Bollettino_Salesiano_201407

Bollettino_Salesiano_201407

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IL
LUGLIO
AGOSTO
2014
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Invito
a Valdocco
La basilica
di Maria
Ausiliatrice
Salesiani
nel mondo
Nigeria
Il gigante ferito
L'invitato
Il custode
delle
memorie
salesiane
A tu per tu
I Barabba’s
Clowns
Le case
di don Bosco
Avigliana

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
Il pallone
aerostatico
Sono un piccolo pallone aerostatico. Il
mio corpo è formato da grandi strisce
di carta velina, dai colori molto vivaci.
Quella domenica mattina me ne stavo
rannicchiato in una cassa, insieme
con altri palloni. All’improvviso vidi
arrivare un sacerdote e non riuscii a evitare la
delusione, immaginandomi già appeso sui muri
di una chiesa, impossibilitato del tutto a volare
in alto verso il cielo. Mi sbagliavo, amici miei,
e di grosso. Ci incamminammo per le strade
della città e, dopo un po’, in lontananza, sentii le
voci di un gruppo di ragazzi. Le strade ciotto-
late della città erano ormai lontane e, davanti
a noi, iniziò ad aprirsi un sentiero che saliva su
di un’alta collina. Si sentivano
sempre più forti i canti,
accompagnati da
un tamburo, una
chitarra e una
tromba.
Passò un’oret-
ta e, infine…
eccoci arrivati.
Il sacerdote
appoggiò sopra
di un tronco
d’albero la cassa
contenente noi
palloni e, una
volta aperta, potei
vedere il profilo
della basilica di Super-
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
Marzo 1846. Don Bosco non ha un luogo dove radunar-
si con i giovani. Vagherà per diverse chiese e santua-
ri. Alcuni parroci invitano i ragazzi a mangiare presso
la Basilica di Superga e la festosa giornata termina con
un bel volo di palloni aerostatici (Memorie dell’Oratorio.
Seconda decade, numero 20).
ga e l’immensa spianata che c’è di fronte. E che
sorpresa vedere poi quello stesso giovane sacer-
dote impegnato in un centinaio di giochi: bocce,
trampolini, salto della corda, gare di corsa.
Ma, tutto a un tratto, capii che qualcosa non
funzionava bene. Il giovane prete parlava con
un altro sacerdote, ma a bassa voce. Le loro voci
contrastavano con il chiasso e il rumore che pro-
veniva dai tavoli: “Ci hanno revocato il contratto
di casa Moretta. I fratelli Filippi non vogliono
riaffittarci il prato. Non abbiamo più un posto
dove radunarci”.
Dopo aver mangiato, entrarono tutti in san-
tuario, chiedendo aiuto alla Vergine con canti e
preghiere. Poi tornarono tutti quanti a giocare.
E, infine, arrivò il mio turno: ero la parte
conclusiva della giornata di festa. Dispiegarono
il mio corpo, prepararono un pugno di cotone e
lo arrotolarono con del filo. Gli diedero fuoco e,
piano piano, l’aria calda iniziò a riempirmi.
Mentre spiccavo il volo, non potei fare a meno di
notare che il giovane sacerdote mi stava osser-
vando. Percepivo nei suoi occhi la preoccupazio-
ne di non avere un luogo dove poter radunarsi
con i suoi giovani la domenica dopo.
Anche se noi palloni non sappiamo pregare,
presi su di me il peso di quella preghiera men-
tre salivo verso il cielo e, felice di quel peso, mi
spinsi ben più in alto della quota che solitamen-
te raggiungiamo. Superai il limite del ragione-
vole e, chiaramente, il mio corpo di carta velina
si fece in mille pezzi. Ma non ho dubbi, miei
cari amici: ne è valsa la pena. Qualcuno di voi,
per caso, sa se alla fine il mio sacrificio è valso
perché quel giovane prete trovasse una casa per
i suoi ragazzi?
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IL
LUGLIO/AGOSTO 2014
ANNO CXXXVIII
Numero 7
IL
LUGLIO
AGOSTO
2014
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Invito
a Valdocco
La basilica
di Maria
Ausiliatrice
Salesiani
nel mondo
Nigeria
Il gigante ferito
L'invitato
Il custode
delle
memorie
salesiane
A tu per tu
I Barabba’s
Clowns
Le case
di don Bosco
Avigliana
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina : Le vacanze sono un tempo di gioia
e la gioia, per i salesiani, è uno degli ingredienti
della ricetta della santità secondo don Bosco
(Fotografia Shutterstock).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 EDITORIALE
6 SALESIANI NEL MONDO
Nigeria
10 L'INVITATO
Don Luigi Cei
13 INIZIATIVE
14 FINO AI CONFINI DEL MONDO
16 LE CASE DI DON BOSCO
Avigliana
18 FMA
20 INVITO A VALDOCCO
La basilica santuario
di Maria Ausiliatrice
24 ATTUALITÀ
Salvati dalle acque
28 A TU PER TU
I Barabba’s Clowns
31 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
32 COME DON BOSCO
34 LA LINEA D'OMBRA
36 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Don Bosco e l’onorevole Crispi
38 TESTIMONI
I Cinque di Poznan´
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
10
18
28
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
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Alessandra Mastrodonato, O. Pori
Mecoi, Francesco Motto, Pino
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Tullio Orler (Roma)
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n. 403 del 16.2.1949
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Periodica Italiana

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EDITORIALE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
“Condivido con voi
speranze e desideri“
Sono testimone della moltitudine di progetti
appassionanti dove continuamente,
con pochi pani e pochi pesci, Dio moltiplica
la nostra azione e rende rigogliose le povere
opere delle nostre mani.
Miei cari amici,
un saluto cordiale e affettuoso. In
questi primi mesi, ho incominciato
la visita ad alcune ispettorie e con-
tinuo a conoscere sempre meglio la
realtà concreta della Congregazione
e dell’intera Famiglia Salesiana. Rendo grazie a
Dio per il bene che, in nome di don Bosco, si rea-
lizza in tutto il mondo in favore dei giovani, dei
più poveri e della gente semplice.
Sono felicissimo di condividere con voi speranze e
desideri. Sono a vostra disposizione per continuare
a offrire impulso e sostegno con la mia presenza, il
mio umile servizio e la mia preghiera a quanto lo
Spirito sta suscitando nelle nostre ispettorie.
Il futuro è di Dio e noi lo anticipiamo ogni gior-
no impegnandoci a spalancare le prigioni dell’in-
giustizia, incoraggiando coloro che sono in preda
allo sconforto, sostenendo chi cammina con dif-
ficoltà, condividendo quello che siamo con chi ha
meno o è solo.
Questo è il messaggio del Vivente: la vita nuova se-
condo il cuore di Dio, la dignità dei suoi figli, una
realtà carica di futuro per i piccoli e i poveri. Come
ebbe a ricordare tanto tempo fa sant’Ireneo: «La
gloria di Dio è che l’uomo viva». Questo è anche il
nostro impegno: glorificare Dio nei nostri fratelli
che sono maggiormente nella necessità.
Proprio in questi giorni arrivano notizie terribili
che parlano di persecuzioni dei cristiani in molte
parti del mondo, di violazione dei diritti umani
in zone critiche del pianeta, di maltrattamenti e
sequestri di minori per la loro condizione di don-
ne o per il loro credo. Niente di più lontano dal
piano di Dio! La presenza del Signore Risorto è
luce che rischiara le tenebre e pace che dissipa la
paura. Il messaggio di Cristo Salvatore è di ar-
monia in una creazione nuova liberata dal male
e dall’oscurità. Malauguratamente, il peccato ci
attanaglia e la zizzania soffoca il buon grano. Per
questo noi cristiani con gli uomini e le donne di
buona volontà dobbiamo continuare a impegnar-
ci, in nome di Dio e dei nostri fratelli più vulnera-
bili, per far emergere una realtà nuova più vicina
al progetto di Dio con più opportunità per tutti,
nella quale pur nel «già ma non ancora» risuona
con più forza la pienezza della nuova creazione
che ancora geme nei dolori del parto.
Dobbiamo alzare la nostra voce e unirci alla de-
nuncia profetica che il Santo Padre ha elevato in
questi giorni chiedendo ai potenti di non rimane-
re indifferenti e unire gli sforzi per porre fine alla
barbarie e all’ingiustizia.
Tuttavia non si tratta solo di una questione di
politica degli Stati o di strategie delle Nazioni
Unite. Nella nostra famiglia salesiana, segnata da
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una spiritualità profondamente pasquale, conti-
nueremo a lavorare con tutte le nostre forze per-
ché ci sia sempre più vita, nel nome di Gesù, per i
più piccoli e per gli ultimi. Con il cuore del Buon
Pastore, che si prende cura dei più deboli, prose-
guiremo a realizzare opzioni valide per i giovani
più sfavoriti e in situazione di rischio, come don
Bosco ci ha insegnato e ha voluto.
La chiamata di Francesco a dare slancio ad una
«Chiesa che esca» verso le periferie e i quartie-
ri poveri dove la sofferenza e lo sconforto sono
maggiori, è uno stimolo per la nostra proposta
educativo-evangelizzatrice. Siamo chiamati ad
un nuovo modo di “fare pastorale”: è la rivoluzio-
ne della tenerezza, del chinarsi sui feriti, di acco-
glienza dei lontani, di proposta di cammino per
gli ultimi, di accompagnamento accanto a coloro
che la realtà sociale emargina e abbandona.
Miei cari amici ed amiche, questa è anche la no-
stra proposta.
In questi anni continueremo a lavorare, come
parte di tutta la Chiesa, per rendere più credibile
il nostro modo di vivere e più audace il nostro
annuncio. Questo avverrà nella misura in cui
le nostre scelte saranno più vicine alle esigenze
dei giovani più poveri. Il nostro ultimo Capitolo
Generale ha chiesto ai salesiani di aumentare la
testimonianza della nostra radicalità evangelica.
L’invito può essere esteso a tutta la Famiglia Sa-
lesiana. Seguire Gesù è camminare per la stra-
da della povertà e della vicinanza con gli ultimi.
Come il Maestro, vogliamo passare in mezzo agli
uomini guarendo e liberando. Coloro che porta-
no le piaghe di Cristo impresse nella carne delle
loro esistenze martoriate sono i principali desti-
natari dell’annuncio del Risorto: «Pace a voi!».
Avvicinandoci al Bicentenario della nascita di
don Bosco, il modo migliore di festeggiare il no-
stro Padre è la fedeltà alle sue grandi intuizioni.
Non dubito minimamente che una di esse, che
poi è anche l’impegno vitale per noi oggi, è l’op-
zione preferenziale per i giovani “abbandonati e
in pericolo”. Il messaggio del Signore Risorto,
tornare in Galilea, è tornare alle nostre radici, è
tornare ai giovani poveri. Sono sicuro che “là lo
incontreremo”.
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SALESIANI NEL MONDO
ANS
Nigeria
Nonostante il clima pesante, i salesiani
continuano a lavorare ogni giorno per la
formazione dei giovani e l’educazione alla
ragione, l’amorevolezza e la tolleranza.
Il gigante ferito
Un gruppo di
giovani salesiani
nigeriani durante
una gita.
L’incubo si chiama Boko Haram. È un
movimento di guerriglia feroce, orga-
nizzato in modo sommario, che si pro-
pone di fondare uno stato islamico in
Nigeria e che raccoglie islamisti radica-
li, contadini colpiti dalla siccità e dalla
carestia, giovani disoccupati. Il nome, in lingua
hausa, significa quasi alla lettera “l’educazione
occidentale è male”.
Il sequestro di oltre 200 ragazze, nello scorso
aprile, ha aperto vecchie ferite in Nigeria. “La
situazione generale del paese è delicata, con alta
tensione e un clima di paura, dato che Boko Ha-
ram si muove liberamente e si ha la sensazione
che può colpire in qualsiasi momento e in qual-
siasi parte” spiegano i missionari salesiani che la-
vorano nel paese.
“Le famiglie delle giovani rapite sono molto ar-
rabbiate e molti vogliono andare nella foresta per
recuperare le loro figlie, ma è molto pericoloso”
raccontano. Anche se la popolazione nigeriana ha
molta paura, ogni giorno ci sono manifestazioni
per richiedere la liberazione delle ragazze. “Sono
tutte ragazze cristiane. Molte famiglie cattoliche
nel nord ci contattano per ricevere le loro figlie
nelle nostre scuole e convitti in modo che possano
continuare la loro istruzione” riportano i salesiani.
Nel nord del paese – dove agisce Boko Haram –
molte scuole sono state chiuse per paura. “Resta-
no aperte solo quelle custodite dai militari, anche
se gli stessi soldati temono un attacco da parte di
Boko Haram, con armi pesanti”. Inoltre “molti
cristiani e cattolici sono costretti a lasciare tutto:
terra, case, imprese... e migrare al sud”.
L’intento dei terroristi di Boko Haram è cancel-
lare ogni traccia di civiltà cristiana occidentale.
I salesiani credono che la soluzione del conflitto
è nel dialogo e nella tolleranza. L’educazione alla
pace e alla convivenza sono il modo per sfrutta-
re il grande potenziale della Nigeria, che ha una
popolazione di oltre 110 milioni di persone sotto i
25 anni. I missionari salesiani possono svolgere un
ruolo chiave nel dialogo interreligioso e lo sviluppo
di questo “gigante addormentato”. Per fare questo,
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è necessario lavorare ogni giorno nella formazione
della gioventù e nell’educazione a valori universali
quali la ragione, l’amorevolezza e la tolleranza.
I salesiani in Nigeria
I salesiani sono presenti in Nigeria con sei ope-
re ricche di giovani e di speranza per il futuro.
L’Ispettoria Afw, che comprende Nigeria, Gha-
na, Liberia e Sierra Leone, è giovane per origine
(è stata eretta nel 2004) e per l’età media dei sa-
lesiani: 33 anni. “Nel 2004 i confratelli africani
erano 52, oggi sono 122. Praticamente l’80% dei
confratelli. Abbiamo 16 novizi, 35 postnovizi, 18
tirocinanti e 24 studenti di teologia e un numero
relativamente elevato di salesiani coadiutori: per
ora sono 20, la maggior parte di origine africana”
dichiara l’Ispettore don Jorge Crisafulli.
Don Silvio Roggia, Vicario dell’Ispettoria, è cer-
to che le case salesiane, tutte nel centro-sud del
paese, sono al sicuro: «Fino ad ora non abbiamo
avuto problemi di sicurezza, almeno non più di
quanti ne ha tutta la gente, magari di piccola cri-
minalità, ladri… ma non c’è d’avere angoscia, non
si sente una situazione di paura. La violenza di-
pende da un mix di fattori, purtroppo tutti molto
pericolosi: uno è certamente il fondamentalismo
islamico, che però sappiamo essere spinto da fuo-
ri; poi ci sono da considerare temi economici e
di potere. Il petrolio è una ricchezza enorme, ma
che non è mai stata condivisa dalla popolazione;
forse quella è una lontana radice del problema».
Il signor Paolo Vaschetto, giovane e dinamico eco-
nomo ad Ibadan, aggiunge:
«Può darsi che contribuisca
un fattore geografico: anni fa,
quando alla Presidenza c’erano personalità
dell’Ovest e del Nord del paese, nel Sud c’e-
rano molti rapimenti, mentre il Nord era più
tranquillo; ora che il Presidente è del Sud, sono
finiti i rapimenti, mentre nel Nord assistiamo a
questi fenomeni. E nel 2015 ci saranno di nuovo
le elezioni presidenziali. C’è veramente una gran-
de evoluzione. Essendo la Nigeria una Repubblica
Federale, molti stati si sono mossi in maniera au-
torevole e autonoma: quello di Lagos, ad esempio,
grazie ad una buona amministrazione, vede una
condizione ambientale nettamente migliorata ri-
spetto al passato; e questo ha creato emulazione e
si vedono risultati evidenti.
Socialmente, l’arricchimento ha toccato i seg-
menti più agiati, la classe media non è ancora
sorta, mentre i poveri sono veramente tanti e pur-
troppo per loro non si fa molto, non c’è ancora un
vero progetto per sradicare la povertà.
In ogni caso i giovani della Nigeria – e di tutta l’A-
frica Occidentale – sono molto simili ai loro coe-
tanei a livello globale, non fosse altro per il fatto
di avere un telefono sempre in tasca e in comu-
nicazione con tutto il mondo. Certamente il “so-
gno americano” è molto attraente per loro: gli Stati
In alto: Il salesiano
Paolo Vaschetto
con alcuni
dei bambini
dell’oratorio.
Sotto: Una scuola
professionale.
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SALESIANI NEL MONDO
Le opere salesiane
in Nigeria puntano
molto sulle scuole
professionali.
Uniti, ma anche l’estero, in generale, rappresenta-
no un sogno, perché c’è molta disoccupazione.
Noi salesiani, perciò, cerchiamo di rispondere at-
traverso l’educazione: quella tecnica, che crea le
figure tecniche intermedie adatte per le – poche
– industrie presenti. E poi l’educazione ai media,
dato che ormai i ragazzi vengono educati dai mass
media. Abbiamo avviato programmi di comuni-
cazione sociale: pagine sui social network, riviste,
documentari e l’esperienza dell’art. 43 – con uno
studio audiovisivo – che sta andando molto bene,
perché parla ai giovani nel loro linguaggio ed è
accessibile e condivisibile in rete. E così anche la
rivista “Youth.com”, che cerca di avvicinare i gio-
vani ai valori, al rispetto della vita, alla teologia
del corpo di Giovanni Paolo II».
Uno dei tanti
coloratissimi
mercati nigeriani.
In uno di questi,
l’ispettore don
Crisafulli celebrò
una Messa a
sorpresa.
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LA PRESENZA SALESIANA TRA I MUSULMANI
Don Michael Karikunnel, salesiano dell’India, missionario in Africa
da circa 30 anni. Attualmente si trova in Nigeria, teatro in questi
ultimi tempi di sanguinosi attentati alle comunità cristiane. Don Ka-
rikunnel spera di poter aprire a breve una scuola professionale a
vantaggio dei giovani poveri e disoccupati di Lagos.
Quale pensa possa essere la maniera migliore
per dialogare con i credenti musulmani?
Penso che dovremmo cambiare atteggiamento verso le religioni, la
fede, le persone e avere una totale apertura a ricercare la verità e
arrivare a trovarla! Poi si tratta di incoraggiare e sostenere i prin-
cipi democratici e le regole stabilite dalla legge, preservare la pace
interna e la tolleranza religiosa. Bisogna capire che il dialogo è per
tutti quanti l’unica maniera per vivere felicemente, come figli di Dio,
in questo breve lasso di tempo che ci è stato dato da vivere sulla
terra. Siamo parte della grande famiglia di Dio. La ricerca di Dio è
uguale per musulmani e cristiani, facciamo lo stesso viaggio: tutti
cerchiamo la verità e questo è qualcosa che ci accomuna.
Un ruolo fondamentale lo ricopre l’educazione: se la popolazione vie-
ne guidata, educata, diventa capace di pensare in maniera diversa,
di vedere le cose nella loro interezza: questo facilita molto il dialogo.
Quali sono i principali problemi
con i quali dovete confrontarvi?
E le maggiori soddisfazioni?
Una mente chiusa è la noce più dura da aprire. Dobbiamo esse-
re onesti abbastanza da accettare la realtà. Per questo dobbiamo
allenare le nuove generazioni ad essere fortemente patriottiche, a
costruire atteggiamenti positivi, ad avere una grande fiducia in se
stessi. Il numero di giovani poveri e disoccupati è allarmante; non
riescono a trovare alcuna luce attorno a sé e questo li porta alla
frustrazione, che può diventare uno stimolo alla violenza.
D’altra parte, positivamente, ci sono molti giovani, musulmani e
cristiani, che educhiamo, che stanno facendo molto bene, e loro
stessi sono felici. Quando ero Preside scolastico avevo alcuni
animatori di fede islamica ed erano assolutamente inseriti nelle
attività, rispettosi della disciplina, concentrati nel raggiungere gli
obiettivi condivisi.
Che cosa possono fare per voi la Comunità
internazionale e i cristiani nei paesi
occidentali?
Beh, innanzitutto credo che la preghiera sia davvero molto impor-
tante, perché Dio può far nascere la pace nel cuore delle perso-
ne. Ma oltre a questo credo ci si debba impegnare per rafforzare i
principi democratici e perché le istituzioni diano pari opportunità a
tutti. Bisogna anche supportare in tutti i modi l’educazione formale
e professionale dei bambini e dei ragazzi, specie di quelli pove-
ri, perché il sistema scolastico spesso è al collasso e il futuro dei
ragazzi è davvero incerto, oscuro, per cui bisogna lavorare per la
sua riorganizzazione. E per finire, aiutare la crescita dei leader loca-
li, educandoli alle dinamiche della società pluralistica, nella quale
convivono genti di diverse fedi e culture e gruppi etnici differenti.
Al mercato di Abuja
“Papa Francesco invita a uscire, senza paura, per
servire; invita a superare l’autoreferenzialità e a
raggiungere le periferie al servizio dei sofferenti,
dei non amati e dei dimenticati”. Con questo rife-
rimento don Jorge Crisafulli ha iniziato a parlare,
nella “buona notte” di martedì sera, della propria
esperienza di Superiore dell’Ispettoria dell’Africa
Occidentale Anglofona (afw).
E ha precisato: “Nel nostro quarto Capitolo
Ispettoriale abbiamo deciso di fare passi concreti
su questa linea: portare la Chiesa nel mercato e
Cristo nelle prigioni, dove tanti giovani hanno
atteso don Bosco per lungo tempo”.
Significativa l’esperienza di confessare e celebra-
re la messa nel mercato. Racconta don Crisafulli:
“Arrivammo verso le 10. Mi sedetti su una sedia
pensando che nessuno avrebbe interrotto i suoi
affari per venire a confessarsi. Invece, con mia
grande sorpresa, la gente cominciò a venire e a
inginocchiarsi sotto il sole tropicale di Abuja.
Nel mentre, era stato preparato un baldacchino;
arrivò poi un piccolo amplificatore e così iniziai
la Messa… pensate, più di 200 persone interrup-
pero i loro affari e parteciparono alla messa in un
giorno di mercato! Dopo la celebrazione alcuni
mi si avvicinarono e mi chiesero di benedire il
loro negozio”.
In alto:
Don Michael
Karikunnel,
Delegato
ispettoriale
per la Nigeria.
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L’INVITATO
O. PORI MECOI
Il custode delle
memorie salesiane
Incontro con don Luigi Cei
Direttore dell’archivio della congregazione
Può farci una sua
autopresentazione?
Sono nato a Torino il 13 ottobre 1944.
Ho frequentato la Scuola Salesiana
di Torino-Borgo S. Paolo dalla classe
5a delle elementari alla classe 3a del-
le medie inferiori. Successivamente,
nel periodo 1959-1973, ho vissuto il
tempo della mia formazione alla vita
religiosa salesiana e sacerdotale: Aspi-
rantato a Chieri – Noviziato a Pine-
rolo – Studentato Filosofico a Fogliz-
zo Canavese – Tirocinio a Chieri e a
Peveragno – Studentato Teologico a
Torino-Crocetta. Le mie Case di per-
manenza: Chieri (1973-1978): catechi-
sta ed insegnante di materie letterarie,
e cappellano delle Benedettine. Tori-
no-Valdocco (1978-1993): segretario
ispettoriale dell’Ispettoria Subalpina e
del Comitato Cism. Roma-Casa Ge-
neralizia (dal 1993): archivista dell’Ar-
chivio Salesiano Centrale.
Che cosa si cela sotto
l’espressione Archivio
Salesiano Centrale?
Innanzitutto una disposizione di
don Bosco che, nel mese di aprile
del 1874, stabilì che venisse adibita
nell’Oratorio San Francesco di Sales
di Valdocco una stanza ove raccoglie-
re le carte più importanti della Pia
Società Salesiana. Addetto a questo
incipiente Archivio della Congrega-
zione Salesiana, posto presso la came-
ra da letto di don Bosco, fu don Gioa-
chino Berto. Ravvisiamo in questo
fatto la nascita dell’Archivio Salesia-
no Centrale. Esso raccoglie gli atti e i
documenti che riguardano il governo
centrale della Congregazione. Serve
principalmente al Rettor Maggiore
e al suo Consiglio e ai Dicasteri che
compongono la Direzione Generale.
È accessibile agli studiosi che ne fac-
ciano richiesta, a determinate condi-
zioni.
Qual è il suo compito come
Direttore dell’Archivio?
È quello di gestire il governo ordina-
rio dell’Archivio; di organizzare il la-
voro del personale; di dare facoltà agli
studiosi di accedere ai documenti per
loro ricerche, studi e tesi; di tenere le
chiavi dell’Archivio stesso e di fare sì
che ne sia osservato il Regolamento.
Quali sono le dimensioni
di questo Archivio?
L’Archivio Salesiano Centrale rac-
coglie le documentazioni della storia
della nostra Congregazione a partire
dalla persona di don Bosco e dal suo
carisma nella Chiesa. Tutte le docu-
mentazioni sono raccolte in unità or-
ganizzate a livello di contenuti. Detti
contenuti hanno la denominazione di
“Fondo Archivistico”. Sono molto nu-
merosi i nostri Fondi Archivistici. Ne
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2.1 Page 11

