Bollettino_Salesiano_202401

Bollettino_Salesiano_202401

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proposte
Don
Bosco e
le colline
torinesi
don bosco nel mondo
Il parroco
della selva
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
salesiani
Don
Rupil
tempo dello spirito
Il metodo
rampa
di lancio
le case di don bosco
L’epopea
della
Crocetta
POSTER STRENNA 2024
Il sogno che fa sognare
GENNAIO
2024

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I FIORETTI DI DON BOSCO
B.F.
Il testamento di
DON BOSCO
«S e muoio, pazienza» mor-
morò don Bosco. «Vuol
dire che prima di partire
sistemerò le cose principali. Ma io
devo andare».
Appena uscito dalla stanza, il me-
dico disse a don Rua: «State molto
attenti. Non mi stupirei se morisse
all’improvviso, senza che ve ne ac-
corgiate. Non c’è da illudersi».
Don Bosco chiamò notaio e testi-
moni e dettò il suo testamento. Poi
fece venire don Rua e don Cagliero
e, indicando sul tavolo l’atto notarile,
disse: «Qui c’è il mio testamento. Ho
lasciato voi due miei eredi universali.
Se non ritornerò più, voi sapete già
come stanno le cose».
Don Rua uscì dalla stanza con il
cuore gonfio. Don Cagliero rimase
ed era depresso fino a piangere.
«Ma dunque, vuole proprio partire
in questo stato?»
«Come vuoi che facciamo diversa-
mente? Non vedi che non abbiamo
più i mezzi per tirare avanti? Se non
partissi, dove potrei trovare i mez-
zi per pagare i debiti che scadono?
Dobbiamo lasciare i ragazzi senza
pane? Solo in Francia posso sperare
soccorsi».
Don Cagliero era scoppiato a
piangere. Frenandosi a stento, disse:
«Siamo sempre andati avanti a forza
di miracoli. Vedrà che la Madonna
farà anche questo. Lei vada e noi
pregheremo».
«Sì, io parto. Il mio testamento è
qui. Lo consegno a te in questa
scatola. Conservala come mio ultimo
ricordo».
Non fu un viaggio lungo. Toccò
soltanto il sud della Francia, ma don
Bosco poté radunare fondi notevoli.
I conti Colle, a Tolone, gli consegna-
rono nelle mani 150 000 lire in una
sola volta.
A Marsiglia don Albera, preoccu-
pato delle sue condizioni, volle che
fosse visitato dal dottor Combal, una
celebrità medica. Al termine di una
visita accurata, Combal espresse il suo
parere con un’immagine: «Lei è un
abito molto logoro. È stato indossato
i giorni feriali e i giorni festivi. Per
conservarlo ancora, l’unico mezzo è
metterlo in guardaroba. Avrà capito
che le consiglio il riposo assoluto».
«La ringrazio, dottore, ma è l’unica
medicina che non posso prendere».
Le strettezze l’avrebbero spinto
ancora ad un ultimo viaggio di
questua. Nel 1886, a due soli anni
dalla sua morte, partì per la Spagna.
A Barcellona l’accoglienza fu una
ripetizione di quella parigina: strade
piene, tetti coperti, grappoli umani
ai lampioni. E quanti doni. Gli offri-
rono anche una collina, il «Tibidabo»
che domina con una vista bellissima
la città.
Ritornò per il sud della Francia:
Montpellier, Tarascona, Valenza,
Grenoble. Un ritorno lento verso la
sua Italia, l’ultimo ritorno. Diceva a
chi l’accompagnava: «Tutto è ope-
ra della Madonna. Tutto viene da
quell’Ave Maria recitata con un ra-
gazzo, quarantacinque anni fa, nella
chiesa di san Francesco d’Assisi».
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GENNAIO 2024

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proposte
Don
Bosco e
le colline
torinesi
don bosco nel mondo
Il parroco
della selva
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
salesiani
Don
Rupil
tempo dello spirito
Il metodo
rampa
di lancio
le case di don bosco
L’epopea
della
Crocetta
GENNAIO 2024
ANNO CXLVIII
NUMERO 1
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
POSTER STRENNA 2024
Il sogno che fa sognare
La copertina: Quadro del pittore slovacco Cyril Uhnák.
GENNAIO
2024
Si trova nell’istituto Crocetta a Torino.
2 I FIORETTI DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 DON BOSCO NEL MONDO
Il giovane parroco della selva
10 TEMPO DELLO SPIRITO
12 L’INVITATO
Don Gildasio Mendes
16 SALESIANI
Don Matteo Rupil
20 FMA
Suor Giuseppina
22 POSTER
24 LE CASE DI DON BOSCO
La Crocetta
28 PROPOSTE
Don Bosco e le colline torinesi
32 MUSICA
Cantare la strenna
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 IL CRUCIPUZZLE
43 LA BUONANOTTE
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32
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 64
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi Cameroni,
Roberto Desiderati, Ángel Fernández
Artime, Antonio Labanca, Carmen
Laval, Cesare Lo Monaco, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto, Pino
Pellegrino, O. Pori Mecoi, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Alberto Rodriguez M.
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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internazionale che tutelano le foreste, l’ambiente e
i lavoratori.

