Bollettino_Salesiano_201403

Bollettino_Salesiano_201403

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IL
MARZO
2014
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
L’invitato
I fratelli
Kruczek
Le case
di don Bosco
Perugia
Come don
Bosco
Il mese
del papà
Invito a
Valdocco
Il cuore
antico
GRAZIE DON PASCUAL

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LE COSE DI DON BOSCO
B.F.
Il gelso di via
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
I coniugi Reviglio prenderanno atto dell’accaduto e si
adatteranno alla volontà di Felice. Il quale, con don Bo-
sco, diventerà prete, teologo, parroco della sua stessa
parrocchia di Sant’Agostino, autorevole esponente del
clero torinese. E memore della sua avventura, la narrerà
sempre, egli stesso, a onore di don Bosco.
della Giardiniera
A Torino, in via della Giardiniera, c’era
una bella fila di gelsi. Io ero uno di
quelli. Regalavamo la nostra ombra ai
rari passanti di questa strada isolata,
malridotta, mal frequentata. Finché non
arrivò quel prete, don Bosco, con la sua
combriccola di ragazzi scatenati, che trasformò un
angolo squallido in un cortile pulsante di vita.
C’era una piccola banda sbrindellata di ragazzi che
talvolta si spingeva fin qui dalla città. Il sedicenne
capobanda si chiamava Felice Reviglio e diventò
di casa all’oratorio.
Ma in famiglia lo rimbrottavano. Già non lo
sopportavano prima. Egli si sfogava con don Bo-
sco. «Sta’ tranquillo e sii felice, Felice. Io ti farò
sempre da padre. Se dovesse succederti qualcosa,
scappa a casa mia».
Un giorno sentii distintamente gli urlacci del
padre: «Da oggi tu la pianti con quel tuo don
Bosco e lavori con me in tipografia». «Oggi è
domenica. Non lavoro e me ne vado all’Ora-
torio». Non finì la frase che lo colse un man-
rovescio. Temendo il peggio scappò. Lo inseguì
una bordata di insulti. Lo vidi arrivare ansiman-
te, inseguito. Don Bosco non era in casa. Felice
stava per essere raggiunto da madre e padre.
Non aveva difesa né scampo. C’ero io però,
frondoso e accogliente, preparato a nasconderlo.
Lesto come uno scoiattolo si arrampicò sui miei
rami e si acquattò nel fogliame. Giusto in tempo.
Sua madre comparve da una parte gridando.
Don Bosco arrivava proprio in quel momento.
«Rivoglio mio figlio», «Suo figlio non è qui, non
lo vedo», «È venuto qui. Non ha altro scampo
quel lazzarone», «Lo vedrei da qualche parte»,
«Eppure c’è», «Eppure non c’è...».
Il dialogo o a meglio dire la diatriba durò un bel
pezzo. Infine con l’ugola stanca madama Revi-
glio tolse l’assedio e se ne tornò a casa.
Felice scivolò giù dal gelso, guardingo, e si trovò
davanti a don Bosco.
«Che cosa!... Tu eri lì sopra?» «Sono scappato
da lei. Voglio stare con lei, don Bosco. Non mi
rimandi più a casa».
Proprio per ricordare me, l’ultimo gelso di via
della Giardiniera, accanto alla chiesa di San
Francesco di Sales, dove passava la strada, c’è
sempre stato un albero.
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Marzo 2014

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IL
MARZO 2014
ANNO CXXXVIII
Numero 3
IL
MARZO
2014
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
L’invitato
I fratelli
Kruczek
Le case
di don Bosco
Perugia
Come don
Bosco
Il mese
del papà
Invito a
Valdocco
Il cuore
antico
GRAZIE DON PASCUAL
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 LA SPIRITUALITÀ SALESIANA
6 SALESIANI NEL MONDO
Swaziland
10 L'INVITATO
I meravigliosi
gemelli Kruczek
14 FINO AI CONFINI DEL MONDO
16 FMA
Musica, ragazzi!
18 A TU PER TU
Don Stanislaus
22 INVITO A VALDOCCO
Il cuore antico
26 LE CASE DI DON BOSCO
Perugia
29 LETTERE
30 COME DON BOSCO
32 LA LINEA D'OMBRA
34 MEMORIE
Le foto di don Bosco
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 RELAX
42 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
43 LA BUONANOTTE
6
10
18
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina:
Dopo dodici anni,
don Pascual Chávez
lascia la carica di
Rettor Maggiore
della Congregazio-
ne salesiana. A
lui va l’affettuoso
ringraziamento
della Famiglia
Salesiana
(Illustrazione di
Stefano Pachì).
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans,
Pierluigi Cameroni, John Christy,
Roberto Desiderati, Vanessa Hepp,
Laura Lana, Cesare Lo Monaco,
Alessandra Mastrodonato,
Francesco Motto, Pino Pellegrino,
Eleonora Perolini, Giuseppe Soldà,
Piotr Szelag, Luigi Zonta,
Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Tullio Orler (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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Periodica Italiana

