Bollettino_Salesiano_201501

Bollettino_Salesiano_201501

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IL
GENNAIO
2015
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Le case
di don Bosco
I nostri eroi
Don Ernesto
L’invitato
Monsignor
Parma Saksida Tirso Blanco
Conoscere
la famiglia
salesiana
ADMA

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LE COSE DI DON BOSCO
B.F.
La vasca
del battesimo
Sono solo più un miserabile resto, un
semicerchio di pietra in un angolo della
chiesa di Sant’Andrea a Castelnuovo.
Sono quasi centocinquant’anni che
contengo soltanto un po’ di polvere e
qualche ragno viene a
farmi visita, quando le signo-
re delle pulizie sono distratte.
Un brutto cartello, attaccato
sul muro sopra di me, ricorda
uno dei giorni più belli del-
la mia lunga vita di vasca
battesimale.
Nella mia memoria di
pietra ci sono ancora
tutti: sono il mio scrigno
di ricordi felici. Polvere e
ragnatele non sono riusciti
a cancellarne neppure
uno. Alcuni, sono obbli-
gata a ricordarli per forza: il
loro nome è scritto nel
cartello sul muro.
Uno soprattutto non posso
dimenticarlo. Anche perché c’è continua-
mente gente che viene da me dicendo: «È qui!
È stato battezzato proprio qui!». Gli insegnanti
e gli educatori portano bambini e ragazzi quasi
apposta per vedere me e raccontano la storia di
quel bambino che è stato battezzato proprio qui,
con l’acqua che io custodivo.
Quel 1815 era tutto sommato un buon anno. In
chiesa era tornato qualche ornamento prezioso,
La storia
Don Bosco è nato a Castelnuovo d’Asti il sedici agosto
del 1815 e fu battezzato solennemente nella chiesa par-
rocchiale del santo apostolo Andrea, all’indomani a sera,
il 17, da don Giuseppe Festa, essendo padrini Melchiorre
Occhiena e Maddalena Bosco, vedova del fu Secondo; e
gli furono imposti i nomi di Giovanni Melchiorre.
qualche campana aveva ripreso a suonare. In que-
gli anni erano state quasi tutte fuse per fabbricare
cannoni. Ma quel benedetto 1815 portò pace e
riposo all’Europa. Napoleone era stato sconfitto e
segregato per tutto il restante di sua vita in mezzo
all’Oceano, nell’isola di Sant’Elena.
Era la “Madonna d’agosto” e il Papa aveva da
poco istituito una bella festa, quella di Maria
Ausiliatrice dei Cristiani.
Il 17 agosto, venne da me,
nella penombra fresca della
chiesa di Sant’Andrea una
bella famigliola. Il padre
aveva un bel volto intelli-
gente e volitivo, bruciato
dal sole, le mani forti
di chi lavora nei campi.
Attaccato a lui c’era un
ragazzo di dodici anni,
un po’ imbronciato e
a disagio, la mamma
bella e fieramente
robusta, stringeva
dolcemente il suo
bambino neonato che
gorgogliava appena. Alla
sua gonna si aggrappava un
bimbetto timidissimo di due anni. Con
nonni e parenti c’era un bel po’ di gente intorno
a me.
La cerimonia fu semplice. Tutta in latino, come
si usava allora. Ma nel mio cuore di pietra,
indelebile rimane quel nome: Giovanni! Non so
come, ma ebbi un presentimento. Ora mi dicono
che quel Giovanni è diventato un grande, più di
Napoleone. Posso dire: lo sapevo!
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Gennaio 2015

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IL
GENNAIO 2015
ANNO CXXXIX
Numero 1
Mensile di
IL
informazione e
GENNAIO
2015
cultura religiosa
nel 1877
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
Le case
di don Bosco
Parma
I nostri eroi
L’invitato
Don Ernesto Monsignor
Saksida Tirso Blanco
Conoscere
la famiglia
salesiana
ADMA
In copertina: Il 2015 è l’anno solenne del Bicentenario
della nascita di don Bosco. Un grande valore di scambio
mondiale (Progetto di Andrea Morando).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 SALESIANI NEL MONDO
Nepal
10 L'INVITATO
Monsignor Jesus Tirso Blanco
14 FINO AI CONFINI DEL MONDO
16 FMA
Suor Laura Girotto
18 CONOSCERE LA FAMIGLIA SALESIANA
ADMA - Associazione
di Maria Ausiliatrice
22 A TU PER TU
Thierry Dourland
24 LE CASE DI DON BOSCO
Parma
28 INIZIATIVE
Su e Zo per i Ponti
30 I NOSTRI EROI
Don Ernesto Saksida
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D'OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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22
30
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Laura
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Roberto Desiderati, Emilia Di
Massimo, Ángel Fernández Artime,
Cesare Lo Monaco, Tullio Lucca,
Massimo Massironi, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto,
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Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Quella meravigliosa qualità
umana e religiosa che chiamiamo
«gratitudine» «Intrattenendoviavicendacon
salmi, inni, cantici spirituali,
cantando e inneggiando al Signore
Il 2015, anno del Bicentenario, ha messo in con tutto il vostro cuore, rendendo
moto un’ampia programmazione pastorale in continuamente grazie per ogni cosa
tutti i paesi, ma soprattutto ha inaugurato un
a Dio Padre, nel nome del Signore tempo di riconoscenza e ringraziamento.
nostro Gesù Cristo» (Efesini 5, L’apprezzamento e lo stupore per quanto il
Signore ci ha regalato in questi duecento anni
19-20). Non soltanto nel salterio, di fecondità richiede uno stile di vita, un atteg-
ma per tutta la durata della nostra giamento che lo alimenta: la gratitudine. Sì, le
celebrazioni dell’anno giubilare che pullulano
nel mondo intero provocano inevitabilmente la
riconoscenza, che come ogni virtù deve essere
appresa ed esercitata. È un compito per la vita e
permettetemi di proporre tre modi di viverla con-
vita, il senso e l’espressione del
ringraziamento a Dio emergono in
molti modi e con diverse tonalità.
cretamente.
Saper contemplare
Nel turbine di tante iniziative e attività con cui
celebreremo il Bicentenario della Nascita del no-
Per ringraziare, in primo luogo è necessario saper stro padre don Bosco, dobbiamo curare il tem-
contemplare; il nostro sguardo deve essere capa- po dell’interiorità, quegli “spazi verdi” liberi dal
ce di concentrare l’attenzione nella storia della rumore, per affidarci alla Provvidenza di Dio ed
nostra Famiglia Salesiana. In questi duecento essere liberi nella risposta. La nostra vita pastora-
anni dalla nascita di don Bosco ci siamo sentiti le impantanati come siamo ogni giorno in mille
amati incondizionatamente. Proprio perché la ri- impegni, a volte, intrappolati da infiniti campi
conoscenza si nutre di umiltà, abbiamo bisogno di azione, ci invita a prendere sul serio un tempo
di trovare il tempo per maturare le nostre vere generoso per lasciarci sorprendere ogni giorno,
motivazioni apostoliche: perché non sbaglino di- per sperare le promesse di Dio con il medesimo
rezione, non si arrestino, non siano affrettate né atteggiamento che viveva don Bosco. Il Bicente-
interminabili né sterili, ma sappiano aprirsi alla nario deve raggiungere in primo luogo il cuore
grazia di Dio.
delle persone.
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Gennaio 2015

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Con l’energia di Dio
In secondo luogo, ricordiamo come la passione
educativa attraversò la vita di don Bosco da un capo
all’altro, dai primi passi fino alla fine, dai cinque
anni fino ai settantatré. Non ci sono tempi morti nel-
la vita di un salesiano. Non ci sono parentesi nella
promessa di Dio né nella risposta generosa di chi
è chiamato. Nel cuore della Famiglia Salesiana ci
sono persone di qualunque età nelle quali è facile
scorgere i segni di questa vita impegnata: le loro
piccole attenzioni, il rispetto per i ragazzi, la pre-
senza affettuosa raggiungono un livello di intensi-
tà pari alla forza di Colui che essi rappresentano.
Creatori di ponti
Infine, la riconoscenza apre le porte della nostra
vita all’originalità, alla novità e alla freschezza.
E ci avvicina ai giovani, a cui vogliamo bene e ci
vogliono bene, stringendo legami e consolidando
relazioni profondamente gratuite.
Viviamo nella cultura del merito, che ha il narcisi-
smo come migliore alleato, la generazione del “me
lo sono meritato”, contro la cultura delle relazio-
ni gratuite, dell’amicizia sincera e disinteressata.
L’eredità pastorale ricevuta da don Bosco, la sua
sapienza pedagogica e carismatica è descritta non
in studi, sondaggi o voluminosi trattati, ma nell’e-
sperienza vissuta di chi passa molto tempo di qua-
lità con i giovani. La gratitudine è una merce rara
nel mondo delle relazioni.
Lo Spirito Santo ha suscitato nella
Chiesa il carisma salesiano e
noi, eredi di questo dono, sia-
mo chiamati a essere “creatori
di ponti” tra Dio e i giovani.
Siamo chiamati a visitare con-
tinuamente le due sponde: la
nuova generazione e il Signore.
Ogni giovane è amato e degno
di fiducia da parte di Dio. È
qui che si fonda la presenza
amica e paterna che nel modo
di fare di don Bosco si manifestava in una amici-
zia sincera e in una presenza amorevole.
I giovani sono la nostra Terra Promessa. Lungo
il cammino, nel trascorrere dei giorni, essi sono il
cespuglio ardente da cui Dio ci chiama alla grati-
tudine. Il modo migliore per dirgli il nostro grazie
per il dono di don Bosco è celebrare la vita e questa
missione non si esaurisce nell’orazione liturgica,
ma si estende alla totalità della nostra vita quoti-
diana. Quando il cuore è colmo di gratitudine, è
necessario celebrare. La celebrazione è il culmine
del ringraziamento per le tante prove di predilezio-
ne ricevute nella storia della nostra Famiglia.
La sua voce è risuonata molto più in là della
Chiesa cattolica, suscitando simpatie in tutti i
contesti e creando ponti di dialogo con altre cul-
ture religiose. Siamo felici soprattutto perché la
parola di don Bosco è stata accolta con entusia-
smo dai giovani. Sono loro che hanno preso pos-
sesso del suggestivo slogan salesiano che voglio
offrire, come messaggio ai giovani
del mondo: «Cari giovani, vi
amo con tutto il cuore, e mi
basta che siate giovani per
amarvi con tutta l’anima».
Don Bosco lo disse per tutti
i suoi giovani e io chiedo
questo dono al nostro
Padre, Maestro
e Amico.
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SALESIANI NEL MONDO
SIMONE UTLER - FOTO: DON BOSCO MISSION, SIMONE UTLER
Traduzione di Marisa Patarino
Con ago e filo
alla conquista della felicità
È Nell’Istituto Tecnico ubicato nel distretto
nepalese di Lalitpur, don Bosco offre
una formazione professionale legata alla vita
di ogni giorno. Ad esempio, le donne possono
difficile descrivere quello che non c’è. La
mancanza di energia elettrica e di posti
di lavoro in Nepal, però, presso l’Istituto
Tecnico dei Salesiani di Don Bosco è im-
pressionante a vedersi: in un’aula dell’e-
dificio scolastico a tre piani che si trova a
imparare a svolgere la professione di sarte Thecho, nel distretto di Lalitpur, ci sono circa 30
e ricevere una macchina da cucire per avviare
la loro attività. È un utile aiuto per cominciare,
macchine per cucire elettriche, ferme. Poiché per
la maggior parte del giorno non viene erogata l’e-
lettricità, raramente le macchine sono in funzione
e dunque quel locale è stranamente tranquillo.
in un Paese in cui l’elettricità e le opportunità Nell’aula adiacente fervono invece le attività. Qui
di lavoro scarseggiano. si sente il rumore delle macchine meccaniche, alle
quali si esercitano una dozzina di donne. Madhu
Gurung passa da un tavolo all’altro, osservando
le camicette in fase di realizzazione e dando sug-
gerimenti per migliorare l’opera. La sarta insegna
per la sesta volta teoria e pratica in una classe di
questo tipo.
A Thecho, nella zona meridionale di Kathman-
du, “Don Bosco Nepal” offre corsi di forma-
zione della durata di sei mesi nell’ambito della
sartoria. Madhu Gurung spiega: «Le donne che
partecipano al corso non devono pagare nulla e,
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Corso di cucito presso l’Istituto Tecnico dei salesiani di Don
Bosco a Lalitpur. La Figlia di Maria Ausiliatrice Salomi Minj
insegna a due allieve il funzionamento della macchina da cucire.
Spesso le macchine rimangono ferme per ore, perché nella
maggior parte della giornata non viene erogata l’energia elettrica.

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al termine di questo itinerario di formazione, a
richiesta possono avere una macchina da cucire,
per lavorare a casa loro o addirittura per avvia-
re un’attività propria». Dato che questa iniziativa
riscuote grande interesse, e a ogni corso possono
partecipare al massimo 25 donne, vengono effet-
tuati colloqui di selezione. «Così valutiamo se le
aspiranti corsiste prendono sul serio il percorso di
formazione», dice Madhu Gurung.
Il Nepal è il paese più povero dell’Asia meridiona-
le. Nella graduatoria dell’Indice di Sviluppo Uma-
no ( ), nel 2012 il Nepal si è classificato al 157°
posto su un totale di 187 Paesi presi in esame. Le
infrastrutture sono disastrose, non ci sono indu-
strie significative, trovare lavoro è difficile.
In questo scenario, l’Istituto Tecnico vorrebbe of-
frire una prospettiva per il futuro. Solo nel 2013,
357 giovani complessivamente, tra cui 154 donne,
hanno fruito di questa offerta formativa. Oltre ai
corsi di cucito, sono proposti corsi di formazione
per parrucchiere ed estetiste, elettricisti, esperti
in elettronica, carpentieri e saldatori. Sono anche
stati avviati corsi di Informatica e Programma-
zione. I giovani che terminano questi percorsi
di formazione si trovano però a dover affrontare
le carenti infrastrutture del Nepal. «Senza elet-
tricità il Paese non può evolvere», dice don Jijo
John dell’Ispettoria indiana di Kolkata (Calcutta)
che da tre anni lavora in Nepal. «Se però questo
problema fosse risolto, il Nepal potrebbe crescere
molto in fretta».
La seconda riserva
d’acqua del mondo
A livello naturale, il Paese è in una buona con-
dizione: dopo il Brasile, il Nepal vanta la secon-
da riserva d’acqua del mondo. Mancano però le
centrali elettriche, e l’elettricità attualmente pro-
dotta proviene in gran parte dall’India. Per il Ne-
pal non rimane energia a sufficienza e il governo
regola la fornitura. Padre Jijo spiega: «Di solito
siamo senza elettricità per 14, a volte fino a 18
ore al giorno. È una situazione difficile, perché,
come istituzione educativa, abbiamo bisogno di
energia elettrica». Vi sono in loco pannelli solari
e un generatore, ma il gasolio necessario per farli
funzionare è molto costoso.
Accanto all’istruzione professionale, i salesiani
in Nepal propongono anche percorsi di forma-
zione tradizionale. Tra l’altro, gestiscono una
scuola media in lingua inglese e tengono lezio-
ni di sostegno e recupero, in cui gli allievi della
scuola vengono assistiti per tutto il pomeriggio.
«Abbiamo sempre un insegnante per ogni classe
e in ogni aula si trovano lampade solari, in modo
da poter lavorare quando l’erogazione di elettrici-
tà viene interrotta», spiega padre Jijo. Circa 200
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SALESIANI NEL MONDO
A Thecho viene
offerta anche
la possibilità di
seguire corsi di
formazione per
parrucchiere.
Le donne che vi
partecipano si
esercitano prima
con la testa di un
manichino, per
imparare a svolgere
correttamente le
varie operazioni.
Presso l’Istituto
sono disponibili
per le allieve circa
30 macchine per
cucire elettriche.
bambini vengono qui ogni giorno per studiare e
giocare. «Molti genitori non possono seguire i
loro figli, perché non hanno seguito nessun per-
corso di formazione. Molti non hanno la luce in
casa e dunque i bambini non possono svolgervi i
compiti. E la maggior parte delle scuole pubbli-
che non può offrire opportunità in questo senso».
A causa della difficile situazione economica del
Paese, molti Nepalesi per lavorare devono an-
dare all’estero per mantenere le loro famiglie e
permettere ai loro bambini di accedere a qual-
che forma di istruzione. Secondo i dati forniti
dal Ministero per il Lavoro Estero, nel 2012 e
nel 2013 circa mezzo milione di uomini e donne
hanno lasciato il Nepal alla volta del Qatar, della
Malesia, dell’Arabia Saudita, degli Emirati Arabi
Uniti e del Kuwait. Molti si trasferiscono in In-
dia, ma, dato che il confine tra i due Paesi vicini è
aperto, non sono disponibili cifre esatte a questo
proposito.
«La mancanza di formazione è un problema
per molti lavoratori che emigrano», dice padre
Jijo. Molti nepalesi, soprattutto donne, hanno
frequentato la scuola per pochi anni, non
capiscono e non parlano l’inglese e sono dunque
indifesi di fronte ad agenzie di reclutamento o
datori di lavoro fraudolenti. «Sono mal pagati
o non viene loro assegnato il lavoro per il quale
erano stati assunti. E poiché hanno già pagato
cifre considerevoli per andare all’estero, non
possono tornare facilmente in Nepal», ha detto
padre Jijo. Ha inoltre sottolineato: «Così sono
vittime. Per ignoranza». Il risultato è che molti
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Gennaio 2015

