Bollettino_Salesiano_201401

Bollettino_Salesiano_201401

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IL
GENNAIO
2014
L'invitato
Frank
De Lorenzi
La spiritualità salesiana
Per me Dio è stato sempre un buon papà
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877

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LE COSE DI DON BOSCO
B.F.
Il vestito nuovo di
Mamma Margherita
Sulla terra, io non sono mai esistito. Nei
sogni e in Paradiso, sì. Appartengo
in qualche modo a Mamma Marghe-
rita, la mamma di don Bosco. Visse
nell’Oratorio dieci anni nel lavoro, nella
povertà, nella preghiera, a fianco del
figlio san Giovanni Bosco, prodigando cure e
tenerezze materne verso i primi giovanetti che
suo figlio raccoglieva. La povertà era rigorosa,
il cibo misurato e sempre scarso. All’Oratorio
si tirava la cinghia. Quando i piccoli lavoratori
e studenti che vivevano come interni tornavano
a mezzogiorno, puntavano dritto alla cucina di
Mamma Margherita. Tendevano il gavettino per
avere il «rancio», e chiedevano: «Cosa c’è oggi,
Mamma?». La grossa pentola bolliva sul fuoco,
e Mamma rispondeva: «Riso e patate», oppure:
«Pasta e fagioli borlotti» e più raramente «Po-
lenta e castagne». Chi voleva, poteva andare a
raccogliere nell’orto di Mamma insalata, pomo-
dori o peperoni, per farsi una bella insalata.
Mamma Margherita indossava sempre lo stesso
vestito. Lo rammendava, lo ricuciva, lo rattop-
pava, ma non lo cambiava mai. Don Bosco se
ne vergognò: «Mamma, le disse un giorno, sono
tanti anni che rattoppi quel povero vestito. Non
si sa neanche più qual era il colore iniziale».
«Lo trovi sporco?» «Per carità, neanche una
macchia! Ma tutte queste toppe!»
«E che ci possiamo fare, mio povero Giovanni?
Sai quanto siamo poveri.»
«Tenete, mamma, eccovi venti lire. Comprate
una bella pezza di stoffa e fatevi un vestito nuo-
vo. La Provvidenza ci restituirà questa somma.»
Passarono quindici giorni e il vestito di Mamma
Margherita era sempre lo stesso.
«E il vestito nuovo, mamma?» «Un vestito costa,
figlio mio.»
«È ben per questo che le ho dato venti lire.»
«Ah, sono lontane le tue venti lire. Avevo biso-
gno di sale, zucchero, olio. Poi ho visto uno dei
tuoi ragazzi senza scarpe e gliene ho comperato
un paio; con il resto ho comprato un po’ di tela
per fare mutande ad un poveretto. Come vedi…»
«Avete fatto bene, ma resto della mia idea. Que-
sto vestito non è più decoroso. Eccovi altre venti
lire, ma questa volta dovete spenderle solo per un
vestito nuovo.» «Stai tranquillo. Uno di questi
giorni me lo vedrai addosso.»
Ma, don Bosco non vide mai il vestito nuovo
di Mamma Margherita. E quando la Mamma
morì, fu sepolta con l’umile vestito che aveva
sempre portato. Era tutto il suo guardaroba. E
non ebbe neanche una tomba. Erano talmente
poveri in quegli anni che la sua salma fu depo-
sta nella fossa comune. Mamma Margherita fu
povera fino alla fine.
Ma in Paradiso c’ero io ad aspettarla. Perché
sono io il vestito nuovo di Mamma Margherita e,
come potete immaginare, sono una cosa dell’altro
mondo! Così, quando Mamma Margherita andò
a visitare don Bosco in sogno, ci pensai io ad
agghindarla come una gran dama. E finalmente
anche don Bosco fu accontentato.
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Gennaio 2014

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IL
GENNAIO 2014
ANNO CXXXVIII
Numero 1
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 LA SPIRITUALITÀ SALESIANA
6 LETTERE
8 SALESIANI NEL MONDO
Maestro Luiz
12 L'INVITATO
Frank De Lorenzi
16 FINO AI CONFINI DEL MONDO
18 FMA
20 EVENTI
L'Istituto Salesiano
per le Missioni
22 INVITO A VALDOCCO
26 LE CASE DI DON BOSCO
Pavia
30 COME DON BOSCO
32 LA LINEA D'OMBRA
34 A TU PER TU
Odise Lazri
37 RELAX
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Patagonia
40 I NOSTRI SANTI
42 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
43 LA BUONANOTTE
8
12
34
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina :
Buon Compleanno,
don Bosco! Inizia
l’anno bicentenario
della nascita
di don Bosco:
un anno molto
importante per la
Famiglia Salesiana
(Disegno di
Stefano Pachì).
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Cesare
Bissoli, Pierluigi Cameroni,
Maria Antonia Chinello, Roberto
Desiderati, Sergio Giordani,
Ruedi Leuthold, Cesare Lo Monaco,
Alessandra Mastrodonato, O. Pori
Mecoi, Francesco Motto, Pino
Pellegrino, Linda Perino, Daniela
Scherrer, Luigi Zonta, Fabrizio
Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Tullio Orler (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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n. 403 del 16.2.1949
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Periodica Italiana