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cito solo alcuni: il Fondo Don Bosco,
quello dei Santi e Beati della nostra
Famiglia, delle Missioni Salesiane,
della Devozione a Maria Ausiliatri-
ce, dei Confratelli defunti, dei nostri
Rettori Maggiori. Ne seguono molti
altri. Tutti i Fondi Archivistici sono
elencati nel nostro Titolario dell’Ar-
chivio, con loro specifico numero di
classificazione, cui ci riferiamo per il
lavoro dei singoli documenti.
Quali sono i tesori
di memoria più preziosi
che contiene?
Gli scritti di don Bosco: le sue lette-
re, le sue Memorie dell’Oratorio di S.
Francesco di Sales, il suo Testamen-
to Spirituale, la “Lettera da Roma”,
i suoi consigli ai Missionari della
prima spedizione missionaria, il suo
Breviario che conserviamo, e tanti
altri tesori. Ma anche scritti di don
Rua, di san Domenico Savio, dei san-
ti martiri don Versiglia e don Carava-
rio. Abbiamo pure un tesoro prezioso
nel Fondo Archivistico delle Figlie di
Maria Ausiliatrice. Memorie quanto
mai preziose sono raccolte nel Fondo
Archivistico dei Confratelli defunti,
in cui sono posti tesori di fedeltà alla
vocazione religiosa, molti dei quali
ancora da scoprire.
come più importante in senso asso-
luto. Certamente, fra le documenta-
zioni di cui sopra, dobbiamo riferirci
alle Memorie dell’Oratorio di San
Francesco di Sales, scritte di propria
mano da don Bosco, ove possiamo
leggere i racconti del suo incontro con
Bartolomeo Garelli nella Chiesa di
San Francesco d’Assisi di Torino l’8
dicembre 1841, del proprio sogno dei
9 anni, del suo viaggio a piedi con
Mamma Margherita dai Becchi a
Valdocco in una fredda giornata del
novembre 1846. E ancora: due pagi-
ne da lui scritte di propria mano con
richiesta di preghiere per il giorno
della sua morte e sull’avvenire della
nostra Congregazione. I 20 ricordi
ai Missionari della prima spedizio-
ne per l’Argentina dell’11 novembre
1875, scritti in matita. Non possia-
mo dimenticare la letterina scritta da
Domenico Savio al suo papà dall’O-
ratorio di Valdocco, in cui Domenico
esprime la sua soddisfazione per avere
potuto parlare con don Bosco per ben
un’ora. E molti altri.
C’è anche una parte
“segreta” o è tutto
consultabile?
C’è una parte “riservata”, che, per
sua natura di contenuti, situazioni
e circostanze, è conservata in forma
particolare, anche come struttura ma-
teriale. Ricordo in particolare che lo
studio che riguarda Confratelli de-
funti è possibile solo dopo almeno 50
anni dalla morte del Confratello di
cui parla. Per quanto riguarda il ma-
teriale archivistico consultabile dagli
studiosi, ciò è codificato nel Regola-
mento dell’Archivio Salesiano Cen-
trale con determinati criteri e norme,
cui noi Archivisti dobbiamo attener-
ci, anche mediante elementi di regi-
strazioni e schedature, ai sensi della
Disciplina Archivistica.
Qual è il più importante
di tutti?
Non mi sentirei di qualificare una
realtà archivistica del nostro Archivio
Don Luigi Cei al suo tavolo di lavoro. «Don Bosco
stesso, nel 1874, stabilì che ci fosse una stanza
ove raccogliere le carte più importanti della Pia
Società Salesiana».
Luglio/Agosto 2014
11

2.2 Page 12

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L’INVITATO
Sente la responsabilità
di custode delle memorie
salesiane?
Devo dire che sento molto questa
responsabilità. Prima di tutto per
motivi di tanta gratitudine, come
salesiano, a quanto don Bosco ha
fatto per i giovani e per la Chiesa e
che è raccolto nella documentazione
dell’Archivio. Ma anche per motivi
di responsabilità “professionale” in
senso stretto: la integra conservazio-
ne dei documenti, l’attenzione nei
confronti degli studiosi e dei ricer-
catori, la disamina che occorre fare
con intelligenza e prudenza di fron-
te a richieste di ricerche. A questo
riguardo devo dire che sono molto
aiutato e sostenuto dal personale che
collabora con me nel lavoro archivi-
stico.
Quali sono i problemi?
I problemi, direi, sono equiparabili a
sforzi di attenzione per la salute dei
documenti (mantenere efficienti le
strutture tecniche di lavoro e gli im-
pianti tecnici volti a conservare una
vera salute fisica dei documenti): in
questo siamo anche assistiti da speci-
fico personale tecnico. Aggiungerei la
cura di gestire a dovere la consulta-
bilità degli studiosi ai documenti, in
conformità alla disciplina archivisti-
ca: cosa che a volte ci richiede anche
qualche fatica.
Sono molti i visitatori?
Oltre ai Ricercatori e Studiosi in
senso stretto che vengono a fare stu-
di per i loro lavori professionali (cir-
ca una trentina-quarantina all’anno),
La prima pagina del Sistema Preventivo vergata
dalla mano di don Bosco.
abbiamo anche dei veri Visitatori,
cioè coloro che, per motivi di lavo-
ro o di formazione culturale, desi-
derano visitare l’Archivio Salesiano
Centrale. Ci sono dei Visitatori – di-
ciamo così – di categoria “abituale”
e in periodi già previsti, ad esempio
un Corso di Suore fma Studenti
nel Corso di Formazione della Casa
Madre Canta di Roma (circa 30)
che vengono nel mese di settembre
di ogni anno. I Novizi di Genzano
e di Pinerolo, che vengono nel mese
di aprile di ogni anno. Gli Ispettori
e i Direttori di recente nomina, che
vengono a visitare il nostro Archivio
durante i loro Corsi di Formazione
tenuti qui a Roma. Confratelli che,
per motivi diversi, prendono parte a
Corsi e Convegni che si tengono in
Roma. E ci sono anche dei Visitato-
ri che vengono in circostanze varie
e diverse. Per esemplificare: Confra-
telli di passaggio alla Casa Genera-
lizia, Familiari e parenti di Confra-
telli che vengono nella nostra Casa,
Religiosi e Religiose impegnati in
lavori di Archivio, che desiderano
ampliare le loro conoscenze in mate-
ria archivistica.
Com’è nata
la sua vocazione?
Ero allievo dell’Istituto Salesia-
no San Paolo di Torino (dalla 5a
elementare alla 3a media), dove i
salesiani ci formavano con molto
impegno sia nell’àmbito scolastico,
quanto nel senso del dovere e nella
pratica religiosa. Durante questo pe-
riodo sentivo che il Signore mi stava
facendo un bellissimo dono: quello
di chiamarmi alla vita religiosa e sa-
cerdotale. Così, terminata la 3a me-
dia, andai a Chieri nell’Aspirantato
Salesiano San Luigi, poco distante
dal Seminario nel quale studiò il
chierico Giovanni Bosco. Fu molto
doloroso il distacco dai miei genito-
ri, specialmente per la mia mamma,
essendo io figlio unico.
Perché proprio salesiano?
Essendo stato allievo per quattro an-
ni dell’Istituto Salesiano di Torino-
S. Paolo, mi riuscì naturale il fatto di
iniziare il mio cammino vocazionale
proprio con i salesiani: ne dico grazie
a Dio ancora oggi.
Quale messaggio vorrebbe
mandare alla Famiglia
Salesiana?
Avere sempre vivo il senso della gra-
titudine a Dio per la vocazione che
Egli ha dato a ciascuno di noi e rite-
nendo la nostra persona come docile
strumento nelle Sue mani per fare
della nostra vita un vero dono.
12
Luglio/Agosto 2014

