Bollettino_Salesiano_201406

Bollettino_Salesiano_201406

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IL
GIUGNO
2014
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Messaggio
del nuovo
Rettor
Maggiore
Testimoni
Don Andrea
Majcen
Salesiani nel mondo
Salviamo
i bambini!
Il mondo nel pallone

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LE COSE DI DON BOSCO
B.F.
E Dio creò il calcio
(un sogno di don Bosco assolutamente inedito)
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
Nel Sistema Preventivo, don Bosco scrive: «Si dia ampia
libertà di saltare, correre, schiamazzare a piacimento.
La ginnastica, la musica, la declamazione, il teatrino,
le passeggiate sono mezzi efficacissimi per ottenere la
disciplina, giovarne alla moralità e alla sanità. Fate tutto
quello che volete, diceva il grande amico della gioventù
S. Filippo Neri, a me basta che non facciate peccati».
L’angelo era titubante, tossicchiò con
discrezione per avvertire il principale
della sua presenza. Dio naturalmente
stava creando. «C’è qui don Bosco che
vorrebbe avere un colloquio».
«Uh, il caro Giovanni, fallo entrare,
fallo entrare» disse il Signore.
Don Bosco entrò con la berretta in mano.
«Buongiorno, Signore». «Vieni, Giovanni, vedo
che non hai cambiato la veste talare e che hai un
bello strappo lì al fondo». «Giocando a Barra
Rotta, un ragazzino mi ha pestato la veste,
proprio mentre stavo correndo all’inseguimento
di un altro, che era velocissimo. Ma l’avrei preso,
eh!» «Non ne dubito, Giovanni. Ti ho fatto
piuttosto in gamba… Sono contento di vedere
che ti piace ancora giocare». «Proprio per questo
sono qui, Signore. Tu sai quanto sia importante per
me che i ragazzi abbiano lo spazio per scatenarsi
nel gioco e nell’allegria». «Lo dici a me, che li ho
inventati! Le urla dei ragazzi in un cortile sono
la mia musica preferita: i cori degli angeli sono
così noiosi…» «Scusami, Signore. Ma trovo
che i giochi che abbiamo richiedono trampoli,
corde, bastoni o hanno regole complicate. Non
potresti inventare un gioco semplice semplice,
che piaccia a tutti i bambini del mondo, che si
possa giocare dovunque, in un cortile, un prato,
una piazza, in uno spazio grande come in uno
piccolo, al freddo e al caldo, con le scarpe e a
piedi nudi? Che ne dici?»
Il Buon Dio sorrise: «È una buona idea. Penso di
potercela fare. Sarà un regalo per i tuoi oratori».
«Grazie, Signore» disse don Bosco e si congedò
con un devoto inchino.
Dopo un po’, Dio si rialzò trionfante e disse:
«Fatto!».
Il Signore chiamò l’angelo assistente: «Trovami
subito ventidue giovani angeli in forma per un
esperimento. Devo collaudare la mia idea».
In Paradiso, le cose si fanno in fretta e così un
attimo dopo, ventidue angioletti divisi in due
squadre si affrontavano in un duello accani-
to dietro ad un pallone. Il Signore guardava
compiaciuto: «Lo chiamerò calcio e divertirà
i ragazzi di tutto il mondo. Gli oratori di don
Bosco lo apprezzeranno parecchio».
Anche i ventidue angioletti si divertivano fin
troppo. Ad un certo punto, uno dei giocatori
intervenne un po’ troppo rudemente sulle gambe
di un avversario e ne nacque una zuffa furiosa.
Il Buon Dio si rabbuiò un pochino: «Devo
fare un ritocco» disse. Tornò al lavoro e creò
l’arbitro.
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Giugno 2014

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IL
GIUGNO 2014
ANNO CXXXVIII
Numero 6
IL
GIUGNO
2014
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Messaggio
del nuovo
Rettor
Maggiore
Testimoni
Don Andrea
Majcen
Salesiani nel mondo
Salviamo
i bambini!
Il mondo nel pallone
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
2 LE COSE DI DON BOSCO
In copertina :
In questo mese, i Campionati Mondiali di Calcio
monopolizzano l’attenzione di milioni di persone,
ma il gioco del calcio appassiona tutti i bambini
e i ragazzi del mondo (fotografia Shutterstock).
4 EDITORIALE
Messaggio ai lettori
6 IL CORTILE È RINATO
8 SALESIANI NEL MONDO
Salviamo i bambini!
12 L'INVITATO
4
Il prete dei tifosi
15 LA POSTA
16 FINO AI CONFINI DEL MONDO
18 LE CASE DI DON BOSCO
Venaria
20 INVITO A VALDOCCO
22 POSTER CONSIGLIO SUPERIORE
26 A TU PER TU
Don Roberto Cappelletti
26
30 FMA
Suor Anna Maria
è la Donna dell'anno
32 COME DON BOSCO
34 LA LINEA D'OMBRA
36 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
38 TESTIMONI
Don Andrea Majcen
40 I NOSTRI SANTI
38
41 RELAX
42 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
43 LA BUONANOTTE
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
Tel./Fax 06.65612643
e-mail: biesse@sdb.org
web: http://biesseonline.sdb.org
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Roberto Desiderati,
Thierry Dourland, Ángel Fernández
Artime, Cesare Lo Monaco,
Alessandra Mastrodonato, O. Pori
Mecoi, Pietro Mellano, Francesco
Motto, Carlo Nanni, Pino Pellegrino,
Piotr Szelag, Luigi Zonta, Fabrizio
Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Tullio Orler (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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Impaginazione: Puntografica s.r.l.
- Torino
Stampa: Mediagraf s.p.a. - Padova
Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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EDITORIALE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Messaggio ai lettori
del nuovo Rettor Maggiore
Contiamo sul vostro aiuto per poter essere
fedeli a quanto ci siamo proposti.
Abbiamo bisogno di voi e vi chiediamo
di esserci a fianco nel cammino
di rinnovamento che abbiamo intrapreso
Miei carissimi fratelli e sorelle,
un saluto cordiale e affettuoso da
Roma, al termine del Capitolo Ge-
nerale 27 dei salesiani di don Bosco.
È il primo messaggio che vi rivolgo
come Rettor Maggiore e desidero, in
primo luogo, esprimervi la mia gioia e la mia sod-
disfazione per le tante dimostrazioni di simpatia
e affetto con cui mi avete circondato in queste
prime settimane. Sono felice di poter contare su
di voi e sono sicuro che, con l’aiuto del Signore,
vivremo un periodo di vera comunione con l’in-
tera famiglia salesiana per continuare a ri-
spondere insieme alla sfida dei giovani più
poveri in questo tempo carico di attese e
possibilità.
Desidero riservare, da queste pagine del
Bollettino Salesiano, alcune parole di ri-
conoscenza a don Pascual Chávez Villa-
nueva che con tanta dedizione e
generosità ha esercitato il
servizio di Rettor Mag-
giore fino ad ora. Sono
stati dodici anni di lavo-
ro instancabile in cui è stato volto e cuore di don
Bosco in mezzo a noi e ci ha donato un magiste-
ro fecondo e luminoso. Il suo profondo pensiero
biblico-teologico, il suo costante invito a tornare
a don Bosco e lo slancio dato all’intera famiglia
salesiana resteranno sempre nella nostra memoria
come linee guida caratteristiche del suo rettorato.
Lo ringraziamo per la sua bontà e la sua amorevo-
lezza con tutti, la sua carità pastorale e il suo in-
crollabile ottimismo che ha incarnato per noi in
modo eloquente il padre e maestro dei giovani. In-
finiti ringraziamenti, caro don Pascual, per il tuo
impegno senza limiti nella missione che il Signore
ti ha affidato.
Il Capitolo Generale 27 è stato un evento di gra-
zia per i salesiani e lo sarà, ne sono sicuro, per i
giovani e per tutta la nostra famiglia. Abbiamo
cercato di metterci all’ascolto sincero dello Spiri-
to per cogliere con più chiarezza l’orizzonte verso
cui Dio ci invia in questo tempo e i cammini che
dobbiamo percorrere come Congregazione e par-
te vitale della nostra Famiglia Salesiana.
Appassionanti sfide
Viviamo un nuovo contesto ecclesiale e ci sen-
tiamo partecipi delle appassionanti sfide che il
papa Francesco ha indicato a tutti i battezzati e,
in modo speciale per quanto ci riguarda, anche ai
consacrati. L’incontro con il Santo Padre ha mes-
so fuoco nel nostro cuore. Il Papa ci ha rivelato
il grande affetto che prova per i figli di don Bo-
sco e il suo incisivo messaggio è stato un impul-
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so impegnativo che trasformeremo in cammino
programmatico nei prossimi anni. Stringendo la
sua mano, abbiamo rinnovato l’adesione filiale al
successore di Pietro che il nostro padre voleva per
tutti i suoi salesiani.
Papa Francesco ci ha invitati a vivere con uno sti-
le semplice ed autentico, chiaramente evangelico
e impegnato con i più poveri. Ci ha invitati ad
andare incontro ai più bisognosi, rinnovando le
nostre strutture e raggiungendo le periferie esi-
stenziali dei giovani del nostro mondo. A loro,
ci ha detto Francesco, dobbiamo dedicare le no-
stre migliori energie e le persone più preparate.
Come don Bosco, la bontà e l’affetto devono es-
sere, nell’azione del salesiano in mezzo ai giovani,
segni della tenerezza e dell’amore di Dio che si
rivolge di preferenza ai piccoli e agli ultimi.
Valorizzando quanto il Papa ci ha detto e attenti
alla voce dello Spirito, noi salesiani abbiamo rin-
novato il nostro impegno per una vita evangeli-
ca più verace, autentica e significativa. Vogliamo
essere, in verità, uomini con una profonda espe-
rienza di Dio, capaci di annunciare con la vita il
suo amore misericordioso. Ci impegneremo vital-
mente in comunità che siano visibilmente frater-
ne e che manifestino la profezia della comunione
nella missione condivisa con la comunità edu-
cativo-pastorale e gli altri gruppi della Famiglia
Salesiana. Rinnoveremo giorno dopo giorno il
nostro servizio generoso e assoluto ai giovani che
il Signore ci affida, specialmente i più bisognosi.
Cercheremo incessantemente i deserti nei quali
le povertà giovanili sono più urgenti e a quelle
dedicheremo le nostre migliori energie.
Contate su di me
Contiamo sul vostro aiuto per poter essere fedeli
a quanto ci siamo proposti. Abbiamo bisogno di
voi e vi chiediamo di esserci a fianco nel cam-
mino di rinnovamento che abbiamo intrapreso.
Senza di voi non saremmo noi, ha ripetuto molte
volte don Pascual nel sessennio precedente. Sono
convinto che sia così. Don Bosco ha voluto un
vasto movimento di persone al servizio della mis-
sione giovanile e popolare. Dobbiamo cammina-
re uniti in questi anni perché la profezia del no-
stro padre si tramuti ogni volta in una felice realtà
in tutti i contesti del mondo salesiano. La Carta
d’Identità della Famiglia Salesiana deve aiutarci,
come autentico programma d’azione, ad occupa-
re il nostro posto nella Chiesa come movimento
spirituale e carismatico nella missione che don
Bosco ci ha affidato.
Concludo con qualche parola rivolta in modo
speciale ai miei cari giovani. Li porto nel cuore.
Desidero con tutte le mie forze potervi incontra-
re, camminare con voi, condividere i sogni, le dif-
ficoltà e le speranze di ciascuno di voi. Voglio che
sappiate che sono incondizionatamente a vostra
disposizione con tutto il mio tempo e le mie ener-
gie. Contate su di me come io conto su di voi. Vi
chiedo di aiutarmi a vivere come don Bosco e con
me tutti i salesiani di tutte le comunità, per con-
tribuire in questi anni a continuare a rendere vivo
il suo messaggio e la sua proposta nel nome del
Signore Gesù a tutti i giovani del mondo. Faccio
partecipe di questo desiderio anche tutta la cara
Famiglia Salesiana.
Mi congedo con un affettuoso abbraccio per tutti,
chiedendo a Dio la sua benedizione per ciascuno
di voi e le vostre famiglie. Raccomando a Maria
Ausiliatrice e alla vostra preghiera il compito che
mi è stato affidato.
«Come per don
Bosco, la bontà
e l’affetto devono
essere segni
della tenerezza e
dell’amore di Dio
per i giovani, i
piccoli e gli ultimi»
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Il cortile di
don Bosco
sta cambiando
grazie a
Piccinini Maria Luisa
Pani Luisanna
Donvito Giuseppina e Petrera Maria
Fontana Renna Rosaria Maria
Cagnotto Piera e Cismondi Roberto
Germanetti Gisella e Gallina Roberta
Santangeli
Canelli Giuseppe e Napione Silvana
Cini Fabrizio Marini
Avidano Primo
Sgandurra Roberto
Crisavulli Roberto da Laboratorio Mamma
Margherita
Ferrero Maria Teresa
Matteucci Luca
Camerlengo Elio
Andriolo Anna Maria
Achilarre Davide
Barbieri Simone Domenico
Alba Giuseppe da parte di Ester
Buzzotta Francesco
Levrero Roberta e Vigliani Anna M.
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Pellegrini Giuseppe
Fracchia Beatrice Maria
Pasini Giulio
Diana Flavio
Rainaldi Livio
Boetto Marta
Chianese Nicoletta
Viola Margherita - Goia Emanuela
Serafini Ida Conforti C.
Cervini Paolo
Martore Giovanni
Cossa Marco - Festa Simona
Pasqualini Stefano - Pisano Raffaella
Romanelli Luigi
Treppiedi Fortunata
Zocchi Irma
Nobili Daniela
De Vita Lilian e Melisi Adolfo
Giorgis Roberto
Beatrice M.
Coccioli Adele
Deutsche Prov. Salesianer - Domatelli
Deutsche Prov. Salesianer - Salesiani Mainz
Ist. Sec. Volontarie don Bosco Vdb Regione Sloso
Fabbri Marisa Scanu
Un grazie particolare a don Pietro Mellano e
all’architetto Giampiero Zoncu che con grande
impegno e intelligenza seguono i lavori.
Ma molto resta ancora da fare, per rendere questo angolo ricco di memorie sacre sempre più accogliente per
pellegrini, giovani e famiglie.
La realizzazione è impegnativa e il momento
difficile. Per questo ci permettiamo di chiede-
re l’aiuto concreto di tutti.
Tutti possono partecipare: scuole, ispettorie,
parrocchie, famiglie.
Ricordando che ogni contributo piccolo o
grande è ugualmente prezioso.
Per informazioni: e-mail: biesse@sdb.org
Per i contributi: Banca Intesa Sanpaolo
fil. 00505 - Torino
IBAN: IT94 N030 6901 0051 0000 0016 221
BIC: BCITITMM
intestato a Oratorio San Francesco di Sales -
Il cortile di don Bosco
I ragazzi di Borgomanero inaugurano la nuova base del monumento.