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LA SPIRITUALITÀ SALESIANA
PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA
Per me Dio
è sempre stato
un
buon papà
Una premessa necessaria
Tra le molte cose che ho scritto, invano troverai
un mio diario spirituale, una descrizione del mio
itinerario intimo, un’autobiografia come specchio
della mia spiritualità. Non era il mio stile.
Forse per quel naturale riserbo che è
proprio dei contadini, pro-
babilmente per la forma-
zione che avevo ricevuto
non mi sentivo portato
ad aprirmi, certamente
perché preferivo conser-
vare nel mio cuore il ricordo di
tante esperienze, di lotte e di conquiste apostoli-
che, anziché manifestarle in pubblico.
Per questo non troverai nei miei libri e nelle mie
conversazioni né confidenze né testimonianze del
mio personale rapporto con Dio e con il suo mi-
stero.
Eppure, ti posso assicurare che tutta la mia esi-
stenza è nata, cresciuta e si è sviluppata in un in-
timo contatto con il soprannaturale. Se il mondo
è stato il mio banco di prova, la fede è stata la
mia risposta di credente. Ero solito affermare: «In
mezzo alle prove più dure ci vuole gran fede in Dio».
Questo lo dicevo agli altri. Per primo, a me stesso.
Le certezze che mi hanno sorretto
Mi ha sempre guidato una certezza: in ogni cosa
ho sempre sentito una garanzia dall’alto. Pur nel-
la consapevolezza dei miei limiti, sentivo bruciare
nel mio cuore l’ardore del servo biblico, la voca-
zione del profeta che sa di non potersi sottrar-
re ai voleri divini. Anche se, quando parlavo dei
miei “sogni” non ho mai usato il termine biblico
di “annunciazione”, pure ho sempre ritenuto che
fossero autentici avvertimenti dall’alto da valutare
con prudente umiltà e fiducioso ascolto. Quan-
do, negli anni della mia piena maturità rileggevo
la mia esperienza apostolica, provavo in me una
specie di vertigine, di stupore evangelico che mi
faceva esclamare: «Ero un povero prete, solo, abban-
donato da tutti, assai peggio che solo, perché dispre-
giato e perseguitato; avevo un vago pensiero di fare
del bene… Sembrava allora un sogno il pensiero del
povero prete, eppure Iddio realizzò, compì i desideri
di quel poveretto. Come si siano fatte le cose, io appe-
na saprei dirvelo. Non me ne so dare ragione io stesso.
Questo io so, che Dio lo voleva».
Mi lasciavo guidare da una frase raccolta tante
volte dalle labbra di mia madre: «Siamo nelle mani
del Signore, il quale è il più buono dei padri che veglia
di continuo al nostro bene, e sa ciò che è meglio per noi
e quello che non è».
Occorreva una buona dose di fede, di coraggio e
di abbandono alla Provvidenza del Signore; que-
sta non mi mancava, anche se verso la fine della
vita confesserò: «Se io avessi avuto cento volte più
fede, avrei fatto cento volte più di quello che ho fatto».
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Affrontavo la vita con tutte le sfide che essa mi pre-
sentava con serena e filiale fiducia nel Signore. Ai
miei ragazzi scrivevo già nel 1847 in quel libro di
preghiere e di formazione cristiana che avevo inti-
tolato Il Giovane Provveduto e che si stava rivelan-
do un autentico bestseller indovinato nello stile e nel
contenuto: «Non sei al mondo solamente per godere, per
farti ricco, per mangiare, bere e dormire, come fanno le
bestie, ma il tuo fine si è di amare il tuo Dio». Descri-
vevo il cristiano come «un viaggiatore in cammino
verso il Cielo». Per me, il Signore e il Cielo sostan-
zialmente si equivalevano. Infatti volevo i miei gio-
vani «felici nel tempo e nell’eternità». Quando parlavo
di Dio come «Padre misericordioso e provvidente» la
mia preghiera cambiava di tono: in genere, era una
preghiera semplice e cordiale la mia, senza eccessive
inflessioni di voce. Ma quando pronunciavo le pa-
role Padre nostro le dicevo con un accento che – e me
lo riferivano con molta semplicità i presenti – tradi-
va un insolito trasporto del cuore. Avevo pianto la
morte di mio papà Francesco con quell’innocente
e straziante dolore che è capace di manifestare solo
un bambino che non ha ancora compiuto due anni
d’età. Quella morte mi aveva introdotto nel mistero
di un Dio che non abbandona mai i suoi figli. E sin
dai primi anni di vita mi rapportai con Lui come un
padre buono e misericordioso.
Un impegno per sempre
Scrissi nel 1854: «Quando mi sono dato a questa parte
di sacro ministero intesi consacrare ogni mia fatica alla
maggior gloria di Dio ed a vantaggio
delle anime, intesi adoperarmi per
fare buoni cittadini in questa ter-
ra, perché fossero poi un giorno
degni abitatori del Cielo. Dio mi
aiuti di poter continuare fino all’ul-
timo respiro di mia vita. Così sia».
Sono parole impegna-
tive che sono diventate
il programma defini-
tivo della mia intera
esistenza, cui non sono mai
venuto meno. Tanto è vero
che, nella presentazione del
libro Il Giovane Provveduto,
potevo fare un’affermazione molto coraggiosa, ma
soprattutto vera: «Miei cari, io vi amo tutti di cuore,
e basta che siate giovani, perché io vi ami assai, e vi
posso accertare che troverete libri propostivi da persone
di gran lunga più virtuose e più dotte di me, ma diffi-
cilmente potrete trovare chi più di me vi ami in Gesù
Cristo, e che desideri la vostra vera felicità».
Mi stavo impegnando per sempre alla causa dei
giovani, anche se storicamente vivevo un momen-
to di grande incertezza. Poco prima (siamo a luglio
1846) avevo sofferto un collasso fisico che mi aveva
portato alle soglie della morte; poi, dopo un breve
periodo di convalescenza trascorso ai Becchi, ero
tornato a Torino. Là c’era stato un dialogo teso e
difficile con la buona Marchesa Barolo. Ebbene,
son contento di poter ripetere oggi la mia net-
ta presa di posizione di allora fatta alla generosa
benefattrice (che mi amava come il figlio che non
aveva mai avuto), il mio “sì” ufficiale e definitivo,
il mio “credo” a favore dei giovani. Proprio oggi,
quando vedo la Congregazione dilatata e presen-
te in oltre 130 nazioni: «La mia vita
è consacrata al bene della gioven-
tù. La ringrazio delle
profferte che mi
fa, ma non posso
allontanarmi
dalla via che la
divina Prov-
videnza mi ha
tracciato». E senza
nessun appoggio uma-
no mi ero abbandonato «a
quello che Dio avrebbe disposto
di me».
Mi fidavo di Dio, Colui che
era sempre stato il mio buon
“papà”.
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LA POSTA
I NOSTRI ESPERTI RISPONDONO
I bambini hanno
bisogno di rituali
Sono una maestra di scuola d’in-
fanzia e sono spesso turbata dal
fatto che tanti bambini arrivano a
scuola “strattonati” psicologica-
mente dai genitori. Spesso sento
soltanto frasi del tipo: «Sbrigati!
Ci scombussoli tutti ogni mattina.
Dobbiamo stare tutti ai tuoi como-
di. Io non riesco più ad arrivare
puntuale al lavoro solo perché tu
sei così lento. Sei un peso per tutti
noi. Smettila di frignare!». I bam-
bini sono malinconici, si sentono
scaricati, reagiscono con nervo-
sismo e aggressività. È davvero
un brutto modo di cominciare la
giornata.
Barbara Martinengo
Cara Barbara, lei ha
perfettamente ragione
e tocca uno dei punti
fondamentali dell’e-
ducazione, in questo
nostro tempo così feb-
brile e frettoloso. In psicologia si
parla di rituali di transizione. Per
i bambini esistono transizioni
quotidiane come quelle della mat-
tina e della sera, uscire di casa e
tornarci. Perciò i rituali mattutini
e serali sono così importanti. I
bambini desiderano ardentemente
un buon rituale serale, alcuni non
riescono proprio ad addormentar-
si se il papà o la mamma non va
da loro, gli racconta una storia,
prega con loro o li abbraccia. Una
donna ormai adulta mi racconta-
va di avvertire ancor oggi sulla
testa la mano calda e pesante del
padre che la sera, dopo aver pre-
gato insieme, faceva sempre quel
gesto per benedirla e affidarla al-
la protezione divina. Dopo tanto
tempo, questo atto era ancora per
la donna espressione di amore,
sicurezza affettiva e protezione.
La sera i bambini hanno paura
dei sogni; il rituale serale gliela fa
passare perché dà loro sicurezza e
non solo per quel che riguarda la
paura della notte. Dà loro la cer-
tezza che i genitori sono e riman-
gono con loro. Spesso i bambini
vogliono sentire sempre le stesse
fiabe, recitare le stesse preghiere.
Ciò dà sicurezza e una patria. Abi-
tano, per così dire, nei rituali, ci si
sentono a casa.
Altrettanto importante è il rituale
mattutino che inizia con un ge-
nitore che sveglia il piccolo sor-
ridendogli amorevolmente. Pur-
troppo oggi sono sempre meno le
famiglie nelle quali si celebra un
buon rituale mattutino. Alcuni ge-
nitori prima di colazione recitano
con i figli una preghiera del matti-
no che esprime soprattutto il desi-
derio di protezione. E benedicono
o salutano cordialmente i figli che
vanno all’asilo o a scuola. Come
dice il termine stesso, si «bene-
dice» a parole, ma la benedizione
può avvenire anche imponendo
le mani, abbracciando il figlio o
tracciandogli una croce sulla fron-
te. La croce è segno di vicinanza,
dice: tutto in te è buono. Tutto in
te è amato da Dio. E: sei protetto.
OGNI MESE
DON BOSCO
A CASA TUA
Il Bollettino Salesiano vie-
ne inviato gratuitamente a
chi ne fa richiesta.
Dal 1877 è un dono di don
Bosco a chi segue con sim-
patia il lavoro salesiano tra
i giovani e le missioni.
Diffondetelo tra i parenti e
gli amici. Comunicate su-
bito il cambio di indirizzo.
La croce ti custodisce da ogni pe-
ricolo, da tutto ciò che ti minaccia
o ti può nuocere. I bambini han-
no bisogno di parole buone per
credere nel bene che è in loro. E
hanno bisogno di rituali sicuri per
sentirsi benedetti e protetti nella
vita quotidiana.
Ricordo
di due ragazzi
un po’ speciali
Chi entra nel cimitero di un picco-
lo paese in provincia di Genova,
nota subito nel campo due tombe
poste quasi una di fronte all’altra,
presso le quali sosta spesso qual-
che persona in raccolta preghiera:
sono quelle di Luca e Andrea, nati
entrambi nel 1985.
Erano due splendidi ragazzi che
sicuramente sarebbero piaciuti a
don Bosco. Luca era serio e scher-
zoso a un tempo: gli piaceva pra-
ticare vari sport e divertirsi con gli
amici, ma frequentava anche con
il massimo profitto la facoltà di
Filosofia, aveva fatto il barelliere a
Lourdes e aveva seguito con impe-
gno i ragazzini dell’oratorio, che lo
adoravano perché si sapeva met-
tere al loro livello. Luca aveva, fin
da piccolo, una grande passione,
la montagna, che non intendeva
come puro esercizio fisico ma an-
che e soprattutto come un’ascesa
dello spirito. Aveva già affrontato,
pur giovanissimo, diversi 4000
e provava una gioia sconfinata
quando, raggiunta una cima, aveva
solo il cielo sopra di sé. E proprio
durante una scalata, nel 2006, è
salito più in alto, fino alla casa del
Padre.
Andrea, exallievo salesiano, era
un ragazzo a sua volta spiritoso
e riflessivo, con un forte senso
dell’amicizia e della solidarietà.
Profondamente legato al suo pae-
se, è stato anche attivo membro di
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IL LIBRO
una delle locali confraternite. An-
drea ha concluso il suo cammino
terreno nel 2012, dopo una dolo-
rosa malattia che ne ha prostrato il
fisico senza riuscire però ad abbat-
terne lo spirito. Brillante studente
di medicina e quindi pienamente
consapevole della situazione, ha
coraggiosamente abbracciato la
sua Croce, con totale adesione alla
volontà del Padre: durante il diffi-
cile periodo della malattia, ha reso
ancora più salda e profonda la sua
fede, nutrendola con l’assiduità
della preghiera e dei sacramenti,
con la quotidiana meditazione del
Vangelo e di testi impegnativi. Pur
nel progredire del male, Andrea ha
mantenuto costanti rapporti con
gli amici, cui è stato prodigo fino
alla fine di consigli e incoraggia-
menti. Sempre umile e modesto, a
chi si complimentava con lui per
la grande forza d’animo e la ferma
testimonianza cristiana, risponde-
va: “Io non sono nulla. Lui è tutto”.
Gli antichi greci dicevano: “Muore
giovane chi è caro agli dei”; a me
piace pensare che lassù Qualcuno,
quando ha chiamato a sé Luca e
Andrea, avesse bisogno, nel suo
disegno di amore, di due figli un
po’ speciali.
Lucia,
mamma di Luca,
exallieva di Campo Ligure
Nelle "Terre
dell'Educazione"
I deliziosi cioccolatini Don Bosco
A Chieri, Giovanni Bosco si
distinse come provetto pastic-
cere e creatore di cioccolatini.
Il signor Giuseppe Buttiglieri
nella sua conosciutissima pa-
sticceria chierese ha creato in
onore del santo dei deliziosi cioc-
colatini all’assenzio.
Informazioni: pasticceriabuttiglieri@gmail.com
Il vino del nonno
di don Bosco
Cascina Gilli è situata su una
dorsale di colline di terra bianca
completamente coltivate a vigne-
to, sulla strada che da Castelnuo-
vo Don Bosco conduce ad Albugnano. La sua storia risale a molti anni fa: già nel
1700 su queste colline di terra bianca si coltivavano le viti e il nonno del santo
Giovanni Bosco lavorava qui come mezzadro. In uno dei vigneti, coltivati ancora oggi
a freisa, vi è ancora la struttura del forno, dove veniva cotto il pane per i mezzadri. Da
qui trae origine il nome la freisa d’Asti, dedicata alla memoria del nonno di don Bosco.
L’etichetta riporta una bella frase del Santo: "Operate oggi in modo che non abbiate
ad arrossire domani".
Informazioni: www.cascinagilli.it
«Non si tratta di un manuale
di studio, ma di un percorso
di vita»: è questa la chiave di
lettura di questo libro coin-
volgente, frutto di un’espe-
rienza educativa reale che ha
colmato l’esistenza dell’autore
e che qui trova una specie di
“diario”, con le caratteristiche
di freschezza e di vivacità pro-
prie dei diari. Dentro non ci
sono grandi teorie pedagogi-
che, ma persone.
Marco Pappalardo
37 anni di Catania. Salesiano
Cooperatore, pubblicista, do-
cente di lettere presso il Liceo
"Don Bosco" e il corso di lau-
rea in Scienze della Comuni-
cazione di Catania.
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SALESIANI NEL MONDO
RUEDI LEUTHOLD - fotografie di Florian Kopp da Don Bosco Magazin
(Traduzione di Marisa Patarino)
Maestro Luiz
Cacciatore d’acqua
Costruire pozzi
è la sua missione.
Il signor Alois Würstle,
salesiano coadiutore,
da oltre 50 anni, vive
in Brasile, dove aiuta
la popolazione locale
con le sue conoscenze
specifiche, la costanza e
la forza muscolare.
«Prima andava anco-
ra bene, ma ades-
so non più», dice
Maestro Luiz. La
trivella lavora a 14
metri di profondi-
tà e libera aria compressa, argilla e
fango. Non scaturisce acqua. È in
corso la stagione secca nella savana
brasiliana, nella parte occidentale
del Paese. Il sole brucia. Nella fore-
sta tropicale, terra degli indios, ron-
zano le zanzare. Il volto del Maestro
Luiz è coperto di polvere, sudore e
terra. I bambini del piccolo villag-
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gio indiano cercano l’ombra già da molto tempo.
La trivella gira, trapana e non riesce a procedere.
E adesso, Mestre? Si rinuncia? È il caso di cercare
un altro posto? Si dovranno lasciare i 29 abitanti
della frazione di Tres Rios nella riserva indiana
di Sangradouro, nello Stato brasiliano del Mato
Grosso, senza il pozzo che desideravano tanto?
Mestre Luiz tossisce per liberare i polmoni dalla
polvere, poi sorride.
Una leggenda nella terra
degli indios xavante
Il Maestro settantacinquenne è una leggenda
nella terra degli indios xavante. È stato battez-
zato nel Mochenwangen, nel distretto rurale di
Ravensburg, nello stato federale tedesco del Ba-
den-Württemberg, con il nome di Alois Würstle.
È l’undicesimo di 13 figli di una famiglia di la-
voratori. A dodici anni ha capito di voler essere
missionario, ma non con le prediche: desiderava
costruire ponti, come avevano fatto in Africa i
missionari dei quali aveva parlato il suo parroco.
Quella testimonianza lo aveva colpito. Il parroco
indirizzò il suo giovane ministrante in una scuola
salesiana, dove Alois diventò elettricista e poi en-
trò nella Congregazione. A 19 anni andò in Bra-
sile come salesiano laico e diventò “Mestre Luiz”.
Oggi il Maestro non ricorda più quanti ponti e
quanti chilometri di strada abbia costruito, oltre
a tre centrali idroelettriche e più di 250 pozzi. Sa
però che quest’opera, il pozzo di Tres Rios, sarà
una tra le ultime che realizzerà. Dovrebbe rinun-
ciare? Non è neppure il caso di parlarne!
Mestre Luiz si dirige verso il camion Mercedes su
cui è installata una gru e fa un cenno ai suoi due aiu-
tanti. Paulinho e Osmar sanno che cosa significa: il
Maestro Luiz vuole scavare ancora più in profondità.
Paulinho Becerra è arrivato dal Brasile nord-orien-
tale, Osmar Guarienti proviene dal sud del Paese.
Entrambi hanno frequentato una scuola dei Sale-
siani, entrambi collaborano da anni con Luiz. An-
che altri Brasiliani hanno cercato di lavorare con
Luiz, ma non sono riusciti a tenergli dietro. Luiz
è rude e testardo. Paulinho e Osmar hanno com-
preso che il Maestro parla poco. E hanno imparato
per esperienza che se vuole qualcosa in genere ha
buone ragioni.
Da tempo Luiz è entrato a far parte della loro fa-
miglia. Il salesiano tedesco è il padrino di Lucas,
il figlio quattordicenne di Paulinho. Gli ha rega-
lato un paio di buone scarpe, così adesso durante
le vacanze il ragazzo può accompagnarli mentre
svolgono i lavori di perforazione.
Quando Alois Würstle terminò il suo corso di
studi diventando elettricista, suo padre gli pro-
mise una moto. Alois aveva però obiettato: «A
cosa mi serve una moto? Come missionario non
ne avrò bisogno. Mi servono strumenti di lavo-
ro!». «Porta con te dei libri», gli aveva consigliato
il fratello prima della sua partenza per il Brasile.
Alois partì invece con 300 kg di strumentazione.
A 56 anni di distanza, Maestro Luiz viaggia con una
trivella che gli permette di cercare acqua fino a una
profondità di 150 metri, un camion e un compres-
sore, acquistati grazie a donazioni provenienti dalla
Germania, dalla Svizzera, dalla Spagna e dall’Ame-
rica Settentrionale. Una volta effettuò perforazioni
alla ricerca di acqua in un villaggio i cui abitanti si
erano fatti battezzare da un predicatore evangelico.
Quando un sacerdote cattolico espresse rimostranze
per questo motivo, Mestre Luiz rispose: «Io scavo
pozzi per le persone, non per le religioni».
Il sorriso del
signor Alois
Würstle, salesiano.
È una leggenda
nella terra degli
indios xavante.
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SALESIANI NEL MONDO
Nelle riserve,
infatti, l‘acqua
potabile è un
bene raro. La
terra è spesso
contaminata da
sostanze chimiche.
Mestre Luiz, come
lo chiamano gli
indios, arriva con
le sue pesanti
attrezzature e
scava finché trova
acqua pulita.
La riserva indiana di Sangradouro, in cui vivono
3000 persone, si estende su 125 000 ettari della
savana più ricca del mondo, con 1000 tipologie di
piante diverse, 935 specie di uccelli, 298 di mam-
miferi, 268 di rettili. Lo stato del Mato Grosso è il
maggior produttore del Brasile di soia, mais e co-
tone. Un ettaro di mais richiede in media l’uso di
sei litri di prodotti chimici per l’agricoltura, tra cui
si annoverano erbicidi, pesticidi e insetticidi. Per
un acro di soia occorre utilizzare dieci litri di que-
sti preparati, venti per un campo di cotone. I campi
di soia, mais e cotone si trovano a poche centinaia
di metri dai villaggi degli indios. Non di rado il
vento trasporta nella terra in cui vivono le sostanze
chimiche nebulizzate nei campi coltivati.
I ricercatori dell’Università Federale del Mato
Grosso hanno trovato nel latte materno di 62
donne residui di prodotti agrochimici usati per
la coltivazione della soia. Nei villaggi indios si re-
gistrano casi di cancro, che in precedenza non si
erano verificati. In realtà, in Brasile l’irrorazione
di prodotti chimici con aeromobili sarebbe sog-
getta a severe normative. Il Maestro delle trivelle
proveniente dalla Germania sa solo che nessuno
controlla l’osservanza delle prescrizioni.
Allora si fece avanti
una donna xavante
«So cosa significa essere poveri. So cosa significa
avere fame. Negli anni del dopoguerra pregava-
mo i contadini di darci un po’ di pane. Io e mia
madre andavamo nei campi dopo che erano pas-
sate le mietitrebbiatrici e raccoglievamo le spighe
di grano avanzate. Chi è povero non conta nulla.
In Brasile la situazione non è diversa».
Maestro Luiz padroneggia i vari interruttori con i
quali mette in funzione la sua trivella, indossa un
camice blu infangato, ha i capelli biondi parzial-
mente coperti di polvere rossastra. Aziona i tubi
di plastica più in profondità, convinto che in quel
terreno troverà acque sotterranee: acqua pulita
per gli abitanti del villaggio di Tres Rios. Questo
è il suo compito, niente di più.
Per il suo impegno, nel 2009 ha ricevuto la Croce
di Merito con la quale è stato nominato cittadi-
no onorario dello Stato del Mato Grosso. In oc-
casione del 50° anniversario della fondazione di
un’Opera Missionaria in un territorio abitato da
indios, tutte le persone che avevano dato un con-
tributo importante per la storia dell’opera furono
chiamate sul palco. Per qualche ragione il Mae-
stro dei pozzi fu dimenticato. Si fece allora avanti
una donna xavante. Già questo fatto era insolito,
perché qui difficilmente le donne si esprimono in
contesti pubblici. La donna esclamò: «Adesso vo-
gliamo vedere Mestre Luiz! Ha reso più facile la
nostra vita, con i suoi pozzi».
Ora dice: «In che modo le persone dovrebbero
combattere per la loro cultura e la loro terra, se
sono malate perché bevono acqua sporca, o se le
donne devono percorrere lunghi tratti di strada
per andare a prendere l’acqua e non hanno il co-
raggio di mandarvi i loro figli perché le pozzan-
ghere da cui attingono sono infestate da serpenti
velenosi?».
Stamattina Ricardo, il maestro del villaggio, ha
dichiarato aperti di fronte ai visitatori i lavori per
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Gennaio 2014

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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UNA MISSIONE CENTENARIA
la realizzazione dei pozzi che il villaggio desidera
avere. Poi Luiz, Paulinho e Osmar si sono subito
messi all’opera. Quando torna, Ricardo insieme
a sua moglie apprezza l’avanzamento dei lavori.
Era stato nel bosco, ha visto un armadillo e lo ha
subito ucciso. Gli indios xavante cacciano e pe-
scano ancora nella loro terra. Alcuni vanno anche
all’università. Non pochi, perduti nel mondo, si
ubriacano.
L’ispettoria salesiana di Campo Grande, nel Brasile meridionale, ha 20 case,
alcune delle quali si trovano nella riserva indigena nel Mato Grosso. Da oltre
100 anni i salesiani di don Bosco lavorano accanto agli indios xavante e
bororo nella loro riserva. Queste popolazioni, che in passato erano nomadi,
ora vivono in villaggi. Complessivamente abitano qui circa 15 000 Xavante
e 1200 Bororo. A seguito di misure di espulsione intraprese in passato, il
loro numero è drasticamente diminuito. Oggi seguono ancora le loro antiche
regole tribali e vivono di agricoltura, pesca e caccia. Il signor Alois Würstle
negli ultimi anni ha lavorato intensamente nella riserva, dove ha costruito
strade, ponti, centrali idroelettriche e pozzi. Un pozzo con ruota idraulica,
tubazioni e bacino idrico costa tra 3300 e 4300 euro, a seconda della pro-
fondità del pozzo.
Per informazioni: www.donboscomission.de
Una birra in cucina
I missionari salesiani arrivarono nel Mato Grosso
nel 1894. Cominciarono a combattere per per-
mettere agli indios di conservare la loro terra e
aiutarli a non perdere la loro cultura.
Mestre Luiz è felice di non dover indicare la giu-
sta via a queste popolazioni. Lui costruisce poz-
zi. Questo è il suo contributo. «In definitiva, gli
indios in prima persona devono scegliere dove
vogliono andare», dice. Improvvisamente, da una
profondità di 25 metri zampilla acqua. Paulinho
e Osmar alzano le braccia al cielo, come se aves-
sero segnato un gol. Il Maestro Luiz sorride e dal
camion solleva con la gru le colonne per il serba-
toio dell’acqua e i pannelli solari.
Ha anche inventato una pompa d’acqua collegata a
un’altalena. Mentre i bambini dondolavano, pom-
pavano l’acqua. Vide però che i bambini si stanca-
vano rapidamente di quel gioco e le loro madri do-
vevano allora pompare l’acqua a mano. Adesso usa
l’energia solare per generare la corrente necessaria
per la pompa elettrica. Quando ha però riscontrato
che gli uomini di un villaggio avevano smantellato
i pannelli solari per guardare la televisione di sera,
ha rinunciato all’installazione di un impianto.
È già buio quando la squadra del Maestro Luiz
torna alla missione. Il pozzo di Tres Rios è uno
dei suoi ultimi lavori. Il governo brasiliano ha an-
nunciato un nuovo programma con il quale vuole
garantire l’accesso all’acqua potabile per tutta la
popolazione. Il Maestro è stanco. Lui e i suoi col-
laboratori avranno abbastanza da fare per provve-
dere alla manutenzione dei pozzi realizzati finora.
Alla missione, le suore di don Bosco hanno prepa-
rato la cena. «Le suore mi hanno aiutato a diventare
una persona migliore. Non hanno mai fatto man-
care una parola buona», dice. E gli hanno anche
fatto trovare una birra in cucina. A volte in questo
mondo che è diventato frenetico gli mancano un
po’ più d’affetto e di considerazione. Per fortuna
ha alcune persone che sono diventate i suoi amici
e la famiglia: Paulinho e Osmar. Pensa di tornare
in Germania un giorno? «Ognuno dovrebbe mori-
re dove ha lavorato e dov’è apprezzato», risponde.
Perché qui nessuno conosce più Alois Würstle, ma
tutti sanno chi è Mestre Luiz.
«Mestre Luiz ha
reso più facile la
nostra vita con i
suoi pozzi!».
Gennaio 2014
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2.2 Page 12

