneggiatura
Nicola Bottiglieri
con Diego Bottiglieri,
Alessandro Vantini
montaggio
Salvatore Metastasio
consulente storico
Francesco Motto
musiche
Francesco Perri
produzione
Missioni Don Bosco
Naif Film
La locandina del film sull’epopea missionaria dei salesiani
all’estremo sud del continente americano. È distribuito dalla
Elledici (servizio clienti@elledici.org).
Don Bosco torna
alla Generala!
le percentuali crescenti di giovani non scolarizzati; le gravi disparità All’Istituto penale minorile Ferrante Aporti, già Istituto
nelle opportunità formative degli studenti; la scarsa preparazione di correzionale agricolo per giovani discoli ed ex Cascina La
un numero consistente di insegnanti; l’inadeguatezza degli stipendi
Generala, dove avvenne
dei docenti; la poca rilevanza dei curricoli per il contesto congolese
la famosa passeggiata di
in quanto ancora troppo influenzati dagli orientamenti dei sistemi
don Bosco con i giovani
educativi dei Paesi del Nord del mondo; l’astrattezza della formazione
carcerati, don Bosco è
impartita nella scuola secondaria che, tuttavia, gode di un prestigio
tornato come statua. È alta
eccessivo presso i giovani e le loro famiglie; il centralismo burocratico
un metro e 15 compreso il
e la carenza di una vera autonomia nelle scuole; la debolezza delle co-
basamento, in legno di ti-
munità educative; l’inadeguatezza delle infrastrutture, in particolare
glio, opera di un artigiano
nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione;
di Boves. Grazie all’opera
la moltiplicazione degli scioperi degli insegnanti.
del cappellano del Ferran-
Sono queste le sfide che i salesiani affrontano quotidianamente
te Aporti, don Domenico
nelle loro scuole professionali in Congo, segno sicuro di speranza
Ricca, salesiano.
per tanti giovani congolesi.
Febbraio 2015
21

3.2 Page 22

▲back to top
A TU PER TU
LINDA PERINO
Don Juan Linares
e i “Muchachos y Muchachas
con don Bosco”
Don Juan Linares è stato indicato da una giuria qualificata
come “Uomo dell’anno 2011”. Don Linares, nato a Salamanca,
Spagna, giunse nella Repubblica Dominicana a metà degli
anni ’70. È stato ispettore dei salesiani delle Antille per due
mandati consecutivi. Al suo arrivo iniziò a lavorare presso
l’Istituto don Bosco dove conobbe la realtà di centinaia
di bambini abbandonati e dal futuro incerto. Così nacque
nel 1986 il programma “Canillitas con don Bosco”, ora noto
come “Muchachos y Muchachas con don Bosco”, che offre
formazione scolastica, artistica e ricreativa a centinaia
di bambini e giovani di Santo Domingo e delle altre aree
interne del paese, con l’obiettivo di farli diventare uomini
e donne per bene.
Vuole presentarsi?
Il 16 agosto dell’anno passato ho ce-
lebrato i cinquant’anni della mia pro-
fessione salesiana. Cinquant’anni di
meravigliosa esperienza nella Mis-
sione Salesiana nelle Antille. Dopo
alcuni anni passati nella mia terra na-
tale, Salamanca, in Spagna, dove ho
fatto gli studi di teologia, catechetica
e psicologia, sono partito per Santo
Domingo. I giovani mi hanno rubato
il cuore e posso affermare come don
Bosco: «Con i giovani mi sento sem-
pre bene».
Una sera, un ragazzo di strada entrò
nel mio ufficio e mi chiese se ero don
Bosco ed ebbi l’audacia di risponder-
gli di sì.
Perché ha scelto le Antille
come sua missione?
Semplicemente perché al termine del
noviziato feci domanda per essere
missionario e in quel tempo l’Ispet-
toria di Madrid stava inviando mis-
sionari in questa terra e i superiori
mi mandarono qui. Questo è il modo
migliore per entrare nei piani di Dio.
Che cos’è l’iniziativa
“Muchachos y Muchachas
con don Bosco”?
È un’opera oratoriana destinata ai
ragazzi ad alto rischio. Tre motivi
principali l’hanno provocata. Il pri-
mo è il grido di migliaia di bambini
e bambine che vivono in situazione di
esclusione e di abuso e che vediamo
tutti i giorni nelle nostre città. È un
grido molto forte e molto doloroso,
un grido intollerabile. Il secondo è
l’“udito salesiano”. I salesiani ascol-
tano da sempre questo grido e non
22
Febbraio 2015

3.3 Page 23

▲back to top
restano indifferenti. Il carisma sale-
siano è nato per rispondere a questo
grido. “Canillitas con don Bosco”
nasce proprio come risposta alla chia-
mata che viene dalle invocazioni di
questi ragazzi.
Il terzo è la conseguenza di un “frut-
to” pastorale. L’esperienza avuta con
cento giovani del Centro Giovanile
della parrocchia di Maria Ausiliatrice
di Santo Domingo ci aveva impegna-
ti a scelte e azioni negli ambienti più
poveri. Scoprimmo che poteva essere
Don Juan nel laboratorio della creatività
con i suoi ragazzi.
uno spazio di impegno permanente.
Dall’impegno con i giovani nascono
le opere salesiane, come accadde a
don Bosco.
Per questo motivo, l’8 dicembre 1985,
nasce “Canillitas con don Bosco”.
Trecento ragazzini, lavoratori della
strada (canillitas sono le gambe che
muovono ogni giorno per guadagna-
re qualcosa) risposero al nostro invito
e furono i fondatori di questa presen-
za salesiana. Quattro anni dopo, fu
aperto anche il centro per le ragazzine,
animato dalle Figlie di Maria Ausi-
liatrice, che si chiamò “Canillitas con
Laura”. Più tardi, se ne aprì un altro
per ragazzi che lavoravano nelle offi-
cine meccaniche per automobili e si
chiamò “Apprendisti con don Bosco”.
Qualche anno fa, aprimmo un centro
per adolescenti incinte, che si chiama
“Querebebé”. Così altri ancora fino ad
arrivare a dodici centri. Così è nata la
rete di Muchachos y Muchachas con
don Bosco, come una scelta dell’Ispet-
toria delle Antille.
Com’è organizzata
questa rete?
Muchachos y Muchachas con don
Bosco è una rete di centri locali,
animati dalla Famiglia Salesiana,
per accompagnare bambini, ragazzi
e adolescenti ad alto rischio, secondo
Febbraio 2015
23

3.4 Page 24

▲back to top
A TU PER TU
profili differenti, mediante un processo
di maturazione integrale perché possa
avere una vita dignitosa. Nella Repub-
blica Domenicana è a livello nazionale.
La nostra rete è organizzata secondo
una successione di tappe. La prima è
la “ricerca”. Si tratta di percorrere le
strade, le periferie, là dove si trovano
i ragazzi in difficoltà. Non aspettare
che vengano da noi. La seconda tap-
pa è “l’accoglienza”. Apriamo a loro
le nostre case e cerchiamo di cono-
scere a fondo la loro realtà per sta-
bilire un’alleanza con ogni ragazzo.
Viene poi la “socializzazione”, cioè
l’inserimento dei ragazzi nel posto
a cui hanno diritto: la famiglia, la
scuola, un gruppo sportivo, ecc. Ar-
riviamo così alla tappa fondamentale,
l’“accompagnamento”. In questa fase
ci sono i programmi principali: sco-
lastici, ricreativi, apprendimento di
competenze, laboratori, vita cristiana,
arte. In questo modo si sfocia nella
tappa finale “progetto di vita” e “im-
pegno”: buoni cristiani e onesti citta-
dini, costruttori di un mondo nuovo.
Da dove vengono i ragazzi?
Provengono dai quartieri più periferi-
ci delle principali città del Paese.
Ricorda qualche
storia particolare?
Ricordo molte storie.
Ericson, per esempio,
a nove anni lucida-
va scarpe e vendeva roba varia
per la strada. Questa è la sua testi-
monianza: «Un giorno la mia vita è
cambiata. Un giorno camminavo per
la strada, quando fui avvicinato da un
giovane che si chiamava Romano che
m’invitò a partecipare a “Canillitas
con don Bosco”, un Centro creato da
un sacerdote chiamato Juan Linares e
da alcuni giovani del Centro Giova-
nile Maria Ausiliatrice. Quest’incon-
tro mi riempì di speranza e là trovai
gioia, affetto, fiducia, educazione.
Conobbi una gioia diversa. Mi inse-
gnarono giochi e altro, mi sentivo in
paradiso, non avevo mai immagina-
to una cosa così, giocare a calcio in
un grande spazio, in una squadra, a
basket in un campo vero, se litigava-
mo ci traevano in disparte e ci cor-
reggevano, era qualcosa di grandioso.
Il Progetto Canillitas cambiò la mia
vita, le diede un’altra direzione.
Potei entrare nell’Istituto Tecnico Sa-
lesiano e divenni meccanico per auto.
Riuscii a lavorare nelle migliori offi-
cine del Paese. In seguito frequentai
l’Università e cominciai la carriera
di amministratore e oggi lavoro in
un’impresa importante. Lo dico in
verità, da adulto come sono, sposato
nella Chiesa Cattolica, con una car-
riera personale e padre di due figli,
«Apriamo a loro le nostre case e cerchiamo
di conoscere a fondo la loro realtà».
24
Febbraio 2015