2.3 Page 13

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INIZIATIVE
MAURIZIO PALAZZO
Affinché il sogno di don Bosco
possa volare ancora!
In occasione delle celebrazioni
per i 200 anni dalla nascita di san
Giovanni Bosco per l’anno 2015,
l’Ispettoria Salesiana Piemonte-
se rende omaggio al suo Fondatore
con un progetto teatrale innovati-
vo: raccontarne l’esistenza, il messag-
gio e l’opera in presa diretta, attraverso
un viaggio nel tempo, e portando gli
spettatori direttamente all’epoca della
nascita di Valdocco, per un incontro
personale con il grande santo.
Un obiettivo ambizioso realizzato attra-
verso l’unione sapiente di tutte le Arti
di cui il Teatro si può avvalere: musica
eseguita rigorosamente dal vivo (con
un’orchestra classica di giovani musi-
cisti), danza, recitazione, canto, regìa e
arti sceniche, tutto per completare un
lavoro che si propone di ricordare la
grande eredità lasciataci da don Bosco...
La compagnia teatrale “Nuove Di-
rezioni” di Brandizzo, fondata dal
regista Alberto Casale e composta
da un gruppo di giovani entusiasti
e freschi, raccoglierà questa sfida,
rendendo vivi e avvincenti i dialo-
ghi, i testi e le musiche di questo im-
ponente lavoro, scritto interamente
da sacerdoti e consacrati salesiani.
Attraverso il duro lavoro di ciascu-
no, attraverso i sacrifici volontari e
costanti che uno spettacolo rigorosa-
mente dal vivo impone, senza retri-
buzione né scopo di lucro, si costrui-
rà l’allestimento, il 23 e 24 gennaio,
del musical “Giova(n)ni d’oggi”.
Sarebbe bello poterlo proporre, con il
concorso delle forze salesiane, anche
oltre Valdocco: all’interno della locale
gmg dei giovani a Torino per l’Osten-
sione della Sindone, presso l’accoglien-
te sagrato della basilica del Colle don
Bosco, tra le braccia della ricca tradi-
zione di Roma o di altri importanti
centri dove il carisma salesiano si è ra-
dicato… tutto questo stiamo sognan-
do, e continueremo a farlo… ma c’è un
piccolo problema: fare teatro costa.
Allora... Dateci una mano!...
Aiutateci con un contributo...
L’affitto dei Teatri, la realizzazione
tecnica delle scenografie, dei costumi,
l’acquisto delle attrezzature elettroni-
che, audiovisive, di effetti speciali ecc.
necessitano di investimenti economici
di una certa entità. Non volendo pesare
sulla Congregazione, né volendo stor-
nare su questo progetto risorse econo-
miche che vengono molto più appro-
priatamente utilizzate per la carità e il
bene comune, lanciamo questo appello
alle Istituzioni culturali, alle Imprese,
ma soprattutto alla famiglia salesiana
tutta: lasciate che la goccia possa al-
meno sperare di diventare mare!
Dall’ammontare dei contributi di chi
potrà aiutarci dipenderà la possibilità
di mettere in scena nei teatri italiani
un evento atteso e preparato. Il canale
di raccolta è il cc qui sotto indicato:
IBAN IT 41 C 03069 01005 100000107951
intestato a:
Circoscrizione Maria Ausiliatrice Piemonte
e Valle d’Aosta
Via Maria Ausiliatrice, 32 - 10152 Torino
Causale: Musical Giovanni d’oggi
Luglio/Agosto 2014
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2.4 Page 14

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FINO AI CONFINI DEL MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
ZAMBIA
Programma di
auto-conoscenza
per adolescenti
(ANS - Lufubu) – La
realtà di Lufubu, un
villaggio dello Zambia, è segnata da scarso
sviluppo socio-culturale e i giovani spes-
so risentono di questo clima. Per questo,
ai primi di maggio i salesiani locali e un
gruppo di esperti giunti da Lusaka-Kabwe
hanno organizzato una settimana di auto-
conoscenza sul tema “Fare scelte di vita”,
partecipata da circa 120 adolescenti inseriti
in un programma di adozione a distanza.
“Conosci te stesso, sappi sempre dove ti tro-
vi, fai del tuo meglio per raggiungere i tuoi
obiettivi” è stata una delle indicazioni offer-
te ai ragazzi dai formatori. Così, nonostante
un po’ di timidezza iniziale, attraverso
l’Eucaristia quotidiana, qualche escursione,
le testimonianze e gli interventi degli spe-
cialisti e numerosi colloqui e dibattiti sulle
difficoltà e i successi della vita quotidiana,
i ragazzi hanno compreso gli atteggiamenti
migliori per affrontare i problemi e prendere
delle decisioni valide.
INDIA
Incontro
dei giovani
rifugiati
di Nuova Delhi
2014
(ANS - New Delhi) –
Anche quest’anno si
è rinnovato l’incontro
dei giovani rifugiati di
Nuova Delhi, uno degli
appuntamenti più attesi
ogni anno da tutti i minori
che sperimentano questa
condizione. Svoltosi lo
scorso 10 maggio presso
la scuola Don Bosco di
Alaknanada, a Nuova
Delhi, ha riunito oltre
1000 bambini e ragazzi,
provenienti da 12 club
giovanili. Le attività sono
consistite in diverse
competizioni di canto,
danza tradizionale, teatro,
mimica e cinema.
Tutta la giornata,
organizzata dai salesiani
in collaborazione con
l’Alto Commissariato
delle Nazioni Unite per i
Rifugiati (UNHCR), si è
sviluppata attorno al tema
“Gioventù - Agente di
Trasformazione”.
PERÚ
Campagna
medico-
umanitaria
nella zona
missionaria
di Pucallpa
(ANS - Pucallpa) – Dal 2005 la Fondazione
Don Bosco del Perù, insieme con l’Orga-
nizzazione umanitaria Ulysse, sta condu-
cendo delle campagne mediche per miglio-
rare la qualità della vita delle persone che
vivono in estrema povertà in varie regioni
del paese. Nello scorso maggio a Pucallpa si
è conclusa una campagna medico-chirurgica
che ha portato in totale alla realizzazione di
80 interventi (operazioni allo stomaco, alla
vescica, rimozioni di ernie e lipomi). Queste
campagne medico-umanitarie sono ormai
diffuse in diverse parti del Perù, laddove i
salesiani svolgono o hanno svolto attività
missionaria: San Lorenzo, Pucallpa, Cu-
sco, Pisco e Piura. Esse hanno luogo grazie
alla collaborazione di medici professionisti
volontari, e poiché le necessità della popola-
zione sono tante e i pazienti in lista d’attesa
ancora di più, è già stata programmata
un’altra campagna a Lima per gli inizi del
prossimo novembre, che andrà a beneficio
di circa 200 persone.
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Luglio/Agosto 2014

2.5 Page 15

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GIAPPONE
80°
anniversario
dell’Asilo
Don Bosco
di Arakawa
(ANS - Tokio) – Nel distretto di Arakawa,
uno dei 23 distretti di Tokio, disteso su
un’area di 10,2 km² e abitato da 200 000
persone, sorge da 80 anni l’opera salesiana
“Asilo Don Bosco”. La struttura ha sempre
costituito un avamposto salesiano nell’edu-
cazione ed evangelizzazione dei più piccoli
e, trovandosi in un’area ad alta densità
abitativa, ha potuto diffondere il messaggio
cristiano e il carisma salesiano tra mol-
tissime persone. Lo scorso 10 maggio, in
occasione delle celebrazioni per l’anniver-
sario, è stato anche benedetto ed inaugu-
rato un nuovo edificio per i bambini di età
prescolare (0-5 anni). Durante la giornata di
festa è stato reso omaggio alle maestre del
centro; e don Yohane Namiki, sdb, respon-
sabile dell’attigua parrocchia, ha ribadito
l’importanza della collaborazione tra le due
strutture salesiane.
SIERRA LEONE
Prosegue
l’impegno
di Don Bosco
Fambul
per i detenuti
(ANS - Freetown) – L’orga-
nizzazione non governativa
“Don Bosco Fambul”, dei
salesiani di Freetown, si
è impegnata a costruire
un pozzo industriale per
i detenuti della prigione
“Pademba”, la principale
della città, dove sono
reclusi molti giovani.
Il progetto, parte di un
programma d’interventi
più ampio elaborato da
Don Bosco Fambul per
i detenuti di Pademba,
porterà all’interno delle
mura carcerarie 60 000 litri
d’acqua al giorno, 40 per
ogni carcerato. Il pozzo
permetterà di affrontare la
scarsità d’acqua corrente
che attualmente costitui-
sce una seria minaccia
all’igiene dei detenuti e
al loro diritto a vivere in
condizioni dignitose. Per
la prima fase del progetto
sono già stati raccolti da
vari donatori 50 000 euro.
FRANCIA
Il liceo salesiano
di Ressins
s’impegna
nella solidarietà
per il
Madagascar
(ANS - Roanne) – A metà del loro anno sco-
lastico 3 allievi del liceo salesiano di Ressins,
a Roanne, hanno compiuto un viaggio di 15
giorni in Madagascar, per realizzare un gesto
concreto di solidarietà e al contempo ricevere
un’iniziazione ai temi dello sviluppo.
Durante il viaggio, accompagnati dal sa-
lesiano coadiutore Alain Perrot e sostenuti
dall’associazione “Amitié Marhabata”, i
ragazzi hanno incontrato Monique Mouge-
not, responsabile di un’organizzazione che
si occupa degli orfani, che ha saputo fornire
suggerimenti utili e indicazioni pratiche sulla
realtà locale; e padre Justin, della Caritas, che
ha saputo facilitare i contatti e le operazioni
del gruppo di volontari.
Dopo aver visitato varie associazioni con-
tadine, il gruppo ha deciso all’unanimità
di assegnare 800 a due organizzazioni di
agricoltori, per l’acquisto di due zebù, un ara-
tro e delle attrezzature agricole, e di donare
altri 1200 entro il prossimo anno.
Luglio/Agosto 2014
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2.6 Page 16

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LE CASE DI DON BOSCO
LINDA PERINO
Avigliana
La dolce serenità
della contemplazione
Costruito intorno ad un’antica immagine
di Maria, amatissima e venerata dalla gente,
un antico convento, incastonato tra lago
e montagne, è stato trasformato dai salesiani
in un centro di spiritualità molto apprezzato
Il santuario
con l’annessa
casa di spiritualità
si affaccia
sul grazioso
Lago Grande
di Avigliana.
Era da poco passato l’anno Mille. Quando
il monaco Guglielmo si affacciò per la pri-
ma volta a contemplare il panorama che
si gode dalla vetta del Monte Pirchiriano,
su cui sorge la Sacra di San Michele, fu
preso da autentico entusiasmo. Impugnò
la penna e scrisse: “II luogo è lontano da ogni
impaccio e qui non strepito d’uomini e animali;
non frastuono, non ruggiti. La pianura d’Italia,
gioconda di laghi e fiumi, vi si stende a far lieti
gli sguardi umani. Gli inverni vi sono tiepidi e
l’estate rassomiglia a primavera. Fra tale e tanta
quiete la mente dei servi di Dio esclama giuliva:
‘Grande è il Signore!’”.
Nel vortice dei secoli
Anche per questo forse, da sempre, uomini e ani-
mali l’hanno scelta per viverci.
La rapacità della vita moderna e il disordine ur-
banistico sembravano condannare ad una morte
sicura anche i due laghi, incastonati in una zona
ricca di boschi, come due schegge di cielo. E in-
vece, grazie alla buona volontà di alcuni, il cie-
lo può ancora specchiarsi nei due piccoli laghi, e
germani reali, folaghe, alzavole, gallinelle d’acqua
e aironi cinerini, possono ancora tuffarsi e nidifi-
care in pace. Tutto a una manciata di chilometri,
esattamente ventotto, dal centro di Torino.
E può ancora specchiarsi, nell’acqua sempre tre-
mula del Lago Grande, il Santuario della “Ma-
donna dei Laghi”. Una chiesetta gentile, che
sembra richiamare e accogliere i viaggiatori della
statale. Un pensiero di pace e di speranza po-
sato sul bordo del lago come una farfalla su un
fiore. Accanto al santuario, costruito intorno ad
un’immagine dolcissima di Maria, come un cor-
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Luglio/Agosto 2014

2.7 Page 17

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po intorno al cuore, un convento
grazioso e funzionale dove i sale-
siani accolgono chi vuoi fermarsi
anche poco tempo per ritrovare le
vie dello Spirito.
Dall’alto, in bilico come un’aquila
sulle rocce del Monte Pirchiria-
no, la Sacra di San Michele tutto
osserva. La leggenda racconta che
lassù l’hanno costruita gli angeli.
Il santuario ricevette anche doni
preziosi, che ancora oggi sono
una dotazione di grande pregio
artistico del santuario. Il primo
importante dono sabaudo al santuario è da far ri-
salire al 1581, quando il duca Carlo Emanuele I
offrì alla primitiva cappella le quattro tavole del
polittico che formavano, allora come adesso, l’an-
cona dell’altare maggiore. La dolcissima immagi-
ne dell’Annunziata ha colpito, più delle altre del
complesso, la fantasia popolare. Compare in tutti
gli ex voto del santuario, anche nei più antichi.
I ragazzi di don Bosco
Don Bosco conosceva molto bene il santuario
della Madonna dei Laghi. Qui facevano la tappa
del pranzo i giovani che andavano a piedi al pic-
colo seminario di Giaveno per gli Esercizi Spiri-
tuali.
Nel 1855, con la Legge Rattazzi, i Cappuccini
furono costretti a lasciare il convento. Nel 1892,
il beato Michele Rua, primo successore di don
Bosco e superiore dei salesiani, acquistò la pro-
prietà del Santuario e del convento. La casa di-
venne successivamente casa di riposo per salesiani
anziani, casa di formazione per i salesiani fran-
cesi cacciati dalla forzata secolarizzazione, casa
di formazione per vocazioni adulte, collegio per i
ragazzi e infine casa di spiritualità.
Rileggendo la storia del luogo e l’intreccio di
preghiera e grazia, ancora oggi il Santuario e la
comunità che lo anima con il ministero, offro-
no a coloro che lo desiderano un
cammino liturgico e la possibilità
di ritrovare se stessi nel silenzio,
nel confronto e nella meditazio-
ne. Sono organizzati momenti
formativi, corsi di Esercizi Spi-
rituali oltre che l’accoglienza di
gruppi che vogliono approfittare
del luogo per un tempo di ritiro
spirituale. L’antico convento an-
nesso al Santuario è stato rinno-
vato. Dispone di 25 camere con
servizi, cappella, sale per raduni,
salone coperto, cortile, giardino e
parco che fiancheggia il lago.
La casa è aperta tutto l’anno e accoglie persone
di ogni categoria, in particolare gruppi giovanili,
per esercizi spirituali, ritiri, convegni e altre atti-
vità a carattere formativo e religioso.
In mille anni, molte cose sono cambiate, ma non
quell’impressione di dolce serenità, quel tocco
leggero di religiosa contemplazione, che ancora
oggi aleggia sulla zona dei laghi di Avigliana.
Contatti:
Santuario Madonna dei Laghi
Centro di Spiritualità
Tel.: 011 9327406 direzione - 011 9328266
email: direttore.avigliana@salesianipiemonte.it
A sinistra:
La magnifica
e preziosa
pala dell’altare
maggiore.
Sotto: Un angolo
del chiostro.
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2.8 Page 18

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FMA
EMILIA DI MASSIMO
Servizio civile volontario
Straordinario
come voi giovani
Il Vides Italia (Volontariato
Internazionale Donna
Educazione Sviluppo) è
una ONG impegnata per la
promozione socio-culturale
di donne, giovani e bambini
disagiati ed è, da anni,
accreditato come Ente di
1 classe per il Servizio a
Suor Giovanna Montagnoli (a sinistra). A pagina
Civile Volontario Nazionale seguente: Cristina e alcune delle sue “protette”.
Incontro suor Giovanna Montagno-
li, delegata nazionale, per cercare
di capire che cosa significhi que-
sta esperienza: «Il Servizio Civile
Volontario nazionale è rivolto a
ragazze e ragazzi dai 18 ai 29 anni,
che desiderano vivere un cammino di
crescita personale, impegnandosi in
un servizio educativo per promuovere
una cittadinanza attiva. È un’espe-
rienza di vita, un anno di attività che
ha tra i suoi principali obiettivi quello
di contribuire alla formazione civica,
sociale, culturale, professionale dei
giovani. Per questo i momenti forma-
tivi rivestono un ruolo di particolare
importanza. Pensati quali autentico
momento di maturazione e crescita
personale, toccano tematiche di ele-
vato spessore conoscitivo e umano:
cittadinanza attiva, educazione alla
pace, difesa civile della Patria non ar-
mata e non violenta, Sistema preven-
tivo di don Bosco, intercultura».
C’è anche un gruppo di giovani vo-
lontarie e volontari. Concetta viene
da Catania: «Sono passati alcuni mesi
dall’inizio del Servizio Civile, ho tro-
vato una casa che mi ha accolto, una
contagiante vitalità dei ragazzi che mi
ha travolta, un bellissimo gruppo di
“colleghi” fin da subito unito. È un’e-
sperienza arricchente, sostenuta dagli
insegnamenti e dalla guida amorevole
di chi si prende cura di noi in questo
percorso».
Federica spera che il Servizio civile
possa aiutarla a diventare migliore
perché «nonostante le difficoltà che
incontro giorno dopo giorno, i bam-
bini che affianchiamo sono capaci
di rendere tutto migliore, anche solo
con un abbraccio o un sorriso». Aldo
nella sua concretezza rivela che «la-
vorare con i ragazzi e seguirli nella
loro crescita sia un lavoro non facile
e stancante, ma che, al tempo stesso,
regala tante soddisfazioni in quanto i
ragazzi riconoscono la passione con
cui siamo loro vicini».
«Perché il Servizio civile?» chiedo.
«Una scelta diversa – risponde Clau-
dia di Roma –. Una scelta intensa
e, oserei dire, complessa, mentre il
mondo sembra dirigersi in direzioni
diametralmente opposte, rispetto alla
solidarietà, all’impegno verso l’altro
e, prima di tutto, verso se stessi. Per-
ché il servizio civile mi chiede, sopra
ogni cosa, di rispondere con respon-
sabilità, alla domanda “chi sono”, chi
sono io, se metto a tacere i rumori, se
smetto di rispondere con le parole che
tutti si aspettano di sentire. Credo
non ci sia niente di più bello e vitale,
che trovarsi in un luogo preciso, in un
determinato momento, senza sapere
perché, quasi da sembrare di esserci
capitati “così per caso”, e poi com-
prendere, che tu proprio tu, dovevi
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Luglio/Agosto 2014