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L’INVITATO
O. PORI MECOI
«Sono Thai da più di cinquant’anni»
Frank De Lorenzi
Missionario salesiano in Thailandia
«Quella sera, il Cappellano
mi chiamò. Andammo in
chiesa di fronte alla statua
della Madonna delle
Grazie. Dicemmo una
Salve Regina e poi lui,
guardandomi, mi domandò:
“Vuoi andare dai
Salesiani?”. Io non sapevo
neppure chi fossero».
Com’è nata
la sua vocazione?
All’esame di quinta elemen-
tare il maestro mi domandò:
«E adesso che hai finito le
scuole cosa farai?» Io gli ri-
sposi subito: «Mi farò prete».
E lui mi fece una risata in
faccia. Si vede che aveva ca-
pito che non c’era proprio molta stoffa
da prete! Passarono ancora due o tre
anni. Nel frattempo aiutai il papà nel
lavoro di cementista. La mamma mi
fece tentare di imparare il mestiere
del sarto perché in famiglia eravamo
in sette e voleva che dessi una mano
nel rattoppare la biancheria. Mio fra-
tello maggiore aveva imparato a fare
il calzolaio, per lo stesso motivo. Ma
io non ero certo fatto per questo me-
stiere. A me interessava solo giocare
a calcio!
Quale fu la scintilla?
Una domenica arrivò in paese un
Missionario Salesiano dal Giappone
che nel pomeriggio proiettò il film “I
26 martiri Giapponesi”. Quella sera,
il Cappellano mi chiamò. Andammo
in chiesa di fronte alla statua della
Madonna delle Grazie. Dicemmo
una Salve Regina e poi lui, guardan-
In alto: Un matrimonio buddista benedetto da un
prete cattolico.
A sinistra: Allievi di una scuola professionale
salesiana in Thailandia.
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Gennaio 2014

2.3 Page 13

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domi, mi domandò: «Vuoi andare dai
Salesiani?». Io non sapevo neppure
chi fossero. Eravamo però soliti can-
tare “Giù dai colli” prima dell’inizio
del Catechismo festivo e risposi di sì.
Lui mi disse: «Vai a casa e di’ che fra
una settimana andrai in Aspirantato
ad Ivrea». La mia mamma andò sulle
furie e se la prese con il Cappellano
dicendo: «È questo il modo di fare?»
Mio fratello maggiore sembra abbia
detto: «Lascialo andare, tanto fra una
settimana sarà di nuovo a casa». Il 5
marzo del 1950 entrai nell’Aspiranta-
to Cardinal Cagliero di Ivrea.
Chi per primo
le ha raccontato
la storia di Gesù?
Sono nato a Ronchi di Villafranca
Padovana il 29 aprile del 1935. Sono
stato battezzato il 5 maggio. Da quel
momento è iniziata la mia formazio-
ne spirituale. Anche se all’inizio in
un modo inconscio. La mia mam-
ma ha avuto un influsso molto forte
«Una vasca con cisterna per l’acqua piovana.
L’acqua è un problema serio nei villaggi. Ne ho
costruite parecchie».
nella mia formazione. Anche se non
ricordo che mi abbia parlato diret-
tamente di Gesù, ha però seguito la
nostra educazione cristiana sia con le
preghiere, il rosario in famiglia, sia
poi con il mandarci al catechismo e
a messa tutti i giorni (allora la santa
messa era alle cinque!) nel vicino san-
tuario della Madonna delle Grazie di
Villafranca.
Perché proprio Salesiano?
Me lo domando anch’io tante volte!
Io ci vedo la mano della Madonna. A
me piaceva molto giocare. Forse deb-
bo dire “troppo”. Purtroppo ho fatto
perdere la pazienza molte volte sia a
mamma sia a papà. Anche a Ivrea ho
giocato molto. Ho anche rotto i denti
a un mio compagno giocando al pal-
lone! Mi ricordo che quando suonava
la campanella per andare allo studio
sbuffavo! Però mi piaceva servire in
chiesa, come chierichetto, aiutare il
parroco per la questua, benedire le
case, le stalle e altri lavori. Sono sem-
pre stato sincero con i superiori e i su-
periori mi hanno fatto andare sempre
avanti fino ad ora.
Come si è svolta
la sua vita salesiana?
Sono stato ordinato sacerdote a Saler-
no dove avevo studiato Teologia, il 20
marzo 1967. In settembre feci ritorno
in Thailandia. Ho fatto il parroco in
diversi posti. Ricordo con piacere la
parrocchia della Madonna di Lour-
des ad Hat Yai, sud della Thailandia,
con tre-quattro centri missionari dove
andavo a celebrare la santa messa. È
una bella parrocchia. Ho potuto fare
«Zelo missionario iniziale di quasi 60 anni fa!
A caccia di che cosa non so. Così sognavamo
la missione!».
delle buone attività. Abbiamo co-
struito un bel centro catechistico per
corsi di formazione sia per adulti sia
per giovani. Soprattutto durante il
periodo estivo. Nel 1975 alla caduta
di Saigon nelle mani dei Vietcong,
è iniziato l’esodo dei vietnamiti, che
come prima tappa, attraversando il
golfo della Thailandia arrivavano a
Songkhla, la nostra provincia. E qui
sono iniziate le attività di soccorso.
Abbiamo raccolto fondi per le prime
necessità, soprattutto cibo. Io ho fat-
to da tramite con chi aveva parenti in
America o altre nazioni per organiz-
zare il loro ricongiungimento.
Ho fatto un po’ di tutto oltre al par-
roco: infermiere al pronto soccorso,
poliziotto, detective. Abbiamo anche
costruito un acquedotto di 6 km per
la mancanza di acqua. Poi sono inco-
minciati gli acciacchi della vecchiaia.
A 60 anni ho subito un’operazione al
cuore, con conseguente rallentamento
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2.4 Page 14

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L’INVITATO
dell’attività. Sono stato mandato nel-
la scuola professionale di Bangkok,
con adiacente Chiesa di San Giovanni
Bosco, come incaricato della vita pa-
storale: battesimi, cresime, matrimoni,
visite ad ammalati. Continuo, finché il
cuore ce la fa.
È stato difficile
il suo compito?
In 42 anni di vita parrocchiale, con
i fedeli mi sono sempre trovato bene.
Certo non sono sempre state rose,
perché sappiamo che le rose hanno
anche le spine, quindi tutto normale.
Una difficoltà relativa è stata la pre-
parazione ai sacramenti, che molti
tendono a ricevere per tradizione con
poca convinzione. Ho capito molto
presto nella mia attività parrocchiale
il detto: “È la comunità che salva”. La
famiglia, prima di tutto e poi le co-
munità parrocchiali e anche i piccoli
centri missionari.
E il rapporto con i buddisti?
L’apostolato tra i buddisti è stato una
bella esperienza. Sia con i giovani
studenti sia con gli adulti. Con i gio-
vani sono sempre partito con l’amici-
zia. Come ho detto, mi piaceva molto
giocare a calcio e a basket, ma poi an-
che le passeggiate, alla “Don Bosco”.
È un’amicizia duratura, tanto che al-
cuni exallievi hanno voluto che cele-
brassi il matrimonio dei figli con stile
cattolico, con la lettura del vangelo e
il consenso secondo il nostro rito. In
genere si fa nell’hotel, dove si tiene
poi il pranzo. Anche gli exallievi pur
non essendo diventati cattolici, sono
tutti simpatizzanti, alcuni recitano
ancora l’Ave Maria e la preghiera che
tuttora si recita prima dell’inizio della
scuola. “Dall’altra parte” ne vedremo
delle belle!
Don Bosco può avere
un volto thailandese?
A due condizioni. La prima è che i
salesiani thai devono avere una cono-
scenza approfondita della loro cultura
e realizzare una vera “inculturazione”
della vocazione. La seconda è la ne-
cessaria sensibilità culturale che de-
vono avere i missionari, per evitare
ogni forma di conflitto.
In alto da sinistra : Un centro salesiano per giovani
disabili e alcuni salesiani premiati dal governo.
A fianco: Foto ricordo di un matrimonio: don
Frank è l’ultimo a destra nella fila delle persone
sedute.
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2.5 Page 15

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LA CONGREGAZIONE SALESIANA NELLA REGIONE EST-OCEANIA
L’Asia Est-Oceania è una regione molto sfaccettata, al suo interno ci sono 4 macro-aree, ognuna con sfide e particolarità proprie. In Australia
la religione, che è uno dei 3 pilastri del Sistema Preventivo, è privatizzata: per noi è una sfida, come evangelizzatori ed educatori, a vivere in
pienezza il vangelo, per recuperare i giovani e far scoprire loro la spiritualità di don Bosco.
Nelle Filippine, unico paese a maggioranza cattolica dell’Asia orientale, la presenza salesiana conserva lo stile di Valdocco, con opere vicine
ai giovani più bisognosi. Quindi lì la sfida è non lasciarsi logorare dalla mole di lavoro e offrire ai giovani una testimonianza piena.
Nella zona del Buddhismo Theravada – che comprende l’area di Myanmar, Thailandia, Cambogia e Laos – proprio per la tradizione locale,
c’è una forte radice mistica delle comunità religiose. È un dono da coltivare. Insieme alla multi-etnicità, che pure rappresenta un valore da
ritenere in rapporto alla fraternità.
Nell’area confuciana – termine approssimativo con cui si intende identificare le Ispettorie di Giappone, Cina, Vietnam e Corea del Sud – ci
sono due dinamiche opposte, in Cina e Giappone i salesiani sono pochi e spesso di età avanzata; in Vietnam e in Corea, ci sono più confra-
telli giovani e molti coadiutori che sono vicini ai ragazzi attraverso il lavoro. Ma la missione è la stessa: mostrare ai giovani comunità unite e
attrattive, testimoniare con la propria vita.
Com'è la situazione
salesiana in Thailandia?
Siamo ottimisti, anche il problema
delle vocazioni è acuto. Si vedrà me-
glio prossimamente, quando la nostra
ispettoria Thai sarà separata dalla
Cambogia, che diventerà visitatoria.
In Thailandia abbiamo 14 case. Nel-
la diocesi di Surat Thani abbiamo 14
centri. In Cambogia abbiamo 7 centri
e in Laos un centro. Siamo 94 con-
fratelli, alcuni postulanti, nessun no-
vizio quest’anno e quattro studenti di
teologia in Australia.
Il servizio pastorale ed educativo dei
salesiani è molto apprezzato. Abbia-
mo diverse grandi scuole con 2000 e
più allievi, centri catechistici, scuole
agricole, scuole professionali e assi-
stenza per i ragazzi più poveri.
Quali sono le opere
più significative?
Penso che alcune opere siano uni-
che nella Congregazione. L’istituto
per studenti sordomuti di Bangkok,
quello per i non vedenti di Pakkred,
la casa per gli orfani dello tsunami di
Bangsak.
Due istantanee dell’Istituto per ragazzi
non vedenti di Pakkred.
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FINO AI CONFINI DEL MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
FILIPPINE
Il soccorso
dei Salesiani
dopo il tifone
Haiyan
(ANS - Cebu) – Il passaggio del tifone
Haiyan, ai primi di novembre del 2013, ha
causato migliaia di vittime e danni ingentis-
simi. I salesiani, presenti con numerose opere
in tutto il paese, hanno reagito con molte-
plici iniziative. Le case presenti a Cebu sono
state scelte come Centro Ufficiale di Aiuto
in cooperazione con l’Unità di crisi nazio-
nale e hanno subito distribuito 25 000 kit di
emergenza. Le procure missionarie salesiane
hanno avviato campagne di comunicazione
e raccolta fondi; le ong coordinate dal Don
Bosco Network (dbn) hanno messo a dispo-
sizione volontari sul campo, denaro e stru-
menti logistici. Grazie a collaborazioni con
le imprese i salesiani hanno anche distribuito
ai bambini dei palloni da calcio per alleviare
lo stress da trauma; innumerevoli sono state
le messe e le preghiere offerte. E appena a 10
giorni dalla calamità naturale i membri del
dbn hanno iniziato ad elaborare un piano di
ricostruzione e ripristino per il ritorno della
popolazione alla normalità.
TANZANIA
Dal campo
profughi
al noviziato
(ANS - Morogoro) –
Presso il noviziato “Don
Bosco” di Morogoro,
appartenente all’Ispettoria
dell’Africa Est, hanno
iniziato il loro cammino di
formazione salesiana tre
giovani cresciuti presso
l’opera salesiana “Santa
Croce”, sita all’interno del
campo profughi di Kaku-
ma, in Kenya. Essi sono
il frutto del grande lavoro
che i Figli di don Bosco
realizzano dal 2000 in
quel campo – uno dei
più grandi al mondo, che
alla fine di ottobre 2013
ospitava quasi 127 000
persone provenienti
da un gran numero di
paesi dell’Africa cen-
trale e orientale. Oltre a
partecipare ad iniziative
di soccorso alimentare,
i salesiani animano una
parrocchia, l’oratorio
quotidiano per giovani di
tutte le religioni e l’unica
scuola tecnico-professio-
nale del campo.
SIERRA LEONE
Una nuova
alleanza a
Freetown:
i salesiani per i
giovani detenuti
(ANS - Freetown) – La Comunità Salesiana
di Freetown, in Sierra Leone, ha esteso ulte-
riormente il suo servizio a favore dei giovani
svantaggiati e marginalizzati, grazie ad un
progetto che ha luogo nella “Prigione Cen-
trale” della città: da novembre 2013 è attivo
dentro al carcere un nuovo Centro di Ascolto
Giovanile. Tale progetto fa parte di un’intesa
più vasta siglata tra i salesiani e la Direzione
Carceraria della Sierra Leone, che prevede
anche la costruzione presso il penitenziario
di una scuola, un centro di formazione e
una biblioteca e l’ampliamento delle attività
pastorali nel carcere: oltre alla celebrazione
eucaristica settimanale e alla possibilità delle
Confessioni, anche un momento di preghiera
nello stile di Taizé. L’organizzazione peda-
gogica e amministrativa e la pianificazione
di tutti i progetti edili spettano ora all’opera
salesiana.
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2.7 Page 17

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SIRIA
La Famiglia
Salesiana
accanto
agli ultimi
(ANS - Damasco)
– I salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice
presenti in Siria continuano a prodigarsi per
i più bisognosi. Le religiose dirigono l’O-
spedale Italiano di Damasco, nel quartiere
di Mazraa. Da due anni soccorrono i feriti
dei bombardamenti e delle autobomba che
colpiscono la capitale. L’ospedale è oggi un
punto di riferimento per la popolazione, nella
tempesta che scuote la capitale; così come
il vicino oratorio e centro catechistico dei
salesiani, frequentato da 200 bambini e 300
giovani, che cura anche la distribuzione di
cibo per famiglie in difficoltà, svolge attività
di aiuto psicologico e corsi di formazione
e sostegno scolastico. “Accogliamo ragazzi
cristiani di qualsiasi rito – sottolinea don
Alejandro José León, missionario salesiano.
– Tutti sono stati toccati dalla guerra. Chi ha
avuto un cugino ucciso, chi un amico, chi un
vicino. E allora c’è chi dice: ‘Dov’è Dio?’. Ma
altri mi dicono: ‘Abu (padre), ho capito, non
c’è altro che Dio’”.
ETIOPIA
Le ragazze
di Mekanissa
(ANS - Addis Abeba) – Il
Gruppo Missionario “Ca-
gliero” formato da ragazze
del Centro Giovanile Don
Bosco di Mekanissa, ap-
partenente alla Visitatoria
dell’Africa Etiopia-Eritrea
(AET), svolge attività di
sostegno alle missioni
salesiane. Ogni settimana
il gruppo si riunisce per
riflettere e pregare per
le missioni salesiane e,
attraverso la realizzazione
e la vendita di piccoli og-
getti artigianali, raccoglie
fondi per varie attività di
diffusione dello spirito di
don Bosco tra i giovani.
SPAGNA
Inserimento
lavorativo
dei giovani: le
proposte della
Federazione
Pinardi
(ANS - Madrid) – La Federazione Pinar-
di e l’hotel Hilton Madrid Airport, hanno
deciso di far conoscere anche ad altre aziende
le esperienze sviluppate dalla Federazione
delle piattaforme sociali salesiane Pinardi.
Vari responsabili dei settori Risorse Umane,
Comunicazione e Responsabilità Sociale
di molte compagnie madrilene sono stati
così informati, sul finire dello scorso otto-
bre, degli ottimi risultati della metodologia
collaborativa propria di Pinardi nota come
“Formazione nelle e con le imprese”, che sta
ottenendo risultati di inserimento lavorativo
dei partecipanti ai progetti superiori al 60%.
Le imprese che hanno già seguito questa
formula, inoltre, hanno testimoniato miglio-
ramenti nell’ambiente interno, la motivazione
del personale, i processi interni e la com-
petitività sul mercato, che hanno avuto un
impatto diretto sui loro risultati economici e
sociali.
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2.8 Page 18