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nepalesi all’estero vivono da schiavi. Gli uomini
sono spesso sfruttati come operai edili, le donne
sono maltrattate o costrette a prostituirsi.
Diritti, lavoro, felicità
«Sono convinto che la formazione aiuti», dice don
Jijo, il quale nell’istruzione vede un’opportunità
che rafforza anche la fiducia in se stessi e per-
mette di affrontare meglio la vita pratica di ogni
giorno. «Se le persone sono consapevoli dei loro
diritti, possono anche chiedere che vengano ri-
spettati», dice il salesiano, che ha anche realizzato
programmi in India per i lavoratori che emigrano
e sta elaborando un progetto per gli uomini che
dovranno lavorare in stabilimenti all’estero.
I salesiani si impegnano anche per offrire alle
donne una prospettiva di lavoro in patria e per
sostenerle dopo la conclusione del loro percor-
so di formazione. «Cerchiamo di fare in modo
che lavorino», dice don Jijo. Ogni mese le donne
presentano un resoconto della loro attività a re-
ferenti del centro “Don Bosco” che si recano a
fare loro visita a casa o nella sede in cui lavorano.
Il programma di cucito si è rivelato un successo.
«Abbiamo riscontrato che la situazione familiare
di queste donne è migliorata», dice don Jijo. Le
donne che svolgono questa attività non guada-
gnano molto, ma possono acquistare alimenti più
sani e curare meglio i loro figli. «E nel complesso
sembrano più felici». Queste donne potrebbero
anche guadagnare da 500 a 1000 rupie nepalesi
al mese per pagare la macchina da cucire. Delle
circa 40 donne che negli ultimi tre anni hanno
ricevuto un aiuto per avviare la loro attività, quasi
tutte hanno restituito le 15 000 rupie nepalesi cir-
ca che avevano ricevuto. Sei macchine da cucire
sono già state completamente ripagate.
Il progetto è sostenuto in Nepal da Don Bosco Mission,
Bonn, www.donboscomission.de.
Il testo di Simone Utler è stato pubblicato nell’edizione
tedesca del Bollettino Salesiano “Don Bosco Magazin”,
5/2014.
I lavoratori che
attendono di
emigrare all’estero
sono in coda
per ricevere
i passaporti
e i visti. Ogni
giorno da 1500 a
2000 persone si
recano in questo
dipartimento
del Ministero
per il lavoro
Estero. Centinaia
di migliaia di
Nepalesi si recano
all’estero ogni
anno, perché
nel loro Paese ci
sono pochissime
opportunità di
lavoro.
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L’INVITATO
O. PORI MECOI
Un vescovo in periferia
Monsignor Jesus Tirso Blanco
La diocesi di Lwena comprende tutta la provincia
di Moxico, la più vasta dell’Angola, grande come tutta
l’Italia, situata nell’estremità orientale del Paese.
I portoghesi la chiamavano le terre della fine del mondo,
oggi potremmo chiamarla la terra dimenticata.
Quando ha saputo di essere
stato eletto vescovo?
Nel novembre del 2007. Circolava
qualche voce, ma non mi sentivo pro-
prio un tipo da fare vescovo. Avevo
51 anni ed ero Delegato di Pastorale
Giovanile e Vicario della Visitatoria
Mama Muxima dell’Angola.
Qual è la storia
della sua vocazione?
Fin da piccolo sentivo di voler essere
prete. Chiesi di entrare in aspiranta-
to, mia madre si opponeva perché ero
troppo piccolo, solo 12 anni, ma poi
acconsentì. Mi segnò molto l’esperien-
za in un barrio della periferia di Bue-
nos Aires, Isidro Casanova. “Fuggivo”
dall’aspirantato per fare catechismo.
In noviziato manifestai al Direttore
spirituale il mio desiderio di essere
missionario. Durante il postnoviziato
frequentai la miglior università missio-
naria: La Cava, una favela della zona
nord di Buenos Aires.
Qui, la coerenza e la forza di don
Candido Baldan, che sembrava un
profeta del Vecchio Testamento, che
non taceva di fronte alle ingiustizie e
ai crimini del regime militare, il suo
originale metodo di essere educatore,
che ha forgiato la vita di molti giovani
uomini e donne, mi ha segnato pro-
fondamente. Ho visto l’opera di Dio,
il valore di quei giovani e adolescen-
ti in un mondo di povertà materiale
e morale, diventare grandi uomini e
donne: questo è il miracolo di Dio
operato attraverso il carisma salesia-
no! Ho lasciato La Cava nel 1978 e
fino a oggi, ogni volta che passo in
Argentina, ci troviamo. Non fu meno
significativa l’esperienza nella par-
rocchia di San Giovanni Battista, nei
quartieri Manzanares e Los Pinos.
Qui pullulavano gruppi di giovani
che cercavamo di radunare e formare
umanamente e cristianamente. Erano
giovani di periferia, “rockeros”. La
mia vocazione missionaria si consoli-
dò ancora di più.
Perché è partito proprio
per l’Angola?
Nel 1985, chiesi contemporaneamen-
te la grazia dell’ordinazione sacerdo-
tale e quella di partire come missio-
nario per la destinazione che avesse
più necessità. Non avevo preferenze:
dall’Ecuador alla Cina. In quel tem-
po, la Congregazione si era impegna-
ta nel Progetto Africa e fui mandato
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in Angola. Un vecchio salesiano, una
persona molto capace, mi disse che
provava una grande invidia perché lui
aveva chiesto tutta la vita di andare in
missione e non era mai stato accetta-
to. Sono profondamente riconoscente
all’Ispettore che mi ha permesso di
diventare missionario. Non sapevo
molto dell’Angola. Mi procurai una
carta geografica. Arrivato in Angola
fui destinato a Lwena. I poliziotti mi
chiesero: «Ma lei sa dove va?». Così
appresi che Lwena, teatro di frequen-
ti operazioni militari, non era un bel
posto dove abitare. Ma per me è sta-
to l’ambiente migliore per incontrare
Dio nella missione, in comunione con
un popolo nuovo che mi adottò subito
come uno della loro famiglia.
In alto a destra: Monsignor Tirso Blanco, il giorno
della sua ordinazione episcopale. Sotto: Un
convegno dei catechisti della sua diocesi.
Qual è la situazione sociale
e politica della sua diocesi?
La diocesi di Lwena comprende tut-
ta la provincia di Moxico, la più vasta
dell’Angola, grande come tutta l’I-
talia, situata nell’estremità orientale
del Paese. I portoghesi la chiama-
vano le terre della fine del mondo,
oggi potremmo chiamarla la terra
dimenticata. Moxico è stata devasta-
ta dalla guerra, mancano le strade e
la decadenza economica continua.
Una povertà ingiustificata dopo più
di vent’anni di pace. D’altra parte, le
guerre in Angola cominciarono e ter-
minarono nel Moxico.
La distruzione è stata enorme e non
ci sono piani di ricostruzione della
provincia. In questi ultimi anni sono
state costruite strutture significative,
come ospedali, una università, scuole,
ma l’analfabetismo continua a essere
un problema grave, una specie di ma-
lattia, come l’inefficienza del sistema
sanitario e la mancanza di qualità
nell’insegnamento.
Che cosa significa
la presenza dei salesiani
in questa parte dell’Africa?
Qui, il carisma salesiano è quello che
ci vuole: Moxico è una provincia gio-
vane, specialmente la città di Lwena,
ma i giovani non sono in grado di af-
frontare la vita per mancanza di for-
mazione professionale e scolastica. La
provincia è sprofondata in un abbando-
no pastorale a causa della guerra e per
la mancanza di personale missionario,
questo vanifica la sete di Dio che ca-
ratterizza il nostro tempo, anche per la
mancanza di una proposta efficace di
evangelizzazione della gioventù. Tutto
questo concerne il carisma salesiano.
L’opera salesiana è stimata, ammirata
da tutti, cattolici o protestanti, atei o
credenti, per la capacità di arrivare al
cuore dei giovani, per il dinamismo
evangelizzatore, per il coraggio con
cui affronta le sfide.
Quando ero parroco, direttore o re-
sponsabile della pastorale, mi piaceva
Gennaio 2015
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L’INVITATO
molto ripetere a braccio una frase di
don Bosco, prima di tutto per me, poi
per i collaboratori e tutto il mondo:
«Stiamo portando avanti una serie
di progetti che agli occhi del mon-
do sono come favole o pazzie, ma se
teniamo duro Dio li benedirà e tutto
sarà rose e fiori. Il motivo per ringra-
ziare, pregare e credere».
Questa frase appartiene all’Angola
Salesiana.
È possibile dare un volto
angolano a don Bosco?
Sì. È un processo importante. In
questo momento abbiamo opere si-
gnificative in Angola, collaboratori
molto consapevoli nelle diverse aree,
i laici sono inseriti nella missione,
ci sono vocazioni consacrate. Ogni
epoca ha le sue sfide specifiche. Cre-
do che il carisma salesiano si sia for-
mato in Angola attraverso l’opera di
missionari che provenivano da diver-
si paesi e che hanno fatto il meglio
che potevano fare. Ora è il tempo
che questo carisma sia accettato “an-
golanamente”.
Si tratta di un cambiamento di atteg-
giamento che viene fatto in marcia,
che causa incertezza, naturalmente,
ma è urgente che la pianta del carisma
salesiano cresca con tutti gli elementi
nutrienti del ricco terreno umano an-
golano.
Quali sono le sfide più
rilevanti della sua diocesi?
La mia diocesi condivide sfide e pro-
blemi dell’Angola, esasperati dalle
enormi distanze, la mancanza di stra-
de e la scarsità di missionari. Quando
parlo di missionari intendo il clero,
soprattutto locale, i religiosi e le re-
ligiose e i laici “professionalmente”
missionari. Il nostro territorio dio-
cesano ha bisogno di Dio, ma man-
ca di persone formate che aiutino la
popolazione a diventare artefice della
propria crescita spirituale e materiale.
Questo si somma alle distanze e alla
mancanza di comunicazioni: stia-
mo progettando la creazione di una
parrocchia a Calunda, che è a 675
km dalla sede della diocesi. Quando
piove, possiamo impiegare 20 ore per
raggiungere la sede di una parrocchia,
e poi altre dieci o più per raggiungere
le varie comunità. La guerra stava ro-
vinando ogni cosa: nel 2008 avevamo
62 chiese distrutte o seriamente dan-
neggiate. Dal 1975 al 2008 non era
stato collocato un solo mattone per
costruire una nuova chiesa o una cap-
pella. Immaginarsi che cosa significa
creare una parrocchia o sistemare una
comunità religiosa! Costruire una
casa, con le difficoltà di trovare mae-
stranze capaci, l’elevatissimo costo
dei materiali, l’acquisto di fuoristrada
adatti alle piste, per non parlare delle
strutture necessarie per l’attività mis-
sionaria, sale, aule, ecc.
E poi la scarsità di missionari: nel
2008 eravamo in trenta tra preti e
religiosi. Oggi stiamo arrivando a
Un gruppo di studio degli operatori pastorali
della diocesi di Lwena durante un corso di
aggiornamento.
12
Gennaio 2015

2.3 Page 13

▲back to top
cento, ma sono ancora niente per un
territorio così grande e una popola-
zione che cresce ogni giorno. Che
succede quando mancano i missionari
e le missionarie? Rinasce la mentali-
tà feticista, con la sua dose di accuse,
morte e atrocità, oppure si moltiplica-
no le sette che possono portare a fol-
lia, violenza o altre situazioni meno
degne della persona umana.
Di fronte a queste sfide, la diocesi ha
incentivato la pastorale vocazionale:
cominciamo con i seminaristi minori
(23 giovani dai diciassette ai ventitré
anni), e medi (43 giovani dai diciotto
ai ventiquattro anni). Vogliamo aprire
il seminario maggiore, ma ci trovia-
mo contro numerose difficoltà, anche
se stiamo facendo l’impossibile per
incominciare.
Allo stesso modo, facciamo di tutto
per collocare sedi missionarie nelle
località più adatte. Il nostro metodo
di evangelizzazione è la formazione
di piccole comunità, qualcosa di simi-
le alle comunità di base. La loro ric-
chezza non consiste tanto nel numero,
ma nella loro varietà ministeriale. Una
Chiesa troppo clericalizzata produ-
ce anche il “ministero unico”. Siamo
proprio a questo punto del cammino:
il passaggio da un “ministero Unico”
alla diversità dei ministeri, mostrando
così il vero volto della Chiesa, dove lo
Spirito Santo distribuisce abbondan-
temente i suoi doni per contribuire
all’edificazione del Corpo di Cristo.
Come sono
i giovani angolani?
I giovani del dopo guerra sono diver-
si dalle generazioni precedenti. In un
certo senso più “globalizzati”, ma pro-
fondamente angolani. Ho avuto l’op-
portunità di guidare l’ultimo incontro
nazionale della gioventù: sono vivaci,
con tanta voglia di realizzare progetti,
motivati. Allo stesso tempo, ho nota-
to una grande sete di paternità, hanno
bisogno che dedichiamo del tempo a
loro, che gli dimostriamo quanto li
stimiamo e li amiamo. Mi piace mol-
to questa nuova generazione.
Come vede il futuro
della Chiesa in Angola?
In un incontro internazionale di evan-
gelizzatori qualificati ho chiesto di
non contagiarci con l’“europessimismo
ecclesiale”. La nostra Chiesa è viva, le
nostre celebrazioni sono festose, ab-
biamo la consolazione del “bagno di
folla”. Ma ha bisogno di evangelizza-
zione in profondità, di persona a per-
sona, di andare incontro alla gente, ai
giovani, senza paura di “consumare le
scarpe”. Il futuro è buono, come sem-
pre pieno di sfide, ma accompagnato
dalla sensazione della possibilità del
successo.
Mons. Jesus Tirso Blanco presiede la
celebrazione eucaristica a conclusione dell’Anno
Giubilare della diocesi.
Ha qualche progetto
che le sta particolarmente
a cuore?
Mi piacciono i progetti piccoli, vicini
alle persone. Temo la responsabili-
tà dei grandi progetti. Parlo di uno:
Ana Jetu (i nostri figli), un’opera per
i bambini senza famiglia. La vita dei
bambini di strada a Lwena è spaven-
tosa. Abbiamo una casa per loro che
ne ospita una decina e ne segue una
cinquantina sulla strada. Passo dei
bei momenti con loro, nel quartiere
Mandembwe a Lwena. Quello che
hanno passato questi bambini è ter-
ribile: la violenza, gli abusi sessuali;
tuttavia preferiscono vivere in strada
piuttosto che stare con le loro fami-
glie biologiche o simili. A questa età
i bambini sono estremamente dutti-
li: possono essere santi o criminali,
dipende da chi sta con loro. Non ho
mai avuto bisogno, né mai ne avrò, di
guardie del corpo, ma se dovessi farlo,
sceglierei loro.
Gennaio 2015
13