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Ángel Fernández Artime
Un anno di
SOGNI dall’ALTO
In questo 2024 ricordiamo il bicentenario del Sogno
dei 9 anni di don Bosco. Questo sogno è stato
molto più di un grazioso episodio occorso ad
un bambino di 9 anni; è un sogno-visione e
una premonizione di ciò che Giovanni Bosco
avrebbe dovuto fare nel corso della sua vita.
62 anni dopo, celebrando la sua prima e
ultima messa nella Basilica del Sacro
Cuore di Roma, consacrata due giorni
prima, don Bosco scoppiò in lacrime
più di 15 volte perché, come in un film in rapida
successione, vide scorrere tutte le scene della sua
vita, comprendendo di essere stato sempre guidato
dalla Divina Provvidenza e in particolare condotto
dalla mano dell’Ausiliatrice.
Questa commemorazione mi porta a pensa-
re a un Capodanno significativo nella vita
di don Bosco. Si tratta del primo gennaio
1862.
Le Memorie Biografiche raccontano che
don Bosco, ammalato fino al giorno pri-
mo, annunciò di avere una importante
notizia da dare a tutti gli abitan-
ti dell’Oratorio, grandi e
piccoli. «Finalmente
dopo le orazioni i
giovani in silenzio
profondo attesero
don Bosco, che dis-
se: “La strenna che
vi dò non è mia. Che direste se la Madonna stessa
in persona venisse da uno per uno di voi a dirvi
una parola? Se Ella avesse preparato per ciascuno
un suo biglietto per indicargli ciò di cui egli più
abbisogna, o quello che Essa vuole da lui? Ebbene,
la cosa è appunto così. La Madonna dà a ciascuno
una strenna! Vedo che alcuno vorrà sapere e do-
manderà: – Come è avvenuto questo? La Madon-
na ha scritto essa i biglietti? La Madonna in
persona ha parlato a don Bosco? Don
Bosco è il segretario della Madonna?
– Io rispondo: non vi dico niente di
più di ciò che vi ho detto. I biglietti li
ho scritti io, ma come ciò sia avvenuto
non lo posso dire. Ciascuno si conten-
ti di sapere che il biglietto viene dalla
Madonna. Ognuno di voi perciò consideri
quell’avviso come se procedesse dalla
bocca stessa di Maria Vergine. Ve-
nite dunque in mia camera e darò
a ciascuno il proprio biglietto».
Don Bosco poteva dire questo
perché lui stesso aveva ricevuto
dalla Madonna, all’età di 9 anni,
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il messaggio che avrebbe segnato l’in-
tero corso della sua vita.
Quella sera stessa, i Salesiani comincia-
rono a passare nella camera di don
Bosco per ritirare il loro bigliet-
to. Molti lo rivelarono. Quello
intestato a don Bonetti, che
scriveva la cronaca quotidia-
na, diceva: «Accresci il nu-
mero de’ miei figli». Quello
di don Rua diceva: «Ricorri
a me con fiducia nei biso-
gni dell’anima tua».
Dal mattino dopo, i gio-
vani si affollarono sulla porta della camera di don
Bosco, per ricevere il proprio biglietto. Posso fa-
cilmente immaginare come don Bosco sapesse ar-
rivare al cuore di ogni salesiano e di ogni ragazzo
dell’Oratorio, con la convinzione profonda di ciò
che la Madonna voleva per ciascuno di loro, e allo
stesso tempo riuscisse a farlo in quel modo in cui
don Bosco fu sempre un vero maestro e un vero
genio: l’arte dell’incontro personale, del dialogo,
dello sguardo che arriva al profondo del cuore.
E mentre leggevo questo, mi sono chiesto se non
fosse possibile che capitasse a noi. Abbiamo man-
dato biglietti di auguri a molte persone. Se Maria
Santissima avesse mandato un biglietto di auguri
alla Congregazione salesiana e a ciascuno di noi,
alla bella e grande Famiglia Salesiana, famiglia di
don Bosco, che cosa avrebbe scritto?
Camminare come don Bosco
È bello immaginarlo. Vi assicuro che nella mia im-
maginazione ci sono tante cose belle che la Ma-
donna potrebbe chiedere a noi sia personalmente
sia come famiglia di don Bosco, nata per accom-
pagnare i ragazzi e le ragazze del mondo – soprat-
tutto i più poveri e bisognosi – nel loro processo di
crescita, maturazione, trasformazione...
Forse basterebbe fare nostre le parole che Maria
dice a Giovanni Bosco nel suo sogno: «Ecco il tuo
campo, ecco dove devi lavorare. Renditi umile,
forte e robusto». Forse ci si aspettava un
consiglio più “spirituale”, ma
solo chi è umile può essere
gentile perché riesce a go-
dere della presenza degli
altri. L’umiltà è la porta
dell’amore verso i più pic-
coli, gli indifesi, i feriti
dalla vita.
Solo chi è solido e forte,
può camminare dietro a
Gesù oggi nonostante tut-
to. Perché noi vogliamo
vedere i prigionieri liberi, e gli oppressi che non
sono più oppressi; e in quale messaggio possano
credere ancora i poveri.
È ascoltare la voce del roveto ardente che non si
consumerà mai: «Io romperò le vostre catene e vi
farò camminare a testa alta». Maria vuole che i
Salesiani, e tutta la sua Famiglia, la bella famiglia
di don Bosco di tutti i tempi camminino come don
Bosco. E perciò la migliore garanzia sarà sempre
avere Lei come vera Maestra che è anzitutto Ma-
dre. Una vera grazia per la nostra famiglia.
Così lo hanno espresso i Rettori Maggiori in tut-
ta la nostra storia. Come fece il mio predecessore
don Ziggiotti: «Io ti darò la Maestra, sotto la cui
disciplina puoi diventare sapiente e senza cui ogni
sapienza diviene stoltezza» è la parola fatidica del
primo sogno, pronunciata dal personaggio miste-
rioso, «il Figlio di Colei che tua madre ti ammae-
strò di salutare tre volte al giorno». È dunque Gesù
che dona a don Bosco la Madre sua come Maestra
e guida infallibile nel duro cammino dell’intera sua
vita. Come ringraziare abbastanza di questo dono
straordinario che fu fatto dal Cielo alla nostra Fa-
miglia?».
Buon Anno 2024 con i miei migliori desideri per
ciascuno e le vostre famiglie. Che sia un anno bello
per tutti noi e un anno di Pace per questa umanità
ancora tanto sofferente.
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DON BOSCO NEL MONDO
Antonio Labanca di Missioni Don Bosco
Il giovane parroco
della selva sui
SENTIERI di DON BOLLA
È don Rogger Valdivia Hidalgo,
un peruviano trentacinquenne,
che con i sandali ai piedi percorre
per tre giorni la selva per arrivare
in un villaggio, dove resta due-tre
lunghe giornate a disposizione
dei fedeli. Poi riparte, e per altri
tre giorni cammina fino al villaggio
successivo.
“Sarai un missionario nella giun-
gla tra gli indigeni e darai loro
la mia Parola. Camminerai
molto a piedi”: il dodicenne
Luigi Bolla sentì rivolta a lui questa predi-
zione quando si trovava nella cappella
dell’oratorio di Schio (Vicenza) e
si interrogava sul “farsi prete”
già da un anno.
Sembra essere il seguito
del sogno di don Bosco
che annunciava il cam-
mino che avrebbe por-
tato i suoi figli spiritua-
li nel profondo Sud del
continente americano.
La fioritura di missio-
nari che dapprima seguirono i migranti dall’Italia
verso il loro futuro, poi furono spinti ad evangeliz-
zare i popoli nativi, era la risposta a una chiamata
che – come per il futuro “padre Luis Bolla” – si
rivolgeva ai piccoli, affascinati dalla paternità del
santo di Valdocco e dai paesaggi – ancora confusi
con la fantasia – di una terra lontana.
La seconda parte della “profezia” rivolta al futuro
salesiano dona a questa connotazioni precise: giun-
gla, indigeni, cammino. Appena maggiorenne,
Luigi parte per l’Equador dove, oltre allo spagnolo,
su invito dei missionari già presenti, studia anche
la lingua nativa del popolo Shuar. L’Amazzonia è
pronta a inghiottirlo con il suo entusiasmo. Ma la
frontiera che deve attraversare è ancora più di-
stante: è quella di un altro popolo, immer-
so nella foresta. Sono gli Achuar, in gran
maggioranza attribuiti – dalle divisioni
politiche dei conquistatori – al territorio
del confinante Perù. Ma per un uomo
coraggioso e innamorato della sua
vocazione non è una sfida insu-
perabile. Cambia di ispettoria
ma soprattutto è pronto ad
affrontare da solo la fatica
di condividere, separato
dalla zona di conforto
della comunità sale-
siana, la vita nelle ca-
panne degli Indios e il
tempo intero delle sue
giornate.
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Liturgia
solenne
in una
parrocchia
della selva.
Sui passi di padre Bolla
Un missionario così poteva rimanere un “caso isola-
to”, che non lascia né traccia del suo percorso né co-
munità in grado di percorrerlo. Invece succede a noi
oggi di incontrare un giovane salesiano che svolge
il proprio ministero ripercorrendo esattamente i
sentieri nella foresta amazzonica che batteva padre
Luis Bolla.
È don Rogger Valdivia Hidalgo, un peruviano tren-
tacinquenne che, con gli occhi misurati sullo standard
italiano, sembrerebbe un giovanotto di 25. È lui che
con i sandali ai piedi percorre per tre giorni la selva
per arrivare in un villaggio, dove resta due-tre lunghe
giornate a disposizione dei fedeli. Poi riparte, e per
altri tre giorni cammina fino al villaggio successivo.
Sicuramente nel suo dna c’è la lunga storia del-
le civiltà precolombiane. È nato nella città di
Huancayo, l’antica capitale della civiltà Wanka.
La memoria storica parla di un popolo di guerrie-
ri indomabili, che resistettero alle conquiste degli
Imperatori dei Wari e degli Inca e, dopo di questi,
al Re di Spagna. “Sono nato nella città incontrasta-
bile” sottolinea nel presentarsi don Rogger. Il suo
volto fa trasparire, dietro l’umiltà del religioso, una
sana fierezza delle origini.
Oggi Huancayo è capoluogo della regione di Junin.
I suoi genitori, Marcelo e Clorinda, sono i trasmet-
titori del “marchio” dei popoli che la Storia ha fatto
incontrare: papà Valdivia ha come soprannome ri-
portato nella carta di identità “Condor”, la madre
“Guerra”. I dodici figli che hanno avuto, 6 maschi e
6 femmine, vivono alcuni nella città di origine, altri
nella capitale Lima.
A 19 anni Rogger entrò nella casa di formazione
salesiana e ne uscì sacerdote quattordici anni dopo.
Ora è parroco di Hacioa, una zona che le carte geo-
grafiche a stento individuano, a cavallo fra Perù ed
Equador. “Zona” e non “località” perché le 17mila
persone che la abitano sono sparse in 64 comunità.
Di queste, 34 hanno abbracciato la presenza catto-
lica e attendono don Rogger, ciascuna almeno una
volta all’anno. Per il salesiano è come tuffarsi in
un oceano verde, dalla parte delle Ande opposta a
quella che si affaccia sul Pacifico.
La casa di foglie di palma
L’attività missionaria di padre Bolla ha avuto per
lui un lungo percorso di avvicinamento. Lo conob-
be personalmente durante la sua formazione, quan-
do era prenovizio, poi da studente di teologia. Ma
a dargli l’imprinting fu il gruppo del Movimento
giovanile salesiano che propose anche a lui di an-
dare a visitare le opere in territorio amazzonico
ad Andoas. Nel 2011 trascorse l’estate nei villaggi
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DON BOSCO NEL MONDO
Don Rogger
a Valdocco.
lungo il fiume Pastaza, un
affluente del Marañon che
va ad arricchire le acque del
Rio delle Amazzoni. La
popolazione locale è inter-
media fra le città dell’occi-
dente peruviano e i nativi
della foresta. Lì si usa la
lingua spagnola e quindi
poté farsi descrivere la real-
tà sociale direttamente dal-
la gente. “Mi piacque quella
esperienza perché incontrai
persone molto sensibili. Vi-
vevano ancora senza telefo-
ni e Internet, c’era tempo e
volontà di comunicare”.
I residenti di Andoas fu-
rono estromessi per via
dell’espansione dell’attività
estrattiva della “Plus Pe-
trol”, la società argentina
che ebbe la concessione dal governo locale. Do-
vettero costruire un nuovo insediamento, Andoas
Nuova, per allontanarsi da inquinamento e distru-
zione dell’ambiente. “Ho visto le nuove costruzioni,
residenze adeguate per i lavoratori; ho visto miglio-
rare i servizi pubblici e l’alimentazione. Mentre la
popolazione mantiene la sua cultura e le tradizioni”.
Don Rogger si pose seriamente la domanda se la
sua vocazione religiosa dovesse inclinarsi verso la
missione fra quelle genti, spingendosi all’interno
del continente per incontrare quelle più lontane.
Ne parlò anche con i suoi genitori: la madre si tro-
vò d’accordo, e fece in modo che anche suo marito
e il figlio maggiore accettassero l’allontanarsi del
famigliare. Il fratello è diventato l’interlocutore sta-
bile attraverso uno scambio epistolare intenso che
rende meno sofferta la distanza. “Stavo studiando
teologia, ero già diacono. Nella mia richiesta di or-
dinazione al sacerdozio manifestai la mia volontà
missionaria”.
Una buona organizzazione
Ora è responsabile di una parrocchia di cui è diffi-
cile misurare l’estensione, intrecciata con quella dei
protestanti che interessa altri 30 villaggi. Dal punto
di vista politico, è maggiormente sul territorio peru-
viano. Non comprende strade percorribili con auto-
mezzi e neppure sentieri da fare a dorso di animali:
rimangono solo le piste che conoscono i residenti,
non tracciate in nessuna mappa. “Vivo adeguandomi
ai loro orari e quel che hanno. La mia casa è fatta
come quella consueta da quelle parti, cioè con foglie
di palma. Ci alimentiamo con la yuca (manioca), con
il plàtano (banane da cuocere), con il pesce di fiume.
Gli uomini vanno a caccia e così un paio di volte alla
settimana la carne entra nel piatto. Le famiglie sono
composte dai genitori e da 6 a 10 figli.
Ci alziamo alle 3 del mattino, a colazione beviamo
un tè a base di foglie di guayusa (contengono caf-
feina). Alle 5 celebriamo la Parola o l’Eucarestia, a
seconda delle possibilità contingenti, poi il Perdo-
no. A volte confesso i fedeli per tre ore consecutive
e vedo che si preparano bene a questo. È un’eredità
di padre Luis, che ha sempre insistito molto su que-
sto sacramento”.
Già, padre Bolla. Ad accompagnare il giovane pre-
te nei meandri della foresta c’è il signor Puanch
Makuin Makuin, che fu il primo diacono ordinato
per seguire quel missionario di frontiera. È lui che
fa da interprete con le persone che non parlano spa-
gnolo. È stato già il braccio destro di padre Diego
Clabvijo Illesca, immediatamente succeduto a pa-
dre Bolla.
“Ci sono nuovi diaconi e catechisti che si stanno
formando” spiega padre Rogger “ma io stesso com-
pleto giorno per giorno la mia formazione come
salesiano, come ministro, come missionario. Mi
sento come un chiamato speciale per essere in que-
sto luogo a conoscere la popolazione. Vedo cose e
fatti da me mai visti prima nelle città: ho fatto l’in-
contro con una cultura che ha una nozione distinta
del tempo che trascorre, una visione diversa delle
priorità della vita”.
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Il suo nome è “Tuna”
Questo insieme pastorale è a servizio delle famiglie
anche per affrontare le questioni quotidiane, ma
non banali. C’è ad esempio un problema legato al
trasferimento di giovani nelle città per lavoro, spes-
so come trasportatori. Quando rientrano manife-
stano di essersi avvicinati alla droga o all’alcool, a
un uso distorto della sessualità e del denaro. Succe-
de che nel villaggio rubino qualcosa – il poco che
trovano – come un machete, una gallina o una sco-
petta; o che si accostino a ragazze minorenni. “Ol-
tre che un problema morale” osserva padre Rogger
“è una questione sociale perché tocca molto da vi-
cino la vita collettiva, le relazioni fra gli abitanti, la
sicurezza”. Il diacono del villaggio diventa così un
“giudice di pace” che cerca di far osservare le regole
e di trovare il giusto risarcimento.
Ma poi c’è il grave problema ambientale.
“A partire dalla conoscenza
della Parola di Dio, dalla
contezza della propria cul-
tura originaria, imparia-
mo il rispetto degli altri. La
protezione, la difesa dell’A-
mazzonia è una consapevolezza
acquisita. Anche gli Achuar si oc-
cupano non solo del proprio territorio
ma, uniti agli altri gruppi indigeni
e alle diverse organizzazioni di tu-
tela, operano con una chiara visionedella necessità
di salvaguardare il loro futuro. L’assalto massiccio
alle risorse naturali, la lottizzazione di vaste aree
della foresta per l’estrazione del petrolio sono il pe-
ricolo da cui si devono difendere”. Nell’area equa-
doregna i gruppi di pressione popolare sono mag-
giormente organizzati, mentre ci sono difficoltà fra
i Peruviani. Certamente un limite è la comunica-
zione per tenersi collegati: occorrono tre giorni per
sapere che cosa sia successo nel villaggio più vicino.
“L’enciclica Laudato si’ di papa Francesco è per noi
certamente un messaggio che rafforza la difesa
delle popolazioni indigene. Viviamo meglio se ri-
spettiamo la vita, se la incarniamo nella quotidia-
nità. Gli Achuar e gli altri che vivono nella foresta
rispettano il creato, non esauriscono le risorse di
cibo, coltivano e non usano fertilizzanti, vanno a
pesca o a caccia con strumenti elementari, non fan-
no man bassa di tutto quello che trovano. Usano la
natura ma la rispettano: dobbiamo tutti seguire il
cammino che ci indicano”.
Padre Rogger nelle fotografie che scattano anche
a lui nei villaggi, porta sul capo un cappello con
la fierezza di un incontrastabile guerriero Wanka.
È il medesimo copricapo che portava padre Luigi
Bolla, è come una reliquia viaggiante: è la corona
(tawasap) assegnata dagli Achuar a chi gli ha por-
tato Gesù Cristo. E la gonna (itip) che il ministro
indossa nei riti richiama la continuità tra tradi-
zione e fede cristiana. Il giovane parroco
della selva porta anche una collana rituale,
appartenuta al suo predecessore, che gliel’ha
lasciata.
Ma di ancora più sacro padre Rogger
porta il nome che gli hanno dato gli
Achuar: Tuna. È questo il termine
con cui chiamano le cascate dei loro
fiumi, che sono per loro uno spazio
di incontro fra uomo e Dio.
Photo Spirit / Shutterstock.com
L’oratorio
è sull’acqua.
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TEMPO DELLO SPIRITO
Carmen Laval
Il metodo
RAMPA
di LANCIO
Pronti via! Si ricomincia! Il “primo
gennaio” può essere il gran
giorno in cui possiamo iniziare a
mettere in pratica qualcuno dei
tanti propositi che sonnecchiano
nel nostro deposito di “dovrei”.
Grazie al metodo rampa di lancio,
riusciremmo ad affrontare nuove
sfide e a mantenerle.
Le nuove abitudini non devono essere forza-
te, ma volute. Anzi, devono essere guidate
dal desiderio, in modo da non trovare scu-
se per non iniziare. Con il metodo della
rampa di lancio è possibile facilitare la transizione
dallo stile di vita attuale alla nuova abitudine. A tal
fine, è necessario individuare l’abitudine sana che si
desidera adottare.
L’autrice di un seguitissimo sito web, Gretchen Ru-
bin, ha scritto un “Progetto felicità” e ha suddiviso
nei dodici mesi i buoni propositi per tutto un anno.
Ispirandoci a lei possiamo decidere le nostre “ram-
pe di lancio” per ogni mese dell’anno.
Gennaio: buttare via, riordinare, sistemare.
«L’esame del nostro appartamento mi rivelò che il
mio era un disordine da accumulo di varie specie
differenti. C’era prima di tutto
un accumulo nostalgico, fatto di
reliquie della mia vita precedente
a cui restavo aggrappata. Poi c’era
un ipocrita accumulo conservativo,
fatto di cose che avevo conserva-
to perché di per sé erano utili,
anche se a me personalmente
non servivano affatto. Perché
tenevo ventitré vasi di vetro da
fiorista?» scrive la signora Rubin.
Febbraio: ricordarsi dell’amore
familiare, di­mos­trarlo e smettere di
brontolare.
Quello che si fa ogni giorno conta più di quel che
si fa una volta ogni tanto. Ricordatevi sempre che
tra persone che vivono insieme, marito e moglie,
genitori e figli, ci vogliono sempre almeno cinque
azioni positive per compensare un’azione negativa
o distruttiva.
Marzo: coltivare l’empatia e riconoscere la realtà
dei sentimenti degli altri.
L’empatia, ossia la capacità di capire e riconoscere
ciò che gli altri provano, è il sentimento morale per
eccellenza. Sii amorevole e l’amore busserà alla tua
porta.
Aprile: sorridere ed essere uno scrigno di ricordi
felici.
«Sorridetevi l’un l’altro, sorridete a vostra moglie,
sorridete a vostro marito, sorridete ai figli, sorri-
detevi l’un l’altro (non importa chi sia) e questo vi
aiuterà a crescere con più amore l’uno per l’altro» è
un consiglio di santa Madre Teresa.
Tenete uno “scrigno” mentale con tutte le cose bel-
le che la vita vi ha donato.
Maggio: fare dieci minuti di meditazione.
L’obiettivo della meditazione è acquietare la mente
ballerina e aiutarla a smettere di saltare qua e là
perché quando la mettiamo a riposo, abbiamo più
possibilità di vedere chiaramente e di approfondire
la conoscenza di ciò che stiamo osservando, qua-
lunque cosa sia.
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GENNAIO 2024

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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Giugno: trovare tempo per gli amici.
Abbiamo bisogno di amicizie durature, abbiamo
bisogno di avere fiducia negli altri, abbiamo biso-
gno di sentirci legati agli altri. Gli studi dimostra-
no che se una persona ha cinque o più amici con cui
poter parlare di argomenti importanti, è molto più
probabile che si descriva come “molto felice”.
Luglio: mettere in ordine le finanze familiari.
Tra le maggiori preoccupazioni che affliggono la
gente figurano l’ansia per la propria situazione fi-
nanziaria, i problemi di salute, l’insicurezza riguar-
do al lavoro e l’essere costretti a fare cose stancanti
e noiose. Speso correttamente, il denaro può fare
molto per risolvere questi problemi. Il problema
denaro fuori controllo può essere distruttivo in una
famiglia.
Agosto: ascoltare veramente.
Parlare significa condividere. Ascoltare significa
amare. I bambini che vengono ascoltati da adulti
saranno persone più positive e più fiduciose. In ef-
fetti, la base di tutte le relazioni solide (con i figli,
con il partner, con gli amici, con i genitori o con i
colleghi) è l’ascolto.
Settembre: curare l’alimentazione e l’esercizio
fisico.
Compiliamo una lista di sette piccole sfide che
alleggeriscano il nostro corpo fisico (per esempio,
sottoporsi a un breve digiuno, camminare regolar-
mente, praticare uno sport, andare a dormire pre-
sto, preferire determinati alimenti ecc.) e attuiamo-
la entro il mese.
Ottobre: coltivare la curiosità e arricchire la mente.
Iniziate ad ampliare la vostra mente, i benefici
sono tanti e vari. Allenando la mente in maniera
costante, accrescerete il vostro bagaglio culturale e
la vostra capacità di imparare dalle difficoltà e di
superarle. Frequentate insieme biblioteche, musei,
cinema e le iniziative culturali.
Novembre: mettere le ali all’anima e ricordarsi di
Dio.
Non dimenticate mai, ogni mattina, la bellissima
preghiera che dice: Ti adoro mio Dio, e ti amo con
tutto il cuore. Ti ringrazio di avermi creato, fatto
cristiano e conservato in questa notte. Ti offro le
azioni della giornata: fa che siano tutte secondo la
tua santa volontà per la maggior tua gloria.
Preservami dal peccato e da ogni male. La tua gra-
zia sia sempre con me e con tutti i miei cari. Amen.
Dicembre: amare la nostra casa e celebrare i riti
familiari.
Cominceremo dal rito della soglia: tutti quelli che
entrano e tutti quelli che escono devono essere
abbracciati. Pregare e ringraziare prima dei pasti.
Trovare un angolino di tempo per raccontare la
propria giornata e dare a tutti la buonanotte. Parte-
cipare insieme alla Messa. Celebrare le feste litur-
giche, come il Natale e la Pasqua. Festeggiare con
fantasia gli onomastici e i compleanni.
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2.2 Page 12

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L’INVITATO
B.F.
DON GILDASIO MENDES
Consigliere per la Comunicazione
Sociale della Congregazione Salesiana
Siamo tutti chiamati a educarci per vivere
in modo sano, più umano e fraterno
all’interno dell’universo digitale.
(Continua dal numero di dicembre)
«Il punto non
è limitare
o evitare,
ma educare
ad un uso
creativo, sano,
responsabile
ed etico».
Perché è importante per la Famiglia
Salesiana comprendere la metodologia
digitale a favore dell’evangelizzazione
dei giovani?
La Congregazione Salesiana, nelle sue diverse aree
di intervento, si pone l’obiettivo di rimanere sempre
al passo con i tempi. Un atteggiamento che negli
anni ci ha portato alla continua ricerca di un dia-
logo tra fede e scienza, Vangelo e cultura giova-
nile, Sistema Preventivo e mondo digitale. Come
educatori dei giovani abbiamo certamente trovato
i modi per rispondere alla grande transizione della
comunicazione verso le tecnologie dell’informazio-
ne, Internet e le reti sociali.
Insieme ai laici e agli educatori, vogliamo accostare
la realtà ascoltando le nuove generazioni, accompa-
gnando gli adolescenti nei loro mondi social, tro-
vando nuovi linguaggi e nuovi metodi per educarli
all’amore, al senso della vita e della responsabilità,
alla costruzione del loro progetto personale parten-
do dai valori del Vangelo e del Sistema Preventivo.
Attraverso innumerevoli opere salesiane, soprattut-
to in Africa e in America Latina e Caraibi, edu-
chiamo i giovani di diverse classi, in particolare
quelli più bisognosi, a prepararsi a livello tecnico
e umano all’uso delle nuove tecnologie applicate
all’istruzione, alle arti, al lavoro, alla promozione
sociale e al tempo libero.
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GENNAIO 2024