2.9 Page 19

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IL SERVIZIO CIVILE VOLONTARIO
esserci. Esserci per camminare lun-
go corridoi pieni di luce, camminare
lungo le vite, le anime, i cuori di adul-
ti, ragazzi, bambini. Esserci per saper
“entrare in punta di piedi” in una real-
tà grande, una realtà che abbraccia
l’uomo, ne accoglie la forza e la fra-
gilità, ma che soprattutto le scopre.
Esserci e capire che si è parte di un
“tutto” e che, da soli, saremmo perso-
ne a metà». E Fabrizio incalza: «Sono
tornato; come volontario nell’oratorio
in cui sono cresciuto, dove ho iniziato
ad essere animatore. Oggi vivo la se-
guente esperienza: cerco di essere per
i bambini e per i ragazzi un amico in
cortile, un maestro al doposcuola».
Valigie in mano
e grandi aspettative
«Che cosa rimane – chiedo a suor Gio-
vanna – dopo un anno di volontaria-
to?» Sorride e mi mostra una lettera di
Cristina, volontaria del 2009 che, da
allora, non ha più lasciato l’Istituto San
Giovanni Bosco di Cinecittà, ormai la
sua seconda casa: «“Sognavo che la vita
fosse gioia. Mi sono svegliata. La vita
era servizio. Ho servito e nel servizio
ho trovato la gioia” (Tagore). Sono tra-
scorsi quasi cinque anni da quando an-
notai questa frase. In quel momento,
si faceva strada una piccola consapevo-
lezza (anche se non del tutto chiara!) e
percepii che quelle parole mi apparte-
nevano ed erano lì per dirmi qualcosa.
Ricordo ancora perfettamente il gior-
no del mio colloquio: valigie in mano
e grandi aspettative. “Perché hai scelto
questo progetto?”. Avevo una sola idea
chiara: volevo proteggere. Al tempo
Nato in Italia nel 2001, dall’esperienza degli obiettori di coscienza sull’onda della cultura
della non violenza che trovò radici nell’Enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII e, più in
generale, in un diffuso atteggiamento a favore della pace. I giovani ritenuti idonei al Ser-
vizio Civile Volontario nazionale, a seguito di un processo di selezione, svolgono, per un
anno, un servizio nelle strutture salesiane delle FMA: scuole, oratori, case famiglia, centri
di formazione professionale. Ai volontari spetta un compenso mensile netto di 433,80 Euro
e la possibilità di ottenere crediti formativi riconosciuti nell’ambito dell’istruzione e della
formazione professionale.
stesso avevo l’urgente bisogno di dare
un senso a tutto. Conoscevo poco don
Bosco e le Figlie di Maria Ausiliatrice,
ma da quel momento ebbero inizio un
confronto ed un cambiamento che ad
oggi non so quantificare, ma che han-
no cambiato il mio sguardo sulle cose
e sugli altri. Del mio anno di servizio
porto nel cuore gli insegnamenti di
don Bosco e il suo sguardo che ogni
tanto ricerco, quasi a voler essere ras-
sicurata; i sorrisi, la spensieratezza e
lo stupore dei bambini con le loro do-
mande da grandi; la fretta di crescere
e le fragilità degli adolescenti, il loro
bisogno di essere rassicurati; le suore e
il loro modo di accoglierti e di ascol-
tarti. Solo adesso comprendo a fondo
il significato di quelle parole e quella
piccola consapevolezza è più forte e
sta mettendo radici, dando un deciso
orientamento alla mia crescita perso-
nale».
Ecco il paradosso: credi di aiutare e
ti ritrovi ad aiutare te stessa, credi di
proteggere e ti ritrovi protetta e ar-
ricchita, come dice Cristina. Oppure,
vivi il senso di parole quali: “insieme”,
“comunità”, “amore”. Se approdi sen-
za nessuna aspettativa se non quella
di cercare, scopri che cercandoti trovi
l’“altro” e nell’“altro” trovi te stessa,
come afferma Claudia.
«In sintesi, allora?» Coro generale:
«Mettersi al servizio degli altri è
disarmante e illuminante!».
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2.10 Page 20

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INVITO A VALDOCCO
B.F.
La basilica santuario di
Maria Ausiliatrice
1. L’altar maggiore
L’antico altar maggiore del santua-
rio costruito da don Bosco si trovava
dove oggi c’è la balaustra.
Sui pilastri che sorreggono il grande
arco che divide la navata dal presbi-
terio, nelle due nicchie sovrastanti le
porte laterali, sono collocate le statue
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di sant’Anna (a destra) e di san Gioacchino (a sinistra), i ge-
nitori di Maria SS., che guardano verso il grande dipinto
dell’Ausiliatrice. L’altar maggiore, opera dell’architetto sa-
lesiano Giulio Valotti (1938), risulta nel suo insieme come
una monumentale cornice al grande quadro del Lorenzone.
Nei due pilastri che fiancheggiano il quadro e sorreggono
il timpano sono state ricavate dodici nicchie, sei per parte e
accostate a due a due, per altrettante statue di santi tra i più
insigni per la devozione alla Madonna.
Sul pilastro destro, dal basso in alto, i santi: Cirillo d’Ales-
sandria e Stefano d’Ungheria (primo livello); Giovanni Bosco
e Bernardo di Chiaravalle (secondo livello); Maria Domenica
Mazzarello e Bernardetta Soubirous (terzo livello). Sul pi-
lastro sinistro, nello stesso ordine, i santi: Giovanni Dama-
sceno e Domenico di Guzman (nicchie in basso); Efrem e
Bonaventura (nicchie di mezzo); Rosa da Lima e Caterina da
Siena (nicchie in alto).

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3.1 Page 21

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Nel triangolo del timpano è
stato ricollocato il mosaico del
Reffo che faceva parte dell’an-
tico altar maggiore, raffigu-
rante l’eterno Padre (1891). Nei
triangoli dell’arco iconico figu-
rano due graziosi angioletti in
mosaico, dello stesso autore.
Il tabernacolo è inquadrato da
piccole lesene con pietre dure
e steli bianchi su lapislazzuli.
Nel timpanetto il bassorilievo
di Gesù che porge il pane. Su
di esso, nella sopraelevazione,
è collocato l’artistico Croci-
fisso in bronzo dorato, con
due cervi simbolici. Il tutto
serve da base ad un tronetto
per l’esposizione del Santissi-
mo contornato da due angeli
che sorreggono una corona.
2. Il quadro
dell’Ausiliatrice
Don Bosco commissionò quest’opera
nel 1865 al pittore Tommaso Loren-
zone. Avrebbe voluto una scena gran-
diosa: in alto la Vergine, tra i cori degli
angeli; intorno gli apostoli e le schiere
dei martiri, dei profeti, delle vergini e
dei confessori; ai piedi della Madon-
na i simboli delle sue vittorie e una
rappresentanza dei popoli del mondo,
in atteggiamento supplice (cf mb 8, 4).
Ma, di fronte alle realistiche osserva-
zioni dell’artista sull’impossibilità di
realizzare un tale progetto, si accon-
tentò di una sintesi più modesta, ma
sempre grandiosa; il quadro infatti
misura metri 7 per 4.
Per la realizzazione dell’opera fu pre-
so in affitto un alto salone di Palazzo
Madama e il pittore vi lavorò circa tre
anni.
La Madonna campeggia in alto, sulle
nubi, in atteggiamento regale, con lo
scettro nella destra e il Bimbo assiso
sulla sinistra. Sul suo capo, circonda-
to da una luminosa corona di dodici
stelle, aleggia la colomba, simbolo
dello Spirito, sovrastata dall’occhio
del Padre da cui promana tutta la luce
che illumina la scena.
Accanto alla Vergine, un pochino più
in basso, sotto le nubi e gli angioletti,
stanno alcuni apostoli con gli stru-
menti del loro martirio. Ai piedi della
Madonna gli apostoli Pietro e Paolo e
i quattro evangelisti, con i loro simboli
tradizionali. Sulla sinistra, presso san
Pietro che regge le chiavi, si
trova l’evangelista Giovanni
con il calice dell’ultima cena
e l’aquila simboleggiante la
sublimità del suo Vangelo;
accanto è Marco, assiso sul
leone. A destra, dietro san
Paolo, si scorgono la bianca
figura di san Matteo con
l’angioletto e san Luca con
il bue. In basso, tra Pietro e
Paolo compaiono la chiesa
dell’Ausiliatrice e gli edifici
dell’Oratorio; all’orizzonte il
colle di Superga, con il tem-
pio della Vergine.
3. Cupola maggiore
Al centro della crociera
s’innalza la cupola maggiore
costruita da don Bosco, ma
fatta decorare dal successo-
re don Michele Rua (1890-
1891). Il grandioso affresco
è opera del pittore Giuseppe Rollini
(1842-1904) ex-allievo di don Bosco.
Nella parte superiore della volta è
rappresentato il trionfo e la gloria
dell’Ausiliatrice in cielo: la Madonna
siede in trono e tiene ritto sulle ginoc-
chia il Bambino; su di lei la maestosa
figura del Padre e la colomba simbolo
dello Spirito; intorno voli di angeli ed
arcangeli e le schiere dei beati; accan-
to al trono di Maria san Giuseppe e,
un po’ discosto verso destra, i santi
Francesco di Sales, Carlo Borromeo,
Luigi Gonzaga, Filippo Neri ed altri.
Nella parte inferiore della cupola è
raffigurato don Bosco in mezzo ai
suoi figli: sulla destra, mons. Ca-
gliero con un gruppo di Patàgoni, le
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3.2 Page 22