2.4 Page 14

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FINO AI CONFINI DEL MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
NICARAGUA
Donazione
di materiale
scolastico
FILIPPINE
A un anno
dal tifone
(ANS - Granada)
– Presso la scuola primaria “Maria Au-
siliatrice” di Granada, in Nicaragua, che
accoglie circa 500 allievi dalla materna
fino all’8° anno di formazione, sono giunti
negli ultimi mesi del 2014 tre grossi camion
carichi di cattedre, scrivanie, librerie, ban-
chi, sedie, lavagne, armadi... da utilizzare
nelle aule, negli uffici amministrativi e per
il programma alimentare dell’istituto. Il
materiale è frutto della collaborazione tra
la Procura Missionaria Salesiana di New
Rochelle e la “ International”, un’or-
ganizzazione impegnata nel riciclaggio e
nella redistribuzione dei beni in eccesso.
“I nuovi mobili hanno contribuito note-
volmente a creare un ambiente di appren-
dimento, a favorire la disciplina in classe e
a portare un sorriso sui volti dei bambini”
riporta don Mark Hyde, Direttore della
Procura di New Rochelle. La collaborazio-
ne con la
International ha permesso
di consegnare varie attrezzature anche ad
altri programmi salesiani in Paraguay e a
El Salvador.
INDIA
Prevenzione
dell’abuso
di minori
(ANS - New Delhi) – Per
prevenire l’abuso sessua-
le e la tratta di ragazze,
nel mese di novembre
i salesiani dell’India
hanno promosso diverse
iniziative. Ad Hyderabad
hanno avviato la “campa-
gna Surakshita”, che ha
sensibilizzato ragazzi e
ragazze su questi proble-
mi, attraverso laboratori
multimediali e sessioni
interattive che li hanno
aiutati a comprendere la
sessualità, a prevenire
gli attacchi dei “predatori
sessuali”, e a conoscere
le leggi e le politiche
che li proteggono. A
Coimbatore, invece, per
una settimana, ragazzi e
ragazze delle opere “Don
Bosco Anbu Illam” e
“Marialaya” hanno messo
in scena degli spettacoli
di strada in 61 scuole e
in 33 luoghi pubblici per
sensibilizzare la socie-
tà e aiutare i minori a
proteggersi.
(ANS - Manila) – Dopo un anno dal
passaggio del tifone “Haiyan” le Filippine
stanno tornando alla normalità. Il tifone
ha causato 6300 morti, 1000 dispersi e 4
milioni di sfollati e molte aree sono ancora
danneggiate. Grazie agli ambienti sale-
siani di tutto il mondo, però, a novembre
2014 risultava che: nelle zone di Aklan,
Cebu Nord e Leyte, oltre 2700 famiglie
erano state in grado di ripristinare le loro
case; sull’isola di Bantayan, a Samar Est
e Aklan erano state completate 417 case
temporanee su 500 in programma; era
quasi terminato il progetto “adozione e
ricostruzione di una comunità” presso Bat-
Barangy Candahug; tutte e 11 le nuove
scuole programmate per le comunità di
Leyte, Bantayan e Cebu erano in costru-
zione, a vari livelli di completamento. I sa-
lesiani, inoltre, sono attivi con il progetto
“mezzi per la vita” che aiuta la popolazione
a tornare alla normalità e a mantenersi
attraverso apicoltura, floricoltura, cucito,
pesca, riparazione di imbarcazioni, carpen-
teria e agricoltura.
14
Gennaio 2015

2.5 Page 15

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SPAGNA
A favore
dei giovani
con maggiori
difficoltà
STATI UNITI
Cibo per
la popolazione
colpita dall’Ebola
(ANS - Madrid) –
La Federazione delle Piattaforme Sociali
Salesiane “Pinardi” ha firmato lo scorso
novembre un accordo con il Municipio di
Madrid in base al quale s’impegna a offrire
sostegno socio-educativo ai minori accolti dai
Servizi Sociali dei vari distretti municipali
della città. L’intesa prevede l’inserimento dei
minori di 16 anni in attività quali: sostegno
scolastico, educazione ai valori, abilità sociali,
culturali e ricreative, svago e tempo libero,
campi scuola e campi estivi. La proposta
della Federazione Pinardi si basa sull’idea
che l’educazione è elemento essenziale per
mitigare qualsiasi tipo di disuguaglianza e
favorisce la crescita personale e sociale dei
minori, anche di quelli più problematici. Ol-
tre al lavoro con i ragazzi a rischio la Federa-
zione Pinardi accompagna anche le famiglie,
attraverso sostegno psicologico, scuole per
genitori, gruppi terapeutici e di auto-aiuto e
aiuto sociale a fronte delle necessità fonda-
mentali e più urgenti.
PALESTINA
A sostegno
dei giovani e
delle tradizioni
(ANS - Betlemme)
– Il Centro Artistico
Salesiano sito presso
la comunità “Gesù
Bambino” di Betlemme è
un’importante realtà che
coniuga la conservazione
delle tecniche artigianali
locali, con lo stimolo alla
creatività e l’avviamento
al lavoro dei giovani
palestinesi. Nato nel
2005, rappresenta l’unica
scuola in Palestina che
insegna formalmente
le tecniche di lavora-
zione delle manifatture
tradizionali del legno di
ulivo, della madreperla
e della ceramica, grazie
all’impegno di esperti
artigiani. La creatività
degli studenti viene sti-
molata attraverso lezioni
di disegno e di storia
dell’arte, visite di studio
presso i siti di interesse
storico ed archeologico
sul territorio, incontri
e confronti con artisti
internazionali.
(ANS - New Rochelle) – Nell’Africa Oc-
cidentale, colpita dall’emergenza Ebola, i
salesiani cooperano con le comunità locali
fornendo aiuti alimentari, indumenti per
proteggersi, disinfettanti ed educazione alla
prevenzione. Anche la fame è divenuta un
problema, data la morte di molti agricoltori,
la chiusura di vari mercati e pure delle scuo-
le, che spesso davano ai più piccoli l’unico
pasto della giornata. Per questo la Procura
Missionaria Salesiana di New Rochelle e
“Stop Hunger Now”, un’organizzazione
che fornisce cibo e prodotti salvavita a chi è
più vulnerabile, si sono uniti a sostegno dei
programmi salesiani in Africa Occidentale.
Grazie al loro operato, a Lungi, nel Nord Est
della Sierra Leone, i salesiani hanno potuto
distribuire del sapone medico e pasti ener-
getici tre volte alla settimana a 150 bambini
poveri; a Monrovia, capitale della Liberia,
hanno potuto sfamare i bisognosi con del
riso fortificato e consegnare alla popolazione
guanti, maschere e abiti protettivi.
Gennaio 2015
15

2.6 Page 16

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FMA
EMILIA DI MASSIMO
Una speranza accesa
nella vita degli ultimi IncontriamosuorLaura
Girotto, missionaria
in Etiopia, al confine con
L a comunità
opera nel-
la missione di Kidane Meh-
ret ad Adwa. Grazie all’aiuto
di tanti benefattori, si lavora
per donare nuova speranza e
autonomia economica a una
popolazione segnata per anni dalla
guerra e da svariate problematiche:
«Quando siamo arrivate – ricorda –
nel 1994 tutto era da costruire. C’e-
sviluppo e l’autonomia si è fatta più
forte.
Attualmente alla missione ci sono la
scuola materna, elementare, media, su-
periore, tecnica; vi è il centro per la pro-
mozione della donna, per l’assistenza
sociale e medica: «Tutto questo – pre-
cisa – è un vero miracolo, frutto della
generosità di centinaia di persone».
Tramite la formula dell’adozione a
l’Eritrea. Gli anni
non sembrano passare
per lei. L’entusiasmo
è contagioso, la passione
di chi riconosce i prodigi
che l’amore per il
prossimo può compiere.
ra sì il terreno messo a disposizione distanza, le iniziano a sensibi- loro dedizione la missione l’hanno in
dall’amministrazione pubblica, ma lizzare parenti e amici rimasti nelle parte costruita loro. C’è chi decide di
attorno a noi solo pietre. Per un po’ patrie di origine. Nasce così il primo arrivare in Etiopia nel mese di agosto,
di tempo mi sono dovuta “accampa- gruppo di volontari, che arrivano ad chi sceglie di viverci per alcuni mesi,
re” in una tenda blu dei militari. Con Adwa per donare la loro presenza e altri a tempo indeterminato. Ma sono
l’arrivo della prima consorella, e de- la loro manodopera competente. Suor fondamentali anche gli “amici di
gli aiuti economici, iniziarono i lavori Laura insiste che il bene più prezio- Adwa” che in Italia si industriano in
per la costruzione dell’abitazione e so di Adwa sono loro, perché con la mille attività per raccogliere fondi.
della scuola».
Da allora ne sono cambiate di cose: la
comunità è cresciuta (e il futuro è ga-
rantito dalla presenza, nella comuni-
tà, delle giovani che vogliono diven-
tare ), e la convinzione di “stare”
accanto alla gente per aiutarla a uscire
dalla miseria e a combattere fame e
malattie, incamminandosi verso lo
La comunità delle Figlie di Maria Ausiliatrice di
Adwa. A pagina seguente: Suor Laura Girotto con
alcuni dei suoi assistiti.
16
Gennaio 2015

2.7 Page 17

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I miracoli
e la storia di Tibe
«La missione è una speranza accesa
nella vita degli ultimi – continua suor
Laura –, l’unico centro stabile di rife-
rimento per migliaia di persone, che
si rivolgono alla Kidane Mehret nei
momenti di emergenza, come è stato
durante la lunga guerra che ha inte-
ressato l’Etiopia e l’Eritrea; per avere
un consiglio, ricevere un aiuto».
Chiediamo quali servizi offre la mis-
sione e la risposta elenca i “miracoli”:
servizio di ambulanza, soprattutto per
le donne incinte; collaborazione con le
autorità sanitarie locali per le campa-
gne di vaccinazione e per le epidemie;
collaborazione con le autorità civili in
caso di emergenze umanitarie; parte-
cipazione alla risoluzione di problemi
attinenti alla popolazione locale…
«Vi voglio raccontare la storia della pic-
cola Tibe – sorride ancora suor Laura
– così capirete il senso della missione.
La mamma di Tibe è stata data in
moglie a un giovane uomo analfabe-
ta, dal quale ha avuto tre figli. L’ulti-
ma gravidanza è stata gemellare, sono
nati un maschietto e una bambina,
cieca. Il padre, secondo il diritto dato
dalle tradizioni ancestrali della zona,
ha rifiutato la piccola, ordinando alla
moglie di disfarsene. Lei è partita con
ambedue i gemellini ed è tornata da
sua madre chiedendo aiuto perché non
voleva uccidere la sua creatura. Sono
arrivate da noi quando c’erano dei vo-
lontari medici di Padova. I piccoli sono
stati visitati e trovati denutriti perché
la mamma non aveva latte per ambe-
due. La donna ci ha implorate di pren-
dere la bimba perché doveva ritornare
a casa. Abbiamo tenuto un “consiglio”
della comunità: rifiutando, saremmo
divenute complici di infanticidio, per-
ché alla mamma non sarebbe restata
altra scelta che abbandonare la crea-
tura per strada e gli animali selvatici
l’avrebbero fatta sparire. La decisione
è stata di informare le Autorità locali
che noi avremmo preso la piccola in
affido e l’avremmo cresciuta fino alla
maggiore età. I volontari si sono tas-
sati mensilmente 10 euro ciascuno per
aprire un piccolo c/c a favore di Tibe.
Abbiamo trovato una brava mamma
che ha già quattro dei nostri orfani in
affido. Con il rappresentante dell’Uf-
ficio Affari Sociali e del Tribunale dei
Minori abbiamo stilato la documenta-
zione necessaria con i genitori, e Tibe
è diventata parte della nostra famiglia.
La mamma, prima di lasciarla, ci ha
implorate di permetterle di allattarla
ancora una volta».
Il futuro di Tibe? È viva, protetta e
amata. Trascorrerà le sue giornate
nella scuola materna, con la nuova
mamma, per avere tutti gli stimoli
sonori e di socializzazione possibili.
La iscriveremo alla scuola per ciechi
di Addis Abeba o, se la sua intelligen-
za si mostrerà pronta, anche in Italia.
«Ecco – conclude – il nostro stupo-
re quotidiano: donare una speranza
perché si accenda nella vita degli ul-
timi».
Per chi volesse aiutare la Comunità FMA
di Adwa, può consultare il sito:
www.amicidiadwa.org
Gennaio 2015
17

2.8 Page 18

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CONOSCERE LA FAMIGLIA SALESIANA
TULLIO LUCCA, PRESIDENTE - DON LUIGI CAMERONI, ANIMATORE SPIRITUALE
ADMA Associazione di
Maria Ausiliatrice
È diffusa in tutto il mondo e ha avuto uno sviluppo
quasi miracoloso in diverse nazioni, grazie allo zelo
apostolico di tanti missionari e missionarie che
hanno affidato la loro opera apostolica ed educativa
all’intercessione di Maria Ausiliatrice, erigendole
ovunque cappelle e santuari e propagandone
tra il popolo una viva e sincera devozione.
La storia
L’origine dell’
si collega diret-
tamente alla basilica di Maria Ausi-
liatrice in Torino. L’Associazione dei
Devoti di Maria Ausiliatrice, secon-
do gruppo fondato da don Bosco, fu
eretta canonicamente presso il san-
tuario di Valdocco il 18 aprile 1869,
con l’intento di “promuovere la vene-
razione al Santissimo Sa-
cramento e la devozione
a Maria Aiuto dei Cri-
stiani”. Nel 1870 il beato
Pio IX la elevò ad Arci-
confraternita e l’arricchì
di benefici spirituali.
Nel 1988, anno cente-
nario della morte di don
Bosco, essa si rinnovò
diventando Associazio-
ne di Maria Ausiliatrice
( ). Un riconoscimento signifi-
cativo venne dal Capitolo Generale
24 dei Salesiani (1996), che affermò:
“Don Bosco diede vita anche all’As-
sociazione dei Devoti di Maria Au-
siliatrice coinvolgendola, con impe-
gni accessibili alla maggioranza della
gente semplice, nella spiritualità e
nella missione della Congregazione”.
Per gli appartenenti all’Associazione
di Maria Ausiliatrice, l’affidamento
a Maria si traduce nel “vivere la spi-
ritualità del quotidiano con atteggia-
menti evangelici, in particolare con il
ringraziamento a Dio per le meravi-
glie che continuamente compie, e con
la fedeltà a Lui anche nell’ora della
difficoltà e della croce, sull’esempio
di Maria”. Il costante affidamento a
Maria caratterizza, dunque, la no-
stra spiritualità. “L’affidamento è un
dinamismo ascendente: è compiere
il gesto del dono di sé per risponde-
re con generosità a una missione da
realizzare; ma è anche un dinamismo
discendente: accogliere con fiducia e
riconoscenza l’aiuto di Colei che gui-
dò don Bosco e continua a guidare la
Famiglia spirituale che da lui ha trat-
to origine”.
L’ è l’unico gruppo
della Famiglia Salesiana
che, proprio per il vin-
colo singolare con il san-
tuario di Maria Ausilia-
trice, ha la sede ufficiale
e storica a Torino. Ogni
gruppo locale esprime
una speciale comunione
di dialogo e di solidarietà
con il Santuario di Maria
Ausiliatrice in Torino-
18
Gennaio 2015