3.5 Page 25

▲back to top
che gli sforzi e la missione dei salesia-
ni non è vana, vale la pena. Il fine per
cui don Bosco voleva educare i giova-
ni continua ad avverarsi: siamo Buoni
Cristiani e Onesti Cittadini».
Quindi i risultati
sono lusinghieri.
I frutti del Carisma Salesiano sono
sempre meravigliosi e sono la conse-
guenza di molti miracoli. Il miracolo
non è raro, è la vita di tutti i giorni
quando lasciamo operare la grazia di
Dio che ci usa come mediazione. La
vita è piena di miracoli.
I risultati sono nelle “storie che fi-
niscono bene” di centinaia dei nostri
ragazzi. Molti sono professionisti,
professori di università, ingegneri,
amministratori, meccanici, elettrici-
sti. Altri hanno aperto una loro atti-
vità, molti lavorano nel settore turi-
stico come cuochi, baristi. Un buon
numero lavora nei centri locali come
educatore.
Com’è vista questa
attività dai confratelli
e dalla Chiesa locale?
“Muchachos y Muchachas con don
Bosco” è molto stimata, sia a livello
di società sia a livello ecclesiale. L’i-
spettoria salesiana delle Antille ne ha
fatto una sua opzione preferenziale.
Anche a livello di Regione Interame-
rica, in cui per più di dieci anni ebbi
l’incarico di coordinare le opzioni
preferenziali dei destinatari, è consi-
derata una buona metodologia ricca e
fruttuosa.
In quest’anno del Bicentenario ab-
biamo l’opportunità di rinnovare il
nostro carisma salesiano. Il Valdocco
di don Bosco non può essere solo me-
moria, deve essere soprattutto profe-
zia: lo stesso carisma vivo e intenso in
don Bosco deve infiammare tutti noi.
Nel mondo continuano ad esser-
ci molti Valdocco e sarebbe bello
quest’anno fare un pellegrinaggio al
Valdocco di don Bosco e ai tanti Val-
docco delle nostre ispettorie.
Don Juan Linares con alcuni dei “Muchachos y
Muchachas con don Bosco”.
Febbraio 2015
25

3.6 Page 26

▲back to top
LE CASE DI DON BOSCO
GIUSEPPE SALAMONE
Pippo Baudo, Pietro Anastasi, Leo Gullotta
all’oratorio venivano qui
san Giovanni Bosco, in quanto l’oratorio è: cortile
per giocare e incontrarsi, casa che accoglie tutti,
luogo ove sperimentare attività, laboratori, sport,
il tutto in un clima educativo e sano.
L’oratorio San Filippo Neri di Catania, con sede
in via Teatro Greco, fu aperto l’8 novembre
1885, da un gruppo di giovani salesiani
inviati personalmente da san Giovanni Bosco,
ancora vivente, venendo incontro all’insistente
richiesta del grande gigante della carità,
il beato Giuseppe Benedetto Dusmet,
allora arcivescovo di Catania.
In alto: L’ingresso
della casa
salesiana nel
centro storico
di Catania.
L’Oratorio si presenta come un luogo da
abitare “per educare alla via del van-
gelo”. È unico centro di aggregazione
giovanile nel centro storico di Catania,
l’“Antico Corso”, un quartiere difficile
con diverse problematiche educative.
Oggi, l’oratorio è condotto da un laico, Giuseppe
Salamone e da volontari che svolgono una mis-
sione in favore dei giovani, secondo il carisma di
Un arsenale di creatività
Offre ai fanciulli, giovani e adulti un insieme
di attività ludico ricreative e spirituali e dà loro
l’opportunità di stare insieme, divertirsi e cresce-
re la propria fede attraverso molteplici e variegate
attività per le varie fasce d’età. Ai bambini della
scuola elementare e ai ragazzi della scuola media
vengono proposte oltre il sostegno scolastico, al-
tre attività: come il calcio, sport predominante,
che coinvolge fino a 150 ragazzi in mini-partite
da 10 minuti ciascuna, judo, lotta greco romana,
basket, calcio balilla, tennis tavolo e laboratorio
teatrale, attraverso il quale a ogni ragazzo viene
data la possibilità di sviluppare vari aspetti del
proprio carattere, crescita culturale, sviluppo
della personalità, accompagnandoli nel ricono-
scere e superare le proprie insicurezze, miglio-
rando l’autostima che spesso è alla base del di-
sagio giovanile; laboratorio di danza, dedicato
ai bambini che vogliono imparare a muovere il
corpo a ritmo di musica e creare un gruppo “in
armonia” che possa esistere anche fuori dal mo-
mento del ballo; laboratorio manuale per stimo-
lare le abilità manuali, la fantasia e la creativi-
tà; laboratorio di cucina, in cui i ragazzi, con la
supervisione dell’adulto, si divertono preparando
un menù completo; laboratorio di canto, dedica-
to ai bambini e ragazzi che vogliono acquisire i
26
Febbraio 2015

3.7 Page 27

▲back to top
primi rudimenti del canto con modalità ludica,
imparando a stare insieme condividendo e colti-
vando una piccola passione musicale.
La marcia in più
La crescita culturale e interiore, e il formare un
“buon cristiano e un onesto cittadino”, è il princi-
pio cardine su cui si basano la formazione e le atti-
vità rivolte ai nostri ragazzi; a tal proposito si sono
costituiti cinque gruppi: “San Domenico Savio”,
per i bambini che frequentano la quarta e quin-
ta della scuola primaria; “San Filippo Neri”, per
i preadolescenti che frequentano la scuola media;
“Michele Rua” per gli adolescenti; gruppo “Mi-
nistranti” aperto per i bambini dai 10 anni in su;
il gruppo animatori ed educatori “Amici di don
Bosco” formato da giovani e adulti, i quali offrono
il loro servizio in oratorio e che si incontrano ogni
lunedì per un cammino di formazione personale
e spirituale. A tal proposito, si tengono momenti
di Adorazione Eucaristica, Lectio divina, perché
siamo convinti che la crescita e l’essere testimoni
di una fede vera è quella marcia in più che fa la
differenza nell’approccio con i nostri giovani.
La celebrazione eucaristica, è il punto cruciale
dei nostri momenti in oratorio: viene celebrata
il sabato, con attiva partecipazione della comu-
nità oratoriana e dei nostri giovani. In questa
casa sono nate vocazioni salesiane e non, si sono
formati personaggi illustri catanesi esponenti di
spicco del teatro siciliano: Turi Giordano, valen-
te regista, Turi Reina in arte Turi Killer, Enrico
Guarnieri in arte Litterio Scalisi, e Giovanni Si-
neri, Turi Ferro, Tuccio Musumeci, Leo Gullot-
ta, Pippo Baudo e del calcio come Gigi Chiavaro
e Pippetto Fichera che hanno militato negli anni
’70, il primo nella prima squadra del Catania, il
secondo (ricordiamo) ha giocato nella Massese, e
il grande calciatore come Pietro Anastasi ma, più
di ogni altra cosa, è luogo di quel fervido carisma
salesiano, che ha permesso e permette a tutti noi
ragazzi di essere testimoni di gioia, amore e fra-
ternità, elementi tanto cari al nostro Padre, Mae-
stro ed Amico.
Gli oratoriani del
san Filippo Neri
intorno alla statua
di don Bosco.
Febbraio 2015
27