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SALESIANI NEL MONDO
ANS
Salviamo i bambini!
Le cifre continuano ad essere spaventose: 215 milioni. Tanti sono i bambini che,
ancora oggi, nel mondo sono costretti a lavorare per vivere. Non mancano gli italiani:
400 mila minori. E le prime vittime della crisi finanziaria sono proprio i bambini.
Nel 2002 è stato approvato il Protocollo Opzionale alla Convenzione Onu sui diritti
dell’infanzia e dell’adolescenza che vieta l’uso dei bambini soldato, ma ad oggi sono
oltre 250 000 i minori, femmine e maschi, rapiti, drogati, schiavizzati per combattere
in guerre armate. E i salesiani in tutto il mondo sono in prima linea.
I
N
I child workers di Sivakasi
D
I Di tanto in tanto sui giornali del Sud India appare lorano il cielo e che ci fanno stare a bocca aperta
A un articolo sui child workers (bambini lavoratori) e il naso all’insù sono dovute a sostanze velenose.
di Sivakasi. Nell’India meridio- I bambini che manipolano queste sostanze sono
nale, in una regione arida dello condannati a malattie e deformazioni.
stato del Tamil Nadu, si trova la Molti di questi bambini si trovano lì senza geni-
città di Sivakasi, conosciuta in tori. Provengono da famiglie povere, dalle caste
tutto il paese per la fabbricazio- più depresse della società spesso originarie delle
ne di fiammiferi, fuochi zone rurali, magari colpite dalla siccità. I picco-
d’artificio e petardi, li lavorano tutto il giorno, dormono in baracche,
tanto che realizza hanno una dieta monotona e povera, a base di riso
fino al 90% della e lenticchie, e ricevono una paga che raramente
produzione naziona- supera i 50 centesimi di euro al giorno.
le. Meno noto è però Là vivono privi della tutela familiare, dell’educa-
che una percentuale zione e del gioco e restano vulnerabili all’avvele-
molto alta di que- namento delle sostanze che maneggiano, all’abuso
sti prodotti è fatta a sessuale da parte dei superiori e a molti altri rischi.
mano da migliaia di Il loro lavoro è molto pericoloso. L’organizzazio-
bambini e bambine, ne non governativa salesiana “Jugend Eine Welt”,
circa 6000 secondo con base in Austria, ha inoltre recentemente sot-
alcune stime.
tolineato come pure nel 2013 sono avvenuti mol-
Quello che dicono i ti gravi incidenti nelle industrie che producono
giornali è che quelle fuochi d’artificio; a Sivakasi, nel maggio scorso,
splendide scie che co- ne è rimasto vittima un bambino di 11 anni, che
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ha perso la vita; e molti altri sono i minori che
subiscono ferite gravi, mutilazioni e danni per-
manenti nell’industria dei fuochi d’artificio.
I salesiani animano diverse opere e molte attività
a Sivakasi per sostenere la popolazione povera ed
emarginata e in particolare per aiutare i bambini
poveri, lavoratori ed espulsi dal sistema educativo:
attraverso scuole, educazione non formale, una
casa d’accoglienza per i ragazzi, centri di studio
serali, gruppi di auto-aiuto per le donne e un cen-
tro di prevenzione dell’abbandono scolastico. È
anche in programma l’istituzione di un centro di
formazione al lavoro in grado di offrire ai giovani
provenienti da famiglie povere altre opportunità
lavorative rispetto al pericoloso settore dei fuochi
d’artificio.
I bambini e...
R
E
P
“Nell’esercito avevo tutto quello che volevo: ra-
gazze, tabacco, alcol...”. È la testimonianza di
un ragazzo congolese 14enne, che attualmente si
U
B
B
trova in un centro salesiano per il reinserimento
L
nella società civile. Si è lasciato alle spalle l’orrore
I
delle armi. Ma ci sono ancora 300 000 bambini
C
che non hanno avuto la fortuna di essere libera- e giovani sradicati con violenza che trovano nell’e- A
ti. Come riporta un Comunicato Stampa diffuso
dalla Procura Missionaria Salesiana di Madrid.
Per le Nazioni Unite è un bambino soldato cia-
scuna persona sotto i 18 anni che fa parte di
qualsiasi tipo di forze armate, regolari o irrego-
sercito una sorta di famiglia.
Sono circa 36 000 i bambini soldato liberati nella
Repubblica Democratica del Congo negli ultimi
dieci anni, ma secondo i dati dell’Unicef almeno
6000 sarebbero ancora arruolati nelle milizie ir-
D
E
M
O
lari, con qualsivoglia mansione. Non si sta par- regolari. L’Opera “Don Bosco” di Goma è in pri- C
lando, perciò, solo di bambini che brandiscono ma linea nelle operazioni di assistenza ai piccoli R
armi, ma anche di cuochi, facchini, messaggeri e ex bambini soldato. Il Comitato spagnolo dell’U- A
di ragazze reclutate per fini sessuali. La relazione nicef ha insignito il centro con il Premio Interna- T
dell’Assemblea Generale del Consiglio di Sicu- zionale “Los niños primeros” (Prima i bambini), I
rezza delle Nazioni Unite (maggio 2013) indica perché, come riportato nella motivazione: “nel C
che, allo stato attuale, 50 gruppi armati e 8 governi mezzo della guerra, delle violazioni e della mi- A
reclutano o utilizzano i bambini nei contesti di osti- seria, questo centro ha accolto, educato, curato e
lità, senza contare quelli che sono integrati nelle nutrito circa 26 000 ragazzi”.
D
milizie a sostegno dei governi.
“I reclutamenti forzati continuano, soprattut- E
Anche se i dati non sono esatti, è chiaro che quan- to nei villaggi della provincia del nord Kivu, e i L
do sorge un conflitto i minori sono una facile risor- bambini che tentano di fuggire vengono torturati C
sa, “una forza militare molto economica e obbediente, o uccisi, a volte davanti ad altri bimbi, a titolo di- O
non pensano alle conseguenze delle loro azioni in guer-
ra, mangiano meno e sono facili da sostituire”, come
spiega uno dei salesiani del centro Don Bosco di
Goma Ngangi. In breve, sono bambini, bambine
mostrativo”, ha riferito Paolo Urbano, responsa-
bile del settore sanitario della Cooperazione Ita-
liana in un comunicato rilasciato ieri, 11 luglio,
all’Agenzia Giornalistica Italia (AGI).
N
G
O
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SALESIANI NEL MONDO
S
R
... le bambine soldato
I
L Circa il 40% dei minori impegnati nei conflitti rifugiati di guerra, in maggioranza giovani. “Una
A sono di sesso femminile. Eppure delle bambine e volta finito il conflitto – racconta suor Maryann
N delle ragazze soldato non si parla quasi mai. Vit- Fernando direttrice della casa Maria Ausiliatrice
K time, come e forse più dei loro coetanei maschi, a Negombo nel sud dello Sri Lanka – il gover-
A necessitano di cure e sostegno anche una volta no cercava disperatamente qualche organismo
terminati i conflitti. In Sri Lanka, le Figlie di non governativo che li riabilitasse, prendendo-
Maria Ausiliatrice si occupano di loro.
sene cura. Punitha Nayagam, avvocato leader di
La vita delle bambine soldato è molto dura e il Vavuniya, e il suo amico Alexander magistrato
loro ruolo è molteplice. Piccolissime, appena cat- giudice, hanno contattato i dirigenti ecclesiastici
turate, fanno le sguattere per i soldati, cucinano, chiedendo loro di aprire una casa, affinché i ra-
raccolgono le provviste e una volta nella pubertà, gazzi orfani di guerra venissero presi in carico e
sono costrette a sposare il capo dei guerriglieri. riabilitati. E noi abbiamo accettato”.
Altre vengono schiavizzate dai soldati che abusa- In varie occasioni le Figlie di Maria Ausiliatrice
no di loro e altre ancora ricoprono un ruolo attivo sono state pressate affinché accettassero determi-
nella guerriglia combattendo, facendo le spie e nate ragazze, ma la comunità ha insistito per man-
diventando informatrici.
tenere la propria autonomia e rispettare il proprio
I problemi per queste giovani donne non termi- carisma: “All’inizio ci hanno chiesto di fare qual-
nano con la fine della guerra, perché, una volta che cambio nel sistema di ammissione (…) vole-
tornate nei loro villaggi, spesso con figli al segui- vano assolutamente che ci prendessimo cura delle
to, vengono escluse dalle stesse famiglie e con- ragazze che essi ci affidavano, ma noi abbiamo de-
tinuano a risentire dei disagi psicologici e fisici ciso di accettare le giovani più vulnerabili, quelle
maturati nei conflitti.
veramente povere ed emarginate. Abbiamo attiva-
Nello Sri Lanka dilaniato da una guerra civi- to anche una breve permanenza in casa quando le
le durata 25 anni, gli scontri, iniziati nel 1983 e bambine non riuscivano a localizzare i genitori”.
terminati nel 2009, hanno generato oltre 280 000 A Vavuniya, città spesso teatro di scontri tra go-
verno e Tigri Tamil, le Figlie di Maria Ausiliatri-
ce gestiscono la “Casa per ragazze combattenti ed
ex-soldati” che ospita 173 ragazze. Di queste, 77
frequentano tra il vi e il xiii corso e 80 sono or-
fane. La più giovane ha 3 anni ed è all’asilo. Una
ragazza studia all’università, 20 seguono corsi
professionali e 2 il corso di fisioterapia. Dieci, tra
le maggiorenni, lavorano.
“Il rendimento scolastico delle ragazze risente
molto delle conseguenze della guerra e per tutte
loro c’è un sistema di tutor. I traumi subiti duran-
te la guerra hanno lasciato segni indelebili: molte
soffrono di disagi psichici legati alla depressione.
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Altre hanno ferite da guerra mal curate, che si
portano dietro da anni”.
Le iniziative delle Figlie di Maria Ausiliatrice
sono volte a sostenere la salute fisica e psichi-
ca, l’educazione e la formazione spirituale; sono
inoltre attive collaborazioni con altre realtà non
governative internazionali, quali Croce Rossa
Internazionale, Unicef e World Food Program e
nazionali come il Social Economical and Envi-
ronmental Developpers (seed) e lo shade che
collaborano settimanalmente con l’opera “Don
Bosco Children’s Home”.
Da
bambini soldato a
universitari
C
O
L
Lorena ed Edwin, ex bambini soldato, nel mese sciuto l’orrore della guerra, voglio essere un sim- O
di aprile hanno percorso i paesi di Spagna, Ger- bolo di pace. E la pace la costruiamo apportando M
mania, Italia e Svizzera per presentare il loro qualcosa di nuovo alla società; per questo perse- B
“Progetto Università” nelle scuole salesiane, ad guire un diploma universitario rappresenta non I
università ed ong, come gesto di crescita per la solo una mia crescita personale, ma un impegno A
loro vita e per cercare di estendere ad altri gio- maturo per ricreare la pace. Mi auguro che molti
vani in formazione presso le opere salesiane della giovani liberati dalla guerra compiranno gli studi
Colombia il programma di cui hanno beneficiato. universitari, per cambiare anche la mia patria”.
Il programma per bambini-soldato è stato avviato Edwin, che sta completando gli studi superiori,
nel 2001 nella città di Cali, in Colombia, quando aspira ad essere un grande educatore per i bambi-
il governo nazionale stava cercando una soluzione ni che una volta erano soldati: “la cosa più grande
per i bambini che uscivano dall’esperienza del con- nella vita è donare il bene presente in ogni essere
flitto armato con la guerriglia o i paramilitari. A umano, ed io voglio aiutare tutti i giovani fuori-
quel tempo i Salesiani furono i primi a risolvere il usciti dalla guerra ad avere una vita degna e im-
problema e ad assumersi la responsabilità dell’edu- pegnata a favore dei diritti dei bambini”.
cazione e della formazione per i ragazzi e le ragaz- Dopo dieci anni di lavoro dei salesiani con bam-
ze che non volevano più far parte di gruppi armati. bini e giovani soldati, il progetto ha nuovi obiet-
A dieci anni di distanza molti di questi giovani si tivi e impegni e questo può considerarsi il vero
sono reinseriti nella società, entrando in qualche successo educativo. Secondo lo stile di don Bosco,
impresa, trovando un lavoro autonomo o lavoran- i ragazzi hanno capito per bene il motto “bravi
do essi stessi come educatori dei giovani strappati cristiani e onesti cittadini”.
ai conflitti. Attualmente 20 di loro si stanno for-
mando attraverso un corso tecnico universitario
e per questo Lorena ed Edwin sono partiti per
l’Europa, accompagnati da don German Lon-
doño, direttore dell’opera salesiana di Cali, per
presentare il loro impegno nella società e il loro
desiderio di diventare dei professionisti dopo aver
superato con successo l’esperienza del conflitto.
Lorena, che adesso studia contabilità, ha detto ai
giovani di un istituto svizzero che “come ho cono-
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L’INVITATO
PIOTR SZELA˛G
«Sono un ultraprete»
Incontro con don Jarek Wa˛sowicz
Lo scorso 4 gennaio circa 5000 tifosi delle diverse
squadre di calcio polacche si sono ritrovati presso
il Santuario di Jasna Góra a Cze˛stochowa, ai piedi
della Madonna Nera, per il VI Pellegrinaggio
Patriottico dei Tifosi.
Ad organizzare l’evento è stato don Jarosław (Jarek)
Wa˛sowicz, salesiano dell’Ispettoria di Piła (Polonia).
Come ti è venuta l’idea
di occuparti dei tifosi
di calcio?
Da subito dovrei precisare che io non
mi occupo dei tifosi o ultrà come se
questo fosse un apostolato organizza-
to, perché anch’io sono un tifoso. Da
ragazzo ero impegnato nella tifoseria
a Danzica. E questa passione non si
è dissolta. Come pure non si sono
cancellati i contatti con tanti amici
di allora. Oggi semplicemente come
salesiano voglio servire in quanto sa-
cerdote i miei fratelli tifosi. All’inizio
erano gli ultrà del Lechia Gdańsk. Si
pensava di celebrare per loro la Messa
all’inizio della stagione calcistica, si
organizzavano incontri prenatalizi o
manifestazioni di carattere patriotti-
co. Nel caso del Lechia era una con-
tinuazione di quello che era già av-
venuto nella storia di codesta tifoseria
degli anni ’70 e ’80 del secolo scorso,
quando la regione di Danzica guida-
va la rivolta anticomunista. È proprio
qui che nell’agosto del 1980 nacque
“Solidarność” e si formò la società
clandestina come risposta alla guerra
dichiarata dal generale Jaruzelski alla
propria nazione. Dopo l’introduzio-
ne della legge marziale, lo stadio del
Lechia divenne uno dei bastioni del-
la Solidarność clandestina. Durante
ogni partita gli ultrà chiedevano aper-
tamente la libertà con slogan antico-
munisti. Molti di loro si sono inseriti
nelle attività clandestine. La manife-
stazione più importante di quel perio-
do di lotta contro il regime e per la
libertà, fu la partita nella Coppa delle
Coppe tra il Lechia e la Juventus. A
Danzica, durante l’intervallo e all’i-
nizio del secondo tempo, ci fu un’o-
12
Giugno 2014

2.3 Page 13

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vazione a Lech Wałęsa, appena tor-
nato dal luogo della sua detenzione.
Per diversi minuti i tifosi gridarono
il nome del sindacato “Solidarność”
e altri slogan patriottici. Grazie alla
presenza dei media occidentali questo
messaggio dei tifosi fece il giro del
mondo. Negli anni ’80 manifestazio-
ni simili ebbero luogo più volte.
Dopo alcuni anni ho descritto que-
sti avvenimenti nel libro “Solidarność
bianco-verde. Il fenomeno politico della
tifoseria del Lechia 1981-1989”. Il libro
ha avuto un buon riscontro non solo tra
gli storici, ma anche tra i tifosi di tutta
la Polonia. Così sono diventato famo-
so in questo ambiente. Tutto questo
inoltre mi ha permesso di affrontare la
sfida di organizzare un pellegrinaggio
dei tifosi a Jasna GÓra. Gli inizi erano
molto modesti, ma grazie al sostegno
dei leader delle singole tifoserie, di
anno in anno, alla capitale spirituale
del Paese arrivavano sempre più fans,
non solo delle squadre di calcio, ma
anche quelli che tifano lo speedway o
altri sport. L’idea del pellegrinaggio è
nata grazie a un tifoso del Lechia, Ta-
deusz Duffek, che godé di una grande
stima tra tutte le tifoserie polacche.
Dopo la sua morte abbiamo ripreso
questa iniziativa. E il Signore ci ha be-
nedetti. Durante l’ultimo pellegrinag-
gio nel gennaio scorso, a Jasna Góra si
sono visti più di 5000 tifosi.
coetanei che devono affrontare la
disoccupazione, difficili situazioni
finanziarie, la mancanza di autorità,
la violenza e volgarità della vita, la
fuga verso le droghe. I giovani ultrà
si distinguono però da altri giova-
ni per il loro modo di essere straor-
dinariamente attivi, pieni di ideali e
con obiettivi ben precisi. Allo stadio
ritrovano il senso di essere una comu-
nità, il senso di fratellanza. Quando
uno diventa ultrà, si può dire che è
diventato uno di noi e di conseguenza
può contare sull’aiuto di altri fratelli
ultrà sotto la stessa bandiera. Anche
nelle situazioni più drammatiche del-
la vita. E questo attira molto. Diventa
pure un sostegno per loro nelle inizia-
tive intraprese di carattere caritativo
o educativo. Nella realtà polacca è un
fenomeno sociale degli ultimi anni.
Perché essere ultrà in Polonia non è
uguale ai tafferugli di hooligans pre-
sentati in continuazione dai media,
ma è un movimento di iniziative che
partono dal basso per sostenere i bi-
sognosi, per esempio i ragazzi negli
orfanotrofi, le raccolte di sangue, as-
sistenza ai reduci di guerra, organiz-
zazione delle vacanze estive per bam-
bini delle famiglie polacche rimaste
dopo il 1945 nei confini dell’Unione
Sovietica. Di iniziative simili ce ne
sono tante. E si nota come queste at-
tività marginalizzano le patologie da
stadio. Ci si può convincere di perso-
na come diventa realtà l’appello di san
Paolo: “Vinci con il bene il male”. È
proprio questo bene che va sostenuto.
Come riesci ad attirarli a te?
Non ho bisogno di farlo perché ne-
gli stadi ne ho viste molte e perciò
penso che loro si fidano di me. Sono
diventato loro compagno in tutte le
più importanti imprese come tifoso
Una manifestazione di tifosi alla tomba del beato
padre Jerzy Popiełuszko, martire della libertà
polacca.
Quali sono
gli atteggiamenti
di questo specifico
ambiente giovanile?
La maggioranza è composta da gio-
vani con gli stessi problemi dei loro
Giugno 2014
13