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INVITO A VALDOCCO
fra le donne Regina del cielo Signora
degli angeli Regina del mondo Ver-
gine eccellente Rosa mistica Aiuto
dei Cristiani Fonte della nostra gioia
Santa Maria Protettrice contro il
nemico Aiuto nel momento della morte.
Al centro della cupola, intorno alla sim-
bolica colomba, sono scritte le parole
Hic domus mea, inde gloria mea (Questa è
la mia casa. Di qui s’irradia la mia gloria).
Nelle quattro vele sono collocati an-
geli in bassorilievo, opera del Vignali,
con i simboli di quattro litanie laure-
tane: Torre di Davide Torre d’avorio
Arca d’oro Arca dell’alleanza.
Figlie di Maria Ausiliatrice e i Sale-
siani missionari che catechizzano; a
sinistra di don Bosco i salesiani con
le loro opere per studenti ed artigiani.
Più a sinistra sono rappresentati gli or-
dini religiosi dei Trinitari e dei Mer-
cedari.
Nella parte della cupola che è di fron-
te al trono dell’Ausiliatrice un gruppo
di angeli sostiene un arazzo rappre-
sentante la battaglia di Lepanto (7 ot-
tobre 1571), accanto al quale stanno, a
destra, il papa Pio V e i capitani delle
armate cristiane; a sinistra il re polac-
co Giovanni Sobieski, liberatore di
Vienna dall’assedio dei Turchi (1683).
L’ultimo gruppo che completa la de-
corazione e chiude l’anello raffigura
Pio VII con la Bolla di istituzione
della festa di Maria Auxilium Chri-
stianorum (1815).
Nelle quattro vele della cupola il Rol-
lini ha dipinto i Dottori della Chiesa
sant’Ambrogio e sant’Agostino (Chie-
sa latina), sant’Atanasio e san Giovan-
ni Crisostomo (Chiesa orientale).
4. La cupola minore
Il presbiterio è illuminato da una se-
conda cupola, costruita tra il 1935 e
il 1938, traforata da sedici vetrate co-
lorate con figure d’angeli dipinte dal
prof. Mario Barberis di Roma. Le fi-
gure angeliche portano i simboli dei
titoli mariani: Stella del mare Madre
di Dio Sempre Vergine Porta del
paradiso Piena di grazia Benedetta
5. Le due cappelle laterali
del presbiterio
Furono costruite per accogliere i
giovani e i pellegrini nelle solenni-
tà. Sono dedicate al SS. Crocifisso,
quella di destra, e san Pio V quella di
sinistra. Coppie di colonne in marmo
verde le separano da un ampio corri-
doio che le circonda ai lati e le collega
passando dietro l’altar maggiore.
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ma Margherita giungono a Valdocco
(sullo sfondo un’ottima riproduzione
della casa Pinardi); don Bosco che
confessa; il catechismo di Giovanni-
no sul fienile dei Becchi.
La decorazione delle cappelle è opera
di Carlo Cussetti.
6. Le tribune sulle cappelle
laterali
Sulla cappella del Crocifisso (quella a
destra) è stato ricavato un ampio ma-
troneo per accogliere i fedeli durante
i momenti di maggiore afflusso. È il-
luminata da una bella vetrata rappre-
sentante Maria Assunta in cielo.
Di fronte, sulla cappella di san Pio V
sta la tribuna dell’organo e della can-
toria, capace di oltre 200 persone.
L’organo è stato costruito dalla ditta
G. Tamburini di Crema (1941).
na (nell’attuale cappella della Maz-
zarello); quello di san Pio V, con tela
del Barberis (1938); quello dell’Angelo
Custode, con tela del pittore Giambat-
tista Galizzi di Bergamo.
8. La sacrestia
9. La statua dell’Ausiliatrice
Tornando dalla cappella di san Pio V
nella navata centrale, proprio di fron-
te al pulpito, in una nicchia in basso,
si vede la statua dell’Ausiliatrice che
ogni anno viene portata in proces-
sione, il 24 maggio.
È interessante notare che, il 27 aprile
1865, la pietra angolare della chiesa
fu solennemente collocata proprio in
questo luogo, poggiata sopra il gran-
de pilastro della cupola. Questo fatto
spiega perché don Bosco abbia voluto
qui la nicchia dell’Ausiliatrice, vera
pietra angolare di tutta la sua opera.
7. Galleria dietro
l’altar maggiore
Nella galleria dietro l’altar maggio-
re sono dislocati sei altari. Da destra
a sinistra si susseguono l’altare di san
Giuseppe Benedetto Cottolengo, con
quadro di Dalle Ceste (1938); quello
del Crocifisso, con figura lignea di
Giacomo Mussner di Ortisei; quello
di san Giuseppe Cafasso, con quadro
di Dalle Ceste (1938); quello dei San-
ti Martiri Torinesi, con pregevole di-
pinto del Reffo (1896); don Rua l’aveva
collocato al posto di quello di sant’An-
È collocata a fianco della galleria
che è dietro l’altar maggiore. Vi sono
esposti sei quadri del Crida (1938),
con scene della vita di don Bosco:
don Bosco difeso dal cane Grigio
(sulla porta che dà in basilica, lato
cortile); l’incontro con Bartolomeo
Garelli; don Bosco in mezzo ai gio-
vani dell’Oratorio; il Santo e mam-
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ATTUALITÀ
SILVIO ROGGIA
Salvati dalle acque
Kwabena, Kwaku e Kwasi sono tre giovani del Brong
Aafo, la regione dove io vivo in Ghana. Adesso sono
ospitati in una piccola comunità parrocchiale vicino a
Mondovì. Il 21 marzo sono stati salvati dal gommone
in avaria dove erano con altri 94 migranti. Avevo
ricevuto agli inizi di aprile una telefonata a Sunyani, e
dalle informazioni ricevute avevo potuto confermare la
veridicità della loro origine e situazione familiare.
V orrei condividere con voi il
racconto del loro viaggio,
così come l’ho sentito da
loro quando sono andato a
trovarli qualche giorno fa.
Può aiutare a capire meglio
che cosa c’è dietro la tragedia di chi
arriva sulle nostre coste. Ogni storia è
diversa; ma proprio per questo credo
sia importante cominciare ad ascolta-
re queste storie, una per una, per non
fare di vite umane solo una questione
di numeri e cronache da tg. Merco-
ledì 14 maggio ero in Piazza San Pie-
tro. Papa Francesco: i diritti dell’uo-
mo devono essere il criterio che guida
le nostre scelte di fronte al dramma
degli immigrati nel Mediterraneo. Se
non ci si ferma a leggere dentro que-
ste vite, una per una, si finisce con il
dimenticarsi che sono davvero per-
sone la cui vita di fronte a Dio ha lo
stesso valore della mia, gli stessi di-
ritti, che vengono dall’essere umano.
Anzi! Dio fa preferenze: sta sempre
dalla parte del più povero.
Kwabena, Kwaku e Kwasi sono il
giorno della settimana in cui si na-
sce. In Ghana è importantissimo.
Kofi Annan, ex segretario generale
dell’onu è Kofi perché è nato di ve-
nerdì. Io in Ghana sono Yaw, perché
son nato di giovedì. I nostri amici son
nati di martedì, mercoledì e dome-
nica. Vengono da una zona rurale a
un’ora di viaggio da Sunyani. L’età è
tra i 21 e i 24 anni. Uno non è mai
andato a scuola. Il secondo ha dovuto
smettere durante le elementari, quan-
do ha perso entrambi i genitori in un
incidente stradale, il terzo ha inter-
rotto durante la scuola media.
Vivevano alla giornata, o come ‘weel-
barow pushers’ (al mercato: si spin-
ge la carretta da mano portando la
mercanzia di chi compra in cambio
di qualche mancia) o come aiuto mu-
ratore. Com’è come non è tutti e tre
hanno già un figlio, da ragazze che
vivono ancora con i loro genitori: non
è una situazione infrequente in Gha-
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na. Il matrimonio è un obiettivo alto,
pur desiderato, ma quasi impossibile
da raggiungere: i figli nascono... e se
va bene poco per volta si fanno passi
di ‘consolidamento’ della coppia fino
alle nozze. In molti casi non si arriva
alla meta, e così per chi è nato come il
primo figlio dei nostri tre, il percorso
della vita rischia di diventare simile
a quello che ho sentito raccontare a
Mondovì.
Vista la precarietà del vivere reso
ancor più difficile dal galoppare
dell’inflazione in Ghana nell’ultimo
anno – con un aumento dei prezzi
di una rapidità mai vista prima, che
rende chi è povero sempre più po-
vero – la promessa e il miraggio di
un lavoro in Libia per qualche mese,
che avrebbe dovuto consentire di
tornare con un gruzzoletto suffi-
ciente per iniziare a sistemarsi, è sta-
ta una calamita troppo forte per dire
di no. Qualche anno fa, prima della
primavera araba, la Libia era stata
la meta di molti dal sud Sahara, un
po’ come la Svizzera per i migranti
italiani l’altro secolo, e chi è torna-
to con qualche modesta fortuna ha
contribuito a consolidare l’imma-
ginario collettivo sul ‘sogno libico’,
non ancora cambiato nonostante le
rivoluzioni che sono successe, di cui
i nostri tre amici e la grande mag-
gioranza dei loro coetanei san ben
poco.
L’inferno azzurro
Un parente li ha aiutati a raggiunge-
re il Burkina su un camion per tra-
sporto merci, facendoli passare alla
frontiera come ‘meccanici’ assistenti
di viaggio (non così inverosimile, vi-
ste le condizioni alquanto precarie di
molti camion da trasporto). Dopo un
mese di attesa in Niger si è aperta una
chance per il viaggio verso la Libia,
su un altro camion che forse era me-
glio mandare in demolizione. Di fatto
dopo un giorno e mezzo di viaggio il
vecchio camion è andato in panne, in
Sotto il titolo: Uno dei barconi arrivati in Sicilia
carichi di immigrati e di disperazione. Sotto: Per
contrasto, la felicità dei bambini ghanesi in un
oratorio salesiano.
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ATTUALITÀ
mezzo al deserto. Le scorte d’acqua
sono rapidamente finite. Bere la pro-
pria urina è stato l’ultimo salvagente.
Quando erano giunti allo stremo, un
pick up carico di un altro gruppo di
migranti è passato dalla stessa pista
e l’autista in qualche modo è riuscito
a fare la rianimazione del motore del
camion e rimetterlo in pista. E così
sono riusciti a raggiungere la Libia
in condizioni da sopravvissuti, che si
possono immaginare.
Lì si sono accorti ben presto che quel
che pensavano essere un’oasi fortuna-
ta, è invece un inferno, dove chi viene
dal sud Sahara non ha alcun diritto
e può essere impunemente oggetto di
qualunque genere di sopruso. Sono
stati arruolati come aiuto muratori in
un palazzo in costruzione, dove an-
che dormivano, tirando avanti con
quanto veniva dato loro da mangia-
re giorno per giorno. Dopo tre mesi,
quando era ora di ricevere il compen-
so per il duro lavoro fatto si son visti
puntare un mitra con l’intimidazione
di lasciare la zona e non tornarvi più
se ci tenevano alla pelle.
Poco tempo dopo sono stati presi in
una retata e messi in prigione con
l’accusa di aver collaborato come mer-
cenari a sostegno di Gheddafi (!). La
prigione era così sovraffollata che non
c’era lo spazio fisico per dormire diste-
si, se non a turno. La loro disponibilità
a lavare il piatto degli altri prigionieri
ha attirato la simpatia di uno dei car-
cerieri. Una notte li ha prelevati tutti
e tre all’una e li ha portati sulla spiag-
gia, dove c’erano molti uomini armati
e altri migranti arrivati da altre parti.
Sono stati tutti costretti a salire su un
gommone: in novantasette. Due non
volevano entrare. Sono stati fredda-
ti sul posto per convincere gli altri a
non opporre resistenza. Un migrante
della Sierra Leone che veniva da un
villaggio di pescatori è stato forzata-
mente messo al timone. È stato gio-
co forza partire verso il mare aperto e
continuare per tutta la notte e il giorno
successivo finché il motore ha ceduto
e sono rimasti in balia delle onde per
lungo tempo. Il mare mosso, il fred-
do, la totale assenza di vie d’uscita da
questa situazione... Kwabena, Kwaku
e Kwasi erano ormai pronti al peg-
gio, convinti che quella fosse la fine
per tutti. Un elicottero ha avvistato il
gommone. Dopo qualche ora una nave
li ha recuperati. In pochi giorni si sono
trovati a Mondovì. Stanno tentando di
imparare l’italiano, cosa non facile, dal
momento che due di loro sanno a mala
pena scrivere il loro nome.
A giugno l’audizione, ma poiché si
sono dichiarati rifugiati politici, hanno
la certezza che, provenendo dal Ghana,
uno dei paesi più democratici dell’Afri-
ca, non sarà loro concesso lo status di
rifugiati. Dopo di che avranno qualche
mese ancora ‘di grazia’ per trovare la-
voro (e dove? come? da chi?) e poi sarà
loro ingiunto di lasciare l’Italia.
Domenica,
Martedì e Giovedì
Chissà quante storie come questa e
anche più tragiche... ciò che la ren-
de unica, inevitabile, non riducibile a
un racconto stampato su un pezzo di
carta è che è fatta di carne ed ossa,
ragazzi che vengono dalla città dove
io sarò di nuovo tra dieci giorni.
Si chiamano Kwasi, Kwabena e Kwaku
perché son nati di domenica, martedì
e giovedì... ma anche noi siamo nati
come loro un giorno della settima-
na, anche noi siamo persone come lo
sono loro. Il non essere andati a scuola
o l’avere interrotto dopo i primi anni
di elementari, l’essere sopravvissuti di
espedienti fino a giungere al punto in
cui non c’era più nulla da perdere, non
è stata un scelta di merito e demerito,
come non lo è stata il nascere in Pie-
monte anziché in Brong Aafo. Quanto
alla Libia e al mare, chi ha un livello
scolare come il loro non ha la minima
idea di che cosa sia il deserto o di dove
sia la Libia e di che cosa sia il mare, che
han visto per la prima volta quella notte
in cui son stati costretti a entrarci fino
alle ascelle per salire sul gommone.
Se l’emergenza umanitaria degli im-
migrati ha raggiunto livelli mai visti
prima in Italia, difficilissimi da ge-
stire, questo non rende meno umani
Kwabena, Kwaku e Kwasi e i loro di-
ritti.
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MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI
Quello che fa don Bosco
Non ho nessun buon consiglio da of-
frire su un problema così complesso
come il flusso ininterrotto di migranti
sulle coste italiane. Il consiglio è piut-
tosto per me e le comunità in cui sto
per tornare: continuare a fare quello
che farebbe don Bosco a Sunyani e il
farlo il meglio possibile è tremenda-
mente importante e urgente. Se Kwa-
si, Kwabena e Kwaku avessero avuto
la possibilità di frequentare la scuola
nel loro villaggio rurale, come posso-
no fare ora a Tainso più di 500 bam-
bini grazie al progetto che si sta com-
pletando del “Villaggio don Musso”;
se dopo la media avessero frequentato
il don Bosco Technical Centre, qua-
lificandosi come muratori, o falegna-
mi, o in informatica, o nella scuola
agricola...
Ci sono migliaia di ragazzi come loro.
Tanti incontrano don Bosco in uno
dei centri che abbiamo in West Afri-
ca (cresciuti da 11 a 16 negli ultimi
due anni). Molti di più stanno ancora
aspettando la sua mano amica.
Guardare al di là del mare e del de-
serto non è un modo per dimenticare
che cosa sta capitando al di qua, sulla
nostra sponda. È forse invece il modo
migliore per dare risposte che vanno
alla radice dei problemi, offrendo alla
gioventù che vive sotto il Sahara ra-
gioni e mezzi per ‘sognare di restare’
e non solo sistemarsi, ma diventare
la risorsa principale della crescita del
loro paese, casa accogliente anche per
i loro figli.
I Salesiani per il Sociale offrono accoglienza e risposte “concrete”
Roma, 22 maggio. Sono 53 i minori, migranti non accompagnati, accolti nelle comunità e
case famiglie dei Salesiani per il Sociale in tutta Italia. Don Giovanni D’Andrea, Presiden-
te della Federazione SCS/CNOS sottolinea che “Come Salesiani per il Sociale ci sentiamo
ancora una volta interpellati ad agire di fronte a queste richieste di aiuto che bussano alla
porta del nostro cuore”. Il Presidente della Federazione evidenzia poi: “Con questi ragazzi ci
sembra di rivivere quanto accadde a don Bosco nel suo incontro con Bartolomeo Garelli, un
minore orfano astigiano che da solo “cercava fortuna” a Torino, e arrivato nella città e senza
un “adulto di riferimento”.
“Sono partito da Norsingdi, una città a circa 50 km dalla capitale in Bangladesh, per fuggire
dalla miseria” sono le parole di A., ospite della struttura dei Salesiani nella Comunità alloggio
per i minori a Torre Annunziata che ricorda: “Siamo stati stipati come sardine su una nave che
ci ha abbandonato al largo di Bari. Nella notte, tra tanta paura, delle barche ci hanno trasportato
sulla costa, dove i connazionali, a piccoli gruppi, ci hanno portati alla stazione e messi sui treni
verso mete diverse. A casa ho lasciato 4 sorelle insieme a mia madre che ha venduto il suo uni-
co pezzo di terra, e si è indebitata per raccogliere 1300 euro da consegnare ai trafficanti, perché
sono rimasto l’unica fonte di reddito dopo la morte di mio padre, 12 anni fa’”.
Don Salvatore, sacerdote che opera presso la comunità dei Salesiani per il Sociale, a S.
Gregorio di Catania, racconta “Nella nostra struttura accogliamo 3 migranti minorenni arri-
vati in Sicilia, soli e senza documenti. Il problema è grave, se non drammatico, le strutture
sono piene, i minori arrivano traumatizzati dal viaggio, non hanno adulti di riferimento e non
parlano italiano”. Il problema dell’accoglienza particolarmente critico nell’isola sta trovando,
nelle opere e case famiglie dei salesiani, una risposta efficace.
Don Salvatore aggiunge “I minori migranti considerano l’Italia un trampolino verso i paesi
del Nord Europa. Sono orfani o sono mandati dai famigliari, spesso madri rimaste vedove
(che li considerano la loro unica fonte di reddito), e appena ottengono i documenti fuggono.
Da noi, però, a San Gregorio hanno trovato un ambiente familiare, gli stiamo insegnando
l’italiano, si sentono a ‘casa’ e ci hanno detto che desiderano fermarsi”.
Don Giovanni D’Andrea conclude dicendo: Ma tutto questo non basta! Noi, Salesiani per
il Sociale insieme al VIS, l’ONG salesiana impegnata da anni nella Cooperazione, stiamo
lavorando per offrire ulteriori risposte, concrete, a questo triste fenomeno che si fa di giorno
in giorno sempre più drammatico.”
Per informazioni è possibile rivolgersi direttamente al Presidente della Federazione SCS/
CNOS Don Giovanni D’Andrea, al cell. 340.9840657, oppure a Ilaria m. Nizzo al numero di
telefono 06-49 40 522.
I Salesiani per il Sociale di tutta Italia accolgono i
bambini che arrivano soli sul nostro territorio.
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A TU PER TU
I BARABBA'S
I Barabba’s Clowns
La favola di un sorriso
Parlare dei Barabba’s Clowns è raccontare una splendida favola
del sorriso, vissuta da 35 anni, dai ragazzi e giovani del Centro
Salesiano San Domenico Savio di Arese, che, nella clownerie,
hanno trovato il segreto per rimanere giovani, vivendo il messaggio
evangelico di Gesù: “Se non diventerete come bambini,
non entrerete nel regno dei cieli!”.
I Barabba’s hanno cuore di bimbo, cuore di poeta, cuore che ama,
che si schiera dalla parte di chi soffre, del povero, di chi è
in difficoltà. Lo hanno dimostrato con i fatti, facendo sorridere
la gente ma, nello stesso tempo, aiutando concretamente i poveri.
È stata la motivazione che li ha sorretti nel lungo viaggiare per
l’Italia, l’Europa, in America Latina e in Africa.
Sorriso e gratuità! Loro stes-
si raccontano di essere dei
clowns speciali perché quan-
do passano per strada, se tro-
vano per terra un fiore e una
moneta, raccolgono il fiore
e lasciano la moneta! Non è poi così
vero, confessano in privato, se non
proprio alla ribalta: essi raccolgono
fiore e moneta! Il fiore è il sorriso che
donano al pubblico, la moneta non la
tengono per sé, la donano ai poveri:
“Un sorriso con i poveri”! È stata la
loro prima iniziativa. Non si erano
ancora costituiti come associazione
onlus, “Barabba’s Clowns”, ma liberi
ed errabondi come tanti clowns e sal-
timbanchi, avevano collaborato con
padre Hugo de Censi e l’Operazione
Mato Grosso per i poveri delle Ande
Peruviane. Erano gli anni di due poeti
clowns, un po’ anarchici, insofferenti
delle regole come Bano e Vittorio, –
Bano Ferrari e don Vittorio Chiari –
ai quali ha dato continuità Massimo
Giuggioli, che forse era meno poeta
ma più capace di dare solidità all’e-
sperienza. Con lui è nata l’Associa-
zione, che, dopo il tragico genocidio
in Rwanda, ha deciso di dedicarsi alla
terra dalle mille colline, dove si sono
realizzate tante iniziative, che hanno
dato speranza a giovani e adulti di
Musha e dintorni.
Massimo Giuggioli è colui che ha ri-
cevuto il testimone da Bano e da don
Vittorio, i mitici fondatori dei Barab-
ba’s Clowns.
Massimo, come è nata
la voglia di far ridere?
Dopo alcune rappresentazioni di un
testo drammatico, ricco di speranza,
dove la gente si commuove al senti-
re storie di emarginazione. Un testo
denso di emozioni, che don Luigi
Melesi aveva composto: erano ragazzi
che recitavano in gabbia, come tito-
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lava il dramma. I ragazzi un giorno
hanno detto: “Siamo stufi di far pian-
gere. Vogliamo far sorridere la gen-
te”. L’incontro con Bano Ferrari, un
clown professionista, è stato il colpo
di fulmine che ha dato il via all’av-
ventura dei clowns.
Perché Barabba’s Clowns?
È stato don Vittorio a suggerirla e ad
imporla: lui era il Capo degli edu-
catori. I ragazzi l’hanno accolta con
entusiasmo perché era un messaggio
di gioia che dava valore al termi-
ne “barabitt”, piccoli Barabba, con
il quale erano chiamati, non sempre
con simpatia, i ragazzi in difficoltà
in Lombardia: “Anche nel Barabitt
più barabitt c’è qualcosa di buono”,
avrebbe detto don Bosco, se li avesse
conosciuti. Lui li chiamava “discoli”!
Solo questo?
No! Qualcosa di più. Non basta far
sorridere. Noi abbiamo un “per chi”:
per i poveri del mondo. Abbiamo co-
minciato con “un sorriso per i poveri”,
portato avanti dai primi clowns, per i
campesinos delle Ande del Perù, gli
amici di padre Hugo dell’Operazione
Mato Grosso. “Per chi” sono diventati
le vittime della guerra di Bosnia. “Per
chi” oggi sono i ragazzi, le ragazze, le
famiglie di Musha in Rwanda, che ab-
biamo incontrato subito dopo il geno-
cidio del 1994. Là abbiamo pure fon-
dato i “Barabba’s clowns” del Rwanda,
aperto scuole, laboratori professionali,
cooperative agricole finanziate con il
microcredito... I Barabba’s lavorano
sempre gratuitamente: non tengono
niente per sé. Tutto per i poveri!
Come vivete il carisma
salesiano di don Bosco?
Don Bosco faceva consistere la santi-
tà nell’allegria. Noi siamo commessi
viaggiatori di sorrisi, li produciamo
e li vendiamo per sostenere i poveri.
In questo siamo dalla parte del cuore,
missionari. Siamo stati a lavorare tra i
gitani di Spagna come nelle periferie
di Milano, portando il nostro cam-
per in luoghi dove ragazzi e giovani
Qual è la Carta di identità
di un vero clown?
Il clown non ha volto suo! Il naso ros-
so, la più piccola maschera del mon-
do, ne rivela un altro: quello illumi-
nato dal cuore, perché il clown è dalla
parte del cuore sempre. Noi almeno
la pensiamo così, sottolineando la sua
umanità, la sua voglia di comunicare
felicità. Vorrebbe che fosse una feli-
cità duratura, qualcuno la pensava
“eterna”, ma quella è di Dio. Comun-
que una conquista personale di ognu-
no. Se il clown non è dalla parte del
cuore diventa un “guitto”, “un comi-
co”, un istrione ma questo i bimbi lo
capiscono e ne hanno paura!
Il gruppo dei Barabba’s Clowns è nato nel 1979
nella casa salesiana di Arese.
Luglio/Agosto 2014
29