3.8 Page 28

▲back to top
INIZIATIVE
IGINO ZANANDREA
In Inghilterra
con il
TGS Eurogroup
corsi estivi di inglese del
TGS Eurogroup, Eurogroup hanno lo scopo di
Associazione di offrire una buona occasione per
l’apprendimento della lingua e
Promozione Sociale per un’esperienza cristiana di vita
promossa dall’Ispettoria Idi gruppo. Sono rivolti a gruppi
gruppo un’esperienza significativa ar-
ticolata in gite, visite guidate, tornei,
sport, serate animate da giochi e mol-
te altre attività da costruire e vivere
assieme. Il soggiorno in Inghilterra è
organizzato in modo che scuola, atti-
Salesiana San Marco
Italia Nord Est, da oltre
45 anni organizza corsi
di ragazzi e ragazze che, oltre a impa-
rare e migliorare la conoscenza della
lingua inglese, desiderino condividere
con la famiglia ospitante tutta la du-
vità turistiche e ricreative, permanen-
za in famiglia e incontri di gruppo si
integrino a vicenda per stimolare l’in-
teresse dei ragazzi e la partecipazione
estivi di lingua inglese rata del soggiorno e vivere assieme al attiva di tutti.
in Gran Bretagna. Per
le loro finalità le attività
proposte dall’associazione
si riconoscono nel
Movimento Giovanile
Salesiano e nei suoi
valori: l’esperienza trova
massima espressione nei
momenti di incontro,
di festa, di formazione
umana e cristiana.
28
Febbraio 2015

3.9 Page 29

▲back to top
Una vera
esperienza di vita
I soggiorni studio del Eurogroup
si configurano come una particola-
re declinazione di “viaggio formati-
vo”, così come definito dalla Propo-
sta Culturale del . Essi infatti si
qualificano come “acquisizione ed
ampliamento di conoscenze”.
L’esperienza ha lo scopo di fornire ai
giovani una buona occasione per l’ap-
prendimento di una lingua straniera e
dovrà perseguire i più elevati standard
qualitativi per raggiungere tale obiet-
tivo: la predisposizione di un percorso
didattico sufficientemente esteso nel
tempo (18-24 giorni); la definizione di
un progetto didattico costruito su mi-
sura; il coinvolgimento di insegnanti
madrelingua di comprovata esperienza
e abilitati all’insegnamento della lin-
gua inglese agli stranieri; l’adozione
del sistema di valutazione del Common
European Framework of Reference, uni-
versalmente riconosciuto; l’integrazio-
ne tra attività didattica ed esperienza
culturale e turistica; l’integrazione tra
attività didattica e ricreativa, attraverso
momenti aggregativi che coinvolgano
insegnanti, gruppo di studenti, leader,
famiglie ospitanti e collaboratori locali.
Si tratta quindi di un’esperienza di
gruppo, ma anche di crescita persona-
le: la proposta dell’esperienza cristia-
na di vita di gruppo che accompagna
il viaggio formativo fa riferimento
alla Spiritualità Giovanile Salesiana
e si concretizza in scelte educative e
formative, che pongono l’accento sul
cammino di crescita dei giovani che
formano il gruppo, i quali sono sem-
pre posti al centro dell’attenzione da-
gli animatori; scelte apostoliche, che
impegnano un numero cospicuo di
animatori (3-4 laici e 1 sacerdote per
ogni gruppo di circa 30 studenti) in
un servizio gratuito e condiviso per
gli altri; scelte associative-ecclesiali,
che allargano l’esperienza di comu-
nicazione e condivisione del gruppo
fino a renderla esperienza di Chiesa.
L’esperienza è strutturata in modo
tale da riuscire a mantenere le quote
di partecipazione accessibili al mag-
gior numero di giovani possibile, sen-
za per questo venire meno agli obiet-
tivi di qualità del soggiorno.
La sistemazione avviene presso fami-
glie locali appositamente selezionate,
scelta che, rispetto al college, presen-
ta il considerevole vantaggio di intro-
durre i giovani dentro la cultura, le
tradizioni e i modi di vivere del luogo.
I “Leader ”, i giovani volonta-
ri dell’associazione, molto spesso ex
studenti che intendono mettersi
a loro volta a servizio dando la dispo-
nibilità ad accompagnare i gruppi in
Inghilterra, sono coinvolti ogni anno
in un percorso formativo suddiviso in
più tappe da gennaio a giugno.
È in particolare grazie a loro e alla loro
passione educativa che il Euro-
group è in grado di offrire qualcosa di
più di una semplice vacanza studio all’e-
stero: una vera esperienza di vita.
Per informazioni e iscrizioni:
TGS Eurogroup - Turismo Giovanile e So-
ciale - c/o Collegio Salesiano Astori
Via Marconi 22 - 31021 Mogliano Veneto TV
tel. 041 5904717 - fax 041 5906702
email info@tgseurogroup.it
Sito web: www.tgseurogroup.it
Blog: tgseurogroup.wordpress.com
Febbraio 2015
29

3.10 Page 30

▲back to top
I NOSTRI EROI
MARIA VANDA PENNA
Dal Monferrato alle terre
della “fine del mondo”
Suor Angela Vallese
Cent’anni fa,
il 17 agosto 1914,
moriva a Nizza
Monferrato (Asti),
in concetto di santità,
suor Angela Vallese,
la pioniera dell’opera
missionaria delle Figlie
di Maria Ausiliatrice.
Suor Angela Vallese al centro del primo
gruppo di missionarie in Argentina.
Nata a Lu Monferrato (Alessandria) l’8
gennaio 1854 in un famiglia di agri-
coltori provata dalla povertà e ricca di
figli e di amore, a 21 anni, il 18 agosto
1875, Angela partì per Mornese (Ales-
sandria), il luogo di origine dell’Istituto
delle Figlie di Maria Ausiliatrice fondato da san
Giovanni Bosco il 5 agosto 1872. In quella comu-
nità chiamata “la casa dell’amore di Dio”, la su-
periora madre Maria Domenica Mazzarello, con
l’intuito dei santi, accolse la giovane intravedendo
in lei la portatrice di un grande progetto di Dio
e la iniziò alla vita religiosa salesiana facendole
bruciare le tappe.
Il 29 agosto 1876 Angela emise, infatti, i primi
voti religiosi e nel novembre del 1877 già era
pronta per guidare la prima spedizione missiona-
ria delle in America del Sud. Da due anni
30
Febbraio 2015

4 Pages 31-40

▲back to top

4.1 Page 31

▲back to top
don Bosco aveva mandato i primi missionari sa-
lesiani in Argentina e anche il nuovo Istituto re-
ligioso femminile vibrava dello stesso ardore apo-
stolico: far conoscere e amare Dio fino ai confini
del mondo.
Questa la composizione del gruppo delle prime
missionarie: suor Angela Vallese, 23 anni; suor
Giovanna Borgna, 17 anni; suor Angela Cassu-
lo, 25 anni; suor Angela Denegri, 17 anni; suor
Teresa Gedda, 25 anni; suor Teresa Mazzarello,
17 anni. Questo primo gruppo di Figlie di Maria
Ausiliatrice era partito con la terza spedizione dei
Salesiani: don Giacomo Costamagna ne era l’im-
pareggiabile accompagnatore.
La prima tappa missionaria fu Montevideo-Villa
Colón, in Uruguay, ma altra era la terra che qua-
si tutte le aspettava. L’Uruguay era infatti il pri-
mo avamposto per il lancio verso la Patagonia, la
terra del sogno di don Bosco, che attendeva chi
aiutasse i suoi abitanti a vivere una vita umana
dignitosa e a incontrare in Cristo la salvezza.
Oggi può avere dell’incredibile ciò che queste
giovani donne misero in atto dapprima in Uru-
guay e poi, giù, sempre più giù, fino alla Terra
del Fuoco, al di là dello Stretto di Magellano:
catechesi, oratori, collegi, scuole, laboratori, edu-
cazione alla preghiera, soprattutto liturgica, in
ambienti dove tutto questo poteva apparire im-
possibile. Pochissimi i mezzi umani, divampante
l’amore per Dio e per fratelli e sorelle, giovani so-
prattutto, da condurre a Lui.
Straordinariamente efficace era la collaborazione
fraterna tra le Figlie di Maria Ausiliatrice e i sa-
lesiani, che induceva suor Angela a esprimere ri-
petutamente a don Bosco e a don Michele Rua il
grazie per quanto monsignor Giuseppe Fagnano
faceva per la Comunità delle suore, mentre mon-
signor Giovanni Cagliero scriveva al superiore
don Bonetti: “Se noi [salesiani] possiamo fare al-
cunché di bene lo dobbiamo a loro [le suore]. Esse
ci preparano e presentano a Dio le anime che noi
vogliamo cacciare e regalare al Signore”. Le suore,
Le celebrazioni per
il centenario della
morte di Madre
Vallese nella
diocesi di Casale.
Febbraio 2015
31