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FMA
MARIA ANTONIA CHINELLO
Altro che Sister Act!
La proposta arriva come una provocazione. Gli sguardi sconcertati,
quasi ironici, il respiro sospeso a mezz’aria: un’orchestra di FIGLIE DI
MARIA AUSILIATRICE? Con tutto quello che c’è da fare per i giovani!
E poi, chi conosce la musica, chi è così abile da suonare uno
strumento in modo professionale? A guardarle ora, mentre si
esibiscono, viene da sorridere e da pensare a don Bosco che diceva:
«Una casa senza musica è come un corpo senza anima».
L’orchestra Con Main, ar-
monia di amore delle Fi-
glie di Maria Ausiliatrice
del Messico è ormai una
realtà, sorta con «una
percentuale abbastanza
alta di “pazzia” collettiva» scher-
za suor Beatriz Muñoz Martinez
«perché la musica è importante nel
carisma salesiano, perché dobbiamo
recuperare il suo valore pedagogico
e il suo essere “via per la bellezza”,
perché è la scintilla che attrae i
giovani; perché molte sorelle sanno
suonare… perché, allora, non farlo
insieme?». Motivazioni a cui non si
poteva ribattere. E così, ottenuto il
consenso, prende vita un “progetto”
che coinvolge le Figlie di Maria Au-
siliatrice delle comunità del Messi-
co di ogni età, con responsabilità e
ruoli diversi, come pure per prepa-
razione in campo musicale. Obietti-
vo: accompagnare le celebrazioni del
140° anniversario della fondazione
dell’Istituto (2012) prima, e ora, l’i-
tinerario verso il 2015, Bicentario di
don Bosco, ma soprattutto avviare
un cammino di pastorale giovanile
con e attraverso la musica.
La rivoluzione delle note
L’avventura è stata sostenuta dalla
disponibilità e dalla buona volontà a
mettersi in gioco, per rilanciare uno
dei linguaggi più vicini ai giovani. A
coordinare il tutto, suor Neida Julieta
Carriedo, che con passione ha guida-
to verso la formazione della “ensem-
ble musical”.
È il 2011. All’appello rispondono
circa 65 Figlie di Maria Ausiliatrice,
dalle giovani appena entrate nell’I-
stituto, alle giovani Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice, e poi su su fino alle
over 60-70-80. La musica non ha età.
«Senza dubbio – continua suor Bea-
triz – si è trattato di organizzarsi, per
continuare a fare scuola, oratorio, at-
tività di promozione e di animazione,
catechesi, ma accanto a questo suo-
nare, esercitarsi, prepararsi su uno
spartito vero». Ogni tempo era buono
per “provare”: pause tra un raduno e
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2.9 Page 19

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Il celebre maestro Victor Luna. Conquistato
dall’entusiasmo e dalla tenacia delle suore disse:
«Riusciremo a realizzare il sogno».
l’altro, la ricreazione, come pure ogni
luogo: la camera, il patio, un’aula, un
corridoio. Tutte coinvolte, anche i
giovani colgono il clima febbrile delle
comunità e sostengono con simpatia
l’impegno delle suore, i muri non
contengono più le note.
Arriva il giorno della prima prova ge-
nerale. Dalle comunità le suore giun-
gono all’appuntamento a Zihuatanejo,
una casa delle Figlie di Maria Ausilia-
trice in riva all’Oceano. Suor Julieta
aveva “scritturato” Victor Luna, un
Direttore d’orchestra «con la maiusco-
la», molto famoso nel paese, e alcuni
“maestri di musica” come assistenti.
«Ci sentivamo
come se avessimo
scalato una montagna»
«Il Direttore e i maestri – sorride suor
Beatriz – si resero subito conto della
disparità di livello e qualità di prepa-
razione delle suore. Victor Luna stes-
so confessò di essersi sentito inquieto
e di aver quasi rimpianto di aver dato
il suo assenso per una simile impresa,
che risultava ai suoi occhi quasi di-
sperata». Ma l’entusiasmo e la buona
volontà animavano le musiciste che,
nonostante il clima e il suono invitante
dell’Oceano, resistevano al loro posto,
«provando all’infinito i compiti asse-
gnati, sfidando con eleganza salesiana,
la stanchezza di tali prove». Il Diretto-
re, esperto di musica, osservava stupito
la tenacia, la serietà, la responsabilità
delle suore e delle giovani in formazio-
ne: «riusciremo a realizzare il sogno»,
si disse. Giorno dopo giorno, nota
dopo nota, la melodia per madre Maz-
zarello prendeva forma e armonia.
«Un’emozione grande: ci sentivamo
come se avessimo scalato una monta-
gna!» ricordano le suore.
Il 7 agosto 2012, giorno del 140° di
fondazione dell’Istituto Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice, la gioia si tagliava a
fette nel Santuario di Maria Ausilia-
trice a Città del Messico. Due concer-
ti per un pubblico variegato: Figlie di
Maria Ausiliatrice, giovani, familiari,
collaboratori laici e laiche, membri
della Famiglia salesiana. L’orchestra
era segno di comunione: le differen-
ze di età, responsabilità, possibilità
e limiti erano scomparse. Vibravano
solo note e bellezza, gioia e amore per
Dio e per i giovani.
In questi mesi l’attività si è incremen-
tata: l’orchestra sta preparandosi per
il Bicentenario della nascita di don
Bosco. Nei mesi scorsi, ha accompa-
gnato la visita della Superiora gene-
rale delle Figlie di Maria Ausiliatrice,
madre Yvonne Reungoat, in Messico,
come pure ha animato le celebrazioni
per l’inizio del processo di beatifica-
zione di madre Antonieta Böhm.
Il repertorio si è arricchito e molti gio-
vani hanno chiesto di entrare a farne
parte perché «vogliono suonare con
le suore», come pure stanno sorgendo
orchestre a livello locale. Accanto alla
musica si vanno articolando itinerari
di educazione alla fede, di approfondi-
mento della Parola, di educazione alla
bellezza: «Siamo convinte che se si può
immaginare, si può raggiungere, se si
può sognare, si può fare. Come dice
José Antonio Abreu: “Chi genera bel-
lezza suonando e ha l’armonia musica-
le, comincia a conoscere dal di dentro
quello che è l’armonia essenziale della
vita umana”».
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2.10 Page 20

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EVENTI
TSO.GN.INO LASCONI
L’Istituto Salesiano
per le Missioni compie
90 anni Voluto da don Rinaldi e istituito con la collaborazione
di alcuni amici e benefattori delle Opere Salesiane
«per venerare la memoria del venerabile don Giovanni
Bosco», al nuovo Ente viene affidato il compito di
provvedere «all’assistenza sotto qualunque forma,
Don Rinaldi ricorda che «abbiamo
bisogno di nuovi missionari» e «ab-
biamo bisogno di elemosine e di ogni
religiosa, morale, materiale ecc. delle Missioni
Salesiane all’Estero».
sorta di aiuti materiali». Rientra in
questo quadro di iniziative la nasci-
ta ufficiale dell’Istituto Salesiano per
le Missioni, riconosciuto come «Ente
Il Bollettino Salesiano fin dalle
origini ha dedicato ampia atten-
zione allo sviluppo delle Missioni
Salesiane. L’attività missionaria
salesiana è particolarmente presen-
te nell’annata 1924. Quell’anno,
Figlie di Maria Ausiliatrice e dalle
Dame Patronesse delle Opere Salesia-
ne allo scopo di rafforzare «il palpito di
simpatia e solidarietà» verso le Missio-
ni di don Bosco.
morale» con regio decreto del Mini-
stro Guardasigilli di Grazia, Giusti-
zia e Culti il 13 gennaio di quell’anno.
Voluto da don Rinaldi e istituito con
la collaborazione di alcuni amici e be-
il beato don Filippo Rinaldi, Rettor
Maggiore dell’epoca, nel numero di
gennaio, nella sua annuale Lettera re-
soconto, dopo avere illustrato le ope-
re compiute nel 1923, propone per il
1924 di impegnarsi in modo particola-
re alla preparazione dei cinquant’anni
della «prima partenza dei Missionari
di Don Bosco», che ricorrerà l’11 no-
vembre 1925. Accenna al «Comitato
Centrale» istituito dai Cooperato-
ri, exallievi salesiani, exallieve delle
Un gruppo dei primi ed entusiasti giovani
missionari salesiani.
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Gennaio 2014

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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nefattori delle Opere Salesiane «per
venerare la memoria del venerabile
don Giovanni Bosco», al nuovo Ente
viene affidato il compito di provvede-
re «all’assistenza sotto qualunque for-
ma, religiosa, morale, materiale ecc.
delle Missioni Salesiane all’Estero».
Il Bollettino Salesiano di marzo, per
la prima volta, indica l’Istituto Sale-
siano per le Missioni come Ente de-
putato a ricevere legati e disposizioni
testamentarie «a benefizio delle Mis-
sioni Salesiane».
Nel dare l’annuncio della avvenuta
approvazione del nuovo Ente, il Bol-
lettino Salesiano di giugno presenta
l’Istituto Salesiano per le Missioni
come uno strumento nelle mani del-
la Divina Provvidenza: «per com-
piere, su vasta scala, nuove reclute
di aspiranti missionari e curarne la
completa formazione e provvedere
contemporaneamente ai gravi biso-
gni dei Missionari che si trovano sul
campo del lavoro, sono indispensabi-
li – dopo l’aiuto del Signore – copiosi
mezzi finanziari. E la Divina Prov-
videnza ha voluto sul principio di
quest’anno aprirci una nuova via che
potrà – con la cooperazione di tutti
– procurare più largamente alle Mis-
sioni nostre gli aiuti indispensabili».
Il nuovo Istituto, spiega il Bollettino,
citando lo Statuto, «potrà sus-
sidiare Missioni, istituirne del-
le nuove, favorire la preparazio-
ne di Missionari, provvedere
alla loro invalidità e vecchiaia,
aiutare in qualunque modo
qualsiasi iniziativa rispondente
al fine».
Questo mese ricorre quindi il
novantesimo dell’Istituto Sale-
siano per le Missioni che, grazie
alla bontà di tanti benefattori,
attraverso legati, eredità e dona-
zioni continua il suo supporto alle
Missioni Salesiane, fedele al suo
fine originario.
In riconoscenza degli innumere-
Il sogno missionario di don Bosco si è avverato
grazie alla concreta solidarietà di numerosissimi
benefattori.
voli benefattori, l’Istituto ha disposto
che questo anno le sante messe cele-
brate il giorno 13 gennaio, giorno del
suo riconoscimento giuridico, nella
Basilica di Maria Ausiliatrice di To-
rino, dalla quale da sempre partono le
annuali spedizioni missionarie, siano
in ricordo di tutti coloro che hanno
contribuito al sostegno delle «Missio-
ni Salesiane all’Estero». E molte altre
ne saranno celebrate durante l’anno,
perché l’Ausiliatrice e don Bosco in-
tercedano per tutti coloro che hanno
aiutato i loro missionari.
PER CONTATTI E INFORMAZIONI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Gennaio 2014
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3.2 Page 22

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INVITO A VALDOCCO
B.F.
L’itidneelrlearliaopidi 1
A Valdocco i muri parlano e raccontano la storia di don Bosco.
Dieci lapidi ricordano i momenti più toccanti di questa magnifica avventura.
1
2
5
3
4
L’ITINERARIO
1. Il cortiletto Pinardi
2.La prima "casa"
della congregazione
3.Un amico coraggioso e santo
4.Il segreto della buonanotte
5.L'orto di Mamma Margherita
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Gennaio 2014
1. Il cortiletto Pinardi
E’il primo, spesso dimen-
ticato, cortile di Valdoc-
co. Si trova di fianco alla
Cappella Pinardi. Così ne
parla don Bosco: «Usciti di
chiesa cominciava il tem-
po libero, in cui ciascuno poteva oc-
cuparsi a piacimento. Chi continuava
la classe di catechismo, altri del canto,
o di lettura, ma la maggior parte se la
passava saltando, correndo e goden-
dosela in varii giuochi e trastulli. Tut-
ti i ritrovati pei salti, corse, bussolotti,
corde, bastoni, siccome anticamente

3.3 Page 23

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aveva appreso dai saltimbanchi, erano
messi in opera sotto alla mia discipli-
na. Così potevasi tenere a freno quella
moltitudine».
Un ragazzo di quel tem-
po testimonia: «Don
Bosco era sempre il pri-
mo nei giochi, l’anima
delle ricreazioni. Non
so come facesse, ma si
trovava in ogni angolo
del cortile, in mezzo
a ogni gruppo di gio-
vani. Con la persona e con l’occhio
ci seguiva tutti. Noi eravamo scar-
migliati, talvolta sudici, importuni,
capricciosi. Ed egli provava gusto a
stare con i più miseri. Per i più picco-
li aveva un affetto da mamma. Spes-
so si bisticciava, ci si pestava. E lui a
dividerci. Alzava la mano come per
percuoterci, ma non ci picchiava mai,
ci tirava via a forza prendendoci per
le braccia».
2. La prima “casa” della congregazione
La seconda lapide rievoca il
giorno in cui don Bosco e
Mamma Margherita venne-
ro a stabilirsi definitivamente
nella casa Pinardi accanto alla
misera tettoia-cappella.
Don Bosco e Mamma Margherita -
percorsa a piedi la lunga via - dalla
collina dei Becchi a Torino - la sera del
3 novembre 1846 - prendevano stabi-
le dimora - nella Casa Pinardi che qui
sorgeva - accanto alla misera tettoia -
diventata nell’aprile di quell’anno - la
prima cappella dell’Oratorio.
«In quel tempo si resero vacanti
due camere in casa Pinardi e quelle
si pigionarono per abitazione mia e
di mia madre. «Madre, le dissi un
giorno, io dovrei andare ad abitare in
Valdocco, ma a motivo delle persone
che occupano quella casa non pos-
so prendere meco altra persona che
voi». Ella capì la forza delle mie pa-
role e soggiunse tosto: «Se ti pare tal
cosa piacere al Signore, io sono pron-
ta a partire in sul momento». Mia
madre faceva un grande sacrifizio;
perciocché in famiglia, sebbene non
fosse agiata, era tuttavia padrona di
tutto, amata da tutti, ed era conside-
rata come la regina dei piccoli e degli
adulti.
Abbiamo fatto precedere alcune cose
maggiormente necessarie che, con
quelle già esistenti al Rifugio, furono
spedite alla novella abitazione. Mia
madre empié un canestro di bianche-
ria e di altri oggetti indispensabili; io
presi il breviario, un messale con al-
cuni [libri] e quaderni più necessari.
Era questa tutta la nostra fortuna».
Gennaio 2014
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3.4 Page 24