2.4 Page 14

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L’INVITATO
è diventato una macchinetta per fare
soldi ad ogni costo e contro ogni re-
gola di onestà. E qui nasce un compi-
to per noi: trasmettere ai giovani delle
nostre scuole, dei nostri oratori e cen-
tri di educazione il vero ideale dello
sport. Ma per quanto riguarda i tifosi
lo sport è uno spazio che affascina le
folle, specialmente giovani. Così di-
venta per noi salesiani un luogo natu-
rale dell’evangelizzazione da sfruttare
al meglio.
«Qui nasce un compito per noi: trasmettere ai
giovani delle nostre scuole, dei nostri oratori e
centri di educazione il vero ideale dello sport».
e come prete. Quando bisogna difen-
derli, visto che gli ultrà in Polonia su-
biscono discriminazioni a causa delle
loro convinzioni, io li difendo, perciò
ricevo batoste dai principali media
che sono ancora gestiti dai gruppi di
liberali e dalla sinistra anticristiana.
Quando mi tocca dire la mia opinione
su certi temi di grande importanza lo
faccio. Mi è d’aiuto il nostro stile sa-
lesiano di stare con i giovani, sentire i
loro problemi e sofferenze che devono
affrontare ogni giorno; capire le loro
reazioni e atteggiamenti, ma prima di
tutto un momento di dialogo come
faceva don Bosco per suggerire qual-
che possibile soluzione.
Com’è nata
la tua vocazione?
Il Signore chiama e questo è il suo
grande mistero: il modo in cui suscita
nel cuore dell’uomo l’idea di incam-
minarsi su questa strada. Così è stato
anche nel mio caso, anche se passati
tanti anni ho capito che molte situa-
zioni non erano casuali. Diverse cir-
costanze mi hanno portato a diven-
tare salesiano. Sono cresciuto in una
famiglia nella quale la religione e la
Chiesa non erano un’aggiunta festi-
va, ma avevano un reale impatto sulla
nostra quotidianità. Per di più un fra-
tello di mia mamma è salesiano.
Che significato ha
la passione sportiva
nel sistema educativo
salesiano?
Don Bosco ha visto lo sport come un
fattore importante nell’educazione dei
giovani e dei ragazzi perché fa impa-
rare come gareggiare con delle regole,
superare le difficoltà, correggere si-
stematicamente la propria condotta.
Purtroppo lo sport di oggi ha ormai
poco a che fare con gli ideali da me
elencati. E bisogna tenerlo presente.
Nel mondo contemporaneo lo sport
Come si può esportare
la tua intuizione del lavoro
con gli ultrà?
Mi sembra molto semplice. Tra que-
sti giovani semplicemente bisogna es-
serci, accompagnarli; sostenerli nelle
azioni positive. Provare ad arrivare
con delle proposte concrete, come la
Messa d’inizio stagione, incontri con
i calciatori negli oratori, viaggi per ve-
dere con loro una partita in trasferta,
impegnarsi a risolvere i loro problemi
quotidiani. In questo caso una mas-
sima di don Bosco si realizza perfet-
tamente: se sentiranno che tu li ami,
anche loro cominceranno ad amare
ciò che per te è importante.
A quali effetti porta
l’impegno con un gruppo
di giovani così particolari?
Gli effetti sono tali che di anno in
anno al pellegrinaggio a Jasna Góra
partecipano sempre più ultrà e tifosi,
anche delle squadre che sono in con-
flitto tra di loro. È un incontro che
serve per parlare delle cose che inte-
ressano il loro ambiente, cercare valo-
ri che uniscono, pregare.
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Giugno 2014

2.5 Page 15

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LA POSTA
I NOSTRI ESPERTI RISPONDONO
I bambini in chiesa
disturbano?
Sul portone della mia chiesa
parrocchiale è apparsa questa
scritta: “In questa chiesa, du-
rante le celebrazioni liturgiche,
non sono ammessi bambini ed
infanti che disturbino”. Il parroco
è stato molto duro con i genitori
che, durante l’omelia domenica-
le, lasciano che i figli facciano
chiasso.
“I genitori devono educare e molti
non sono capaci di farlo”, accusa
il Parroco. “Chi mai si sognerebbe
di portare un neonato che piange
al cinema?” La decisione ha sol-
levato immediate polemiche, tra
i parrocchiani. Nella parrocchia
vicina alla nostra hanno predispo-
sto una nursery nella sagrestia,
dove le mamme possono seguire
la messa con un collegamen-
to audio e video, mentre i bimbi
giocano senza disturbare. Nel
Consiglio Pastorale siamo divisi
a metà e non sappiamo che cosa
proporre concretamente.
Alessandra P.
C onosciamo tutti la li-
tania, più o meno sus-
surrata, che serpeggia
in molte Messe do-
menicali, soprattutto
durante l’omelia: «La-
scia stare il foglio», «Scendi dal
banco», «È quasi finita, resisti
ancora qualche minuto», «Co-
lora Peppa Pig sul tuo album»,
«E stai un po’ fermo, accidenti»,
«La moneta dopo. Non adesso»
e così via. Con l’accompagna-
mento dei più o meno sonori
sssst ! delle signore indignate. La
scelta tra raccoglimento assolu-
to e brusio intermittente è impro-
ponibile. Il rischio è di un duello
poco cristiano tra teste bionde e
teste grigie. La questione è seria:
se le famiglie non possono più
venire in chiesa “come famiglie”,
ci verranno ancora? Se i bambini
non vanno mai a Messa con la
mamma e il papà, ci andranno
poi volentieri?
Padre Valerio Mauro, docente di
Teologia sacramentaria alla Fa-
coltà Teologica dell’Italia Centra-
le, auspica una soluzione equili-
brata: «La nostra liturgia non è a
misura di bambino, non si svolge
secondo una modalità comuni-
cativa e un linguaggio adatti a
loro, né potrebbe farlo. Tuttavia la
Messa ha una dimensione miste-
rica che ci coinvolge come popo-
lo di Dio, strappandoci alla tenta-
zione dell’individualismo o della
soddisfazione emotiva: andiamo
a vivere un incontro di grazia, of-
ferto ad ogni battezzato in un mo-
mento comunitario. La teologia
ci avverte che nella celebrazione
eucaristica lo Spirito Santo non
trasforma solo il pane e il vino
nel Corpo e Sangue del Signore,
ma agisce nella stessa comunità
facendola diventare sempre più il
Corpo del Signore. Se i genitori
partecipassero alla Messa in orari
diversi, potrebbero prendersi cura
dei bambini a turno nelle proprie
OGNI MESE
DON BOSCO
A CASA TUA
Il Bollettino Salesiano vie-
ne inviato gratuitamente a
chi ne fa richiesta.
Dal 1877 è un dono di don
Bosco a chi segue con sim-
patia il lavoro salesiano tra
i giovani e le missioni.
Diffondetelo tra i parenti e
gli amici. Comunicate su-
bito il cambio di indirizzo.
case, ma è davvero opportuno
che le famiglie, soprattutto quelle
più giovani, si dividano nella par-
tecipazione a questo momento
di fede comunitaria? E i bambini
portati alla Messa possono vive-
re questo tempo stando sempre
zitti e fermi? Credo che occorra
cercare una mediazione, possibi-
le solo caso per caso, comunità
per comunità, nella concretezza
delle varie circostanze materiali,
cominciando dalla struttura della
chiesa».
Una buona soluzione parte da una
accurata preparazione dei bambi-
ni e può portare ad un arricchi-
mento “catechistico” dei genitori.
Il compito è semplice: il bambino
è stato battezzato, ora deve inco-
minciare a crescere nella fede,
come cresce in umanità.
Bisogna sempre chiedersi: come
impara un bambino? Un bambi-
no impara così, acquisendo nuo-
ve capacità tramite le dita delle
mani e dei piedi. Assorbendo le
abitudini e gli atteggiamenti di
coloro che gli stanno intorno,
spingendo e tirando il suo mon-
do. Un bambino impara così, più
provando che sbagliando, più at-
traverso il piacere che attraverso
la sofferenza, più grazie all’espe-
rienza che grazie ai suggerimenti
e alle spiegazioni, e più grazie ai
suggerimenti che agli ordini. E
un bambino impara così, tramite
l’affetto, l’amore, la pazienza, la
comprensione, il senso di appar-
tenenza, il fare e l’essere. Giorno
per giorno il bambino perviene
a conoscere un po’ di quello
che i genitori sanno, pensano e
comprendono. Ciò che i genito-
ri sognano e credono, in verità,
è ciò che sta diventando quel
bambino. Nello stesso modo in
cui percepiscono oscuramente
o chiaramente, pensano confu-
samente o nitidamente, credono
stupidamente o saggiamente,
sognano in modo scialbo o in
modo aureo, rendono falsa te-
stimonianza o dicono la verità...
così il bambino impara.
I bambini imparano solo quello
che vivono e può essere un mo-
mento bellissimo e intenso per
loro vivere con la mamma e il
papà quell’avvenimento straor-
dinario che è la Messa dome-
nicale. Esistono ottimi sussidi,
semplici e completi, che posso-
no aiutare i genitori. Si veda, per
esempio, La Messa si impara in
famiglia della Elledici.
Loredana Perlo
catechista
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FINO AI CONFINI DEL MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
ISOLE SALOMONE
La gratitudine
degli sfollati
verso i salesiani
(ANS - Hender-
son) – Dall’8 al 23 aprile, circa 240 abitanti
delle aree di Foxwood, Nalibiu e Tumurora,
nell’isola di Guadalcanal, rimasti sfollati a
causa delle inondazioni che hanno colpito le
Isole Salomone, sono stati accolti presso le
strutture del “Don Bosco Technical Institute”
di Henderson. Accompagnati e poi riportati
ai loro villaggi dal personale della Provincia di
Guadalcanal, hanno ricevuto aiuto anche da
varie agenzie umanitarie, che hanno dato loro
cibo, vestiti e vari strumenti utili per affron-
tare quella difficile situazione. Al termine
delle due settimane presso l’opera salesiana i
rifugiati hanno ringraziato la comunità per
aver saputo costantemente garantire un clima
di spiritualità, la disciplina e la pulizia. Oltre
ai servizi di prima necessità, infatti, i religiosi
si sono impegnati ogni giorno ad animare
dei momenti di preghiera e a curare il morale
degli ospiti con la proiezione di film educativi
e la costruzione di giochi per i bambini.
PERÙ
Il Progetto
“Condividendo
con amore”
(ANS - Huancayo) –
L’équipe di Pastorale
Vocazionale dell’Istituto
salesiano “Santa Rosa”
di Huancayo, diretto da
don Oscar Montero, SDB,
svolge un progetto di soli-
darietà nelle scuole rurali
e urbane periferiche, de-
nominato “Condividendo
con amore”. L’obiettivo del
progetto è quello di sensi-
bilizzare gli studenti a
creare legami con bambi-
ni e giovani che necessi-
tano di sostegno morale,
compagnia e motivazioni
per migliorarsi ogni
giorno. In questo modo i
ragazzi si responsabiliz-
zano a vicenda e crescono
facendo esperienza diretta
dei valori di fratellanza e
vicinanza nei confronti di
chi si trova in situazione
di difficoltà.
REPUBBLICA
CENTRAFRICANA
Pasqua
con 15 mila
sfollati
(ANS - Bangui)
– Al Centro Don Bosco di Damala-
Bangui, la Veglia pasquale è iniziata alle
15 del Sabato Santo. Doveva finire entro
le 18, per via del coprifuoco. Fra le decine
di parrocchie e istituti religiosi che accol-
gono migliaia di centrafricani, cristiani e
musulmani, il Centro Don Bosco è il più
affollato: è arrivato a ospitare fino a 40mila
persone e per Pasqua ne contava 15mila.
Alcuni vivono nel centro, dal 5 dicembre
2013, fuggiti da case e villaggi a causa del
clima di insicurezza e violenza che regna
nel paese. Costantemente si vedono arrivare
feriti da arma da fuoco, gente bisognosa di
cure o ridotta alla fame. “Quest’anno, per
noi, la Pasqua ha avuto un significato parti-
colare – riflette don Ewita Drole Eleuterio,
responsabile del Centro. – La passione di
Cristo, ferito e umiliato, qui la viviamo tutti
i giorni”.
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INDIA
Donazione
solidaria
dai giovani
per i giovani
ITALIA
La Via Crucis
di chi patisce
le mafie
SPAGNA
Nuove
opportunità
per i giovani
senza famiglia
(ANS - Chennai) – In un gesto di solidarietà
concreta, due istituti salesiani di Egmore, in
India, hanno donato l’equivalente di 30 000
euro ai ragazzi della scuola superiore “St.
Joseph” di Pavunjur, Tamil Nadu. La cifra è
stata raccolta attraverso lo spettacolo “Do-
boda - Terza Stagione”, messo in scena nel
gennaio scorso, e sarà utilizzata per dare bor-
se di studio e costruire aule e laboratori per
elevare lo status della scuola, da istituto ru-
rale a istituto secondario superiore. “Doboda
è molto più di uno spettacolo di beneficenza.
È un movimento di solidarietà e un meravi-
glioso esercizio nella responsabilità sociale
delle scuole – ha detto don John Alexander,
direttore del Don Bosco Egmore. – L’intera
comunità scolastica si mette in moto per una
nobile causa e trasmettere ai giovani i valori
del lavoro di squadra, la condivisione e la
cura dei più bisognosi”. I fondi raccolti nelle
due precedenti stagioni sono stati utilizzati
sempre a beneficio degli allievi di vari istituti
educativi.
(ANS - Cordoba) – Se
farsi strada nel mercato
del lavoro, oggi, è difficile
per qualsiasi giovane, lo è
ancor di più per coloro che
non hanno una famiglia
alle spalle che possa so-
stenerli. Come ad esempio
quei ragazzi che, divenuti
maggiorenni, fuoriescono
dai centri di accoglienza
per minori e si ritrovano da
soli ad affrontare la vita da
adulti. A Cordoba, di loro
si preoccupa la “Fundación
Don Bosco”, che accoglie
e accompagna questi
giovani nella costruzione di
una nuova vita, attraverso
il “Progetto Buzzetti”. Dal
2012 sono già 60 i giovani
che ne hanno beneficiato.
Varie le modalità di realiz-
zazione: si va da una casa
con 5 posti letto, tenuta
in collaborazione con la
Caritas ed i Gesuiti, all’in-
serimento in appartamenti
condivisi, ostelli o altre
strutture cittadine.
(ANS - Bari) – L’Oratorio Centro Giova-
nile Redentore dei Salesiani di Bari, con la
collaborazione dell’Associazione “Libera”,
impegnata nella lotta alle mafie, ha or-
ganizzato per lo scorso 18 aprile, Venerdì
Santo, una via Crucis per le vie del quar-
tiere Libertà. Di fronte al continuo agire
della criminalità organizzata, a volte anche
con gesti cruenti, la Famiglia Salesiana e la
Comunità Educativa del Redentore hanno
scelto di non tacere, in un quartiere ad alto
rischio come quello del “Libertà”. Prenden-
do spunto dal testo “Patì sotto il peso delle
mafie” di don Tonino Palmese, salesiano e
coordinatore di “Libera” per la Campania,
la Via Crucis di quest’anno ha riflettuto sui
dolori, sulle sofferenze e sul sacrificio dei
martiri delle mafie. La cerimonia, parteci-
pata da numerosi giovani, ha voluto an-
nunciare e testimoniare il Vangelo proprio
nei luoghi dove la violenza dell’ingiustizia
sembra zittire ogni possibilità di cambia-
mento.
Giugno 2014
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2.8 Page 18