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LA SPIRITUALITÀ SALESIANA
PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA
Don Bosco racconta
Santità
alla portata
di tutti La mia esperienza
con il Signore
Non sono nato santo, te lo dico con
tutta semplicità e schiettezza. Ho
lottato parecchio per essere fede-
le al Signore e coerente con i miei
impegni di cristiano. Ti posso
garantire che non sempre è sta-
to facile. Santi si diventa, a poco a poco.
Non è ancora stato inventato uno
strumento che misuri il grado
di santità raggiunto. Tutto
è grazia, anche la colla-
borazione della creatura.
E la grazia sfugge al con-
trollo umano, perché è un
dono di Dio.
Perché tu possa capire l’i-
deale che avevo nel cuore,
ti trascrivo alcune rifles-
sioni fatte quando stavo
per entrare in se-
minario a Chieri.
Avevo già 20 anni!
Non ero più un ra-
gazzino ingenuo o un adolescente sognatore…
«La vita fino allora tenuta doveva essere radical-
mente riformata. Negli anni addietro non ero stato
uno scellerato, ma dissipato, vanaglorioso, occupato
in partite, giuochi, salti, trastulli ed altre cose simi-
li, che rallegravano momentaneamente, ma che non
appagavano il cuore». Dal canto suo, mia madre –
pur nell’intensa commozione provata al vedermi
vestito con la talare – era stata categorica: «Tu hai
vestito l’abito sacerdotale. Ricordati che non è l’abito
che onora il tuo stato, è la pratica della virtù. Amo
meglio di avere un povero contadino, che un figlio
prete trascurato nei suoi doveri».
Quando mi incontrai
con san Francesco di Sales
Evidentemente, non fu un incontro tra persone:
sono nato 250 anni dopo di lui! Leggendo uno
dei suoi libri che circolavano anche in Piemon-
te trovai una frase che mi colpì e che divenne il
programma della mia vita sacerdotale. Ricordo di
aver letto: «È un errore, anzi un’eresia, voler esclude-
re l’esercizio della devozione dall’ambiente militare,
dalla bottega degli artigiani, dalla corte dei principi,
dalle case dei coniugati… Dovunque ci troviamo pos-
siamo e dobbiamo aspirare alla vita perfetta». Diven-
ne il mio ideale! Cercai di viverlo e offrirlo anche
ai miei ragazzi. Ce ne voleva del coraggio! Parlare
di santità (sì, io usavo proprio questa parola!) ai
ragazzi sembrava ai più una meta impossibile. In-
vece, io ci credevo. E dicevo con convinzione che
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essere santi è un ideale meraviglioso,
persino facile; la nostra amicizia e lealtà
con il Signore un giorno sarà premiata.
Presentavo la santità come una vocazio-
ne “simpatica” e attraente, ma spiegavo
pure che essa era esigente, che richiedeva
sacrifici e rinunce. Era una santità con-
creta, fatta di dovere compiuto con
esattezza, di amicizia con il buon
Dio che ci rendeva amici di
tutti. Una santità che ci
rendeva apostoli dei
compagni con garbo e
semplicità, una santi-
tà del quotidiano. Poi
aggiungevo una caratte-
ristica che ho sempre ritenu-
to fondamentale: doveva essere
una santità gioiosa, che trascina al bene,
che affascina e ci fa «salvatori di altri giovani».
Quasi quasi fui bocciato
in Vaticano…
A quel tempo, io ero già in Paradiso. Sapevo che
in terra si stava discutendo su un problema che,
a mio avviso, non era mai esistito. Data la mole
immensa di lavoro e di preoccupazioni che mi
assillavano, qualcuno era convinto che mi man-
casse il tempo per pregare. La domanda: “Quan-
do don Bosco pregava?” non poteva essere elusa;
anzi, meritava una risposta. Scoprirono allora un
segreto che non mi pareva necessario spargere ai
quattro venti: tutta la mia vita era una preghie-
ra, perché io pregavo la vita! Additavo questo
programma ai miei salesiani; e lo raccomandavo
pure ai giovani. Preghiera era stare ore in confes-
sionale, scrivere decine di lettere alla luce tremula
del candeliere la sera inoltrata, salire e scendere
gli interminabili scalini di marmo di tanti palaz-
zi, chiacchierare familiarmente con i ragazzi in
cortile, celebrare la santa Messa, fissare estatico
il volto dell’Ausiliatrice.
Preghiera era vivere alla
presenza di Dio, come avevo
imparato sin da ragazzo dalla
mia buona Mamma; per me, pre-
gare era abbandonarmi con fidu-
cia alla Provvidenza, era insegnare
una professione, un lavoro a
tanti ragazzi perché potessero
essere sempre «buoni cri-
stiani e onesti cittadini».
Pregavo quando davo
l’abbraccio di addio ai
primi missionari in parten-
za per l’Argentina, quando
visitavo il papa, accoglievo vescovi
sfrattati dalle loro diocesi, scrivevo uno
dei tanti libretti delle Letture Cattoliche, quan-
do moltiplicavo le pagnotte nella cesta o le ostie
al momento della comunione. Ero in preghiera
quando viaggiavo da Torino a Barcellona, a Pa-
rigi per trovare i soldi necessari alla costruzione
del tempio al Sacro Cuore a Roma, o urgenti per
diffondere il Vangelo nelle pampas argentine…
Sempre in piena attività
ma sempre con il cuore in
intimità con il Signore.
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SALESIANI NEL MONDO
(Traduzione di Marisa Patarino)
VANESSA HEPP
www.mesli.com - Don Bosco Mission dal Don Bosco Magazin
Cambiare
il mondo
si
Mentre il re Mswati III sperpera milioni con le sue 13 mogli,
gli abitanti dello Swaziland combattono contro la povertà, l’AIDS
e la disoccupazione. Questo piccolo Stato ubicato nel sud-est
dell’Africa ha molti problemi. Risultano dunque particolarmente
importanti i progetti che permettono alla popolazione locale
di compiere un percorso di auto-aiuto. Nello Swaziland,
per gli orfani, le donne e le madri nubili l’idea di una vita
indipendente è tutt’altro che scontata.
I Salesiani hanno avviato tre progetti nel penultimo Paese
dell’Africa in ordine di estensione, dove svolgono un ruolo
centrale non solo la creazione di posti di lavoro, ma anche
l’uso responsabile delle risorse ambientali.
può
Oggi Wezi Kunene è
un’icona di successo
per molte donne in
Swaziland. E solo
grazie ad un corso
di formazione nel
Centro Don Bosco.
Una donna che
si è creata un lavoro
Come una giovane donna con la sua
piccola impresa si afferma in un ambito
prettamente maschile
Già a 14 anni Wezi Kunene avrebbe voluto avvia-
re un’attività in proprio. Oggi ha 30 anni e il suo
sogno si è avverato. Wezi gestisce una pic-
cola impresa commerciale: un negozietto
specializzato in rivestimenti e riparazioni
di alcune tipologie di mobili a Manzini,
la città più grande dello Swaziland. Insie-
me ai suoi due dipendenti, Karabo Misibi
e Gamal Dube, ripara poltrone, divani e
sedili di autovetture e realizza mobili.
La giovane donna ha costruito il suo successo
a poco a poco. Nel 2006 ha seguito un corso di
formazione presso il Centro Professionale Don
Bosco. Le materie che preferiva erano Marketing
e Amministrazione Aziendale. Ancora oggi con-
serva queste attitudini: mentre i suoi due collabo-
ratori evadono gli ordini, la giovane imprenditrice
cerca di acquisire nuovi clienti. Adotta anche un
abbigliamento da donna d’affari: indossa una gon-
na nera e una camicetta viola, porta una borsa di
taglio moderno. Wezi sa però anche svolgere lavori
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LO SWAZILAND
manuali impegnativi. Non molte ragazze scelgono
un percorso di formazione che porta a diventare
esperti in rivestimenti e riparazione di mobili.
Dopo il periodo di formazione, Wezi si è inserita
nel centro della fondazione dei Salesiani di Don
Bosco. Durante il primo anno di vita autonoma,
i giovani possono servirsi dei locali del Centro,
nonché delle macchine e degli strumenti di lavo-
ro. Oltre a questo aiuto iniziale, i giovani e le gio-
vani possono così stabilire contatti utili. Alcuni
riescono ad aggregarsi per avviare un’attività. È
stato così anche per Wezi. Il docente che l’aveva
seguita, che è il coordinatore del programma, ha
detto: «Wezi ha portato un contributo importante
al suo gruppo, del quale facevano parte quattro
giovani, conferendo nuovo impulso al lavoro di
tutti». Nel 2010 Wezi ha quindi avviato la sua
piccola attività.
La giovane, ora trentenne, ama la sua professio-
ne, è molto impegnata e attiva. Tra i suoi clienti si
annoverano grandi istituzioni e varie aziende, tra
cui anche l’Università dello Swaziland. L’attività
di Wezi sorge in un sito messo a disposizione dal
governo all’interno di un progetto specifico. I pic-
coli imprenditori devono però pagare un affitto. E
nelle immediate vicinanze ci sono alcuni altri ne-
gozi. Anche gli esercizi vicini riparano divani e se-
dili per autovetture, ricoprono e producono mobili.
Com’è consuetudine, non sono gestiti da donne.
Questo non rende le cose più facili. «Non è diffici-
le lavorare qui, con questa concorrenza?», doman-
do a Wezi. «No. Io ho i miei clienti», risponde la
giovane con sicurezza. Wezi è un modello per altri
giovani di Manzini. Nello Swaziland, infatti, il
tasso di disoccupazione giovanile è molto elevato.
È difficile trovare un impiego attraverso i canali
convenzionali del mercato del lavoro. Il cammino
verso l’indipendenza è una buona strategia per far
fronte a questo problema e, come accade nel caso
di Wezi, anche per creare un posto di lavoro per
altre persone. Non è facile, ma l’esperienza di vita
di Wezi mostra che è possibile.
Un piccolo Paese con grandi problemi
Lo Swaziland con i suoi 1,2 milioni di abitanti è spesso considerato un altro
Stato federale del grande Paese vicino, il Sudafrica. I problemi di questo pic-
colo Stato sono immensi: il 70 per cento della sua popolazione vive al di sotto
della soglia di povertà. Lo Swaziland conta un altro triste primato: un terzo
dei suoi cittadini ha contratto il virus HIV o ha sviluppato l’AIDS conclamato.
L’aspettativa di vita media non è molto superiore ai 30 anni. A causa dell’alto
tasso di malati di AIDS, molti
bambini e giovani crescono
senza genitori. Nel Paese
vivono 150 000 minori che
hanno perso un genitore o
orfani. A tutti questi problemi
si aggiunge un altissimo tas-
so di disoccupazione: secon-
do statistiche ufficiali, il 40
per cento degli abitanti dello
Swaziland non ha un lavoro.
Questo dato è insolitamente
alto anche in base agli stan-
dard africani.
Con le api verso
un futuro migliore
Come un ragazzo di 14 anni, grazie
alla produzione di miele, provvede da solo
a sé e ai suoi tre fratelli
Nello Swaziland vivono oltre 150 000 orfani.
Sinawe e i suoi tre fratelli fanno parte di questa
triste statistica. Dopo la morte dei genitori, av-
venuta quattro anni fa, i quattro fratelli Sinawe
(14 anni), Ndan (12), Ziggy (11) e Bachir (8) sono
rimasti soli. Uno zio si occupa di loro, ma può
Tre volte l’anno,
i salesiani di don
Bosco organizzano
a Manzini un
laboratorio di
apicoltura.
Per molte famiglie
in difficoltà è stato
un cambio di vita.
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SALESIANI NEL MONDO
Sinawe, 14 anni,
uno degli orfani
dell’AIDS. Lui
e i suoi fratelli
si mantengono
grazie alle api.
farlo in misura limitata, perché deve pensare alla
sua famiglia. Quando lo zio non c’è, Sinawe deve
fare le veci dei genitori e prendersi cura dei suoi
fratelli più piccoli. Lo zio ha detto: «In passato
i ragazzi non svolgevano attività in aggiunta
alla scuola e la loro situazione non
era facile». Si è poi presentata l’op-
portunità di allevare le api.
Oggi la condizione dei quattro
fratelli è nettamente migliorata.
Grazie ai proventi ricavati dalla
vendita del miele, hanno potuto
addirittura costruire una nuova
casetta e acquistare generi alimen-
tari e vestitinon è più un problema irrisolvibile.
Tre volte l’anno, i Salesiani di Don Bosco orga-
nizzano a Manzini un laboratorio sull’apicoltura,
la cui partecipazione è aperta alle persone che
ne hanno più bisogno, perché si trovano in una
situazione di particolare disagio economico. La
selezione viene effettuata in accordo con i respon-
sabili delle comunità.
Vusie Nkambule, che dal 2009 gestisce l’azien-
da “Eswatini Honey”, ha spiegato: «L’apicoltura
è un’attività particolarmente adatta alle fami-
glie senza genitori, il cui responsabile è il fratello
maggiore, o anche ai nonni che si prendono cura
dei nipoti. Si tratta infatti di un’attività che non
richiede molto tempo e non è molto faticosa».
Per partecipare al progetto occorre avere almeno
dodici anni e non più di settanta. Il programma
prevede una settimana introduttiva in cui le fami-
glie ricevono indicazioni per allevare le api. Alle
persone che prendono parte al progetto viene spie-
gato che cosa devono fare se si presentano proble-
mi e come devono comportarsi con le api. Dato
che le api producono miele tutto l’anno, più volte
devono spostarsi alla ricerca di fiori che sboccia-
no. Al momento, già 485 famiglie della zona di
Manzini lavorano con l’azienda Eswatini Honey.
Sinawe gestisce 31 sciami di api. Suo zio Robert
lo aiuta e cerca di fare in modo che tutto proceda
bene. È necessario controllare le arnie una volta al
mese. A volte accade che uno sciame diventi trop-
po piccolo. L’apicoltore deve anche intervenire af-
finché le api si riattivino. Sinawe e suo zio hanno
imparato queste tecniche nel corso del laboratorio.
Quando svolgono il loro lavoro indossano sempre
abiti protettivi e già dal ronzio che sentono sanno
come devono comportarsi con le api. Nello Swazi-
land gli alveari vengono controllati abitualmente
di sera, quando è buio. Ogni tre mesi un incaricato
della Eswatini Honey viene a ritirare il miele. Per
ogni chilogrammo di prodotto raccolto, le fami-
glie ricevono 19,50 emalangeni, che corrispondono
a circa 1,50 euro. L’acquisto è garantito.
Con la marmellata della mamma
Come aiutare le madri nubili
a sperimentare con ingegno
e soddisfazione nuovi prodotti
per il commercio equo-solidale
Vasetti di marmellata a perdita d’occhio. Sullo
sfondo si vede una donna intenta a mescolare il
contenuto di una pentola enorme con un cucchiaio
di legno grande come una scopa. Si sente un aroma
di frutta.
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ESWATINI KITCHEN
La piccola impresa “Eswatini Kitchen” è stata fondata nel 1991 dal salesia-
no padre Larry McDonnell nell’ambito del programma “Manzini Youth Care”.
Questo progetto si propone di aiutare in vario modo tante persone in difficoltà
che vivono a Manzini: il programma comprende la gestione di case per bambi-
ni di strada, scuole, centri di formazione professionale e per il tempo libero, at-
tività per i giovani e in particolare per madri nubili. L’idea di “Eswatini Kitchen”
è stata un successo. Non è però facile gestire un’attività che in qualche modo
deve essere competitiva. La “Eswatini Kitchen” sarà dunque ceduta a una cop-
pia di imprenditori privati, ma i salesiani di don Bosco
manterranno una quota della
società e porteranno
dunque avanti l’idea
sociale di base.
“Eswatini Kitchen” significa “Cucina dello Swa-
ziland”. Al momento vi lavorano 16 dipendenti.
C’è stato un periodo in cui la cucina ne impiegava
il doppio: la crisi ha colpito anche lo Swaziland.
In questa impresa lavorano soprattutto donne con
scarsi mezzi economici. Molte sono madri nubili.
Il trattamento economico per le donne che lavora-
no qui è buono, rispetto agli standard dello Swazi-
land: guadagnano 3500 emalangeni al mese, equi-
valenti a circa 300 euro. Nella “Eswatini Kitchen”
frutta e verdura sono trasformate in confetture,
salse e condimenti piccanti. Tutte le lavorazioni
sono compiute a mano. La frutta e la verdura pro-
vengono da agricoltori locali.
Le condizioni di lavoro sono buone. L’orario di
servizio, che si svolge dal lunedì al venerdì, co-
mincia alle 7,30 e termina alle 16,30. Il gestore
permette alle di-
pendenti di elabo-
rare e provare nuove
ricette. Pereko e le
altre madri sperimentano volentieri. Sono state
ad esempio così inventate la marmellata di ananas
e mango e quella di arancia e cannella. In prece-
denza questi sapori non erano noti nello Swazi-
land. E dato che le dipendenti sono impegnate in
prima persona nell’elaborazione di nuove prepa-
razioni, spesso con le “loro” creazioni cucinano
a casa nuovi piatti per le loro famiglie, per amici
e parenti come fanno al lavoro. Pereko apprezza
in particolare la salsa “Swazi Fire” (Fuoco del-
lo Swaziland), che, come indica il suo nome, è
piccantissima. Ogni giorno sono proposti nuovi
compiti. A volte si deve cucinare, arriva poi il mo-
mento di trasferire i prodotti nei barattoli o nelle
confezioni, che devono essere quindi etichettati.
Durante il lavoro è possibile parlare e ridere. E si
inventano nuove marmellate.
Grazie ai salesiani,
la piccola impresa
‘Eswatini Kitchen’
dà lavoro a donne
in situazione
difficile e
costituisce
un esempio per
molte altre.
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L’INVITATO
PIOTR SZELAG
Hanno fatto sorridere anche don Rua
I meravigliosi
gemelli
Kruczek DonRobertedonLeszek
Kruczek, fratelli gemelli
e salesiani dal 1991,
hanno realizzato molte
opere pittoriche e
scultoree con uno stile
sorprendentemente
originale e affascinante.
Don Robert e don Leszek sono specializzati
in capolavori “a quattro mani”.
Preti, salesiani e artisti.
Come riuscite a mettere
insieme tutte queste
“vocazioni”?
Con l’aiuto del Signore e con il favore
dei Superiori «ce la facciamo».
Qual è l’opera a cui siete
più affezionati?
Non c’è tempo per rimanere affezio-
nati a un’opera particolare. Ne finiamo
una e subito dobbiamo cominciarne
un’altra. È così da 11 anni ormai. Però
torniamo a quelle che dal punto di vi-
sta soggettivo sembrano più riuscite,
per quanto riguarda sia la forma sia la
composizione, ma è difficile parlare di
attaccamento. Con il passare del tem-
po riusciamo a percepire degli errori
che magari altri non vedono, così da
provocare un po’ di insoddisfazione e
voglia di migliorare sempre.
Come nasce l’ispirazione?
Quando riceviamo la richiesta di un
quadro, una scultura o dell’interno di
una chiesa, allora succede che uno di
noi subito ha l’idea di come realizzare
questo progetto. Altre volte ci vuole
tempo, anche parecchio tempo, per-
ché nasca e maturi l’ispirazione. Suc-
cede pure che l’idea di realizzazione
diventa un “brainstorming”. Più di
una volta la migliore ispirazione nasce
in cappella, davanti al Santissimo. Si-
curamente si tratta di un soffio dello
Spirito, al quale aprirsi.
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Andate sempre d’accordo?
Ogni tanto bisticciamo, però si trat-
ta più di un vivace scambio di idee,
che di uno scontro ostinato. Alla fine
però ci mettiamo sempre d’accordo
molto in fretta.
Come avete scoperto
la vostra stupenda
vena creativa?
In realtà ogni talento è una specie di
miracolo nella vita di un uomo. Non
ci ricordiamo quando è iniziata la
nostra avventura con l’arte. Però già
da piccoli cominciavamo a realizzare
qualcosa. Innanzitutto con disegni
sui muri con i pastelli, come tutti i
bambini, e così fino a oggi.
Com’è nata la vostra
vocazione salesiana?
La nostra vocazione è nata dopo gli
esercizi spirituali nell’ultimo anno
scolastico mentre frequentavamo la
scuola salesiana di Oswiecim. Era
come un sigillo sulle nostre personali
decisioni che germogliavano in ognu-
no di noi separatamente.
Accanto al titolo: Il don Rua sorridente della
Pisana. Qui accanto: Opere che nascono
e opere finite.
Che cosa ne pensò
la vostra famiglia?
All’inizio con incredulità (salvo la
mamma). Successivamente però ab-
biamo ricevuto un enorme sostegno
spirituale.
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2.2 Page 12

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L’INVITATO
Il titolo di questa intervista
potrebbe essere:
«I meravigliosi gemelli
Kruczek: hanno fatto
sorridere anche don Rua».
Vi piacerebbe? Perché
i vostri personaggi sono
sempre sorridenti?
Questo titolo ci piace, però parlare
di meravigliosi è esagerato visto che
tutto quello che abbiamo è dono di
Dio e nostro compito è quello di traf-
ficare i talenti ricevuti. Perché i nostri
personaggi sorridono? Certamente è
un ricordo consapevole di come era
la nostra casa, in cui era ed è sempre
presente il sorriso. Ma c’è anche un
secondo motivo: la nostra missione
evangelizzatrice, la quale, come sot-
tolinea papa Francesco nell’esorta-
zione Evangelii Gaudium, deve essere
portatrice di gioia. Con Gesù Cristo
sempre nasce e rinasce la gioia. Per-
ché non entrare anche noi in questo
fiume di gioia?
A che cosa state lavorando?
Quali sono i progetti che
più vi stanno a cuore?
In questo momento stiamo preparan-
do l’ottava statua, a dimensione natu-
rale, del beato Giovanni Paolo II per
la città di Elblag. In seguito dobbiamo
L’ottava statua a dimensione naturale del Beato
Giovanni Paolo II, realizzata dai geniali fratelli
Kruczek.
12
Marzo 2014

2.3 Page 13

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a quelli che non leggono più nulla,
specialmente ai giovani. E come la
parola scritta è un’invenzione dell’uo-
mo, così l’immagine è qualcosa di
naturale e di conseguenza universale
nella comunicazione. La capiscono
tutti, anche se sono analfabeti o pro-
vengono da un’altra nazione. I quadri
vengono “toccati” da migliaia di oc-
chi, sia quelli edificanti sia quelli che
non lo sono. È l’occhio che forma i
nostri gusti e piaceri nei vari campi,
perciò anche nell’evangelizzazione
l’immagine ha un notevole signifi-
cato. Dovrebbe essere come un libro
aperto che invita ad essere letto o al-
meno sfogliato, e di conseguenza por-
tare alla riflessione, e magari, Dio lo
voglia, al cambiamento della vita.
Un’Annunciazione. «Nell’evangelizzazione
l’immagine ha un notevole significato».
Un’altra statua fortemente realistica del pontefice
polacco.
pensare ai quadri di don Bosco, Do-
menico Savio e Laura Vicuña per il
nostro santuario mariano di Szczyrk;
poi la Via Crucis per la nostra chie-
sa a Lublin, i busti del vescovo Al-
bin Malysiak e del sac. W. Gargacz,
martire del comunismo per il parco di
Jordan a Cracovia; l’ornamento della
chiesa salesiana a Rzeszow e tanti al-
tri lavori.
Che cosa significa per voi:
«Evangelizzare
con le immagini»?
Viviamo nella civiltà dell’immagi-
ne. Da tutte le parti ci imbattiamo
in forme che colpiscono i nostri oc-
chi. Attraverso di essi si può arrivare
Marzo 2014
13

2.4 Page 14

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FINO AI CONFINI DEL MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
LETTONIA
Un invito
a portare
il carisma
di don Bosco
CAMBOGIA
Un evento
pieno d’amore,
gioia
e amicizia
(ANS - Riga) – La
Congregazione salesiana sta valutando la
possibilità di avviare una presenza salesiana
in Lettonia, in risposta all’invito dell’arcive-
scovo di Riga, mons. Zbigniew Stankiewicz.
Dallo scorso ottobre don Thomas Zielonka,
salesiano polacco, si trova nel paese baltico,
nel villaggio di Cesvaine, dove studia la lin-
gua lettone, serve nella parrocchia diocesana
e predispone le attività per il possibile arrivo
di una comunità. L’invito dell’arcivescovo è
quello di guidare una casa per ragazzi (già
in funzione), un centro educativo (ancora da
completare) e la casa di spiritualità diocesana,
oltre ad altre eventuali opzioni ancora da va-
lutare. Di questo tema si sta parlando anche
al Capitolo Generale 27, cosicché, se appro-
vata, la presenza salesiana in Lettonia potrà
cominciare in modo ufficiale dal prossimo
settembre 2014. Intanto quest’anno, per la
prima volta, a Cesvaine, si è celebrata la festa
di don Bosco.
PERÙ
Lavorando
insieme
per i Sogni
e i Valori
(ANS - Lima) – Il 17
gennaio il tenore peru-
viano Juan Diego Flórez
ha inviato una lettera di
ringraziamento ai sale-
siani per il sostegno da
loro offerto a “Sinfonia
per il Perù”, un’organiz-
zazione impegnata nella
formazione musicale
dei bambini bisognosi
di tutto il paese, che
ha ottenuto anche il
premio “World Econo-
mic Forum”. “Accolgo
il premio anche a nome
vostro – ha scritto il te-
nore Flórez. – Lavoriamo
utilizzando il potere della
musica per formare ai
valori, ad abitudini e ad
atteggiamenti positivi. In
questa occasione voglia-
mo rinnovare il nostro
impegno con i salesiani
del Perù, il cui prestigio è
associato a questa causa
alla quale ci dedichiamo
e che facciamo crescere
anche a nome vostro”.
(ANS - Battambang) – Il 24 gennaio, festa
di san Francesco di Sales, c’è stata grande
gioia a Battambang per una grande festa
organizzata dal salesiano don Leo Ochoa,
sdb. La celebrazione è iniziata con una messa
di lode a Dio per i doni di san Francesco di
Sales e di don Bosco. Quindi don Ochoa,
che oltre ad essere direttore delle due scuole
salesiane della città è anche responsabile del
“Don Bosco Children Fund” della Cam-
bogia, ha benedetto le vetture della scuola,
le moto degli insegnanti, le biciclette degli
studenti, una nuova mini-palestra – realiz-
zata grazie al patrocinio della Kindermis-
sionswerk della Germania e la Kinderfonds
dei Paesi Bassi – e un campo da basket
– ottenuto con il patrocinio della ymca
di Singapore. Terminata la cerimonia, gli
insegnanti hanno avviato le attività ludiche
e sportive; la giornata si è conclusa con il
pranzo, in un’atmosfera salesiana d’amore,
gioia e amicizia.
14
Marzo 2014