2.3 Page 13

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In che modo, come educatori, potremmo
avere più spirito d’iniziativa e dipendere
meno da videogame e programmi Tv
per tenere occupati i ragazzi?
Considerando che viviamo in un mondo digitale e
che attraverso la televisione, internet e i social net-
work siano tutti collegati, non credo che limitare
l’uso dei media sia educativo. Impedirgli di giocare
ai video game e trovare un’altra attività per tenerli
occupati può produrre un minimo risultato. Il pun-
to non è limitare o evitare, ma educare ad un uso
creativo, sano, responsabile ed etico. Ogni famiglia
deve pensare a come creare uno stile di vita sano e
in equilibrio con i propri figli all’interno dell’habi-
tat digitale.
Lei ha affermato in un recente articolo
che “l’arte è il cuore della comunicazione”.
Che cosa significa?
Ricordiamo che il nostro padre e fondatore don
Bosco suonava il piano, cantava, utilizzava in modo
meraviglioso il teatro per educare.
L’arte è il cuore della comunicazione umana.
Quando parliamo di arte, si fa riferimento alla
musica, alla danza, alla letteratura, al teatro, alla
pittura e a numerose altre manifestazioni artisti-
che. In un certo senso, tutte le persone, indipen-
dentemente dalla loro condizione economica, so-
ciale, culturale ecc., fanno esperienza della realtà
artistica.
Tutte le forme di arte sono un linguaggio visivo dei
sentimenti e dei desideri della persona. L’arte per-
mette inoltre a ciascuno di definire o conquistare il
suo spazio sociale e politico all’interno della comu-
nità umana.
Mediante la diversità dei suoi linguaggi, l’arte fa sì
che l’essere umano possa manifestare le sue emo-
zioni, i suoi valori, la sua fede e la sua visione del
mondo.
A mio avviso, approcciare i giovani per far loro im-
parare alcuni tipi di arte e sport è un modo creativo
di educare per abitare il digitale.
Come deve essere una scuola salesiana
nel contesto digitale?
La scuola salesiana è un luogo privilegiato e specia-
le per educare bambini e giovani, in qualsiasi realtà
culturale del mondo. Innanzitutto, ci sono i valori
del sistema preventivo, il valore dell’amore, dell’a-
micizia, del dialogo, della riflessione, l’importanza
di Dio e della religiosità, con i suoi simboli, i suoi
riti e le sue esperienze di preghiera, liturgia, canto
e servizio per gli altri. L’educazione salesiana ha un
ambiente educativo che permette il movimento, lo
sport, la musica, la danza, il contatto amichevole con
gli educatori, con esperienze educative e culturali.
La scuola salesiana, partendo da questa base umana
cristiana, può e deve sviluppare l’educazione digi-
tale, riflettendo con i giovani su come funziona il
mondo e la logica digitale.
Quali dovrebbero essere alcune buone
pratiche educative?
Educare alla responsabilità e allo spirito critico
verso il digitale. Sappiamo che abitare il digitale
condiziona il nostro modo di esprimere le idee, di
creare la nostra politica di comunicazione, di con-
«L‘educazione
salesiana ha
un ambiente
educativo che
permette il
movimento,
lo sport,
la musica,
la danza,
il contatto
amichevole
con gli
educatori, con
esperienze
educative e
culturali».
GENNAIO 2024
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2.4 Page 14

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L’INVITATO
dividere le informazioni, di esprimere noi stessi, di
vedere il mondo e le realtà in cui viviamo. Questo
richiede una grande responsabilità, affinché si pos-
sa sempre comunicare senza dominare, relazionar-
si senza controllare le persone, esprimersi senza la
tentazione del potere mondano.
Come affrontare il tema
della pornografia?
Partendo dalla prospettiva del digitale, ritengo che i
genitori e gli educatori siano chiamati ad affrontare
inizialmente la questione della pornografia dal pun-
to di vista della logica del digitale come la questione
dell’accelerazione psicologica e psico-fisica che vi-
viamo all’interno del mondo digitale. Partendo da
questa visione, possiamo farci alcune domande: che
cosa succede a livello psicologico con un adolescente
che si espone al mondo digitale in modo continuo e
intenso? Che cosa accade a livello fisico ed emozio-
nale con la conseguente accelerazione del suo cervel-
lo, con i suoi aspetti cognitivi ed affettivi, sull’ansia,
la paura, l’insicurezza e conseguentemente con la
sessualità? Che cosa fa questo adolescente, con pieno
accesso a tutte le logiche del mondo digitale con così
tante immagini e video per gestire i suoi sentimenti,
emozioni, desideri, ormoni e così via?
Viviamo oggi quello che prende il nome di iper-
sessualizzazione, una nuova realtà nel mondo di-
gitale. L’iper-sessualizzazione si manifesta nella
iper esposizione del corpo, della performance, del
potere e del successo che inducono gli adolescenti
e giovani a sperimentare la sessualità attraverso gli
stimoli. Nella logica digitale, come abbiamo detto,
gli stimoli governano l’immaginazione e le azioni.
È quindi importante che i genitori e gli educatori
parlino con gli adolescenti e i giovani su come fun-
ziona la logica digitale nel contesto dei social net-
work e di internet, in primo luogo, per comprende-
re queste dinamiche e approfondire i valori umani
e cristiani della sessualità.
Un secondo argomento è l’aspetto fisico che si ri-
ferisce all’ideologia che guida il mondo digitale,
internet e i social network e al modello di perso-
na umana che viene proposto in questo universo.
Il simbolismo e i segni che vengono utilizzati in
modo subliminale dalla pubblicità rendono le per-
sone consumatori affamati. C’è tutta una pubblicità
che è presente per gli adolescenti e i giovani. Sono
strategie di consumo con prodotti che portano il
loro impiego fino al punto di essere praticamente
“divinizzati” e dove le persone vivono consumando
attraverso continui e intensi messaggi. Tutto ciò ar-
riva con immediatezza nel mondo digitale creando
un circolo vizioso attraverso un desiderio di consu-
mo continuo e inarrestabile. Tendenzialmente que-
sta dinamica di accelerazione dei sentimenti, delle
emozioni e dell’immaginazione rende le persone
indifferenti al loro mondo di consapevolezza critica
e riflessione.
Quindi il digitale stimola le persone a
entrare in un circolo di costante consumo
di sesso?
C’è il rischio che le persone cerchino il sesso senza
considerare l’intero aspetto della sessualità umana,
che coinvolge i sentimenti, l’amore, i valori, la co-
scienza, la responsabilità verso gli altri e la fedeltà
alla persona.
A volte questi stimoli sono rafforzati dall’uso di suo-
ni che amplificano i desideri e la libido. Altre volte,
l’uso di alcune sostanze chimiche, psicotrope, dro-
ghe e alcol, porta i giovani a vivere situazioni estre-
me di perdita di senso, di radicalità verso se stessi e
gli altri, perdendo totalmente il controllo emotivo.
Tutto questo diventa per loro un’attrazione a guarda-
re la pornografia come un modo per liberarsi.
Naturalmente la pornografia esisteva anche prima
della digitalizzazione e di internet. Dobbiamo inol-
tre ricordare che il tema della pornografia è anche
legato a questioni formative, a disturbi psicologici e
a realtà culturali e queste sono tematiche complesse
che meriterebbero un approfondimento ulteriore.
Seguendo le indicazioni della Chiesa è fonda-
mentale educare a una sessualità matura partendo
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GENNAIO 2024

2.5 Page 15

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dall’amore donato, costruendo un progetto di vita
in cui la sessualità sia vissuta nella sua interezza
come dono responsabile.
Ha mai avuto esperienze di cyberbullismo
o conosce qualcuno che ne abbia avute?
Sì, ho visto alcuni casi di cyberbullismo, soprat-
tutto tra gli studenti delle scuole medie. Questo
argomento è legato a quanto ho detto prima sulle
reazioni intense e talvolta irrazionali causate dagli
stimoli aumentati dalla tecnologia digitale. Anche
in questo caso, la persona è sempre responsabile
delle proprie azioni. Spesso il cyberbullismo dipen-
de dall’educazione della persona, da problemi di
natura psicologica, ma la tecnologia diventa nelle
mani della persona un pericolo che minaccia l’altro.
Ricordiamoci sempre che uno dei problemi seri del
mondo digitale è il potere. Il potere di sedurre, ma-
nipolare, mentire, provocare odio e violenza contro
gli altri. Ecco perché l’educazione etica alla vita nel
mondo digitale è una questione della massima
urgenza nelle scuole e nelle nostre famiglie.
Come si può applicare “ragione,
religione e amorevolezza”
alla generazione touch?
Prima di tutto, confidare nei giovani! Loro
sono i veri protagonisti del digitale.
Secondo, non dobbiamo avere paura del
digitale, perché rimane una grande op-
portunità per educare ed evangelizzare, ma richiede
sempre riflessione e discernimento. Partendo dal
Vangelo, è importante mettere la comunione fra-
terna al centro di qualsiasi forma di comunicazione,
mantenendo una visione educativo-pastorale sale-
siana e un’etica che assicuri il rispetto della persona
umana e di tutta la comunità.
Terzo, al fine di avere una sana relazione con il
digitale, dobbiamo mettere al centro i giovani.
L’approccio del salesiano non può infatti ridursi
al suggerimento banale e superficiale che invita a
scaricare le App dei social sul proprio smartphone
o a diventare in prima persona protagonista di In-
stagram o Twitch. Educare sempre per la creatività
e responsabilità.
Quarto, è molto importante assumere piuttosto
l’approccio dell’accompagnamento dinamico, che
si traduce nel “camminare a fianco” dei giovani
che vivono gran parte della loro vita con gli
occhi concentrati sullo schermo dei
loro telefoni cellulari. Più neces-
sario, come direbbe don Bo-
sco, è sapere di essere amati!
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2.6 Page 16

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SALESIANI
O. Pori Mecoi
Con gli occhi
di DIO
Incontro con un salesiano
veramente speciale.
Don Matteo
in Africa.
Ti puoi presentare?
Mi chiamo don Matteo Rupil, ho 37 anni e
sono salesiano di don Bosco dall’8 settem-
bre 2012, sacerdote dal 5 giugno 2021. Sono
contento di essere friulano per nascita, vengo
infatti dalla Carnia, una terra di montagne, dove
Italia, Austria e Slovenia si incontrano. Al contem-
po sono grato di essere diventato, ormai dal 2010,
piemontese d’adozione, ricevendo il dono di poter
iniziare proprio a Valdocco il cammino che mi ha
dato la possibilità di seguire il Signore come figlio
di don Bosco. Se Tolmezzo mi ha donato la vita,
l’amore immenso della mia famiglia e la sorpresa
di incontrare don Bosco nel cortile dell’oratorio e
della scuola, Torino mi ha regalato l’affetto e l’ac-
coglienza di confratelli e consorelle che fin dal pri-
mo giorno mi hanno fatto sentire a casa, la gioia di
poter condividere la fede e la vita camminando con
la mano sulla spalla di tanti giovani in questi anni
e la grazia di poter rispondere all’Amore fedele di
Dio con il mio piccolo sì, diventando salesiano di
don Bosco e sacerdote. E tutto questo l’ho vissuto
guardando per così dire la vita da una prospetti-
va particolare: dalla nascita infatti mi accompagna
una malattia agli occhi che nel 2000, quando avevo
14 anni, mi ha privato della vista, chiedendomi e
donandomi di vedere il mondo attraverso gli occhi
degli altri e di camminare in compagnia di tan-
ti fratelli e sorelle che quotidianamente, come il
Risorto sulla via di Emmaus, scelgono di amarmi
prendendomi per mano e donandomi la loro spalla,
facendomi toccare che l’Amore di Dio è veramente
fedele e mai ci abbandona. È grazie a questi occhi,
che sono croce e benedizione allo stesso tempo, che
ho sperimentato come davvero la luce di Dio vuo-
le illuminare proprio le nostre notti più oscure, se
abbiamo la fiducia e il coraggio di consegnarle al
Suo Amore.
Com’è nata la tua vocazione?
Se dovessi riassumere con una parola il cuore del-
la mia vocazione senza dubbio sceglierei la parola
“gratitudine”, il Magnificat di Maria. Il desiderio
di dire grazie, cioè di poter ridonare e regalare agli
altri la gioia dell’Amore che ho ricevuto e che quo-
tidianamente ricevo, è senza dubbio la voce con cui
il Signore mi ha chiamato a seguirlo come figlio di
don Bosco. Fin da quando sono entrato in orato-
rio per la prima volta, era l’estate ragazzi del 1994,
mi sono subito sentito a casa, chiamato per nome
e voluto bene semplicemente perché ero io, al di là
dei miei limiti e delle mie qualità. Ricordo come
se fosse ora che durante quell’estate ho incontrato
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GENNAIO 2024