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LE CASE DI DON BOSCO
THIERRY DOURLAND
Salesiani a Venaria:
un piccolo ettaro di Paradiso
a portata d’uomo!
Un gruppo
di giovani
dell’oratorio con
il neo sacerdote
Thierry Dourland.
In alto: La chiesa
parrocchiale di
San Francesco.
Isalesiani vi giungono nel 1992 quando l’arci-
vescovo di Torino affida alla congregazione
la parrocchia e l’oratorio dedicati al santo pa-
trono d’Italia, Francesco di Assisi. Un campo
di azione vasto in questa cittadina famosa per
la sua reggia sabauda: 15 000 anime, di cui
molte giovani!
La piccola comunità religiosa, guidata dal primo
direttore don Luciano Carrero, viene accolta con
affetto ed è pronta a spendersi in questa nuova
missione. Il lavoro in effetti non manca, soprat-
tutto grazie alla splendida eredità lasciata da don
Isidoro Tonus, parroco dal 1954, uomo appassio-
Se immenso è l’amore
di don Bosco per i giovani,
altrettanto dovrà esserlo
quello per le sue giovani case.
Come la presenza salesiana
a Venaria Reale.
nato di Dio e della sua gente, intrepido evange-
lizzatore, efficace predicatore, tenace costruttore.
Sotto la sua regia i progetti non rimangono sulla
carta, ma prendono forma concreta: ampliamen-
to della parrocchiale, costruzione del primo ora-
torio, del salone cinema-teatro, l’acquisto della
colonia alpina di Cesana Torinese, della scuola
materna con l’oratorio femminile, concludendo
con l’edificazione della chiesa succursale dedicata
a Maria Regina della Pace. Questo prete tutto di
un pezzo, vissuto nella semplicità e nella povertà,
dalla tonaca consumata nel lavoro apostolico, ha
consegnato ai figli di don Bosco una realtà viva
e generosa. Le attività sono incalzanti, dalla vita
ordinaria della comunità parrocchiale, alla gran-
de esplosione delle proposte oratoriane.
«Posso rispondere solo: grazie!»
Così descrive questo clima Eugenia, cresciuta tra
le mura della San Francesco e oggi cooperatrice
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Giugno 2014

2.9 Page 19

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ed educatrice nel mondo salesiano: “Se penso alla
fatica che ho fatto la prima volta per entrarci, mi
viene quasi da sorridere e ringrazio di aver trovato
il coraggio di farlo, di attraversare quel cancello e
di accedere nel cortile dell’oratorio. Quello che mi
spingeva era soprattutto la voglia di imitare i miei
animatori più grandi. Ma da lì, da quel piccolo
desiderio, è nato in realtà molto di più: Estate Ra-
gazzi che si sono succedute, campi estivi, gruppi
formativi, doposcuola, catechismo, soggiorni a
Cesana, ritiri, gite e pellegrinaggi, per approdare
ad un anno di Servizio Civile. E poi la scoperta,
bellissima e sorprendente, che dietro quei muri e
quel cortile c’era un mondo molto più grande, un
movimento di giovani che s’ispira a don Bosco,
un insieme di ispettorie che comprendono tutta
l’Italia e tutto il mondo, il Rettor Maggiore, suc-
cessore di questo santo che ho iniziato a conosce-
re e che mi ha affascinato con la sua semplicità,
determinazione, coraggio ed amorevolezza. E
così l’oratorio, gli oratori, sono divenuti il luogo
da cui sono nate tante amicizie, una familiarità
bella e spontanea, un crescere insieme per aiutare
a crescere i più piccoli e i più giovani, ma soprat-
tutto il luogo in cui sono maturate la mia fede e
le scelte più importanti. Quello che posso rispon-
dere è solo: “Grazie, con riconoscenza infinita!”
I confratelli si sono succeduti, ma la missione e
lo spirito non sono cambiati. Ad aiutarli sono
sempre in molti: giovani animatori, famiglie, co-
operatori, catechisti e volontari di ogni età e dalle
mille capacità. Grazie a loro la casa di Venaria
può continuare a svolgere il suo servizio per i gio-
vani.
Una sfida affascinante
L’oratorio è un piccolo ettaro di Paradiso a por-
tata d’uomo, un piccolo terreno dove assaporare
quell’allegria tanto amata da don Bosco, una fon-
te dove possiamo abbeverarci di quella vera felici-
tà che sgorga dall’Amore di Dio”.
Nell’ultimo anno due grandi eventi hanno dato
una svolta alla vita di questa comunità. Anzitut-
to il rifacimento e l’ampliamento dell’oratorio,
inaugurato in questo mese di maggio, tanto desi-
derato dal direttore don Lucio Melzani, dall’in-
caricato dell’oratorio don Claudio Durando e dai
parrocchiani al gran completo. Con un grande
sforzo economico, ora la nuova struttura si pre-
senta bella e accogliente per bambini, giovani e
adulti. “Frequento l’oratorio fin da piccola – ci
racconta Marta, secondo anno delle superiori –
prima con il catechismo e ora con il gruppo. Sono
felice di vederlo ora completamente rinnovato,
così sarà sempre di più un luogo dove conoscere e
incontrare tante persone. Per me è un ambiente di
famiglia, in tutti i sensi. Già mio papà è cresciuto
qui e ora spero anch’io di diventare animatrice
come lui, seguendo le orme di don Bosco, padre,
maestro ed amico di noi ragazzi”.
Un secondo passo va infine segnalato. Per volere
dell’arcivescovo e dell’ispettore, la comunità re-
ligiosa svolge un nuovo servizio, in stretta colla-
borazione con il clero diocesano, per la proget-
tazione e l’animazione di una pastorale giovanile
di zona, comprendente undici parrocchie e altret-
tanti oratori. Una sfida affascinante che permette
ancora una volta al carisma salesiano di porsi a
servizio della Chiesa e della gioventù di questo
territorio.
Il cortile
dell’Oratorio
completamente
rinnovato.
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2.10 Page 20

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INVITO A VALDOCCO
B. F.
La basilica santuario di
Maria Ausiliatrice
1. La storia
2. Com'era
il santuario
costruito da
don Bosco
1. La storia
L’idea della costruzione di una
maestosa chiesa in onore di
Maria Santissima, adatta a
contenere con maggior co-
modo la grande popolazione
giovanile di Valdocco, ven-
ne a don Bosco una sera del dicem-
bre 1862, come testimonia don Paolo
Albera: «La nostra chiesa è troppo
piccola; non capisce tutti i giovani o
pure vi stanno addossati l’uno all’altro.
Quindi ne fabbricheremo un’altra più
bella, più grande, che sia magnifica.
Le daremo il titolo: Chiesa di Maria
SS. Ausiliatrice. Io non ho un soldo,
3. Visita della
basilica
non so dove prenderò il denaro, ma ciò
non importa. Se Dio la vuole si farà. Io
tenterò la prova e se non si farà che la
vergogna dell’insuccesso sia tutta per
don Bosco» (MB 7, 333-334).
In verità già nel 1844, ai primordi del-
le sue riunioni giovanili domenicali,
quando ancora non aveva trovato né
un luogo né una formula chiara per il
nascente Oratorio, durante un sogno
profetico che in qualche modo com-
pletava quello dei nove anni, era stato
accompagnato da una Signora attra-
verso le varie fasi di sviluppo della sua
opera, fino ad «un campo, in cui era
stata seminata meliga, patate, cavoli,
barbabietole, lattughe, e molti altri er-
baggi»: «Guarda un’altra volta, mi dis-
se, e guardai di nuovo. Allora vidi una
stupenda ed alta chiesa. Un’orchestra,
una musica istrumentale e vocale mi
invitavano a cantar messa.
Nell’interno di quella chiesa era una
fascia bianca, in cui a caratteri cubi-
tali era scritto: Hic domus mea, inde
gloria mea» (MO 130).
Il titolo di Ausiliatrice, presente fin dal
sec. xvi nelle litanie lauretane, vene-
rato anche in Torino dov’era operante
una confraternita sotto questo nome
presso la chiesa di san Francesco da
Paola, era stato riportato in primo
piano da Pio VII nel 1815. Questi,
tornato dalla prigionia napoleonica,
aveva voluto ringraziare Maria Aiuto
della Chiesa e dei cristiani, istituendo
la festa del 24 maggio.
Ma non sono soltanto contingenze
storiche a determinare la scelta di don
Bosco. Egli sente il titolo prescelto
come il più adatto ad esprimere la sua
riconoscenza alla Vergine per i tanti
“aiuti” ricevuti e, insieme, per invo-
carne la protezione sulla nascente Con-
gregazione.
20
Giugno 2014

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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C’è inoltre in don Bosco una forte
sottolineatura pastorale e pedagogica:
Maria è aiuto nel cammino della vita
per vincere gli assalti del peccato, per
essere liberati da ogni forma di male
(spirituale, morale e fisico) e soprat-
tutto per attuare il bene.
Otto poveri soldi
Don Bosco, senza alcuna benché mi-
nima base economica, è convinto che
«è la Madonna che vuole la Chiesa;
essa penserà a pagare» (MB 7, 372). I
lavori di scavo iniziano nell’estate del
1863. Sul finire dell’aprile del 1864,
lo sterro era ultimato e il capomastro
Buzzetti invitò don Bosco a collocare
la prima pietra delle fondamenta. Al
termine della funzione il Santo si ri-
volse all’impresario e disse:
«Ti voglio dare subito un acconto per
i grandi lavori. Non so se sarà molto,
ma sarà tutto quello che ho. – Così
dicendo tirò fuori il borsellino, l’aprì
e lo versò capovolgendolo nelle mani
del capomastro, che credeva di averle a
riempire di marenghi. Quale fu invece
la sua meraviglia e quella di tutti coloro
che lo avevano accompagnato quando
non si trovarono che otto poveri sol-
Il bel dipinto del
Dalle Ceste che
ricorda il sogno in
cui Maria chiede
a don Bosco la
costruzione della
Basilica. Si trova
nella Cappella
delle Reliquie.
di. E D. Bosco sorridendo soggiunse:
– Sta’ tranquillo; la Madonna penserà
a provvedere il danaro conveniente per
la sua chiesa. Io non ne sarò che l’i-
strumento, il cassiere. – E volgendosi
a quelli che erangli intorno, concluse:
– Vedrete!» (MB 7, 652).
La crisi economica generale dello
stato italiano era grave, e soltanto un
santo o un incosciente avrebbero po-
tuto affrontare un rischio simile.
Il 21 maggio 1868 mons. Balma be-
nedisse le cinque campane e, final-
mente, il 9 giugno, nel corso di una
solenne funzione, l’arcivescovo mons.
Riccardi consacrò la nuova chiesa e
gli altari.
Vi furono successivamente lavori di
restauro e ampliamento. L’ultimo,
attuato tra il 1935-1938, comportò
l’allungamento del presbiterio, sul
quale venne costruita una seconda
cupola, e conseguente spostamen-
to dell’altar maggiore e del quadro
dell’Ausiliatrice; la costruzione di
due ampie cappelle ai lati del pre-
sbiterio, con tribune soprastanti; una
lunga galleria con sei altari dietro
l’altar maggiore, che collega le due
grandi cappelle laterali; la costruzio-
ne di una spaziosa sacrestia sul retro
verso l’ex casa Pinardi; l’ambulacro
di cintura con due nuove porte sui
corpi arretrati della facciata.
Le dimensioni attuali della chiesa
sono: lunghezza metri 70; larghezza
da 36 a 40 metri; altezza alla sommità
della statua sulla cupola metri 45.
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3.2 Page 22

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Il Nuovo Consiglio Generale: da sinistra, prima fila : sig. Muller, Economo;
don Attard, Pastorale; don Cereda, Vicario; Don Fernández Artime, Rettor
Maggiore; don Coelho, Formazione; don González, Comunicazione;
don Basañes, Missioni. Seconda fila : don Rozmus, Europa Centro-Nord;
don Klement, Asia Est-Oceania; don Chaquisse, Africa-Madagascar;
don Martoglio, Mediterranea; don Vitali, America Cono Sud; don Kanaga,
Asia Sud; don Ploch, Interamerica; don Stempel, Segretario.

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3.4 Page 24

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INVITO A VALDOCCO
2. Com’era il Santuario costruito da don Bosco
L a chiesa, a croce latina, si
presentava molto sobria e
spoglia, senza marmi e de-
corazioni sulle pareti. Anche
l’unica cupola era imbiancata
a calce.
Gli altari erano cinque: l’altar mag-
giore con il grande quadro dell’Au-
siliatrice opera del pittore Tommaso
Lorenzone (1824-1902); l’altare di
san Pietro, nella crociera destra, con
quadro del milanese Filippo Carcano
(1840-1914); oggi quest’altare si tro-
va in una cappella sotterranea della
Basilica e al suo posto sta l’altare di
don Bosco; l’altare di san Giuseppe,
nella crociera sinistra, con quadro del
Lorenzone (l’unico rimasto intatto
fino ad oggi); l’al-
tare di sant’Anna,
nella cappella a
destra della na-
vata centrale: era
il più bello e ricco
di marmi, lavo-
rato a Roma dal-
lo scultore Luigi
La Basilica alla morte
di don Bosco.
Medici, con quadro del pittore Gio-
vanni Battista Fino (1820-1898). Ora
il quadro si trova nel matroneo a de-
stra dell’altar maggiore e l’altare è de-
dicato a santa Maria Mazzarello; l’al-
tare dei Sacratissimi Cuori di Gesù e
Maria, nella cappella a sinistra, con
quadro del torinese Giovanni Bo-
netti (che si trova oggi a Caserta nel
santuario del Sacro Cuore di Maria);
l’altare fu successivamente dedicato
da don Rua a san Francesco di Sa-
les. Oggi è l’altare di san Domenico
Savio.
3. Visita della basilica
Facciata esterna
L’architetto Spezia si ispirò alla fac-
ciata di san Giorgio Maggiore in Ve-
nezia, disegnata dal Palladio.
Chi guarda la chiesa dall’imboc-
co della piazza presso corso Regina
Margherita, vede splendere le statue
dorate della Madonna sulla cupo-
la (alta 4 metri, opera dello scultore
Boggio) e degli angeli sui due bassi
campanili: l’arcangelo Gabriele (a de-
stra) offre una corona a Maria, l’ar-
cangelo Michele (a sinistra) sventola
una bandiera con la scritta Lepanto,
a ricordo della vittoria sui Turchi
(1571).
Sul timpano della facciata stanno
le statue dei tre martiri Solutore,
Avventore ed Ottavio uccisi, se-
condo la tradizione e la visione di
don Bosco, in questo luogo.
Le due statue collocate sopra gli oro-
logi sono quelle di san Massimo, pa-
dre della Chiesa e primo vescovo di
Torino e di san Francesco di Sales.
Nelle nicchie sottostanti, invece, sono
le statue di san Luigi Gonzaga e di
san Giuseppe.
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Giugno 2014