2.5 Page 15

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GIAPPONE
Don Cimatti
ancora ci parla
(ANS - Tokyo) –
Sono state recente-
mente rese pubbliche delle audio-registra-
zioni di Esercizi Spirituali che il venerabile
don Vincenzo Cimatti, sdb, predicò nel
1955 ai giovani dello studentato salesiano
di Chofu, vicino Tokyo. Le riflessioni,
espresse in italiano – dato che gli allievi lo
comprendevano – furono registrate su na-
stro magnetico ad insaputa del venerabile da
parte di don Federico Baggio, all’epoca mis-
sionario in Giappone. Le 3 bobine sono poi
state consegnate nel 2005 a don Gaetano
Compri, collaboratore della causa di mons.
Cimatti, quindi riversate su cd e trascritte
e attualmente sono conservate nel Museo di
don Cimatti a Tokyo. La registrazione è di
buona qualità e la voce del venerabile appare
vivace, piena di energia e calore. Don Ci-
matti (1879-1965) è un autorevole rappre-
sentante della prima tradizione salesiana; in
questo anno dedicato alla spiritualità di don
Bosco, l’incontro con i suoi insegnamenti
spirituali costituisce un grande dono e una
risorsa.
BRASILE
Esperienza
missionaria
giovanile
(ANS - Guiratinga) – Dal 3
al 26 gennaio 8 giovani di
varie opere dell’Ispettoria
di San Paolo, Brasile,
hanno preso parte alla
Spedizione Missionaria
ispettoriale 2014, che ha
avuto come sua destina-
zione l’opera missionaria di
Guiratinga, nel Mato Gros-
so. I missionari si sono
dedicati ad accompagnare
i bambini e gli adolescenti
della Pastorale giovanile
e gli studenti delle scuole
municipali e statali,
attraverso attività ricreative
e sportive e laboratori di
danza, musica e teatro.
In precedenza, durante
tutto il 2013, i missionari
avevano partecipato ad uno
specifico corso di forma-
zione. “Il nostro obiettivo è
stato comprendere la realtà
giovanile di Guiratinga e
portare un po’ del carisma
di don Bosco” ha detto
João Gabriel Galhoti Pinto,
seminarista salesiano,
responsabile del gruppo.
NIGERIA
Salesiani e
giovani insieme,
forgiando
la speranza
(ANS - Akure) – Il 2014 si è aperto con
delle belle novità per la scuola professionale
salesiana di Akure. Il settore della saldatura
meccanica, a motivo delle crescenti richie-
ste di mercato, è stato ampliato e sono state
acquistate 20 nuove saldatrici per 50 studen-
ti. Inoltre, mettendo assieme tutti i risparmi
della scuola, le offerte speciali della parroc-
chia e le donazioni di diversi benefattori, è
stato acquistato un generatore elettrico, che
permette di ovviare alla precarietà dell’eroga-
zione elettrica. E attualmente si può guarda-
re al futuro con speranza: “Quello che ci apre
il cuore è che le opere iniziate trent’anni fa si
mantengono, si sviluppano e si moltiplicano,
grazie ai salesiani africani che stanno pren-
dendo gradualmente i posti di responsabilità,
con l’entusiasmo e la creatività che è loro
propria” ha affermato don Italo Spagnolo,
Direttore della comunità.
Marzo 2014
15

2.6 Page 16

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FMA
ELEONORA PEROLINI
Musica, ragazzi!
“Una casa senza musica
è come un corpo senza
anima” diceva don Bosco.
Il progetto Musicainsieme
partito vent’anni fa da
una casa salesiana, con
uno straordinario metodo
innovativo ha donato a
più di quattromila ragazzi
il gusto della bellezza e
dell’armonia
A cqui Terme. È lunedì e
l’entrata dell’Istituto Santo
Spirito delle Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice è gremita di
genitori che accompagnano
i propri figli alla scuola pri-
maria. Ogni bambino entra accolto
A sinistra: Il maestro Alessandro Buccini, anima
del progetto.
amorevolmente dalle suore e prosegue
fino alla propria classe. Alcuni arriva-
no con lo strumento mu-
sicale e, prima di salire
in classe, lo depositano
nella bella sala dell’Istitu-
to Musicale Mozart2000, un’as-
sociazione che da più di vent’an-
ni affianca i ragazzi salesiani nelle
sedi di Alessandria e Acqui Terme.
L’anima concreta dell’associazione è
Alessandro Buccini, violinista, violi-
sta, compositore: una vita dedita alla
musica e soprattutto ai ragazzi.
È lui che racconta: «Ho sempre sen-
tito questa inclinazione a spiegare in
modo semplice e divertente ai ragazzi
anche quelle parti più ostiche dell’ap-
prendimento musicale.
Grazie alla mia attività di concertista
in tutto il mondo mi sono documen-
tato sui vari metodi esistenti e pre-
sentai un progetto alla direttrice del
Santo Spirito, che ne fu entusiasta e
mi disse una frase di don Bosco: “Una
casa senza musica è come un corpo
senza anima”.
In un primo momento il progetto
Musicainsieme partì solo in ambito
extracurricolare con una decina di al-
lievi, e costruimmo le fondamenta del
futuro metodo musicale Mozart2000
utilizzato oggi nella scuola. Nel 1994,
estendemmo l’attività in ambito cur-
ricolare, e l’anno dopo anche nella
scuola media. Moltissime altre scuole
16
Marzo 2014

2.7 Page 17

▲back to top
chiesero di entrare nel progetto.
Oggi, nelle nostre 4 sedi abbiamo più
di 700 allievi, una ventina di inse-
gnanti, abbiamo seguito nel percorso
didattico oltre venti ragazzi che oggi
sono laureati in conservatorio e hanno
un lavoro in ambito musicale e un’al-
tra decina che stanno terminando gli
studi presso i conservatori statali.
Qual è il cuore di questo metodo?
«La musica è un linguaggio vero e
proprio, essendo un linguaggio pri-
ma si impara a parlarlo e dopo si im-
para a scriverlo. Questa è la metodo-
logia che attuiamo, prima si impara
a suonare e subito dopo si impara a
leggere e a scrivere quello che si sta
facendo. Dopo le sole quattro lezio-
ni di prova gratuite sono in grado di
fare un piccolo concerto dimostra-
tivo per il pubblico. In seguito tutti
i giovani alunni affiancheranno lo
studio della tastiera allo strumento
prescelto, in quanto strumento fon-
damentale armonico.
Due orchestre
e il “Tango dei pinguini”
Abbiamo dato vita anche a un’orche-
stra classica e a un’orchestra ritmico-
sinfonica che prevede l’inserimento di
strumenti come la batteria, la chitarra
elettrica e il basso elettrico che si van-
no a sommare agli strumenti ad arco
per fare un organico completo. Natu-
ralmente con i ragazzi che suonano il
repertorio moderno abbiamo creato
delle rock-band.
L’orchestra viene impiegata in tutte le
manifestazioni più importanti della
scuola e in manifestazioni umanitarie
come Telethon e nelle ricorrenze sa-
lesiane come la festa di san Giovanni
Bosco, Maria Ausiliatrice e la Festa
del Grazie.
Ho scritto più di 2000 composizioni
per i miei ragazzi, come “L’asinello
dormiglione”, “Tango dei pinguini”,
“Il leopardo freddolone”, “Il gatto in-
namorato”, e molte altre. Con il mio
metodo l’allievo canta, assimila i va-
lori ritmici e intanto suona e quindi
si diverte!»
Quanti allievi sono passati dall’asso-
ciazione Mozart2000 in vent’anni?
«Credo circa 4000, di cui alcuni la-
vorano con me in prestigiose orche-
stre italiane. La cosa più importante è
quella di aver cercato di dare ai ragazzi
il gusto del bello soprattutto interiore.
La musica è bellezza, armonia, perfe-
zione e ho molti allievi che oggi sono
medici, avvocati, architetti che, pur
non essendo musicisti, continuano a
suonare in maniera ludica il violino e
lo sentono come una parte importante
della loro vita. Ogni tanto mi raggiun-
gono a scuola e si mescolano in gruppo
con gli attuali allievi. Queste sono le
peculiarità del mondo salesiano, un
allievo è sempre benvenuto, trova in
ogni momento una porta aperta. Ed
è questa la vera forza di queste scuole,
che alla formazione culturale completa
aggiungono l’insegnamento di valori
interiori che diventano il patrimonio
personale del bambino. Le scuole Sa-
lesiane sono la famiglia di tanti ragaz-
zi, di conseguenza, come in ogni fami-
glia che si rispetti, si studia, si gioca, e
si suona…».
Gli allievi del Santo Spirito delle FMA di
Acqui durante le prove e (in alto) durante un
recital-concerto.
Marzo 2014
17

2.8 Page 18

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A TU PER TU
JOHN CHRISTY
Riaccendere Ildinamicodirettore
del “Don Bosco Institute
of Computer science”
di Yellagiri Hills è autore
il fuoco
di una tesi “rovente”
sulla vita religiosa
Incontro con
Don Stanislaus Swamikannu
Può presentarci una sua
breve biografia?
Mi chiamo Stanislaus Swamikan-
nu e faccio parte dell’Ispettoria
di Chennai, in India. Dopo aver
studiato presso i French Foreign
Missionaries (una Congregazione
Missionaria francese), sono entrato
nell’aspirantato salesiano nel 1975.
Ho conseguito la laurea in teologia
e un dottorato in filosofia presso
l’Università Cattolica di Louvain,
in Belgio. Ho svolto l’incarico di
insegnante nel post noviziato, poi
sono entrato a far parte della dire-
zione dell’Ispettoria come Vicario
dell’Ispettore e poi come Ispettore.
In qualità di Presidente dell’orga-
nizzazione della regione indiana del
Tamil Nadu “Puducherry Catholic
Religious India (tnpcri)”, sono ve-
nuto a contatto con molti religiosi,
uomini e donne, giovani e anziani,
appartenenti e diverse Congregazio-
18
Marzo 2014
Don Stanislaus con il Rettor Maggiore e il Vicario
e (in alto) mentre benedice i fedeli.

2.9 Page 19

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ni. Attualmente sono Direttore del
“Don Bosco Institute of Computer
science” a Yellagiri Hills, nella re-
gione del Tamil Nadu.
La relazione che ha
presentato al Capitolo
Ispettoriale si intitola
“Ateismo pratico
della vita consacrata
nel mondo post-moderno”.
Che cosa significa?
È diffusa la sensazione che la vita
consacrata stia attraversando un pe-
riodo di crisi. La causa più importan-
te di questa crisi è costituita da una
silenziosa e sottile forma di disatten-
zione nei confronti dei valori ricchi
e profondi di cui la vita consacrata è
portatrice per la nostra vita quotidia-
na. Mutuando il concetto di “ateismo
pratico”, vorrei sottolineare questo
aspetto. Non dobbiamo cercare all’e-
sterno le ragioni della crisi in corso.
Noi stessi siamo la causa di questa
crisi.
Molte persone permangono nella vita
consacrata per ragioni diverse da quelle
che hanno dichiarato pubblicamente.
Ho visto in san Giovanni Bosco
il Gesù dei Vangeli
la Chiesa e dai numerosi scrittori che nostre parole, parlano le nostre azioni
hanno trattato il tema. In altri termi- e la nostra vita. La nostra congrega-
ni, c’è un “ateismo pratico” (una di- zione è prosperata in virtù di questa
sattenzione se non un rifiuto sottile e grazia della testimonianza dei suoi
silenzioso) della vita consacrata.
primi membri. Siamo chiamati a di-
ventare di nuovo testimoni credibili
Che cosa propone per
del Regno di Dio, del suo amore e
uscire da questa condizione della sua attenzione per i poveri.
di ateismo pratico?
Come antidoto all’ateismo pratico Perché ha deciso di
della vita consacrata, propongo tre diventare salesiano?
strade: la grazia dell’unità, un buon Questa scelta è stata naturale, per-
equilibrio tra gli aspetti carismatici e chè è nata nel contesto della fede
quelli profetici della nostra vita con- profonda dei miei genitori e del mio
sacrata, la grazia del servizio generoso impegno nelle attività parrocchiali.
e disinteressato e la grazia della testi- La persona di don Bosco, che per me
monianza concreta ed efficace.
era solo un nome, prima che inizias-
La nostra vita consacrata ha una di- si a frequentare la scuola salesiana, è
mensione pubblica. Nulla è “privato” diventata una persona che ha ispira-
come potremmo attenderci. Più delle to e motivato la mia ricerca. Ho visto
Su quali basi argomenta
queste considerazioni?
Molti religiosi accettano a livello teo-
rico ciò che si dice sulla vita consa-
crata, ma, quando entra in gioco l’e-
sistenza nel quotidiano, è difficile
riscontrare segni dei ricchi contenuti
teorici che le sono stati conferiti dal-
Don Stanislaus predica un ritiro: «Siamo chiamati
a diventare testimoni credibili del Regno di Dio».
Marzo 2014
19

2.10 Page 20

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A TU PER TU
in san Giovanni Bosco il Gesù dei
Vangeli. Il mio obiettivo di diventa-
re sacerdote e religioso si è tradotto
in realtà grazie a persone esemplari
che ho incontrato nel corso degli anni
della mia formazione. Erano uomini
generosi che vivevano per noi. Volevo
semplicemente seguire il loro esempio
nel servizio ai giovani.
un fuoco nella Chiesa! Tante persone
che a poco a poco si erano allontana-
te dalla Chiesa vedono un barlume di
speranza grazie a lui. Dobbiamo la-
sciarci illuminare dal fuoco di Gesù
espresso dal nostro amato fondatore
san Giovanni Bosco. Solo così pos-
siamo accendere un fuoco nel mondo
dei giovani.
Che cosa si aspetta
dal 27° capitolo generale?
Vorrei che i membri capitolari sen-
tissero accendere un fuoco nel loro
intimo. Dopo tutto, questa è stata la
missione di Gesù su questa terra. “Io
sono venuto ad accendere un fuoco
sulla terra e vorrei davvero che fosse
già acceso”. Una persona, papa Fran-
cesco, ci indica il cammino! Accende
Che cosa propone?
Ho alcune proposte per il 27° capitolo
generale. Primo: dovrebbe essere pre-
visto un maggior decentramento delle
ispettorie nell’ambito delle missioni e
della formazione, ovviamente con un
coordinamento centrale che preveda
la necessaria flessibilità. Secondo:
occorrerebbe affrontare in modo ap-
profondito la situazione dei confra-
telli laici nella congregazione. Terzo:
la Chiesa del futuro dovrà essere una
“Chiesa dei laici”. Dobbiamo formar-
li e permettere loro di condividere la
nostra missione al nostro stesso livel-
lo, mentre noi siamo ancora attiva-
mente impegnati nel ministero, e non
considerarli “supplenti” quando siamo
a corto di salesiani. Infine: gestiamo
varie strutture per i poveri, ma le no-
stre poche istituzioni al servizio del-
le persone benestanti hanno indotto
il grande pubblico a ritenere che noi
serviamo i ricchi e siamo interessa-
ti al denaro. Per compiere un gesto
profetico, dobbiamo avviare una seria
discussione sul significato e sull’esi-
stenza di queste istituzioni.
Come vede il futuro della
Congregazione Salesiana
in India?
A livello ecclesiale, riceviamo gran-
de plauso da parte dei pastori della
Chiesa e di altri religiosi. La nostra
opera al servizio delle persone pove-
20
Marzo 2014
«Dobbiamo cercare modalità creative per metterci
al fianco dei giovani poveri e abbandonati».