3.10 Page 30

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A TU PER TU
vivono al margine perché considerati
“guasti” dalla gente per bene. Vivia-
mo tra i giovani e per i giovani siamo
stati, alcuni di noi, con Massimo e
Giacomo in Rwanda per animare l’o-
ratorio e la scuola. Siamo di don Bo-
sco anche per il coraggio con il quale
portiamo avanti le nostre iniziative.
Ma voi chi siete nella vita?
Ragazzi e giovani normali, che han-
no scoperto il clown che è nascosto
in ogni persona e hanno accettato di
vivere da clown, con una spiritualità
del dono, della pulizia morale, di un
sorriso che nasce dall’essere contenti
della propria storia, della propria vo-
cazione di clown.
Quali sono le vostre attività?
Noi non siamo professionisti, anche se
alcuni dei nostri, lasciando il Centro,
dopo anni con i Barabba’s lo sono stati
e sono davvero. Bravi: Sergio Proco-
pio lavora da solo, producendo spetta-
coli molto apprezzati anche all’estero;
Gian Luca Previato lavora in coppia
con Bano Ferrari, suo maestro e fon-
datore dei Barabba’s; Enrico Caruso è
uno dei pilastri della Fondazione Ga-
ravaglia, lavora negli ospedali, è stato
in Afganistan con Patch Adams, in
India, in Sri Lanka, Perù...
Le nostre attività sono spettacoli, corsi,
organizzazione di rassegne, teatro nel-
le scuole, in collaborazione anche con
l’Università Cattolica, e il Rwanda.
Hai qualche ricordo
particolare?
Ci è difficile fare una sintesi del-
le meravigliose avventure in Italia e
all’estero, della gente e del pubblico
che abbiamo incontrato, dello spetta-
colo di “Gio & Na”, rappresentato in
Aula Nervi in Vaticano con il pelle-
grinaggio milanese a Roma, guidato
dal cardinal Martini...
Tra l’altro abbiamo sperimentato che
anche quando davamo spettacoli con
i più poveri o con i sofferenti, anche
con gli ammalati, l’allegria del clown
era contagiosa. Chi soffre ha bisogno
di gente allegra che regali una buona
risata. Essa allunga la vita! Il grande
clown, in un nostro testo, La ricreazio-
ne, cioè la creazione del mondo rivisi-
tata dai clowns, è Gesù Cristo stesso,
colui che annuncia “buone notizie”,
che da povero Cristo dà valore anche
al dolore e alla sofferenza. È matto il
Figlio di Dio, è matto! Perché muore
per salvare gente che non lo ama.
Funziona davvero
la terapia del sorriso?
Da sola no, costruendo un rapporto
personale con le persone, sì. È la tera-
pia dell’amore che cambia. Se il sor-
riso nasce dalla gratuità, dall’amore,
lascia certamente un segno!
Dopo tanti anni, tanti
viaggi, avete ancora voglia
di sorridere?
Spegnere il sorriso è spegnere la gioia,
intristire la vita, i rapporti con la gen-
te! Certo che abbiamo voglia di sorri-
dere anche perché guardandoci indie-
tro, ci siamo accorti che la nostra vita
non è stata inutile.
Forse qualcuno dei Barabba’s non si
rende conto che nel loro sorridere e far
sorridere, si rivolgono a Gesù Cristo,
che è presente in ogni povero, in ogni
persona che viene ai loro spettacoli,
che acquista ai loro mercatini e banca-
relle. A costoro è riservata la sorpresa
degli ultimi tempi, quando si sentiran-
no dire: “ogni volta che hai fatto que-
sto al più piccolo dei miei fratelli, l’hai
fatto a me!”. Tutti però sentono che
stanno vivendo un’avventura d’amore,
che segna il loro cammino, la loro vita,
dove sperimentano la gioia e la bellez-
za di essere dono per gli altri.
Per approfondimenti e contatti:
www.barabbas.it
email: clown@ barabbas.it
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Luglio/Agosto 2014

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
CLAUDIA SPAZIANI
9a Ciclopasseggiata
con don Bosco...
per Fulvio
Volti sorridenti, menti colme di
ricordi e pensieri d’affetto, cuo-
ri gonfi di commozione e aperti
all’amicizia, magliette con i ritratti
di don Bosco e Fulvio… e poi, tutti
in sella! Ecco gli ingredienti della
nona ciclopasseggiata che i sale-
siani della parrocchia don Bosco,
assieme all’oratorio delle figlie
di Maria Ausiliatrice di Taranto,
hanno organizzato domenica 1°
giugno, nell’ambito della “Fami-
glia Salesiana in Rete”, in occa-
sione dei festeggiamenti in onore
di Maria Ausiliatrice. “È stata una
ciclopasseggiata diversa dalle
altre, il senso era diverso dalle
precedenti” sottolinea uno dei
numerosi partecipanti all’evento,
tra cui molti giovani e bambini.
“Quest’anno c’era qualcosa di
diverso, sulla bici ognuno di noi
ha portato un ricordo, un’emozio-
ne, una battuta, un attimo di vita
trascorso con l’amico Fulvio. Non
a caso sulla maglietta che abbia-
mo indossato, il suo ritratto era
sul lato del cuore… non solo un
simbolo, ma la consapevolezza
che Fulvio è davvero nel cuore
dei suoi amici”.
Fulvio Fanigliulo era stato ani-
matore e allenatore di calcetto
nella Polisportiva Giovanile Sa-
lesiana della chiesa Don Bosco
di Taranto per diversi anni. Era
molto amato in parrocchia e in
città, visto anche il suo impegno
nel sociale e come edicolante nel
Borgo. I fraterni amici dell’orato-
rio sono stati per lui un costante
punto di riferimento. Nei cortili
della parrocchia aveva conosciu-
to la moglie. Il 1° aprile scorso
Fulvio, 35 anni, era a bordo della
sua bicicletta, mezzo che usava
spesso per spostarsi. Mentre per-
correva via Pacoret di Saint Bon
nel borgo cittadino, il portellone
di un pullman extraurbano si è
aperto improvvisamente e lo ha
colpito alla testa facendolo cade-
re. Nonostante i soccorsi, Fulvio
è entrato nel reparto rianimazione
dell’ospedale già in gravissime
condizioni. Dopo otto giorni di
coma, non ce l’ha fatta. I momenti
di festa e di gioia della ciclopas-
seggiata si sono fermati nel punto
in cui è accaduta la tragedia di
Fulvio. Il gruppo ha posato le bici
per terra in segno di rispetto, e ha
fatto un minuto di silenzio, seguito
da un lungo applauso e da segni di
commozione da parte dei presenti,
amici, vigili, poliziotti, assessore.
Il ricordo della sua allegria, dei
suoi modi gentili e accoglienti
dal sapore fortemente ‘salesiano’,
pulsa ancora vivo nel cuore dei
suoi tanti amici, famigliari e co-
noscenti.
Luglio/Agosto 2014
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4.2 Page 32

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Le malattie
dell’educazione
L’acqua può essere inquinata,
l’aria può essere inquinata,
il cibo può essere inquinato:
tutto può essere inquinato!
Anche l’educazione. L’inqui-
namento pedagogico nasce
da alcune malattie da cui possiamo
tutti essere contagiati.
Le più diffuse, oggi, in Italia ci pare
siano quattro: la ‘figliolite’, la ‘taran-
tolite’, la ‘sclerocardia’ (la ‘durezza di
cuore’) e il rachitismo psicologico. Le
vedremo, ad una ad una, nel nostro
appuntamento mensile.
1. La figliolite
La ‘figliolite’ è la malattia dei genitori
che stravedono per i figli, la malattia
di genitori che non si decidono mai a
tagliare il cordone ombelicale.
Erano ammalate di ‘figliolite’ le ma-
dri di Ronco Scrivia (Alessandria)
che nel novembre 1999 divennero fu-
ribonde ed insultarono l’allenatore di
calcio che, giustamente, aveva richia-
mato i loro figli.
Era ammalata di ‘figliolite’ quella
mamma che a Porto Viro (Rovigo)
nel dicembre 1999 aggredì la diri-
gente scolastica, la prese per i capelli,
strattonandola e spintonandola per-
ché ritenuta colpevole d’aver sospeso
per un giorno il figlio che aveva note-
volmente disturbato le lezioni.
Era ammalata di ‘figliolite’ quella
mamma che per cancellare le prove
della colpevolezza del figlio, bruciò
ben sette capolavori del famoso pit-
tore spagnolo Pablo Picasso (1881-
1973), rubati dal ragazzo al museo di
Rotterdam (Olanda) nel luglio 2013.
Era ammalata di ‘figliolite’ quella
madre dei Parioli di Roma che, con-
vocata dall’insegnante per avvertirla
che se non si fosse impegnata di più,
la figlia avrebbe rischiato la boccia-
tura, le urlò in faccia. “Questa è una
scuola privata! Io pago. Lei non deve
seccarmi!”.
Quattro esempi di una malattia (la
‘figliolite’) che produce solo guai!
Il figlio troppo protetto, infatti, si
illude d’essere infallibile, perfetto,
insindacabile: ed ecco la premessa di
un futuro despota, di un futuro pre-
potente. Questo il primo danno della
‘figliolite’.
Il secondo non è meno pesante.
Dalla malattia pedagogica di cui
stiamo parlando nascono i cosiddetti
figli prolungati’: i figli che non si de-
cidono mai a lasciare la famiglia, per
andarsene a vivere in proprio.
Il fenomeno è tipicamente italiano.
In Inghilterra e negli Stati Uniti i fi-
gli salutano e se ne vanno ben prima
di sposarsi, spesso quando iniziano
a frequentare l’Università, già tra i
sedici ed i diciotto anni. In Fran-
cia l’82% dei ragazzi tra i venti ed i
trent’anni vive per conto proprio, in
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Luglio/Agosto 2014

4.3 Page 33

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BOCCIATI IN AUTONOMIA QUESTO DICO AL FIGLIO ADOLESCENTE
I bambini italiani sono bocciati in autono-
mia. Lo rivelano serie ricerche che hanno
interessato molti Paesi europei e diversi
Stati del mondo. Da tali ricerche risulta
che appena l’8% dei bambini italiani va e
torna a casa da scuola da solo, di fronte
al 25% dei coetanei inglesi ed il 76% dei
tedeschi.
È una delle tante conseguenze della no-
stra tipica ‘figliolite’ che rimanda sempre
più, come abbiamo detto, l’autonomia del
figlio. Accompagnare il piccolo a scuola,
infatti, è impedirgli di acquistare sicurez-
za, è indebolirgli l’autostima, è impedirgli
di integrarsi e di rafforzare i legami con le
persone del quartiere.
È vero che i pericoli dei bambini non sono
un’invenzione. Però è anche vero il prover-
bio: “Mai la catena ha fatto buon cane”. Più
vero ancora è quello che ci manda a dire un
esperto del mondo giovanile d’oggi, Dome-
nico Volpi: “Vi è in Italia un piagnisteo sui
pericoli dei bambini che rasenta l’idiozia!”.
Parole decise che ci invitano a liberarci dal
cosiddetto ‘complesso del bagnino’ che
vive con il terrore che qualcuno anneghi!
Germania la percentuale scende di
poco, attestandosi al 74%. In Svezia a
sedici anni i ragazzi vengono mandati
fuori casa (forse anche troppo violen-
temente!); in Italia no! Qui abbiamo
figli che a 35-40 anni (!) continuano
a riscaldarsi al focolare del tetto natio.
E così, standosene tranquilli in casa,
i ragazzi ritardano sempre più il mo-
mento di crescere e maturare.
Un’inchiesta condotta pochi anni
fa ha rivelato che il 46% dei ragaz-
zi italiani non ha voglia di diventare
adulto. Sono ragazzi culturalmente
più preparati di qualche generazione
fa, ma con un forte ritardo per quanto
riguarda la maturazione umana.
Ragazzi incapaci di farsi carico di sé.
Ragazzi insicuri. Ragazzi bonsai!
Mamma, per favore, tagliate il cordo-
ne ombelicale.
La psicologa Maria Rosa De Rita
Non giudicare una persona dalla piega dei pantaloni.
Meglio gentile nei modi che elegante nella moda.
Se non alzi gli occhi, crederai d’essere sul punto più alto.
I pugni non hanno cervello.
La vita non è una scatola di cioccolatini.
Ridi di te stesso: avrai materia per stare allegro tutta la vita!
APPUNTI SUL FRIGORIFERO
L’educazione si salva salvando gli abbracci, non le urla.
La mamma troppo valente fa la figlia buona a niente.
In ogni sorriso vi è un gol strepitoso.
Chi non ha mai sbagliato, ben poco ha combinato.
Prima di parlare è bene chiedere permesso all’esempio!
ci dà questo consiglio: “A 27 anni, al
massimo, buttateli fuori di casa, come ho
fatto io. Un giorno vi ringrazieranno!”.
Se non possiamo arrivare a tanto
(scrivere è facile, il momento è diffi-
cile: ne siamo ben consapevoli!) d’ora
in poi, almeno, quando a sera torna
a casa il ‘cucciolone’ di 35 anni, non
sforniamogli più i sofficini.
Sì, perché, diciamocelo chiaro: non
è forse vero che talora siamo proprio
noi a non volere che il figlio se ne
vada di casa?
Siamo noi che, a conti fatti, non ab-
biamo imparato ad amarlo.
Chi ama i fiori non li calpesta, né li
coglie per sé, ma li lascia crescere, li-
beri e belli, nel campo.
In termini più pedagogici: amare
davvero il figlio è liberarlo dal nostro
bisogno di aiuto!
Amare il figlio è desatellizzarlo.
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4.4 Page 34