3.5 Page 25

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In alto, nel triangolo del timpano,
campeggia lo stemma della Società
Salesiana, sorretto da due angeli e
nella fascia sottostante si legge l’invo-
cazione Maria Auxilium Christiano-
rum, ora pro nobis.
Nella nicchia sotto il rosone è collo-
cato il gruppo marmoreo rappresen-
tante Gesù Maestro che accoglie e
benedice i fanciulli.
Tra le colonne laterali sono due gran-
di bassorilievi rappresentanti san Pio
V che annuncia la vittoria di Lepan-
to (quello a sinistra), e Pio VII che
incorona Maria SS. nel santuario di
Savona (quello a destra). Sopra i bas-
sorilievi due angeli sorreggono un
cartiglio con le date dei due avveni-
menti: 1571 e 1814.
Sui basamenti delle colonne sono in-
cise due scene evangeliche: la risurre-
zione del figlio della vedova di Naim
e la guarigione di un sordomuto.
Facciata interna
Entrando dal portale centrale e fat-
ti pochi passi all’interno, volgendosi
all’indietro si può ammirare in alto
un bel rosone policromo rappresen-
tante il monogramma di Maria con i
simboli della sua regalità (Ausiliatri-
ce, Regina della pace, Stella del mat-
tino) sovrastanti il sole radioso sulle
acque di Lepanto.
La grande orchestra costruita da don
Bosco oggi non esiste più: è stata tolta
per dare più luce alla navata centrale.
Lo spazio per l’organo e i cantori è sta-
to ricavato alla sinistra dell’altar mag-
giore sopra l’ampia cappella laterale.
Sulla bussola del portale un’epigra-
fe latina ricorda i due sogni illustrati
nei quadri laterali, opera del pittore
Mario Barberis. Quello di sinistra
riproduce il sogno delle due colonne
(maggio 1862: la nave della Chiesa,
pilotata dal pontefice, nella tempesta
del mondo ostile si salva ancorandosi
alle colonne dell’Eucaristia e dell’Au-
siliatrice; cf MB 7, 169-171); quello
di destra ricorda il sogno della zattera
(gennaio 1866: rappresenta la missio-
ne salvatrice tra i giovani della Socie-
tà Salesiana; cf MB 8, 275-282).
Nella fascia che corre lungo tutta la
chiesa, tra i capitelli dei pilastri e il
cornicione sul quale poggiano le vol-
te, è scritta a lettere capitali la gran-
de antifona mariana: «Sancta Maria
succurre miseris iuva pusillanimes
refove flebiles ora pro populo in-
terveni pro clero intercede pro devoto
femineo sexu sentiant omnes peccatores
tuum iuvamen quicumque tuum san-
ctum implorant auxilium» (Santa Ma-
ria, soccorri i miseri, aiuta i paurosi,
ristora i deboli, prega per il popolo,
intervieni a favore del clero, intercedi
per le donne, sperimentino il tuo ap-
poggio tutti i peccatori e quanti im-
plorano il tuo santo aiuto).
(continua nel prossimo numero)
Giugno 2014
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A TU PER TU
O. PORI MECOI
«Sono il direttore Incontrocon
don Roberto
Cappelletti
del Parque Dom Bosco»
Nel Brasile dei Mondiali di calcio e della ricchezza
emergente i salesiani continuano la loro missione eroica
e indispensabile per i giovani: «Quotidianamente accogliamo
più di 800 bambini e ragazzi delle fasce e dei quartieri
più poveri della città di Itajaí.
A loro offriamo gratuitamente colazione, pranzo,
merenda (che per molti diventa la cena),
attività ricreative e creative e la possibilità
di una qualifica professionale».
Puoi autopresentarti?
Sono nato a Bolzano, in una famiglia
cattolica, primo di tre figli. Ad 11
anni di età ho cominciato a conosce-
re i salesiani, frequentando la Scuola
Media di Castello di Godego, pro-
vincia di Treviso. Da lì è cominciato
il mio cammino con i salesiani, nelle
varie tappe dei percorsi formativi e
vocazionali. Diciamo che non sono
mai stato un “caso semplice”, le fasi
del mio cammino, prima del novizia-
to, hanno avuto delle pause, degli alti
e bassi. Ma la certezza che avevo nel
cuore era di essere nel posto giusto.
E così nel 1991 ho emesso i miei pri-
mi voti e poi nel 1999 sono diventato
salesiano sacerdote, lavorando per 13
anni in Italia, nell’Oratorio di Trieste
e nella scuola elementare e media di
Mezzano, in Trentino.
Sei direttore dell’opera di
Itajaí. Com’è quest’opera?
Sono direttore del Parque Dom Bo-
sco, un’opera sociale nata più di 50
anni fa per rispondere alle esigenze
di chi, in quella regione, non aveva
opportunità e viveva (e vive tutt’ora)
nella povertà e nell’abbandono. Un’o-
pera molto grande e complessa, che
necessita sempre di aiuti e di sostegno
di tante persone buone, per poter an-
dare avanti. Vi lavorano infatti 40 tra
educatori e funzionari, per riuscire a
portare avanti tutto.
Chi sono i destinatari?
Qual è la situazione sociale
del territorio dove si trova?
Quotidianamente accogliamo più di
800 bambini e ragazzi delle fasce e
dei quartieri più poveri della città di
Itajaí. A loro offriamo gratuitamente
colazione, pranzo, merenda (che per
molti diventa la cena), attività ricrea-
tive e creative (danza, sport, teatro,
artigianato, musica...), dove possono
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3.7 Page 27

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scoprire le loro capacità ed avere una
migliore reputazione di se stessi. Per
i ragazzi e le ragazze dai 14 anni in
su offriamo corsi di qualifica profes-
sionale, aiutandoli poi ad inserirli nel
mondo del lavoro.
A quali sfide della realtà
locale risponde?
Le sfide sono molte e ben diversifi-
cate tra loro. La maggior parte dei
nostri destinatari proviene da situa-
zioni familiari e sociali molto difficili
(droga, prostituzione, violenza, vita
di strada, favela e quartieri poco rac-
comandabili). E per diversi il Parque
diventa l’occasione di cambiare vita,
di sognare un futuro migliore, in una
città, quella di Itajaí, di stile portuale,
dove non mancano i ricchi, ma dove,
purtroppo, le povertà sono presenti. Il
focus del Parque Dom Bosco è ridare
vita e dignità a bambini, ragazzi e fa-
miglie, che troppo spesso hanno rice-
vuto dalla vita solo violenza, delusioni
e poco appoggio.
Quali sono le tue
soddisfazioni più grandi?
La realtà salesiana del Brasile è con-
traddistinta dal grande lavoro che i
laici fanno nelle opere. Le mie sod-
disfazioni più grandi sono i sorrisi di
questi piccoli, il sapere che per loro
siamo importanti, il rendersi conto
che per molti siamo l’unica occasione
di riscatto della loro vita. Gli “obri-
gado” (grazie), che arrivano a noi, ac-
compagnati da un abbraccio e da un
bacio, sono la più bella paga di ogni
giornata. E vedere dei giovani, usciti
dalla favela “Matador”, ed ora con un
lavoro, un appartamento, una fami-
glia mi rende davvero felice.
Come sono considerati
i salesiani nella città
e nello stato?
I salesiani sono presenti ad Itajaí con
due realtà: il Parque Dom Bosco e il
Collegio; inoltre c’è un’altra opera so-
ciale delle fma, che lavora in un’altra
zona povera. La presenza salesiana in
città e nello stato di Santa Catarina
Il Brasile è un immenso serbatoio di possibilità,
ma per i piccoli e i giovani delle zone più sfavorite
c’è solo il cuore dei “missionari”.
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A TU PER TU
è molto ben voluta, sia per l’aspetto
educativo e religioso, sia per il nostro
lavoro sociale. Abbiamo una “spon-
sorizzazione” da parte del Municipio
della Città, che paga i nostri educa-
tori laici. A noi affidarci alla Provvi-
denza per trovare cibo, vestiti, mate-
riali e soldi per pagare luce, acqua, gas
e manutenzione.
Quali sono i tuoi progetti
e i tuoi sogni?
Sono ad Itajaí da un anno e mezzo;
contento del lavoro che sto facendo
e della mia vita salesiana. Un mio
grande sogno è, dopo una prima
esperienza in questa regione (nono-
stante le povertà, una delle più ricche
del Brasile), di poter vivere la mia vita
missionaria in realtà ancora più pove-
re, nello stesso Brasile (Amazzonia,
Nord Est, Mato Grosso), oppure in
Africa (Madagascar, Etiopia o chis-
sà). Questo perché sento forte dentro
di me la chiamata di Dio a vivere con
i più poveri tra i poveri. Ma più che
miei spero e sento che sono i sogni e
progetti di Dio su di me.
Qual è la storia
della tua vocazione?
Hanno sempre suscitato in me gran-
de fascino le storie di missionari che
passavano in Italia, nelle case salesia-
ne o durante i miei anni di noviziato e
di formazione. I loro racconti, il loro
entusiasmo avevano già aperto questa
“breccia missionaria” nel mio cuore.
Ma ciò che ha acceso la miccia defi-
nitivamente sono state le esperienze
in Brasile con alcuni alunni della mia
scuola di Mezzano e poi soprattutto,
come Animatore Missionario dell’I-
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spettoria di Venezia, il vivere con dei
gruppi di giovani due mie estati in
Madagascar. Lì davvero la vocazione
missionaria ha fatto breccia nel mio
cuore; in mezzo a quella gente, a quei
piccoli, a quei poveri ho sentito for-
te la voce di Dio che mi chiamava a
dare la seconda parte della mia vita
per loro. Negli occhi dei più poveri
ho visto chiaramente il volto di Gesù,
che mi chiamava, come salesiano, ad
essere padre, fratello e amico di tutti
loro, con i miei limiti e le mie capa-
cità, ma affidandomi alla Grazia e
all’Amore di Dio.
L’obiettivo del Parque Dom Bosco è ridare vita e
dignità a bambini, ragazzi e famiglie, che troppo
spesso hanno ricevuto solo violenza, delusioni e
poco appoggio.
Perché proprio salesiano
e perché proprio il Brasile?
Sono sicuro che Dio colloca ognuno
di noi in una situazione ben precisa,
per darci la possibilità di far fiorire
la nostra vita e la nostra vocazione.
Dall’età di 11 anni Egli mi ha fatto
conoscere i salesiani e penso che que-
sto fu il suo primo e grande segno
del Suo Amore. Sono un missionario
ad gentes, non ho scelto io il Brasile,
ho rimesso la mia vita nelle mani di
Dio e del Rettor Maggiore con il suo
consiglio: loro hanno scelto per me il
Brasile e io ho accettato la loro vo-
lontà. Come dico, sono missionario
ad gentes, e se dovessi essere chiama-
to per lavorare e donarmi in un altro
continente o situazione, sarei pronto,
perché sono sicuro che ciò che sceglie
Dio per me è la miglior scelta che po-
trebbe esistere! Dio è mio Padre.
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3.10 Page 30

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FMA
LINDA PERINO
Suor Anna Maria è
la Donna dell’anno
La sedicesima edizione del Premio internazionale “La Donna
dell’anno” promosso dal Consiglio regionale della Valle d’Aosta,
con l’adesione del Presidente della Repubblica, il patrocinio della
Camera dei deputati e del Ministero degli affari esteri, in collaborazione
con il Soroptimist International Club Valle d’Aosta, è stata assegnata
a suor Anna Maria Scarzello, Figlia di Maria Ausiliatrice.
La motivazione del premio sin-
tetizza in modo un po’ buro-
cratico e freddo il coraggio e
la materna tenerezza di questa
donna dall’aria fragile e tenace
che ha accettato il premio con
naturalezza e serenità.
«Abbracciando la vocazione religiosa,
suor Anna Maria ha preso tra le brac-
cia il mondo facendosi carico delle
sofferenze dell’umanità. Con discre-
zione e riservatezza, simboli di pro-
fonda umiltà, dedica la propria vita,
365 giorni all’anno, nel dare sostegno
ai poveri e agli ammalati, operando
nelle zone più martoriate del mondo.
Con azioni concrete ed estremamente
innovative, ha alimentato la cultura
dello sviluppo sostenibile tra gli In-
digeni del Chiapas. Con dedizione
e pragmatismo, ha fronteggiato l’e-
mergenza sanitaria di un Paese come
la Siria terribilmente segnato dalla
guerra. Suor Anna Maria, missiona-
ria mossa dall’amore di Dio, è donna
di speranza e di solidarietà capace di
infondere fiducia e coraggio».
Si aspettava questo premio?
«Per me è stata una grande sorpresa.
Io non ci pensavo proprio, ma è stata
una grande provvidenza. Anche per-
ché adesso in Siria siamo in guerra e
c’è molto bisogno di aiuto. E con i sol-
di del premio che mi hanno dato ad
Aosta, io posso far felice tante persone.
Ho sentito che l’Italia è ancora mol-
to sensibile ai bisogni dei più poveri e
sfortunati. Questo mi dà la forza per
continuare con sempre più impegno».
Un’oasi nell’inferno
Per arrivarci basta dire al tassista che
si vuole andare dai “Telieni”, gli ita-
liani. È qui, nel quartiere di Mazraa,
che dal 1913, sotto la direzione delle
suore salesiane, opera l’Ospedale Ita-
liano di Damasco. Un centro chirur-
gico dove sono stati curati profughi
palestinesi, iracheni e semplici citta-
dini siriani e che da due anni soccorre
gratuitamente i feriti dei bombarda-
menti e delle autobomba che colpi-
scono la capitale.
“Ci sono stati giorni in cui sono ar-
rivati 30 feriti, li abbiamo sistemati
anche nei corridoi, dandoci da fare
tutti come potevamo, medici, infer-
mieri e suore”, racconta suor Anna
Maria. Fuori di tanto in tanto si sente
il rumore delle cannonate che parto-
no dalle postazioni governative verso
i sobborghi ribelli, che a loro volta
colpiscono quasi quotidianamente il
centro della capitale con colpi di mor-
taio e razzi.
A raccontare la storia dell’ospedale,
ospitato con i suoi 55 posti letto e
70 medici in un edificio vecchio ma
ordinato, è una suora siriana, Wi-
dad Abiad, che lo conosce da quando
aveva 13 anni, avendo frequentato la
scuola salesiana annessa prima che
questa fosse nazionalizzata, nel 1967.
“Quest’anno è il centenario del noso-
comio, fondato dall’egittologo Erne-
sto Schiapparelli. Durante la Seconda
Guerra Mondiale è stato occupato dai
britannici, ed è rimasta solo una suora
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Giugno 2014

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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DAL MESSICO ALLA SIRIA
a fare la guardiana. Poi l’attività è ri-
presa”. L’ospedale è oggi un punto di
riferimento per la popolazione, nella
tempesta che scuote la capitale.
«L’ospedale è aperto a tutte le con-
fessioni: cristiani, musulmani, tutti
quanti. Noi non facciamo nessuna di-
stinzione. Adesso il lavoro è diminuito
un po’. C’è difficoltà a trovare i medi-
cinali. E i pazienti non possono pagare
le visite. Il costo della vita è triplicato,
molte fabbriche farmaceutiche sono
state distrutte e dobbiamo far arrivare i
medicinali dall’estero e costano molto»
dice suor Anna Maria. «Gli infermieri
e i collaboratori dell’ospedale devono
allungare la strada per arrivare a causa
dei posti di blocco e della guerriglia.
Ogni giorno, bussano alla nostra por-
ta persone senza più mezzi. Aiutiamo
tutti quelli che possiamo. Ci spacca il
cuore non poter arrivare a tutti».
«Abbiamo anche una scuola materna.
Cerchiamo di far vivere i bambini in
un clima di gioia. A casa sentono solo
Suor Anna Maria Scarzello ha lasciato la sua terra d’origine, Tarantasca, in provincia di Cu-
neo per andare in missione e prestare la sua opera tra le giovani donne in Chiapas nel Messi-
co dove ha lavorato dal 1989 al 2003. Qui si è adoperata per la costruzione di un internato per
l’educazione delle ragazze, di un dispensario e di una mini cooperativa agricola. Tra l’altro,
ha promosso l’installazione di un laboratorio di falegnameria per la produzione di letti, una
novità assoluta per quella zona, ed ha avviato una produzione di macinatura del granturco,
attività che ha facilitato la preparazione di un pane tipico della regione. Ha favorito la nascita
di una cooperativa costituita da uomini e donne che hanno creato attraverso questa produ-
zione una rete commerciale e produttiva in grado di generare profitti per la comunità intera. A
tutt’oggi rimangono in funzione corsi di sartoria, maglieria, ricamo e computer.
Dal Messico alla Siria, dove suor Anna Maria è arrivata nel 2011 a Damasco, in piena guerra,
come direttrice della comunità delle Figlie di Maria Ausiliatrice, dedite a tempo pieno all’O-
spedale Italiano, un’istituzione aperta a tutti i bisognosi, malati, indigenti, feriti indipenden-
temente dalla confessione religiosa. Oltre l’attività ospedaliera, svolge nella scuola annessa
un lavoro di accoglienza per bambini e bambine e corsi di formazione per i giovani.
parlare di guerra e non vivono una in-
fanzia felice. Teniamo corsi di sarto-
ria gratuiti per le donne e alla fine re-
galiamo loro una macchina da cucire
perché possano continuare a lavorare.
Organizziamo corsi di inglese per ra-
gazzi e abbiamo affittato una casa in
un quartiere molto pericoloso e lì si
radunano i ragazzi alla sera, perché
manca l’energia elettrica per molte ore
al giorno, così abbiamo comperato un
generatore per la luce e i ragazzi pos-
sono studiare».
«Non c’è altro che Dio»
Lì vicino resistono anche i salesia-
ni, con l’oratorio frequentato da 200
bambini e 300 giovani, che cura an-
che la distribuzione di cibo per fa-
miglie in difficoltà, attività di aiuto
psicologico e corsi di formazione e
sostegno scolastico.
«Accogliamo ragazzi cristiani di
qualsiasi rito», sottolinea il responsa-
bile, il prete venezuelano Alejandro
José Leon. Eppure l’estate scorsa 150
ragazzi hanno celebrato con una festa
la Giornata mondiale della gioventù.
“Tutti – dice padre Alejandro – sono
stati toccati dalla guerra. Chi ha avu-
to un cugino ucciso, chi un amico, chi
un vicino. In questa situazione c’è chi
dice: “Se esiste Dio, come può per-
mettere questo?”. Ma altri, che prima
venivano all’oratorio solo per giocare,
adesso mi dicono: “Abu, ho capito,
non c’è altro che Dio”. Tra i nostri
giovani c’è una nuova fioritura di
fede, c’è un ritorno di vita evangelica”.
«Vogliamo mantenere la speranza»
conclude suor Anna Maria. «Ci ave-
vano detto di ritirarci, ma noi rima-
niamo qui per dare aiuto e speranza e
condividere la loro vita».
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4.2 Page 32