2.9 Page 19

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Valdocco e con la Primaria ivi eretta,
attraverso un atto di aggregazione.
Attualmente sono circa 700 i gruppi
aggregati.
L’
è diffusa in tutto il mondo,
in particolare nelle opere dove si trova
la presenza dei Salesiani e delle Figlie
di Maria Ausiliatrice, e ha avuto uno
sviluppo quasi miracoloso in diverse
nazioni, grazie allo zelo apostolico
di tanti missionari e missionarie che
hanno affidato la loro opera aposto-
Un gruppo di associati all’ADMA dell’isola
di Timor. A pagina precedente : La tessera di
appartenenza all’Associazione.
lica ed educativa all’intercessione di
Maria Ausiliatrice, erigendole ovun-
que cappelle e santuari e propagan-
done tra il popolo una viva e sincera
devozione.
La spiritualità
L’adesione personale all’Associazione
impegna:
a valorizzare, in sintonia con la
Chiesa, di cui Maria è tipo e figura,
la partecipazione alla vita liturgica,
in particolare ai sacramenti dell’Eu-
caristia e della Riconciliazione, nella
pratica della vita cristiana personale;
a vivere e a diffondere la devozione
a Maria Ausiliatrice, rinnovando le
pratiche di pietà popolare, secondo lo
spirito di don Bosco;
a imitare Maria, coltivando nella
propria famiglia un ambiente cristia-
no di accoglienza e solidarietà;
a praticare, con la preghiera e l’a-
zione, la sollecitudine per i giovani
più poveri e le persone in necessità;
a pregare e a sostenere nella Chiesa,
e in particolare nella Famiglia Sale-
siana, le vocazioni laicali, consacrate
e ministeriali;
a vivere la spiritualità del quoti-
diano con atteggiamenti evangelici,
sull’esempio di Maria: l’obbedienza
Gennaio 2015
19

2.10 Page 20

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CONOSCERE LA FAMIGLIA SALESIANA
alla volontà di Dio (Fiat); il ringra-
ziamento a Dio per le meraviglie che
continuamente compie (Magnificat);
la fedeltà a Lui anche nell’ora della
difficoltà e della Croce (Stabat).
Nello stile salesiano questa devozio-
ne “tradizionale” prende una forte
connotazione apostolica, perché la
Madre viene in “ausilio” dei cristiani,
specialmente quando la loro fede è in
pericolo. Promuovere l’
signi-
fica quindi offrire un itinerario pra-
tico e semplice di santificazione e di
apostolato e promuovere la devozione
a Maria Ausiliatrice come imitazione
della sua vita impegnata con Gesù e
con la Chiesa.
Gli impegni
“Gli associati – scrisse don Egidio
Viganò – fanno parte della Famiglia
Salesiana per la devozione all’Ausilia-
trice nella forma istituita da don Bo-
sco. Questa appartenenza impegna a
onorare Maria, Aiuto e Madre della
Chiesa, partecipando alla missione
giovanile e popolare di don Bosco nel
suo aspetto di incremento e di difesa
della fede cristiana tra la gente”. Ciò
si esprime:
nel diffondere la dimensione ma-
riana del carisma salesiano;
nell’azione pastorale ed educati-
va con le giovani coppie e famiglie,
soggetto originario dell’educazione e
primo luogo dell’evangelizzazione; la
presenza di famiglie e giovani coppie
che, sotto la guida di Maria, condi-
vidono un cammino di vita, fatto di
formazione, condivisione e preghiera
è veramente un dono provvidenziale
di Maria Ausiliatrice che si prende
cura delle nuove generazioni;
nell’attenzione a coinvolgere i gio-
vani in questo cammino di spiritualità
e di educazione per presentare il volto
materno di Maria e della Chiesa;
nella promozione delle vocazioni
attraverso la preghiera eucaristica e
mariana;
nella collaborazione con i Gruppi
della Famiglia Salesiana (Celebrazio-
20
Gennaio 2015
Il momento della Promessa di un gruppo di
giovani nelle Filippine. Sopra: Una famiglia
dell’ADMA.

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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VII CONGRESSO INTERNAZIONALE DI MARIA AUSILIATRICE
ne dei Congressi di Maria Ausilia-
trice a livello ispettoriale-nazionale-
internazionale);
nella diffusione dell’
nelle
parrocchie salesiane come elemento
qualificante “salesianamente” la pa-
storale parrocchiale;
nella presentazione dell’
ai
Salesiani e alle Figlie di Maria Au-
siliatrice nelle varie fasi della forma-
zione iniziale;
nella presentazione dello spirito
e della vita dell’Associazione attra-
verso i mass-media (pubblicazioni,
interviste, trasmissioni…) in colla-
borazione con le case editrici sale-
siane, il Bollettino Salesiano e altre
agenzie di informazione. Particolari
strumenti di comunione, forma-
zione e informazione dell’Associa-
zione sono l’ADMAonline, foglio di
collegamento e di formazione edi-
to in 7 lingue, la Rivista di Maria
Ausiliatrice con le pagine dedicate
all’ , e la collana Quaderni di
Il VII Congresso Internazionale di Maria Ausiliatrice, promosso dall’Associazione di Maria
Ausiliatrice (ADMA), è un evento di tutta la Famiglia Salesiana e si terrà a Torino e al Colle
don Bosco dal 6 al 9 agosto 2015. Si inserisce provvidenzialmente nell’anno in cui si celebra
il Bicentenario della nascita di don Bosco e in cui la Chiesa dedica una particolare attenzione
alle sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione.
Il motto: “Hic domus mea, inde gloria mea - Dalla casa di Maria alle nostre case”, vuole
indicare la presenza materna di Maria, Madre della Chiesa e Ausiliatrice dei cristiani, nel far
vivere la bellezza dell’essere famiglia. Anche don Bosco ha molto da dire oggi alla famiglia:
la sua storia, il suo sistema educativo e la sua spiritualità si fondano sullo spirito di famiglia
che a Valdocco è nato e si è sviluppato attraverso l’affidamento a Maria.
Il Logo del Congresso vuole esprimere questi concetti nei suoi tre elementi:
La Basilica di Valdocco simboleggia il centro carismatico della Famiglia Salesiana, del
suo spirito e della sua missione;
Maria Ausiliatrice esprime la presenza viva e operante di Maria nella storia di don Bo-
sco e del movimento che da lui ha preso
origine;
la famiglia è il luogo della presenza di
Gesù e di Maria, per un rinnovato impe-
gno di educazione e di evangelizzazione.
Ogni mese attraverso l’ADMAonline (www.
admadonbosco.org) è possibile condivi-
dere il cammino formativo di preparazione
al Congresso che ne presenta le prospettive
e gli obiettivi.
Sul sito www.mariaausiliatrice2015.org
si potranno trovare tutte le indicazioni opera-
tive necessarie nelle varie fasi di iscrizione e
partecipazione al Congresso.
Maria Ausiliatrice. Il sito internet
dedicato è disponibile all’indirizzo:
http://www.admadonbosco.org
Il gruppo dei giovani dell’ADMA di Torino nella
Basilica di Maria Ausiliatrice.
Gennaio 2015
21

3.2 Page 22

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A TU PER TU
B.F.
«Desidero essere un prete
capace di ascoltare, di accogliere,
di ridere e di piangere vicino
alla gente»
22
Gennaio 2015

3.3 Page 23

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Thierry Dourland è un salesiano italiano di trent’anni,
ordinato prete sei mesi fa. Una celebrazione magnifica
e gioiosa che ricordiamo con lui.
Qual è stato il momento
che ti ha toccato di più?
Devo confessarti che tutto è stato per
me straordinario... un momento di
Paradiso! Fin dal momento della pro-
cessione d’ingresso nella meravigliosa
basilica dell’Ausiliatrice, ho sentito
forte la presenza del Signore che mi
chiamava ancora una volta a fare un
passo nel suo cuore aperto per me.
E questo passo lo facevo con Maria,
nella sua festa, nella sua casa, insieme
ai miei confratelli, parenti e amici,
soprattutto giovani.
Potrei sottolineare alcuni momenti
specialissimi: la prostrazione a terra
durante il canto delle litanie. Perce-
pisci la Chiesa tutta, qui sulla terra
e quella del cielo, che ti avvolge con
il suo affetto e la sua preghiera. Pro-
prio dalla miseria della terra, Dio ci
rialza ancora una volta e per sempre.
La solenne imposizione delle mani da
parte del vescovo sul nostro capo, se-
guita poi dalla lunga preghiera di tut-
ti i presbiteri che imponevano a loro
volta le mani su di noi, chiedendo con
insistenza il dono dello Spirito Santo,
vero intagliatore del cuore sacerdota-
le. La vestizione con i paramenti pro-
pri del prete: è davvero Cristo che ti
riveste, tu sei chiamato a portare Lui,
a rappresentarlo in ogni istante, spe-
cialmente nella celebrazione dei santi
misteri. L’unzione delle mani con il
sacro crisma: non ti appartieni più. Le
tue mani, così misere e povere, sono
chiamate a donare vita, a essere pro-
lungamento delle mani del Signore.
E infine la consegna del calice. Avvi-
cinandomi il vescovo mi ha guardato
negli occhi e con un sorriso mi ha det-
to: “È quello di don Bosco”. Una vera
ciliegina sulla torta, una delicatezza
della Provvidenza che mi richiamava
ancora una volta a innalzare ogni gior-
no quel calice con le mani, il cuore e la
mente del nostro amato fondatore.
Dopo l’ordinazione tutto
comincia. Che tipo di prete
salesiano vorresti essere?
Ripenso spesso a quel testo delle no-
stre costituzioni in cui si sottolinea
bene che entriamo in congregazione
anzitutto per salvarci l’anima. Vorrei
dunque essere un prete che ha a cuore
le anime. La mia (se non ci curiamo
noi, come faremo a occuparci degli
altri? “Medico, cura te stesso” dice il
detto) e quella dei fratelli e delle so-
relle che mi circondano, soprattutto
dei giovani. Desidero essere un pre-
te a disposizione, capace di ascoltare,
di accogliere, di ridere e di piangere
vicino alla gente. Mi pare sia proprio
questo il sacerdozio “popolare”, così
“cattolico”, proprio come lo ha incar-
nato nel suo quotidiano don Bosco.
Con il cuore profondamente anco-
rato in cielo e i piedi ben piantati a
terra. Sperimento ogni giorno quan-
to sia vero ed efficace il metodo che
egli stesso utilizzava: il massimo della
bellezza, della sacralità, della gravità,
della calma quando si celebrano i san-
ti sacramenti, quando si prega. Poi a
seguire una calda e sincera umanità,
fatta di allegria, di grida chiassose,
di battute... lo “stare in mezzo” pro-
prio della tradizione salesiana. Que-
sto mix, così semplice e così geniale,
spesso esigente nella sua attuazione,
mi pare essere la via migliore per vi-
vere il sacerdozio, a stretto contatto e
a servizio dei giovani e delle famiglie.
Che cosa diresti
a un giovane che si sente
attratto dalla vocazione
di prete salesiano?
Non temere, sarà una grazia straordi-
naria! Chi avrà lasciato la casa, i cam-
pi, gli amici e i famigliari per seguire
Cristo, riceverà quaggiù il centuplo
in case, campi, amici e famigliari, in-
sieme a qualche persecuzione e poi la
vita eterna. Mi pare che questo menù
del Signore sia più che gustoso! Non
dire “non sono capace, non sono in
grado...”. Se Lui ti ha scelto, saran-
no problemi suoi! Apri il tuo cuore a
un buon amico dell’anima (un padre
spirituale) e chiedi a Maria la forza
di gridare il tuo “sì” con entusiasmo.
Se poi in una sera d’estate spingerai il
tuo sguardo un po’ più lontano, oltre
l’orizzonte, e sintonizzerai in quella
direzione le tue antenne, forse anche
tu, come don Bosco, vedrai e sentirai
le voci dei giovani di tutto il mondo
che, festanti, invocano: “Vieni presto,
ti stiamo aspettando... abbiamo pro-
prio bisogno di te!”
Gennaio 2015
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3.4 Page 24

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LE CASE DI DON BOSCO
MASSIMO MASSIRONI
Parma
«F u visto monsignor Burlenghi,
vicario generale della Dioce-
si di Parma, aggirarsi fra lo
squallore delle viuzze del rione
di San Benedetto, accompa-
gnando un umile prete» ricorda
L’ultimo
sogno
la cronaca. «Quel prete era don Bosco. Egli tutto
osservava, e i bimbi sparuti e male in arnese, e
gli occhietti già torbidi e sprezzanti, fieri e pro-
vocatori, e la miseria estrema e l’ignoranza la più
supina. Don Bosco disse: “Sì, qui è necessaria
di don Bosco
l’opera dei miei figli e qui verranno, e con l’aiuto
di Dio e della Madonna faranno un gran bene”.
E ricercò il nido. Visitò la chiesa di San Bene-
detto, si inoltrò nel chiostro attiguo, vide una
vasta estensione di terreno e divinò che lì sareb-
be sorta fiorente e moralizzatrice l’opera sua; fu
Secondo le “Cronache salesiane” il San Benedetto
di Parma fu “l’ultimo sogno di don Bosco”, l’ultima
opera da lui voluta e la prima realizzata dal suo
successore don Michele Rua. Il 9 luglio 1887
(pochi mesi prima di morire) don Bosco acquistò
profeta». Era il 1882.
Le cose si trascinarono così a lungo che don Bo-
sco non ne vide il termine, poiché morì il 31 gen-
naio 1888; l’inaugurazione, con la cura della par-
rocchia e l’apertura dell’oratorio festivo maschile,
avvenne nel novembre dello stesso anno.
all’asta il fabbricato attiguo alla chiesa di San
La casa salesiana di Parma fu, dunque, l’ultima
Benedetto. Da quel momento, l’opera salesiana
voluta da don Bosco, e la prima fondata da don
di Parma continua il sogno di don Bosco portando Rua, il primo successore di don Bosco.
il suo carisma educativo e il suo sorriso di gioia
ed ottimismo a Parma.
Nel dimenticato
e vasto quartiere
Il primo periodo dell’attività dei salesiani fu
tutt’altro che semplice, poiché ebbero a che fare
con una realtà sociale ostile, provata dalla miseria
e in cui trovavano terreno fertile le idee anticleri-
cali. Il dottor Gambara così descrive l’accoglien-
za che venne loro riservata: «Dovrei dire che il
nostro buon popolo accolse i salesiani a braccia
aperte? – No – l’ambiente era sfavorevole: i cer-
velli intossicati dal veleno largamente propinato
dai comizi e dalla stampa, non ebbero certo com-
plimenti per i nuovi venuti né la stampa trattenne
i soliti spunti anticlericali».
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Gennaio 2015