2.7 Page 17

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animatori così incredibili che, nonostante io vedessi
già molto poco, mi hanno preso per mano e per-
messo di vivere con il loro aiuto un laboratorio di
pittura, una cosa apparentemente impossibile nella
mia situazione! Eppure l’Amore è capace di questi
miracoli: facendomi sentire in famiglia, don Bosco
mi ha rubato il cuore. Ciò che poi mi ha affascina-
to, in particolare durante l’adolescenza, è stato toc-
care con mano che il Signore, che avrebbe potuto
fare tutto anche senza di me, chiedeva e cercava
proprio il mio aiuto, la mia disponibilità a metter-
mi al servizio, per portare il Suo Amore e la Sua
gioia ai più piccoli. È stato però durante il periodo
dell’università che ho riconosciuto con chiarezza la
Sua chiamata. Mentre infatti mi si aprivano da-
vanti tante strade per il futuro, tutte possibili, in-
teressanti ed affascinanti, sentivo sempre più che
il mio cuore tornava volentieri, ed ogni volta che
poteva, lì in oratorio, tra i ragazzi, perché solo in
quel luogo trovava veramente pace, casa. Aiutato
dallo sguardo di un prezioso amico dell’anima, ho
riconosciuto che Dio mi stava chiamando a seguir-
lo come figlio di don Bosco proprio attraverso il
desiderio di poter essere per altri, per i più piccoli,
la stessa presenza accogliente e paterna che, come
un cristallo che riflette la luce di Dio, tanti salesia-
ni erano stati per me. È questo il mistero di Dio che
ogni giorno, quando celebro l’Eucarestia, continua
ad amarmi donandosi per me, scegliendo di avere
bisogno e di fidarsi delle mie mani per poter essere
davvero pane spezzato “per voi e per tutti”.
Quali incontri e quali persone
ti hanno più emozionato?
Sono tante e tutte preziose le voci con cui
Dio mi è venuto incontro e ha preso per
mano la mia vita. Mi piace ricordarne tre,
per me particolarmente significative. In
primo luogo sicuramente i miei genitori,
Claudia e Aulo, e mia sorella Carolina. At-
traverso di loro ho sperimentato la bellezza
del sapermi guardato da Dio con uno sguardo
accogliente e premuroso, uno sguardo capace di
presenza solida, di affetto caloroso, di vera cura
nell’accompagnare e di autentica libertà nel lasciar
partire. La vita di mamma, papà e Carolina è stato
il primo e più vero Vangelo in cui ho potuto leggere
che davvero il Figlio di Dio mi ha amato e ha dato la
Sua vita per me. Un secondo incontro che desidero
ricordare è quello con don Pascual Chavez, il nostro
Rettor Maggiore emerito. A lui devo il dono infinito
di avermi donato la grazia di poter intraprendere il
cammino che mi ha portato a diventare salesiano,
scoprendo che Dio non mi chiamava a diventare fi-
glio di don Bosco nonostante questi occhi, ma pro-
prio attraverso questi occhi. Don Pascual ha avuto il
coraggio e la fantasia di aiutarmi a riconoscere che il
Signore mi chiamava ad essere un salesiano “al rove-
scio”, potendo accompagnare i giovani solo a condi-
zione di aver prima dato loro fiducia, fidandomi nel
lasciarmi accogliere e accompagnare da loro, conse-
gnando loro la verità di ciò che sono, nulla escluso.
Sono infatti proprio le nostre ferite che, se consegna-
te all’Amore, diventano le feritoie attraverso le quali
il Signore ci ama e le fenditure attraverso cui questo
Amore può raggiungere i fratelli. Chi è amato ama,
scriveva don Bosco. Ed infine, penso che sia stato
determinante per il mio cammino l’incontro con al-
cuni giovani poveri, che mi hanno fatto riconoscere
che la mia vita può avere senso solo se diventa oggi
la risposta alla loro fame di pane, di amore, di Dio.
Ad agosto, sulle strade di Nairobi, ho incrociato per
un attimo una ragazza che, tenendo in braccio una
bimba, mi ha chiesto dell’acqua. In questa sua do-
«Se dovessi
riassumere
con una
parola il cuore
della mia
vocazione
senza dubbio
sceglierei
la parola
“gratitudine”,
il Magnificat
di Maria».
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SALESIANI
«Sono prete
da quasi
tre anni e
sempre più
sto scoprendo
che l‘essere
diventato
sacerdote
non è una
conquista o
un punto di
arrivo, ma
una grazia e
un punto di
partenza».
manda ho risentito il grido del crocifisso che grida
la Sua sete, l’ansia di don Bosco che, incontrando i
ragazzi in carcere, si chiedeva come poter essere per
loro un amico. È attraverso il grido di questi giovani
che Dio oggi mi dice chi sono chiamato a diventa-
re come salesiano: acqua che disseta la sete d’Amore
che arde nel cuore dei ragazzi.
Perché proprio salesiano?
Perché è stato con il volto sorridente e paterno di
don Bosco, assieme a quello paziente e premuroso
dei miei famigliari, che Dio mi ha incontrato e mi
ha amato. Se dovessi paragonare il Vangelo ad una
splendida partitura musicale direi che fin da quan-
do ero bambino ho sempre sentito dar voce a questa
melodia dall’orchestra di don Bosco, è come se il
Vangelo per me avesse sempre risuonato con la to-
nalità ed il timbro del carisma salesiano. Su questo
non ho mai avuto dubbi o ripensamenti: i doni non
vanno spiegati, ma riconosciuti, accolti e vissuti.
Mi piace molto ripensare a don Bosco, ormai an-
ziano, che guardando i primi salesiani amava dire:
“Io abbozzo, voi stenderete i colori”. Penso che in
queste parole sia custodito il mistero della mia vita
e di ogni vita salesiana, poter far venire alla luce,
facendolo brillare, un tratto del cuore, della vita e
della paternità di don Bosco che Dio affida proprio
a me, in modo speciale, per farne dono agli altri.
Qual è il tuo compito attuale?
Dal settembre 2021 vivo al Rebaudengo, una casa
salesiana nella periferia di Torino. Qui ho la grazia
di condividere quotidianamente il cammino con gli
studenti e i docenti di iusto, l’università salesiana
di Torino. È bello per me scoprire che sono proprio
i ragazzi che quotidianamente incontro in univer-
sità che giorno dopo giorno mi stanno aiutando ad
imparare ad essere prete, insegnandomi ad amare
attendendo, accogliendo, ascoltando, accompa-
gnando, lasciando andare. Quando riesco poi vo-
lentieri faccio un salto in cortile, perché è in modo
speciale in oratorio che ancor oggi possiamo sentir
battere il cuore di don Bosco. Ed infine sto stu-
diando teologia perché, se e come il Signore vorrà,
attraverso il servizio dell’insegnamento possa aiu-
tare altri giovani salesiani a diventare sacerdoti con
gli occhi e lo sguardo di don Bosco.
Essere prete è il tuo punto di partenza
per che cosa?
Sono prete da quasi tre anni e sempre più sto sco-
prendo che l’essere diventato sacerdote non è una
conquista o un punto di arrivo, ma una grazia e un
punto di partenza. Ci vorrà certamente una vita per
capire e per scoprire la bellezza e la grandezza della
vita salesiana. Spero però che, giorno dopo giorno,
il Signore mi doni due grazie particolari. La prima
è di non dubitare mai del Suo Amore, ma di ricono-
scere, passo dopo passo, che davvero Dio ci ha amati
e ci ama “fino alla fine”, come dice Giovanni, cioè
sempre e comunque, prima di tutto e a prescindere
da tutto. Questo penso sia il cuore del Vangelo, il
cardine di ogni vita cristiana e la buona e vera no-
tizia che il mondo ed in particolare i giovani atten-
dono da noi. Non vedendo, ho scoperto molto bene
che, pur con qualche difficoltà, senza vedere si può
vivere. Ciò che spegne la vita è il non saperci visti
da nessuno. Ciò che invece ci salva e ci fa risorgere
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è l’essere guardati con uno
sguardo d’Amore, come
quello che Gesù regala al
giovane ricco nel Vange-
lo di Marco. Ed è solo se
questo sguardo oggi incon-
tra ed ama concretamente
la mia vita che potrò raccon-
tarlo e testimoniarlo ai giovani
che incontro. E la seconda grazia
è quella di poter diventare, passo dopo
passo, semplicemente un buon padre, come don Bo-
sco lo è stato per i suoi ragazzi. Penso che la parola
padre sia infatti la definizione più bella per dire ciò
che un salesiano è e dovrebbe essere. Padre significa
amore che sa essere presenza fedele che resta e non
lascia soli, sacrificio che fa crescere donando giorno
dopo giorno la vita, tenerezza che sa farsi vicinanza
che accompagna e libertà che mai si impossessa delle
vite e dei cammini.
Se sei felice, qual è il costo di questa
felicità?
Sì, posso dire di essere felice. La felicità non penso
significhi aver trovato un luogo comodo o un posto
facile in cui trascorrere la vita al sicuro e in tran-
quillità. Essere felice per me significa riconoscere
che il mio cuore è in pace perché la vita salesiana
è proprio quel regalo speciale che Dio ha pensa-
to e sognato per me. E certamente questa felicità,
come tutte le cose belle, ha un costo e richiede una
lotta. La lotta di continuare a consegnarmi giorno
per giorno all’Amore di Dio, senza finzioni e sen-
za maschere, non chiudendo le mani per controllare
tutto o nascondendomi dietro un paio di occhiali
scuri, ma aprendo le mani e lasciandomi guardare
negli occhi, per imparare sempre più la gioia che na-
sce non dal prendere, ma dal ricevere. La lotta di
riconoscere che Dio non mi viene incontro in cose
grandi o in esperienze straordinarie, ma proprio nel
quotidiano, nei confratelli e nei giovani con cui oggi
mi chiede e mi dona di condividere la vita, percor-
rendo insieme un cammino
in cui la gioia più grande è
quella di vivere il “noi due
faremo tutto a metà” che
don Bosco ha consegnato a
don Rua, non preoccupan-
doci di fare tante cose, ma
occupandoci di costruire una
vera comunità accogliente, che
profumi di famiglia e parli di fra-
ternità a chi è più solo e più lontano. La
lotta per poter diventare sempre più pane spezzato
per i fratelli, come il Signore sceglie di fare ogni vol-
ta che celebriamo l’Eucarestia: un pane quotidiano,
accessibile, a disposizione, pronto semplicemente a
lasciarsi mangiare da chi ha fame di tempo, di casa,
di misericordia, in una parola fame di Dio.
Come vedi la tua vita futura?
In questi anni di cammino penso di aver toccato con
mano una verità di cui sono profondamente convin-
to. Certamente è bello sognare, avere programmi e
progetti per il futuro. Ma molto più bello è scoprire
che la nostra vita, il nostro presente ed il nostro fu-
turo, sono custoditi dai sogni che Dio ha per noi.
Sognare è entusiasmante, scoprirci sognati, scopri-
re che Dio, come chi ci ama davvero, ci sogna, è
qualcosa di infinitamente più bello e più grande. I
nostri sogni, per quanto grandi possano essere, non
potranno mai avere l’ampiezza e la bellezza dei so-
gni di Dio, di un Dio che è fedele non tanto alle no-
stre domande, quanto alle sue promesse. Pensando
al mio futuro spero semplicemente di saper sempre
dire di sì, senza se e senza ma, ai sogni di Dio sulla
mia vita, fidandomi di Lui e continuando a cammi-
nare sotto il Suo sguardo con la mano sulla spalla
di don Bosco, dei confratelli e dei giovani che mi
donerà di incontrare: in questi anni ho visto con i
miei occhi e ho toccato con le mie mani che nulla è
impossibile a Dio, perché davvero Dio è onnipoten-
te nell’Amore, a noi è chiesto solo di fidarci di Lui,
come un bimbo si affida alla mamma.
«A don
Pascual
Chavez
(ultimo a
destra), Rettor
Maggiore
emerito, devo
il dono infinito
di avermi
donato la
grazia di poter
intraprendere
il cammino
che mi ha
portato a
diventare
salesiano».
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FMA
Emilia Di Massimo
Il grande cuore di
SUOR GIUSEPPINA
Il premio Nobel dei missionari è stato assegnato
a suor Giuseppina Carnovali, salesiana,
apostolo dell’Amazzonia.
«Suor
Giuseppina
è una
religiosa dalla
spiritualità
semplice e
profonda, di
fede ardente
e fiduciosa e
con grande
devozione alla
Madonna».
Ha sempre avuto
un’attenzione par-
ticolare per i più
bisognosi, acco-
gliendoli con gentilezza, con
il sorriso sulle labbra, la voce
delicata e ferma, lo sguar-
do attento e perspicace ma
materno, sempre pronta ad
aiutare. Con la sua passione
missionaria, ha sviluppato
molteplici attività: dal non far mancare i pacchi ali-
mentari per le famiglie indigene più povere (lavoro
complesso in zone in cui procurarsi riso, fagioli,
latte in polvere e zucchero è difficile e costoso),
allo sviluppo di laboratori artigianali, al guidare i
giovani al mondo del lavoro, per esempio operando
nella radiofonia e installando pannelli solari.
Sono questi i tratti che caratterizzano suor Giu-
seppina Carnovali, Figlia di Maria Ausiliatrice
dell’Ispettoria brasiliana Nostra Signora dell’A-
mazzonia, la quale da molti anni opera nell’Alto
Rio Negro, una zona indigena in cui le Salesiane
celebrano quest’anno i 100 anni di presenza missio-
naria. In questa realtà così povera di risorse umane
e materiali suor Giuseppina svolge da molti anni
la sua missione a favore dei più svantaggiati, come
educatrice impegnata a promuovere la vita, anche
se attualmente, a causa della salute cagionevole,
vive a Manaus nella Comunità Santa Teresina. Il
suo cuore missionario continua tuttavia ad ardere e
a cercare modi creativi per essere al servizio di Dio
a favore dei più poveri.
Suor Rosy Lapo, una missionaria che ha vissuto
con suor Giuseppina in diverse Comunità, la de-
scrive così: “è una persona molto delicata, con un
cuore sensibile, una missionaria dedita a quello che
fa, molto organizzata, precisa, apostolica, attenta a
tutti, agli indigeni e soprattutto ai bambini, che sa
accontentare e a cui offre sempre qualcosa, anche
solo un bicchiere d’acqua per vederli felici. È una
religiosa dalla spiritualità semplice e profonda, di
fede ardente e fiduciosa e con grande devozione
alla Madonna”.
Ma chi è suor Giuseppina? Nasce il 10 marzo 1941
a Rescalda, Milano. A 20 anni, piena di vigore e di
entusiasmo, entra nell’Istituto delle Figlie di Maria
Ausiliatrice e percorre le tappe formative con un ar-
dente desiderio di essere missionaria oltre confine.
Il 5 agosto 1963, a Contra di Missaglia (Milano),
emette la Prima Professione religiosa, realizzando
il sogno di diventare suora salesiana: consacrata a
Dio per i giovani. Da giovane suora si qualifica in
Educazione Religiosa e come educatrice lavora nel-
le scuole elementari.
Ancora suora di voti temporanei, parte per il Pro-
getto Africa, con destinazione Mozambico, e lì,
nella città di Naamacha, emette i Voti Perpetui il
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5 agosto 1971, all’età di 30 anni. Dopo alcuni anni
di servizio missionario tra il tanto amato popolo
mozambicano, torna a Roma per studiare Teologia
Pastorale Missionaria all’Università Urbaniana, ri-
cevendo un nuovo incarico dalla Madre Generale.
Nel luglio 1977, parte per Belém do Pará, nel nord
del Brasile, il suo nuovo campo di missione. Nel
1979, suor Giuseppina viene assegnata alle missioni
di Rio Negro, in Amazonas, dove condivide la vita
con le popolazioni indigene nelle varie comunità,
a servizio come Direttrice, Economa, assistente e
insegnante, sempre con entusiasmo, dedizione e
responsabilità.
Quando i soldi fanno la felicità
Il Premio “Cuore Amico” è stato istituito nel 1991
dal sacerdote bresciano don Mario Pasini, fonda-
tore della “Associazione Cuore Amico Fraterni-
tà Onlus”, per richiamare l’attenzione sull’attività
missionaria, silenziosa ma grandiosa opera della
Chiesa per la promozione dei poveri del mondo.
Ogni anno vengono scelte figure esemplari che, nel
nome del Vangelo, abbiano saputo tutelare e pro-
muovere la dignità della persona, il rispetto dei di-
ritti umani di libertà e di giustizia, il superamento
del razzismo. Dunque missionari che si sono donati
interamente alla costruzione della “civiltà dell’amo-
re”, come affermava papa Paolo VI.
La 33a edizione “Premio Cuore Amico”, quindi il
“Premio Nobel” dei missionari – è stato consegnato
come da tradizione a Brescia (Lombardia) alla vigi-
lia della Giornata Missionaria Mondiale, il 21 ot-
tobre 2023, “in riconoscimento della preziosa opera
svolta, la quale rende testimonianza dell’impegno
della Chiesa per la promozione dei più poveri”.
In tale cornice, suor Giuseppina riceve il premio
“Carlo Marchini”, indetto dall’Associazione “Carlo
Marchini onlus per le opere salesiane a favore dei
bambini poveri del Brasile”. I diecimila euro del
premio diventeranno un aiuto concreto per prose-
guire un’opera che l’ha vista impegnata su fronti
molteplici: dal sostegno alimentare alle famiglie
indigene più povere allo sviluppo di laboratori ar-
tigianali all’avvio dei giovani al lavoro. Una signi-
ficativa testimonianza di come si possa utilizzare il
denaro per sviluppare la solidarietà, ovvero l’unico
modo per essere autenticamente felici!
Una consorella:
«È una persona
molto delicata,
con un cuore
sensibile, una
missionaria
dedita a quello
che fa, molto
organizzata,
precisa,
apostolica,
attenta a tutti,
agli indigeni e
soprattutto ai
bambini, che sa
accontentare e a
cui offre sempre
qualcosa, anche
solo un bicchiere
d’acqua per
vederli felici».
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LE CASE DI DON BOSCO
Giuseppe Gianolio
LA CROCETTA
quasi un’epopea
Ha preso il nome dal quartiere della città dove si trova
e in cento anni non ha solo preparato migliaia di sacerdoti
salesiani di nazionalità diverse a livello locale, ma ha
sviluppato, attraverso l’Oratorio, la Chiesa esterna e
il Convitto universitario, una provvidenziale e ricca opera
pastorale nel mondo dei ragazzi e dei giovani.
All’inizio
I cento anni della Crocetta hanno la loro radice a Foglizzo
Canavese. Infatti, essendo maturata, durante il Capitolo Ge-
nerale dei Salesiani del 1901, l’idea di raccogliere i chierici
salesiani in case apposite per la loro formazione sacerdotale,
sorgono contemporaneamente, nel 1904, gli studentati teo-
logici di Foglizzo Canavese, di San Gregorio di Catania, di
Grand Bigard (Belgio), di Manga (Uruguay) e di Campello
(Spagna).
L’austerità
esterna
racchiude
un cuore
salesiano.
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Lo Studentato di Foglizzo, che accoglieva Salesia-
ni in formazione da Italia, Francia, Germania, In-
ghilterra, Slovenia e, successivamente, da Spagna,
Brasile, Polonia, Ungheria, nel 1912 ottiene dalla
Santa Sede il privilegio di conferire il Grado di
Baccalaureato e successivamente, nel 1914, quello
di Licenza.
Dopo il primo conflitto mondiale (1915-18), si inizia
a pensare a una sede più capiente, a Torino. Il Beato
Filippo Rinaldi, Rettor Maggiore, realizzando un
progetto già sognato dal suo predecessore don Al-
bera, trasferisce lo Studentato a Torino nel quartiere
“Crocetta” in un grande stabile appositamente ac-
quistato. Don Rinaldi, parlando agli studenti di Fo-
glizzo, dirà: «A Torino vi ho preparato una reggia».
Era il 13 settembre del 1923 quando giunsero alla
Crocetta gli studenti di Foglizzo. Alcuni giorni
dopo (15 settembre) si tennero gli Esercizi spiritua-
li, al termine dei quali il cardinal Cagliero ordinava
undici nuovi sacerdoti.
In un caseggiato a parte: ma compreso nell’Istituto,
alloggiò fin dall’inizio una comunità di Figlie di
Maria Ausiliatrice, coadiuvate da alcune donne e
ragazze per i servizi di cucina, lavanderia, guarda-
roba, laboratorio.
Il 6 maggio 1924, don Filippo Rinaldi venne a be-
nedire il bel busto in marmo di don Bosco, attual-
mente collocato al centro dell’ingresso della casa, e
la nuova cappella interna della Comunità, ancora
oggi in funzione.
Pochi giorni dopo venne inaugurata la chiesa pub-
blica esterna, dove venivano celebrate per il pubbli-
co due messe feriali e tre festive.
Il 7-8 dicembre 1924, ebbe inizio un piccolo ora-
torio quotidiano con teatro-cinema, due sale per
associazioni, porticato all’aperto come sala giochi,
due cortili in terra battuta a livello di via Torricelli,
giostra, altalena e “scivolo” per i più piccoli. Subito
iniziò la catechesi in vista della prima comunione
e della cresima: una gigantesca fotografia del 1924
testimonia la presenza di ben 324 oratoriani. Nac-
quero i primi gruppi associativi, il Gruppo Scout
TO 24, l’Azione Cattolica, il Piccolo Clero per le
celebrazioni e il Gruppo delle Dame Patronesse.
Centro accademico
Nel 1931 il Rettor Maggiore don Pietro Ricaldone
si attivò per promuovere l’adeguamento dei pro-
grammi di studio teologici alle nuove indicazioni
Pontificie, mirando nello stesso tempo a ottenere
l’erezione canonica di una Pontificia Facoltà Teo-
logica.
Don Ricaldone ne parlò, in udienza, con Pio XI,
il quale rispose: «Voi mi chiedete una cosa difficile
assai, che abbiamo già negata a molti» ma poi, at-
teggiando il suo volto a bontà veramente paterna,
aggiunse subito: «Ebbene, in vista delle motivazio-
ni addotte e, in modo particolare, dello sviluppo
provvidenziale della Società Salesiana, non voglio
negarvi ciò che chiedete».
La seconda guerra “mondiale”
Scoppiato il secondo conflitto mondiale, nel 1940
iniziano i primi bombardamenti su Torino, la prin-
cipale città industriale d’Italia. Le incursioni aeree
I primi chierici
e (sotto) dopo il
bombardamento.
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LE CASE DI DON BOSCO
La chiesa
pubblica.
degli Alleati si intensificheranno negli anni se-
guenti. A causa dei bombardamenti si stima che, in
città, l’8% delle abitazioni sia andato distrutto e il
30% gravemente danneggiato. I morti furono oltre
2000 e i feriti 2500.
Il 18 novembre 1942, durante un violento attacco
aereo su Torino, venne seriamente danneggiata l’ala
dell’istituto prospiciente via Cassini. In tale occa-
sione si offrì ospitalità nel rifugio sotterraneo della
Comunità alle famiglie vicine, cui era stata distrut-
ta la casa.
Maturò allora nei Superiori Maggiori la decisione
di trasferire la Comunità dei docenti e degli stu-
denti nella casa salesiana di Bagnolo Piemonte,
lontana dalla città, verso la quale si effettuò, nei
giorni seguenti, il trasloco. A custodire l’opera della
Crocetta rimase il salesiano sloveno don Giovanni
Gorkic. Il trasferimento della comunità a Bagnolo
fu quanto mai opportuno: infatti, il 30 novembre
un ulteriore attacco su Torino danneggiò ancora
più gravemente l’Istituto. In tale frangente, anche
la Facoltà di Filosofia e l’Istituto di Pedagogia, con
sede al Rebaudengo, si trasferirono nella casa di
Montalenghe. In tutte queste operazioni il Rettor
Maggiore, don Pietro Ricaldone, fu assiduamente
presente con il suo incoraggiamento e il suo aiuto.
Un’altra incursione aerea danneggiò ulteriormente
la casa il 4 giugno del 1944.
Il dopoguerra
Gli anni seguenti furono caratterizzati da una
progressiva e maggior regolarità della vita comu-
nitaria e degli studi, dalla partecipazione alla vita
della Chiesa di Torino e anche dall’attenzione alla
situazione politico-sociale italiana. Da ricordare
le delicate elezioni politiche del 1948, che videro
l’impegno di professori e studenti per la vittoria
del partito della Democrazia Cristiana sull’allora
temuta coalizione social-comunista.
Nella vita dell’Oratorio, festivo e quotidiano, anima-
to da don Pietro Rota fin da studente (anno 1950),
e che ne divenne “Incaricato” dal 1955 al 1983, ri-
manendo peraltro presente fino al 1999 (anno della
sua morte), si andava facendo sempre più frequente
la presenza animatrice di alcuni docenti e studen-
ti. È un periodo maturo di un percorso fiorito ne-
gli anni. Consistente, per numero e solida struttura,
era il glorioso Gruppo Scout, sorto fin dagli inizi
nell’Oratorio. All’Oratorio il Gruppo Scout prese il
nome di TO 24 (dalla data del suo inizio, appunto
nel 1924). Il Gruppo fu sempre accompagnato da
capi laici bravi e intraprendenti e da Assistenti eccle-
siastici che ne garantivano la dimensione spirituale.
Ci si avvicinava, intanto, alla realizzazione del trasfe-
rimento a Roma della Facoltà di Teologia, secondo
un’intenzione già espressa dal Rettor Maggiore don
Ziggiotti nel 1954 e realizzata, sotto il Rettorato
di don Luigi Ricceri, al termine dell’anno scolasti-
co 1964-65, con il passaggio di docenti e studenti
nell’ormai pronta casa romana.
Ma la Crocetta non scomparve!
I Superiori della Congregazione optarono per una
continuità dell’opera decidendo il trasferimento
a Torino-Crocetta dello Studentato teologico di
Bollengo (Ivrea) ormai inadeguato e periferico.
Oggi
Si apre, a questo punto, un altro significativo pe-
riodo di storia per la Crocetta, quello che giunge
fino a noi, anch’esso ricco di avvenimenti: la Chie-
sa universale e quella particolare in cui viviamo, la
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Comunità dei confratelli “stabili” e degli studenti
di teologia con l’attività della Facoltà, il Convitto
universitario, la Chiesa esterna di Maria Ausiliatri-
ce e l’Oratorio.
La Comunità, come nella propria tradizione, cu-
rerà sempre un rapporto cordiale con i Pastori del-
la Diocesi e vivrà, con partecipazione, i momenti
ecclesiali più significativi attraverso la presenza a
diverse celebrazioni.
All’eccezionalmente lungo e saggio mandato
di don Luigi Testa, succederà quello del nostro
attuale Direttore don Marek Chrzan, già Direttore
e Ispettore in Polonia: divenne Superiore della Re-
gione Europa-Nord e, in seguito, Direttore della
Comunità Gesù Maestro dell’ups.
La Comunità, così accompagnata nel suo cammino,
sperimenterà una progressiva diminuzione degli
studenti di teologia salesiani, la quale si inserisce
nella tendenza più generalizzata che, già da tempo,
tocca tutta la Chiesa in Europa, soprattutto nel suo
versante occidentale.
Un rapporto cordiale si è andato progressivamente
creando anche con la Facoltà teologica della
Diocesi, in accordo con la quale viene organizzata
annualmente la cosiddetta Giornata Interfacoltà
che si tiene, alternativamente, presso di noi e nella
sede diocesana di via XX Settembre, con relatori
di qualità, temi scelti per tali giornate che saranno,
nel periodo di cui si parla, numerosi e interessanti.
Anche il Convitto Universitario ha continuato il suo
prezioso servizio dal mese di ottobre fino a luglio,
permettendo di offrire ospitalità a un numero mag-
giore di studenti: arriverà a sfiorare le 100 unità, in
proporzione alla diminuzione dei chierici salesiani.
La Chiesa esterna di via Piazzi ha continuato il suo
servizio di celebrazioni e così l’Oratorio. Spesso si
scrive che l’Oratorio è come un ponte tra la Chiesa
e la strada. Così è sempre stato anche per l’Oratorio
salesiano della Crocetta e oggi, pur continuando a
curare alcune delle attività tradizionali, è in atto un
cambiamento che si va imponendo per adeguarsi al
momento storico in cui viviamo.
MEMORIA GRATA
Provo a scrivere che cosa è stato per me l’Oratorio. Mi ricordo che la
sensazione che ho avuto per tanti anni varcando il piccolo cancelletto
di via Torricelli era di entrare “a casa”.
Mi sentivo bene, protetta e felice, conoscevo tutti e conoscevo ogni
piccolo angolo di quel luogo, dalle sedi scout, alla palestra, ai bagni,
alla cappella detta cripta, alla chiesa esterna, a quella interna e tut-
te le porte per passare da un posto all’altro. I miei genitori, un po’
all’antica, mi facevano mille domande su che cosa facevo e chi fre-
quentavo, ma quando dicevo vado dai Salesiani, vado all’Oratorio...
mi lasciavano andare e derogavano anche sull’orario di rientro serale
(mai dopo mezzanotte però, come ogni cenerentola di quegli anni).
C’era tanta vita e allegria. Quando è stata inaugurata la chiesa l’ho
trovata magnifica.
Accogliente e moderna con le panche disposte in modo che ci si senti-
va veramente comunità, ci si poteva guardare e sorridere a distanza.
Le Messe, sia quella “degli scout” sia quella di “don Borgetti”, erano
piene di giovani entusiasti che cantavano a squarciagola. Ho ricordi
molto belli e la certezza che tutto questo sia servito per avvicinarmi
a Dio. Quanto ho pregato davanti alla statua della Madonna che ci
sporge Gesù e che è spaccata dal dolore!
Quando anni dopo, da mamma, tornavo a pregare in quella chiesa,
era a lei che affidavo e affido i miei figli e le fatiche del crescerli. È
all’Oratorio, negli scout, che ho conosciuto mio marito.
È nel medesimo Oratorio che i nostri 4 figli hanno fatto gli scout, dai
lupetti fino a fare loro stessi i capi.
Mi auguro di cuore che anche
i miei nipoti possano vive-
re una realtà come que-
sta che lascia traccia nel
cuore per sempre.
Come sempre all’orizzonte si addensano nuvole e
progetti nuovi. Ma la Crocetta ci è abituata e il don
Bosco di marmo dell’atrio continua a sorridere sor-
nione. Chi lo sa?
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3.8 Page 28