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Le tredici mosse dell’arte di educare
13 Lasciare
un buon ricordo
E così siamo giunti alla tredicesima mossa fondamentale
dell’arte di educare: “lasciare un buon ricordo”.
Un buon ricordo, portato con noi fin dall’infanzia,
può fare la nostra salvezza.
Ecco perché anche questa mossa non può essere
affatto sottovalutata.
L’arte di essere
indimenticabili!
“Il valore dei ricordi dell’infanzia” è
il titolo di un libro nel quale l’autore,
Norman B. Lobsens, riporta le risposte
date alla domanda: “Qual è il più bel
ricordo che hai dei tuoi primi anni?”.
La prima risposta riportata è quella
del figlio stesso dell’autore.
Dunque, alla domanda del padre, il fi-
glio risponde: “Mi ricordo quando una
sera eravamo soli in macchina e tu ti
sei fermato a prendermi le lucciole”.
Il bambino aveva cinque anni.
“Perché ti ricordi di questo?”, gli do-
manda il padre.
“Perché non credevo che ti saresti fer-
mato a prendermi le lucciole, invece ti
sei fermato!”.
Per un altro intervistato il più bel ri-
cordo è “il giorno della scampagna-
ta scolastica, quando mio padre – di
solito freddo, dignitoso, impeccabile
– si presentò in maniche di camicia,
si sedette sull’erba, mangiò con noi
e partecipò ai nostri giochi lancian-
do la palla più lontano di tutti. Più
tardi scoprii che aveva rimandato un
importante viaggio di affari per stare
con me quel giorno”.
Lasciare un buon ricordo! Anche
questo è educare!
D’altronde, un ricordo lo si lascia
sempre: in ognuno di noi vi sono trac-
ce dei nostri genitori.
Basta sfogliare una qualsiasi biografia
di uomini noti o meno noti per tro-
vare riferimenti alla propria madre, al
proprio padre.
Il poeta spagnolo Federico Garcia
Lorca (1898-1936), ad esempio, ricor-
da: “La mattina quando suonavano le
nove, mia madre entrava nella stanza
dove già lavoravo e, aprendo la fine-
stra sul balcone, diceva sempre: ‘Che
entri la grazia di Dio!’”.
Julien Green (1900-1998), scrittore
francese, ricorda: “Nella mia vita la
persona che ha contato di più è stata
mia madre. Mi ha dato l’amore alla
vita, il desiderio di capire, la tolleran-
za, soprattutto la tolleranza. Infine
mi ha chiuso nel Vangelo, come si
chiuderebbe un bambino nel cielo”.
Simpatico è il ricordo di Luciano De
Crescenzo, anche lui scrittore viven-
te: “Mia mamma praticava il ‘nulla si
compra e nulla si getta’. Conservava
qualsiasi cosa fosse entrata in casa e
riempiva i cassetti di oggetti comple-
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4.3 Page 33

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GLI OCCHI DEI FIGLI
UN SEME
Gli occhi dei figli non smontano mai di guardia e memorizzano per la vita intera.
Ecco la confessione di una figlia, ormai adulta, che ricorda alla madre ciò che lei compiva e
che sempre le mandava un messaggio così forte, da costruirle l’impianto di fondo della sua
educazione.
È una confessione che ci fa riflettere e porta a concludere che in ogni figlio vi è l’imprinting
dei genitori. Nel bene e nel male.
Mamma, quando pensavi che non ti stessi guardando, hai appeso il mio primo disegno sul
frigorifero e ho avuto voglia di stare a casa per dipingere.
Quando pensavi che non ti stessi guardando, hai dato da mangiare ad un gatto randagio ed
allora ho capito che è bene prendersi cura degli animali.
Quando pensavi che non ti stessi guardando, hai cucinato apposta per me la torta del com-
pleanno, ed ho compreso che le piccole cose possono essere molto speciali.
Quando pensavi che non ti stessi guardando hai recitato una preghiera ed ho incominciato a
credere nell’esistenza di Dio con cui si può sempre parlare.
Quando pensavi che non ti stessi guardando, mi hai dato il bacio della buona notte e ho
capito che mi volevi
bene.
Quando pensavi che
non ti stessi guardan-
do, mi hai sorriso e ho
avuto voglia d’essere
gentile con te.
Quando pensavi che
io non ti stessi guar-
dando, io guardavo
ed ora ho voluto dire
grazie per tutte le cose
che hai fatto quando
pensavi che non ti
stessi guardando! ”.
tamente inutili. Su una delle scatole
di spaghi aveva scritto: ‘Spaghi trop-
po corti per essere usati’”.
Meno noto è Roberto D’Agostino,
lookologo, ma non meno bello il suo
ricordo: “Chiara era il nome di mia
madre. Tagliava e cuciva reggiseni, co-
razze di lastex, pieni di ganci, per don-
ne panciute. Era una donna abbastan-
za allegra. Il più bel ricordo di mamma
Chiara? La sua tenacia. Ad essere così
ostinato l’ho imparato da lei!”.
Insomma, basta essere figli per ricor-
darci della mamma.
Lo stesso vale per il papà.
Dolce è il ricordo del padre dello psi-
cologo Giuseppe Colombero: “Quan-
do ero bambino mio padre si alzava
molto presto per andare a lavorare.
Mi ricordo che prima di uscire di
casa, si affacciava alla camera dove
dormivamo noi piccoli e, stando sulla
porta, diceva piano a nostra madre:
‘Non preoccuparti di alzarti prima
dei bambini per accendere e scaldare
la cucina. L’ho già fatto io’. Quando ci
alzavamo nostro padre non c’era più,
ma quel fuoco, quel tepore parlavano
di lui: ci diceva che c’era stato e aveva
pensato a noi”.
Forse ci stiamo rendendo conto che
un buon ricordo è l’eredità più pre-
ziosa che possiamo lasciare ai nostri
figli. Un buon ricordo può decidere di
un’esistenza.
Lo aveva capito bene lo straordinario
scrittore russo Feodor Dostoevskij
(1821-1881), il quale diceva: “Sappiate
La cosa sa di incredibile. Eppure è vera.
Alla fine del gennaio 2005 un insegnan-
te d’agraria ha piantato un seme di palma
risalente al tempo di Gesù Cristo (la data-
zione al carbonio 14 ha evidenziato che il
seme risale a 1990 anni fa, con un margine
di errore di 50 anni).
Il seme è stato rinvenuto a Masada, fortez-
za nel deserto che sovrasta il Mar Morto.
Nessuno credeva che da esso potesse ger-
minare qualcosa.
Invece, ecco il miracolo che ha sbalordito
tutti: “Sei settimane dopo – dice l’insegnan-
te – ho visto spuntare qualcosa dalla terra
del vaso nel quale avevo piantato il seme”.
Attualmente, la palma da datteri è alta cir-
ca cinquanta centimetri ed ha una ventina
di foglioline.
Getta un buon seme ed i miracoli segui-
ranno!
che non vi è nulla di più alto, e forte, e
sano, e utile per la nostra vita a venire
di qualche buon ricordo, specialmen-
te se recato con voi fin dai primi anni
dalla casa dei genitori. Uno di questi
buoni e santi ricordi è forse la miglio-
re delle educazioni. E quand’anche un
solo buon ricordo rimanesse con noi,
nel nostro cuore, potrebbe un giorno
fare la nostra salvezza”.
A questo punto viene spontanea la
domanda: “Quale sarà il ricordo che i
lettori lasceranno ai loro figli?”.
La risposta vien dopo una considera-
zione: un tempo i poeti dicevano che
Dio ci ha dato la memoria per poter
avere le rose anche a Dicembre! Fio-
rivano ad Aprile e a Maggio, però,
grazie alla memoria, le rose non spa-
rivano dalla nostra mente.
Ebbene, chi ha scritto, è sicuro che
se tanti genitori hanno avuto la buo-
na volontà e l’impegno di leggere fin
qui, i loro figli, domani, cresciuti, di-
ranno: “Dio ci ha dato la memoria per
poter ricordarci d’aver avuto un bravo
papà ed una brava mamma!”.
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4.4 Page 34

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LA LINEA D'OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
Giovani acrobati
in cerca di equilibrio
Scelte difficili, cambiamenti importanti
e, a volte, complicati da metabolizzare,
un presente segnato dalla precarietà e un
futuro ancora più incerto e imprevedibi-
le: l’essere giovani comporta, oggi forse
più di ieri, una condizione esistenziale
di inevitabile e strutturale instabilità che si dila-
ta sempre più nel tempo, la difficoltà di trovare
un “centro di gravità permanente” che dia sen-
so e unitarietà ad esperienze spesso provvisorie,
dispersive, frammentarie. Un’età, o talvolta un’e-
sistenza intera, vissuta in bilico tra speranze e in-
certezze, tra ansia di novità e paura di affrontare
il cambiamento, tra desiderio di mettersi in gioco
e timore di non essere all’altezza, alla ricerca di una
stabilità di vita e di un equilibrio interiore peren-
nemente inseguiti e vagheggiati, ma mai raggiun-
ti una volta per tutte.
Come acrobati alle prime armi,
i giovani del terzo millennio
sperimentano la difficile arte di
stare sospesi, nell’attesa indefinita
di una risposta che non arriva,
di un lavoro che non si trova,
di una relazione affettiva che
appaghi finalmente un mai sopito
bisogno di amore, di una stabilità
esistenziale, prima ancora che
economica e professionale, che
appare sempre più come un’utopia
irraggiungibile
Io non so fingere...
Io sono tutto e sono niente, sono la gioia e il dolore,
la forza che oscilla e si stabilizza in un punto preciso
senza farmi cadere.
In bilico, come se fossi sospeso io,
io sono un acrobata e di certo io non cadrò.
In bilico, la sensazione del brivido
io sono un acrobata e so per certo che cadrò...
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Come acrobati alle prime armi, i giovani del ter-
zo millennio sperimentano la difficile arte di sta-
re sospesi, costretti a confrontarsi quotidianamente
con la vertigine del vuoto, con le oscillazioni im-
previste del filo sottile della vita che ondeggia ad
ogni passo, con gli improvvisi colpi di vento che
rischiano in ogni momento di farli cadere, con
l’inesperienza, e a volte l’incoscienza, del princi-
piante che ancora non sa calibrare la velocità del

4.5 Page 35

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procedere e, per
troppa indecisione o
per troppa fretta, rischia
continuamente di mette-
re un piede in fallo. In alcuni
periodi, è addirittura tutta una
vita ad essere in sospeso, nell’attesa
indefinita di una risposta che non
arriva, di un lavoro che non si trova,
di una relazione affettiva che appaghi finalmente
un mai sopito bisogno di amore, di una stabilità
esistenziale, prima ancora che economica e pro-
fessionale, che appare sempre più come un’utopia
irraggiungibile. E anche per chi sembra aver tro-
vato la sua strada ed è riuscito, a suo modo, a idea-
re un sistema per mantenersi in equilibrio tra gli
scossoni incostanti di una irriducibile precarietà,
i vuoti d’aria e le cadute sono sempre in agguato.
Ma proprio come gli acrobati, anche le nuo-
ve generazioni imparano presto a far tesoro dei
passi falsi e delle cadute rovinose. Imparano a
non lasciarsi sopraffare dalla paura del vuoto e
ad andare avanti per la propria strada, un passo
dopo l’altro, senza farsi disorientare da quel senso
di vertigine che a volte deriva dal non riuscire a
scorgere con chiarezza la meta verso cui si cam-
mina. Imparano ad essere perseveranti, a non la-
sciarsi scoraggiare da una caduta e dal senso di
fallimento e di frustrazione che inevitabilmente
ne consegue, accettando la sfida di ricominciare
da zero e di rimettersi continuamente in gioco,
anche quando sono ancora
tutti doloranti ed ammaccati
per la botta presa. Imparano, a
proprie spese, che per mantenersi in
equilibrio bisogna muoversi, bilancian-
do azioni e movimenti intorno a un bari-
centro che non deve mai esser perso di vi-
sta. Imparano persino a librarsi nel vuoto con
disinvoltura e naturalezza, applicando all’arte
dello stare in bilico e al difficile percorso della vita
quella leggiadria e quell’ardimento che sono pro-
pri della loro età.
Perché se è vero che il rischio di cadere è sem-
pre dietro l’angolo, è altrettanto vero che, se si
vuol fare un passo avanti verso la realizzazione
dei propri sogni e delle proprie aspirazioni, bi-
sogna essere disposti a perdere per un attimo e
a rimettere in discussione quell’equilibrio tanto
faticosamente conquistato.
La vita ha l’aspetto di una fortezza inespugnabile
o forse è un circo che dà la vertigine...
Il vento soffia più forte, di colpo non so cosa fare,
mi tengo su nel modo migliore con la mia spina dorsale.
In bilico, come se fossi sospeso io,
io sono un acrobata e di certo io non cadrò.
In bilico, la sensazione del brivido
io sono un acrobata e so per certo che cadrò...
(Rezophonic-Movida, Sono un acrobata, 2011)
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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
L’unica lettera di don Bosco
a novelli sposi Losposo?Ilfuturodon
A. Piccono, fondatore
dell’opera salesiana in Messico
Le lettere di don Bosco
rivelano particolari
della sua vita sconosciuti
anche a molti suoi
ammiratori. Ne diamo qui
un esempio significativo,
praticamente un unicum
fra le 4000 lettere
del suo epistolario.
Il promesso sposo
Angelo Scipione Pietro Piccono era
nato ad Albiano di Ivrea, da France-
sco e Rosa Carlino il 6 giugno 1848.
Trasferitosi il padre a Torino per
esercitare la professione di medico-
chirurgo, Angelo concluse gli studi
primari in città, per ritornare poi, alla
morte del padre, al seminario di Ivrea
a seguire i corsi filosofici. Ritornato
di nuovo a Torino, trovò occupazione
come prefetto degli studi in un isti-
tuto “paterno” di educazione, simile a
quello di don Bosco, e come impiega-
to presso il commissariato di polizia
di Borgo Dora, responsabile dell’area
di Valdocco.
Giovane molto religioso, Angelo
poté entrare così in intima relazione
con don Bosco, che divenne anche il
suo confessore.
Il matrimonio
Come ogni giovane, Angelo pensò
di formarsi una famiglia. Trovò una
brava ragazza torinese, Cristina Lui-
gia Maria Vana e fissò la data del
matrimonio (7 settembre 1875). Per
la circostanza chiese a don Bosco
non solo il solito appuntamento per
la confessione ma anche di benedir-
gli lui stesso le nozze. Don Bosco
acconsentì alla prima richiesta, ma
per impegni presi precedentemente
non poté accogliere la seconda. Così
infatti gli rispose il 4 settembre:
“Car.mo Gius. Piccono, Ringrazio te
e la tua fidanzata dell’invito che mi
fate di benedire le vostre nozze; mi
rincresce, in quel giorno appunto ho
tali impegni, che non posso proprio
pensare ad altro. Non mancherò di
pregare la Santa Vergine A. affinché
prenda cura di tutti due e vi conser-
vi in vita santa e felice. Ricordatevi
però che la sola pratica della religione
può rendere felice il novello vostro sta-
to. Sebbene sii venuto a confessarti
nel mese passato, tuttavia ti attendo
per questa occasione, che è la più im-
portante della vita. Dio benedica te,
la tua signora, pregate per me che ti
sarò sempre in G. C. Aff.mo amico
Sac. Bosco”.
I novelli sposi, pur dispiaciuti, accol-
sero comunque con gioia gli auguri
e l’invito spirituale di don Bosco. Il
marito poco dopo si iscrisse alla facol-
tà di diritto all’università di Torino,
onde poter migliorare la sua carriera
lavorativa, ma la felicità durò poco. Il
17 febbraio 1877 la sua giovane signo-
ra moriva, chissà, forse a seguito di un
parto difficile.
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La vocazione salesiana
Angelo non pensò a risposarsi. Cer-
tamente consigliato dal confessore
don Bosco, che ben ne conosceva la
disposizione d’animo, entrò invece a
Valdocco, dove passati alcuni mesi e
fatta la vestizione, nell’autunno 1877
si trasferì a Valsalice a compiere il suo
noviziato, concluso il 30 maggio 1878
con la professione religiosa perpe-
tua. La scheda personale conservata
nell’Archivio Salesiano Centrale ai
nomi di battesimo aggiunge il nome
“Giuseppe”, così come per altro l’at-
to di morte della moglie nell’archivio
comunale di Torino. Il mese seguente,
bruciando tutte le tappe, ricevette il
suddiaconato, in agosto il diaconato e
il 22 novembre mons. Gastaldi lo or-
dinava sacerdote. Un cursus honorum
di estrema rapidità, certamente poco
condiviso dall’arcivescovo di Torino.
Due “andate e ritorno”
in missione
Trascorsi alcuni anni come prefetto ed
insegnante a Valsalice, mentre ancora
frequentava l’università, il 33enne don
Piccono il 3 gennaio 1881 partì con la
sesta spedizione missionaria alla vol-
ta dell’America Latina. Il drappello,
di cui era responsabile lui stesso, era
diretto a Villa Colón di Montevideo,
dove sbarcò il 1° marzo. Vi rimase
come vicedirettore due anni, poi fu
inviato come direttore-parroco alla
vicina casa di Las Piedras, indi ca-
techista a Paysandù, sempre in Uru-
guay. Nel 1884 passò in Argentina,
prima a Buenos Aires al Bollettino
Salesiano poi, nel 1885, a Carmen di
Patagones, come vicedirettore e poi
direttore-parroco, finché nel 1892 fu
richiamato a Torino come scrittore e
responsabile del Bollettino Salesiano
in spagnolo.
Ma don Piccono non era fatto per
star fermo. Nell’ottobre 1892, a 44
anni, don Rua lo inviò come re-
sponsabile della prima spedizione
in Messico. In poco tempo il colle-
getto che vi trovò diventò il grande
collegio di Santa Giulia, completato
quasi subito con quello maschile e
femminile della vicina Puebla. L’ex
marito Angelo Piccono divenne così
il primo direttore e primo superiore
dei salesiani e delle fma in Messi-
co. Godeva della fiducia di don Rua,
che nel 1896 lo incaricò di esplorare
la California (San Francisco) e nel
1898 il Centro America (San Sal-
vador), in vista di future fondazioni
salesiane. Sarebbero in effetti sorte
colà in tempi brevissimi.
In Messico non mancavano però
difficoltà, sia ad intra che ad extra
La rarissima fotografia di don Angelo Piccolo, in
eleganti abiti “laici”.
dell’Opera salesiana, per cui nel gen-
naio 1899 don Rua lo richiamò a To-
rino. Vi restò due anni come apprez-
zato conferenziere, forbito predicatore
e valido collaboratore del Bollettino
Salesiano, prima di essere mandato
ad inizio secolo xx a fondare e diri-
gere la nuova opera di Napoli-Vomero
(istituto-santuario) e successivamente
nel 1905 quella di Napoli-Castellam-
mare. Nel 1910 la sua salute iniziò a
cedere, per cui dovette mettersi a ri-
poso come confessore a Caserta, dove
morì il giorno di capodanno del 1913.
Un simpatico scambio
di persone
Non tutti i confratelli potevano sa-
pere dei trascorsi matrimoniali di
don Piccono. Fu così che allorquan-
do vari decenni dopo il responsabile
dell’Archivio della casa di Caserta,
riordinando le carte di don Piperni,
trovò la classica foto tessera-ricordo
di due giovani sposi, prese un abba-
glio. Notando infatti la somiglianza
del marito con don Angelo, ed aven-
do notizia di un certo Giuseppe Pic-
cono, scambiò lo sposo per il fratello
Giuseppe, invero mai esistito. Ma il
felice ed elegantissimo sposino della
foto non era altro che il primo grande
missionario salesiano in terra Messi-
cana, don Angelo! Il Signore l’aveva
voluto presto orfano di padre, per bre-
vissimo tempo marito affettuoso, per
oltre 30 anni padre di molti figli. Don
Bosco prima, e don Rua dopo, furono
testimoni diretti di questo “scherzo
della Provvidenza” alla congregazio-
ne salesiana.
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4.8 Page 38