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INVITO A VALDOCCO
3. Un amico coraggioso e santo
La terza è un omaggio alla me-
moria del teologo Giovanni
Battista Borel, zelantissimo
sacerdote e amico fedele di
don Bosco. Sotto il medaglio-
ne in bronzo del Borel, opera
del Cellini, è scritto: Teol. Gio. B. Bo-
rel - insigne Cooperatore e Benefattore
del nascente Oratorio - ebbe dal Beato
don Bosco - la lode di amico intrepido e
di sacerdote santo.
Per le sue rare qualità monsignor
Fransoni, arcivescovo di Torino, lo
aveva prescelto come direttore spiri-
tuale nelle istituzioni fondate dalla
marchesa Barolo, e fu appunto a lui
che si rivolse il Cafasso perché volesse
accettare presso di sé, nella Pia Ope-
ra del Rifugio, don Bosco che, per
aver finito ormai gli studi al Convitto
Ecclesiastico, correva pericolo di ve-
nir destinato vice-parroco in qualche
parrocchia con rovina dell’Oratorio
festivo che egli aveva così bene avviato
nella chiesa di San Francesco d’Assisi.
Il Borel mise a disposizione di don Bo-
sco una camera e lo propose alla mar-
chesa Barolo quale direttore spirituale
per l’Ospedaletto di Santa Filomena
che essa doveva aprire. Un biografo
del tempo scrive: “Quanti ricordi del
teologo Borel potrebbe rievocare la
cappella Pinardi, dov’egli teneva quelle
sue istruzioni piene di brio, con cui in-
catenava l’attenzione del suo irrequie-
to uditorio! Egli, che vedeva crescere
ogni domenica le falangi giovanili
nelle adiacenze di casa Pinardi, fu il
primo ad approvare il progetto della
fondazione del secondo Oratorio di
San Luigi a Porta Nuova, e fu pure il
primo ad avere le intime confidenze di
don Bosco sull’avvenire dell’opera sua:
per questo egli rimase fedele a lui in
quel memorabile 1848 quando tutti gli
altri lo avevano abbandonato.
Lo zelo del teologo Borel si spingeva
più oltre. Viveva parcamente. Teneva
in casa un giovane che studiava da pre-
te. Orbene, una suora delle Maddalene
affermava che talvolta le suore doman-
davano al buon giovane che cosa aves-
se ordinato per pranzo il suo padrone,
e quegli invariabilmente rispondeva:
«Cipollae cipollarum!». Un giorno co-
stui si azzardò a muovergli qualche
osservazione su tanta parsimonia di
mensa, e il virtuoso sacerdote: «Quan-
to più si risparmia a tavola, disse, tanto
più si può aiutare don Bosco!»”.
Quanto amasse don Bosco lo dimostrò la sera del 25 marzo del 1869. Don Bo-
sco tornava da Roma dopo lunga assenza. Il teologo Borel, gravemente infermo
nell’ospizio del Rifugio, sentendo nell’Oratorio il suono della banda e gli evviva e
i battimani, capì che era arrivato don Bosco e profittando del momento che chi lo
custodiva l’aveva lasciato solo, balzò dal letto, si vestì, scese le scale tenendosi alle
pareti e appoggiandosi ad un bastone, uscì dal Rifugio, percorse il tratto di via
Cottolengo ed entrò nell’Oratorio. Attraversato a stento e barcollando il cortile,
giunse sotto i portici mentre don Bosco, attorniato da tutti i giovani, metteva il
piede sul primo gradino della scala che conduceva alle sue camere. «Oh don Bosco!
oh don Bosco!...» si sforzava di gridare con voce fioca il teologo. I giovani fecero
largo. «Oh teologo!» rispose don Bosco voltandosi prontamente. «La Pia Società
è approvata?» «Sì, è approvata!» «Deo gratias! Ora muoio contento!» Non ag-
giunse parola, ma, voltandosi, tornò com’era venuto, rientrò in casa sua e si rimise
a letto.
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Gennaio 2014

3.5 Page 25

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4. Il segreto
della buonanotte
Una sera di maggio, un ra-
gazzo bagnato e intirizzito,
sui 15 anni, bussò alla por-
ta della casa di don Bosco.
«Sono orfano. Ho freddo
e non so dove andare...».
Mamma Margherita gli preparò un
po’ di cena e gli disse: «Dormirai
qui, caro. E rimarrai finché ne avrai
bisogno. Don Bosco non ti manderà
mai via». «Di poi» racconta don Bo-
sco «fecegli un sermoncino sulla ne-
cessità del lavoro, della fedeltà e della
religione».
I Salesiani hanno affettuosamente vi-
sto in questo sermoncino di Mamma
Margherita la prima «buona notte»
(una breve parola del capo della casa)
con cui si è soliti chiudere la giornata
nelle case salesiane, e che don Bosco
giudicava «chiave della moralità, del
buon andamento e del successo». Un
segreto magnifico per la vita familia-
re. Perché le ultime ore della giornata
devono essere le più belle.
5. L’orto di Mamma Margherita
re ai Becchi».
Don Bosco fece solo un gesto: le indi-
cò il Crocifisso appeso alla parete. E
quella vecchia contadina capì. Chinò
la testa sulle calze con i buchi, sulle
camicie strappate, e continuò a cuci-
re. Non domandò mai più di tornare
a casa.
Continua nel prossimo numero
La quinta lapide è collocata dove
Mamma Margherita aveva
creato il suo orto: una risorsa
provvidenziale per la mensa
dei ragazzi.
Un amico di don Bosco, Giu-
seppe Brosio, era stato bersagliere.
Venendo a Valdocco indossava la di-
visa militare, che in quei mesi suscita-
va entusiasmo e rispetto. Don Bosco
gli suggerì di formare tra i ragazzi
un reggimento in miniatura, inse-
gnare manovre e azioni di battaglia.
Una domenica, l’esercito «sconfitto»
finì nell’orto di Margherita, e incal-
zato dai vincitori imbaldanziti pestò
lattughe, prezzemoli e pomodori. La
«mamma», che assisteva al disastro,
ne fu molto avvilita.
La sera dopo, Margherita, come al
solito, aveva davanti un mucchietto
di roba da aggiustare: le lasciavano
in fondo al letto la camicia strappa-
ta, i calzoni sdrusciti, le calze con i
buchi. E lei doveva affrettarsi accan-
to al lume ad olio, perché al mattino
non avevano altro da indossare. Don
Bosco, lì vicino, la aiutava mettendo
le toppe ai gomiti delle giacchette e
aggiustando le scarpe.
«Giovanni» mormorò a un tratto,
«non ce la faccio più. Lasciami torna-
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3.6 Page 26

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LE CASE DI DON BOSCO
DANIELA SCHERRER
Don
Bosco L’Opera Salesiana di Pavia può definirsi
come un insieme di petali che, nel loro
complesso, danno vita ad uno splendido
fiore che consente di respirare anche oggi
il “profumo” di don Bosco. Ogni petalo
fiorisce ha una propria funzione, ma insieme
sono testimonianza di unitarietà nel nome
del carisma salesiano. L’Opera infatti si
compone della Parrocchia e Santuario di
“Santa Maria delle Grazie”, dell’Oratorio e
a
Pavia Centro Giovanile recentemente ampliato,
del Collegio “Don Bosco” appena
ristrutturato e di un Teatro che, per
dimensione e qualità impiantistica, in città
è secondo solo al celebre Fraschini.
A dare inizio alla storia salesiana cittadina
fu il Santuario mariano, la cui posa del-
la prima pietra risale al 5 agosto 1609,
ad opera dell’allora vescovo Giovanni
Battista Biglia. La decisione di erige-
re un Santuario derivava dalla volontà
popolare di ringraziare la Madonna per un fatto
prodigioso avvenuto pochi mesi prima, il 25 mar-
zo: in quella piazza dove ora sorge il Santuario
si trovava una piccola edicola con l’immagine di
Maria e proprio lì un giovane paralitico dalla na-
scita, di Belgioioso, Agostino Rattazzi, venne mi-
racolosamente guarito durante una sosta ai piedi
dell’edicola. Fu un evento veramente grandioso,
che a Pavia fece lievitare ulteriormente la devo-
zione mariana, con la popolazione che comin-
ciò ad invocare a gran voce la costruzione di un
Santuario. Appello che il Vescovo prontamente
raccolse. La custodia del luogo di culto non fu su-
bito affidata ai Salesiani. Il Santuario conobbe un
periodo di gestione prima dei Sacerdoti Secolari,
poi dei Carmelitani Scalzi che vi si stabilirono co-
struendovi accanto il loro convento. Da qui deriva
il nome “Santa Teresa”, che ancora oggi contrad-
distingue a livello popolare sia la chiesa sia tutto
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Gennaio 2014

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il quartiere circostante. Per volontà del Vescovo di
allora monsignor Agostino Gaetano Ribaldi i Sa-
lesiani arrivarono a Pavia solo il 21 ottobre 1897,
restituendo al Santuario quella dignità di luogo di
culto persa nel 1799, quando il governo centrale
di Milano allontanò i Carmelitani, trasformando
addirittura la chiesa in una fabbrica di salnitro.
L’immagine
miracolosa della
Vergine delle
Grazie venerata
nel santuario dei
Salesiani.
Il buon padre Arese
Ma la cordialità e il carisma dei primi Salesiani
giunti in città (ricordiamo solamente il sac. Lui-
gi Porta primo direttore) conquistarono in breve
tempo la gente della zona e la prova dell’ottimo
lavoro compiuto si ebbe quando, nel 1909, nel ter-
zo centenario del miracolo tutta la città si diede
appuntamento presso il Santuario per esprimere
la propria devozione e l’affetto per la comunità
che lavorava sulle orme di don Bosco. Nell’oc-
casione la Sacra Immagine della Vergine delle
Grazie venne restaurata e solennemente incoro-
nata. C’era ancora tanto lavoro da compiere per
riportare il luogo di culto all’antico splendore,
ma quel giorno diede a tutti la consapevolezza
che la strada intrapresa era davvero quella giusta.
Non si può non menzionare la figura dell’indi-
menticabile padre Giovanni Arese che dal 1906
sarà Rettore del Santuario e per più di trent’anni
Direttore e Padre dell’Opera Salesiana. “Padre
Arese fu il primo Prevosto della Parrocchia crea-
ta dal suo zelo, dalla sua passione sacerdotale, dal
suo amore alle anime e alla Madonna… E fu il
Prevosto della ‘Madonna delle Grazie’, restan-
do nella parrocchia e in tutta la città, quello che
fu sempre e nient’altro che quello: il buon padre
Arese” (monsignor Carlo Allorio, vescovo di Pa-
via dal 1942 al 1968).
Nei decenni il quartiere conobbe una enorme
espansione, anche frutto della edificazione di nu-
merosi edifici popolari. La crescita demografica
della zona, e la intensa vita pastorale che si era
venuta a creare, convinse il vescovo monsignor
Giovanni Battista Girardi ad erigere il Santuario
a parrocchia, il 31 gennaio 1942. Dieci anni più
tardi il suo successore, monsignor Carlo Allorio,
lo proclamò unico Santuario della diocesi di Pa-
via, titolo che permane tuttora: Santa Maria delle
Grazie. Anche per questo motivo nei sabati del
mese di ottobre il nostro attuale vescovo mon-
signor Giovanni Giudici partecipa sempre alla
processione cittadina che si fa di buon mattino
dal Ponte Coperto del Ticino fino al nostro San-
Gennaio 2014
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3.8 Page 28

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LE CASE DI DON BOSCO
Gli ampi cortili e
i campi da gioco
sono l’abbraccio
dei Salesiani ai
ragazzi della città.
tuario. Alla comunità salesiana è pure affidato il
ministero presso il Cimitero Monumentale San
Giovannino di Pavia.
Un oratorio sempre spalancato
Come vuole il carisma salesiano, da sempre at-
tentissimo ai giovani e alle loro esigenze, la par-
rocchia portò automaticamente con sé l’idea di
Oratorio e Centro Giovanile, che naturalmente
non rimase solo sulla carta, ma cominciò subito
a prendere forma nell’oratorio festivo. Accoglieva
tutti, naturalmente, ma le braccia si spalancava-
no con particolare gioia per abbracciare i ragazzi
più poveri, che trovavano entro quelle mura non
solo uno spazio di gioco, ma anche un consiglio,
una parola e un sorriso. Passo dopo passo, visto
che il denaro non abbondava, la struttura venne
arricchita: prima il campo da bocce, poi il bar,
i campi da calcio, quello da basket e – in tempi
molto più recenti – il prestigioso campo da cal-
cio a sette in sintetico (di terza generazione), altri
campetti da gioco e lo spazio addirittura per il
beach-volley che rappresenta l’ultima conquista
in ordine cronologico, ancora da inaugurare uf-
ficialmente. L’Oratorio salesiano, oltre alle varie
iniziative disseminate nel corso dell’anno, anno-
vera anche una manifestazione diocesana rilevan-
te, che ormai può a ragione definirsi la competi-
zione calcistica per bambini più attesa dell’anno:
stiamo parlando del Torneo Oratori, che “popola”
l’Oratorio per un mese facendo calcare il campo
in sintetico a cinquecento ragazzini dai nove ai
dodici anni. E la Comunità Salesiana, insieme
al settimanale della diocesi “il Ticino”, è il cuore
pulsante dell’iniziativa.
Il teatro e il collegio universitario
Un altro punto fermo dell’animazione che si rifà
a don Bosco è il Teatro dei Salesiani, le cui cre-
denziali negli anni sono progressivamente au-
mentate fino a renderlo il secondo teatro di Pavia
per capienza e, soprattutto, per qualità acustica
e coreografica. Un teatro che ha una sua vera e
propria stagione, che punta a valutare le realtà
culturali pavesi: dal dialetto, alla danza, sino alla
musica senza dimenticare i convegni e i momenti
di incontro formativo che vengono programmati
nel corso dell’anno. Ultimamente si è instaurata
una forte collaborazione con La Nuova Compa-
gnia Dialettale Pavese, capace di far ritrovare le
valenze di quel teatro popolare che ha segnato la
vita culturale e sociale del pavese, raccontando le
vicissitudini di Serena, di Domenico e della figlia
Mafalda, e degli amici-nemici del cortile, essen-
ziali nelle storie legate alla famiglia Cavagna.
Ed infine, “last but not least”, il Collegio Univer-
sitario “Don Bosco” che ha lo scopo di accogliere
ed ospitare i giovani che desiderano frequentare i
corsi accademici presso l’Università di Pavia e che
cercano qualcosa di ben più familiare di un alber-
go o di una pensione per alloggiare. Il Pensionato
salesiano desidera infatti essere “casa” di studio e
di vita dove poter costruire relazioni significative
e dove trovare occasioni vere di crescita umana,
sociale e culturale. Anche la struttura recettiva è
decisamente ben curata: dotata di più di un cen-
tinaio di posti letto tra camere singole e doppie
con bagno privato ed aria condizionata, vanta un
accurato servizio mensa e spazi per il tempo li-
bero di assoluto valore, dalla sala computer alla
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Gennaio 2014

3.9 Page 29

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zona maxi-schermo televisivo ed agli impianti
sportivi. Anzi, a questo proposito giova ricordare
le qualità anche atletiche dei collegiali ospiti al
Don Bosco, sempre in primissima linea nei ri-
sultati delle sfide del Trofeo dei Collegi pavesi.
Gli universitari sono seguiti con particolare at-
tenzione dal personale salesiano, anche grazie ad
iniziative di carattere culturale e formativo. Da
alcuni anni la direzione ha pensato di proporre
alle matricole, ed a quanti ne sono interessati, un
corso di “metodologia dello studio universitario”
fornendo quegli strumenti necessari per poter af-
frontare degnamente il nuovo tipo di studio. E
naturalmente non va dimenticato il luogo di cul-
to interno al Collegio, quanto mai suggestivo: la
Cripta del Sogno offre uno spazio di silenzio e
di profondità in un contesto cromatico alquanto
suggestivo per la preghiera.
Da questa rapida panoramica è possibile evincere
come l’intento dei sacerdoti salesiani che attual-
mente prestano il loro servizio educativo e pa-
storale a Pavia sia quello di unificare sempre di
più i “petali” del fiore. Numerosi sono i progetti
culturali a cui si sta lavorando con tanto entu-
siasmo, proprio per trasformare l’Opera Salesiana
in un vero e proprio Centro Giovanile, che sap-
pia offrire non solo momenti di intrattenimento
sportivo, ma anche incontri formativi e di crescita
individuale e che possa diventare uno spazio per i
“lontani”, per incontrarli, per creare simpatia, per
avvicinarli. Non deve essere il cenacolo dei mi-
gliori e neppure un centro di recupero sociale, ma
può essere costruito su misura per quei ragazzi-
giovani comuni, che oggi sono la grande maggio-
ranza. Questa è la “mission” che contraddistingue
ora don Marco Mazzanti (direttore ed economo),
don Matteo Cassinotti (incaricato degli universi-
tari e dell’oratorio), don Gianni Pozzi (parroco e
vicario), don Mario Bergomi (animatore spiritua-
le dei collegiali), don Alazar Kidane (confratello
aet), e don Camillo Giordani (confessore)… in-
somma la grande e bella “famiglia” salesiana che
è presente attivamente nella cittadina universita-
ria di Pavia.
I Salesiani
seguono anche
con particolare
attenzione
gli studenti
universitari
ospitati nel
moderno
Collegio
dell’opera.
Il teatro ha una
sua vera e propria
“stagione” con
grande rilevanza
culturale e sociale.
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3.10 Page 30