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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re e abbandonate, in particolare per i
bambini di strada, per i giovanissimi
fuggiti di casa, per i figli dei detenuti,
i giovani a rischio, i giovani immigra-
ti, hanno suscitato l’attenzione della
Chiesa, oltre che del pubblico. La real-
tà delle vocazioni è frutto della mis-
sione portata avanti con impegno dai
salesiani. Abbiamo salesiani qualifi-
cati in vari ambiti che compiono tante
opere al servizio dei giovani in India.
In India brillano vari segni di spe-
ranza, ma dobbiamo prestare atten-
zione alla qualità della vita religiosa e
l’impegno a seguire in modo radicale
il carisma del nostro fondatore. Que-
sto richiede un grande cambiamento
dello stile di vita e nell’atteggiamento
diffuso a livello istituzionale. Molti di
noi vivono come i sacerdoti del tempo
di don Bosco e non come don Bosco
viveva al suo tempo. Don Bosco era
molto all’avanguardia rispetto ai suoi
contemporanei, nel modo di vivere la
sua missione al servizio dei giovani,
mentre noi, suoi figli spirituali, siamo
indietro rispetto ai nostri contempo-
ranei, nella ricerca di modalità crea-
tive per metterci a fianco dei giovani
poveri e abbandonati. Forse non ci
rendiamo sempre conto che a volte
serviamo le istituzioni, più dei pove-
ri per i quali le istituzioni sono state
create. Il futuro dei salesiani in India
non sta nelle istituzioni consolidate,
ma nel nostro contributo che possia-
mo offrire ai giovani come persone
consacrate.
L’opera di Yellagiri Hills è ricca di molti progetti
e molteplici iniziative.
Marzo 2014
21

3.2 Page 22

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INVITO A VALDOCCO
B.F.
Il cuore
antico
Foto di Mario Notario
1
2
1
ITINERARIO
1. La cappella Pinardi
2. La casa Pinardi
1. La cappella Pinardi
L a più bella Pasqua di don
Bosco. Il signor Pinardi
fece entrare don Bosco sotto
la tettoia per una porta po-
steriore (chiusa adesso dal-
la grande lapide di fondo).
Disse: «Ecco ciò che ci vuole per il
suo laboratorio». E don Bosco: «Ma
io voglio fare un oratorio, cioè una
piccola chiesa dove portare i miei
ragazzi a pregare». Intanto guarda
in giro: era solo una povera tettoia,
bassa, appoggiata al lato nord della
casa Pinardi. Un muretto tutto in-
torno la trasforma-
va in una specie di
baracca o stanzo-
ne. Misurava metri
15 × 6. Don Bosco
disse: «Troppo bas-
sa, non mi serve».
Ma Pinardi: «Fa-
rò abbassare il pa-
vimento di mezzo
metro, farò il pavi-
mento di legno, metterò porte e fine-
stre. Ci tengo ad avere una chiesa».
22
Marzo 2014

3.3 Page 23

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Don Bosco pagò 300 lire per un anno:
per lo stanzone-tettoia e la striscia di
terra intorno, dove far giocare i suoi
ragazzi.
Tornò di corsa ai suoi ragazzi e gridò:
«Allegri! Abbiamo trovato l’oratorio!
A Pasqua ci andremo: è là, in casa del
signor Pinardi!». Il 12 aprile era do-
menica di Pasqua. Tutte le campane
della città squillarono a festa.
Alla tettoia non c’era nessuna cam-
pana, ma c’era il cuore di don Bosco
che chiamava tutti quei ragazzi, che
arrivarono a centinaia.
L’interno
Entrando nella cappella, vediamo
sulla destra la statua di Maria Con-
solatrice. È la prima statua che don
Bosco comperò per la sua prima
chiesa. Non è di legno né di metal-
lo, troppo cara. È di cartapesta. Gli
costò 27 lire (la paga di un operaio
meccanico in quel tempo era di due
lire al giorno). La statua originale si
trova nelle camerette. Nelle feste, i
ragazzi portavano quella statua in
processione «nei dintorni». I dintor-
ni erano vastissimi prati e campi, po-
chissime casupole, e due osterie dove
gli operai della periferia si ubriaca-
vano regolarmente nel pomeriggio di
ogni domenica. Questo fatto distur-
bava, specialmente d’estate quando
bisognava tenere aperte le finestre
della chiesetta. Durante la predica si
sentivano i canti e gli urli degli ubria-
chi. A volte risse furibonde copriva-
no la voce del predicatore. Qualche
volta don Bosco perdeva la pazienza,
scendeva dal pulpito, si toglieva cotta
e stola e correva all’osteria a pestare
pugni sul tavolo e a gridare che ades-
so chiamava i carabinieri. Otteneva
un silenzio sbigottito.
Uscendo dalla Cappella Pinardi, si sfiora con il braccio destro la minuscola
sacrestia. È il locale strettissimo in cui, nel 1853, don Bosco collocò il primo
laboratorio dei calzolai: due deschetti e quattro seggioline. Non ci stava di
più (don Bosco non aspettò mai di avere i «locali adatti» per cominciare
qualcosa: starebbe ancora aspettando adesso!). Don Bosco si sedette al de-
schetto e martellò una suola davanti a quattro ragazzini. Poi disse: «Adesso
provate voi».
Marzo 2014
23

3.4 Page 24

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INVITO A VALDOCCO
La tettoia Pinardi fu usata come cap-
pella per sei anni, cioè fino al 20 giu-
gno 1852, data di inaugurazione del-
la chiesa di San Francesco di Sales.
Venne quindi adibita a sala di studio
e di ricreazione e anche a dormitorio
fino al 1856, quando la si demolì in-
sieme a casa Pinardi.
Sull’area occupata dall’antica chie-
setta venne ricavato un vano adibito
a refettorio per don Bosco e i primi
salesiani. Alla sua povera mensa si
sedettero tanti amici e benefattori,
tra cui Giuseppe Sarto e Achille
Ratti che diventeranno rispettiva-
mente Pio X e Pio XI (cf odb 80).
I superiori maggiori della Congre-
gazione utilizzarono questo refetto-
rio fino al 1927. In quell’anno don
Filippo Rinaldi, terzo successore di
don Bosco, volle che l’ambiente fos-
se trasformato in cappella, a ricordo
della primitiva chiesetta dell’Ora-
torio.
La cappella, inaugurata il 31 gen-
naio 1928, viene chiamata ancor oggi,
anche se impropriamente, Cappella
Pinardi.
Sulla parete dietro l’altare, una tela
del pittore Paolo Giovanni Crida
rappresentante la Risurrezione di
Cristo, ricorda la Pasqua 1846, gior-
no in cui don Bosco inaugurò l’antica
cappella Pinardi.
2. La casa Pinardi
Piccola, ma tutta sua. II 5 giu-
gno 1846 don Bosco ottene-
va in subaffitto da Pancrazio
Soave tre camere attigue,
al piano superiore di casa
Pinardi, verso levante. Il 3
novembre di quello stesso anno, don
Bosco si trasferisce nelle stanzette di
casa Pinardi, lasciando definitiva-
mente abitazione e lavoro presso l’o-
pera della Barolo. Con lui c’è Mamma
Margherita, che ha seguito il figlio,
che ora è senza impiego e senza al-
cun introito. Ma nulla spaventava don
Bosco, che il primo dicembre prese in
affitto tutta la casa Pinardi, con il ter-
reno circostante.
La casa aveva la facciata rivolta a
mezzogiorno, e solo da questo lato
aveva porte e finestre. La parte ad uso
abitazione era composta di un piano
terreno e di un piano superiore mol-
to bassi, ed occupava lo spazio degli
attuali portici presso la chiesa di san
Francesco di Sales per una lunghezza
di poco più di 20 metri e 6 di larghez-
za. L’altezza della casa non oltrepas-
sava i sette metri.
A metà circa, in faccia alla scala, si
24
Marzo 2014

3.5 Page 25

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apriva un stretta porta d’entrata,
presso la quale all’esterno, dalla par-
te di levante, era fissata al muro una
vasca di pietra con una pompa che
gettava acqua abbondante e fresca. È
l’umile testimone, oggi malridotto e
mortificato, dei primi tempi e dei pri-
mi ragazzi di don Bosco. Lui stesso
scrisse: «Butta acqua abbondante, fre-
schissima e salubre». Ora butta quella
dell’acquedotto torinese. Qui i ragaz-
zi venivano a «bagnare la pagnotta»
della colazione e della merenda. L’ac-
qua era il solo companatico.
La casa aveva una dozzina di stanze.
Nell’interno del pian terreno, dietro
alla pompa, una porticina immetteva
in una stanzetta oblunga con una sola
finestra, che servì in seguito anche da
sala da pranzo a don Bosco e ai suoi
primi collaboratori. Un ballatoio di
legno correva per tutta la lunghezza
della facciata.
Accanto alla casa Pinardi, sul luogo
ove ora sta l’androne che immette dal
primo al secondo cortile, c’era un al-
tro poverissimo locale più basso che
occupava quasi tutto il fianco del-
la casa (all’estrema destra nei disegni).
Composto di due vani uguali, uno
serviva da stalla e l’altro da legnaia.
Sopra c’era lo spazio per il fienile. Fu
proprio in questo fienile che una sera
d’aprile del 1847, don Bosco mise a
dormire alcuni poveri giovani senza
tetto, che il mattino dopo se la svi-
gnarono portando via anche le len-
zuola e le coperte che aveva loro dato
Mamma Margherita. Altri, dopo di
loro, fecero anche peggio: «La stessa
paglia fu involata e venduta» scrisse
don Bosco, che naturalmente nean-
che questa volta si scoraggiò. Anzi.
Trasformò questa tettoia in una sola
stanza abbastanza vasta, da servire
per le accademie e per le recite tea-
trali, specialmente nella cattiva sta-
gione, quando non poteva servire il
palco che veniva collocato all’aperto,
nel cortiletto accanto alla cappella. Fu
il primo teatrino dell’Oratorio!
Il prof. Raineri, uno dei primi allie-
vi che frequentò l’Oratorio dal 1846
al 1853, ricorda: «Nel pomeriggio
d’una domenica del 1851, dopo una
lotteria, don Bosco dal balcone del-
la povera casa Pinardi aveva gettato
abbondantemente in mezzo ai gio-
vani, confetti e caramelle. Disceso
quindi in cortile, dove regnava la più
grande allegria, fu attorniato, pre-
so ed alzato come in trionfo. In quel
momento uno studente gli disse: “O
don Bosco, se potesse vedere tutte
le parti del mondo ed in ciascuna di
esse tanti Oratori!”. Don Bosco (par-
mi vederlo) volse intorno lo sguardo
maestoso e soave, e rispose: “Chi sa
non debba venire il giorno in cui i fi-
gli dell’Oratorio non siano sparsi per
tutto il mondo!”».
La vecchia e povera casa Pinardi con
la storica tettoia fu abbattuta nel 1856
e sostituita con l’edificio che vediamo
oggi.
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3.6 Page 26

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LE CASE DI DON BOSCO
LAURA LANA
lana.laura@libero.it
A Perugia
da 90 anni i salesiani
donano educazione
È una Perugia dalla decennale tradizione
anticlericale, in cui è ancora vivido il ricordo
della lunga e difficile dominazione pontificia,
quella che accoglie nel 1923 i Salesiani.
L’opera salesiana
inserita nel
panorama della
città.
Un arrivo comunque desiderato, grazie
all’insistenza di un Cooperatore Sale-
siano, di un gruppo di exallievi e delle
Figlie di Maria Ausiliatrice presen-
ti a Perugia, che sollecitarono in più di
un’occasione il Rettor Maggiore di allora
a portare i seguaci di san Giovanni Bosco anche
nel capoluogo umbro.
Da allora sono passati novant’anni dedicati all’i-
struzione e alla formazione di generazioni di
giovani. Novant’anni che la comunità salesiana
di Perugia – composta, a oggi, da sei confratelli
– ha voluto festeggiare lo scorso anno organiz-
zando una serie di iniziative dal duplice obiet-
tivo: benedire questo lungo pezzo di storia, ma
anche guardare al futuro e cercare di rispon-
dere ai nuovi interrogativi e bisogni dei gio-
vani. “Si sono succeduti – spiega don Tadeusz
Rozmus, direttore dell’istituto Don Bosco di
Perugia (www.donboscoperugia.it) – momenti
di riflessione sui giovani e il loro futuro spiri-
tuale e lavorativo, spazi dedicati alla preghiera
e alla devozione con l’arrivo delle reliquie di san
Giovanni Bosco, ma anche mostre, tornei di
calcio e momenti di convivialità. È stato nostro
ospite anche don Pascual Chávez Villanueva,
Rettor Maggiore dei Salesiani e nono successore
di don Bosco”.
La storia
Al loro arrivo, “nel 1923 i salesiani si stabilirono
all’istituto Penna Ricci – racconta don Giorgio
Rivosecchi, da 60 anni a Perugia – nel quartiere
di Porta Sant’Angelo del centro storico perugi-
no. A quel tempo c’era soltanto l’oratorio e il con-
vitto che, ospitando una cinquantina di ragazzi
provenienti da vari paesi limitrofi, permetteva
loro di studiare a Perugia. Nel 1959 i salesiani
si spostarono al di fuori delle mura cittadine, in
una nuova sede davanti a Porta San Giacomo,
dove sorse la scuola media e il ginnasio”. Negli
anni l’istruzione superiore offerta dai salesiani
variò, adeguandosi ai tempi e alle esigenze della
città finché nel 2010 la scuola passò in gestione
a una congregazione femminile, che l’aggregò al
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Marzo 2014