4.2 Page 32

▲back to top
I NOSTRI EROI
Missionarie e missionari salesiani dopo una celebrazione del
Battesimo. Sotto: La missione della Candelaria nella Terra del
Fuoco.
infatti, potevano più facilmente avvicinare donne
e bambini e attraverso loro guadagnarsi la fiducia
degli indigeni, che avevano vissuto in passato do-
lorose esperienze a causa degli uomini “bianchi”.
Radice solida dell’opera di evangelizzazione e
promozione umana erano i sacrifici senza nu-
mero, le delusioni apostoliche per i sospetti che
gli indigeni nutrivano anche nei confronti dei
missionari, le epidemie che falciavano intere et-
nie, la povertà inimmaginabile degli inizi, uniti a
una fedeltà a tutta prova alla regola di vita (il faro
era sempre “Mornese”, la prima comunità dove il
Vangelo era la regola di vita), la preghiera inces-
sante e la carità fraterna.
Per venticinque anni – dal 1888 al 1913 – suor
Angela Vallese visse a Punta Arenas. Nel 1893
venne nominata Superiora Visitatrice delle Case
aperte dalle Figlie di Maria Ausiliatrice nella Pa-
tagonia meridionale e nelle Terre Magellaniche.
32
Febbraio 2015

4.3 Page 33

▲back to top
La nostra casa è dappertutto
Nonostante il clima rigidissimo, il frequente ri-
schio di naufragio nelle traversate dello Stretto di
Magellano per andare a visitare le missioni fon-
date al di là del medesimo nella Terra del Fuoco,
nell’Isola Dawson, nelle Isole Malvine, le diffi-
coltà di ogni genere, comprese le ostilità di alcuni
governi nei confronti dell’opera salesiana, suor
Angela mai avrebbe voluto lasciare quelle terre,
divenute ormai la “sua terra”.
Scriveva infatti, all’età di 24 anni, nella prima
lettera ai genitori dall’Uruguay nel 1878 quella
che era la sua radicata convinzione di intercultu-
ralità missionaria: “Noi non siamo né d’America né
d’Italia, la nostra casa si trova dappertutto”. Cer-
tamente suor Vallese non conosceva la Lettera
“A Diogneto” in cui si legge relativamente ai
cristiani: “Ogni terra straniera è per loro patria e
ogni patria terra straniera”. Questa sua convin-
zione richiama il fatto che il cristiano, e ancor
più il missionario e la missionaria sono persone
dal respiro universale.
Al termine della sua avventura missionaria,
giunse per suor Angela l’ultimo, pesantissimo sa-
crificio: dopo la partecipazione al VII Capitolo
Generale dell’Istituto nel 1913, a Nizza Monfer-
rato, vi si dovette fermare, per pura obbedienza
alle Superiore, perché le forze fisiche ormai non
avrebbero retto altre fatiche. La morte la colse,
infatti, l’anno seguente all’età di 60 anni il 17
agosto 1914. Moriva la pioniera delle missioni
in America lontana dalla sua “patria del cuore”
ma spiritualmente vicina a quelle sorelle, a quelle
donne e ragazze che aveva cercato di promuovere
a livello umano e spirituale. Era davvero “madre”
perché aveva irradiato tanta vita e un grande in-
commensurabile amore.
Là non ci separeremo mai più
Sono state pubblicate da poco, dall’Istituto delle
Figlie di Maria Ausiliatrice, le lettere che suor
Angela Vallese scrisse a don Bosco, a madre
Mazzarello, a don Rua, ai Superiori Salesiani,
ai genitori, all’amatissima sorella Teresa, ad altri
familiari, a consorelle. Leggendole, si coglie la
concretezza di questa donna umile e appassio-
nata per il Regno di Dio, che seppe inculturarsi
con semplicità tra la gente di quelle terre lonta-
ne, pur rimanendo affettivamente legata al suo
paese d’origine e alla sua famiglia, senza nulla
rimpiangere, ma amando tutti di vero cuore;
sempre invitando a spingere in avanti lo sguar-
do, oltre, al Cielo, meta di ogni cammino uma-
no, perla preziosa per cui tutto si può perdere in
questo mondo.
Il titolo del volume “Là non ci separeremo mai più
è l’espressione che ricorre con frequenza nelle let-
tere e che attesta la certezza da cui suor Ange-
la è sostenuta, soprattutto quando gli argomenti
umani sembrano non reggere di fronte all’offerta
eroica della vita.
Il libro che
raccoglie le
lettere di suor
Angela Vallese.
Il titolo ripete la
sua espressione
preferita.
Febbraio 2015
33

4.4 Page 34

▲back to top
COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Perché difendiamo Forse mai come oggi
la famiglia è stata così
tanto assediata,così tanto
la famiglia
bersagliata. Eppure noi ci
collochiamo dalla parte di
coloro che la difendono.
Pensiamo di avere tutte
Difendiamo la famiglia per-
ché è l’anticamera di tutto: il
luogo primario della nostra
umanizzazione. È nella fa-
miglia che si impara il primo
alfabeto della vita!
Una cosa è certa: vi sono cicatrici psi-
cologiche, circuiti virtuosi (o viziosi)
contratti nella prima infanzia, che
non si rimarginano più. È la pro-
va che la famiglia ci firma. Ecco un
punto su cui tutti sono d’accordo. Lo
le carte in regola per
giustificare tale scelta.
missimi anni dell’infanzia il bambino
impara l’80% di quanto gli servirà per
tutta la vita”.
Se le prime esperienze sono positive, psicologo e psichiatra statunitense La psicanalista svizzera Alice Miller
avremo quella fiducia di fondo (rite- Arnold Gesell (1880-1961) è deciso: (1923-2010) è ancor più decisa: “L’o-
nuta fondamentale dallo psicanalista “La maturità psicologica che viene pinione pubblica è ancora ben lontana
statunitense Erik Erikson, 1902- raggiunta nei primi cinque anni di dall’avere consapevolezza che tutto
1994) che porteremo sempre con noi; vita è prodigiosa!”.
ciò che capita al bambino nei suoi pri-
se saranno esperienze negative, ne ri- Il nostro maestro-scrittore, Mario mi anni di vita si ripercuote inevita-
sentiremo per la vita intera.
Lodi (1922-2014) conferma: “Nei pri- bilmente nella società: psicosi, droga,
34
Febbraio 2015