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Le tredici mosse dell’arte di educare
9. Guardare il figlio
Da mesi veniamo
proponendo le principali
mosse dell’arte di educare.
Siamo partiti dal
“seminare”, siamo
passati all’“aspettare”, al
“parlare”, all’“amare”...
ed eccoci al “guardare”:
guardare il figlio.
Una mossa che, in prima
battuta, può sembrare
di poco conto! In realtà
gli occhi hanno un potere
eccezionale!
L’arte del
guardare il figlio
Il contatto visivo è una delle più poten-
ti vie di educazione (o diseducazione).
Gli occhi parlano più forte della voce:
sono il canale attraverso il quale tra-
smettiamo i nostri pensieri, le nostre
emozioni.
Gli occhi possono trasmettere rabbia,
tristezza, sdegno, disprezzo, freddezza,
oppure calore, tenerezza, accoglienza,
gioia, speranza, conforto, amore (lo
sanno bene i fidanzati che talora sem-
brano mangiarsi con gli occhi!).
Guardare il figlio è come dirgli: “Tu
esisti per me, tu sei entrato nei miei pen-
sieri, nei miei affetti”.
Nei campi di concentramento tede-
schi era severamente proibito ai pri-
gionieri di guardare negli occhi i loro
carcerieri. Lo sguardo avrebbe potuto
intenerirli!
Insomma, una cosa è certa: se guar-
dassimo i figli almeno come guardia-
mo il bagno e l’automobile, avremmo
ragazzi meno tristi, meno infelici,
meno delusi della vita.
“Se guardassimo…”: è una parola!
Si tratta di guardare con arte, cesti-
nando gli sguardi sbagliati, per sceglie-
re esclusivamente, gli sguardi buoni.
Sguardo sbagliato è, ad esempio,
lo sguardo poliziesco che tacchina
in continuazione il figlio senza
mai lasciarlo libero di respirare, di
muoversi, di uscire, di scendere in
cortile per giocare…
Sguardo sbagliato è lo sguardo mi-
naccioso dei genitori che mirano di
più a farsi ubbidire che a convin-
cere.
Terzo sguardo sbagliato è lo sguar-
do indifferente. Questo è il peggiore
in assoluto!
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Gennaio 2014

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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PERLE
IL LADRO. L’ARTISTA. L’AVARO. IL SAGGIO
“Amare qualcuno significa essere l’u-
nico a vedere un miracolo che per tutti
gli altri è invisibile” (François Mauriac,
scrittore francese).
“Alcuni uomini trasformano un puntino
giallo in sole, altri il sole in un puntino
giallo” (Pablo Picasso, pittore spagno-
lo).
“A me basta guardare. Gli occhi trovano
sempre la loro pastura ovunque” (Lalla
Romano, scrittrice).
“Gran parte dei difetti dei fratelli sono
nella retina dei nostri occhi” (Igino
Giordano ).
Gli uomini sono strani! Costruiscono
soffitti bellissimi e poi camminano sui
pavimenti!
Se chiudiamo gli occhi per un minuto,
perdiamo sessanta secondi di luce.
L’indifferenza è la bestia nera di tutti
i figli del mondo!
La pericolosità dello sguardo indif-
ferente sta nel fatto che può azzerare
quella grande forza cosmica che è la
voglia di vivere!
Lo sguardo indifferente manda a dire
al figlio: “Tu sei nessuno”. Messaggio
che taglia le radici alla vita!
A ben pensarci, non è forse vero che
ha senso essere al mondo solo se si è
per qualcuno?
Davvero: gli sguardi sbagliati sono
l’inverno; gli sguardi buoni sono la
primavera.
Sguardo buono è lo sguardo generoso
che vede nel figlio ciò che nessuno
vede.
Sguardo buono è sguardo sempre
nuovo: vede che il figlio cambia e
quindi si adatta alla sua crescita (vi
è un abisso tra il bambino e l’adole-
scente: trattare il figlio da perenne
bambino è uno sbaglio da cartelli-
no rosso!).
Sguardo buono è lo sguardo otti-
mista, incoraggiante, luminoso: lo
Una volta un ladro, un artista, un avaro e un saggio che viaggiavano insieme, scoprirono una
grotta tra le rocce.
Il ladro disse: Che splendido nascondiglio!”.
L’artista: Che posto splendido per dipingere murali!”.
L’avaro: Che splendido forziere per un tesoro!”.
L’uomo saggio disse semplicemente: Che bella grotta!”.
Il grande psicanalista austriaco Bruno Bettelheim (1903-1990) ammoniva: Non puntate
ad avere il bambino che piacerebbe a voi. Abbiate rispetto per ciò che il bambino è!”.
GLI OCCHI E LE PALPEBRE GESÙ E IL CANE MORTO
Un giorno un discepolo si macchiò di
una grave colpa.
Tutti si aspettavano che il maestro lo
punisse in modo esemplare.
Ma passò un anno ed il maestro non
diede segno di reazione.
Allora un altro discepolo protestò:
Non si può ignorare ciò che è acca-
duto. Dopo tutto, Dio ci ha dato gli
occhi per vedere!”.
Il maestro replicò: “È vero, ma ci ha
anche dato le palpebre per chiuderli!”.
Un giorno Gesù (così racconta un
vangelo apocrifo, cioè un vangelo che
la Chiesa non ritiene ispirato) vide un
gruppo di uomini che guardavano per
terra e parlottavano.
Che puzza!”, diceva uno. “Che schi-
fo!”, aggiungeva l’altro. “Che caro-
gna!”, sbuffava il terzo.
Si trattava di un cane morto da qual-
che giorno.
Gesù rimase un momento in silenzio e
poi disse: “Ma che bei denti ha ancora!”.
sguardo che dà valore al figlio e
tifa per lui. Aveva tutte le ragioni
il filosofo francese Louis Lavel-
le (1883-1951) a sostenere che “il
maggior bene che possiamo fare agli
altri non è comunicare loro la nostra
ricchezza, bensì rivelargli la loro”.
Fortunati i figli che hanno genitori con
gli occhi simili (per quanto è possibi-
le!) a quelli del ‘facchino di Dio’ don
Orione (1872-1940) che, come ricorda
il professor Enrico Medi (1911-1974)
“ti bruciavano l’anima e ti entravano
dentro come la luce esce dagli angeli”.
I genitori con tale sguardo hanno la
patente pedagogica a punti pieni!
Gennaio 2014
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4.2 Page 32

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LA LINEA D'OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
“Di fronte alla sfida dell’adultità, molti giovani fanno fatica a superare la paura di
crescere, sperimentano con sofferenza tutta l’incertezza e la precarietà della loro
condizione e dilazionano il superamento di quella “linea d’ombra” che separa la
spensieratezza dell’adolescenza dalla condizione inedita dell’essere adulti.
Questa rubrica, scritta da una giovane per altri giovani, vuol offrire loro un piccolo
strumento per la navigazione, una bussola che li aiuti ad orientarsi in un mare spesso
burrascoso, ma meraviglioso da esplorare”.
La linea d’ombra
La linea d'ombra, la nebbia che io vedo a me davanti
per la prima volta nella vita mia mi trovo a saper quello che lascio
e a non saper immaginar quello che trovo.
Mi offrono un incarico di responsabilità
portare questa nave verso una rotta che nessuno sa
è la mia età a mezz'aria in questa condizione di stabilità precaria…
… Il pensiero della responsabilità si è fatto grosso
è come dover saltare al di là di un fosso
che mi divide dai tempi spensierati di un passato che è passato
saltare verso il tempo indefinito dell'essere adulto
di fronte a me la nebbia mi nasconde la risposta alla mia paura:
cosa sarò? dove mi condurrà la mia natura?
“Dove sarò domani? Chi sarò? Avrò
il coraggio di prendere decisioni
significative per la mia vita e di
assumere la guida di quella nave
che solo io posso condurre per
mare?”. Domande ricorrenti,
martellanti, comuni a tanti giovani che, nel pas-
saggio cruciale verso l’adultità, sperimentano la
paura di prendere il largo, l’ambivalenza di una
condizione carica di incertezza e, al tempo stes-
so, di aspettative, il timore e insieme il desiderio
di mettersi alla prova, di testare le proprie com-
petenze esistenziali, di sentirsi unici artefici del
proprio destino. Farsi carico di scelte impegnati-
ve e accettare la responsabilità di portarle avanti
fino in fondo, a volte, può spaventare. Significa
fare un salto nel vuoto, prendere coscienza della
necessità di cambiamenti importanti, decidersi
finalmente a varcare quella “linea d’ombra” che
separa la spensieratezza dell’adolescenza dalla
condizione inedita dell’essere adulti.
In una società in cui sembra ormai prevalere l’e-
tica della superficialità e del disimpegno, quello
della responsabilità appare come un valore esi-
gente, controcorrente. È forte la tentazione di
adeguarsi al clima generale, rifuggendo da scel-
te definitive o troppo impegnative, optando per
un’esistenza a responsabilità limitata, fatta di com-
promessi, di decisioni revocabili, di continue di-
lazioni. Certo, per molti giovani, la precarietà di
un’esistenza vissuta alla giornata, senza possibilità
di fare progetti a lungo termine, è frutto di una
scelta obbligata, amara conseguenza dell’assenza
di certezze sul piano economico e professionale
come su quello affettivo ed esistenziale. Si è così
abituati a vivere in bilico sul filo di un presente
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Gennaio 2014

4.3 Page 33

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incerto e provvisorio che la capacità di guardare
al futuro, oltre l’orizzonte limitato del contingen-
te, finisce con l’atrofizzarsi sempre più, soffocata
dal disincanto, dalle frustrazioni, dalla logica del
“così fan tutti”.
Ma spesso la difficoltà oggettiva di assumere im-
pegni duraturi può diventare un alibi per rifug-
gire dalle proprie responsabilità, per dilazionare
una scelta di vita che si avverte come irreversibile
o troppo gravosa, per ritardare il passaggio verso
l’adultità, rimanendo indefinitamente nel limbo
di un’eterna adolescenza.
Farsi carico della responsabilità del proprio fu-
turo, accettare di correre il rischio di mettersi in
gioco può fare paura. Eppure è anche la manife-
stazione più alta della propria libertà, di un prota-
gonismo e di una capacità di autodeterminazione
che soli danno dignità all’esistenza umana, della
tensione verso un essere di più che costituisce lo
stimolo più forte a lasciarsi alle spalle ogni in-
certezza e a levare finalmente l’ancora per partire
Arriva il giorno in cui bisogna prendere una decisione
e adesso è questo giorno di monsone
col vento che non ha una direzione
guardando il cielo un senso di oppressione
ma è la mia età dove si sa come si era e non si sa dove si va…
… Mi offrono un incarico di responsabilità
non so cos'è il coraggio, se prendere e mollare tutto
se scegliere la fuga o affrontare questa realtà
difficile da interpretare, ma bella da esplorare
provare a immaginare cosa sarò quando avrò attraversato il mare.
Mi offrono un incarico di responsabilità
domani andrò giù al porto e gli dirò che sono pronto a partire
getterò i bagagli in mare, studierò le carte e aspetterò di sapere
per dove si parte, quando si parte
e quando passerà il monsone dirò: “Levate l'ancora, dritta avanti tutta
questa è la rotta, questa è la direzione, questa è la decisione!”.
(Jovanotti, La linea d'ombra, 1997)
alla scoperta di «questa realtà difficile da inter-
pretare, ma bella da esplorare».
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4.4 Page 34

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A TU PER TU
LINDA PERINO
Dalla terra di
Madre Teresa
al Sudafrica
Incontro con
Odise
Lazri
«Nonostante le difficoltà e la paura dei comunisti,
da piccolo i miei mi hanno aiutato a conoscere
e ad amare il Signore e tutte le sue creature.
All’età di 12-13 anni ho iniziato a conoscere meglio
la Chiesa che avevano ricostruito anche dove abitavo
io in montagna, luogo scelto dai miei antenati
per proteggere la vita e la fede»
Qual è la tua
“carta d’identità”?
Sono Odise Lazri, ho 29 anni e vengo
dall’Albania città di Scutari (Shkoder),
“la terra delle aquile”, dei martiri, dei
santi e dei peccatori, la terra di ma-
dre Teresa. Sono nato in una famiglia
molto semplice, composta da sette
persone: papà e mamma, due sorelle e
due fratelli (compreso me), e la nonna
che passava tanto tempo con noi.
Prove di vita selvaggia. «I documentari sui
missionari mi hanno aiutato a coltivare la
sensibilità missionaria»
Che cosa significa per te
questa volta “partire”?
Partire per me significa, fare il mio
dovere impegnandosi a realizzare la
missione che Gesù ci affida quotidia-
namente dicendo: Andate in tutto il
mondo e predicate il vangelo ad ogni
creatura. Partire per me è anche un
grande piacere, immaginate, il Signo-
re si fa servire anche da me, rendendo
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Gennaio 2014

4.5 Page 35

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utile il Suo servo inutile. Partire per
me è anche una grande responsabilità,
perché non vado per turismo o altro,
ma il Signore mi manda a Suo Nome
e Lui stesso mi chiederà conto della
missione e delle persone che mi affida,
perché ci sta aspettando tutti quanti
con le braccia aperte in paradiso. Sono
consapevole che la missione affidata è
molto grande e da solo sono sicuro che
non potrei fare nulla, ma credo che con
il Suo aiuto tutto è possibile.
Attualmente qual è
il tuo compito?
Il mio compito attuale è l’assistenza
salesiana in oratorio e al nostro con-
vitto dove accogliamo circa 30 ragaz-
zi e giovani che frequentano le scuole
superiori e le università e poi studiano
e vivono con noi in comunità quasi
tutti i giorni della settimana. Questo
era il mio compito fino a poco fa nella
comunità salesiana di Scutari (Alba-
nia) per il primo anno del tirocinio.
Come hai sentito
la vocazione?
Sono tantissimi elementi che hanno
contribuito alla mia vocazione e in
modo particolare il desiderio di vola-
re in alto, verso il bene migliore che
è nostro Signore. L’esempio straordi-
nario dei martiri è rimasto indelebile
in me. Loro erano quelli che hanno
dato la propria vita per difendere la
fede e la patria durante l’invasione dei
turchi, per 500 anni e poi durante la
dittatura comunista per altri cinquan-
ta anni. Le loro ultime parole furo-
no: “Evviva Gesù Cristo”! “Evviva la
fede! Evviva la patria”! Addirittura
alcuni di loro hanno concluso questa
vita dicendo: “Non so se sono degno
di dare la vita per Gesù Cristo”!
Nonostante le difficoltà e la paura dei
comunisti, da piccolo i miei mi hanno
aiutato a conoscere e ad amare il Si-
gnore e tutte le sue creature. All’età di
12-13 anni ho iniziato a conoscere me-
glio la Chiesa che avevano ricostrui-
to anche dove abitavo io in monta-
gna luogo scelto dai miei antenati per
proteggere la vita e la fede. Amavo la
chiesa nei suoi sacerdoti, i religiosi e
tutti i fedeli. La chiesa era per me la
“mia casa”, lì mi sentivo pieno e felice.
Non avrei mai pensato che avrei potu-
to seguire un cammino così prezioso
come quello di seguire il Signore più
da vicino. Pensavo che non potesse es-
sere una cosa per me, che fosse troppo
alta e non mi sentivo all’altezza. Gli
studi che avevo fatto non erano suffi-
cienti perché la scuola non funzionava
bene ed ero troppo indietro!
Perché hai preso
questa decisione?
Un giorno venne nella mia parrocchia
una suora (dell’ordine Apostole del
Sacro Cuore di Gesù) che mi disse:
“Tu puoi diventare sacerdote!” Rispo-
«Sentirò un po’ di nostalgia della famiglia,
dell’Albania e dei tanti amici. Mia madre mi ha
detto: "Verrei pure io se mi trovi un posto!”»
si: “Cosa? Io sacerdote?” E lei mi dis-
se: “Se tu lo vuoi, il Signore ti aiuta!”
Dopo un po’ di tempo ho sentito il
bisogno di fare qualcosa per la mia
anima e per orientare anche gli altri
verso la sua salvezza. In questo tempo
mi è venuta in aiuto anche la Divi-
na Provvidenza, mediante il parroco
diocesano don Antonio Giovannini
che invitò le suore fma a prestare ser-
vizio da noi. Loro mi hanno aiutato
molto a conoscere don Bosco, il suo
rapporto con Dio e con i giovani più
poveri, per la salvezza delle loro ani-
me. Un piccolo libricino sulla storia di
don Bosco regalato dalle suore ed il
loro esempio sono bastati per accen-
dere il mio cuore e per capire come
avrei dovuto iniziare a seguire il Si-
gnore. Dopo di che ho iniziato l’aspi-
rantato dai salesiani a Scutari e nello
stesso tempo mi hanno fatto conti-
nuare gli studi al liceo dei gesuiti. Il
prenoviziato l’ho fatto in Italia (Sa-
lerno), dove mi è stata data la possibi-
lità di fare anche una breve esperien-
za missionaria in Madagascar. Lì ho
iniziato a interrogarmi sulla vita mis-
Gennaio 2014
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4.6 Page 36