3.5 Page 25

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Al degrado fisico si accompagnava dunque il de-
grado morale del quartiere, considerato talmente
malfamato che ai chierici del Seminario era stato
proibito di passarvi attraverso.
Anche la gioventù, alla quale si rivolse principal-
mente l’attività salesiana, era piuttosto turbolen-
ta. Proprio in quegli anni, infatti, il rione di San
Benedetto fu teatro di scontri tra bande giovanili
che si davano battaglia nelle strade, con sassi e
bastoni, rinnovando antiche sfide tra i due rioni
rivali: quello di San Benedetto e quello della San-
tissima Trinità.
Ben presto però i salesiani riuscirono a vincere la
diffidenza iniziale.
Anche l’oratorio riscosse sempre maggiori con-
sensi e divenne uno dei più fiorenti della città: «Il
concorso dei ragazzi che affluiscono all’oratorio
cresce a dismisura; conosciamo una quantità di
genitori per nulla allarmati a causa dell’educazio-
ne ivi impartita ai loro figli».
Sulla Gazzetta di Parma comparvero parole fa-
vorevoli all’operato dei salesiani: «Perseverano
onde sottrarre la ragazzaglia del Quartiere S. Be-
nedetto all’influenza deleteria della pubblica via
e istruirla ed educarla in modo che riesca meno
selvaggia. L’opera loro è davvero umanitaria e ci-
vile».
“I preti che giocano”
Non a caso, appena giunti nella miseria del quar-
tiere di San Benedetto (1888), i salesiani vennero
qualificati come «i preti che giocano». Arrivarono
ben presto anche le Figlie di Maria Ausiliatrice.
Durante la direzione di don Carlo Maria Barat-
ta, l’opera salesiana a Parma conobbe un notevo-
le sviluppo. Solo una settimana dopo l’arrivo del
nuovo direttore, il 12 ottobre, la stampa cittadina
pubblicò l’annuncio dell’apertura del collegio-
convitto, con relativo programma. L’insegna-
mento della scuola era rivolto al corso elementare
e al ginnasio. Furono riadattati i locali esistenti,
in modo da renderli abitabili e ricavarne dormi-
tori, scuola, cappella e refettorio; il tutto provvi-
sorio e modesto, ma sufficiente per l’apertura del
convitto. Don Baratta stesso progettò e diresse i
lavori. Così il collegio poté iniziare la sua attività
accanto all’oratorio e alla parrocchia.
L’attività dell’istituto fu sempre intensa: oltre che
nello studio e nell’educazione religiosa, i giovani
erano impegnati in rappresentazioni teatrali, in-
contri con il cinema, studio della musica sacra,
gare atletiche. Un’altra attività molto importante
per l’istituto fu la Scuola di Canto, che con la di-
rezione di don Baratta raggiunse ottimi livelli ed
acquistò una notevole fama in città e in tutta la
regione.
La scuola salesiana si dimostrò ben presto un
successo. La simpatia e la fiducia acquistata dai
salesiani spinsero molte famiglie ad affidare loro
l’istruzione dei figli. I locali del vecchio conven-
to, adattati in tutta fretta per le prime esigenze
del collegio, si rivelarono ben presto insufficien-
ti alle necessità dell’istituto e perciò prese forma
il progetto di costruire nuovi locali. Nel 1891,
I cortili ampi
e accoglienti
dell’Istituto San
Benedetto di
Parma. A pagina
precedente: La
bella facciata della
chiesa.
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3.6 Page 26

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LE CASE DI DON BOSCO
Giovani ed
educatori. Per
educare un
giovane ci vuole
un altro giovane: è
lo stile salesiano.
si eseguirono lavori di ampliamento nei loca-
li dell’ex-convento, ma già nell’anno successivo
fu iniziata la costruzione di una nuova ala, oggi
chiamata «Don Baratta», che avrebbe ospitato il
collegio, con aule, dormitori e la cappella dedi-
cata al Sacro Cuore di Gesù. Nel 1903 venne
inaugurata anche la nuova casa delle Figlie di
Maria Ausiliatrice.
Anche la parrocchia si estese ad altri quartieri
soprattutto perché parte degli abitanti delle par-
rocchie suburbane limitrofe a San Benedetto pre-
feriva frequentare la parrocchia salesiana più che
quella di appartenenza.
Rinascita dopo le bombe
e i terremoti
Durante la seconda guerra mondiale, l’attività
scolastica dell’istituto non si interruppe, nono-
stante i momenti di difficoltà. L’anno più tragico
fu il 1944. Il 25 aprile, durante il secondo attacco
alla città, il complesso di San Benedetto fu colpi-
to dai bombardamenti.
Così viene ricordato l’attacco nella Cronaca della
casa di Parma: «Alle ore 12,15 almeno nove bom-
be da aerei nemici piovono sull’Istituto e intorno
ad esso. Crolla tutto il palazzo nuovo (cameroni
e studi) e una buona metà del vecchio in senso
longitudinale. I superiori in numero di otto erano
nel rifugio che servì sempre per i ragazzi, sotto
il palazzo nuovo. Il rifugio resistette al crollo ed
essi si salvarono per un’apertura di fortuna che
una bomba caduta nella tromba della scala, aprì,
ostruendo invece l’uscita normale. Gli altri supe-
riori erano in parte nel rifugio-trincea dell’orto
e si salvarono, altri nel palazzo d’entrata o nelle
loro camere e, fuggiti al rombo della caduta del
palazzo, si salvarono solo perché il palazzo più
antico non crollò». Nel bombardamento persero
la vita un salesiano e due giovani allievi. Nella
cronaca della casa vengono descritti anche gli av-
venimenti degli ultimi giorni di guerra: “3 aprile
1945. Giornata triste: per ore ed ore gli apparec-
chi hanno gettato bombe vicino all’istituto (via
Trieste, gasometro, ferrovia): molti vetri infranti
e alcune porte sconquassate. 23 aprile 1945. Alle
ore 18.40, improvvisamente, uno scoppio terribi-
le (carri di dinamite sulla ferrovia) provoca una
rottura enorme di vetri e di scardinamenti. In
parrocchia anche il grande finestrone sull’entrata
è divelto e cade sui banchi rompendone due. Nes-
sun danno alle persone, ma molti alle case”.
La seconda metà del Novecento fu il periodo in
cui l’istituto di San Benedetto conobbe la sua
maggiore espansione. Nel 1951 si istituirono la
Scuola Media e il Liceo Scientifico. Nel 1965 ini-
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TRE DOMANDE AL DIRETTORE
ziò il Convitto di Scuola Superiore arrivando ad
avere fino a 140 iscritti negli anni ’90. Nel 1980,
il Convitto Universitario, che oggi conta più di
un centinaio di studenti.
Dopo il terremoto del novembre 1983, iniziò il
ripristino dell’antico convento, il più danneggia-
to dal sisma, e la chiesa parrocchiale fu consoli-
data nelle sue strutture. Nello stesso decennio, la
maggior parte dei locali fu sottoposta a ristruttu-
razione. In questi ultimi anni sono stati effettuati
ulteriori interventi di miglioramento. Nel 1993 è
stata costruita la nuova palestra. Nel 2001 la scuo-
la elementare delle si trasferisce nell’istituto
dei salesiani, ed è frequentata, a tutt’oggi, da circa
150 alunni. L’area cortilizia è stata risistemata nel
2002, con la realizzazione della pavimentazio-
ne del viale alberato e di quattro nuovi campi da
gioco, che vanno ad unirsi ai due campi da calcio
già esistenti: due campi da calcetto, un campo da
basket e uno da pallavolo. Dal 2007 si è aperta la
terza sezione della scuola media.
A distanza di più di un secolo dal loro arrivo a
Parma nel quartiere di San Benedetto, i salesiani
rappresentano ancora una realtà importante nel
tessuto cittadino e la loro attività prosegue fiorente
a servizio dei giovani della città e non solo.
Quanti sono i salesiani?
I salesiani presenti sono undi-
ci più tre che svolgono attività
pastorali nelle comunità parroc-
chiali di Corniglio e Bosco di
Corniglio in val Parma e uno che
fa il cappellano delle FMA di Lu-
gagnano in provincia di Piacenza.
Avete buoni
collaboratori?
Abbiamo tanti ottimi collaboratori
laici tra docenti ed educatori-
animatori: coinvolgiamo i giova-
ni per i giovani! Per educare un
giovane ci vuole un altro giovane!
C’è un numeroso gruppo e consi-
glio degli exallievi, un gruppo di
Salesiani Cooperatori che si tro-
vano regolarmente e svolgono un
servizio anche per l’Opera e una
grande sensibilità musicale con il
Coro San Benedetto e l’Associa-
zione Culturale San Benedetto a
essa collegata.
Quali sono le sfide, oggi, secondo lei?
L’emergenza educativa e la fragilità delle famiglie e dei ragazzi e giovani;
l’indifferenza nei confronti della pratica religiosa e dei cammini continua-
tivi di fede, con la conseguente crisi nella chiesa locale e la difficoltà
degli oratori; la difficoltà all’impegno e allo studio serio, anche se sereno.
Metterei come ultimo anche la crisi economica che porta alcune famiglie
a non poter investire sull’istruzione e l’educazione cattolica qui da noi al
San Benedetto.
La magnifica
palestra della casa.
Sopra: Il direttore
don Massimo
Massironi.
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3.8 Page 28

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INIZIATIVE
IGINO ZANANDREA
A Venezia per la
SupeeZroi Ponti
Ogni primavera la passeggiata
di solidarietà “Su e Zo per i
Ponti di Venezia” rappresenta
uno degli appuntamenti prin-
cipali nel Calendario
Triveneto. Si distingue per
la sua natura unica di grande evento
di aggregazione che travalica e uni-
sce diverse generazioni, dai bambini
ai giovani agli adulti fino agli anzia-
ni, essendo rivolto principalmente a
famiglie, scolaresche, gruppi, asso-
ciazioni sportive, uniti a formare una
folla festante di oltre 10 000 persone
in amicizia e solidarietà. È inoltre uno
dei preziosi appuntamenti in cui la Fa-
miglia Salesiana incontra la società ci-
vile, diventando un’occasione preziosa
per far conoscere il carisma salesiano
a tutti, a partire dalle istituzioni e gli
enti locali con cui l’associazione
Eurogroup (“Turismo Giovanile e So-
ciale”) collabora da sempre per la buo-
na riuscita della manifestazione.
Quarant’anni dopo la prima
edizione, l’associazione
TGS Eurogroup, fondata da
don Dino Berti, assieme al
Comitato Promotore della
manifestazione continua a
sostenere e a tramandare
il suo progetto, mantenendo
vivi gli intenti iniziali e la
sua ispirazione salesiana.
La manifestazione nacque dalla men-
te creativa e inesauribile di don Dino
Berti, salesiano di Don Bosco, che nel
1975 ideò un evento che potesse far
incontrare persone di diversa prove-
nienza e di diversa età. Erano gli anni
della crisi energetica, delle domeniche
senz’auto, della riscoperta del piacere di
passeggiare a piedi e della vita all’aria
aperta: Venezia, per la sua peculia-
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Gennaio 2015

3.9 Page 29

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re struttura urbana, era ed è tuttora il
luogo ideale per riscoprire i valori di un
turismo sostenibile attento all’ambiente
e al territorio locale, valori che permea-
no la manifestazione ancora oggi e che
sono alla base del suo successo. Ogni
anno diversi percorsi si snodano tra gli
angoli meno conosciuti della città la-
gunare, senza però tralasciare i luoghi
che la rendono famosa nel mondo. Una
giornata alla scoperta della città che ci
ospita, della sua arte e della sua storia,
della sua vera anima, della sua essenza.
Quarant’anni dopo la prima edizione,
l’associazione Eurogroup, fondata
da don Dino Berti, assieme al Comi-
tato Promotore della manifestazione
continua a sostenere e a tramandare
il suo progetto, mantenendo vivi gli
intenti iniziali e la sua ispirazione sa-
lesiana. La manifestazione è resa pos-
sibile grazie al prezioso aiuto di una
squadra di oltre 500 volontari che pre-
stano servizio ai ristori, alle partenze,
all’arrivo e lungo tutto il percorso. La
“Su e Zo per i Ponti di Venezia” cresce
di anno in anno nella partecipazione
(oltre 11 000 partecipanti nel 2014,
provenienti da tutta Italia e dall’estero)
e nei consensi raccolti tra le istituzioni
civili e religiose; è ormai un appunta-
mento fisso nel panorama delle grandi
manifestazioni tradizionali della città
lagunare e lo stesso Comune di Vene-
zia la annovera tra gli eventi di mas-
simo rilievo, accanto ad appuntamenti
storici quali la Regata Storica, la Festa
del Redentore o il Carnevale. La “Su e
Zo” (“Su e giù” in dialetto veneziano)
è una vera giornata di festa: i numerosi
gruppi folk provenienti da tutta Italia,
che tradizionalmente si esibiscono in
Piazza San Marco e nei campi e cam-
pielli lungo i tracciati del percorso,
rendono la città un tripudio di suoni
e colori che rimane ricordo indelebile
nella memoria dei partecipanti.
Per la comunità di Aleppo
La 37a edizione della “Su e Zo per i
Ponti di Venezia”, programmata per
domenica 19 aprile 2015, sarà un’edi-
zione speciale dedicata al Bicentena-
rio della nascita di don Bosco (1815-
2015).
Da sempre i ricavati della “Su e Zo
per i Ponti di Venezia” vanno in be-
neficenza a sostegno di realtà impe-
gnate nel sociale e nell’educazione,
con particolare riguardo alle missio-
ni salesiane in tutto il mondo. Dopo
aver attuato negli anni scorsi opera di
sensibilizzazione e sostegno a favore
di realtà salesiane in Etiopia, Molda-
via e Haiti, nel biennio 2014-2015 è
la comunità salesiana di Aleppo in Si-
ria al centro dell’attività solidale della
manifestazione.
DOMENICA 19 APRILE 2015
INFORMAZIONI E ISCRIZIONI:
www.suezo.it
Gennaio 2015
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3.10 Page 30

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I NOSTRI EROI
LAURA ANSELMI
Don Ernesto Saksida
Il padre della Cidade
Dom Bosco di Corumbà
«Un giorno decisi. Mentre fissavo l’Eucaristia,
sull’altare delle suore, mi dissi che Cristo non
era soltanto lì, sulla tovaglia bianca. Era anche
in quelle baracche miserabili, nei miei fratelli
di serie B, in quegli occhi che mi guardavano
indifferenti o nemici. Dovevo andare a trovarlo,
e portargli tante cose che non aveva:
il pane, la speranza, la fiducia, la fede».
«S e penso a come sono diventa-
to salesiano – raccontava don
Ernesto Saksida – mi viene da
ridere. Ogni anno venivano al
mio paese due frati. Facevano
una specie di reclutamento;
raccoglievano i giovani migliori, e col consenso
delle famiglie li portavano a Gorizia, in un loro
convento-seminario. Anch’io dovevo andare con
loro. Mentre pedalavo in bicicletta verso la par-
rocchia per incontrarmi coi frati, vidi alcuni miei
compagni impegnatissimi in una partita di calcio.
Mi chiamarono. Non seppi resistere. La partita
doveva durare “dieci minuti”, e invece si concluse
un paio d’ore dopo quando per il buio non ci ve-
devamo più. Su-
dato e spaventato
mi ricordai dei
frati che mi aspet-
tavano in parrocchia, e pedalai col cuore in gola
verso la canonica. Il parroco mi diede una lavata
di capo coi fiocchi: i frati erano già ripartiti.
Tornai a casa come un ladro. Bisbigliai tutto a
mia madre. E adesso che fare? Un mio compae-
sano ripartiva in quei giorni per l’aspirantato sa-
lesiano di Bagnolo Piemonte, e quando seppe che
cercavo di entrare in un istituto, mi disse che mi
avrebbe scritto. La lettera arrivò ai primi di otto-
bre. I salesiani mi accettavano. Mia madre prepa-
rò in fretta in fretta il corredo, cucì il numero di
matricola sulla biancheria, e il 15 del mese salii
sul treno per il Piemonte».
A Bagnolo la vocazione missionaria del giovane
Ernesto si rafforzò e, appena gli fu consentito,
chiese di partire per le missioni. Anche se con
estremo dolore, la famiglia diede il benestare e
dopo qualche settimana gli fu comunicata la de-
stinazione: Brasile, Mato Grosso. Nel 1939, Er-
nesto venne destinato al Collegio Santa Teresa di
Corumbà in veste di educatore. Aveva 20 anni.
Qui, senza alcuna esperienza di insegnamento,
doveva affrontare classi di ragazzi tra i 12 e i 18
anni con la paura di non riuscire a ottenere ascol-
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Gennaio 2015