4.5 Page 35

▲back to top
LA FAMIGLIA È COME IL CALABRONE:
molti pensano che dovrebbe precipitare, invece vola!
Il brillante scrittore Vittorio Buttafava in una simpatica lettera: “Cari figli del 2053”, par-
lando della famiglia, ha fatto queste osservazioni che ci convincono sempre più della sua
importanza e necessità: “Scommetto che anche voi, nel vostro 2053 state discutendo se
la famiglia è in crisi. È da un secolo, e anche più, che si rumina questo argomento senza
venirne a capo.
Uno psicologo americano B. Watson previde nel 1937 che entro mezzo secolo ‘il matrimonio
non sarebbe più esistito’. Nel 1937 il sociologo Pitirin Serokin, commentando la crescente
diffusione dei divorzi e delle separazioni, decretò la fine della famiglia come ‘unione di marito
e moglie’ e la ridusse a ‘un semplice sistema di parcheggio notturno destinato ai rapporti
sessuali’. Un altro celebre sociologo, Carl Zimmermann, stabilì che la famiglia dovesse pol-
verizzarsi, dando inizio alla fine della civiltà occidentale.
Hanno sbagliato tutti!
L’errore comune è stato quello di credere che gli avvenimenti esterni, la rivoluzione fran-
cese, l’industrialismo, la liberazione sessuale e la protesta giovanile, avessero la forza di
cancellare un’istituzione che è nata con l’uomo delle caverne, si è collaudata attraverso i
millenni e quindi non può morire. Le inchieste degli ultimi anni sulla famiglia hanno tutte
un denominatore comune. La famiglia, nonostante gli errori e le polemiche, resta un’isola
calda, protettiva, rassicurante specialmente nel confronto con il disastro del mondo esterno.
Credo che continuerà a esistere e che sostanzialmente sarà più franca e onesta”.
PIETRE MILIARI
“La famiglia sarà piena di germi e di
batteri, però serve alle persone per cre-
scere” (Natalia Ginzburg, scrittrice,
1916-1991).
“Per quante convivenze di vario tipo
si possano inventare, la famiglia tor-
na sempre di soppiatto” (Margaret
Mead, antropologa, 1901-1978).
“Non attentate alla famiglia: è un concet-
to di Dio, non nostro” (Giuseppe Maz-
zini, uomo politico, 1805-1872).
“Se alla famiglia si riservasse tanta at-
tenzione quanta ne abbiamo per le armi
da fuoco o per il gioco del calcio, questo
Paese sarebbe infinitamente più sano
e felice… Mentre siamo impegnati ad
andare avanti e indietro sulla Luna e su
Marte, la famiglia è l’ultimo dei nostri
pensieri” (Urie Bronfenbrenner, psi-
cologo tedesco, 1917-2005).
e criminalità sono l’espressione cifrata
delle primissime esperienze”.
Difendiamo la famiglia perché è la
famiglia che soddisfa il bisogno di
appartenenza scritto nel nostro patri-
monio cromosomico genetico. Nessu-
no ama essere figlio di nessuno!
Difendiamo la famiglia perché è la
clinica del cuore.
In essa non si è accolti per quello che
si sa come a scuola; non per quello
che si fa, come al lavoro, ma per quel-
lo che si è!
Ebbene, questo è il primo capitolo
dell’amore secondo lo psicanalista
austriaco Bruno Bettelheim (1903-
1990): “Non puntate ad avere il bam-
bino che piacerebbe a voi! Abbiate
rispetto per ciò che il bambino è!”.
Difendiamo la famiglia perché è la
prima scuola di socialità. La famiglia
è una società in miniatura: il luogo
ove si vive il plurale, ove il piccolo
dell’uomo fa la prima conoscenza del
‘noi’. Nella famiglia il bambino espe-
rimenta la vera relazionalità che non
può essere soddisfatta dalle nostre va-
rie connessioni digitali d’oggi.
Difendiamo la famiglia perché è una
riserva di valori: del valore Gratuità,
del valore Sicurezza, del valore Amo-
re, del valore Intimità, del valore Rela-
zionalità di cui abbiamo appena detto.
Ecco, in breve (troppo in breve!) per-
ché difendiamo la famiglia! Sono ra-
gioni da meditare per scoprirne tutta
la valenza argomentativa.
Qui lo spazio ci impone di chiudere
senza però prima aver detto che la no-
stra difesa della famiglia non si fonda
su ragioni religiose. Non è necessario
appartenere a una religione per difen-
dere la famiglia. Molti pensatori non
cristiani, ad esempio, l’hanno protet-
ta, l’hanno difesa.
Pensiamo al grande filosofo greco
Aristotele (384-322 a.C.), a Cicerone
(106-43 a.C.), a Marx (1818-1883)
stesso. Pensatori che hanno capito
che la famiglia è il primo patrimonio
dell’umanità, anche se non è rintrac-
ciabile tra i 1007 siti individuati, fi-
nora, dall’Unesco.
La famiglia è un frammento di mon-
do che ne guida il destino! Bersaglia-
re la famiglia è seminare mine anti-
uomo, è tagliare il ramo su cui siamo
seduti. Davvero: abbiamo tutte le car-
te in regola per difenderla, per soste-
nerla, per amarla!
QUESTO DICO AL FIGLIO ADOLESCENTE
“Tutte le sere, prima di metterti a letto, smaltisci i tuoi rifiuti emotivi”.
“Ha senso vivere per diventare l’uomo più ricco del cimitero?”.
“La vita è sensata solo se è donata!”.
“Cammina per trovare gli altri, férmati, per trovare te stesso”.
“Chi ha solo il denaro in testa, finisce con il diventare un salvadanaio”.
Febbraio 2015
35

4.6 Page 36

▲back to top
LA LINEA D'OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
Una società
per single? La società del terzo millennio lascia sempre
R meno spazio alla vita affettiva, alla socialità,
itmi di vita sempre più frenetici e con-
vulsi, impegni lavorativi che assorbono
ogni istante della giornata, una struttu-
rale precarietà che impone di investire
energie e tempo crescenti nel tentativo
di realizzare i propri progetti e aspirazio-
alla tessitura di una trama di relazioni ni professionali. La società del terzo millennio è
una società per single. Una società che lascia sem-
al di fuori dell’ambiente di lavoro. pre meno spazio alla vita affettiva, alla socialità,
È una società in cui la solitudine alla tessitura di una trama di relazioni al di fuori
dell’ambiente di lavoro. Una società in cui la so-
è una condizione esistenziale sempre litudine è una condizione esistenziale sempre più
più diffusa e radicata. diffusa e radicata.
Il dilatarsi dell’orario lavorativo ben oltre le tra-
dizionali otto ore giornaliere, la necessità di fare
più lavori districandosi tra impegni e scadenze
Puoi decidere le strade che farai,
che spesso si rincorrono e si sovrappongono, il
puoi scalare le montagne oltre i limiti che hai,
venir meno persino della confortante distinzio-
potrai essere qualcuno se ti va,
ne tra tempo feriale e tempo festivo, per cui ogni
ma se non ami, se non ami
giorno, ogni istante, ogni periodo dell’anno è tri-
non hai un vero motivo per vivere,
stemente consacrato al dio lavoro e agli impegni
se non ami non ti ami e non ci sei,
professionali, impediscono di ritagliarsi il tempo
se non ami non ha senso tutto quello che fai.
necessario per coltivare le amicizie, far germo-
Puoi creare un grande impero intorno a te,
gliare l’amore, vivere con spensieratezza e senza
costruire grattaceli e contare un po’ di più,
sensi di colpa i tempi lenti della socialità e della
puoi comprare tutto quello che vuoi tu,
condivisione.
ma se non ami, se non ami
A farne le spese sono soprattutto i giovani adulti,
non hai un vero motivo per vivere,
dolorosamente combattuti tra il desiderio di rea-
se non ami non ti ami e non ci sei,
lizzazione professionale e l’inestinguibile biso-
se non ami, se non ami
gno di rapporti umani, tra la faticosa conquista
non hai il senso delle cose più piccole...
dell’indipendenza economica e il funambolico
tentativo di conciliare amore e carriera. Tentati-
36
Febbraio 2015

4.7 Page 37

▲back to top
vo che spesso si arena di fronte alla difficoltà di
mettere tra parentesi, anche solo per qualche ora,
le richieste sempre più esigenti di incombenze la-
vorative che finiscono per diventare totalizzanti,
onnivore, sfibranti, a danno della vita di coppia,
dei rapporti amicali, delle relazioni sociali in ge-
nere, ormai relegate ai ritagli di tempo.
Del resto, la stessa società sembra aver preso atto
di un tale stato di cose, che non manca di mettere
a frutto e riprodurre con le proprie mode, il pro-
prio sistema di valori, i propri modelli di consumo.
Ristoranti per single, vacanze per single, libri per
single, monolocali per single, macchine per single,
lavatrici per single, aperitivi per single, negozi per
single sono ormai diventati la regola di una società
atomizzata e individualista che specula sulla solitu-
dine, ne esalta il valore liberante ed emancipatorio,
la eleva a stile di vita dominante, discriminando
chi ancora “si ostina” a investire tempo ed energie
nelle amicizie, nella vita affettiva, nella famiglia,
sottraendoli al lavoro e alla ricerca del successo.
E anche i giovani finiscono, loro malgrado, per
adattarsi, facendo della libertà da ogni vincolo
Le certezze che non trovi e che non dai,
l’amore attende e non è invadente
e non grida mai,
se parli ti ascolta, tutto sopporta,
crede in quel che fai
e chiede di esser libero alle porte
e quando torna indietro ti darà di più.
Se non ami, se non ami
tutto il resto sa proprio di inutile,
se non ami non ti ami e non ci sei.
Senza amore noi non siamo niente mai...
(Nek, Se non ami, 2009)
affettivo il loro motto di vita, un’esigenza talvolta
condivisa, talaltra subita con sofferenza e rasse-
gnazione, dimenticando che i traguardi profes-
sionali hanno un gusto più dolce se li si condivide
con le persone amate, che sono i rapporti umani
a dare sapore e significato alla vita, altrimenti in-
sipida e alienante, che è soltanto negli occhi degli
“altri” che troviamo veramente noi stessi e attra-
verso il loro sguardo d’amore impariamo a guar-
darci con benevolenza e simpatia.
Febbraio 2015
37