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PROPOSTE
Dario Basile
Don Bosco e le
COLLINE TORINESI
Nelle Memorie
dell’Oratorio la passione
per l’escursionismo e
le camminate in collina
con i ragazzi di strada
della Torino dell’800.
«Siccome poi facevamo frequenti cam-
minate in luoghi anche lontani, così
io ne descriverò una fatta a Superga,
da cui si conoscerà come si facevano le
altre». Così racconta don Bosco nelle sue Memorie
dell’Oratorio svelando un aspetto poco conosciuto
della sua vita: la passione per l’escursionismo e le
lunghe camminate in collina con i ragazzi di strada
della Torino ottocentesca.
Il trekking il «Cammino di don Bosco», organizza-
to in collaborazione con Città Metropolitana e Tu-
rismo Torino, ripercorre i sentieri dove il fondatore
dei Salesiani portava i suoi giovani a camminare e
tocca i luoghi legati alla vita del santo.
Oggi il «Cammino di don Bosco»
Un cammino di 165 km, dal centro di Torino al fiu-
me Po, fino alle pendici delle colline del torinese,
del chierese e dell’astigiano. Le gioiose camminate
autunnali verso le colline e il Monferrato facevano
parte del modello educativo di don Bosco. Erano
escursioni rumorose che certamente non passavano
inosservate. «Raccolti i giovani nel prato – scrive
Giovanni Bosco – e dato loro tempo di giuocare
alquanto alle bocce, alle piastrelle, alle stampelle,
si suonava un tamburo, quindi una tromba che
segnava la radunanza e la partenza». I colori autun-
nali e le vigne, dove ancora si stava raccogliendo
l’uva, erano la scenografia di queste scampagnate
ottobrine. Nulla era lasciato al caso, le gite e i per-
corsi venivano studiati sin nel minimo dettaglio.
«Chi portava canestri di pane, chi cacio o salame o
frutta od altre cose necessarie per quella giornata.
Si osservava silenzio sin fuori delle abitazioni della
città, di poi cominciavano gli schiamazzi, canti e
grida, ma sempre in fila e ordinati».
Le prime camminate risalgono al biennio 1844-
1846: all’epoca l’Oratorio non aveva ancora una
sede e dei luoghi dove svolgere attività e così il gio-
vane prete organizza con i ragazzi numerose visi-
te ai luoghi più significativi della città. A piedi si
recano alla Consolata, alla Madonna di Campagna,
a Stupinigi, al Monte dei Cappuccini, a Sassi e a
Superga. A partire dal 1847 fino al 1864 l’attività
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si sviluppa e le «passeggiate di ottobre»
divengono un appuntamento fisso. Sono
lunghe escursioni che durano sino a due
settimane e, in una, don Bosco si spinge-
rà fino alla Liguria.
All’inizio a partecipare erano i ragazzi
più bisognosi poi, nel tempo, quelle gite
divengono un premio ambito per colo-
ro che avevano il migliore rendimento
scolastico. Le escursioni venivano orga-
nizzate ad ottobre perché la scuola ini-
ziava a novembre e avevano uno scopo
didattico-pedagogico. Ne era convinto
don Bosco che scrive: «Le passeggiate
sono mezzi efficacissimi per ottenere la
disciplina, giovare alla moralità ed alla
sanità», il cammino era per i ragazzi un
momento di crescita, un’esperienza di
vita comunitaria in ambienti inconta-
minati. Eppure, più che a degli intrepidi
escursionisti, don Bosco e i suoi giovani
assomigliavano ai personaggi di una
compagnia di giro che, spostandosi tra
una località e l’altra, mettevano in scena
i loro spettacoli: un gruppo portava con
sé le quinte, gli abiti di scena, gli stru-
menti musicali e tutto il necessario per
le esibizioni. I giovani, guidati dal san-
to, entravano in paese preceduti da una
banda musicale e venivano accolti con
grande gioia dagli abitanti delle borgate
che certamente non si aspettavano una
simile apparizione. I parroci e la gente
del luogo donavano al gruppo ospitalità
offrendo loro del cibo e un tetto per pas-
sare la notte. In cambio la compagnia di
don Bosco animava le giornate autunna-
li dei borghi con riti religiosi, spettacoli
tea­trali, suoni e canti. Per il fondatore dei
Salesiani quello era anche un modo di far
conoscere le sue attività e di incentivare
le persone incontrate lungo il cammino
LE COLLINE DEL PO
Oggi il «Cammino di don Bosco» è un trekking che tocca ventuno comuni dal
Santuario di Maria Ausiliatrice fino al Colle Don Bosco (da Porta Palazzo ai boschi,
dai vigneti ai centri storici dei borghi collinari) e prevede tre diversi percorsi. Un
viaggio a piedi a ritmo lento per ripercorrere non solo le vicende del maestro
della gioventù ma anche per apprezzare i paesaggi, le bellezze architettoniche,
storiche e culturali, nonché i sapori dei prodotti tipici del territorio.
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3.10 Page 30