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

▲back to top
to e disciplina, così cercò di conquistarli con lo
sport e in seguito anche con l’insegnamento della
musica e il canto. Nel 1946, fu ordinato sacerdo-
te. Nel 1949 fece ritorno a Corumbà, gli exallievi
che lo avevano avuto come insegnante negli anni
’40 lo accolsero entusiasti.
Negli anni ’40 e ’50 Corumbà era abitata da
un’élite benestante di proprietari terrieri e gran-
di commercianti che avevano costruito edifici
e investivano i capitali per migliorare la città.
Parallelamente una classe media composta da
commercianti marittimi, industriali, banchieri e
piccoli imprenditori, contribuiva a rendere la città
il maggior polo industriale del centro-est brasi-
liano.
La Madonna entrò
in 1000 baracche
Qui, la vita di don Ernesto, imboccò una strada
decisiva: «Ero consigliere scolastico nel Collegio
salesiano di Corumbà» raccontò. «Il Collegio è al
centro della città, al centro delle case abitate da
gente modesta, ma che sta bene, che ha le stanze
pulite, la radio, il frigorifero. C’era però un mo-
mento della settimana in cui dovevo uscire dal
collegio e uscire dalla città. Il direttore mi aveva
affidato la cura spirituale di una piccola scuola di
suore, in periferia: tre suore povere con una cap-
pellina. Andavo in quella cappella a dir Messa
e facevo la mia brava omelia. Ma prima di en-
trare nella cappella dovevo passare attraverso la
periferia della città, fatta di baracche, di capanne
tirate su con cartone e fango, con tetti di lamie-
ra. Dalla penombra di quelle baracche (chiamate
favelas) mi guardavano occhi indifferenti e lonta-
ni: occhi di uomini e di donne senza lavoro, im-
mersi nella miseria e nel sudiciume. E tra i piedi
mi ruzzolavano frotte di ragazzi che correvano
e ridevano come tutti i ragazzi del mondo, ma
che erano gracili e smagriti più di tutti i ragazzi
del mondo. A volte, gli occhi che mi guardavano
non erano indifferenti ma nemici. Io venivo dalla
città, e dopo un’ora sarei tornato alla città, dove
«si sta bene». Loro invece erano qui, nel «ghetto
della miseria». Io ero per loro di un’altra razza,
di una razza nemica: la razza della gente che sta
bene, che sa cos’è un pavimento di mattonelle e
non di fango, che possiede un letto con lenzuola
bianche».
«Come sacerdote cattolico, fui impressionato da
un’altra constatazione: tra quelle baracche passa-
vano pastori protestanti, che parlavano alla gente,
lasciavano qualcosa, anche soltanto un rettangolo
di carta con l’immagine di Gesù, che veniva ap-
pesa (unica macchia di colore) sulla parete squal-
lida. Sacerdoti cattolici che entrassero nelle ba-
racche non ce n’era nessuno.
Un giorno decisi. Mentre fissavo l’Eucaristia,
sull’altare delle suore, mi dissi che Cristo non
era soltanto lì, sulla tovaglia bianca. Era anche
in quelle baracche miserabili, nei miei fratelli di
Una foto giovanile
di don Ernesto
Saksida. Erano
gli anni delle
“baracche”.
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I NOSTRI EROI
Le prime aule e
naturalmente lo
sguardo di don
Bosco che veglia
sull’opera della
Cidade.
serie B, in quegli occhi che mi guardavano in-
differenti o nemici. Dovevo andare a trovarlo, e
portargli tante cose che non aveva: il pane, la spe-
ranza, la fiducia, la fede.
La mia giornata di consigliere scolastico finiva alle
7 di sera. Dalle 7 alle 10 avevo tempo per correg-
gere i compiti, preparare le lezioni del giorno dopo,
fare cena, dire il breviario. Con il consenso del di-
rettore, decisi che tutte queste cose le avrei fatte
al mattino (eccetto la cena!), alzandomi più presto.
Le tre ore serali le avrei dedicate alle favelas.
Come cominciare? Ebbi l’idea di realizzare una
Peregrinatio Mariae pittoresca, una piccola caro-
vana con la statua della Vergine accompagnata
da una fisarmonica, un altoparlante a pile, molte
candele accese (tra le favelas non c’è la luce elettri-
ca). Chiesi l’aiuto delle tre suore, di alcuni ragazzi
più grandi, di qualche exallievo. Cominciammo.
Cantando e suonando, seguiti da un codazzo di
bambini eccitati, la prima sera visitammo die-
ci famiglie. Ci fermavamo davanti a una porta,
recitavamo una decina del rosario, poi facevamo
entrare nella baracca la statua della Madonna.
Quindi impugnavo il microfono e davo un saluto
alla famiglia e un buon pensiero a tutti quelli che
sentivano. Continuammo così: dieci famiglie ri-
cevevano ogni sera la visita nostra e della Vergine.
A un certo punto potei disporre di una jeep, e
arricchii l’illuminazione. Non solo le candele, ma
i fari della jeep investivano la baracca che la Ma-
donna veniva a visitare. Nello spazio di 4 mesi,
avevamo visitato 1000 famiglie. La Madonna
era entrata in 1000 baracche, bambini e bambine
avevano visto per la prima volta la Madonna pel-
legrina, e per la prima volta le avevano sorriso».
La prima baracca,
culla della «Cidade»
In quel tempo dovevo occuparmi anche dell’asso-
ciazione degli exallievi del nostro collegio: ragaz-
zoni sentimentali che mi si erano molto affezio-
nati. Tornavano volentieri al collegio perché con
loro organizzavo accanite partite di calcio, gare
sportive, escursioni. Ma quando cercavo di far loro
scoprire Dio e il senso della vita, al di là del pallo-
ne e delle passeggiate, ottenevo molto poco. Non
riuscivo a farli incontrare con Dio. Ora, dopo la
mia esperienza in periferia, potevo tentare con loro
una nuova strada per farli arrivare a Dio: quella
dell’impegno per i fratelli più poveri. Esposi ciò
che stavo facendo, li portai in quelle tane abitate
da uomini, poi proposi che l’associazione affittasse
una grande baracca in periferia, e che gli exallievi
si dedicassero a far scuola in quella baracca ai ra-
gazzi della favella. Accettarono.
«Nacque così il primo nucleo della Cidade Dom Bo-
sco. La nostra scuola fin dall’inizio non ebbe come
scopo di insegnare soltanto a leggere e a scrivere a
ragazzi che non erano mai stati in un’aula scola-
stica. Volevamo insegnare loro a “stare insieme”, a
“fare comunità”, ad “aiutarsi a vicenda”».
«Padre Ernesto resti in mezzo a noi» si sentiva dire
ogni sera dai bambini che popolavano quasi per
l’intera giornata quel quadrato di periferia, lui che
aveva la sua residenza con la comunità salesiana
nel collegio di Santa Teresa iniziò a pensare che se
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Gennaio 2015

4.3 Page 33

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IL SENSO PIÙ PROFONDO DELLA MIA VITA
desiderava veramente aiutare quella gente avrebbe
dovuto abitare con loro, condividendo le loro stes-
se difficoltà. Il progetto della scuola doveva perciò
assumere una forma ancora più ampia, compren-
dendo spazi di studio e gioco per una quantità di
bambini ben superiore, ma anche di accoglienza
per la comunità dei loro famigliari. Serviva un
progetto su carta, così interpellò un suo exalunno
ingegnere, José Sebastiano Candia che, guidato
dalla descrizione di padre Ernesto, iniziò a siste-
mare gli edifici. Il progetto doveva coprire un inte-
ro quartiere, era provvisto di aule per 2000 alunni,
un patio coperto, due campi sportivi, un palazzetto
coperto, il locale della mensa, uffici e sale riunioni
per i professori, una cappella e un teatro per 500
persone. L’ingegnere pensò che si stesse burlando
di lui. Invece l’idea di padre Ernesto era proprio
quella di offrire il meglio a quella popolazione
tribolata, per accontentarsi c’era sempre tempo.
L’architetto Ernesto Puccini realizzò il disegno e
il modello che sarebbe servito per la costruzione.
La «Cidade» cresce
Nel 1965 la denominazione della scuola che an-
dava crescendo prendendo la forma più di un
complesso scolastico, cambiò nell’attuale Cidade
Dom Bosco; ormai accoglieva oltre alla scuola,
locali per la comunità, un’infermeria, un teatro
e presto avrebbe assunto la forma di una vera e
propria città nella città di Corumbà, un luogo de-
dicato ai bambini che la città rifiutava.
Nel 1987 i salesiani affiancarono padre Giovanni
Zerbini come aiuto a padre Ernesto nel momento
in cui la Cidade Dom Bosco era in forte sviluppo
e i giovani che uscivano dalla scuola erano privi
di una formazione professionale per avviarsi al la-
voro. Fu costruito così un Centro Professionale.
Interessante è il sistema di autogestione, auto-
sviluppo e autoresponsabilità previsto sin dagli
inizi nel programma educativo. Ogni anno, il 24
maggio, festa di Maria Ausiliatrice, i ragazzi del-
la Cidade Dom Bosco si recano con serietà alle
«Il senso più profondo della mia vita di salesiano e di prete lo scoprii quando
scoprii la miseria. Ho visto un bambino ricco sputare via una caramella, e un
bambino della favela raccoglierla e succhiarla. Ho visto un uomo gettar via
i rimasugli di un gelato, e quattro bambini battersi a sangue per quel rifiuto
sporco di terra. E ho capito che Dio ci lascia percorrere il calvario perché
possiamo capire il calvario dei nostri fratelli più poveri.
Questa povertà la incontro tutti i giorni, e la incontrerò per chissà quanti anni
ancora. E so che il povero non si può ingannare dandogli un pacco di viveri e
tornare poi ad abitare nella nostra bella casa. Bisogna prendere sulla nostra
pelle la sua povertà, dividerla giorno e notte, estate e inverno con lui. Solo
allora lui ci considererà “della sua stessa razza”, e avrà fiducia in noi.
Oggi capisco di più la mia vita. Valeva la pena soffrire tanto sui banchi della
scuola, valeva la pena vedere la tristezza di mia madre e il pianto di mio padre,
per scoprire oggi insieme ai miei fratelli più infelici la gioia di credere in Dio e
di sperare nella vita».
urne, per eleggere il sindaco, il vicesindaco e i 9
consiglieri comunali. Hanno diritto al voto i ra-
gazzi dai dieci ai diciotto anni. Ai seggi sono i
rappresentanti dei vari partiti, in uno spettacolo
di civismo e di precoce maturità sociale. I risul-
tati delle votazioni sono proclamati la domenica
seguente, alla presenza delle autorità cittadine. Il
governo non è un’inutile decorazione. Ogni set-
timana si raduna, e ogni membro rende conto di
incarichi ben determinati. In ogni classe, in ogni
iniziativa, è presente un ragazzo serio che tutti
rispettano, perché è stato eletto da tutti.
Don Ernesto Saksida è morto il 13 marzo del
2013, a 93 anni.
Don Ernesto ormai
anziano in mezzo
ai suoi bambini.
Gennaio 2015
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4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Le malattie dell’educazione
Il messaggio pedagogico
più urgente, oggi:
Il rachitismo «Genitori,perfavore,
crescete!».
I nostri ragazzi hanno
bisogno di riempirsi
gli occhi di adulti limpidi,
C’è da augurarsi che nessu-
no dei lettori sia amma-
lato della malattia di cui
dobbiamo (sì, lo sentiamo
come dovere!) parlare in
questo mese: il rachitismo.
di rachitismo psichico, di infantili-
smo spirituale.
Parliamo di educatori non cresciuti
‘dentro’. Ne parliamo come obbligo
morale, come abbiamo detto, perché
il rachitismo psichico colpisce al cuo-
ben definiti. Hanno bisogno
di padri e di madri che
si comportino da genitori,
non da amici.
I medici ci dicono che chi è affetto da re l’educazione e la distrugge!
rachitismo è carente di vitamina D, È noto a tutti che ‘educare’ equivale a Ebbene, sta qui il cuore del nostro
per cui l’ossificazione è ostacolata e la ‘far emergere’, a ‘suscitare’ l’Uomo na- ragionamento: può far emergere una
crescita bloccata ed ecco l’uomo de- scosto in ogni bambino che approda persona solo chi è emerso, solo chi ha
bole, fragile, non cresciuto, non virile, sulla Terra, così come Michelange- fatto in sé l’esperienza della crescita!
non energico e forte. È chiaro che qui lo ha fatto emergere il capolavoro del In breve: può far crescere solo chi è
non parliamo di rachitismo fisico, ma David nascosto nel blocco di marmo. cresciuto! Chi è bonsai, non potrà mai
far emergere sequoie (le piante più
alte della Terra).
Ecco perché il rachitismo psichico è
la malattia pedagogica più grave in
assoluto.
Come si vede, il discorso si fa serio
perché il punto nevralgico dell’emer-
genza pedagogica che è sotto gli occhi
di tutti, sta nel fatto che oggi la gente
cresce sempre più, mentre gli Uomini
simpaticamente Uomini, gli Uomini
riusciti che dimostrano la bellezza di
appartenere alla specie umana, dimi-
nuiscono!
Stiamo scivolando nel piagnisteo?
No! Stiamo facendo una riflessione
ad alta voce per lanciare il messaggio
Foto Shutterstock
pedagogico più urgente, oggi: “Geni-
tori, per favore, crescete!”.
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UN UOMO RIUSCITO QUESTO DICO AL FIGLIO ADOLESCENTE
L’Uomo riuscito è esistito! È esistito
l’Uomo che ha tratto da sé tutto il volu-
me dell’uomo. Un capolavoro di umani-
tà. Aveva un nome preciso: si chiamava
Gesù! Si cerchi fin che si vuole, ma non
si trova uno che possa superarlo!
Lo dicono tutti, anche quelli che non lo
seguono, tanto è impegnativo.
Persino un ateo come il filosofo tedesco
Friedrich Nietzsche (1844-1900) ha do-
vuto ammettere che da Cristo in giù è
solo pianura!”.
Ci spiace non poter provare in questa
sede (l’abbiamo fatto altrove) che Gesù
è la personalità più alta e più significa-
tiva di tutta la storia. Qui ci limitiamo a
trarre una conseguenza. Se è vero che
Gesù è la Cima, non far incontrare i no-
stri ragazzi con Cristo, nascondere loro
la sua conoscenza, può configurarsi
come un vero reato: un reato pedago-
gico! È privarli della ‘terapia’ più sicura
che guarisce l’uomo e lo fa crescere più
in fretta: la ‘Cristoterapia’.
La vita ha il gusto che le dai.
Va’ in giro con la tua faccia, non con quella da fotocopia!
Si può essere notevoli, senza essere notati.
“Non esiste bellezza senza personalità” (Sofia Loren).
Il sorriso trasforma i brufoli in ali.
La festa è nel cuore, non nel bicchiere di liquore.
Guarda in alto, non in aria!
La vita è più mitica di quanto ti immagini!
PRENDO NOTA
Non voglio far pensare che diventare adulti significhi diventare noiosi.
Il figlio non è una medaglia da appendere al collo: non lo obbligo a fare gli straordinari per
dimostrare d’aver messo al mondo un fenomeno!
Si inganna il figlio a farlo crescere con il sedere nel burro.
Chi ama i fiori non li calpesta, né li coglie per sé, ma li lascia crescere, liberi e belli, nel
prato.
I nostri ragazzi hanno bisogno di
riempirsi gli occhi di adulti limpidi,
ben definiti. Hanno bisogno di padri
e di madri che si comportino da geni-
tori, non da amici.
L’allarme è così urgente che vien lan-
ciato da tutte le sponde.
La scrittrice Elena Loewenthal ci
avvisa: «I nostri poveri adolescenti, già
confusi per i fatti loro, potrebbero trarre
danni irreparabili dal confronto con gli
adulti marmocchi, resistenti alla cresci-
ta e tanto più se sono i propri genitori.
Quindi mamme e papà, mammine pa-
lestrate e paparini frizzanti, bando agli
affanni del giovanilismo coatto. È arri-
vata finalmente l’ora di crescere!».
Sulla stessa lunghezza d’onda della
scrittrice è don Antonio Mazzi quan-
do ci manda a dire che «L’anello debole
della nostra società sono i quarantenni,
non i quindicenni. La fragilità dei qua-
rantenni è spaventosamente patologica:
uomini grandi, ma piccoli; potenti, ma
fragili; ricchi, ma vuoti; sempre amanti,
mai mariti!».
Il rachitismo psichico tanto diffuso
dovrebbe darci la sveglia. La pedago-
gia è stata stampata su carta migliaia
Foto Shutterstock
di volte, in milioni di copie. La trovi
in tutte le lingue. Eppure l’umanità è
ancora ferma. Che cosa aspetta?
Aspetta Uomini di fatti, non di fiato,
Uomini riusciti: personalità d’alto fu-
sto. Poi si muoverà!
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4.6 Page 36