4.8 Page 38

▲back to top
LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Don Bosco a Roma:
furto con scasso e incendio
“Così camminano le cose del povero mondo”
Sono ben noti alla letteratura
popolare su don Bosco i pic-
coli furti di cui fu vittima nei
primi anni della casetta Pi-
nardi da parte dei giovani da
lui accolti. Meno noti forse il
furto di biancheria a Valdocco e il ten-
tativo sventato nella basilica di Maria
Ausiliatrice negli anni Settanta. Lo
stesso si dica dei furti di materiali
edilizi perpetrati in fase di costru-
zione della basilica del Sacro Cuore a
Roma negli anni Ottanta. Ma forse
l’unico furto di denaro in contanti è
quello che qui raccontiamo, avvenu-
to in Roma nella casetta ai piedi del
Campidoglio, messa generosamente a
disposizione di don Bosco e dei sale-
siani di passaggio in città dalle suore
Oblate di Tor de’ Specchi.
Il furto con scasso
e incendio
Mentre don Bosco con il suo fedele
segretario don Gioachino Berto si tro-
vava da alcuni giorni a Napoli, alle 7
del mattino del 31 marzo 1880, il pro-
curatore dei salesiani, don Francesco
Dalmazzo, si accorse che usciva del
fumo dalla camera di don Berto, ac-
canto a quella di don Bosco e alla sua.
Subito vi si precipitò dentro e riuscì a
salvare un valigione già in fase di com-
bustione accanto al letto che pure stava
prendendo fuoco. Spento poi il princi-
pio di incendio con l’aiuto di persone
chiamate e subito accorse, si rese conto
che la grande valigia da viaggio aveva
un buco al posto della serratura. At-
traverso di esso qualcuno aveva tolto
da una scatoletta, chiusa in un repar-
to della valigia, una grossa somma di
denaro (6 banconote francesi di 1000
franchi ciascuna) che don Bosco aveva
ritirato in Roma e che doveva conse-
gnare al Papa come obolo di san Pietro
a nome di due generosi benefattori di
Marsiglia.
Il ladro, evidentemente al corrente
del fatto che don Bosco aveva ritira-
to tale denaro da due uffici di Roma,
si era con molta facilità arrampicato
alla colonna della vicina chiesa, e dal
cornicione della porta della medesima
era entrato comodamente per una fi-
nestra nelle camere degli ospiti del-
le suore. L’incendio della valigia era
stato solo il tentativo, non riuscito, di
coprire il furto del denaro in contanti
attraverso il buco praticato vicino alla
serratura.
Le conseguenze
Fatta la necessaria denuncia ai carabi-
nieri, la voce del furto si sparse subito
per la città, e più di un giornale lo-
cale, lanciati forti sospetti sulle per-
sone di casa, praticamente gli intimi
di don Bosco, arrivò a dire che questi
sospettava dello stesso suo segreta-
rio (assente da Roma!) e che poteva
anche trattarsi di un furto simulato.
L’Osservatore Romano il 9 aprile si
sentì in obbligo di precisare i fatti e
anche di polemicamente accusare le
38
Febbraio 2015

4.9 Page 39

▲back to top
forze di pubblica sicurezza di grave
ritardo nel sopralluogo e di leggerez-
za nelle successive indagini.
Il Bollettino Salesiano nel numero di
maggio 1880 riprese e condivise la
ricostruzione dei fatti e le opinioni
del giornale vaticano, anche perché
nel numero precedente di aprile aveva
dato semplicemente notizia del furto
pubblicando un post scriptum di una
lettera di don Berto pochi giorni dopo
il triste episodio, il 6 aprile: “L’ultimo
giorno di marzo, nell’assenza di D.
Bosco e del suo segretario [don Berto]
da Roma, si appiccò il fuoco nella sua
camera, e tra le altre cose bruciò la va-
ligia, parte del letto con altri oggetti
preziosi. Si deve attribuire a una gra-
zia speciale, se l’incendio non mandò
in cenere tutta la casa”.
E don Bosco?
Tornato a Roma da Napoli il 1° apri-
le, seppe ovviamente del grave furto.
Quella sera andò a letto tanto afflitto,
che in piena notte lo sognò e si mise
a gridare svegliando il suo segretario,
che ne scrisse poi a don Rua l’8 aprile,
aggiungendo però anche che per il fur-
to “poco mancò che io non impazzissi”.
Don Bosco comunque riprese i suoi
molteplici impegni in città e solo mol-
ti giorni dopo, il 18 aprile, ne fece uno
spiritoso cenno al barone francese
Aimé Héraud: “In quanto poi a’ miei
affari ho avuto una visita in mia came-
ra, mentre io era in Napoli, e persuasi
certamente di farmi un servizio, ru-
barono un po’ di biancheria che meco
aveva portato da Torino, scassinarono
bauli e valigie e andarono a trovare
una somma di 6000 lire che erano da-
naro di san Pietro destinato pel santo
Don Bosco nutriva una fortissima devozione filiale
verso il Papa. Questo gli costò qualche spiacevole
disavventura, cui del resto era abituato.
Padre. Quegli incameratori nel parti-
re, non se ne può capire lo scopo, die-
dero fuoco alla camera del Segretario
mio e così misero nella costernazione i
vicini ed i lontani. Così camminano le
cose del povero mondo”.
Il ladro non fu mai trovato, i soldi non
furono mai recuperati e don Bosco
dovette cercare in tutti i modi di far
avere a papa Leone XIII quanto gli
era stato offerto dai benefattori fran-
cesi. E dire che in quel momento era
indebitato fino al collo, con tre grandi
chiese in costruzione: a Torino, a Val-
lecrosia, a Roma. Ma confidava che la
Divina Provvidenza non gli sarebbe
venuta meno, visto che lavorava sodo
e sodo per portare anime a Dio.
Febbraio 2015
39