3.7 Page 27

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proprio polo scolastico eliminando le superiori e
affiancando le medie alle elementari e alla ma-
terna.
La residenza universitaria
Gli spazi lasciati liberi dalla scuola, dopo esser
stati completamente ristrutturati, ospitano oggi
la residenza universitaria, inaugurata dal Rettor
Maggiore pochi mesi fa e pronta a ospitare una
trentina di giovani venuti a Perugia per studiare
in una delle tante Università della città (Ateneo,
Università per Stranieri, Conservatorio di mu-
sica e Accademia di Belle Arti). La residenza
si compone di una trentina di stanze singole,
ampie e luminose, con bagno privato. Inoltre, i
giovani hanno a disposizione diversi spazi co-
munitari, come sale tv, sale incontri, biblioteca,
sale studio, ricreazione, lavanderia, cucinini e
spazi sportivi (campo da calcio, calcetto, pale-
stra ecc.).
I Centri di formazione
professionale
Al fianco dell’impegno nella scuola media e su-
periore, la vocazione all’educazione dei salesiani
di Perugia si è concretizzata da oltre trent’anni
nell’esperienza dei Cnos Fap, i Centri Professio-
nali dedicati alla formazione e all’apprendimento
professionale (www.cnosumbria.it), nelle tre sedi
di Perugia, Foligno e Marsciano. A partire dal
1982, i Cnos Fap offrono a ragazzi dai 16 ai 18
anni di qualificarsi in diversi settori, a seconda
delle richieste provenienti dal mercato del lavo-
ro (settore elettrico, meccanico, termoidraulico,
ristorazione, meccanici d’auto ecc.). I tre centri
trovano il loro punto di forza nell’alternanza tra
apprendimento teorico in aula e attività pratica
svolta sia in laboratorio sia attraverso stage in
aziende del territorio.
“I tre centri – spiega don Maurizio Palomba, coor-
dinatore pastorale intercentro – ospitano circa
trecento ragazzi e una ventina di corsi. I nostri
studenti provengono da ben 28 Paesi da tutto il
mondo, noi li accogliamo, li formiamo e diamo
loro un’opportunità concreta di lavoro e di futuro
grazie ai corsi professionali. Ben l’80% dei nostri
studenti trova lavoro, nella maggior parte dei casi
proprio in una delle oltre cento aziende regionali
che ospitano gli stage”.
Dallo sport all’oratorio,
l’impegno degli exallievi
Novant’anni di “semi” gettati su generazioni di
alunni hanno portato un ottimo “raccolto”. Il
gruppo degli exallievi di Perugia è uno dei più
affiatati e blasonati d’Italia, con oltre duecen-
to tesserati (si è arrivati in passato anche a 350
soci) attivi nel portare avanti le numerose attività
dell’istituto. Nel tempo, grazie all’impegno del
comitato degli exallievi, è stato, infatti, possibile
ristrutturare il campo sportivo, la chiesa di san
I corsi di
formazione
professionale
prevedono
attività pratiche in
laboratorio e stage
in aziende del
territorio.
Marzo 2014
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3.8 Page 28

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LE CASE DI DON BOSCO
Gli studenti
provengono da
ben 28 paesi
del mondo. Tutti
ricevono un futuro
concreto grazie ai
corsi professionali.
Grazie all’impegno
degli ex allievi è
stato possibile
ristrutturare
l’oratorio che oggi
si compone di
campi sportivi,
saloni e strutture
moderne.
Prospero – una delle più antiche di Perugia (la
costruzione risale all’800 d.C., gli affreschi sono
del Mille, mentre il ciborio è del 700 d.C.) – e
l’oratorio, che oggi si compone di un salone con-
ferenze, una sala giochi, un bar, salette, un cam-
po da calcetto e un campo da basket e da calcio
regolamentare.
A seguito della ristrutturazione dei campi sporti-
vi, rinnovati a partire dal 1999, è oggi molto atti-
va la pgs (www.pgsdonboscoperugia.it), che con-
sta di una scuola di calcio con 250 ragazzi dai 5 ai
18 anni, il settore della pallavolo con una ventina
di iscritti, il basket e la ginnastica per bambini e
adulti. “Il settore sportivo dei salesiani – spiega
Lanfranco Papa, uno dei dirigenti – ha una tradi-
zione molto lunga a Perugia, nasce ufficialmente
negli anni ’50, ma già dalle origini si praticava
la ginnastica. Lo sport fa parte del metodo pre-
ventivo di don Bosco, noi insegniamo ai nostri
ragazzi a stare insieme, a condividere e fare squa-
dra e non a vincere a ogni costo. E i risultati si
vedono, basti pensare che, in due anni, il settore
calcio è passato da 150 a 250 iscritti”.
Il futuro
Possiamo dire che dopo il novantesimo la città
di Perugia ha preso atto di una cosa importante:
i salesiani in questa città hanno ancora tanto da
fare e tutte le attuali problematiche legate alla cit-
tà (droga, violenza, alcool ecc.) dimostrano che
Perugia ha bisogno di don Bosco e dei suoi figli
per far sì che i giovani perugini possano diventare
onesti cittadini e buoni cristiani.
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Marzo 2014

3.9 Page 29

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LA POSTA
I NOSTRI ESPERTI RISPONDONO
Che bollettino…
cuore di don Bosco
«Prima di chiudere gli occhi
ho voluto aprire una finestra»
Non mi sembrava riconoscente par-
tire per quel viaggio, che non è un
viaggio ma un naturale finecorsa,
senza aver mandato un saluto al
caro Bollettino Salesiano.
Il finecorsa è un passaggio di testi-
mone tra il corpo e l’anima. Unani-
ma gioiosa di proseguire la corsa
perché la morte non esiste; unani-
ma che va ad abbracciare Cristo e la
cara famiglia salesiana.
La potei conoscere la prima volta
nell’aspirantato di strada in Casenti-
no, in Toscana, nel 1942: l’addio, ma
fu soltanto un arrivederci, nel 1954
proprio a Firenze, città salesiana tra
i sogni realizzati di san Giovanni
Bosco.
Un tumore, apparso a San Callisto
nel ’47, è tornato fuori a Bollengo nel
’52 vicino a Torino, in quel centro in-
ternazionale di molti salesiani sparsi
nel mondo.
Fu un cambio di sentiero disegnato
da Dio. Lo Spirito Santo conduce per
mano ogni creatura che lascia a lui
il compito di guida nel cammino: lo
Spirito è luce ed illumina il percorso
non sempre in pianura.
Quel sentiero non si abbandona mai,
anche se dovessero venirti addosso
sputi e calunnie, frustate e calci nelle
parti ignorate dal sole. È una norma
della croce e non un passatempo
tra i salotti del nulla, dove si fa finta
sempre di non scorgere le certezze
del domani.
È la scuola del Nazzareno di Gerusa-
lemme, di un cuore trafitto, tradito e
inchiodato ma con gli occhi sempre
rivolti al cielo e non di un uomo af-
fogato tra le norme sbandierate che
hanno svuotato il decalogo del si-
gnificato più importante, perché è la
parte migliore del decalogo: l’amore
infinito di Dio. Ricordo quel giorno,
quando il caro Ordinario e Ispettore
don Giuseppe Festini a Genova San
Pier d’Arena, pianse nel salutarmi.
Capii che non era un addio ma un ar-
rivederci ed oggi son qui a salutare.
Il bollettino e Maria Ausiliatrice nel
sentiero di Dio ci hanno fatto sempre
tanta compagnia, una guida sicura,
con la voce di don Bosco ad illumi-
narci il sentiero. La mia è una fami-
glia numerosa, dal più grande, un
magistrato che onora la sua profes-
sione, alla più piccola, consulente ed
esperta di privacy. Mia moglie Maria
Grazia ha spiccato il volo nel 2012 e
sono contento che il bollettino arrivi
ancora a suo nome.
Mi fa compagnia san Domenico Sa-
vio, ma non in senso figurato, pro-
prio una reliquia di san Domenico
Savio che mi accompagna di giorno
e di notte. Non si tratta dell’abitino
ma di una sua reliquia con la dichia-
razione in latino del postulatore, un
regalo impagabile, con tutta la certi-
ficazione: una bandiera per me. Dal
bollettino vorrei salutare a questo
punto i ragazzi che mi hanno visto
assistente e insegnante da Varazze a
borgo San Lorenzo a Firenze: sono
ancora vivo e collaboro con un quo-
tidiano di Romagna.
Ma prima di chiudere gli occhi ho
OGNI MESE
DON BOSCO
A CASA TUA
Il Bollettino Salesiano vie-
ne inviato gratuitamente a
chi ne fa richiesta.
Dal 1877 è un dono di don
Bosco a chi segue con sim-
patia il lavoro salesiano tra
i giovani e le missioni.
Diffondetelo tra i parenti e
gli amici. Comunicate su-
bito il cambio di indirizzo.
voluto anche aprire una finestra
e spalancarla, per indicare a tutti
l’azzurro del cielo. Vorrei anche sa-
lutare i numerosi lettori della rivista
Giovani, che mi videro impegnato
per 4 anni, con interviste indimen-
ticabili ai più e al meglio di allora,
dalla genialità allo sport allo spetta-
colo, all’industria. Erano i primi della
classe cardinali e papabili, calciatori,
campioni del mondo e personaggi
infiniti come Adriano Olivetti o Um-
berto Agnelli.
Ho dovuto lasciare il giornalismo
professionistico per l’horror vacui ma
proprio in fine corsa mi sono accor-
to che è stata un po’ la mia fortuna
perché non avrei mai avuto modo
altrimenti di conoscere figure e santi
come padre Pio da Pietrelcina e fra-
ternizzare e camminare sottobraccio
per lungo tempo da creare amicizia
con altri sulla via degli altari come
fra Daniele da San Giovanni Roton-
do, don Quintino Sicuro, eremita di
Sant’Alberico di Balze in Toscana,
padre Pio delle piane, un artista di
Genova ma che ha svolto la sua mis-
sione tra Rimini e Roma e don Oreste
Benzi di Rimini. Tra l’altro con don
Oreste Benzi e don Bosco sto alle-
stendo una “Promogiovani B&B”, un
organismo per vedere di dare una
mano ai giovani in cerca di lavoro.
Ma nel sentiero dello Spirito Santo
è scaturito anche il Progetto Isaia,
unidea programma, per vedere di
aprire degli orizzonti diversi tra i
paletti dell’egoismo, della gestione
della cosa pubblica. Un tentativo di
riuscire ad esprimere il messaggio
di Cristo anche in quell’ambiente,
puntando sul gratuito: soluzione di
tutti i problemi che hanno sgretola-
to la nostra economia e la genialità
italiana.
Il libro l’ho scritto in quindici giorni,
dettandolo ad una giovane laureata
in scienze infermieristiche, racco-
gliendo la mia dettatura senza tracce
e scritti. È bello entrare nei ricordi e
nei sentimenti della mente a partire
dai primi passi nella famiglia sale-
siana fino alla vetta.
Ma un saluto caro lo vorrei inviare
anche ai ragazzi del ’55 dell’Istituto
Romano San Michele della Garbatella
in Roma che mi vide istitutore e capo-
sezione. Fu facile per me conquistare
tutti quei ragazzi quando c’era un don
Bosco nel cuore e il suo messaggio
educativo: più che temere fatevi ama-
re e a quel sistema preventivo sono
rimasto sempre legato e l’ho trovato
sempre vincente, con tutti.
Fiorello Paci
A nome della Famiglia
Salesiana, grazie.
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3.10 Page 30

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Il mese del papà
“Mamma, fatti un po’ in là:
lascia entrare anche papà!”
Non c’è dubbio che un
mondo senza padri
è un mondo che ha inquilini
umanamente più poveri
A lmeno una volta all’anno
dovrebbe essere fatto obbli-
go parlare del padre in tut-
te le riviste sensibili all’arte
educativa, come la nostra. I
padri sono, con le madri, i
protagonisti decisivi dell’impianto di
un uomo nuovo.
Se non li rivalutiamo, faremo poca
strada! Sì, proprio oggi, nel momento
in cui la donna ‘lascia la casa’ per il la-
voro e la professione, è necessario che
i padri tornino a casa. La loro presen-
za è decisiva!
Il pedagogista Norberto Galli (1926)
taglia corto: “Ormai ne sappiamo quan-
to basta per comprendere che il bambino
per evolversi in modo armonioso deve
poter interagire con entrambi i genitori”.
Perché quel ‘deve’?
La ragione ci pare molto chiara e for-
te: perché un’educazione senza papà è
un’educazione a metà (lo stesso vale
per la mancanza della madre).
È da sapere, infatti, che l’Uomo com-
pleto ha due facce: la faccia femminile
e la faccia maschile.
Per non crescere scompensato, il figlio
deve poter confrontarsi con tutte e due!
Insomma, arrendersi alla mancanza
del papà (o della mamma) è arrendersi
al fallimento del figlio.
Privare un figlio della figura paterna
(o materna) è un reato pedagogico!
Parole esagerate?
Non più di tanto, se si pensa al danno
psicologico subìto dalla mancanza della
figura paterna (sottolineiamo questa in
quanto il mese di Marzo è, tradizional-
mente dedicato alla ‘Festa del papà’).
La mamma può guidare l’automobile
come il papà, la mamma può aggiu-
stare un elettrodomestico meglio del
papà…, ma papà è un’altra cosa.
Il padre è meno protettivo della ma-
dre. Lo conferma la psicologa Luigia
Camaioni (1947-2004): “Il padre in-
terviene positivamente ed incoraggia il
bambino più spesso della mamma; a sua
volta il bambino si diverte di più a gio-
care con il padre che con la madre”.
Il padre è quello che quando ti insegna
ad andare in bicicletta sta a qualche me-
tro di distanza e ti dice: ‘Se hai bisogno
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Marzo 2014