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TESTIMONI
PIERLUIGI CAMERONI
Don Andrea Majcen
Il don Bosco
del Vietnam
“Sono grato a Dio di
avermi chiamato e di
avermi fatto corag-
gio nel seguire la sua
chiamata. È molto
significativa l’avven-
tura della vita, nella quale Dio ci
manda!”. Una frase che riassume una
storia lunga di giorni, di avventure, di
Il sorriso di
don Majcen:
tutti trovavano
in lui un amico
sincero e
un padre
sollecito.
un originale desiderio-profezia: vive-
re 95 anni!
Nato il 30 settembre 1904 a Mari-
bor (Slovenia), in famiglia riceve una
buona educazione cristiana. Rimane
affascinato dalla vita di don Bosco e
nel 1924 decide di entrare nel novi-
ziato salesiano.
La notizia del martirio del vescovo
Luigi Versiglia e del sacerdote Calli-
sto Caravario (Cina, 1930) svegliano
nel suo cuore il desiderio per le missio-
ni. L’incontro con il missionario don
Jožef Kerec (1932) lo porta alla deci-
sione di partire per le missioni della
Cina. Nel 1933 viene ordinato sacer-
dote e il 15 agosto 1935 nel santuario
di Maria Ausiliatrice a Rakovnik, ri-
ceve il crocifisso missionario.
“Cinese con i cinesi”
Inizia la sua avventura spe-
rimentando la fecondità
del sistema preventivo a
Kunming (Cina). “An-
nunzierò il Vangelo ai
«Credo e sono
convinto che sia stata
la Provvidenza divina
a guidare la Società
salesiana in Vietnam,
dagli inizi fino ad oggi,
quando ero presente e
anche quando non c’ero
più. Vorrei solo che la
storia fosse ripulita da
tutta la zizzania per poter
ammirare la bellezza
dell’opera divina nei cuori
dei vietnamiti!»
cinesi nella lingua cinese, perciò io
sarò cinese con i cinesi”, diventa il
suo programma e il suo stile di vita.
Si affeziona a loro come a fratelli e a
sorelle e impara in breve la loro lin-
gua. Non si lascia condizionare dal
risentimento di alcuni missionari e
coltiva un amore preferenziale per i
giovani poveri e per la gente misera.
Tutti trovano in lui un amico since-
ro e un padre sollecito. Già allora si
dice: “Sii umile e buono come don
Majcen, potrai diventare santo anche
tu!”. Persino le autorità del regime
comunista di Mao vedono in lui un
uomo che lavora per il bene dei cine-
si e mentre gli altri missionari sono
già espulsi o patiscono nelle carceri,
lui per un anno è insegnante di lin-
gua russa nella scuola media statale.
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Giugno 2014

4.9 Page 39

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Dopo questo egli sperimenta la prima
espulsione, il primo esilio, ma non si
dà per vinto.
“Il don Bosco
del Vietnam”
Ad Hanoi accetta l’orfanotrofio con
cinque dollari in tasca. I poveri orfa-
ni, erano 550, trovano in lui un padre
premuroso. Dopo il crollo del Vietnam
del Nord, trasferisce verso il Sud tut-
ti gli orfani e salva loro la vita. Segue
l’età d’oro del suo lavoro missionario.
Dal nulla, nei venti anni trascorsi in
Vietnam, fa fiorire un immenso albero
salesiano e con magnanimità di vedute
inizia e consolida la presenza salesia-
na in Vietnam. Per questo è chiamato
“il don Bosco del Vietnam”. Direttore,
vicario dell’ispettore, primo maestro
di novizi, ma soprattutto suscitato-
re e formatore di vocazioni religiose,
l’uomo che trapianta il carisma di don
Bosco nell’anima vietnamita, secondo
il suo principio: “con i vietnamiti viet-
namita, alla maniera vietnamita”. È il
primo che con l’aiuto di alcuni colla-
boratori traduce le costituzioni salesia-
ne in lingua vietnamita. Accoglie tutti
nelle case salesiane, senza escludere
nessuno, privilegiando i più bisognosi.
Tutto questo suscita nei suoi confron-
ti grande simpatia e profonda stima.
Quando giunge al potere il comuni-
smo, don Majcen respinge l’offerta di
un generale americano di trasportare
lui e i salesiani all’estero. Dice: “I viet-
namiti devono restare con i vietnamiti
e io con loro!”. Poi spedisce i confra-
telli in campagna, in piccoli gruppi, e
in tal modo li salva. Anche qui i nuovi
padroni riconoscono il suo lavoro per
il bene del popolo. Sebbene cittadino
straniero, ha il diritto di votare nell’as-
semblea popolare. Alla sua partenza
gli dicono: “Avete educato bene i sale-
siani vietnamiti, che ora continuano il
vostro lavoro…”. E di nuovo è espulso
in modo soft e con un gran riconosci-
mento. Fisicamente esaurito, secondo
l’ordine del medico deve rientrare per
sei mesi nella sua patria per ricuperare
la salute fisica. Una partenza che sarà
senza ritorno.
Missionario in patria
In patria, essendo la Jugoslavia uno
stato socialista collegato con lo stato
del Vietnam, il Servo di Dio è l’unico
riferimento per il collegamento con il
mondo dei salesiani del Vietnam. A
Ljubljana forma intorno a sé un vasto
cerchio di gente che raccoglie mate-
riale e aiuti finanziari per le missio-
ni. Di questi venti anni rimangono
tantissime lettere, a lui scritte dai sa-
lesiani vietnamiti, da altra gente del
Vietnam, dalla Cina, dai superiori,
dai cooperatori… In queste lettere
Dal nulla, nei venti anni trascorsi in Vietnam,
fa fiorire un immenso albero salesiano.
don Majcen viene chiamato: “Il don
Bosco del Vietnam”, “Mosè”, “il Bab-
bo”, “Il Padre Luce”…, espressioni
che dicono la profonda ammirazione
e il grande affetto verso questo uomo
di Dio. Dopo la celebrazione del giu-
bileo d’oro di sacerdozio (1983) don
Andrea capisce che non avrebbe po-
tuto ritornare tra i suoi in Vietnam e
così indirizza tutte le sue energie ver-
so il cammino della santità. Tale ten-
sione quotidiana alla santità e l’im-
pegno spirituale sono documentati
nei diari spirituali, nelle meditazioni
e in appunti. Insieme all’animazione
missionaria, dedica gran parte del
suo tempo alla direzione spirituale e
al ministero della riconciliazione. È
una guida spirituale molto ricercata,
anche da parte dei sacerdoti e religio-
si. Muore a 95 anni il 30 settembre
1999. Il 24 settembre 2010 è aperta
ufficialmente l’inchiesta diocesana
della causa di beatificazione e di ca-
nonizzazione.
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A CURA DI PIERLUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per
intercessione dei nostri beati, venerabili e servi di Dio,
sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di giugno preghiamo per la beatificazio-
ne della venerabile Mamma Margherita, mamma di don
Bosco.
Nasce il 1° aprile 1788 a Capriglio (AT), e il giorno stesso viene bat-
tezzata nella chiesa parrocchiale. Rimane al paese fino al matrimonio,
celebrato con Francesco Bosco; poi passa ai Becchi. Alla prematura
morte del marito, la ventinovenne Margherita si trova ad affrontare
da sola la conduzione della famiglia in un momento di grande ca-
restia, ad assistere la mamma di Francesco e il figlio di lui Antonio;
poi a educare i suoi figli Giuseppe e Giovanni. Donna forte, dalle idee
chiare, determinata nelle scelte, con un regime di vita sobrio, nell’edu-
cazione cristiana è severa, dolce e ragionevole. Cresce tre ragazzi dal
temperamento molto diverso: ma non livella e non mortifica nessuno.
Accompagna con particolare amore Giovanni fino al sacerdozio e poi,
lasciando la cara casetta del Colle, lo segue nella sua missione tra i
giovani poveri e abbandonati di Torino. Qui per dieci anni, la sua vita
si confonde con quella del figlio e con gli inizi dell’Opera salesiana: è
la prima e principale cooperatrice di don Bosco; con bontà fattiva di-
venta l’elemento materno del sistema preventivo. Illetterata, ma piena
di quella sapienza che viene dall’alto, è stata l’aiuto per tanti poveri
ragazzi della strada, figli di nessuno; ha messo Dio prima di tutto,
consumandosi per Lui in una vita di povertà, di preghiera e di sacrifi-
cio. Muore a 68 anni, a Torino, il 25 novembre 1856. L’accompagnano
al cimitero tanti ragazzi che la piangono come “Mamma”. Il 23 ottobre
2006 viene dichiarata venerabile.
Preghiera
Ti ringraziamo, o Dio nostro Padre,
perché hai fatto di Mamma Margherita una donna forte e saggia,
una madre eroica e una sapiente educatrice.
Donaci la gioia di vederla glorificata,
affinché risplenda per tutti la via della santificazione,
vissuta nel quotidiano e umile servizio del prossimo.
Per la sua intercessione concedi le grazie
che ti chiediamo con cuore fiducioso.
Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen!
Cfr. http://www.sdb.org/it/Santita_Salesiana/Venerabili/Mamma_
Margherita
Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
GRAZIE SEGNALATE
Sento il desiderio di scrivere sul-
la venerabile Mamma Mar-
gherita. Il suo sguardo severo
e dolce, i suoi occhi penetranti,
il suo trasmettere sicurezza, mi
accompagnano fin dai giorni del-
la preparazione della mia tesi di
laurea. Sento, nel trascorrere dei
giorni, la sua presenza spirituale
nella mia vita. Non ci sono gior-
ni, situazioni, momenti, impegni,
periodi, difficili e non, in cui non
avverta la sua presenza. Ed in
maniera automatica, quasi ascol-
tassi un richiamo fin dal profondo
del mio cuore, sento vivo il suo
intervento. Ed è bastato più e più
volte invocarla perché tutto si ri-
solvesse per il meglio. Un bacio
sulla immaginetta che custodisco
mi basta per iniziare e concludere
le mie giornate. Vorrei che lo sa-
pessero i lettori per condividere
con loro questa grazia costante.
Marianna (Brindisi)
Nell’agosto 2011, mentre mi tro-
vavo in montagna per alcuni gior-
ni di riposo, avevo con me il libro
“Un prete sorridente” che pre-
senta la vita del venerabile don
Giuseppe Quadrio. Lo leggevo
all’aperto con spirituale edifica-
zione e commozione senza pro-
blemi di vista. In cappella, però,
ci vedevo molto poco. Ritornata a
Torino la vista è diminuita velo-
cemente, tanto che non riuscivo
più a leggere i salmi della Liturgia
delle Ore. Nel gennaio del 2012,
dopo una visita oculistica, venne
diagnosticata una grave macu-
lopatia avanzata ad entrambi gli
occhi e che era necessaria una
cura di iniezioni. Nonostante le
cure, risultò che la retina si era
rattrappita e non vi era più nul-
la da fare. Fui sottoposta a due
interventi con il laser il 7 e 14
dicembre 2012. Dopo questi è
trascorso oltre un anno e la mia
vista è tornata – possiamo dire
– normale. Attualmente posso
leggere anche caratteri stampa
abbastanza piccoli e ho il piacere
di prestarmi a leggere la Parola
di Dio durante la celebrazione
eucaristica. È questa precisa-
mente la grazia che avevo chiesto
al Signore e alla Madonna, per
intercessione del venerabile don
Giuseppe Quadrio.
Suor Trinchero Angiolina, FMA
(Torino)
Filippo, padre di un bambino di
cinque anni, è stato operato d’ur-
genza il 15 agosto 2013, per una
occlusione intestinale gravissima.
Si scopre così che è affetto da
leucemia. Sua mamma Martina è
disperata, come pure tutta la sua
famiglia, perciò chiede alle suore
salesiane di pregare Maria per
l’intercessione di don Bosco. Lei
stessa si rivolge a tutti gli amici del
cielo e li prega menzionando tutti
i nomi della famiglia. Recandosi
ogni giorno all’ospedale, non ces-
sa di pregare: “Ave, o Maria…”.
Filippo viene sottoposto ad una
difficile chemioterapia. Il 15 no-
vembre 2013 giungono a Marsi-
glia, nella chiesa di San Giuseppe,
le reliquie di don Bosco. Mamma
Martina vi si reca portando in cuo-
re questo grande bisogno: chiede-
re a don Bosco la guarigione di
suo figlio. Lo chiede con fede. Il 17
novembre 2013 ecco la sorpresa:
alle analisi non c’è traccia di can-
cro! Mamma Martina esultante ne
dà notizia. Attualmente Filippo sta
bene e ha ripreso il suo lavoro.
Grazie a Maria Ausiliatrice e a don
Bosco!
Don Daniel Federspiel
(Ispettore Francia-Belgio Sud)
Grazie segnalate
per l’intercessione
di san Domenico Savio
– Il 9 marzo 2014, giorno in cui si
fa memoria della nascita al cielo di
san Domenico Savio, è nato il no-
stro Tancredi Antonio Domenico!
Eleonora e Giovanni di Torino
40
Giugno 2014