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PROPOSTE
a mandare i loro figli nella sua scuola di Valdocco.
Ma non solo, grazie a quelle camminate il santo so-
ciale tesseva nuove importanti relazioni, conosceva
autorità religiose, politiche e civili. Non mancano
gli episodi curiosi e divertenti. Un giorno un ragaz-
zo si perde per le colline e per ritrovarlo percorrono
le vigne suonando la grancassa come richiamo. In
un’altra occasione il priore del Santuario di Crea
non era stato avvertito dell’arrivo dei ragazzi e così
i frati, terrorizzati dalla baraonda, si asserragliano
nella struttura. (pubblicato il 16 ottobre del 2023 sul
Corriere Torino)
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4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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LA PASSEGGIATA MIRACOLOSA
Don Bosco amava la natura, amava correre e pregare sotto il grande
cielo di Dio, e portava i suoi ragazzi a camminare con lui, liberi come
gli uccelli dell’aria e i fiori dei campi. Le chiamava passeggiate autun-
nali. In una di queste gite, nel 1864, arrivò a Mornese. Era lontano, i
ragazzi avevano fatto una parte del tragitto in treno, ma arrivarono
a notte. La gente venne incontro commossa, tanto più che don Bo-
sco cavalcava un cavallo bianco che gli aveva prestato il parroco. La
banda dei ragazzi suonava, molti s’inginocchiavano al passaggio di
don Bosco chiedendo la benedizione. I giovani e la gente entrarono
in chiesa, una breve celebrazione, quindi tutti a cena.
A cucinare e servire i giovani, in prima fila c’era Maria Mazzarello, 27
anni. Era l’anima di un gruppetto di sette ragazze che si riunivano per
pregare insieme e lavorare per i bambini e per i poveri.
Al termine, don Bosco disse poche parole: «Siamo tutti stanchi, e i
miei ragazzi hanno voglia di fare una bella dormita. Domani però ci
parleremo più a lungo».
A Mornese, don Bosco si fermò cinque giorni. Maria ogni sera riusciva
ad ascoltare la «buona notte» che dava ai suoi giovani. Scavalcava
le panchette per arrivare più vicino a quell’uomo. Qualcuno la rim-
proverava di questo come di un gesto sconveniente: «Cosa vai a fare
in mezzo a quegli uomini e a quei giovani?». E lei rispondeva: «Don
Bosco è un santo, io lo sento».
Era molto di più di una semplice sensazione. A quante donne cambie-
rà la vita? Basta un movimento, un semplice movimento di quelli che
compiono i bambini quando si slanciano in avanti con tutte le loro for-
ze, senza timore di cadere o di morire, dimentichi del peso del mondo.
Giovanni e Maria Domenica amavano dello stesso amore, erano fatti
per intendersi, nutriti dalle stesse colline. Due contadini dell’assoluto.
Due nomadi sulle proprietà invisibili di Dio.
Separati come i bambini un tempo nelle piccole scuole. Lei con le
femmine, lui con i maschi. Separati nelle apparenze e nei luoghi.
Riuniti nel colloquio incessante delle loro anime, nell’estasi d’aver
trovato l’interlocutore privilegiato, colui e colei che capisce ogni cosa,
anche i silenzi.
All’ispirazione venuta dall’alto, don Bosco unì la sua formidabile
genialità organizzativa. Non ci fu bisogno di molte parole. Nato da
un’intesa spirituale più unica che rara, l’Istituto delle Figlie di Maria
Ausiliatrice, oggi diffuso in tutto il mondo, fiorì con sbalorditiva ra-
pidità.
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4.2 Page 32

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MUSICA
Maurizio Palazzo
Cantare la STRENNA
Il Maestro di Cappella della Basilica di Maria
Ausiliatrice presenta il canto della Strenna 2024
del Rettor Maggiore.
Don Maurizio
Palazzo,
maestro
concertista,
e il coro
della Basilica
di Maria
Ausiliatrice.
A nche quest’anno gra-
zie al Rettor Maggio-
re, abbiamo la possi-
bilità di meditare un
messaggio lungo il corso dell’an-
no, che stimoli l’approfondimen-
to del nostro carisma sulle orme
di don Bosco. Il 2024 sarà un anno significativo,
duecento anni dopo il 1824, anno del sogno pro-
fetico avuto da Giovannino. “Un sogno che fa so-
gnare” è infatti il titolo della strenna scritta da don
Angel, ad indicare il valore originario, fondativo,
che quel sogno rappresenta per noi, Famiglia Sale-
siana. Don Maurizio Palazzo, maestro di cappella
della Basilica di Maria Ausiliatrice a Valdocco, ci
propone un brano che attraverso la musica può sot-
tolineare la potenza evocativa di questo messaggio.
Un andamento melodico, ed un testo che richiama
strettamente le parole scelte da don Angel: un “so-
gno” che ci riporti ai primi passi di don Bosco, ma
che ci apra al futuro, al coraggio di rinnovare, co-
struire, un sogno ad occhi aperti ed a passo spedito,
lieti nella speranza che Lui è sempre con noi.
Si ringraziano i collaboratori del progetto: il pro-
duttore, Paolo Guercio, la Corale della Basilica, il
coro giovanile Sal.es, i solisti Francesca Incardona,
Francesca Rosa, Claudio Poggi.
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4.3 Page 33