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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I PAPÀ FAMOSI
io sono qua, ma tu vai da solo!” (Ales-
sandro D’Avenia, insegnante).
Il padre gioca in ‘made’ maschile.
La mamma, in genere, parlotta con il
bambino. Il papà prende il piccolo tra
le braccia e lo lancia in alto…
Il padre dà maggior sicurezza, an-
che in situazioni difficili. Alessan-
dro (otto anni) confida: “Mio padre al
mare mi porta anche dove non si tocca e
mi dice: ‘ appoggiati disteso!’. Io so che
lui mi tiene e in tutto quel mare non ho
paura… Io sto come un pesce con suo pa-
dre quando nessuno li pesca”.
Il padre è meno ansioso: apre al mon-
do. Uno dei massimi esperti in ma-
teria, Serge Lebovici, non ha dubbi:
Senza la figura paterna, sarebbe molto
più difficile per il bambino staccarsi dal-
la madre e quindi nascere una seconda
volta”. C’è del vero in questo caustico
giudizio dello scrittore-poeta fran-
cese Christian Babin (1951): “È bene
per il fanciullo avere i suoi due genitori,
ciascuno dei quali lo protegge dall’altro:
il padre per preservarlo da una madre
troppo divorante; la madre per preser-
varlo da un padre troppo sovrano!”.
Il padre è meno sensibile alle con-
trarietà. La madre vibra al primo
cenno di macchia d’unto.
Il papà di Madre Teresa di Calcutta
“Mio padre si chiamava Kole Bojaxhiu.
Dato che faceva il commerciante, era sempre in giro per l’Europa. Quando tornava a casa
radunava tutti i figli attorno a sé e raccontava quello che aveva visto e fatto.
Era un uomo severo e da noi pretendeva molto. Ma era anche molto generoso. Donava a tutti
cibo e denaro senza farsi notare, né vantarsi.
Diceva sempre: “Dovete essere generosi con tutti come Dio è stato generoso con
noi: ci ha dato tanto, tanto, per cui fate del bene a tutti!”.
Una volta mi ha detto: “Figlia mia, non prendere né accettare mai un boccone di
pane, se non è diviso con gli altri”.
Un’altra volta mi disse: “L’egoismo è una malattia spirituale”.
Il papà di Enzo Biagi, scrittore
“Di mio padre ricordo la grandissima generosità, l’apertura e la disponibilità verso tutti.
Non è mai passato un Natale – ed il nostro era un Natale modesto – senza che alla nostra
tavola non sedesse qualcuno che se la passava peggio di noi.
Non è mai arrivato in ritardo allo stabilimento.
E io ho imparato che bisogna fare ogni giorno la propria parte”.
Il papà di Giovanni Paolo II, papa beato
“Mio padre è stato meraviglioso e quasi tutti i miei ricordi di infanzia e di adolescenza si
riferiscono a lui. Era così esigente con se stesso da non aver bisogno di mostrarsi esigente
con suo figlio.
Il suo esempio era sufficiente per insegnare la disciplina e il senso del dovere. Era un uomo
eccezionale!”.
Il papà di Claudio, 19 anni
“Mio padre è stato bocciato un anno alle Medie e a scuola non era uno dei migliori.
Ora, con tutto quello che ha dovuto affrontare nel lavoro, si è come illuminato. Lui è sempre lì
pronto a correggerti, ad aiutarti. Quando stai facendo un lavoro, ti mostra un’altra possibilità
di fare quella cosa. In famiglia è come una fonte di salvezza”.
Il padre, in genere, si preoccupa
meno della salute del piccolo. Le
madri che al primo starnuto già lo ve-
dono al camposanto!
La nota giornalista Costanza Miria-
no all’intervistatore che le domandava
se padre e madre, secondo lei, hanno
un ruolo diverso nell’educazione dei
figli, rispondeva a tutto tondo: “Asso-
lutamente sì! La madre è l’accoglienza,
il padre il senso della realtà. La madre
è il pavimento che sorregge, il padre è il
muro che protegge, ma anche limita. La
madre insegna a vivere, il padre a mori-
re. La madre rende il nido accogliente, il
padre dà il coraggio di lasciarlo”.
Niente sarebbe più facile che prose-
guire nel mettere a confronto il doppio
stile umano: maschile e femminile.
Il poco detto, ci pare, comunque,
sufficiente per concludere che non di
sola mamma può vivere il figlio che
voglia crescere Uomo.
Non c’è dubbio che un mondo sen-
za padri è un mondo che ha inquilini
umanamente più poveri.
Il poco detto vuole essere, oggi so-
prattutto, un invito ad approfondire il
discorso per prepararci mentalmente
a difenderci da quella che attualmen-
te è l’insidia più pericolosa nei con-
fronti della famiglia eterosessuale: il
tentativo di alcune lobby di annullare
le differenze naturali dei due sessi.
Marzo 2014
31

4.2 Page 32

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LA LINEA D'OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
Per un’etica del lavoro
quando il lavoro non c’è
Stipendio dimezzato o vengo licenziato
a qualunque età io sono già fuori mercato...
Io sono al verde, vado in bianco ed il mio conto è in rosso
quindi posso rimanere fedele alla mia bandiera
Su, vai a vedere nella galera
quanti precari sono passati a malaffari
Quando t'affami ti fai nemici vari,
finisci nelle mani di strozzini,
ti cibi di ciò che trovi se ti ostini a frugare cestini...
Per far denaro ci sono più modi, potrei darmi alle frodi
Io vado avanti e mi si offusca la mente
sto per impazzire come dentro un call center...
Né l'Uomo ragno, né Rocky, né Rambo, né affini
farebbero ciò che faccio per i miei bambini
io sono un eroe...
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Marzo 2014
“Devi essere flessibile.
Se vuoi trovare lavoro,
devi scendere a compromessi.
Se vuoi mantenere il tuo posto
di lavoro, devi essere disposto
a tutto. In una parola sola
(anzi due), devi accontentarti!”.
In una fase storica come quella presente, in
cui persino il più precario e sottopagato dei
lavori rappresenta un’utopia per tanti giovani
in cerca di occupazione, misero oggetto del
desiderio di una generazione che ormai da
tempo ha smesso di sperare nel mito del “po-
sto fisso”, sono questi gli imperativi che regola-
no il mercato del lavoro. Una sorta di nuovo e
spietato decalogo che impone di essere competi-
tivi, cinici, spregiudicati, pur di rimanere a galla
nel mare magnum di lavori a progetto, co-co-co
e prestazioni a nero che sempre più spesso rap-
presentano la regola nelle biografie professionali
delle giovani generazioni; che invita a mettere
da parte ogni desiderio di autorealizzazione e
ogni scrupolo morale, pur di ritagliarsi un pic-
colo spazio di sopravvivenza in una società in
cui il lavoro scarseggia ed è ormai divenuto un
lusso per pochi fortunati.
Di fronte ad una situazione di tal genere, in un

4.3 Page 33

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mercato del lavoro dominato dalla precarietà e
dalla logica del più furbo, c’è ancora posto per
un’“etica del lavoro”? Per quei valori di corret-
tezza, onestà professionale, rispetto per se stessi
e per il prossimo che dovrebbero essere alla base
di ogni esperienza lavorativa vissuta con respon-
sabilità e dignità?
A prima vista tali valori potrebbero apparire
perdenti, superati, obsoleti. Quando si tratta
di trovare una via d’uscita dal deserto desolan-
te della disoccupazione, non c’è spazio per gli
scrupoli e le esitazioni: il miraggio di una vita
migliore (o anche solo di un modesto guadagno
a fine mese) giustifica qualsiasi compromesso,
la rinuncia alle proprie aspirazioni più profon-
de, lo svilimento di competenze e professionalità
coltivate nel tempo, al prezzo di tanto studio e
sacrifici. E quando finalmente un lavoro lo si è
trovato, per quanto precario e privo di garanzie
– anzi, forse, a maggior ragione – si è disposti
a tutto pur di conservarlo, difendendolo con le
unghie e con i denti, anche a costo di scende-
re a patti con la propria coscienza, di accettare
condizioni eticamente discutibili, di mettere in
cattiva luce i colleghi, vedendo in loro nient’altro
che dei rivali da cui guardarsi e da tenere a bada.
È la guerra tra poveri, in cui ogni colpo è lecito
e la regola è “adattarsi per sopravvivere”.
Eppure proprio quando il gioco si fa duro e la
competizione è più agguerrita, la strategia vin-
cente può risiedere nella capacità di andare con-
trocorrente, puntando sulla cooperazione, sul
lavoro di squadra, sul sostegno reciproco; una
scelta contro tendenza che può preludere a una
rinnovata etica del lavoro fondata non sul mito
dell’autoreferenzialità e dell’individualismo, ben-
sì sulla collaborazione, sullo scambio costruttivo
di informazioni, esperienze e competenze, sulla
sperimentazione di progetti condivisi, sulla con-
sapevolezza della propria responsabilità verso se
stessi e verso gli altri, nell’ottica di un ben-essere
collettivo.
Sono un eroe, perché lotto tutte le ore
Sono un eroe perché combatto per la pensione
Sono un eroe perché proteggo i miei cari
dalle mani dei sicari, dei cravattari
Sono un eroe perché sopravvivo al mestiere
Sono un eroe straordinario tutte le sere
Sono un eroe e te lo faccio vedere
Ti mostrerò cosa so fare col mio super potere...
(CapaRezza, Eroe, 2008)
Marzo 2014
33

4.4 Page 34

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MEMORIE
GIUSEPPE SOLDÀ
Il volto del padre
Ci sono pervenute di lui
ben 42 fotografie,
solo Garibaldi e Vittorio
Emanuele II ne contano
un numero superiore.
Le verefoto Vanno dal 1861 al 1888,
dai suoi 46 anni alla morte
avvenuta a 72 anni
di dai suoi 46 anni alla morte avvenuta
a 72 anni.
Le sue prime fotografie risalgono
al 1861, è malato e i suoi più stretti
don Bosco collaboratori, nel timore che venga
a mancare, desiderano avere una sua
immagine come ricordo del “padre”.
O ggi le fotografie sono di uso
corrente, siamo sommersi
da un diluvio di fotografie.
È diventato facile fotogra-
fare anche per il dilettan-
te, ci sono tanti strumenti
migliorare l’immagine della perso-
na: ingentiliti i tratti, nascosti i di-
fetti… Per tali motivi ci restituiva
un’immagine abbastanza realistica
della persona, ma non perfettamente
reale. Tale osservazione vale anche
In seguito, anche persone che sosten-
gono le sue opere desiderano avere la
sua immagine e don Bosco acconsen-
te per gratitudine. Negli anni ’80, a
seguito delle sue opere, la sua persona
fa notizia, anche come santo, e mol-
per catturare immagini e riprodurle per le fotografie di don Bosco: i suoi ti desiderano la sua immagine come
all’istante. Ben diversa era la situa- tratti che denunciano le sue origini protettore e per ringraziamento fan-
zione nell’Ottocento, agli albori del- contadine vengono ingentiliti e resi no offerte. Infine don Bosco desidera
la fotografia, epoca in cui vive don più nobili per il ruolo sociale che ri- che si conoscano e vengano sostenute
Bosco. Fare una fotografia richie- copre come prete e persona di stu- le sue opere di bene e si fa fotografare
deva lunghi tempi di posa, un com- dio.
con le spedizioni missionarie.
plesso sistema di stampa, con esiti Se tante erano le difficoltà e i costi Le fotografie di don Bosco sono sta-
talora modesti e costi elevati. Spesso della fotografia, perché don Bosco si te raccolte e presentate in un volume
si faceva la fotografia per avere il ri- fa fotografare tante volte? Dalla sua che le analizza in modo approfondito,
tratto meno impegnativo e costoso biografia sappiamo che non era vani- sia per capirne e vederne l’evoluzione,
rispetto all’oleografia. Pertanto ve- toso, che era sempre in difficoltà eco- sia per ricavare la reale immagine del
niva eseguita da fotografi-pittori per nomiche per sostenere le sue opere. Santo. Qui presentiamo le più signi-
evitare i giorni di posa della persona E allora? Ci sono pervenute di lui ben ficative della sua vita, più realistiche,
da ritrarre. La fotografia non era ap- 42 fotografie, solo Garibaldi e Vitto- dai suoi 46 ai 72 anni. Ci restitui-
prezzata di per sé, in quanto troppo rio Emanuele II ne contano un nume- scono l’immagine della sua vicenda
veritiera, per cui veniva ritoccata per ro superiore. Vanno dal 1861 al 1888, umana.
34
Marzo 2014

4.5 Page 35

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Don Bosco in poltrona, a 65 anni
Scattata nel 1880 da M. Schemboche. Il fotografo
è tra i più rinomati e don Bosco vuole probabil-
mente una bella fotografia da regalare a benefat-
tori che sostengono le molte opere nelle quali è
impegnato e per le quali necessita di denaro.
Sebbene già sessantacinquenne, don Bosco di-
mostra in questa fotografia un aspetto ancora
piuttosto giovanile. Traspare dal suo volto l’e-
nergia dell’uomo di azione. Si tratta di una foto
che ebbe larga diffusione perché fu scelta come
immagine ufficiale del Santo in occasione della
beatificazione (1929) e della successiva canoniz-
zazione (1932). Era un’immagine consona ai gu-
sti di quel tempo, ma essa tuttavia non piacque
a quanti avevano conosciuto don Bosco di per-
sona e preferivano piuttosto la fotografia da cui
trasparivano l’affabilità e la grande carica umana
del Santo. Questa foto piace oggi, è divenuta il
prototipo di don Bosco. Da questa Caffaro Rore
ha ricavato nel 1941 l’immagine che vediamo più
frequentemente e alla quale si ispirano tutte le
interpretazioni del Santo.
Don Bosco, a 46 anni,
nella sua camera
Risale al 1861. Considerando l’e-
poca, dal punto di vista fotografi-
co appare molto incisa. Don Bosco
è in una situazione abituale, seduto
al tavolo di lavoro, in una posizione
spontanea, come se sospendesse la
sua attività per l’arrivo di una per-
sona. In lui si nota il volto scarno,
affilato, di persona sofferente anche
se la sua espressione è serena e acco-
gliente. In questo periodo infatti don
Bosco continua a lavorare malgrado
le sue molteplici infermità, come si
può notare anche dalla sua postura
che mostra affaticamento.
Marzo 2014
35

4.6 Page 36

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MEMORIE
Don Bosco a Nizza nell’85.
Ha 70 anni
Don Bosco è a Nizza, sembra, per il decennale della fondazione
dell’opera. A Nizza c’era un numeroso gruppo di cooperatori,
amici e benefattori che gli erano affezionati e che sostenevano
le sue opere, ai quali, con la gentilezza e l’astuzia che gli è pro-
pria vuole fare dono di una sua immagine.
L’immagine è fedele e non ritoccata. Mostra don Bosco ormai
vecchio e stanco, con il volto segnato dagli esiti della tuberco-
losi miliare. Don Bosco appare con il suo aspetto di contadino
volitivo e tenace, dagli occhi penetranti e sofferenti, dalle mani
rudi ed energiche. L’occhio sinistro è ancora vivace, mentre il
destro è visibilmente spento.
Don Bosco a 71 anni.
Sampierdarena 16 marzo 1886
Don Bosco è in viaggio verso la Spagna. Si ferma al-
cuni giorni a Sampierdarena per visitare la Comunità.
Anche qui aveva molti amici e benefattori. Proprio
uno di questi, il marchese Spinola, vuole una fotogra-
fia del Santo e per questo si reca da lui con il fotografo
quando don Bosco sta ripartendo. È notizia curiosa
che per scattare la fotografia don Bosco rischia di
perdere il treno, ma il capostazione, avvertito, ritarda
la partenza per aspettarlo. Evidentemente la fama del
Santo era già molto affermata.
Per molti anni questa fu l’immagine più diffusa in
quanto bella, molto fedele alla fisionomia del Santo,
preferita da chi viveva con don Bosco, tanto che il
Rollini, dopo la morte di don Bosco, ne farà il quadro
ufficiale. Colpisce in questa fotografia la vivezza del
sorriso e dello sguardo. Ci dà un’immagine di don
Bosco molto spontanea e naturale, con un’espressione
tra il divertito, il compiaciuto, lo scherzoso: probabil-
mente proprio la situazione di fretta che si era venuta
36
Marzo 2014