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A TU PER TU
«Tutti dicono: che bella la missione!
Ma pochi vogliono partire. Io ho
deciso di partire».
sionaria al servizio di Dio
nei più poveri e i bisognosi.
Ho visto molto spesso i do-
cumentari della “Missione
don Bosco nel mondo”, che
mi hanno aiutato a coltivare
la sensibilità missionaria e
anche i miei amici con cui
collaboravo. Al noviziato la “Buona
notte” di don Klement (consigliere del
Rettor Maggiore per la Missione Sa-
lesiana nel mondo) mi ha dato un’altra
spinta, quando ha detto che i bisogni
sono tanti e tutti dicono: che bella la
missione, ma molto pochi vogliono
partire! Gli ho detto: se c’è bisogno,
anche se non sono all’altezza per que-
sto compito, parla con i miei superiori
ed io sono disponibile quando volete
e dove volete. Poi ho fatto la doman-
da al Rettor Maggiore il quale mi ha
risposto subito (il giorno dopo) acco-
gliendo paternamente la mia richiesta
missionaria per andare dove c’è più
bisogno nel mondo.
Che cosa ne pensa
la tua famiglia?
La mia famiglia non l’ha presa male,
anzi avevo pensato: quando lo dirò a
mia madre si aprirà l’idrocentrale del-
le lacrime, ma lei mi ha detto: “Che
bello, verrei volentieri pure io se mi
trovi un posto!” Per papà non è sta-
to facilissimo, lui mi ha detto: “Ma,
non potevi stare un po’ più vicino?” E
si è commosso un po’. Invece gli altri
sono contenti, perché mi vedono feli-
ce e questo basta per loro.
Chi per primo ti ha
raccontato la storia di Gesù?
La storia di Gesù me l’hanno racconta-
ta mia madre e la nonna che mi parla-
vano sempre di Dio, il quale era diven-
tato per noi uno della nostra famiglia e
non potevamo stare senza di Lui.
Quali sono i momenti più
belli in famiglia che ricordi?
I momenti più belli che ricordo nella
mia famiglia erano quando quasi ogni
sera (in particolare durante l’inverno)
si leggeva qualcosa di educativo nei
vari livelli. Leggevamo la Bibbia, la
storia di qualche santo, qualche ro-
manzo o varie favole oppure giocava-
mo tutti insieme.
Sentirai nostalgia?
Di che cosa soprattutto?
Non nascondo che sento un po’ la no-
stalgia della famiglia, dell’Albania e
anche dell’Italia dove ho passato un
bel po’ di tempo, ma come dice Gesù:
«Ecco mia madre ed ecco i miei fra-
telli, perché chiunque fa la volontà del
Padre mio che è nei cieli, è per me fra-
tello, sorella e madre». Così diventano
miei famigliari tutti quelli a cui il Si-
gnore mi affiderà e anche tutti quelli che
Lui affiderà a me. Ciò che mi
pesa un po’ di più sono le lin-
gue che lascio, perché io fac-
cio fatica ad imparare lingue
nuove e non posso stare senza
entrare subito in dialogo con
le persone che incontro.
Quale sarà
la tua destinazione?
La mia prossima destinazione
sarà l’afm: l’Africa Meridionale, che
comprende il Sudafrica, Swaziland e
Lesotho.
C’è molto coraggio in questa
tua scelta. Dove lo attingi?
Io direi che in me non c’è molto corag-
gio, ma c’è in Colui che mi ha affidato
questa bellisssima ed importantissima
missione di evangelizzatore. Il corag-
gio per me ha solamente una fonte e
quella fonte è Gesù Cristo stesso che
ci ha amati così tanto e continua ad
amarci e a donarsi totalmente per noi!
E come possiamo fare diversamente,
se non vivere per Lui? Come diceva
san Pietro: “Signore da chi andremo?
Tu hai le parole di vita eterna!”.
Vale la pena dedicare
la vita agli altri in questo
modo così radicale?
Certo che vale la pena dedicare la vita
al Signore per il bene dei più biso-
gnosi, perché questo non è mai una
perdita, ma è un vero e multiplo gua-
dagno come dice Gesù: chiunque avrà
lasciato case, o fratelli, o sorelle, o pa-
dre, o madre, o figli, o campi per il
mio nome, riceverà cento volte tanto
e avrà in eredità la vita eterna.
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4.7 Page 37

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
IL PESO DI ESSERE SUCCESSORE DI UN SANTO
Nell’Ottocento, l’industrializzazione portava molti contadini ad abban-
donare i campi per impiegarsi nelle nascenti fabbriche, ma i salari
erano bassi e la povertà dilagava. Nel quartiere popolare di Borgo
Dora a Torino, la fabbrica dell’arsenale militare con le sue fornaci di
pezzi d’artiglieria dava lavoro a molti operai e alloggio alle famiglie.
Nel 1837 nacque Michelino, ultimo di nove figli, e trascorse la sua
infanzia proprio in quel contesto. All’età di otto anni, rimase orfano
del padre e quel momento triste e difficile fu illuminato da un incontro
fondamentale: durante la terza classe elementare, frequentata presso
i Fratelli delle Scuole Cristiane, fu notato per le sue qualità da don Bo-
sco che gli porse la mano e disse “Noi due faremo tutto a metà”, frase
che gli rimase scolpita nel cuore per sempre. Michelino continuò gli
studi all’oratorio di Valdocco, dove vivevano settecento ragazzi sot-
tratti alla strada, e vi si distinse per fede e volontà diventando un entusiasta amico del futuro santo.
Spinto sempre da don Bosco, prese la strada del sacerdozio e, ormai adulto, XXX nel 1853 ricevette
l’abito clericale. L’anno successivo, il 26 gennaio, don Bosco
lo convocò nella sua camera insieme ad altri tre compagni
dando vita alla congregazione salesiana. Lavorò strenua-
mente in quanto il peso di metà della congregazione era sulle
sue spalle e, dopo la morte del fondatore, divenne il Supe-
riore Generale dei Salesiani. Percorse centinaia di migliaia di
chilometri per visitare le opere salesiane. Nel 1889, l’espan-
sione era già mondiale: alla sua morte, avvenuta nel 1910, i
Salesiani contavano 4000 religiosi in 341 case sparse in 30
nazioni. È stato proclamato beato nel 1972 da Paolo VI.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Sono uguali
nelle gengive - 4. Annuncia l’elezione
del Papa - 15. Monete che hanno cor-
so in India - 18. Bisogna averne in zuc-
ca - 19. Rigato... come un disco - 20.
Il fiume di Fornovo - 22. Abitano in un
capoluogo pugliese - 24. Congiunzio-
ne latina - 26. XXX - 30. Difetti di
poco conto - 32. Il Martin di Jack Lon-
don - 33. È il più vasto stato africano
da quando il Sudan si è scisso - 35. Il
lupo per gli inglesi - 37. La cordigliera
sudamericana - 39. Vi si rifugia la vol-
pe - 40. Iniziali di Raffaello - 41. Giag-
giolo - 43. È più facile che fare - 45.
Il gas con cui si gonfiano palloncini e
dirigibili - 47. A noi - 48. Hanno il filo
tagliente - 50. Sferraglia in città - 53.
Una provincia siciliana - 55. Un film di
Nanni Moretti del 2011 - 56. Conferen-
za Episcopale Italiana.
VERTICALI. 1. Vi passa il me-
ridiano zero - 2. Mezzo euro - 3. La
capitale dell’Arabia Saudita - 5. Il Saba
poeta (iniz.) - 6. È meta di molti turisti
che si recano in Kenya - 7. Il Guinness
de La signora omicidi - 8. Preceduto
da Hi indica nuove tecnologie - 9. Città
piemontese... collegata al pistone! -
10. Scritte che indicano le attività dei
negozi - 11. I suoi abitanti sono gli
acesi - 12. Né no, né sì - 13. Cosenza
(sigla) - 14. Amori senza pari - 16.
Poste e Telegrafi - 17. Compie atti di
valore - 21. Si infrange sugli scogli -
23. Fabbrica di pneumatici - 25. Si
studia prima della pratica - 27. L’Eva
attrice di Out of Time - 28. Le prime di
Urbano - 29. Un uccello trampoliere -
31. Raganelle arboree - 34. Al centro
della casa - 36. Frottole - 38. Ripida
salita - 42. Lo zio d’America - 44. La
sigla del Piano Marshall - 46. La So-
cietà per Azioni negli Usa (abbr.) - 49.
Il verso del vitello - 51. I confini dell’A-
laska - 52. Le iniziali di Mastroianni -
54. Così finiscono i guai.
Gennaio 2014
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
L’avvio dell’epopea salesiana
in Patagonia
Quandoquidem bonus dormitat
Homerus (“talvolta anche il
bravo Omero si appisola”)
scriveva Orazio a proposito
di momenti di disattenzio-
ne di cui era stato vittima
l’autore dei famosi poemi epici Iliade
e Odissea. Ebbene anche il noto cu-
ratore degli ultimi nove volumi delle
Memorie Biografiche di don Bosco e
dei quattro volumi del suo epistola-
rio, don Eugenio Ceria, ha avuto una
distrazione. Ha dimenticato infatti di
pubblicare un’importantissima lettera
di don Bosco, quella di cui parliamo
ora. Perché “importantissima”? Per-
ché è la lettera ufficiale, formale di-
remmo, di accettazione delle missioni
salesiane in Patagonia. È da questo
momento che si avvia quella che sa-
rebbe poi diventerà l’epopea patago-
nica.
I precedenti
L’entrata dei missionari salesiani in
Patagonia è stata un desiderio a lungo
coltivato da don Bosco. Ma i primi di
loro mandati in Argentina nel 1875,
capitanati da don Cagliero, erano
molto incerti. Stando sul posto, ne
vedevano le immense difficoltà, tanto
più che di lavoro pastorale ve ne era
già fin troppo fra gli Italiani emigrati
laggiù, ignoranti in fatto di religione,
massoni ostili, accesi anticlericali.
I successivi tentativi diplomatici di
don Bosco di avere approvazioni uf-
ficiali delle sue missioni da parte del-
la Santa Sede, onde godere anche di
sussidi economici, erano andati falliti.
Né ebbero esito favorevole le reiterate
richieste alle stesse autorità pontificie
di ottenere, magari dilatando spazi e
cifre del lavoro missionario dei suoi
Nuestra Señora del Carmen, prima parrocchia
della Patagonia affidata e gestita dai Salesiani.
A pagina seguente : L’inaugurazione del
monumento al beato Zeffirino Namuncurá
realizzato dal salesiano don José Ellero.
salesiani, delle circoscrizioni proprie,
esenti da giurisdizione altrui.
Se era vero infatti che i salesiani ave-
vano predicato “missioni alle vicinanze
dei selvaggi” e che si erano concordati
con l’arcivescovo monsignor Aneiros
per due insediamenti “più limitrofi
ai selvaggi”, Santa Cruz e Carhué, il
cammino per dimostrare la realtà di
cose immaginate era ancora lungo.
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Gennaio 2014

4.9 Page 39

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Due spedizioni
Con l’arrivo del terzo gruppo di mis-
sionari salesiani alla fine del 1877, si
pensò di dare inizio ad una prima spe-
dizione evangelizzatrice in Patagonia.
Il neo arrivato ma intraprendente don
Costamagna nel maggio 1878 partiva
con monsignor Espinoza, vicario di
Buenos Aires e il giovane don Evasio
Rabagliati. Ma la nave con cui doveva-
no raggiungere Bahía Blanca rischiò il
naufragio e dovette ritornare indietro.
Non si diedero per vinti e nell’aprile
1879 gli stessi monsignor Espinoza
e don Costamagna, accompagnati
questa volta dal chierico Luigi Botta
erano ammessi in una spedizione mi-
litare, voluta dal ministro della Guer-
ra e della Marina, gen. Julio Roca e
destinata alla conquista della Pampa
e della Patagonia. L’accettazione del-
la proposta di accompagnare la spada
con la croce non fu facile e pose ai sa-
lesiani più sensibili e responsabili pro-
blemi di coscienza. Ma sembrò loro
che non ci fosse alternativa.
A Carhué presero contatto con i pri-
mi indios di due tribù pacifiche. Dopo
altra cavalcata di quattro settimane
giunsero alle foci del Rio Negro ai li-
miti della Patagonia, a Choele-Choel.
I primi giorni di giugno amministra-
rono i primi battesimi. Il giorno 21
giunsero a Patagónes. La campagna
militare del Rio Negro si sarebbe
conclusa nell’aprile 1881, ma la prima
temporanea missione si era conclusa il
9 luglio 1879 con il rientro via mare
dei missionari a Buenos Aires.
Informato degli eventi, alla fine di
agosto 1879 don Bosco scriveva a
don Costamagna: “Ora tratta seria-
mente con D. Bodratto e coll’arcive-
scovo l’apertura di una casa centrale
di Suore e di Salesiani a Patagónes.
Non è ugualmente necessaria una al
Carhué?”.
Poco dopo riceveva una lettera (datata
5 agosto 1879) dell’arcivescovo che gli
apriva il cuore alla speranza: “È ar-
rivato finalmente il momento, in cui
posso offrirvi la Missione della Pata-
gonia, verso la quale il vostro cuore ha
tanto sospirato, come la cura d’anime
tra i Patagoni, che può servire di cen-
tro alla missione”.
Anche se non era il consenso all’ere-
zione di circoscrizioni ecclesiastiche
autonome sempre avversate dall’Or-
dinario diocesano, don Bosco si af-
frettò ad accettare la proposta. Stese
la lettera, la fece tradurre in spagnolo
da don Cagliero, la sottoscrisse il 13
settembre e la inviò.
Riferiva anzitutto che aveva ricevu-
to con immensa gioia la lettera con la
quale l’arcivescovo, considerata l’“ur-
gente necessità” di provvedere subito
ad innumerevoli anime presenti sulle
rive del Rio Negro e all’interno della
Patagonia, offriva all’“umile Congre-
gazione salesiana” questa nuova mis-
sione, ed in particolare la parrocchia di
Carmen y Mercedes. La sua gioia era
al colmo, in quanto la proposta veni-
va incontro al suo “cuore che da molto
tempo anelava alla civilizzazione me-
diante la predicazione del santo Evan-
gelio in quelle regiones patagoniche”.
Assicurava poi l’arcivescovo della sua
personale collaborazione e di quella
della Congregazione, fiduciosi tutti
nell’aiuto di Dio e della potente inter-
cessione di Maria Ausiliatrice.
L’avvio delle missioni
patagoniche
Il dado era tratto. Il drappello di Sale-
siani destinati alla Patagonia sarebbe
partito il 15 gennaio 1880: era com-
posto da don Fagnano (1844-1916),
direttore della Missione e parroco a
Carmen di Patagónes, due sacerdoti,
di cui uno si sarebbe occupato della
parrocchia di Viedma sull’altra riva
del Rio Negro, un coadiutore e quat-
tro suore salesiane. Grazie a questi
missionari e ai loro immediati succes-
sori, di cui papa Francesco si è dichia-
rato ammiratore, l’epopea patagonica
si avviava sul giusto binario.
Gennaio 2014
39