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
LA CURA CONTRO LE BESTEMMIE
Don Bosco, è risaputo, amava conversare e raccontare storie
con cui intrattenere e raggiungere il cuore delle persone. Sta-
volta raccontiamo noi una storia su di lui, una storia che co-
munque egli stesso usò molte volte come buon esempio. Nei
suoi viaggi soffriva di nausea e mal di stomaco provocati dal
movimento delle carrozze, per cui a volte chiedeva di sedere
all’aperto di fianco al XXX. Un giorno, tornando da Ivrea, si trovava accanto al cocchiere ma, più del mal
di carrozza, quel che l’infastidiva erano le bestemmie pronunciate nell’incitare i cavalli. Don Bosco, come
altre volte, gli aveva chiesto il piacere di farlo sedere lì e gli disse “Vorrei da lei anche un altro piacere”.
“Arrivare più presto a Torino? Certo!” rispose. E cominciò a sferzare i cavalli accompagnando gli incita-
menti con bestemmie. Don Bosco si affrettò a precisare: “Non è questo, vorrei che non bestemmiasse
più”. Il brav’uomo non obiettò e promise di non farlo più, assicurando di essere una persona di parola.
Per un po’ il cocchiere tacque, ma istintivamente alla prima sferzata ricadde nella cattiva abitudine. Don
Bosco gli fece la proposta di accettare per gioco una mancia di 20 soldi se avesse smesso davvero di dire
bestemmie e come penalità gliene avrebbe sottratti 4 a ogni “trasgressione”. L’uomo accettò dimostran-
do sinceramente di volersi correggere, ma ben presto il gruz-
zolo in palio cominciò ad assottigliarsi: una, due, tre, quattro
bestemmie. Don Bosco notò che si rammaricava e lo consolò
“Non dovete rattristarvi per i soldi persi, ma per il male fatto
alla vostra anima”. Il cocchiere gli chiese dove alloggiasse a
Torino e don Bosco, di buon grado, gli disse il suo nome e
che era all’Oratorio di San Francesco di Sales. “Ci vedremo”
fu la risposta, e al quarto sabato successivo l’uomo si pre-
sentò a don Bosco, si confessò e con candore ammise di aver
trasgredito solo una volta e che non sarebbe successo più.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Carpisce in-
formazioni segrete - 5. Strozzature
della strada - 15. È immediatamente
a sud di Pescara - 19. Il dittongo di
Pietro - 20. Trogloditi, primitivi - 21.
Viale senza vie - 22. Sostanza grassa
usata per lubrificanti e cosmetici - 24.
Iniziali dell’attore Hanks - 25. La Cer-
cato annunciatrice di un tempo - 26.
Un arto dei pennuti - 27. XXX - 30.
Copricapo arabo con la nappa - 31. Le
hanno talpe e topi - 32. Frutti a bac-
cello i cui semi sono detti carati - 33.
Ha per capitale Bamako - 34. La metà
di VI - 36. Si scrivono giorno dopo
giorno - 37. Il Pompeo Magno scon-
fitto a Farsalo - 39. Aosta (sigla) - 40.
Colpevole - 42. Alla fine della partita
- 43. Il grande fisico della relatività -
45. Ulisse - 46. Scocciarsi, tediarsi.
VERTICALI. 1. Tipo di pane dalla
forma allungata - 2. Serie di gruppi
montuosi che si affiancano all’arco al-
pino - 3. I confini d’Italia - 4. Il Mar-
zio quarto re di Roma - 5. Squarciato
da una demolizione - 6. La quantità
di copie stampate - 7. Le ha dispari
Roland - 8. Le ali dei coleotteri - 9.
Primo elemento, in parole composte,
che significa velocità - 10. Concetto
basilare del pensiero filosofico cinese
- 11. Con Stanlio formava una celebre
coppia comica - 12. Collocati in pro-
fondità - 13. L’isola in cui dimorava la
maga Circe - 14. Connessioni, legami
- 16. Sidro di mela tipico della Bassa
Normandia - 17. Militari dell’Aeronau-
tica - 18. È noto soprattutto per aver
narrato le gesta di Gargantua e Panta-
gruel - 23. Napoli (sigla) - 25. Caldo
umido - 28. Tubi senza inizio! - 29.
Il padre del padre - 33. Fanghiglia -
35. L’Istituto per la Ricostruzione Indu-
striale - 37. Un’acquavite aromatizzata
dal ginepro - 38. Mezzo esimio - 41.
Esempio in breve - 43. Il centro di
Vienna - 44. Articolo romanesco.
Giugno 2014
41

5.2 Page 42

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
CARLO NANNI
DON GIUSEPPE
GROPPO
Morto a Roma
il 3 febbraio 2014,
a 90 anni
Don Giuseppe era nato a Grazzano
Badoglio (Asti) il 24 agosto 1923.
Entrò al noviziato di Villa Moglia
(Chieri), avendo fatto il ginnasio
all’aspirantato di Penango (Asti).
Ordinato sacerdote nel 1950,
esercitò dapprima la docenza tra
gli studenti di filosofia a Roma-
San Callisto (1950-51) e poi tra
quelli di teologia a Monteortone,
frazione di Abano Terme (1951-
58). Chiamato infine nell’allora
Istituto Superiore di Pedagogia
del PAS perché si occupasse di
teologia dell’educazione (1959),
trovò qui il campo eletto del suo
apostolato sacerdotale, educati-
vo e scientifico, che non avrebbe
più abbandonato, dedicandosi
con fedeltà e costanza all’attività
investigativa e formativa, a favo-
re degli allievi dell’UPS e di tanti
altri studenti e studentesse che,
nel tempo, si affidarono alla rigo-
rosità della sua scienza e ancor
più alla profondità della sua dolce
saggezza. All’UPS rivestì pure, a
diverse riprese, cariche di par-
ticolare responsabilità, sia nella
struttura accademica sia all’inter-
no delle comunità salesiane in-
terne al campus universitario. Fu
apprezzato Vicerettore (1977-80)
e più volte ben voluto direttore di
comunità.
Il suo “opus maius”, frutto della
sua piena maturità, fu il volume
Teologia dell’educazione. Origi-
ne, identità, compiti (Roma, LAS,
1991), in cui raccolse ed espose
i risultati di una diuturna e docu-
mentata ricerca positiva, passati
al vaglio di un’attenta analisi criti-
ca e organizzati alla luce di una
robusta riflessione epistemologi-
ca e speculativa. Il volume risultò
allora pionieristico (perché la
teologia dell’educazione, almeno
in Italia, era ancora tutta da fon-
dare), ed ancora oggi resta un
classico nella materia.
Per vari anni fece parte dell’I-
stituto di Catechetica, di cui per
un periodo fu anche direttore;
al contempo assolse ad onero-
si incarichi più volte affidatigli
dalla Santa Sede. Terminò il suo
percorso accademico nell’Istitu-
to di storia, teoria e pedagogia
dell’educazione, sempre all’inter-
no della Facoltà di Scienze dell’E-
ducazione dell’UPS. Una prima
menzione merita il suo contributo
alla catechesi, che ha assicurato
una solida base teologica al pro-
cesso di evangelizzazione, nell’I-
stituto di catechetica dell’UPS
ma anche nell’ambito della S.
Sede e della Chiesa italiana.
Scrive un suo collega, don Jo-
seph Gevaert, docente per tanti
anni di catechetica all’UPS: «Don
Giuseppe è stato coinvolto da
vicino nel grande rinnovamento
della catechesi in Italia e nei si-
nodi sull’evangelizzazione e sul-
la catechesi. Ha dato un solido
contributo al rinnovamento della
catechesi in Italia (espresso nel
cosiddetto “Documento base”). È
stato assolutamente tra i primi ad
attirare l’attenzione sul fatto che
la catechesi deve essere prece-
duta dall’annuncio del Vangelo
e dalla conversione; ed ha capito
subito la grande importanza della
restaurazione del catecumenato
da parte del Concilio Vaticano II».
Un secondo servizio ancora più
eminente, che lo occupò per
tutto il tempo all’Università dal
1959, fu – come si è accennato
– l’elaborazione di una teologia
dell’educazione. Gli era quanto
mai caro questo studio da lui
perseguito con serietà e passio-
ne, intessendo preziose relazioni
con colleghi in Italia e in Europa.
Tale servizio contribuì a costituire
il profilo maturo della Facoltà di
Scienze dell’Educazione, in modo
che scienze umane e “scienza di
Dio”, nelle loro varie espressioni,
potessero realizzare un dialogo
costruttivo ed armonico a favore
dei giovani, della crescita delle
persone e di una dignitosa quali-
tà umana e cristiana dell’esisten-
za individuale e comunitaria. Egli
mirava ad una visione umanisti-
ca, cristianamente fondata dell’e-
ducazione, cara al don Bosco
del “buon cristiano e dell’onesto
cittadino”.
Questo “magistero” di teologo,
catecheta e pedagogista lo pro-
fuse anche nella Pontificia Fa-
coltà di Scienze dell’Educazione
“Auxilium” delle Figlie di Maria
Ausiliatrice.
La sua generosità pastorale era
ben riconosciuta e ricercata da
tantissime persone, sacerdoti,
religiose, laici e laiche. Egli fu
direttore spirituale e confessore
di molti, a cominciare dai nostri
studenti e studentesse. A lui ve-
nivano sacerdoti salesiani, parro-
ci, e persone consacrate di Roma.
In una bellissima lettera, la Madre
Generale delle FMA, suor Yvonne
Reungoat, afferma: “I ricordi che
di lui abbiamo resteranno vivi
nella memoria, come luce che
brilla nel nostro cammino di fe-
deltà alla chiamata di Dio, in par-
ticolare la serietà professionale di
cui ci è stato maestro».
Di don Giuseppe è facile eviden-
ziare in particolare le beatitudini
della mitezza e della misericordia.
Il suo stile era quello di un uomo
mite, gentile, comprensivo, di-
sposto ad aiutare, a illuminare, ad
incoraggiare, a confortare, non in
maniera burocratica, ma nem-
meno accomodante, mettendovi
intelligenza e cuore e stimolando
ad operare la propria parte.
Seppe essere sempre un amico
fedele e incondizionato. Le tante
testimonianze date o inviate nel
giorno dei funerali sono unanimi
nell’attestazione della stima ed
amicizia di cui don Giuseppe era
circondato. Credo che la stessa
cosa potrebbero dirla tanti e tante
exallievi ed exallieve, giovani ed
adulti e adulte.
Ricorda un suo exallievo: «Don
Groppo è stato per me padre,
amico, collega e modello di vita
sacerdotale e salesiana. Gli sono
riconoscente per tutto il bene
che mi ha portato; anche quando
ho dovuto confrontarlo con una
decisione per lui dolorosissima,
ha conservato nei miei riguardi
quella tenerezza e sconfinata fede
nel Volere di Dio che non ho tro-
vato in altri e che mi ha segnato in
questi anni fuori e ancora dentro
la comunità di don Bosco».
42
Giugno 2014

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
La brocca
Nel grande regno del Burun-
di, il signore e la signora
Mocambi, pur essendo
ricchi e rispettati, non ave-
vano figli. Immaginatevi
la gioia di tutti, quando la
signora Mocambi si accorse di aspet-
tare un bambino. Ma il giorno della
nascita del bambino fu un giorno
tristissimo, che lasciò tutti esterrefat-
ti. Perché invece del bambino tanto
atteso nacque una brocca. Avete
capito bene: proprio una brocca, uno
di quei vasi di terracotta che hanno
la forma di una donnina e che servo-
no per contenere l’acqua. Che fare?
Abbandonarono la casa, lasciandovi
dentro quel mostro indesiderato. Ma
la brocca, poverina, li seguiva rotolon
rotoloni e gridava: «Papà e mamma
della brocca, aspettate la vostra figlia
brocca!».
Ma più gridava, più gli altri avevano
paura e scappavano correndo a perdi-
fiato. La brocca rotolava e piangeva.
Finalmente il vento ne ebbe pietà e,
intenerito, la sollevò in aria e la portò
nel cuore della foresta su un soffice
tappeto di erba e foglie.
La famiglia Mocambi tirò un sospiro
di sollievo e, sentendosi liberata per
sempre da quell’incubo, chiese ospi-
talità al potente principe della regione.
Un po’ di anni dopo, proprio il
principe, che era ormai diventato re,
cavalcava nella foresta. Arrivato nella
bella radura scese da
cavallo per schiac-
ciare un pisolino
sull’erba soffice e
scorse tra i cespugli
la brocca abbando-
nata.
«Com’è bella! »,
esclamò. La prese in
braccio e la portò nel
suo palazzo d’avorio
e diamanti. Dovete sapere che il pa-
lazzo del re era molto bello, ma anche
sporco e impolverato. Si sentiva la
mancanza di una regina che badasse
alla casa. Ma dal momento in cui la
brocca entrò nel palazzo tutto cambiò.
I servi cominciarono a trovare tutto
spazzato, spolverato e riordinato. E
non riuscivano a capire come succe-
desse, anche se ne erano ben contenti.
Anche il re quando si trovò a sedere
su un trono tutto lucidato e splenden-
te, si incuriosì. Una notte, invece di
andare a dormire, si mise dietro una
porta e cominciò a spiare la brocca.
A mezzanotte in punto, dalla brocca
sbucò una bellissima fanciulla che
si mise subito a spolverare e pulire i
mobili. Fu un colpo di fulmine. Il re
si innamorò pazzamente della bella e
giudiziosa fanciulla.
La prese per mano e le disse: «Esci
immediatamente dal regno dei morti
ed entra in quello dei vivi». Poi la fece
sedere sul trono accanto a sé perché
diventasse la sua sposa.
Fu organizzata una festa come non
si era mai vista da quelle parti. Tutti
i sudditi dovevano venire a rendere
omaggio alla nuova bellissima regina
del Burundi.
Fu così che arrivò anche la famiglia
Mocambi. Quando la regina li vide
arrivare tornò a nascondersi nella
brocca e gridò: «Papà e mamma della
brocca, aspettate la vostra figlia
brocca». I Mocambi rimasero a bocca
aperta, ma poi la regina uscì dalla
brocca e li abbracciò. Aumentando la
confusione del signore e della signora
Mocambi che in un colpo solo sco-
privano di avere una figlia e di essere
suoceri del re.
Poi la regina seria seria soggiunse:
«Non abbandonate mai il
vostro rampollo: è un essere
umano che va trattato come
gli altri. Quella che a voi
sembra una brocca, può con-
tenere una regina!».
Giugno 2014
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Salesiani nel mondo
Filippine: il miracolo
di World Media Ministry
Incontro con
don Salvatore Putzu
Le case di don Bosco
Avigliana
Un’oasi di contemplazione
a due passi dalla città
Invito a Valdocco
La Basilica
di Maria Ausiliatrice
Quando i luoghi
raccontano la storia
L’invitato
Don Luigi Cei
L'arca della
storia salesiana
A tu per tu
Una storia scritta
con il cuore
I Barabba’s Clowns
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612658
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.