4.10 Page 40

▲back to top
I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per
intercessione dei nostri beati, venerabili e servi di Dio,
sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di febbraio preghiamo il servo di Dio
monsignor Ottavio Ortiz Arrieta, vescovo salesiano.
Ottavio è il primo salesiano, sa-
cerdote salesiano e vescovo sa-
lesiano del Perù e diventerà una
figura destinata a incidere pro-
fondamente sia sulla congrega-
zione salesiana, in seno alla qua-
le, ancora giovanissimo, venne
definito “una perla di salesiano”,
sia sulla diocesi di Chachapoyas
cui dedicò 36 anni della propria
esistenza.
Ottavio Ortiz Arrieta Coya nac-
que a Lima il 19 aprile 1878.
Frequenta l’oratorio salesiano:
dapprima come esterno, quindi, nel 1893, come interno. È as-
segnato alla sezione di falegnameria, della quale però non si
accontenta occupandosi ben presto della cucina, di pittura e di
musica. Ammesso quindi come studente, comprende ancor me-
glio come la sua strada passi per la vita salesiana. Emette i primi
voti il 29 gennaio 1900, viene ordinato sacerdote il 27 gennaio
1907. Ha 29 anni e le idee molto chiare: “nulla di straordinario,
ma il mio dovere ben fatto. […] L’esteriorità a nulla serve se nel
profondo del cuore manca l’amore di Gesù”.
Salesiano, tra il 1910 e il 1922, nei Collegi di Piura, Cusco e
Breña, egli si mantiene fedele a questo suo programma: fare in
modo straordinario le cose più ordinarie. Ma gli è chiesto, in for-
ma improvvisa e inattesa, un cambiamento radicale: l’11 giugno
1922 è consacrato vescovo di una diocesi tanto estesa e geo-
graficamente articolata quanto lontana da tutto e da tutti: quella
di Chachapoyas: 115 747 km2; 141 037 abitanti; 25 parrocchie;
solo 11 preti. Vi resterà tutta la vita, chiedendo di esservi lasciato
come vescovo anche quando gli proporranno diocesi di maggior
prestigio come Trujillo o Lima. Fu vescovo con grande spirito
missionario visitando e animando spiritualmente e pastoralmente
l’immensa diocesi. Scelse per motto episcopale quello stesso di
don Bosco: Da mihi animas, caetera tolle. Morì il 1° marzo 1958.
PREGHIERA
O Signore, che nel tuo servo Ottavio, vescovo salesiano,
hai fatto brillare la fede, l’umiltà e la carità generosa,
concedimi di imitare le sue virtù,
perché come lui possa amarti
nell’amore e nel servizio ai fratelli.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
CRONACA DELLA POSTULAZIONE
Sabato 20 dicembre 2014, presso la sede centrale dell’Istituto delle
Figlie della Regalità di Maria Immacolata, l’arcivescovo di Bangkok,
monsignor Francis Xavier Kriengsak, ha presieduto la solenne ses-
sione di chiusura dell’Inchiesta diocesana del Processo di Beatifi-
cazione e di Canonizzazione del servo di Dio don Carlo Della
Torre, sdb, missionario in Thailandia e fondatore delle Figlie della
Regalità di Maria Immacolata, Istituto oggi suddiviso tra le Figlie
della Regalità di Maria Immacolata, consacrate secolari, e le Suore
della Regalità di Maria Immacolata, consacrate.
Il servo di Dio don Carlo Della Torre, nato a Cernusco sul Naviglio,
in provincia di Milano, il 9 luglio 1900, compì gli studi ginnasiali nel
Collegio salesiano missionario “Cardinal Cagliero” di Ivrea. Venne
inviato prima in Cina, e poi in Thailandia, dove emise la prima pro-
fessione religiosa a Bang Nok Khuek, la casa madre della missione
salesiana thailandese. Nel 1954 fondò le Figlie della Regalità di Ma-
ria Immacolata, Istituto religioso di diritto diocesano. Ebbe molto
a soffrire per la sua fondazione, al punto che dovette lasciare per
trent’anni la Congregazione Salesiana. Morì a Bangkok, da salesia-
no, all’età di 82 anni. Don Carlo Della Torre è il primo servo di Dio,
missionario, non martire, di cui è avviata la causa di beatificazione
in terra thailandese.
Ringraziano
Ringrazio con profondo senso
di riconoscenza Maria Ausi-
liatrice e la beata Eusebia
Palomino, umile suora FMA per
la cui intercessione in famiglia
abbiamo ottenuto una duplice
grazia per due miei nipoti: il buon
esito di un intervento chirurgi-
co alla colonna vertebrale per
un’ernia e un altro al pancreas
per asportare un grosso calcolo.
Prego Maria Ausiliatrice e suor
Eusebia Palomino affinché ci
proteggano da ogni male dell’ani-
ma e del corpo.
(Don Vitali Giuseppe - Catania)
Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
40
Febbraio 2015

5 Pages 41-50

▲back to top

5.1 Page 41

▲back to top
IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
GIOVANNI PUNZI
Sulle orme del servo di Dio
Francesco Convertini
Ogni anno nel mese di febbraio in Puglia,
nei paesi di Cisternino e Locorotondo, si
rinnova un appuntamento speciale ovvero
una Marcia per la Pace e per la Solidarietà,
giunta quest’anno alla decima edizione.
Francesco Convertini nacque il
29 agosto 1898 proprio in uno
dei tipici trulli che caratterizza-
no il territorio della Valle d’Itria,
quell’angolo particolare della Pu-
glia. La sua fu una vita poverissi-
ma. Orfano di padre a tre anni e
di madre a undici anni, condusse
una vita di duro lavoro nei campi
e a diciannove anni conobbe an-
che la guerra, inviato a combattere
al Piave. Fatto prigioniero, finì in
Polonia dove, ammalatosi di me-
ningite, fu sul punto di morire.
Tornato a casa, pensò a farsi una
sua famiglia, tant’è che si fidanzò
e mise anche firma in finanza, con
prima destinazione Trieste, poi
Pola ed infine Torino. La sua visita
alla Basilica di Maria Ausiliatrice e
l’incontro con don Amedei diedero
alla sua vita una svolta, mai pen-
sata prima, nonostante la buona
educazione religiosa ricevuta sin
da piccolo e conservata anche
con il passar degli anni. Infatti,
innamoratosi delle missioni, entrò
nel seminario salesiano “Cardinal
Cagliero” di Ivrea e nel 1927 partì
per l’India, dove fece il noviziato,
completò gli studi di filosofia e a
37 anni fu ordinanto sacerdote.
Fu, quindi, inviato a Krishnagar,
che da quel momento sarà la sua
seconda patria fino alla morte,
avvenuta l’11 febbraio 1976, festa
della Mamma Celeste, di cui era
stato sempre devoto e alla quale
rivolse la sua ultima invocazione
Madre mia, io non ti ho mai di-
spiaciuto in vita, ora aiutami tu...”.
Lui che aveva avuto grosse diffi-
coltà nello studio, che non era mai
riuscito a imparare bene il ben-
galese, si fece bengalese, perché
parlava la lingua universale dell’A-
more che la mamma gli aveva
inculcato da piccolo ripetendogli
di continuo “Metti amore! Met-
ti amore! Metti amore! ”. Father
Francis – come affettuosamente
lo chiamavano – fu un missiona-
rio itinerante, un gran camminato-
re, tra la persone e con le persone!
Krishnagar era una diocesi po-
verissima con una popolazione
costituita per metà da musulmani
e per metà da indù e in cui i cat-
tolici erano davvero una sparuta
minoranza.
Father Francis si consacrò alla
missione con tutte le sue energie
e da buon salesiano seppe farsi
amare e conquistò, prima di tutto,
la simpatia dei bambini che, sin
dai primi giorni lo circondavano
in stuolo, ben felici di insegnargli
la lingua bengalese e ai quali non
mancava mai di portare qualco-
sa da mangiare, privandosene in
prima persona.
Preferiva andare a piedi e non a
cavallo, proprio per aver maggiori
occasioni di incontrare persone e
di fermarsi a conversare con loro
e camminava a piedi scalzi per
risparmiare le scarpe e poter così
comprare, con i soldi risparmia-
ti, qualcosa da mangiare per la
povera gente. Tutte le persone lo
sentivano uno di loro, al punto
che poteva inoltrarsi nella parte
interna delle abitazioni indù, dove
a nessuno straniero era permes-
so di entrare.
Padre Francesco con la sua vita
ci ha testimoniato che la pace
si costruisce con un impegno
quotidiano fatto di piccoli gesti e
deve tradursi in atti di giustizia e
in gesti di solidarietà, alla portata
di tutti e che, quindi, ciascuno di
noi può compiere.
Per tenere vivo il suo messaggio,
che poi è il messaggio evange-
lico, e dare continuità alla sua
testimonianza anche quest’anno
nella giornata di domenica 22
febbraio si rinnoverà la tradizio-
nale marcia che si snoderà in due
tronconi che, partendo da Cister-
nino e da Locorotondo, raggiun-
geranno la contrada di Marinelli,
terra natia di padre Francesco.
Ai partecipanti viene chiesto di
pregare per invocare dal Signo-
re il grande dono della pace e di
compiere un gesto di concreta
solidarietà ovvero la rinuncia a
qualcosa di superfluo per pro-
seguire la missione di padre
Francesco, contribuendo alla co-
struzione di una scuola per i suoi
bambini di Krishanagar.
Quando nel 1974 venne per l’ul-
tima volta in Italia, nonostante la
sua malattia e gli inviti a restare,
padre Francesco volle tornare
in India “Devo andare – diceva
i miei bambini mi aspettano,
hanno bisogno anche delle mie
ossa”. Ed è stato così!
Febbraio 2015
41