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LA LINEA D'OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
Il coraggio di restare
ovvero elogio della resilienza
Nel cammino verso l’adultità è
fondamentale imparare a stringere
una relazione cordiale con il
presente, accettando di portare
responsabilmente il peso dei suoi
affanni e delle sue contraddizioni.
Ti è mai successo di sentirti altrove,
i piedi fermi a terra e l’anima leggera andare,
andare via lontano e oltre dove immaginare
non ha più limiti, hai un nuovo mondo da inventare.
Sei così altrove che non riesci neanche più a tornare,
ma non ti importa perché è troppo bello da restare
nei luoghi e il tempo in cui hai trovato ali, sogni e cuore.
A me è successo e ora so viaggiare...
Ti è mai successo di guardare il mare,
fissare un punto all’orizzonte e dire:
“È questo il modo in cui vorrei scappare,
andando avanti, sempre avanti senza mai arrivare”.
In fondo in fondo è questo il senso del nostro vagare,
felicità è qualcosa da cercare senza mai trovare,
gettarsi in acqua e non temere di annegare.
A me è successo e ora so volare...
Oltre i muri e i confini del mondo,
verso un cielo più alto e profondo
delle cose che ognuno rincorre
e non se ne accorge che non sono niente...
A chi non è mai capitato, di fronte alle
difficoltà e agli affanni della vita, a una
quotidianità ripetitiva e avara di grati-
ficazioni, a relazioni che si trascinano
stanche e prive di stimoli, di desidera-
re, almeno per un momento, di tagliare
la corda e scappare lontano?
Il bisogno di evasione – fisica o anche soltanto
mentale – è connaturato all’uomo. Nessuno ne
è del tutto immune e, talvolta, viaggiare con il
pensiero in posti remoti, immaginando un’esi-
stenza diversa da quella presente, può rappre-
sentare un antidoto innocente alla noia e alla
routine, un modo indiretto per dar voce al pro-
prio anelito di libertà, per prefigurare scenari
possibili che, mettendo in gioco la capacità di
trascendere l’esistente, diventino forieri di un
reale cambiamento.
Spesso accade, però, che il naturale bisogno di
evadere dal quotidiano si risolva in mero deside-
rio di fuga dalla realtà, nella tentazione di cerca-
re in un altrove utopico e illusorio una felicità che
non si è capaci di costruire qui e ora attraverso
la valorizzazione dei propri talenti e la pazien-
te tessitura di una trama di relazioni in grado
di sfidare la ripetitività sfibrante dell’abitudine.
Succede, allora, che il presente venga dolorosa-
mente vissuto come una gabbia soffocante da cui
cercare una via di fuga anziché come il luogo
di costruzione del possibile; come una zavorra
insopportabile di cui liberarsi anziché come un
trampolino di lancio da cui prendere la rincorsa
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Gennaio 2015

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per spiccare il volo; come il rassegnato dominio
dell’ormai anziché come l’orizzonte carico di
speranza del non ancora.
Nel cammino verso l’adultità è, invece, fon-
damentale imparare a stringere una relazione
cordiale con il presente, accettando di portare
responsabilmente il peso dei suoi affanni e del-
le sue contraddizioni, maturando la capacità di
resistere agli urti della vita e impegnandosi, nel
contempo, a mantenere salda la propria identità
e a riservare il giusto spazio alla dimensione li-
berante del sogno e della possibilità. Si tratta di
quella delicata competenza esistenziale che gli
psicologi chiamano “resilienza”: la capacità stra-
tegica di affrontare le difficoltà quotidiane in
maniera costruttiva e propositiva, di riorganiz-
zare positivamente la propria esistenza anche in
circostanze avverse, di riconoscere le opportuni-
tà che si celano dietro a ogni ostacolo, di saper
modificare la forma (i progetti e le aspettative
contingenti) preservando la sostanza (il nocciolo
duro della propria identità).
Ti è mai successo di voler tornare
a tutto quello che credevi fosse da fuggire
e non sapere proprio come fare,
ci fosse almeno un modo, uno per ricominciare.
Pensare in fondo che non era così male,
che amore è se non hai niente più da odiare,
restare in bilico è meglio che cadere.
A me è successo, amore, e ora so restare!
(Negramaro, Ti è mai successo?, 2012)
Una duttilità e una capacità di adattamento creati-
vo agli alti e bassi della vita che non si acquisiscono
in modo automatico, ma che sono il frutto di un
paziente processo di metabolizzazione del rappor-
to con la realtà circostante, il risultato di una con-
sapevole e lucida determinazione a “stare dentro” il
proprio presente, il punto di arrivo di un sentiero di
crescita indubbiamente impegnativo e faticoso, ma
che vale la pena percorrere fino in fondo se si vuole
imparare a vivere anche l’ordinario conferendogli il
gusto unico e appagante dello stra-ordinario.
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
L’inutile attesa di un’ultima
udienza papale
Sono persuaso che qui sia impedita
la maggior gloria di Dio e il bene
delle anime
Dal 23 dicembre 1877 al 26
marzo 1878 don Bosco risie-
dette in Roma. Vi era giunto
all’antivigilia di Natale per
poter sbrogliare antiche e in-
tricate matasse, che si erano
le autorità pontificie e particolarmen-
te il card. Innocenzo Ferrieri, Prefet-
to della Congregazione dei Vescovi e
Regolari, che don Bosco sapeva, per
esperienza propria e per informazioni
di “amici romani”, piuttosto contrario
ancor di più intorcigliate lungo l’intero alla società salesiana.
anno che stava per concludersi.
Intendeva avvicinare soprattutto le I gravi dissapori
con Torino autorità vaticane. Con l’arcivescovo di
Torino infatti le numerose vertenze
aperte da tempo non sembravano av- Don Bosco pensò allora di doversi di-
viarsi a conclusione, anzi si ampliavano fendere personalmente dalle accuse di
sempre più. Una “Lettera sull’Arcive- falsità e di dover dimostrare che l’arci-
scovo di Torino e sulla Congregazione vescovo con il suo atteggiamento osti-
di San Francesco di Sales”, pubblicata le ai salesiani gettava il disonore sulla
in quei giorni da “Un antico allievo congregazione, gli aveva fatto trascu-
dell’oratorio onorato di potersi dire rare utili occupazioni, fare viaggi co-
Cooperatore Salesiano” aveva scatena- stosi, interrompere trattative di fonda-
to ulteriori polemiche giornalistiche, zioni in Italia e all’estero perdendo così
tanto che mons. Gastaldi pensò di ra- forti beneficenze, e soprattutto gli ne-
dunare il suo clero perché si schierasse gava la possibilità di difendersi, pena
compatto dalla sua parte contro don la sospensione dai servizi ecclesiastici.
Bosco. Ovviamente aveva informato E se a don Giuseppe Lazzero, rettore
della Casa Madre di Torino, aveva in-
flitto la sospensione dalle confessioni
per 6 mesi “senza motivo e senza for-
ma canonica”, da tutti i religiosi della
diocesi l’arcivescovo esigeva obbligo
di confessarsi onde vedersi rinnovata
la patente di confessione. Don Bosco
concludeva il suo sfogo con il suddet-
to cardinale con le seguenti amarissi-
me parole: “Sono persuaso che qui sia
impedita la maggior gloria di Dio e il
bene delle anime”.
Nella capitale
Una volta a Roma don Bosco si sot-
topose a un ritmo massacrante di col-
loqui; invero con un certo risultato. Il
3 gennaio 1878 scriveva infatti a don
Rua: “Il nostro silenzio e le preghiere
faranno quanto sarà della maggior glo-
ria di Dio. Io però non istò inoperoso.
Benevolenza presso di tutti. Da fare
immenso”. E tre giorni dopo allo stesso
suo collaboratore: “Le cose nostre pro-
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Gennaio 2015

4.9 Page 39

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cedono bene. Pasticci, disturbi lunghi,
ma pur molto utili. Silenzio, preghiera,
niun rumore”.
Don Bosco desiderava soprattutto
essere ricevuto dall’“amico” Pio IX:
sapeva infatti che il Papa desiderava
incontrarlo fin dall’anno precedente.
Ma le sue richieste di udienza cadeva-
no sempre nel vuoto. Invero qualche
ragione c’era di tale ritardo: il Papa
era seriamente ammalato.
Era intanto deceduto il re Vittorio
Emanuele II dopo aver ricevuto i sa-
cramenti, per la gioia di don Bosco
che coltivò sempre grande devozio-
ne, nonostante tutto, al suo sovrano:
“Col ricevere i SS. Sacramenti, assi-
curò, speriamo, la salvezza dell’anima
sua… Si dice che presso al Card. Vi-
cario esiste una formale ritrattazione,
firmata dal Re. Quello che è certo si è
che negli ultimi momenti chiese car-
ta e penna, gli furono negati dicendo
che in que’ momenti ne avrebbe avuto
grave nocumento”.
Comunque fosse, don Bosco restava
ottimista sull’esito dei suoi colloqui
romani. Il 21 gennaio scriveva a don
Rua: “Le cose nostre qui vanno assai
bene e forse nel ricevere questa lettera
le nostre cose saranno con-
chiuse… Sono di molta im-
portanza morale, materiale e
religiosa”. Si trattava infatti
di concessione di nuovi e più
ampi privilegi alla congre-
gazione, di facoltà speciali
soprattutto per i luoghi di
missioni, di erezione di una
o due case salesiane in Roma.
Pochi giorni dopo ribadiva
al suo primo collaborato-
re le stesse convinzioni: “Puoi anche
comunicare in confidenza che le cose
nostre vanno assai bene. Il consultore
dei Vescovi e Regolari ha già esami-
nato tutte le imputazioni dell’Arcive-
scovo, ma conchiuse che non ve n’è
una che regga e che la nostra Con-
gregazione ha niente di biasimevole
verso di lui. Ora io ho presentato un
mucchio di reclami, ossia le lettere
vessatorie. Tutti i Cardinali sono sba-
lorditi e non sanno che deliberare, ma
tutti prendono le nostre parti e vo-
gliono farci una posizione normale e
tranquilla”.
Rimane con un pugno
di mosche
In realtà le cose non stavano proprio
come don Bosco credeva. Il suo primo
“avversario” il card. Ferrieri, amma-
lato da tempo, avrebbe ripreso le sue
funzioni ai primi di febbraio. A quel
punto don Bosco si augurava di torna-
re a Torino a metà mese “con le cose
aggiustate, almeno hic et nunc”, grazie
anche all’appoggio del Papa che dal
23 gennaio “stava migliorando” e che
il 4 febbraio “cominciò a fare un po’ di
passeggio in camera”. Ormai pensava
imminente l’udienza, visto anche che
– come scriveva al giovane Victor Ce-
sconi – “sono quaranta giorni da che
sono in Roma e non ho ancora potuto
avere un minuto di udienza, avendo il
S. P. finora tenuto il letto”.
Ma il 7 febbraio il Papa veniva meno:
“Oggi circa alle 3½ si estingueva il
sommo ed incomparabile astro della
Chiesa, Pio IX… Roma è tutta in co-
sternazione e credo lo stesso in tutto
il mondo”. Don Bosco poté venerarne
la salma e “baciarne il piede”, ma non
certo chiudere le pratiche in corso e
per le quali aveva tanto lavorato. Scri-
veva infatti il 10 febbraio a Rua: “Le
cose nostre rimangano in parte sospe-
se. Martedì avrò comunicazione di
qualche cosa speciale, da cui dipende
la mia partenza o protrazione di essa
da Roma”.
Gli venne infatti suggerito di atten-
dere il nuovo Papa, presumibilmente
uno dei tre cardinali Bilio, Simeoni,
Monaco, che gli si professavano amici.
Il conclave scelse invece il card. Gioac-
chino Pecci, che don Bosco non co-
nosceva personalmente e che avrebbe
dovuto aggiornare ex novo sullo stato
della società salesiana nella
prima udienza concessagli,
il 16 marzo 1878. La vicen-
da Bosco-Gastaldi ritornava
in alto mare e la concessione
degli auspicati “privilegi” ri-
mandata sine die.
Bastoni e cappello da viaggio
di don Bosco. A pagina precedente:
Il ritratto di don Bosco del Reffo.
Uno dei più rassomiglianti, secondo
i contemporanei.
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione dei nostri beati, venerabili
e servi di Dio, sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di gennaio preghiamo il ser-
vo di Dio Tito Zeman nel centenario della
sua nascita.
Don Titus Zeman, salesiano slovacco, nacque da
una famiglia cristiana il 4 gennaio 1915 a Vajno-
ry, presso Bratislava. A Torino, il 23 giugno 1940,
raggiunse la meta tanto desiderata del sacerdozio.
Quando il regime comunista cecoslovacco, nell’a-
prile del 1950, vietò gli ordini religiosi e iniziò a
deportare consacrati e consacrate nei campi di
concentramento, divenne necessario organizzare
dei viaggi clandestini verso Torino per consentire
ai giovani salesiani di completare gli studi. Don
Zeman s’incaricò di realizzare questa rischiosa
attività. Il servo di Dio organizzò due spedizioni
per oltre 60 giovani salesiani. Alla terza spedizione
don Zeman, insieme con i fuggitivi, venne arresta-
to. Subì un duro processo, durante il quale venne
descritto come traditore della patria e spia del Va-
ticano, e rischiò addirittura la morte. Il 22 febbraio
1952, in considerazione di alcune circostanze
attenuanti, venne condannato a 25 anni di pena.
Don Zeman uscì di prigione solo dopo 12 anni di
reclusione, il 10 marzo 1964. Ormai irrimediabilmente segnato dalle sofferenze subite in carcere, morì
cinque anni dopo, l’8 gennaio 1969, circondato da una gloriosa fama di martirio e di santità. Visse il
suo calvario con grande spirito di sacrificio e di offerta: “Anche se perdessi la vita, non la considererei
sprecata, sapendo che almeno uno di quelli che avevo aiutato è diventato sacerdote al posto mio”.
PREGHIERA
O Dio onnipotente,
tu hai chiamato don Tito Zeman a seguire il carisma di san Giovanni Bosco.
Sotto la protezione di Maria Ausiliatrice
egli divenne sacerdote ed educatore della gioventù.
Visse secondo i tuoi comandamenti,
e tra la gente fu conosciuto e stimato
per il carattere affabile e la disponibilità per tutti.
Quando i nemici della Chiesa soppressero i diritti umani e la libera espressione della fede,
don Tito non si perse di coraggio e perseverò nella strada della verità.
Per la sua fedeltà alla vocazione salesiana
e per il suo servizio generoso alla Chiesa fu incarcerato e torturato.
Con audacia resistette ai torturatori e per questo fu umiliato e deriso.
Tutto soffrì per amore e con amore.
Ti supplichiamo, o Padre onnipotente, glorifica il tuo servo fedele,
e concedici, per sua intercessione,
la grazia che ti chiediamo...
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Ringraziano
Ringrazio per l’aiuto che i Santi
della Famiglia Salesiana,
e in particolare don Bosco, mi
hanno dato durante un impor-
tante intervento chirurgico a cui
sono stata sottoposta. Ringrazio
inoltre per la protezione nei con-
fronti di mio fratello, sia nella
sfera lavorativa, sia in quella
familiare.
G. S. - Torino
Ringrazio infinitamente san Do-
menico Savio, per l’interces-
sione e la protezione sperimen-
tate. L’11 luglio 2014, dopo una
gravidanza a rischio e un parto
avvenuto 5 settimane prima del
termine, è nato Jacopo Giovanni
Domenico, un bambino sano che
non ha mai avuto nessun proble-
ma di salute legato alla patologia
per la quale io ero in cura. Ho
pregato san Domenico Savio du-
rante tutta la gravidanza e tutto è
andato bene.
Piera Fischetti - Torino
Sono una nonna felice per la
nascita della nipotina Alice, una
bimba bella e sana, che ha por-
tato tanta gioia nella mia famiglia.
La bimba è nata dopo sette anni
dal matrimonio di mio figlio e mia
nuora e varie vicissitudini, perciò
si può ben immaginare quanto
fosse desiderata. Quando tutto
sembrava senza speranza ho
portato a mia nuora l’abitino di
san Domenico Savio con le
preghiere da rivolgere al Santo,
dicendole di affidarsi totalmente
a Lui. Ebbene, dopo alcuni gior-
ni, inaspettatamente, ho ricevuto
una telefonata da mia nuora la
quale mi disse: “È successo un
miracolo!”. La gravidanza è con-
tinuata con mille precauzioni, ma
finalmente è nata Alice, battezza-
ta nella Chiesa dei Salesiani di
Trapani in onore di san Domenico
Savio.
Maria Nicoletta
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Gennaio 2015