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LA LINEA D'OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
Con i piedi per terra,
ma non troppo
I giovani del terzo millennio sono,
spesso, rinunciatari, disillusi,
realisti fino alla rassegnazione.
Partono già sconfitti prima ancora
di cominciare a fare progetti
e a fantasticare sul loro futuro.
“Tieni i piedi per terra. Non perdere
di vista la realtà. Non fare pro-
getti al di fuori della tua portata.
Non sognare troppo in grande,
se non vuoi rischiare di rimanere
deluso!”.
La paura di scottarsi e di andare incontro ad una
delusione cocente, il timore di illudersi e di dover
Qualcosa sta cambiando, tu sai che è inevitabile,
ma è fresco questo vento che si sta alzando...
È questo il giorno delle verità
o sei solo tu che vivi a metà?
Vuoi prenderti tutto, non nasconderlo,
non puoi dire no, non ti crederò.
Io so che tu vuoi correre, ridere, urla, non ti sento.
Sei giovane, sei lucido, nel giorno delle verità...
poi fare i conti con una realtà che è sempre più
avara di opportunità e di spazi di realizzazione
spingono molti giovani a fare di un esasperato
realismo il loro imperativo di vita, foriero di fa-
talismo e di disincanto. I giovani del terzo mil-
lennio sono, spesso, rinunciatari, disillusi, rea-
listi fino alla rassegnazione. Partono già scon-
fitti prima ancora di cominciare a fare progetti
e a fantasticare sul loro futuro. Scelgono a quale
facoltà iscriversi o quale percorso di formazione
intraprendere in funzione della richiesta e della
“spendibilità” sul mercato di determinati profili
professionali, anche a costo di sacrificare sull’al-
tare di un disincantato pragmatismo i loro inte-
ressi e le loro aspirazioni più profonde. Rinuncia-
no a priori ad inseguire un sogno che gli sembra
troppo grande e con scarsi margini di realizza-
zione, per convogliare le loro energie e i loro inve-
stimenti esistenziali in progetti che mostrano un
più alto grado di fattibilità. Si auto-convincono
sin da adolescenti – o, forse, si lasciano convin-
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Luglio/Agosto 2014

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cere – che sognare troppo fa male, perché distoglie
dal raggiungimento di obiettivi concreti e di im-
mediata utilità.
Sono così bravi a calcolare costi e benefici di ogni
loro scelta, a confrontare opzioni diverse per sce-
gliere quella più “vantaggiosa”, a schivare possibili
rischi e delusioni sulla strada della loro realizza-
zione professionale, affettiva ed esistenziale che, a
volte, perdono di vista i loro interessi, i loro sogni,
le loro passioni più autentiche, accontentandosi di
traguardi magari meno gratificanti, ma più sicu-
ri e a più breve scadenza. Volano basso per non
rischiare di cadere e, intanto, vivono a metà, con
il freno a mano tirato, rinunciando a fare di più, a
investire maggiori energie nella costruzione del
loro futuro, ma soprattutto mortificando la loro
innata vocazione ad osare e a mettersi in gioco
per realizzare qualcosa di grande.
È l’eterno dilemma tra il certo e l’incerto, tra la
logica utilitarista e calcolatrice del massimo risul-
tato con il minimo sforzo e quella, ben più ri-
schiosa, della scommessa, tra un realismo spinto
fino al disincanto e allo scetticismo più radicali
e il desiderio mai sopito di volare più in alto e
realizzare i propri sogni. Forse, come spesso acca-
de, anche in questo caso in medio stat virtus. Pur
Non credere alle favole, ma neanche alla realtà,
a tutti quegli scrupoli che non ti fanno vivere.
Non perderti mai niente che tenga in vita questo fuoco.
Illuditi, convinciti che no, tu non ti brucerai,
se sei tu che vivi come me,
se sei tu, mi devi credere, se sei tu che vivi...
(Negrita, Il giorno delle verità, 2011)
facendo tesoro della prudenza e del pragmatismo
cui li sollecita la presente fase storica, i giovani
hanno bisogno di riappropriarsi della capacità
di sognare, di rischiare, di scommettere sul pro-
prio futuro, che ormai appare come atrofizzata
e prigioniera di un troppo lucido cinismo. Pur
mantenendo i piedi ben piantati per terra, hanno
bisogno di tornare ad alzare lo sguardo, per ac-
corgersi delle piccole e grandi occasioni che la vita
offre loro, per lasciarsi di nuovo affascinare dalla
bellezza del mondo, per ricominciare a scrutare
speranzosi l’orizzonte di un futuro che non riser-
va loro solo difficoltà e potenziali fallimenti, ma
anche stimoli costruttivi e opportunità di cresci-
ta. E forse così ritroveranno anche quel coraggio
e quell’audacia che soli possono aiutarli a spiegare
le ali e a spiccare il volo e si rammenteranno che
vale la pena correre il rischio di essere felici.
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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
La libertà del conclave La figura di Francesco Crispi
(1819-1901), patriota e politico
italiano, è certamente nota
garantita da un ministro agli appassionati di storia del
Risorgimento. Ma sicuramente
pochi, compresi alcuni storici,
massone e anticlericale sonoaconoscenzadeibrevissimi,
ma non insignificanti, rapporti
da lui avuti con don Bosco. Li
Don Bosco e l’onorevole Crispi
presentiamo sulla base di alcuni
documenti recentemente ritrovati.
In miseria, accetta
di essere aiutato
da don Bosco
L’avvocato siciliano Francesco Crispi
in esilio volontario a Marsiglia dopo
la rivoluzione siciliana del 1848-1849
e poi formalmente espulso dal Regno
delle due Sicilie per motivi politici,
nel settembre 1849 si era trasferito a
Torino. Nella capitale del Regno di
Sardegna, l’unico stato italiano che
avesse mantenuto la sua costituzione,
l’esule ebbe uno scambio epistola-
re con Giuseppe Mazzini, del quale
condivideva l’ideale repubblicano.
Rimaneva però critico con la politica
piemontese, per cui in occasione del-
la fallita insurrezione mazziniana del
febbraio 1853, il 6 marzo, fu arresta-
to dalla polizia torinese, interrogato
e incarcerato. Trasferito la settimana
dopo a Genova, fu fatto salire su di
una nave in partenza. Destinazio-
ne obbligata: la colonia britannica di
Malta.
Ora nel corso del soggiorno torinese il
Crispi conobbe la povertà e forse an-
che la fame. Don Bosco – ci racconta-
no le cronache salesiane – a passeggio
con un gruppo di fanciulli lo intravide
un giorno vestito molto dimessamente,
come di una persona in difficoltà eco-
nomiche, e lo invitò a venirlo a trovare
a Valdocco. Ci venne, si sedette a men-
sa con don Bosco e così fece per varie
settimane, visto anche che stava in af-
fitto presso la Consolata, non lontano
da Valdocco. Nel corso dei colloqui il
Crispi si interessava anche di quanto
vedeva sotto i suoi occhi e del modello
educativo di don Bosco, il quale sem-
bra sia riuscito anche a confessarlo.
Talora don Bosco incaricava un amico
di Castelnuovo di portargli il pranzo,
del denaro, indumenti e scarpe. Se lo
faceva per tanti ragazzi bisognosi ac-
colti in casa sua, non mancava di farlo
anche per un borghese impoverito (che
si sarebbe poi arricchito, anche se non
gli sarebbero mancati altri periodi eco-
nomicamente critici).
Un conclave fuori Roma?
Fuori Italia?
I due si persero poi di vista. Don Bo-
sco rimase a Torino a sviluppare la
sua opera, mentre il Crispi intraprese
un lungo e tortuoso percorso politi-
co, che lo portò ad essere il massimo
sostenitore della spedizione dei Mille,
alla quale partecipò, convertendosi da
mazziniano a sostenitore degli idea-
li monarchici. Divenuto “Maestro di
loggia massonica”, anticlericale e osti-
le al Vaticano, dopo l’unità d’Italia fu
poi quattro volte presidente del Con-
siglio, oltre che anche ministro degli
Esteri e ministro dell’Interno.
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Luglio/Agosto 2014

4.7 Page 37

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In questo ultimo ruolo dovette affron-
tare il caso del conclave alla morte di
Pio IX il 7 febbraio 1878 allorché don
Bosco scriveva al vescovo di Rio de
Janeiro: “Pio IX non è più. Roma è in
costernazione. Tutti i cardinali e tutto
il corpo diplomatico è al Vaticano”.
Fra i cardinali presenti in Roma era
maggioritaria l’opinione che si dovesse
tenere il conclave fuori di Roma, “oc-
cupata” com’era dal Regno d’Italia e a
rischio di disordini antipapali da parte
delle sinistre estreme. C’era anche chi
proponeva di tenerlo fuori dell’Italia,
in territorio austriaco o francese. Con-
fidando però che il governo italiano,
a norma della legge delle Guarentigie
(rifiutata dal papa) avrebbe provveduto
ad evitare qualsiasi “esterna violenza”
alle adunanze del conclave, onde ga-
rantire la completa libertà personale
dei cardinali, questi si accordarono nel
tenere l’assise in Roma. Ovviamente
entro le mura della città del Vaticano,
vista l’indisponibilità del Quirinale, al
momento occupato dal neo re d’Italia
Umberto I.
Nell’ufficio del ministro
dell’Interno
Don Bosco si trovava a Roma da quasi
due mesi. Avvicinava amici, benefat-
tori, esponenti dell’aristocrazia e no-
biltà romana, autorità religiose e civili.
Aveva bisogno di appoggi, permessi,
concessioni, “privilegi”, sostegni eco-
nomici soprattutto da quando annual-
mente lanciava spedizioni missionarie
in America Latina. Di propria inizia-
tiva – o su suggerimento di qualche
prelato pontificio ben informato delle
Minuta di lettera di don Bosco al ministro
Crispi.
sue precedenti missioni ufficiose pres-
so esponenti politici – pensò bene di
sondare le reali intenzioni del governo
Depretis e particolarmente del mini-
stro dell’Interno Crispi. Non si pote-
vano infatti escludere pressioni inde-
bite in Roma e all’interno della stessa
città del Vaticano.
Chiese dunque udienza all’onorevole
Crispi, che il 16 febbraio lo ricevet-
te. Dopo i convenevoli ed i ricordi dei
tempi di Torino, passarono a parlare
dei problemi dei minori in carcere,
tanto che il ministro chiese a don Bo-
sco un programma di lavoro ispirato
al suo sistema preventivo ed anche la
ricerca in Roma di luoghi di educa-
zione, di proprietà del governo, dove
applicarlo. Cosa che don Bosco fece
subito, inviando il 21 febbraio al mi-
nistro un memorandum “di poco co-
sto al governo e di facile esecuzione”,
come lo avrebbe definito successiva-
mente rimandandolo al successore
di Crispi, l’onorevole Giuseppe Za-
nardelli, pure da don Bosco avvi-
cinato anni prima nel collegio di
Lanzo Torinese.
Ma ciò che più interessava in quel
frangente era la garanzia della liber-
tà di conclave. Crispi gliela assicurò,
don Bosco riferì soddisfatto in Va-
ticano e il ministro effettivamente
bloccò sul nascere i cominciati tur-
bamenti dell’ordine pubblico. I car-
dinali diedero inizio alle votazioni
nella cappella Sistina il 19 febbraio
e la mattina del 20 il cardinal Pecci
era già eletto Sommo Pontefice con il
nome di Leone XIII.
Don Bosco non incontrerà più il Cri-
spi, costretto a dimettersi dal mini-
stero quindici giorni dopo per accuse
di bigamia. Riprenderà i contatti con
il suo successore e con vari altri mini-
stri della stessa Sinistra Storica. Era
convinto che l’Opera salesiana fosse a
servizio del bene comune e promuo-
vesse l’educazione dei giovani d’Ita-
lia e del mondo; dunque la politica,
anche quella ostile alla chiesa, doveva
tutelarla e non ostacolarla.
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TESTIMONI
PIERLUIGI CAMERONI
Cinque oratoriani Fedeli fino
all’ultimo
in paradiso
San Giovanni Paolo II, in Polonia, nel 1999, beatificò
cinque giovani dell’oratorio salesiano di Poznan´. Questi
giovani, familiarmente detti “i Cinque di Poznan´”, furono
arrestati dai tedeschi nei giorni 21 e 23 settembre
1940 per il loro impegno patriottico e l’opera pastorale
salesiana presso la chiesa di S. Maria Ausiliatrice
di Poznan´ e ghigliottinati a Dresda il 24 agosto 1942.
Ibeati oratoriani morirono molto
giovani. Edward Klinik e Czesław
Jóźwiak, i più anziani, al momento
della morte avevano 23 anni com-
piuti; Edward Kaźmierski ne aveva
22; Franciszek Kęsy 21; Jarogniew
Wojciechowski, il più giovane, solo 19.
Dei “Cinque di Poznań” solo due erano
nativi di Poznań: Edward Kaźmierski
e Jarogniew Wojciechowski. La fa-
miglia di Czesław Jóźwiak proveni-
va dalla zona di Bydgoszcz, Edward
Klinik e Franciszek Kęsy nacquero
in Germania. Le situazioni familiari
ed economiche delle famiglie dei ra-
gazzi differivano, ma i valori che le
guidavano e i metodi educativi erano
simili, generalmente condivisi e, nelle
finalità più importanti, motivati dalla
religione. Ciò significava, tra l’altro,
che un accento particolare veniva po-
sto sullo sviluppo delle virtù ritenute
indispensabili nella vita sociale, come
l’onestà, la veracità, la coscienziosità,
l’onore, l’obbedienza e il rispetto per i
genitori e per gli anziani, la disponi-
bilità al sacrificio. Il Decalogo come
fonte primaria della moralità, il ruolo
della religione cattolica nella vita so-
ciale e la partecipazione alle pratiche
religiose prescritte, restavano, in so-
stanza, incontestati; in larga misura,
ciò era dovuto alla storia della socie-
tà, la cui identità nazionale e civile
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Luglio/Agosto 2014
Dall’alto Czesław,
Edward Kaz´mierski,
Edward Klinik,
Jarogniew e
Franciszek.

4.9 Page 39

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fu protetta ai tempi delle spartizioni,
dall’unica istituzione ufficiale della
vita pubblica rimasta: la Chiesa cat-
tolica. Con la riconquista dell’indi-
pendenza, sin da subito le istituzioni
dello Stato polacco, in particolare il
sistema scolastico, posero un forte ac-
cento sull’educazione civica e patriot-
tica, e questo in poco tempo portò
tutti i Polacchi, di tutti gli strati della
società, a identificarsi con la propria
appartenenza ad uno Stato naziona-
le. I cinque ragazzi posnaniani, come
del resto tutta la generazione nata
negli anni Venti, entrarono nel mon-
do adulto in un contesto famigliare
e sociale formatosi proprio in questo
modo.
Le famiglie, anche quelle dei loro
coetanei, erano in maggior parte
numerose, con più figli e il senso di
comunità e responsabilità, non solo
per i propri cari, era in esse fortissi-
mo. Le famiglie di Czesław Jóźwiak,
Edward Klinik e Franciszek Kęsy
erano regolari e stabili. Nella fami-
glia Kaźmierski, a causa della morte
prematura del padre, tutta la respon-
sabilità del mantenimento e dell’edu-
cazione dei figli gravava sulla madre,
che già prima aveva sofferto per la
morte di due figlie piccole. La sorella
minore di Edward, Urszula, era fi-
sicamente disabile. Per aiutare la fa-
miglia, sin da giovanissimo Edward
fece diversi lavori: dava ripetizioni, si
impiegò come fattorino in un negozio
di arredi per gli interni e anche come
apprendista fabbro. La situazione più
difficile era quella della famiglia di
Jarogniew Wojciechowski. Il padre
di Jarogniew, alcolizzato, nel 1933
abbandonò la famiglia peggiorandone
notevolmente la situazione economi-
ca e costringendo così Jarogniew ad
abbandonare il ginnasio che stava fre-
quentando.
La linfa vitale
dell’oratorio salesiano
L’oratorio salesiano di Poznań fu una
delle più importanti tappe dello svi-
luppo di personalità dei giovani mar-
tiri. Nell’anteguerra l’oratorio fu luo-
go di incontri della gioventù maschile
che ricalcava fedelmente la struttura e
lo spirito oratoriano dell’epoca di don
Bosco. Oltre al servizio liturgico nella
chiesa, i ragazzi partecipavano nelle
attività dei gruppi di formazione, le
tradizionali Compagnie del Santis-
simo Sacramento (per i più piccoli),
dell’Immacolata e di san Giovanni
Bosco (per i più grandi). Molto atti-
vi furono il teatro e i gruppi sportivi.
Durante le vacanze venivano orga-
nizzate gite e colonie estive.
La casa di via Wroniecka doveva la
sua efficacia formativa in gran parte
al notevole numero di salesiani da cui
era composta la comunità, tra i quali
diversi erano giovani pieni d’entusia-
smo per lo spirito e lo stile educati-
vo di don Bosco. I giovani oratoriani
appartenevano al gruppo dei cosid-
detti “anziani” che aiutavano i sale-
siani nell’organizzazione delle attività
dell’oratorio e nell’assistenza ai più
piccoli. Nelle associazioni oratoriane
ricoprivano l’incarico di presidenti.
Il periodo dell’oratorio fu un’impor-
tante fase della loro crescita integrale:
religiosa, sociale e culturale.
Così erano le celle in cui i giovani furono
imprigionati.
La guerra e la resistenza
Tutti i ragazzi dell’oratorio, inclusi
i “Cinque di Poznań”, apparteneva-
no alla prima generazione nata nella
Polonia indipendente, formata molto
patriotticamente attraverso l’opera di
quasi tutte le istituzioni pubbliche
polacche: la scuola, la Chiesa, l’eser-
cito, lo scoutismo, i partiti politici più
importanti, la stampa. La gioventù
veniva educata al culto dell’amore per
la Patria, dell’eroismo dei suoi anti-
chi difensori, delle insurrezioni indi-
pendentiste nazionali. Nell’oratorio i
chierici e i ragazzi più grandi legge-
vano ai più giovani la trilogia di H.
Sienkiewicz, romanzi storici popo-
larissimi, scritti, come disse l’autore,
“per rincuorare la nazione” oppressa. I
sentimenti patriottici s’intensificaro-
no di fronte all’imminente minaccia
della guerra. Edward Kaźmierski an-
notò nel suo “Diario” alcuni avveni-
menti politici internazionali – l’occu-
pazione tedesca di Klaipeda [Memel]
Luglio/Agosto 2014
39