5.2 Page 42

▲back to top
IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
GIOVANNINO E IL SOGNO CHE LO SEGNÒ
Il Giovannino di cui si intende parlare è, naturalmente, don
Bosco bambino che, all’età di nove anni, già sapeva che cosa
avrebbe fatto nella vita. Qui cominciano le domande, e la prima
è: come poteva un bambino essere così sicuro di sé? Fu un epi-
sodio a segnarlo profondamente, un sogno, chiarissimo e pre-
ciso, in cui un uomo in età avanzata e una donna dall’aspetto
maestoso gli indicarono la sua strada futura. Da allora ebbe ini-
zio la sua missione con i giovani e la grande opera di assistenza
e di educazione. Altra domanda: ma questo sogno, seppur vivido e perfettamente ricordato e raccontato
fu davvero una visione miracolosa? A questo non si può dare una risposta certa, ma quel che è certo è
che le immagini lo colpirono al punto da ricordarle per tutta la vita e seguirne le indicazioni. Racconta il
Santo nelle sue Memorie che “Nel sonno mi parve di essere vicino a casa, in un cortile assai spazioso,
dove stava raccolta una moltitudine di fanciulli che si trastullavano”. E, anni più tardi, vicino la sua casa
natia dov’è un grande prato, è stato eretto il cosiddetto XXX per commemorare quell’episodio. Ma don
Bosco fu colpito, oltre che dalle due presenze celesti, l’anziano e la signora, anche dal cambiamento
dei ragazzi che passavano dal gioco alla zuffa e dai loro modi
sguaiati di esprimersi. Dopo il sogno più volte si ritrovò in
lacrime, da piccolo e da adulto, ricordando quelle immagini
mai svanite; al ritorno dalla messa o riposando su un ceppo
nei pressi del prato, pensieroso, a rimuginare sullo scopo
che si era prefisso, correggere i ragazzi sbandati, accoglierli,
formarli nello spirito. Come avrebbe potuto mettere in pratica
tutto ciò? Seguendo quello che la stessa Signora del sogno
gli aveva detto: “Renditi umile, forte e robusto”, da intendersi
come buono, coraggioso e resistente alle prove della vita.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. I frati dell’Or-
dine dei mendicanti - 9. Organismo
unicellulare dalla forma mutevole - 14.
Una salsa degli antichi romani a base
di pesce - 15. Il centro del cono - 17.
Regolamenta l’aviazione civile (sigla) -
18. Ripetuto è l’applauso nei fumetti -
19. Lo tendeva Guglielmo Tell - 21.
Radicati, persistenti - 23. Sono pari
nella camorra - 24. Lo è l’inchiostro
simpatico - 26. La bidella meno bel-
la! - 27. XXX - 30. Italiana Petroli
- 31. Tirocinio, seminario di aggiorna-
mento - 32. Città e samurai del Giap-
pone - 34. Nella filosofia orientale è
considerato il Principio - 36. Lo era
Pericle - 40. Recipiente di pelle per
liquidi - 42. Tipo di scultura con testa
e parte del busto su un pilastrino - 44.
Un uccello rapace - 46. I servizi segre-
ti che precedettero la CIA (sigla) - 47.
La sposa del re, per gli spagnoli - 48.
Austero, solenne - 49. Italia in breve!
VERTICALI. 1. Alì che attentò alla
vita di un Papa - 2. Trottare più veloce-
mente - 3. Li devono rispettare i mezzi
pubblici - 4. Superiore (abbr.) - 5.
Trade Mark - 6. Confinano con gli sve-
desi - 7. Infortunio, contrattempo - 8.
Una risposta negativa - 10. L’Agrippa
pacificatore tra plebei e patrizi - 11. Lo
fondò Enrico Mattei - 12. Se li scam-
biano gli innamorati - 13. C’è quello
solforico - 16. Piene di luce ed aria -
19. Raccoglie tutti i fascicoli dell’anno
- 20. Audace, come un abito succinto
- 21. Un network televisivo americano
- 22. Nome di donna - 24. La “i” gre-
ca - 25. Articolo nel… film! - 28. Lo
scrittore Sciascia (iniz.) - 29. È volante
al Luna Park - 30. Il percorso della
pratica - 33. Lo sono i grizzly - 35. I
missionari Oblati di Maria Immacolata
(sigla) - 37. Banca vaticana - 38. Pe-
riodo geologico - 39. Il terzo figlio di
Adamo ed Eva - 41. Opposto all’Ovest
- 43. Ancona - 45. Iniz. di Carducci.
42
Febbraio 2015

5.3 Page 43

▲back to top
LA BUONANOTTE
B.F.
Soldati
Disegno di Fabrizio Zubani
L e reclute andavamo a correre
tutti i giorni, ma questa volta
era diverso. Stavano sudando
da prima dell’alba, da quan-
do erano ruzzolati fuori dalla
branda. Facevano il corso di
addestramento per i corpi speciali
antiterrorismo dell’esercito e quindi
erano pronti alla fatica, anche all’e-
saurimento fisico. Ma questo tipo di
allenamento non aveva niente a che
fare con la corsa a tempo, ritmata
dal canto, che facevano di solito al
mattino in maglietta.
Stavolta correvano in tenuta da
combattimento.
Come al solito, la consegna era:
«Partite insieme, state tutti insieme,
lavorate come una squadra e tornate
insieme. Se non riuscite a tornare
insieme, non tornate affatto!».
Lungo la strada, il dolore, la sete e
la fatica cominciarono ad annebbia-
re il cervello e nella formazione che
correva inquadrata si notò qualcosa
di strano.
Nella quinta fila, al centro del plo-
tone, uno dei ragazzi non andava a
tempo: le gambe si muovevano, ma
non andava al passo con il resto del
gruppo. Era Sandri, un ragazzone
allampanato dai capelli rossi. La te-
sta cominciò a ciondolargli di qua e
di là. Quel ragazzo era in difficoltà:
stava per cedere.
Senza perdere il passo, il soldato
alla destra di Sandri si sporse e gli
prese il pesante fucile. Il ragazzone
dai capelli rossi per un po’ riuscì a
riprendersi, ma poco dopo, mentre
il plotone continuava la sua mar-
cia, aveva gli occhi appannati e si
trascinava dietro le gambe a fatica.
Ben presto anche la testa ricominciò
a dondolare.
Questa volta si sporse la recluta alla
sua sinistra, gli prese l’elmetto e,
continuando a correre, se lo mise
sotto il braccio. Ora poteva ripar-
tire.
Gli scarponi battevano pesantemen-
te all’unisono il sentiero polveroso.
Tump, tump, tump, tump.
Sandri stava male, molto male:
vacillava e stava per cadere, ma restò
in piedi. Due soldati dietro di lui gli
presero lo zaino e ciascuno di loro
ne teneva una cinghia con la mano
libera.
Sandri fece appello alle poche forze
rimaste, raddrizzò le spalle, e il
plotone continuò a correre fino al
traguardo.
Siamo fatti per vivere insieme.
«Meglio essere in due che uno solo,
perché due hanno un miglior compenso
nella fatica. Infatti, se vengono a cade-
re, l’uno rialza l’altro. Guai invece a
chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo
rialzi. Inoltre, se due dormono insieme,
si possono riscaldare; ma uno solo come
fa a riscaldarsi? Se uno aggredisce, in
due gli possono resistere e una corda
a tre capi non si rompe tanto presto
(Qoelet 4,9-12)».
Febbraio 2015
43

5.4 Page 44

▲back to top
TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il Messaggio
del Rettor Maggiore
Salesiani nel mondo
Il Villaggio delle
Beatitudini in India
Il sogno di don Mantovani
vive ancora
L’invitato
Il cardinale
Daniel Sturla Berhouet
“Con l’odore delle pecore”
A tu per tu
Don Eligio Locatelli
I salesiani nell’Isola
di Timor
Le case di don Bosco
L‘opera di Sondrio
Come don Bosco
Bravi papà
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612658
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
IndltrVoloeceeuscntcntotphoaalèerecrgehouèsrceaonsphtlauaeeoermirrtrvfoilapivo’.cacralbiehelcbsiistoesoatnearnsetatfoiaalmilreBedeSni -
un’offerta.