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IL SOGNO CHE FA SOGNARE
(masch.) Un cortile attorno a me; tanti giovani in quel prato; ed una voce tutti li chiamò. Un manto illuminò le parole
di quel Volto; e quei giovani tutti li radunò attorno a me, e vidi il cielo.
Il Sogno vivrà, farà sognare ancora, noi lo vedremo ancora! Rendici umili, robusti e forti, luci nell’aurora;
Madre, guidaci.
(femm.) Una maestra ti darò, la sua luce come stella. “Nulla sarà impossibile con lei”. Ecco il campo dove andrai;
è l’Amore che trasforma. “Tutto a suo tempo tu comprenderai, se crederai”; è questo il cielo.
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4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
I VERBI DELL’EDUCAZIONE 2
Fare FAMIGLIA
La famiglia è l’anticamera
di tutto; l’anticamera della
riuscita personale, del successo
scolastico, dei rapporti sociali.
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Il primo regalo che possiamo fare a un figlio è
il dono della famiglia.
Si noti: diciamo “famiglia”, non “casa”. Infatti,
altro è “famiglia”, altro è “casa”. È noto lo spot:
“Dove c’è Barilla c’è casa”. Esatto! Barilla può fare
casa, ma non è detto che faccia famiglia. A fare casa
sono le cose: le pareti, i termosifoni, i mobili, la la-
vatrice, il tritatutto, le tendine, i letti, i tappeti...
La famiglia, invece, è un’atmosfera, un clima, un nido
fatto di persone che si vogliono bene e si aiutano.
Famiglia è essere accolto quando ritorni a casa,
Famiglia è qualcuno che si prende cura di te quan-
do ti ammali, quando perdi la testa e sbandi,
Famiglia è una sorpresa: un pranzetto speciale per
il compleanno, un ricordo portato dalla gita...
Famiglia è mangiare ‘insieme’ e non solo ‘accanto’
gli uni agli altri,
Famiglia è il luogo ove si può ridere quando si ha
voglia,
Famiglia è il luogo ove si è accolti per quello che si
‘è’, e non per quello che si ‘sa’ come a scuola, o per
quello che si ‘fa’, come al lavoro. Questo è la famiglia!
Certo in essa non tutto è perfetto, non tutto è
sempre buono. La scrittrice Natalia Ginzburg dice
che “la famiglia sarà piena di germi e di batteri però
serve alla persona per crescere”.
La famiglia è l’anticamera di tutto; l’anticamera
della riuscita personale, del successo scolastico, dei
rapporti sociali.
È nella famiglia che si mettono le basi profonde del
nostro io psichico che porteremo sempre con noi.
La famiglia ci firma!
Fare famiglia dovrebbe essere sempre il primo pro-
posito all’inizio di ogni giorno.
La malattia più insidiosa
Vi è un mucchio di teorie sul perché le famiglie
oggi non funzionino più. Dicono che la colpa sia
dell’impostazione della nostra società agitata e tesa;
che sia della struttura degli alloggi così ristretti da
asfissiarti; che sia del lavoro che costringe a staccarti
da casa e restare lontano per ore ed ore... Nessuno
vuol negare che queste siano ragioni da prendersi
nella massima considerazione. Forse, però, se guar-
diamo a fondo, la causa più vera delle difficoltà in cui
si dibatte la famiglia è un’altra: è una crisi di cuori.
Che importa avere case superaccessoriate con tanto
di elettrodomestici, di televisione, di apriscatole, di
tritatutto..., se poi per un nulla si urla, si fa il bron-
cio, non si perdona...?
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Le famiglie sono ammalate di ‘sclerocardia’: la
malattia della durezza di cuore. Ognuno ruota su
se stesso, chiuso in se stesso. Il singolare prevale
sul plurale: l’io schiaccia il noi. Ebbene, quando
il ‘noi’ prevalesse sull’‘io’, sarebbe una splendida
rivoluzione casalinga. Quando il marito si mette
a vivere al plurale, allora, ad esempio, non allaga
più il bagno ogni volta che fa la doccia, perché
sa che alla moglie questo proprio non piace; non
dissemina più gli indumenti, quando si spoglia
prima di andare a letto; non si disinteressa più
delle faccende domestiche; pensa ai figli, anche
prima che il campionato di calcio sia finito; elimi-
na l’urlo che dà fastidio a tutti... Anche la moglie,
dal momento in cui si mette a vivere al plurale,
non accoglie più il marito al ritorno dal lavoro
con un fiume di parole, perché sa che questo lo
infastidisce non poco; non passa più lunghe ore
in chiacchiere al telefono; non impiega più
un’ora prima d’essere pronta per uscire;
non gli impone la dieta che piace a lei;
spegne la luce a letto, anche se manca-
no poche pagine alla fine del giallo...
E i figli?
Anche i figli saranno rivoluzio-
nati quando capiranno il valore
del vivere al plurale.
Allora scopriranno che esistono
modi gentili di parlare: “Grazie”.
“Per favore”. “Perdonami”... Al-
lora non considereranno più la
madre come una serva e il
padre come un bancomat...
E così l’aria di casa cambia.
La famiglia ritorna umana. In
essa ora si trovano persone che
non vivono più solo ‘accanto’,
ma anche ‘insieme’; persone
capaci di ascoltarsi, di
amarsi per quello che
ognuna è, e non per quello
che serve o fa.
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IERI E OGGI
Quando mio nonno paterno (classe 1885) tornava a casa da scuola,
rientrava in una piccola tribù: genitori, fratelli e sorelle, ma anche zie,
cugini, amici... Mio nonno e la maggioranza dei suoi coetanei sono
dunque cresciuti attraverso l’aiuto che si offre e si ottiene tra fratelli,
parenti e amici: peer education, la chiamano gli anglosassoni. Non
erano tanto i genitori (spesso stremati dalla fatica del quotidiano)
a educarli, ma una nuvola di persone ognuna delle quali prendeva
in carico l’altro, specie se più piccolo e indifeso. Poi c’erano i cortili,
i campetti, i prati... La legnaia di Boka in cui si rifugiavano i ragazzi
della via Pal non c’è più: c’è Facebook.
Mia figlia, come la gran parte di chi è adolescente oggi, quando
torna da scuola difficilmente trova qualcuno. Nella sua generazione,
le famiglie (quando non è intervenuta una separazione) sono
mononucleari, di rado ci sono fratelli, entrambi i genitori lavorano e i
luoghi di crescita sono desertificati, come se in un giardino avessimo
usato Napalm invece che concime.
Se – come avviene nel Nordest – più del novanta per cento
delle donne lavora anche fuori casa, ciò significa che alle
sette del mattino i tre-quattro componenti la famiglia
stanno insieme per un quarto d’ora davanti a moka, latte
e biscotti.
Poi, la diaspora: a casa resta il gatto, o il cane, unico essere
vivente che nel pomeriggio accoglie i più giovani, i
primi a rientrare in base agli orari autoreferenziati
delle nostre scuole. Altrimenti, pronti a emerge-
re su chiamata del telecomando, ci sono esseri
umani virtuali dentro la scatola-televisore o
sulla superficie piatta del Pc. La famiglia inizia a
ricomporsi verso sera, con il rientro – differen-
ziato – dei genitori. Nel tempo tra la moka e la
cena, un ragazzo o una ragazza hanno qualche
ora di scuola e decine di telefonate o Sms da
parte di papà o mamma: «Cosa fai? Con chi
sei? Hai mangiato? Stai studiando? Chi ha te-
lefonato? Hai portato fuori il cane?».
(Paolo Crepet)
In tal modo la famiglia
cessa d’essere una fab-
brica di nevrosi, come lo
è tutte le volte che è luogo
di ripicca, di predominio, di
gelosia, di superbia, di indi-
vidualismo.
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LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
L’uomo nello
SPECCHIO
«L’uomo nello specchio io non
so chi sia, però ha la faccia mia,
ha la faccia mia».
Non si può sfuggire allo sguardo
irriverente e corrosivo dell’“uomo
nello specchio” che ci chiama
quotidianamente a fare i conti
con noi stessi.
In una società narcisista e ossessionata dal mito
dell’apparenza come quella in cui viviamo, il
gesto abituale e quotidiano del guardarsi allo
specchio diventa a volte problematico, metafo-
ra dell’aspirazione ad un modello irraggiungibile di
bellezza e di una ricerca incessante di perfezione che
Ciò di cui mi pento è l’ipocrisia,
parlo della mia, parlo della mia!
L’uomo nello specchio io non so chi sia,
però ha la faccia mia, ha la faccia mia.
Ero il suo modello, mi imitava sempre,
riteneva fossi bello, sì, questo lo ricordo.
Ma ora, se lo guardo, vedo solo nostalgia
o forse gelosia, forse gelosia...
Oggi sono perso, non mi riconosco,
cerco nel riflesso una certezza che non c’è;
e anche se mi sposto, quello segue il gesto,
evito lo sguardo, perché so che pensa che
ho sbagliato tutto; quanto sono brutto.
Ma io sono lo stesso, però non capisco mai
da che parte sto: da che partе stai?
spesso finiscono con il renderci schiavi di un’imma-
gine che non ci appartiene. Prigionieri di un perenne
bisogno di riconoscimento e incapaci di accettare ciò
che riteniamo essere difetti inammissibili, cerchia-
mo nel riflesso che lo specchio ci rimanda continue
conferme e auto-approvazione, uno sguardo indul-
gente in grado di restituirci sicurezza e di assolverci
da ogni nostro errore o passo falso.
Ma in questo insistente e reiterato “specchiarci”, riu-
sciamo a guardarci veramente? Siamo capaci di scru-
tare oltre l’immagine riflessa, per dare una sbirciata
alla nostra interiorità? Abbiamo il coraggio di fare i
conti con “l’uomo (o la donna) nello specchio” e di
lasciarci attraversare fino in fondo dal suo sguardo?
Uno degli aspetti più paradossali della nostra so-
cietà è infatti che, mentre si moltiplicano le oc-
casioni di specchiarci e pavoneggiarci nel nostro
riflesso, sembra aumentare di pari passo la tenta-
zione dell’irriflessività e diminuisce, di conseguen-
za, la nostra abitudine a dialogare con noi stessi,
immergendoci in quel colloquio silenzioso tra sé
e sé che Socrate per primo ha chiamato “pensare”.
Ci concentriamo sugli aspetti più superficiali ed
esteriori del nostro aspetto, ci compiacciamo della
nostra immagine o, al contrario, ci affanniamo nel
frustrante vagheggiamento di una perfezione im-
possibile, ma evitiamo accuratamente di spingere lo
sguardo (e l’analisi) più in profondità, domandan-
doci per davvero chi siamo e chi vogliamo essere.
È questa, senza dubbio, una difficoltà trasversale, da
cui nessuno può dirsi veramente immune, ma che
forse è più strutturale nei giovani adulti, meno incli-
ni a rimettere continuamente in discussione se stessi
come gli adolescenti e, in molti casi, non ancora ap-
prodati ad una consapevole capacità di autoaccetta-
zione e di dialogo fecondo con la propria interiorità.
Il cammino verso l’adultità è, infatti, spesso segnato
da una certa fatica a lasciarsi “giudicare da se stessi”,
probabilmente perché ci pesa di più mettere in crisi
equilibri e certezze laboriosamente costruiti, spesso
al prezzo di innumerevoli aggiustamenti e complica-
ti compromessi con i nostri valori e aspirazioni. Piut-
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tosto che ricominciare da capo, lasciando che il seme
del dubbio germogli dentro di noi sollecitandoci a
ripensare le nostre scelte e a correggere la rotta, ci
aggrappiamo con forza ad un’immagine di noi stes-
si che non ci appartiene, ad un’esistenza in cui non
ci riconosciamo, pallido riflesso di ciò che un tempo
siamo stati e adesso ormai non siamo più.
Ma come possiamo riappropriarci della nostra
identità più autentica se smettiamo di interrogar-
ci sul senso e la direzione del nostro percorso? Se
sfuggiamo allo sguardo irriverente e corrosivo del-
l’“uomo nello specchio” che ci chiama quotidiana-
mente a fare i conti con noi stessi? Forse la rispo-
sta sta proprio nella disponibilità a non sottrarci a
quello sguardo, continuando a mantenere vivo il
dialogo interiore con noi stessi, anche quando ci
sembra di vivere una dolorosa sfasatura tra l’imma-
gine che vediamo riflessa nello specchio e il nostro
mondo interiore, anzi a maggior ragione in quei
momenti, in cui ancora di più abbiamo bisogno di
rimetterci in discussione per ritrovare la nostra so-
stanziale unità.
Ciò di cui mi pento è l’ipocrisia,
parlo della mia, parlo della mia!
L’uomo nеllo specchio io non so chi sia,
però ha la faccia mia, ha la faccia mia.
Conosce la mia stanza e fa come se fosse casa sua
quest’esistenza, conosce la pazienza.
Chissà se è lì che aspetta, che cerca compagnia
quando vado via, quando vado via...
Oggi sono perso, non mi riconosco,
cerco nel riflesso una certezza che non c’è;
e anche se mi sposto, quello segue il gesto,
evito lo sguardo, perché so che pensa che
ho sbagliato tutto e poi come mi vesto?
Ma io sono lo stesso, però non capisco mai
da che parte sto: da che parte stai?
Quindi scusa se ti sembro una specie di tormento:
è da un po’ che ci rifletto, è da un po’ che ci rifletto!
Quindi scusa se ti sembro (e anche se mi sposto)
una specie di tormento (quello segue il gesto):
è da un po’ che ci rifletto (evito lo sguardo),
è da un po’ che ci rifletto (perché so che pensa che)
hai sbagliato tutto; Dio, quanto sei brutto!
Ma io sono lo stesso, però non capisco mai
da che parte sto: da che parte stai?
Ma da che parte sto?
Ma da che parte stai?
(Daniele Silvestri feat. Fulminacci, L’uomo nello specchio, 2023)
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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
Don Bosco sempre attento alle
NOVITÀ del
SUO TEMPO
Chissà come saranno stati contenti
gli artigiani di Valdocco quando
a metà degli anni settanta nei loro
laboratori giunse la forza motrice
idraulica in sostituzione della forza
delle loro braccia! È questa una
storia che si può raccontare con
precisione grazie al ritrovamento
di varie lettere al sindaco
dell’epoca a Torino Felice Rignon.
muoveva turbine per la produzione di energia; ogni
salto poteva servire a una o più attività e veniva dato
in concessione a privati. Con una portata media di
2000 l/sec. ogni ramo, si prevedevano 400/500
nuovi cavalli di forza motrice. Fra chi se ne ser-
vì, oltre le fabbriche d’armi governative, gli opifici
municipali e gli imprenditori della protoindustria
torinese, ci fu un certo don Giovanni Bosco.
Una prima richiesta
Il 4 luglio 1874 infatti, con motivazioni di indole
educativa, inoltrò al sindaco di Torino la richiesta
di avere “la Concessione di almeno 30 cavalli di
forza d’acqua del Canale della Ceronda, che dove-
vasi escavare a lato di detto Collegio. Poteva con
tale forza e moltiplicare i generi d’industria alle
quali intende applicare i ricoverati giovani, e render
loro famigliare l’uso delle odierne macchine sussi-
diarie all’opera manuale”.
La richiesta fu accolta e nei verbali comunali ven-
ne redatto una specie di compromesso di Conces-
L’antica
tipografia di
Valdocco.
L’escavazione del canale Ceronda
Nel 1868 a Torino, con i lavori per la realizzazione
del canale Ceronda, si avviò il processo di ricon-
versione industriale della città dopo lo spostamento
della capitale a Firenze (1864-1865), e la conse-
guente crisi dei settori produttivi, commerciali ed
amministrativi. Si trattò di realizzare un canale
artificiale che derivasse l’acqua dal torrente Ceron-
da presso Venaria e percorresse l’area a nord della
città lungo la Dora Riparia. Due i rami del canale:
quello di sinistra, che alla fine scaricava nella Dora,
venne ultimato nel 1871; quello destro finito nel
1873, che, superata la Dora, arrivava in corso Regi-
na Margherita per poi scaricarsi nel Po. Il loro per-
corso era cadenzato da salti dove la caduta d’acqua
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sione comunale ai vari richiedenti circa la “divi-
sione dell’acqua stessa, e la formazione dei salti”.
Le ramificazioni distribuivano la forza motrice
a diversi stabilimenti industriali e la turbina cui
era interessato don Bosco era prevista nell’angolo
fra l’attuale piazza di Maria Ausiliatrice e il corso
Regina.
Don Bosco non perse tempo e “vennero, di concer-
to coll’ufficio d’arte, e del sott.o [don Bosco] fatto
costruire di fronte alla proprietà del Collegio, ed
a spese del medesimo, le due bocche di presa e di
restituzione dell’acqua, dandosi così anche un prin-
cipio d’esecuzione alla intelligenza. In questa cer-
tezza si è ampliato di nuovo la fabbrica, tuttora in
costruzione, il Collegio; si sono fatte diverse costo-
se varianti nella disposizione dei diversi laboratorii
per adattarli a ricevere la forza motrice, e si sono,
per potere ivi condurre questa, comperati, con gra-
ve sacrificio, altri stabili”.
A questo punto si trattava solo di “essere autorizza-
to a compiere l’opera incominciata: cioè ad esegui-
re il Canale di congiunzione di dette due bocche
di presa e di restituzione d’acqua”; tutto costruito
“sotto la propria arca”.
Un sollecito
Passarono mesi, e non ricevendo ri-
sposta, il 7 novembre don Bosco sol-
lecitò al sindaco il rilascio della Con-
cessione. Il sindaco si riservò quaranta
giorni per rispondere e la risposta fu
interlocutoria: chiese infatti alcuni
schiarimenti circa l’uso che si sarebbe
fatto dell’acqua richiesta, era disponi-
bile per offrirne in misura di 10 caval-
li di forza motrice, anziché 30 come
richiesto da don Bosco e promesso da
lui stesso, chiedeva in garanzia una
cartella di debito pubblico.
Don Bosco rispose immediatamen-
te che la forza motrice sarebbe ser-
vita per non meno di 220 impiegati
(istruttori e artigiani) in cinque settori di attività:
Tipografia, Fabbrica di paste, Fondaria di caratteri ti-
pografici, estrotipia, calcografia, Labo[rato]rio in ferro
mercé un martinetto, laboratorio di Falegnami, ebanisti,
tornitori con una sega idraulica. Al momento solo la ti-
pografia aveva il supporto di una macchina a vapore,
peraltro dispendiosa; ma “per gli altri laboratorii si
fanno a forza di braccia, in guisa che non si potrebbe
sostenere la concorrenza di chi usa l’acqua motrice”.
Intanto aveva incaricato l’ingegnere Spezia di esco-
gitare una forma di motore adatta per l’Oratorio e
in base alla quantità di energia richiesta.
Sempre lungimirante
Il Comune non intese ragioni e concesse la sola for-
za motrice di 10 cavalli.
Ma don Bosco ancora una volta si dimostrò aper-
to e attento alle novità della sua epoca. Lo era già
stato quando aveva inventato un Oratorio di nuo-
vo tipo per un’inedita condizione giovanile (1846)
e aveva insegnato ai ragazzi e alla classe popolare
il nuovo sistema metrico decimale con pubblicazioni