4.10 Page 40

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TESTIMONI
e della Cecoslovacchia, la nascita del-
lo stato della Slovacchia, l’attacco ita-
liano all’Albania, un discorso impor-
tante del ministro degli affari esteri
Józef Beck – e descrisse la propria
partecipazione alla manifestazione
antitedesca del 4 maggio 1939.
Al momento dello scoppio della guer-
ra i più grandi dei Cinque – Klinik,
Jóźwiak e Kaźmierski – avevano rag-
giunto l’età della leva. Poco prima
avevano seguito un Corso Statale di
Addestramento Militare di 1° grado.
Dopo essersi arruolato nell’Esercito
polacco, Czesław Jóźwiak parteci-
pò alla difesa militare nel settembre
1939. Edward Kaźmierski partecipò
ad una manifestazione pubblica che
invocava la difesa di Poznań, e più
tardi marciò, insieme ad una colonna
di volontari, da Poznań verso l’est per
unirsi all’armata polacca, ma il grup-
po si sciolse non avendo raggiunto
l’obiettivo.
Nei primi mesi dopo il rientro a
Poznań, Czesław Jóźwiak si unì
all’Organizzazione Nazionale di
Combattimento. Aveva il compi-
to di crearvi una sezione adibita alla
ricognizione delle postazioni della
Wehrmacht nel quartiere centrale di
Poznań. Edward Klinik diventò suo
vice. Jóźwiak accolse nella sua squa-
dra gli altri compagni dell’oratorio,
che giurarono fedeltà alla nob. L’at-
tività del gruppo iniziò nel gennaio e
finì nel settembre 1940, quando furo-
no tutti arrestati. Nella cospirazione i
singoli membri del gruppo ebbero il
compito di disegnare le planimetrie
delle scuole del proprio vicinato in
cui erano dislocate le unità tedesche,
di distribuire il gazzettino “Polska
Narodowa”, di raccogliere materia-
li sanitari e medicamenti e accertare
gli indirizzi dei Volksdeutschen e dei
tedeschi venuti a Poznań dai Paesi
Baltici. Quando la chiesa e l’orato-
rio furono definitivamente chiusi dai
tedeschi, i ragazzi continuarono a
incontrarsi nelle case private e nella
casa dei Fratelli del Cuore di Gesù.
Di solito erano incontri di carattere
amichevole e informale, ma vi furono
anche quelli di preghiera, musicali e
le serate patriottiche.
Verso il patibolo
Venerdì 21 settembre 1940 la Gesta-
po arrestò Edward Klinik, e il 23 set-
Monumento ai Cinque giovani Beati nel cimitero
cattolico di Dresda. A pagina seguente : Quadro
con i cinque beati dei Fratelli Kruczek.
40
Luglio/Agosto 2014

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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UN LIBRO
tembre, nella tarda serata, gli altri ra-
gazzi. Il primo luogo della detenzione
fu la sede posnaniana della Gestapo.
Qui si svolsero i primi interrogatori, i
più cruenti. Dopo 24 ore gli arresta-
ti furono trasferiti al Fort VII, dove
trascorsero il primo mese del loro
lungo supplizio. Tutti, tranne Klinik,
furono messi nella stessa cella, la n.
58. Il 14 ottobre 1940 furono trasferi-
ti, insieme con altri prigionieri, nella
prigione di via Młyńska, dove furo-
no separati. Czesław Jóźwiak fu tor-
mentato più degli altri carcerati, cri-
minali comuni, forse perché figlio di
un poliziotto. Verso la fine di quella
detenzione dovette essere ricoverato
in infermeria. Il 16 novembre 1940
tutti vennero trasportati in treno nel-
la prigione di Wronki. Lì rimasero
per cinque mesi, inizialmente in celle
singole, soffrendo la fame e il freddo,
lavorando a intrecciare spago e in-
collare sacchetti di carta. Il 23 aprile
1941 furono trasferiti nuovamente,
questa volta nelle prigioni di Berlino.
Jóźwiak, Kaźmierski, Kęsy e Klinik
finirono nella prigione situata presso
il tribunale, mentre Wojciechowski
fu detenuto nel carcere di Spandau.
Le condizioni della detenzione a
Berlino furono migliori dal punto di
vista dell’alloggio, dell’alimentazione
e del trattamento, rispetto a quelle di
Wronki. Su questo periodo sappiamo
di più grazie alle missive clandesti-
ne scritte da Edward Kaźmierski e
Franciszek Kęsy, trafugate all’ester-
no. Il 30 maggio 1942 i quattro de-
tenuti di Neuköln furono spostati
nel carcere preventivo di Zwickau,
destinato a prigionieri politici. Nella
In occasione del 70° anniversario del mar-
tirio di questi oratoriani in Polonia e in Ger-
mania, a Dresda, si sono svolte numerose
commemorazioni. In particolare la monogra-
fia Fedeli fino all’ultimo. Studi e materiali su
“i Cinque di Poznan´”, martiri della Seconda
Guerra Mondiale, a cura di Rafał Sierchuła
e Jarosław Wa˛sowicz SDB (Edizione italiana
curata da Stanisław Zimniak SDB), riprende
gli interventi tenuti durante un convegno
svoltosi nell’ottobre del 2011 presso il Semi-
nario Maggiore dei Salesiani a La˛d.
seconda metà di giugno vi arrivò an-
che Wojciechowski. Il 3 agosto 1942
a Zwickau ebbe luogo una sessione
del Tribunale Superiore Naziona-
le di Poznań in trasferta, durante la
quale venne data lettura della sen-
tenza, emessa due giorni prima, che
condannava a morte tutti e cinque. Il
18 agosto i prigionieri furono trasfe-
riti nel carcere di Dresda. Il 24 ago-
sto 1942, tra le ore 20.00 e 21.00, la
sentenza di morte fu eseguita e i con-
dannati ghigliottinati nel cortile del
carcere situato nello stesso edificio
del Tribunale Nazionale di Dresda,
in Münchner Platz. I corpi furono
sepolti nel cimitero cattolico di Bre-
merstrasse. I cinque giovani alunni
salesiani di Poznań, prima della de-
capitazione, pregavano insieme in
una cella del carcere. Un prigioniero
più anziano li avvertiva del pericolo
e chiedeva: «Sapete cosa vi aspetta?».
In risposta udì: «Quello che ci aspetta
lo sa solo Dio. In Lui riponiamo fi-
ducia. Qualunque cosa accada, sarà la
Sua volontà».
«Arrivederci in cielo!»
Nella chiesa di S. Maria Ausiliatri-
ce di Poznań i cinque beati sono ve-
nerati come coloro che intercedono
per i giovani allontanatisi da Dio e
dalla Chiesa, impetrando per loro la
grazia del ritorno alla fedeltà a Cri-
sto. Le ultime lettere dalla prigionia,
scritte prima dell’esecuzione, rivelano
la profondità davvero sorprendente
delle loro motivazioni religiose. Uno
di loro, Czesław Jóźwiak, scrisse:
«Proprio oggi, cioè il 24, giorno di Ma-
ria Ausiliatrice, mi tocca andarmene da
questo mondo. So che Maria Ausiliatrice
dei cristiani, che ho venerato per tutta la
vita, mi impetrerà il perdono di Gesù. Mi
sono appena confessato e tra poco riceverò
nel mio cuore la santa Comunione. Alle
8.30, ovvero mezz’ora prima delle nove,
lascerò questo mondo. Vi chiedo una cosa
soltanto, non piangete, non vi disperate,
non vi angosciate. Dio ha voluto così. Lo
chiedo specialmente a Te, Mamma cara,
offri il Tuo dolore alla Madre Addolo-
rata, Lei allevierà la pena del Tuo cuore
afflitto. Vi prego, se Vi ho mai offeso in
qualche modo, perdonate la mia anima.
Io pregherò Dio per Voi, perché Vi conce-
da la Sua benedizione e perché possiamo
ancora, un giorno, rivederci tutti insie-
me in cielo. Arrivederci in cielo! – Vostro
figlio e fratello Czesław».
Luglio/Agosto 2014
41

5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
FEDE, SPORT E INIZIATIVE BENEFICHE
Potremmo cominciare con un perché: “Perché i
salesiani si occupano di sport? O di concerti? E
non soltanto di scuole, laboratori e catechesi?” La
domanda sorge spontanea e la risposta è sempli-
ce, seppur sfaccettata. Perché lo sport aggrega,
permette ai giovani di incontrarsi, di fortificare il
corpo con l’attività fisica, di stare insieme facendo
esperienza umana e comprendere i valori della socializzazione. Certo non si ambisce al prestigio o al
guadagno, ma attraverso le iniziative benefiche, non solo sportive, della Fondazione Don Bosco nel
Mondo, organismo della Congregazione salesiana, si possono perseguire obiettivi concreti di solida-
rietà e portare aiuto con lo spirito dei missionari salesiani in molte parti del mondo, dando la priorità
a zone colpite da carestie, terremoti e altre calamità naturali. Gli obiettivi, che variano di anno in anno,
si concretizzano in strutture come scuole e ospedali e attraverso il “Sostegno a distanza” in assistenza
sanitaria, alimentare e scolastica. Particolarmente significativa, e amata dalla gente, è la XXX (giunta
alla settima edizione) che si svolge a Roma il 1° novembre lungo un percorso di 10,5 chilometri (nella
versione competitiva, altrimenti sono 3 chilometri per quella
amatoriale) con partenza e arrivo in Piazza Pio XII. La scelta
della data non è casuale, naturalmente. La si è voluta dedica-
re a tutti i santi e ai santi cristiani che sono in viaggio verso
il regno dei cieli. Proprio questo “andare” è rappresentato
da una corsa ed è il senso della vita cristiana. Scrive Paolo
nella Prima lettera ai Corinzi, incitandoli ad una vita cristia-
na: “Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma
uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da
conquistarlo!”.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Compiuto in
maniera non conscia - 16. Il dio ro-
mano con due facce - 17. Spostarsi
senza meta - 18. Il Björn grande tenni-
sta svedese - 19. Così è detta, in bre-
ve, la nazione di Saigon - 20. Toglier
d’impaccio - 22. Alimenti - 23. La
cella interna dei templi greci - 24. Lo
Stone regista di Platoon (iniz.) - 25.
Vi si associano gli alpinisti - 26. A
Parigi c’è quello… de Triomphe - 28.
Cominciano a pesare a una certa età -
29. XXX - 32. Asti - 34. Le vocali
d’oggi - 35. L’Ortolani compositore
(iniz.) - 36. Nuclei Armati Rivoluzio-
nari (sigla) - 37. Il centro di Boston
- 38. Dispari dei narcos - 40. Cele-
bre astronomo greco che ebbe i natali
a Samo - 43. Prefisso per sopra - 44.
La terra del Dalai Lama - 46. Risultato
- 47. Regione vinicola del sud della
Francia - 49. Grovigli, faccende poco
chiare - 50. Rimedio contro il veleno.
VERTICALI. 1. Coloro che non
sanno - 2. Isola indonesiana - 3. Lo
generò Noè con Sem e Jafet - 4. È
scritto sugli interruttori - 5. La profes-
sione del notaio - 6. Antenata, proge-
nitrice - 7. Fatti o circostanze privi di
logica - 8. Il comico Greggio (iniz.) -
9. Immunizzata da specifiche malattie -
10. Cose assai preziose - 11. Il Mau-
rice che inventò Arsenio Lupin - 12.
Le iniziali di Bernacca - 13. Giocano
con i nipoti - 14. Ripetuto è sinonimo
di routine - 15. Modo di fare di chi
pensa solo a sé - 21. La scientifica dei
Carabinieri - 25. Isola del Dodecane-
so - 27. Lo era Edipo - 28. Velivoli
per rotte regionali - 30. Lo spiritello de
La Tempesta di Shakespeare - 31. La
Campbell top-model - 33. Importante
centro abitato irlandese - 37. Breve
comunicato pubblicitario - 39. Hobby
senza inizio né fine - 41. A te - 42.
Un cantautore nostrano - 43. L’antico
nome di Tokyo - 45. Eroe a metà - 48.
Congiunzione eufonica.
42
Luglio/Agosto 2014

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
San Bruno e le rane
C’era una volta un santo,
tanto tanto santo, magro
magro, allampanato e
sempre vestito con un
ampio saio bianco. Si
chiamava Bruno, ma era
così buono che tutti lo chiamavano
“san” Bruno. Non mangiava mai
carne né dolci e si nutriva in pratica
di insalata, senza olio.
La cosa che piaceva di più a san
Bruno era parlare con Dio e perciò
passava il giorno e gran parte della
notte in preghiera.
San Bruno si era costruito una
capanna in una vallata selvaggia tap-
pezzata di boschi e cespugli arruffati.
E, ahimè, anche di qualche stagno.
E gli stagni, come si sa, sono popola-
ti di rane garrule e chiacchierone.
Così, quando san Bruno si immer-
geva nella preghiera appassionata
della sera, attraverso
le finestre arrivava il
«cra-cra» incessante
e ossessionante delle
rane. Tanto più che al
gracidio si aggiungeva-
no i ronzii di mosche
e zanzare, il rumore
dei becchi degli aironi,
il frusciare delle foglie.
San Bruno cercava
di concentrarsi nella
preghiera e stringeva con
feroce intensità il suo
crocefisso, ma le rane
instancabili si davano il cambio e
non smettevano mai.
San Bruno si metteva a recitare le
preghiere a voce altissima, gridando
con tutte le sue forze per vincere
l’irrefrenabile gracidio delle rane, ma
non serviva a niente.
Sempre più irritato, allora, si affacciò
alla finestra e gridò: «Silenzio! Sto
pregando!».
Era un santo e gli ordini dei santi
sono sempre ascoltati. Immediata-
mente, i boschi e gli stagni piomba-
rono nel silenzio, come un fuoco che
si spegne, e la capanna di san Bruno
fu avvolta da un silenzio profondo e
ovattato.
«Oh, final-
mente!»
sospirò san Bruno. Rospi e rane non
facevano più il minimo rumore, gli
aironi guardavano la finestra del-
la capanna con il becco chiuso, le
mosche e le zanzare non osavano
decollare dalle foglie su cui si erano
posate e perfino il venticello della
sera taceva.
Soddisfatto, il santo riprese la sua
preghiera. Ma non era contento, si
sentiva a disagio. E chiara, all’interno
della sua preghiera, sentì una voce
che diceva: «E se a Dio il canto delle
rane piacesse più delle tue preghiere?»
Sorpreso e turbato, il santo rispose:
«Ma come può Dio trovare piacevole
il gracidare delle rane o il ronzio del-
le zanzare? O qualsiasi altro rumore?
E poi, perché mai Dio ha creato il
rumore?»
In preda a questi interrogativi, san
Bruno si affacciò di nuovo alla fi-
nestra e, pentito, disse: «Vabbé! Fate
come volete».
Tutto ricominciò come prima. Insetti
e rane riempirono di un ritmo dolce
il silenzio della notte. Le orecchie di
san Bruno non opposero più resi-
stenza e quello che prima gli pareva
un ignobile fracasso gli sembrò im-
provvisamente una musica incantata
e stupenda che avvolgeva tutto.
Pieno di stupore, il santo sentì
che il suo cuore batteva all’uniso-
no con l’universo.
E che il bosco, il cielo, i cespugli,
il vento e le creature piccole e
grandi della terra erano una
meravigliosa preghiera.
Da quella sera, san Bruno di-
venne famoso come “il santo che
prega con le rane”.
Disegno di Fabrizio Zubani
Luglio/Agosto 2014
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Come don Bosco
Le malattie
dell’educazione
La “tarantolite”
L’invitato
Filippine: il miracolo
di Word Media Ministry
Incontro con
Salvatore Putzu
Salesiani nel mondo
Don Bosco nella terra
degli schiavi liberati
I Salesiani in Liberia
Invito a Valdocco
La Basilica di
Maria Ausiliatrice 3
Quando i luoghi
raccontano la storia
Le case di don Bosco
La prima casa
fuori del Piemonte
Il liceo di Alassio
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612658
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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