4.7 Page 37

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a creare (attesa del treno, tanta gente
presente, un po’ di confusione…) ha
avuto il sopravvento sulla situazione
di posa.
Don Bosco nella villa
Martì-Codolar.
Barcellona
3 maggio 1886
Don Bosco è a Barcellona ospite del
benefattore Louis Pascual, molto fa-
coltoso, che aveva ampiamente aiu-
tato le sue opere. È naturale che de-
sideri una fotografia, avendo il figlio
Joaquin fotografo amatore, fornito di
attrezzature molto avanzate che con-
sentono addirittura l’istantanea. È
l’unica fotografia di cui si conserva il
negativo in lastra di vetro al collodio.
È uno dei più belli e fedeli ritratti
di don Bosco, dal volto amabilmen-
te paterno, attorniato dai suoi figli,
ragazzi e cooperatori. Tale immagi-
ne, già all’epoca, piacque molto. La
fotografia è strutturata in modo da
incorniciare e dar risalto alla figura
del Santo. Don Bosco ha un volto se-
reno, sorridente. Si vedono i suoi 72
anni, ma è una vecchiaia vigorosa di
uomo attivo, che partecipa intensa-
mente alla vita. Gli occhi sono vivaci,
penetranti, la bocca atteggiata spon-
taneamente al sorriso; il suo volto dà
un senso di dolcezza, di amabilità, di
bontà. Probabilmente esprime qui un
momento di soddisfazione nel sentir-
si attorniato da persone “sue”, legate
a lui: il senso della sua vita realizzata
negli altri e per gli altri.
Sono fotografie che colgono don Bo-
sco nel succedersi degli anni e docu-
mentano la sua parabola fisiologica
dalla maturità alla vecchiaia, ma sono
soprattutto delle spie che ci permetto-
no di penetrare e interpretare meglio
la figura di don Bosco, che ci svelano
in parte la sua personalità.
Ogni riferimento è al volume di Giu-
seppe Soldà, Don Bosco nella foto-
grafia dell’800, SEI.
Marzo 2014
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Poteva essere
l’inizio della fine
Il Primo Capitolo Generale (1877)
Mentre è in corso il 27°
Capitolo generale della
società salesiana, che ha
luogo alla vigilia del bi-
centenario della nascita di
don Bosco (2014-2015),
può essere interessante riandare bre-
vemente al Primo Capitolo Genera-
le, presieduto da don Bosco a Lanzo
Torinese nel settembre 1877, a soli tre
anni dall’approvazione definitiva delle
Costituzioni salesiane (1874). Queste
prevedevano tale celebrazione ogni tre
anni, ma don Bosco lo convocò in ri-
tardo di alcuni mesi, per cui si dovet-
te poi chiedere la sanatoria alla Santa
Sede, che per altro nel novembre 1878
la concesse senza difficoltà.
Al primo cg convennero 23 capitolari
– poco più di un decimo dei membri
dell’attuale cg27 (220) – di cui sette
membri dell’allora Consiglio Supe-
riore, quattordici direttori, oltre a don
Belmonte – designato direttore della
casa di Borgo San Martino e don Ber-
to, segretario personale di don Bosco,
archivista della congregazione. Furo-
no poi invitati a diverse sedute come
consultori a vario titolo don Leveratto,
don Pagani, il coad. Giuseppe Rossi,
il conte Cays e altri ancora. Presen-
ti anche due gesuiti, padre Secondo
Franco, esperto di ascetica, e padre
Giovanni Battista Rostagno, cano-
nista apprezzatissimo da don Bosco.
Se ne sentiva la necessità. Era infatti
la prima volta che la società salesiana
si radunava in Capitolo, nessun suo
membro aveva alcuna esperienza non
solo di tali importanti assisi, regolate
da precisi canoni e dalle consuetudi-
ni – ma anche di vita religiosa, che
non fosse quella vissuta accanto a don
Bosco a Valdocco. Quasi tutti infatti
erano cresciuti con lui all’Oratorio, lui
li aveva seguiti nella loro vocazione sa-
cerdotale e religiosa, lui li aveva prepa-
rati alla missione salesiana di educatori
dei giovani, di evangelizzazione delle
classi popolari, di diffusori del vangelo
in patria e all’estero.
La preparazione
e lo svolgimento
Don Bosco in anticipo aveva preparato
uno schema di tutto ciò che intendeva
sottoporre all’attenzione dell’assemblea
capitolare, ne fece stampare un certo
numero di copie che due mesi prima
(luglio 1877) fece spedire alle varie case
affinché tutti i salesiani (meno di 300)
vi facessero le loro osservazioni. Que-
ste, ordinate e raccolte, sarebbero poi
state discusse in sede di Capitolo, dove
per altro don Bosco fece poi giungere
personalmente altri importantissimi
temi da discutere, quali il Regolamen-
to degli ispettori e le relazioni fra Sa-
lesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice.
Con lo schema inviò anche un Rego-
lamento, che una volta approvato nelle
prime sedute del cg, avrebbe regolato i
lavori assembleari.
Il tardo pomeriggio del 5 settembre
1877, dopo la preghiera di invocazio-
ne allo Spirito, don Bosco, Rettore
Maggiore a vita, dichiarò aperto il
Capitolo con alcune osservazioni ge-
nerali circa l’importanza di una simile
assemblea per la Congregazione, che
era decisamente orientato sulla linea
della messa in pratica di linee comuni
già indicate nelle Costituzioni appro-
vate e non tanto all’elucubrazione di
linee teoriche.
Le sedute dell’assemblea furono di
due tipi: quelle generali, in numero di
26 – con don Bosco sempre presente
– e quelle delle otto commissioni, in
un numero imprecisato. Ogni com-
missione aveva un presidente che ne
regolava i lavori e un relatore che ne
avrebbe dovuto portare le conclusioni
in sede assembleare.
Don Barberis, maestro dei novizi,
come “primo segretario” del cg, fu in-
caricato di registrare le deliberazioni
prese dai capitolari. Don Rua invece fu
eletto Regolatore, vale a dire il primo
responsabile dell’andamento dei lavori
assembleari.
38
Marzo 2014

4.9 Page 39

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I contenuti e le grandi
preoccupazioni
Non furono di poco conto per lo svi-
luppo futuro della congregazione. Si
pensi solo alla discussione sulle ispet-
torie e sugli ispettori, che venivano
ad assumere un ruolo decisivo nella
gestione e nello sviluppo dell’intera
congregazione.
Un mese di lavoro intenso (31 giorni
per l’esattezza), invero con due pause
significative, di cui una piuttosto lun-
ga per fare gli esercizi spirituali nella
stessa sede di Lanzo, assieme ad altri
salesiani.
Numerosi ed autorevolissimi furono
gli interventi diretti ed appassionati
di don Bosco, sempre paterno con i
suoi figli, ma molto preoccupato per il
buon nome della congregazione, per il
futuro di essa, cosciente, come era, di
essere sottoposto a “speciale” attenzio-
ne da parte dell’arcivescovo di Torino
monsignor Gastaldi, della Santa Sede
e particolarmente del cardinal Ferrieri,
Prefetto della Congregazione di Ve-
scovi e Regolari, di autorità di governo
della Sinistra Storica, ormai al potere,
ostili alla sua Opera. Ne abbiamo par-
lato nel bs di febbraio. Un passo fal-
so poteva costituire l’inizio della fine.
Non per nulla accanto ai nomi dei sin-
goli Capitolari don Bosco si era pre-
murato di aggiungere i relativi titoli:
direttore, dottore, professore, maestro,
compositore, inventore, autore di testi
ecc. Voleva correggere l’immagine,
diffusa in alcuni ambienti, di una con-
gregazione di basso profilo culturale
e magari di approfittatori: “Noi cer-
chiamo in tutte le cose la legalità. Se ci
vengono imposte taglie, le pagheremo;
se non si ammettono più le proprietà
collettive, noi le terremo individuali; se
richiedono esami, questi si subiscano,
se patenti o diplomi, si farà il possibile
per ottenerli, e così di andrà avanti”.
Durante il Capitolo don Bosco con-
tinuava comunque ad avere abbocca-
menti con singoli salesiani e a scrivere
lettere un po’ dovunque: in Italia, alla
Santa Sede, in Francia, e soprattutto
in America Latina, dove stava per in-
viare la terza spedizione missionaria.
Conclusione
Nonostante le ribadite intenzioni di
don Bosco di mandare le deliberazio-
ni del Capitolo a Roma, dopo averne
personalmente ben definito il testo
a norma dell’ampio mandato datogli
dai Capitolari con apposito docu-
mento sottoscritto da tutti, non se ne
fece nulla. Alla Santa Sede si avanzò
solo la richiesta della suddetta sana-
toria, preferendo mettere in pratica le
deliberazioni per un certo periodo di
tempo, onde valutarne gli effetti.
Tempo invero che sarebbe durato mol-
to, visto che a un anno dalla chiusura
del Capitolo (1878) don Bosco mandò
ai salesiani un volumetto a stampa di
un centinaio di pagine con le decisioni
solo su quattro degli otto temi trat-
tati: Vita comune, Moralità, Economia
e Ispettorie. Ma tutti i temi sarebbero
stati ampiamente ripresi nei tre Capi-
toli generali successivi da lui presiedu-
ti: nel 1880, nel 1883, nel 1886.
Ne sarebbero seguiti altri 23, di-
stanziati, con molte eccezioni, di 6
anni uno dall’altro (dal x del 1904).
Essi, oltre a discutere i temi prescelti,
avrebbero dovuto procedere alle ele-
zioni dei Consiglieri e soprattutto del
Rettor Maggiore (non più a vita come
don Bosco), così come il Capitolo Ge-
nerale attualmente in corso, che ne
eleggerà appunto il x successore. Toc-
cherà a lui guidare per sei anni la So-
cietà e la Famiglia salesiana nei non
facili tempi in cui viviamo. Del resto
non erano certamente facili i tempi di
don Bosco!
Don Bosco circondato da sacerdoti e chierici
dell’Oratorio nel 1870. Il secondo da sinistra in
prima fila è don Cagliero. Il secondo da destra
in prima fila è il chierico Barberis, che sarà il
segretario del Primo Capitolo Generale.
Marzo 2014
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A CURA DI PIERLUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
MUSEO VIANDANTE “NINO BAGLIERI” CRONACA DELLA POSTULAZIONE
Dal mese di ottobre 2013 nella
diocesi di Noto (Sicilia) sta gi-
rando il Museo Viandante “Nino
Baglieri”. “Sono piccoli segni,
oggetti, scritti, oltremodo signi-
ficativi di Nino Baglieri, un mez-
zo con cui Dio ci parla, ha detto
monsignor Antonio Staglianò,
vescovo diocesano in occasio-
ne dell’avvio del progetto. Il Mu-
seo Viandante è per chi ascolta
la parola, legge il messaggio,
entra in rapporto con Dio. Non
è un museo solo per chi crede,
per i devoti ma anche per chi
non esprime alcuna devozione,
per chi, ad esempio, ha impe-
gni politici”. Partito dalla casa,
anzi proprio dalla stanza in cui
ha vissuto e sofferto il servo di
Dio Antonino Baglieri, il Museo
Viandante è uno spazio espositi-
vo che ha l’intento di raccontare
la storia di questo Volontario
con don Bosco nella consape-
volezza dell’importante valore
Il 16 gennaio 2014 è stata consegnata alla Cancelleria della Congre-
gazione delle Cause dei Santi la “Positio super vita, virtutibus
et fama sanctitatis” del servo di Dio José Wech Vandor,
salesiano ungherese, missionario nell’isola di Cuba, in tempi diffi-
cili per la Chiesa e per la Congregazione.
culturale e spirituale di questo
testimone del Vangelo. La sto-
ria di vita di Baglieri ha segnato
con discrezione la realtà della
chiesa locale di Noto: i vescovi
(Nicolosi, Malandrino, Crociata,
Staglianò), il presbiterio e tan-
tissimi laici.
Cfr. http://www.ninobaglieri.it/
muvinb-museo-viandante-nino-
baglieri/
Visitando l’esposizione Claudio
Vindigni, con l’immediato tastare
con gli occhi gli oggetti esposti,
il quotidiano di Nino, ha scatta-
to alcune foto; una delle ultime
foto è quella del logo della tuta di
Nino, che così commenta: “Nino
una stella cometa!”. Così conti-
nua la sua testimonianza: “Qual-
che giorno dopo, il mio ritornare
con più tranquillità; osservare e
percorrere con la mente le super-
fici degli oggetti per scavalcarne
l’apparenza oggettiva e andare
oltre: Dolore Sublimato e Estasi
di Sofferenza. Il cappello, la tuta
e le scarpe da ginnastica, la car-
rozzina, la strumentazione per
“Comunicare”... correre, volare,
e la singolarità dei due doni pre-
ziosi avuti: Commento al corto-
metraggio e Sulle ALI della CROCE
di Giuseppe Ruta, posti a fianco
della postazione del computer, mi
osservano.
GRAZIE SEGNALATE per l’intercessione del Venerabile Attilio Giordani
Sono Giulia della comunità neo-
catecumenale e volevo raccon-
tare che l’anno scorso, dopo
l’incontro organizzato nella par-
rocchia salesiana di Milano per
la richiesta di beatificazione di
Attilio Giordani, insieme a
mio marito, per 9 sere abbiamo
pregato seguendo la novena pro-
posta e chiedendo l’intercessio-
ne del Servo di Dio per i nostri
figli, per i quali avevamo qualche
motivo di seria preoccupazione
ed effettivamente qualcosa di
molto significativo è accaduto.
Infatti proprio in quei giorni, ai
primi di dicembre 2012, mia fi-
glia Eleonora (medico, sposata,
ed affetta da una malformazione
congenita agli arti inferiori che
la costringe a camminare con
stampelle e tutori), dopo aver sa-
puto da un’ecografia che il bimbo
che aspettava aveva un problema
a un piede, spaventata dal fatto
che il piccolo fosse affetto dalla
sua stessa patologia, era caduta
fratturandosi il femore. Visto lo
stato di gravidanza avanzata (era
al 7° mese) i medici avevano de-
ciso di non operarla, ma di tener-
la immobile a letto fino al parto,
che si presentava comunque ab-
bastanza difficile; inoltre c’era il
rischio che Eleonora senza ope-
razione non guarisse più. Invece
il parto è stato miracoloso, parto
naturale e non cesareo, Eleonora
è guarita, e il piccolo Francesco
(un bellissimo bimbo) anche,
a parte un piedino torto che si
è già messo a posto e qualche
altro problemino che si sta ri-
solvendo. Sicuramente quella
grazia che chiedevamo è piovu-
ta da lassù, non so se solo per
l’intercessione di Attilio Giorda-
ni, che io prima non conoscevo
nemmeno, e/o anche per tutte le
preghiere di Eleonora e di coloro
che la amano.
Giulia (Milano)
Segnalo esito favorevole di esami
diagnostici quali mammografia
ed ecografia per intercessione di
Attilio Giordani da me invocato
nel pomeriggio del 18 dicembre
2013 giorno anniversario della
sua morte, durante visita di con-
trollo a Milano.
Maria Laura Fertonani
(Rivarolo M.)
Grazie segnalate
per l’intercessione
di san Domenico
Savio
Lidia e Federico da Verona per
la nascita dei tre figli, Anna
(2008), nata dopo una gravi-
danza travagliata, Luca e Cate-
rina (2012), che dopo 20 giorni
dalla nascita non stavano bene e
li stavano per perdere a causa di
un’infezione.
Con grande fede e unione nel-
la preghiera di tutta la famiglia
e con accanto a loro l’abitino di
Domenico Savio, Luca e Caterina
sono guariti in breve tempo e con
stupore dei medici.
40
Marzo 2014