e recite (1849); lo era già stato, nel momento della
libertà di stampa, con il fondare un giornale per
i giovani (1848) e una collana di libretti popola-
ri in difesa del cattolicesimo messo in discussione
(1853); ne aveva dato prova organizzando laboratori
artigianali per insegnare un mestiere ai giovani po-
veri che ne erano privi (1853-1862) e pubblicando
nella propria tipografia testi scolastici nel momento
di accentuata alfabetizzazione del paese (dal 1866
in poi) ecc.
Il canale
artificiale
della Ceronda
a Torino che
serviva come
fonte di
energia per
la nascente
industria
torinese.
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I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni  postulatore generale
Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulatore@sdb.org
Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di gennaio preghiamo per la
canonizzazione della Beata Laura Vicuña.
Laura Vicuña nasce a Santiago
(Cile) il 5 aprile 1891. Nel 1900 vie-
ne accolta nel collegio delle Figlie
di Maria Ausiliatrice a Junín de los
Andes, situato nella zona del Neu-
quén, Argentina. L’anno seguente
riceve la Prima Comunione e,
come Domenico Savio, formula i
propositi di amare Dio con tutta
se stessa; di mortificarsi e morire
pur di non peccare; di far conosce-
re Gesù e ripararne le offese. Dopo
aver intuito che la madre vive in
una situazione di peccato, si offre
al Signore per la sua conversione.
Laura intensifica l’ascesi e, con
il consenso del confessore, ab-
braccia con voto privato i consigli
evangelici. Consunta dai sacrifici
e dalla malattia, muore a Junín de
los Andes (Argentina) il 22 genna-
io 1904. Nell’ultima notte aveva
confidato: “Mamma, io muoio!
L’ho chiesto a
Gesù da tem-
po, offrendogli
la mia vita per
te, per ottenere
il tuo ritorno a
Dio... Mamma, pri-
ma della morte non
avrò la gioia di vederti
pentita?”. Nel giorno del funera-
le di Laura la mamma ritorna ai
sacramenti ed inizia una nuova
vita. La sua salma è nella cappella
delle Figlie di Maria Ausiliatrice a
Bahía Blanca (Argentina).
Il 3 settembre 1988 al Colle don
Bosco papa Giovanni Paolo II l’ha
beatificata e l’ha proposta ai gio-
vani quale modello di coerenza
evangelica portata fino al dono
della vita, per una missione di sal-
vezza. La sua Memoria liturgica si
celebra il 22 gennaio.
Preghiera
O Beata Laura Vicuña,
tu che hai vissuto fino all’eroismo
la configurazione a Cristo
accogli la nostra fiduciosa preghiera.
Ottienici le grazie di cui abbiamo bisogno
e aiutaci a aderire, con cuore puro e docile,
alla volontà del Padre.
Dona alle nostre famiglie pace e fedeltà.
Fa’ che anche nella nostra vita, come fu nella tua,
risplendano fede coerente, purezza coraggiosa,
carità attenta e sollecita per il bene dei fratelli.
Amen.
CRONACA DELLA POSTULAZIONE
19 ottobre 2023 il Congresso peculiare dei Teologi del Dica-
stero delle Cause dei Santi ha dato voto positivo al presunto
miracolo attribuito all’intercessione del Venerabile Camille
Costa de Beauregard (1841-1910), Sacerdote diocesano, per
la guarigione immediata, completa e duratura, non spiegabile
scientificamente di René Jacquemond da «trauma oculare da
frutto di Bardana con lesione della cornea e ferita della con-
giuntiva».
Ringraziano
Mi chiamo Katia e sono la mam-
ma di due bellissimi bambini
affidati a san Domenico Savio
e nati proprio grazie all’aiuto di
questo straordinario Santo. Io
stessa sono nata grazie a san Do-
menico Savio quando ormai per
la mia mamma la possibilità di
diventare madre sembrava im-
possibile. Oggi voglio ringraziare
pubblicamente ancora una volta
san Domenico Savio, san Gio-
vanni Bosco, Maria Ausiliatrice
e Mamma Margherita per l’aiu-
to che mi hanno dato. Mi hanno
aiutato ad uscire fuori da un pe-
riodo terribile che ha vissuto la
mia famiglia, un periodo durante
il quale sia io sia mio marito, sia
mia mamma abbiamo avuto pro-
blemi di salute importanti. Sem-
brava davvero impossibile uscire
fuori da quella situazione ed
invece grazie all’aiuto del cielo
è tutto in via di risoluzione, sono
sicurissima di avere ricevuto una
grazia. Posso solo ringraziare
la famiglia salesiana per tutto
l’aiuto che mi ha dato e per l’a-
iuto che sono sicura continuerà
a dare a me e alla mia famiglia.
Io prometto di onorare in ogni
modo san Domenico Savio, don
Bosco, Maria Ausiliatrice e Mam-
ma Margherita e prometto che
Loro faranno sempre parte della
mia famiglia, saranno sempre
presenti nella mia casa.
Katia (Imperia)
Il piccolo Daniele è stato dimesso
la sera di lunedì 9 ottobre 2023
dall’Ospedale Papa Giovanni XXIII
di Bergamo.
Daniele nato “settimino” è stato
ricoverato con urgenza all’Ospe-
dale Papa Giovanni di Bergamo.
In questi mesi ho pregato molto
Attilio Giordani perché più vol-
te Daniele è stato portato in Te-
rapia intensiva, affinché potesse
ritornare fra le braccia dei suoi
genitori.
Penso che Daniele sia un piccolo
segno perché nelle sere scorse
leggendo la preghiera al Vene-
rabile Attilio Giordani ho detto
con forza: “Dai Attilio, visto che
volevi molto bene ai bambini
datti da fare: che Daniele possa
ritornare fra le braccia dei suoi
genitori”.
Pino Candiani ex oratoriano dell’oratorio
salesiano di Via Copernico a Milano e
allievo di Attilio Giordani
Voglio rendere il mio ringrazia-
mento a Dio che per mezzo del
suo servo Andrea Majcen ha
ascoltato la mia preghiera. A
marzo mi sono dovuta sottoporre
ad esami a causa del tumore di cui
sono stata operata qualche anno
fa e ciò mi procurava tantissima
ansia. Ho pregato il suo servo af-
finché tutto andasse bene e così
è stato. Ringrazio Dio per averci
donato un grande missionario sa-
lesiano che ha speso tutta la sua
vita per il bene del prossimo.
(Antonella)
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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
Marco Bonatti
Don Francesco Meotto
Direttore editoriale della SEI per oltre 20 anni,
morto a Torino iI 13 novembre 1988, a 67 anni.
Don Francesco Meotto è stato
direttore editoriale della SEI e
delegato arcivescovile per le Co-
municazioni Sociali della diocesi
di Torino. Dopo 35 anni il suo ri-
cordo è ancora ben vivo, anche
perché le tracce che ha lasciato
hanno dato forma, in questo
periodo, al rapporto tra Chiesa e
mass media a Torino.
Dopo di lui la Chiesa torinese
ha continuato ad appoggiarsi ai
Salesiani per il lavoro di comu-
nicazione, a stretto contatto con
l’arcivescovo: il compianto don
Gianni Sangalli in passato e don
Livio Demarie tuttora sono «sa-
lesiani a servizio della diocesi».
Chiamato dal cardinale Balle-
strero nel 1981, don Meotto cer-
cò non solo di «mettere ordine»
nei vari servizi di informazione
e comunicazione della diocesi
(giornali, radio, tv...) ma di «dare
un’anima», un’identità culturale
che permettesse alla Chiesa di
Torino di porsi come interlocuto-
re riconosciuto anche nel sistema
«laico» dei mass media. In questo
il programma di don Meotto si
accompagnava perfettamente a
quello di maggior respiro che l’ar-
civescovo Ballestrero coltivò nei
suoi anni torinesi e di presidenza
Cei e che si riassume nella parola
«riconciliazione».
Riconciliazione era una parola
chiave anche per don Meotto,
che la praticò nel suo lavoro di
editore fin da quando fu chia-
mato, dai superiori della Società
Salesiana, alla direzione della
rivista «Meridiano 12» e poi alla
SEI, negli anni ’60. «Bisogna ri-
empire la testa – scriveva – di
grandi pensieri, di profonde in-
tuizioni tratte dalla realtà minu-
ta che ti circonda: libri, breviario,
colloqui, tv, cinema, giornali:
niente è stupido o superficiale
se ti accosti a loro per assorbire
l’intelligenza profonda che gui-
da molti di coloro che scrivono».
Come editore don Meotto fu un
rivoluzionario geniale. Molti ri-
corderanno il successo mondia-
le di «Ipotesi su Gesù» (1976),
il libro di Vittorio Messori nato
come indagine «laica» sulla fi-
gura del Cristo. Tradotto in 22
lingue, il volume ha venduto più
di un milione di copie in Italia.
Negli stessi anni uscirono titoli
come «Viaggio intorno all’uo-
mo» di Sergio Zavoli; «Testimone
del tempo» di Enzo Biagi; «La
forza di amare» di Martin Luther
King... tutti pubblicati dalla SEI.
Don Meotto fiutava i tempi nuo-
vi, e il nuovo pubblico – i giovani
della generazione del Concilio e
del Sessantotto, quelli che cerca-
vano il senso e volevano risposte.
A fianco delle collane paludate
don Meotto inventò per la SEI la
«Varia», in cui faceva confluire i
titoli delle esperienze pastora-
li e teologiche francesi, come i
grandi libri di Michel Quoist per
gli adolescenti (e gli educatori di
adolescenti).
È stato uomo di comunicazione,
aperto, curioso di tutto, disponi-
bile al dialogo, rispettoso delle
persone e dei valori, pronto a
mediare, ma senza compromes-
si. Voleva bene con discrezione
alle persone con cui lavorava.
Era un grande organizzatore ma
non un funzionario. Era un uomo
trasparente ed attento a quello
che incontrava. Sapeva essere
amico con tanti piccoli gesti.
Coltivava sogni, inventava pro-
spettive, ma ne ricercava poi con
concretezza e tenacia la realizza-
zione secondo quanto la realtà
gli suggeriva. Aveva il senso del
limite, non dando nulla per scon-
tato; accoglieva il dubbio, vede-
va nell’incertezza stessa, nella
ricerca una forza positiva. Sape-
va che la verità non si possiede
mai totalmente ma se ne può
essere soltanto posseduti. I brani
tratti dalle riflessioni stese negli
ultimi due anni di vita mostrano
interiorità profonda e il saldo
ancorarsi in alcune certezze di
base, poche perché tutto il re-
sto va sempre giocato nella vita
che è sfida sempre nuova. La sua
fede era schiva, non esteriore,
gridata però nell’intimo a tu per
tu con Dio, cui chiedeva il perché
delle cose coinvolgendolo nella
ricerca di senso, come l’ormeg-
gio cui ancorarsi. Aveva bisogno
di questo mare accogliente che
gli dava sicurezza, mantenendo-
lo sereno anche nei momenti più
turbinosi e difficili.
Non era un genio solitario: im-
piegava molto tempo e molte
energie a suscitare e valorizzare
collaboratori che fossero capaci di
«scoprire i segni dei tempi», den-
tro e fuori la Chiesa. A lui si deve
anche l’invenzione del Premio
Grinzane Cavour, per anni il più
prestigioso terreno di confronto
tra editori, critici, giovani e mon-
do della scuola.
Ai Giornali Cattolici don Meotto
fece un altro regalo, Margherita.
Sua sorella nubile venne, da pen-
sionata, come volontaria ai gior-
nali: per accogliere le persone,
riordinare le raccolte, supportare
le impiegate nella promozione
delle testate... Fu per anni una
presenza preziosa: il suo sorriso, il
suo silenzio bastavano per smor-
zare e frenare gli eccessi verbali
dei giornalisti e i pettegolezzi
che, in qualunque giornale, sono
considerati parte integrante del
lavoro di redazione. Anche dopo
anni, quando si parlava (e a chi
scrive accadeva spesso) di suo
fratello gli occhi di Margherita si
illuminavano, di lacrime e di un
ricordo dolcissimo. Forse valeva
anche per lei quel che don Meotto
scriveva nel suo diario: «Accetto
questo morire – o, diciamo, que-
sta nuova prova della vita – come
un nuovo lavoro: tra gli impegni
che ho svolto non c’è questo. Con
le soddisfazioni, le difficoltà, i
problemi che accompagnano tut-
ti i lavori. C’è un obiettivo da rag-
giungere: arrivare al Padre con un
amore ogni giorno più grande».
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IL CRUCIPUZZLE
Roberto Desiderati
Scoprendo
DON BOSCO
Parole di 3 lettere: Eni, Età, Nar, Per.
Parole di 4 lettere: Cher, Cina, Frac,
Lear.
Parole di 5 lettere: Clava, Kriss,
Sisal, Spada.
Parole di 6 lettere: Amiens, Ispido,
Teorie, Turner, Ussaro.
Parole di 7 lettere: Eruditi, Esegesi,
Iceberg, Impiego, Sparute.
Parole di 8 lettere: Nagasaki.
Parole di 9 lettere: Agrigento,
Fontanile.
Inserite nello schema le parole elencate a fianco, scrivendole da sinistra a destra e/o dall’alto in basso,
compatibilmente con le lunghezze e gli incroci. A gioco ultimato risulteranno nelle caselle gialle le
parole contrassegnate dalle tre X nel testo. La soluzione nel prossimo numero.
? Parole di 10 lettere: Eclissarsi,
Generalità, Nefandezze.
Parole di 12 lettere: Psichedelica.
?
La soluzione nel prossimo numero.
Parole di 13 lettere: Rossocrociati.
SALESIANI AGLI ANTIPODI
I salesiani di don Bosco sono ormai in tutto il mondo, in tutti i continenti ci sono mis-
sionari e cooperatori che, seguendo l’ispirazione del Santo, cercano quotidianamente di
portare a compimento l’opera che Lui aveva iniziato, “io abbozzo, voi stenderete i colori”
disse. Fisicamente in tutti quei luoghi così lontani don Bosco non ci andò mai, viaggiò
moltissimo ma solo in Europa, le terre di missione le vide, vividamente, nei suoi sogni. In
particolare nel 4° sogno missionario, del 1885, vide il nuovo continente: “Finalmente mi
parve di essere in Australia”; riferì di aver visto le innumerevoli isole del Pacifico e tutti
i loro abitanti che gli chiedevano di mandare là i suoi figli. Il lavoro dei Salesiani in Oceania iniziò nel 1923 con l’arrivo in
Australia e oggi sono presenti in 6 Paesi dell’Oceania: Australia, Nuova Zelanda, Fiji, Papua Nuova Guinea, Isole Salomone
e Samoa. L’Oceania fa parte della Regione Asia Est-Oceania. Lì vi si trovano l’Ispettoria salesiana dell’XXX (AUL), che
comprende la Delegazione ispettoriale Pacifico guidata da don Petelo Vito Pau, e la Visitatoria Papua Nuova Guinea e
Isole Salomone (PGS). Dal 1965 le ispettorie sono raggruppate in Regioni, che garantiscono il legame tra il governo cen-
Soluzione del numero precedente
trale e le province. Il termine Ispettoria indica un’area territoriale che aggrega e
unisce in una comunità più vasta un insieme di comunità locali. Viene istituita
per promuovere in una determinata circoscrizione la vita e la missione della
Congregazione salesiana con l’autonomia che le compete secondo le Costitu-
zioni. Attraverso le sue strutture favorisce i vincoli di comunione fra i salesiani e
le comunità locali e offre un servizio specifico alla Chiesa. Sono tre le tipologie
di circoscrizioni: le circoscrizioni a statuto speciale, le ispettorie e le visitatorie.
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LA BUONANOTTE
B.F.  Disegno di Fabrizio Zubani
L’uomo che si fumò
LA BIBBIA
W ilhelm Buntz venne abban-
donato dalla madre da
piccolo. Questo trauma
di morte... Non è che non
voglia bene a mio figlio,
ma non possiamo più sop-
lasciò in lui gravi conseguenze.
portarlo; ha distrutto tutta
Inquadrato come un “bambino
la nostra famiglia”.
disadattato”, passò da una famiglia Irascibile e infuriato con
all’altra, per oltre 30 volte, senza mai il mondo intero, venne
sentirsi veramente “a casa” e a 7 anni messo in isolamento. In
iniziò a sognare di diventare un
cella gli venne concesso
gangster. A scuola divenne presto di tenere solo la Bibbia
?
noto come “Willy bagno di sangue” che gli aveva regalato il
perché litigava continuamente con i cappellano.
compagni. A 16 anni finì in prigione Wilhelm non aveva mai
per la prima volta: nei pressi di
avuto una gran simpa-
Innsbruck, decise di rubare un’auto e tia nei confronti di Dio.
provare a guidare. Poco pratico,
Anzi. Accettò quel libro
provocò un incidente. Nello scontro perché le sue pagine, fini come la «Se hai un piano per me – disse
perse la vita un poliziotto, padre di 5 carta velina, erano un ottimo sostitu- rivolgendosi a Dio – allora devi cam-
figli, e un’altra persona finì per
to per le cartine di sigarette.
biarmi e vincermi».
sempre su una sedia a rotelle.
Iniziò così a strappare le pagine, e, E quella Parola, che fino ad allora
Arrestato e processato, fu condan- dopo averle lette ci rollava dentro il era finita in fumo, iniziò lentamente
nato a 14 anni per omicidio colpo- tabacco che riusciva a procurarsi di ad ardere nel suo cuore.
so. Dopo la detenzione giovanile, contrabbando e si confezionava delle Cambiò radicalmente e fu graziato.
Wilhelm Buntz diventò un criminale rudimentali sigarette.
Oggi è sposato e ha due figli. Fino
a tutti gli effetti. Rapine in banca, Un po’ alla volta finirono in fumo la al suo pensionamento, nel 2017, ha
traffico d’armi, traffico di esseri
Genesi e tutto il Pentateuco, i Salmi lavorato in un’opera per non ve-
umani, omicidio colposo: commise e libri sapienziali, così come le storie denti. Quando ripensa al periodo
quasi 150 reati e venne finalmen- dei profeti. Finché un giorno del
di detenzione, prova solo una cosa:
te catturato all’età di 22 anni. Al
1983 si ritrovò in mano la pagina del gratitudine.
processo, il giudice invitò il padre vangelo di Matteo in cui era riporta- «Sono grato a Dio per ogni giorno che
come testimone, affinché qualcuno to il Discorso della montagna.
mi è stato concesso di trascorrere in
dicesse qualcosa di positivo su di lui. «Voi siete il sale della terra e la luce carcere, perché lì ho trovato qualcosa
Ma quando lo chiese al padre, questi del mondo». Questa frase lo mise al che altrimenti non avrei potuto tro-
disse in lacrime: “Per favore, per
tappeto. Lui fino ad allora era stato vare. Ho trovato un tesoro prezioso:
favore, per favore, ripristinate la pena «veleno amaro e oscurità».
Sono diventato un credente».
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Taxe-Perçue
Tassa riscossa
PADOVA cmp
Se posso
mangiare,
ho un futuro
bastano solo
15€
A Natale sostieni la
nostra opera ad Haiti
Nei centri salesiani distribuiamo pasti caldi e kit
alimentari a bambine, bambini e giovani in difficoltà.
Haiti è uno dei paesi più poveri al mondo, dove poter
mangiare almeno una volta al giorno non è garantito.
Un pasto caldo è un dono semplice, ma per tanti
giovani può essere un vero miracolo!
Ecco che cosa puoi contribuire a realizzare:
Con € 15 acquistiamo 10 kg di pasta
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comprende pasta, riso, olio, fagioli e mais
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che cosa si trasforma il tuo gesto. Trovi anche le
varie modalità per donare.
Grazie per il tuo aiuto prezioso.
Tanti auguri di un Sereno Natale
Via Marsala, 42 - 00185 Roma - tel. +39 06 65612663 - C.F. 97210180580
donbosconelmondo@sdb.org - www.donbosconelmondo.org