4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A CURA DI PIERLUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Con questo numero di gennaio la presente rubrica vuole essere uno
strumento per suscitare la conoscenza, l’imitazione e la devozione
dei membri della nostra Famiglia candidati alla santità, attraverso la
segnalazione di grazie ricevute per l’intercessione dei Beati, Venera-
bili e Servi di Dio la cui causa è seguita dalla Postulazione salesiana.
Questo impegna tutti i gruppi della Famiglia Salesiana e tutte le comu-
nità cristiane e le persone devote a questi fratelli e sorelle a chiedere
la grazia di miracoli e favori attraverso l’intercessione di un Santo o
Beato o Venerabile o Servo di Dio.
Si segnala particolarmente efficace la diffusione della novena al San-
to o Beato o Venerabile o Servo di Dio, invocandone l’intercessione
nei diversi casi di necessità materiale e spirituale.
Le grazie attribuite all’intercessione dei santi verranno segnalate.
Quanti sono
i nosstarinti?
Corteo dei
santi salesiani.
(Affresco di Luigi
Zonta.)
Siamo depositari di una preziosa eredità
che merita di essere meglio conosciuta
e valorizzata. Non si tratta solo di va-
lorizzare tale patrimonio sotto l’aspetto
liturgico-celebrativo, ma anche di pro-
muoverne appieno le potenzialità di tipo
spirituale, pastorale, ecclesiale, educativo, cultu-
rale, storico, sociale, missionario… I Santi, Beati,
Venerabili e Servi di Dio sono pepite preziose che
vengono sottratte dall’oscurità della miniera per
poter brillare e riflettere nella Chiesa e nella Fa-
miglia Salesiana lo splendore della verità e della
carità di Cristo.
Come si desume dal seguente elenco, aggiornato
al 31 dicembre 2013, la Famiglia Salesiana conta
166 tra Santi, Beati, Venerabili, Servi di Dio.
SANTI (nove)
san Giovanni Bosco, sacerdote (data di canonizzazione:
1 aprile 1934)
san Giuseppe Cafasso, sacerdote (22 giugno 1947)
santa Maria D. Mazzarello, vergine (24 giugno 1951)
san Domenico Savio, adolescente (12 giugno 1954)
san Leonardo Murialdo, sacerdote (3 maggio 1970)
san Luigi Versiglia, vescovo, martire (1 ottobre 2000)
san Callisto Caravario, sacerdote, martire (1 ottobre 2000)
san Luigi Orione, sacerdote (16 maggio 2004)
san Luigi Guanella, sacerdote (23 ottobre 2011)
BEATI (centodiciassette)
beato Michele Rua, sacerdote (data di beatificazione: 29
ottobre 1972)
beata Laura Vicuña, adolescente (3 settembre 1988)
beato Filippo Rinaldi, sacerdote (29 aprile 1990)
beata Maddalena Morano, vergine (5 novembre 1994)
beato Giuseppe Kowalski, sacerdote, martire (13 giu-
gno 1999)
beato Francesco Ke¸sy, laico, e 4 compagni martiri
(13 giugno 1999)
beato Pio IX, papa (3 settembre 2000)
beato Giuseppe Calasanz, sacerdote, e 31 compagni
martiri (11 marzo 2001)
beato Luigi Variara, sacerdote (14 aprile 2002)
beato Artemide Zatti, religioso (14 aprile 2002)
beata Maria Romero Meneses, vergine (14 aprile 2002)
beato Augusto Czartoryski, sacerdote (25 aprile 2004)
beata Eusebia Palomino, vergine (25 aprile 2004)
beata Alessandrina M. da Costa, laica (25 aprile 2004)
beato Alberto Marvelli, laico (5 settembre 2004)
beato Bronislao Markiewicz, sacerdote (19 giugno 2005)
beato Enrico Saiz Aparicio, sacerdote, e 62 compagni
martiri (28 ottobre 2007)
beato Zeffirino Namuncurà, laico (11 novembre 2007)
beata Maria Troncatti, vergine (24 novembre 2012)
beato Stefano Sándor, laico, martire (19 ottobre 2013)
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Gennaio 2014

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL SANTO DEL MESE
VENERABILI (undici)
ven. Andrea Beltrami, sacerdote (Decreto super virtuti-
bus: 5 dicembre 1966)
ven. Teresa Valsè Pantellini, vergine (12 luglio 1982)
ven. Dorotea Chopitea, laica (9 giugno 1983)
ven. Vincenzo Cimatti, sacerdote (21 dicembre 1991)
ven. Simone Srugi, religioso (2 aprile 1993)
ven. Rodolfo Komorek, sacerdote (6 aprile 1995)
ven. Luigi Olivares, vescovo (20 dicembre 2004)
ven. Margherita Occhiena, laica (23 ottobre 2006)
ven. Giuseppe Quadrio, sacerdote (9 dicembre 2009)
ven. Laura Meozzi, vergine (27 giugno 2011)
ven. Attilio Giordani, laico (9 ottobre 2013)
SERVI DI DIO (ventinove)1
Giuseppe Augusto Arribat, sacerdote sdb
Stefano Ferrando, vescovo sdb
Ottavio Ortiz, vescovo sdb
Augusto Hlond, cardinale sdb
Francesco Convertini, sacerdote sdb
Elia Comini, sacerdote sdb
Giuseppe Vandor, sacerdote sdb
Ignazio Stuchly, sacerdote sdb
Carlo Crespi Croci, sacerdote sdb
Giovanni Swierc, sacerdote sdb e 7 compagni - martiri
Franciszek Miska, sacerdote sdb, martire
Costantino Vendrame, sacerdote sdb
Tito Zeman, sacerdote sdb, martire
Antonio Lustosa de Almeida, vescovo sdb
Oreste Marengo, vescovo sdb
Matilde Salem, laica
Andrea Majcen, sacerdote sdb
Anna Maria Lozano, hh.ss.cc.
Carlo Della Torre, sacerdote sdb
Carlo Braga, sacerdote sdb
Antonino Baglieri, laico, cdb
Antonietta Böhm, religiosa, FMA
1. L’elenco corrisponde allo stato di avanzamento della causa.
In questo mese di gennaio preghiamo per la beatificazione del ser-
vo di Dio Carlo Braga, missionario in Cina e nelle Filippine.
Tirano, Sondrio, 23 maggio 1889 - Makati, Filippine, 3 gennaio 1971
Rimasto orfano di madre, la sua educazione venne affidata ai Salesiani di
Sondrio. Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale venne reclutato nell’e-
sercito per tre anni. Alla fine della stessa fece domanda di essere inviato
in missione nell’Estremo Oriente. Arrivato a Shiuchow, al sud della Cina,
conobbe don Versiglia, la cui santità era già nota. Venne designato direttore
alla Scuola di Ho Sai. Nel 1930 divenne Ispettore della Cina. Diede un no-
tevole impulso allo sviluppo dell’opera missionaria salesiana. Venne aperto
l’orfanotrofio a Macau e cinque grandi centri a Hong Kong. Fondò a Pechi-
no la prima scuola salesiana: si realizzava il sogno di don Bosco. L’opera
salesiana, in netta espansione, vide i suoi sogni interrotti dal comunismo:
ogni attività di educazione, di carità e di evangelizzazione venne chiusa. Il
crollo di tanto lavoro non lo demoralizzò. Venne inviato nelle Filippine dove
avviò la presenza salesiana diventando nel 1958 Visitatore. Il suo zelo e il
suo entusiasmo contagiarono gli altri missionari. Nelle Filippine la presenza
salesiana si diffuse con straordinaria profondità. Profondo ottimismo, bontà
umana e allegria furono i tratti salienti di don Braga. Dovunque andasse
promosse un meraviglioso spirito di famiglia.
Concesso il nulla osta da parte della S. Sede, l’Inchiesta diocesana verrà aper-
ta a Pampanga (Filippine) il 31 gennaio 2014.
Preghiera
Padre onnipotente e misericordioso,
Tu hai chiamato don Carlo Braga a seguire Cristo
sulla via tracciata da san Giovanni Bosco,
perché ne seguisse gli esempi, ne ereditasse lo spirito
e ne moltiplicasse l’opera nella Cina e nelle Filippine,
a favore dei ragazzi e dei giovani più poveri.
Fa’ che, accolto da Te nella gioia eterna come tuo servo fedele,
sia per noi un generoso intercessore.
Concedi a noi il dono della sua glorificazione,
perché possa diventare un esempio gioioso di santità
per la Famiglia Salesiana e per tutti coloro
che dedicano la loro vita alla gioventù bisognosa
Te lo chiediamo per intercessione di Maria Ausiliatrice dei Cristiani,
che egli ha amato e onorato con cuore di figlio,
e per la mediazione di Gesù Cristo nostro Signore.
Amen!
GRAZIE SEGNALATE
Per intercessione di san Do-
menico Savio
– Ghianda Anna, Oggiono (LC),
per la nascita di Maria Miche-
le Giovanni il 18 luglio 2012.
– Marco Gennari, Monza, per
protezione ricevuta dalla so-
rella.
– Finocchiaro Rosaria, Randaz-
zo (CT) per la nascita di Tere-
sa Myriam il 9 giugno 2010.
– L. Silvia, Vigevano (PV), per
una grazia speciale per la sua
famiglia.
– Marta Cassani, per la nascita
del figlio Stefano.
– Maria, Geraci Siculo (PA), per
la nascita di Domenica il 26
febbraio 2011.
– Varrà Maria Rosaria, Rosarno
(RC), per la nascita di Giovan-
ni Domenico Francesco il 14
luglio 2012.
– Giuffrida Francesca (Palermo).
– Pasta Valentina (Palermo) per
la nascita di Giovanni Battista
Domenico il 1° gennaio 2013.
– Nardi Giulia, Castel S. Pietro
Romano (RM) per la nascita di
Fiammetta il 22 settembre 2013.
– Santino e Imbesi Melina, San-
ta Lucia del Mela (ME).
Gennaio 2014
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5.2 Page 42

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
CESARE BISSOLI
DON UBALDO GIANETTO
Morto a Roma il 15 maggio 2013, a 85 anni
È con un cenno quasi sorriden-
te e fiducioso che si apre questa
commemorazione, perché don
Ubaldo credeva nel Paradiso,
lo aspettava – diceva lui – fin
dal 2005! Don Ubaldo, come
figlio fedele di don Bosco, era
una persona sempre dalla parte
positiva della vita, quindi dell’in-
coraggiamento, dell’aiuto fattivo,
in ciò credibile per l’esemplare
testimonianza di salesiano sa-
cerdote, in particolare per il
grande cuore che aveva verso i
piccoli, gli umili, gli indigenti. A
tali fattezze interiori, don Ubaldo
univa un atteggiamento esterno
di semplicità, di dialogo, di pre-
se di posizioni talora paradossali
che suscitavano una dialettica
simpatica, anch’essa portatrice
di verità e anche di buon umore.
ma gli fece frequentare la stessa
scuola. Ivi poté offrire il suo volto
gentile e simpatico per un’imma-
gine di san Domenico Savio più
bella e più vera rispetto a quella
tradizionale, a opera del pittore
Caffaro Rore.
Il passaggio a farsi salesiano
fu rapido e senza ripensamenti,
né allora né mai. Possiamo dire
Il nuovo volto
di Domenico Savio
Il primo ambiente è la sua fami-
glia a Villaregia (Torino). Orfano
di papà a otto anni, per racco-
mandazione quasi testamentaria
di lui, che fu allievo della scuola
salesiana di Valdocco, la mam-
che don Ubaldo fu salesiano da
sempre e per sempre. Pur non
avendo sempre situazioni facili,
parlò sempre bene della Con-
gregazione, in particolare di don
Ricaldone, quale promotore di un
solido impegno catechistico della
Congregazione. Aspetto questo
che espresse con nostalgia fino
agli ultimi tempi.
Per un ventennio, dagli anni
’60 agli ’80, prestò il servizio al
Centro Catechistico salesiano di
Leumann (Torino). Segretario del
Centro per diversi anni, si specia-
lizzò nella catechesi dei ragazzi o
preadolescenti di cui scrisse a
livello soprattutto metodologico.
La sua capacità catechistica gli
procurò il gradito invito di par-
tecipare più volte a delle riunio-
ni con il beato Giovanni Paolo II
per le catechesi del mercoledì,
accanto al futuro papa Benedetto
XVI.
Fu all’UPS a partire dal 1981,
membro del glorioso Istitu-
to di Catechetica, in cui ebbe
come cattedra la catechesi dei
preadolescenti e di storia del-
la catechesi. I meriti in questo
campo sono indiscutibili e sarà
compito farne memoria in ma-
niera opportuna.
Impegnò il suo
interesse anche
sull’insegnamen-
to di religione per
la scuola media.
Il libro Religione
e Vangelo oggi in
Italia, in tre volu-
mi, rimane il testo
di religione tra i
più riusciti nell’e-
ditoria italiana.
Il volto di san
Domenico Savio
che il pittore
Caffaro Rore “prese
in prestito” dal
piccolo Ubaldo
Gianetto.
Membro della Facoltà di Scienze
dell’Educazione, ne condivise a
fondo e in misura stimolante le
finalità educative, collaborando
alle varie iniziative.
Don Ubaldo ebbe a scrivere di sé
recentemente: “Dal 2009 cammi-
no con un deambulatore, dormo
nel reparto dell’Assistenza Anzia-
ni, servito con grande amore dal-
le Suore dei Sacri Cuori, ma pos-
so recarmi ogni giorno in ufficio
per ricevere gli studenti. Mi sono
dedicato soprattutto agli studenti
non italiani che devono scrivere
in italiano perché i professori
non conoscono la loro lingua:
dell’Europa orientale, soprattutto
ucraini e dell’Asia sud-orientale:
tailandesi, coreani e in partico-
lare cinesi”. Don Ubaldo aveva la
conoscenza delle principali lin-
gue europee, compreso il russo,
frequentando perfino una scuola
di cinese, rimanendo alla fine
però studente unico. E queste so-
relle e fratelli della Cina lo hanno
accompagnato fino alla fine con
filiale affetto.
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Gennaio 2014

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Il ricordo
Mentre mia moglie mi
serviva la cena, mi feci
coraggio e le dissi: «Vo-
glio il divorzio».
Vidi il dolore nei suoi
occhi, ma chiese dolce-
mente: «Perché?».
Non risposi e lei pianse tutta la
notte. Mi sentivo in colpa, per cui
sottoscrissi nell’atto di separazione
che a lei restassero la casa, l’auto e il
trenta per cento del nostro negozio.
Lei quando vide l’atto lo strappò in
mille pezzi e mi presentò le condi-
zioni per accettare.
Voleva soltanto un mese di preavviso,
quel mese che stava per comincia-
re l’indomani: «Devi ricordarti del
giorno in cui ci sposammo, quando
mi prendesti in braccio e mi portasti
nella nostra camera da letto per la
prima volta. In questo mese ogni mat-
tina devi prendermi in braccio e devi
lasciarmi fuori dalla porta di casa».
Pensai che avesse perso il cervello,
ma acconsentii.
Quando la presi in braccio il primo
giorno eravamo ambedue imbaraz-
zati, nostro figlio invece camminava
dietro di noi applaudendo e dicendo:
«Grande papà, ha preso la mamma
in braccio!»
Il secondo giorno eravamo tutti e
due più rilassati. Lei si appoggiò al
mio petto e sentii il suo profumo
sul mio maglione. Mi resi conto che
era da tanto tempo che
non la guardavo. Mi resi
conto che non era più così
giovane, qualche ruga,
qualche capello bianco.
Il quarto giorno, pren-
dendola in braccio come
ogni mattina, avvertii che
l’intimità stava ritornando tra
noi: questa era la donna che mi aveva
donato dieci anni della sua vita, la
sua giovinezza, un figlio. Nei giorni a
seguire ci avvicinammo sempre più.
Ogni giorno era più facile pren-
derla in braccio e il mese passava
velocemente. Pensai che mi stavo
abituando ad alzarla, e per questo
ogni giorno che passava la sentivo
più leggera. Mi resi conto che era
dimagrita tanto.
L’ultimo giorno, nostro figlio entrò
all’improvviso nella nostra stanza e
disse: «Papà, è arrivato il momento
di portare la mamma in braccio». Per
lui era diventato un momento basilare
della sua vita. Mia moglie lo abbrac-
ciò forte ed io girai la testa, ma dentro
sentivo un brivido che cambiò il mio
modo di vedere il divorzio. Ormai
prenderla in braccio e portarla fuori
cominciava ad essere per me come la
prima volta che la portai in casa quan-
do ci sposammo... la abbracciai senza
muovermi e sentii quanto era leggera
e delicata... mi venne da piangere!
Mi fermai in un negozio di fio-
ri. Comprai un mazzo di rose e la
ragazza del negozio mi disse: «Che
cosa scriviamo sul biglietto?».
Le dissi: «Ti prenderò in braccio ogni
giorno della mia vita finché morte
non ci separi».
Arrivai di corsa a casa e con il sorriso
sulla bocca, ma mi dissero che mia
moglie era all’ospedale in coma.
Stava lottando contro il cancro ed io
non me n’ero accorto. Sapeva che sta-
va per morire e per questo mi aveva
chiesto un mese di tempo, un mese
perché a nostro figlio rimanesse im-
presso il ricordo di un padre meravi-
glioso e innamorato della madre.
«Non so chi o che cosa abbia posto la
domanda. Non so quando sia stata
formulata. Eppure a un certo punto ho
risposto “sì” a Qualcuno o a qualcosa.
A partire da quel momento ho avuto
la certezza che la vita aveva un senso»
(Dag Hammarskjold).
Gennaio 2014
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
La spiritualità salesiana
Don Bosco racconta
Gesù, l’amico
Salesiani nel mondo
Il centro di formazione
professionale di Rango
Nella giovane ispettoria
dell’Africa dei Grandi Laghi
(AGL)
L'invitato
Don Adriano Bregolin
Vicario del Rettor Maggiore
Invito a Valdocco
L'itinerario delle lapidi 2
Quando i luoghi
raccontano la storia
Le case di don Bosco
Monteortone
Qui si cura l’anima
e il corpo
A tu per tu
Guy Dermond
«La Bibbia è una sorgente
inesauribile»
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612658
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.