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
IL PICCOLO LAVORATORE CON ZAPPA E GRAMMATICA
Antonio, il fratello di Giovanni Bosco, era più grande di questi
di circa sette anni ed essendo più incline al lavoro manuale che
agli studi, non vedeva di buon occhio che il minore perdesse
tempo andando alla scuola elementare, sottraendosi così alle in-
combenze dei campi. In realtà Giovanni faceva entrambe le cose,
studiava e si rendeva utile, zappava, raccoglieva l’erba, aiutava in
molte cose. Nei momenti liberi cercava di imparare qualcosa ed
era solito leggere grammatica e libri di studio dopo cena. Ma tanta diligenza irritava ancor più il fra-
tello che spesso aveva espresso con durezza le sue idee a Mamma Margherita. Il piccolo Giovanni,
che aveva una decina d’anni, sfuggiva a stento alle percosse del fratello fino al giorno in cui la madre
prese la più dolorosa delle decisioni: per salvaguardare il piccolo lo avrebbe affidato a una famiglia
conosciuta dove avrebbe potuto imparare un lavoro, oltre che scampare ai modi violenti di Antonio.
Giovanni, preso un fagotto di vestiti, venne indirizzato verso Moncucco. Dopo aver percorso una de-
cina di chilometri e aver chiesto impiego senza successo alle fattorie indicategli dalla madre, giunse
alla XXX. Qui chiese di Luigi Moglia e a questi prima spiegò la sua situazione e poi supplicò un
lavoro e un alloggio, anche senza paga. Era il gennaio del
1827 e nella stagione invernale il lavoro nelle fattorie dimi-
nuiva, inoltre un ragazzino dodicenne aveva ancor meno
possibilità. Ciononostante, grazie alle sue insistenze e alla
generosità dei padroni, i coniugi Moglia, fu deciso di tener-
lo come vaccaro e di concordare con la madre il salario. Da
quel giorno, e per i tre anni seguenti, Giovannino si diede
da fare nella stalla, studiò quando poteva, pregò sempre e
radunò intorno a sé i ragazzi e le ragazze del vicinato che
arrivavano ogni domenica per ascoltarlo.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Impassibilità,
freddezza - 14. Piatto da osteria a base
di tendini di vitello a tocchetti - 15. Il
pronome per gli intimi - 16. La fine
del tunnel - 17. In Cina e in Nepal -
19. Un saluto tra amigos - 20. Osser-
vatorio del Mercato Immobiliare - 23.
Un po’ di ossigeno - 25. L’emissario
del Lago di Garda - 27. Intraprenden-
za - 31. XXX - 33. Esonerati - 35.
Modena (sigla) - 36. Singolare di
nostro - 38. In alto, sopra - 39. A te
- 40. Una breve obiezione - 41. Sono
dispari nella chioma - 43. La Gardner
attrice (iniz.) - 44. Meglio… che male
accompagnati - 47. Nacque nel 1964
dalla fusione di Tanganica e Zanzibar
- 50. Il nome di Wallach de La rosa
tatuata - 51. Il modo di dire latino che
allude al sopraggiungere della persona
di cui si stava parlando.
VERTICALI. 1. Era una cassa ma-
lattie - 2. Le dita centrali - 3. Roger
Nelson, eclettico artista della scena
musicale - 4. Che fanno ricordare - 5.
Non mollare! - 6. Le iniziali dello scrit-
tore Terzani - 7. Il nome del violinista
Ughi - 8. Frequentata località roma-
gnola - 9. Soldati senza soldi - 10.
Un poco… di buono - 11. Articolo per
donne - 12. Gli schiavi degli spartani -
13. Il centro dell’Olanda - 18. Relazio-
ne di somiglianza o affinità - 21. Una
compagnia di assicurazioni (sigla) -
22. È seguito da Egr. sulla busta - 24.
L’attuale Thailandia - 26. La papera da
vecchia - 28. Smisurati, enormi - 29.
Parco con animali in cattività - 30. Una
certa stella di montagna - 32. Andato in
breve - 33. Una lettera sibilante - 34.
Tripoli era bel … d’amore in una vec-
chia canzone - 37. Il dittongo nel piatto
- 40. I mezzi navali della “Beffa di Buc-
cari” - 41. Centro di Assistenza Fiscale
- 42. Un indice azionario della Borsa -
45. Non qui - 46. L’inizio dell’autunno
- 47. Testo Unico - 48. Lo zinco del
chimico - 49. Pari nel tabù.
Marzo 2014
41

5.2 Page 42

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
MICHAEL MENDL
(Traduzione di Marisa Patarino)
DON EDWARD
J. CAPPELLETTI
Morto a New York il 12
dicembre 2013, a 92 anni
Edward Cappelletti era nato nel
Bronx, a New York, l’11 ottobre
1921, figlio di immigrati italiani.
Quando suo padre morì, Edward
aveva quattro anni. La madre riu-
scì però a garantire un’educa-
zione cattolica a tutti i suoi figli,
prima a casa, poi nella scuola
della parrocchia dedicata a san
Tommaso. Nel 1933 mandò il
piccolo Edward nel collegio “San
Michele” gestito dai salesiani a
Goshen, New York. Come ricordò
lo stesso Edward, la mamma pre-
se questa decisione «per allonta-
narlo dalle strade di New York».
Ad alcuni seminaristi salesiani,
nel 2013, disse ancora: «Non
era una brutta scuola. C’era una
bella atmosfera ed era una strut-
tura piccola, che contava circa 65
allievi. I salesiani erano persone
molto buone e si comportavano
con me come avrebbe fatto una
famiglia».
Edward decise di diventare sa-
lesiano anche lui. Entrò in no-
viziato, a Newton, nel mese di
settembre del 1939. Fu ordinato
sacerdote nella basilica di Maria
Don Edward J. Cappelletti SDB per molti anni è stato
direttore delle Missioni Salesiane a New Rochelle
e anima della Procura americana, vero pilastro
delle missioni salesiane.
Ausiliatrice il 2 luglio 1950. Il
motto sacerdotale che assunse
fu: «Il Figlio dell’uomo è venuto
non per farsi servire, ma per ser-
vire» (Marco 10,45).
Nel 1959 l’ispettore don Felice
Penna lo nominò direttore delle
Missioni Salesiane di New Ro-
chelle. Il suo ufficio era ubica-
to nel seminterrato della casa
ispettoriale e aveva solo quattro o
cinque collaboratori e un elenco
di benefattori che contava 10 000
nomi. Quando nel 1997 don Cap-
pelletti lasciò l’incarico, la sede
dell’ufficio era stata cambiata tre
volte, per due volte per trasferirsi
in appartamenti più grandi presi
in affitto a New Rochelle e Ma-
maroneck e infine, nel 1972, per
insediarsi in un edificio
proprio, a tre piani, vici-
no alla casa ispettoriale.
La struttura impegnava
135 collaboratori, pri-
ma che l’avvento dei
computer riducesse la
necessità del numero
di impiegati. L’elenco
dei benefattori arrivò a
1 350 000 nomi. Don
Cappelletti è stato uno
tra i primi a raccoglie-
re offerte servendosi
di stampe inviate per
posta. I benefattori ac-
coglievano con entu-
siasmo i libri di poesie
di contenuto spirituale
e biglietti per lotterie.
Nel corso di 40 anni sono stati
distribuiti oltre 1 000 000 000 di
volumetti. Don Cappelletti trovò
modi per coinvolgere il governo
statunitense, in particolare la
“Agency for International Deve-
lopment (Agenzia per lo sviluppo
internazionale)”, che non aveva la
possibilità di sostenere l’opera di
evangelizzazione, ma ad esempio
poteva offrire il suo supporto per
scuole professionali. Don Cap-
pelletti riuscì anche a ricevere il
sostegno di varie fondazioni, tra
cui la Kellogg, che offrì un aiuto
finanziario per istituti professio-
nali per l’agricoltura. Molte per-
sone scrivevano o telefonavano
anche per parlare di loro proble-
mi personali e spesso rispondeva
lo stesso don Cappelletti.
Il successo delle Missioni sale-
siane è diventato una realtà per
tutta la Congregazione, a favore
dei missionari e dei giovani che
ne beneficiavano in tutto il mondo.
Nel 1996 il papa Giovanni Pao-
lo II offrì un importante ricono-
scimento alle Missioni Salesiane
per la loro opera assegnando a
don Cappelletti la Croce papale
“Pro Ecclesia et Pontifice”. Nel
2008 l’Università Cattolica Don
Bosco di Campo Grande, in Bra-
sile, conferì a don Cappelletti la
laurea honoris causa in lettere.
Il Rettor Maggiore ha dichiarato:
«L’intera Congregazione è molto
grata a don Cappelletti per tutto
quello che ha fatto attraverso la
Procura Missionaria per aiutare
i nostri missionari a realizzare i
loro sogni, il sogno di don Bo-
sco, il sogno di Dio, che ama e
si prende cura con predilezione
dei più poveri e abbandonati. A
nome di tutta la Congregazione,
dico un grande grazie dal profon-
do del nostro cuore a don Edward
per la sua generosità e la totale
dedizione alle Missioni».
Anche il Consigliere per le Mis-
sioni Salesiane, don Václav Kle-
ment, ha voluto esprimere il suo
affettuoso ricordo di don Cappel-
letti: «Pure se non viaggiò molto,
batteva in lui un cuore autentica-
mente missionario ed anche l’ac-
creditamento dei salesiani presso
il Consiglio economico e sociale
delle Nazioni Unite (ECOSOC), nel
2007, fu in verità un frutto del suo
sforzo».
Jean Paul Müller, attuale Eco-
nomo Generale della
Congregazione e già
direttore della Procura
Missionaria di Bonn, ha
scritto: «Personalmente
devo molto a don Ed,
perché mi ha guidato
mentre compivo i miei
primi passi presso l’uffi-
cio missionario di Bonn.
Sono stato con lui per
due settimane a New
Rochelle, durante le
quali mi ha fornito tanti
insegnamenti, e non ho
mai dimenticato i suoi
consigli, le sue idee e
i suoi progetti. Siamo
stati spesso in contatto
in questi ultimi anni e
tutte le volte in cui mi sono recato
a New Rochelle mi sentivo come
se tornassi a casa, vedendolo
e parlandogli. Senza l’aiuto di
don Ed, senza la sua guida fra-
terna, non avremmo mai avuto
il successo che ora riscontriamo
nell’aiutare e sostenere i giovani
in tutto il mondo».
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Marzo 2014

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Dio L‘uomo che voleva
incontrare
C’era una volta, tanto tem-
po fa, un uomo semplice
e buono. Era un buon
marito, un papà tene-
ro, un vicino generoso,
un contadino onesto.
E moglie e figli lo circondavano di
tenerezza. Tuttavia l’uomo trovava
che il destino era stato duro con lui.
Non faceva che lamentarsi della sorte
che gli era toccata. Invano la moglie
cercava di farlo riflettere: «Dio sa
quello che fa, fidati!».
«Hai ragione. Dio sa il perché di tut-
to questo. Posso fare una cosa sola:
andare a cercarlo e chiederlo a Lui».
Così, un bel giorno, l’onesto padre di
famiglia che non era mai uscito dal
suo villaggio, si mise in cammino
alla ricerca di Dio. Una sera, sentì la
gelida lama di un coltello appoggiata
alla gola. Era un bandito, dagli occhi
di fiamma. «Dammi i soldi! Ho già
rapinato novantanove persone e tu sei
la centesima!». Il pover’uomo vuotò il
sacco e le tasche, dicendo tremante:
«Se vuoi, prendimi tutto, ma lascia-
mi andare. Voglio incontrare Dio per
chiedergli perché l’uomo onesto è
così spesso povero e il disonesto ric-
co». Il bandito cambiò atteggiamento
e gli disse: «Ti chiedo solo un favore.
Uno solo. Quando troverai Dio,
chiedigli se un uomo che ha assalito
novantanove volte il suo prossimo,
ma ha sentito pietà per il centesimo,
merita ancora il suo perdono».
«Non mancherò», disse l’uomo,
e ripartì.
Dopo alcuni giorni, fu coperto dalla
polvere sollevata da un superbo ca-
vallo. Il cavaliere dagli abiti sfarzosi
chiese al polveroso viandante: «Dove
vai?». «Vado a cercare Dio», spiegò
l’uomo un po’ intimidito. «Devi farmi
un favore», proseguì il ricco a bassa
voce. «Quando incontrerai Dio non
dimenticare di raccontargli che io
sono molto ricco ma anche molto pio
e buono. Chiedigli se, per questo, mi
riserva un buon posto in cielo». Il pel-
legrino promise e riprese il cammino.
Finché una strana figura gli venne
incontro. Era un vecchio, o meglio
un uomo senza età, scarno e misera-
mente vestito.
«Fermati e riposati un po’», disse
il vecchio. L’uomo si sentì avvolto
dalla dolcezza che emanava da quel
vecchio e si fermò. «Sono io colui che
cerchi...», gli disse sorridendo il vec-
chio. «Guardami bene: io ho creato
tutto e non possiedo niente. Perfino
tu sei più ricco di me, come vedi».
Il pellegrino si buttò in ginocchio
e vuotò il suo cuore, con tutti i suoi
dubbi e tutti i suoi perché. «Tu sei
ricco, tanto ricco», gli disse Dio
abbracciandolo dolcemente. «Io ti
ho dato un’altra ricchezza, quella del
cuore, che il ricco non possiede, per-
ché neanche sa che esiste. È quella
che ti fa indignare di fronte alle in-
giustizie del mondo. Io ti ho evitato
il fardello della fortuna che corrompe
e rende l’uomo cieco nel cuore e nello
spirito. Ti ho donato il coraggio di
cercarmi, e anche l’occasione di tro-
varmi. Ora ti dò un’ultima ricchezza,
la più rara: la felicità di accettare ciò
che si è. E ora, torna a casa e vivi in
pace. Tornando, dirai al ricco che il
mio Paradiso non si compra con l’oro
e al bandito che è perdonato perché
ha scoperto la via giusta. Vai, quando
sarà il momento verrò a prenderti e ti
terrò con me per sempre».
E il vecchio svanì, come una brezza
calma, serena, limpida, immensa.
Marzo 2014
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
La spiritualità salesiana
Don Bosco racconta
Maria, la mamma
di tutti i giorni
Salesiani nel mondo
La frontiera
della speranza
Sul rovente confine
tra Messico e Stati Uniti
L'invitato
Progetto Porto di Terra
Un’oasi accogliente
nel cuore di Roma
Invito a Valdocco
Le camerette
di don Bosco
Quando i luoghi
raccontano la storia
A tu per tu
Monsignor
Gaetano Galbusera
Sognare a Pucallpa
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612658
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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