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
RENATO BUTERA
siana. Dire “don Bosco educato- dagogici» che proprio alla fine
re” è infatti dire don Braido. Tanti del mese di ottobre ha celebrato
sono i “capolavori” confezionati il suo sessantesimo di pubbli-
dalla sua intelligenza fertile e in- cazione con un Convegno dal
stancabile che si è totalmente de- titolo “Educare è orientare” che
dicata all’approfondimento della si ispirava al primo editoriale
figura di don Bosco e della sua pubblicato sul primo numero
pedagogia in particolare, oltre della rivista, scritto a firma di
che della sua spiritualità. La Con- don Pietro Braido.
gregazione tutta gli riconosce Il trasferimento nel 1965 nella
questo grande merito.
nuova sede attuale dell’Univer-
Il nome di don Braido è poi stret- sità vide anche don Pietro tra i
tamente legato all’Università primi salesiani a rendere lustro
Pontificia Salesiana. Dal 1940, alla nostra istituzione con il la-
viene istituito all’interno della voro di ricerca serio, proficuo
Facoltà di Filosofia di Torino- e di levatura altamente ricono-
Rebaudengo un Istituto di Pe- sciuta ad intra e ad extra della
dagogia guidato da don Carlos congregazione salesiana e del
Leôncio da Silva che dal 1940 mondo accademico nazionale e
al 1952 ne fu direttore. Dal 1956 internazionale. Servizio accade-
l’Istituto Superiore di Pedagogia mico che si concretizzò poi con
poté conferire i gradi accademici la responsabilità di Rettore dal
DON PIETRO BRAIDO
in scienze pedagogiche e diplo- 1974 al 1977 e con la presidenza
mi in pedagogia, didattica, cate- della Facoltà di Scienza dell’E-
Morto a Roma l’11 novembre 2014, a 95 anni
chetica e psicologia. Don Braido ducazione (quattro volte decano
fu uno dei pionieri accanto a come nessun altro!); e servizio
Sembrava che la vita di don questo suo ultimo aggravamento don Leôncio da Silva. Dagli inizi alla fraternità religiosa come di-
Pietro Braido, salesiano di don non lo hanno mai lasciato da solo. degli anni ’50 l’Istituto crebbe rettore della comunità San Fran-
Bosco, non dovesse finire mai, Don Braido aveva compiuto 95 in qualità ed estensione, grazie cesco di Sales per tre anni, dal
che la sua tempra e la sua fibra anni lo scorso 12 settembre. Era appunto a don Braido che coor- 1992 al 1995.
riuscissero a imitare i tempi nato a Conegliano Veneto (Trevi- dinò un gruppo di giovani sale- Con don Braido scompare uno
storici che sono stati oggetto so) nel 1919. Entrato in novizia- siani professori come don Luigi studioso e un maestro di sa-
del suo impegno di ricerca e di to, emise la prima professione Calonghi, don Vincenzo Sinistre- lesianità straordinario, unico.
divulgazione. Ma anche per lui, religiosa a Este (Padova) il 22 ro, don Gino Corallo, don Pietro Quest’anno Bicentenario della
servo buono e fedele, generoso agosto del 1936. Il 16 agosto del Gianola, don Pier Giorgio Grasso nascita di don Bosco e 75° di
e dedicato, impegnato e deter- 1942 si lega per sempre alla con- ed altri professori e collaboratori fondazione dell’Università Sale-
minato, è arrivato il tempo di ri- gregazione dei salesiani di don che proseguirono l’opera sino a siana, don Pietro lo celebrerà in
cevere la giusta mercede. E così Bosco con i voti della professione farla diventare Facoltà di Scien- pienezza “conoscendo” di perso-
don Pietro ha affidato definitiva- perpetua a Villa Moglia (Torino). ze dell’Educazione alla quale si na, così come ci assicura la fede
mente la sua opera di studioso A Torino diventa sacerdote il 6 lu- sono formate schiere di salesiani e l’essere religiosi salesiani, colui
della pedagogia di don Bosco glio del 1947.
e FMA di tutto il mondo.
che per tanti anni ha appassiona-
e della figura di questo grande Il suo nome è legato strettamente Don Braido è anche all’origine tamente studiato e “presentato”.
santo educatore alla storia e alle a don Bosco e all’Università Sale- della rivista «Orientamenti Pe-
Biblioteche di tante case sale-
siane e private. Don Braido si è
spento alle ore 20.30 di martedì
11 novembre 2014.
Da tempo ormai, debole e delica-
tissimo, era ospite dell’infermeria
della Visitatoria UPS, accudito
dalle amorevoli premure delle
suore dei Sacri Cuori e dalle at-
tenzioni dei confratelli della co-
munità San Francesco di Sales di
cui faceva parte, che soprattutto in
Tra le sue pubblicazioni si segnalano:
EDUCAZIONE E STORIA SALESIANA
Il sistema preventivo di don Bosco. Zürich, PAS-Verlag 1964, 2a ed.
Scritti sul Sistema preventivo nell’educazione della gioventù, La Scuola 1965.
Prevenire non reprimere. Il sistema educativo di don Bosco. Roma, LAS 1999.
Don Bosco prete dei giovani nel secolo delle libertà. 2 voll. Roma, LAS 2003.
Don Bosco nella Chiesa a servizio dell’umanità. Studi e testimonianze. Roma,
1987.
Don Bosco educatore. Scritti e testimonianze (a cura di) 2a ed. Roma, LAS
1996.
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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
UN ARTISTA AL SERVIZIO DELLA FEDE
Quando nel 1865 don Bosco dovette scegliere gli artisti per
realizzare il programma decorativo del nuovo complesso de-
dicato a S. Maria Ausiliatrice, eretto tra il 1863 e il 1868 a
Valdocco, il XXX era già molto noto a Torino e altrove. Nato
nel 1824, mise presto in luce la sua predisposizione per l’arte
e seguendo i corsi di pittura all’Accademia Albertina di Torino
ricevette una formazione classicistica e romantica. Grazie alla
Società promotrice di belle arti di Torino cominciò a esporre
opere di soggetti sacri e letterari e a dipingere ritratti importanti per la nobiltà come quello del principe
Umberto, del duca Amedeo d’Aosta o il piccolo ritratto ad acquerello della regina di Sardegna Maria
Adelaide. In seguito molti furono gli incarichi che portò a termine e divenne richiesto per svariate occa-
sioni, primo fra tutti la pala per la chiesa a Piobesi Torinese commissionata per scongiurare una nuova
epidemia di colera. Dopo la mostra della Promotrice dal 1859, abbandonò l’attività espositiva e lavorò
come ritrattista per l’aristocrazia e la borghesia torinesi fino a quando, nel 1868 arrivò il sodalizio con
don Bosco che lo portò a realizzare il suo capolavoro: la grande pala (7 metri per 4) dell’altare maggiore
della chiesa di S. Maria Ausiliatrice dominata dalla raffigura-
zione della Madonna (il cui disegno preparatorio è a Roma
presso l’Archivio salesiano e il bozzetto a Valdocco) ispirata
dai modelli rinascimentali e caratterizzata da uno stile auste-
ro, nonostante la scenografia trionfale. Per la stessa chiesa
realizzò nel 1872 una seconda pala raffigurante S. Giuseppe
con il Bambino e la Vergine in cui le immagini sacre sono
collocate nel paesaggio piemontese dominato dalla chiesa e
dal colle di Superga. Continuò a dipingere fino poco prima
della sua morte, avvenuta nel 1902.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Senza possi-
bilità di rimandare la scadenza - 17.
L’imperatore che sposò Poppea - 18.
Decolla in verticale - 19. Utensili per
lavorare legno o metallo - 20. Con-
siglio Nazionale dell’Economia e del
Lavoro (sigla) - 21. Un grande lago
salato asiatico - 22. Si occupa dello
sviluppo economico d’Europa - 23.
La televisione di stato - 24. È più di
super - 27. Il Domenico che scrisse
Spaccanapoli - 28. Un segno che
moltiplica - 29. Calcio d’angolo - 31.
Caserta (sigla) - 32. Non Dichiarato -
33. Tristi - 35. Rudimenti, basi - 37.
Addetti agli aerostati - 40. La lega per
trombe e tromboni - 41. Concerne, ri-
guarda - 42. È simile all’oca - 43. Au-
gurare successi ancora più grandi…
in latino! - 44. Strade - 45. Ercole le
tagliò le teste.
VERTICALI. 1. Il panettiere la met-
te in cottura in una volta sola - 2. La
grazia che si invocava - 3. Il cemento
può averla rapida - 4. Fiori dai gam-
bi spinosi - 5. Uno a Cambridge - 6.
L’Everett dello schermo (iniz.) - 7. A
volte sono incompresi - 8. Un grido
di esultanza… sportiva! - 9. Valgono
mille miliardi - 10. In mezzo ai peri-
coli - 11. XXX - 12. Matera (sigla)
- 13. Non si chiede alle signore - 14.
I salernitani … per caso cantano a
cappella - 15. Una preposizione -
16. Le isole dette anche Lipari - 20.
Un famoso produttore francese di alta
gioielleria - 23. Riluttante - 25. A
favore di - 26. Colpevolezza - 28.
Pieni di lividi, malconci - 30. Non
più integri - 31. Un noto digestivo a
base di carciofi (i=y) - 33. Fanghiglia
- 34. È affine allo sciacallo - 36. Lo
indica la bussola - 38. Una memoria
del computer (sigla) - 39. La fine delle
carriere! - 42. Il plurale di al.
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LA BUONANOTTE
B.F.
Disegno di Fabrizio Zubani
Gli occhi di mio padre
E ra un ragazzino che amava
tantissimo il calcio e aveva un
padre molto affettuoso che
condivideva la sua passione.
Era piccolo e mingherlino e il
più delle volte doveva fare la
riserva. Anche se il figlio era sempre
in panchina, il padre era sempre tra
gli spettatori a fare il tifo e non man-
cava mai a una partita. Il ragazzo
era ancora il più piccolo della classe
anche al liceo, ma suo padre conti-
nuava a incoraggiarlo.
Il ragazzo riuscì a entrare nella squa-
dra giovanile della città. Non perdeva
mai un allenamento e si impegnava
con tutte le sue forze, ma l’allenatore
continuava a confinarlo in panchina
durante le partite. Suo padre era sem-
pre in tribuna e tutte le volte trovava
le parole giuste per incoraggiarlo.
Il ragazzo era quasi sicuro di non
essere ammesso nella squadra mag-
giore e invece l’allenatore, colpito
dall’impegno che spendeva negli
allenamenti, lo volle con sé.
Pieno di entusiasmo chiamò subito
suo padre al telefono. Suo padre
condivise il suo entusiasmo e si ab-
bonò a tutte le partite. Il ragazzo si
impegnava e si allenava. Ma durante
le partite restava in panchina.
Arrivò l’ultima settimana del cam-
pionato. Con una vittoria, la squadra
poteva essere promossa nella serie
superiore. All’inizio della settimana,
il giovane si avvicinò all’allenatore.
Aveva gli occhi rossi ed era molto
pallido. «Mio padre è morto questa
mattina. Posso saltare l’allenamento,
oggi?» borbottò. L’allenatore gli mise
gentilmente un braccio sulla spalla e
disse: «Prenditi anche il resto della
settimana, figliolo».
Arrivò la domenica e lo stadio era af-
follato come non mai. Era la partita
più importante dell’anno e tutta la
città sentiva l’avvenimento in modo
particolare. La squadra scese in cam-
po per il riscaldamento un po’ prima
dell’orario d’inizio della partita. Con
autentico stupore, videro il ragazzo
con la tuta sulla divisa di gioco che
correva con loro.
La partita ebbe inizio. Si capì su-
bito che gli avversari erano meglio
organizzati e costrinsero la squadra
a barricarsi in difesa. All’inizio del
secondo tempo, il ragazzo si avvicinò
all’allenatore e disse: «Mister, fatemi
giocare, per favore». I suoi occhi erano
pieni di fiduciosa aspettativa. Dolente
per il ragazzo, l’allenatore acconsentì:
«Va bene» disse. «Vai dentro».
Dopo pochi minuti, l’allenatore, i
giocatori e gli spettatori non po-
tevano credere ai loro occhi. Quel
piccolo, sconosciuto ragazzino che
non aveva mai giocato prima, aveva
preso in mano il centrocampo e fatto
salire la squadra. Gli avversari non
riuscivano a fermarlo. I compagni di
squadra cominciarono a passargli il
pallone sempre più spesso. A pochi
minuti dal fischio finale, con un tiro
forte e angolato, segnò il goal della
vittoria.
I compagni lo portarono in trionfo,
gli spettatori, in piedi, lo applaudiro-
no a lungo.
Quando tutti ebbero lasciato gli
spogliatoi, l’allenatore si accorse che
il ragazzo era seduto in silenzio in
un angolo, tutto solo. «Ragazzo, sei
stato fantastico! Come hai fatto?».
Il giovane guardò l’allenatore, con
le lacrime agli occhi, e disse: «Le ho
detto che mio padre è morto, ma lei
sapeva che mio padre era cieco?». Il
giovane deglutì e si sforzò di sorri-
dere, «Papà è venuto a tutte le mie
partite, ma oggi era la prima volta
che poteva vedermi giocare, e volevo
dimostrargli che potevo farlo!».
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5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il Messaggio
del Rettor Maggiore
Salesiani nel mondo
Muchachos y Muchachas
con Don Bosco
Il meraviglioso progetto
di don Juan Linares
L’invitato
Don Bruno Roccaro
Essere salesiani a Cuba
Conoscere
la Famiglia Salesiana
Le Salesiane Oblate
del Sacro Cuore
La discrezione
dell’eroismo
Come Don Bosco
Perché difendiamo
la famiglia
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612658
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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