Bollettino_Salesiano_202308

Bollettino_Salesiano_202308

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Don Bosco
nel mondo
Filippine
L’invitato
Joseph Thanh
Salesiani
Don
Stefenelli
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
SETTEMBRE 2023
Le case di
don Bosco
Saluzzo
Diario
missionario
Etiopia

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I FIORETTI DI DON BOSCO
B.F.
Al ladro! Al ladro!
U n’umile vigna cresceva sul
lato sud della collina dei
Becchi. Era una parte
dell’eredità che Francesco Bosco
aveva lasciato alla moglie e ai tre
figli. Mamma Margherita la coltiva­
va con grande cura. Era lei che la
potava al momento giusto, mentre i
tre figli avevano il compito di
zappare il terreno per tenerlo soffice
e sgombro dalle erbe infestanti. Il
più piccolo, Giovannino, voleva
zappare anche lui, anche quando non
riusciva neanche ad alzare la zappa.
Ma era del tipo “io non mollo”:
stringeva i denti e teneva dietro ai
fratelli.
La vigna ricambiava, quando il
tempo la aiutava, con generose ven­
demmie. Ma su tutti incombeva un
pericolo.
Margherita era sola con tre ragazzi e
l’anziana suocera. In caso di pericolo
aveva poche possibilità di difesa.
Al tempo del raccolto si aggiravano
per le campagne dei farabutti che
rubavano pannocchie di granoturco
e grappoli d’uva. Qualche vite lungo
il sentiero era già stata spogliata dai
malviventi.
Quell’anno aveva fatto un lavoro
alla grande! Le viti erano cariche
di grappoli floridi e turgidi che
facevano presagire una vendemmia
memorabile. Margherita la teneva
d’occhio. Così vide quell’uomo che
passeggiava lungo il sentiero che la
costeggiava. L’uomo, di quando in
quando, osservava la siepe e le ripe
quasi per studiare un passaggio.
Margherita sospettò come in quella
notte le si volesse fare un brutto tiro,
e, decisa e coraggiosa come sempre,
chiamò a sé i figli, dicendo loro:
«Temo che questa notte ci vogliano
rubare l’uva: quindi staremo all’erta.
Ma voi non dite una sola parola,
osservate un profondo silenzio, e gri­
derete con quanta voce avete in gola
e con il maggior fracasso possibile al
ladro! al ladro! quando io ve ne darò
il segnale».
Quando scese la notte, Margherita
uscì fuori dall’uscio di casa, e senza
alcun lume si sedette per terra con i
figli, che si strinsero intorno a lei.
Passò qualche tempo, ed ecco
comparire un’ombra in fondo alla
vigna, girare intorno alla siepe, e poi
entrare nel podere, inoltrarsi lungo
un filare e quindi fermarsi. Marghe­
rita osservava. Tutto era avvolto dal
silenzio. I figli attenti, con un po’ di
batticuore, aspettavano il segnale.
Quell’uomo aveva già staccato un
grappolo, quando Margherita gridò:
«Assassino! Dunque vuoi andare
all’inferno per un po’ d’uva?» E i tre
ragazzi la imitarono urlando a squar­
ciagola: «Al ladro, al ladro! Presto,
presto, gendarmi da quella parte; il
ladro è là! Forza, forza, gendarmi,
gendarmi!» E, sbatacchiando mestoli
e padelle di ferro, facevano un fra­
casso dell’altro mondo.
A quelle grida improvvise il ladro,
fuori di sé per lo spavento, lasciò
l’uva, si precipitò giù dalla collina, e
si dileguò non senza cadere a rompi­
collo in qualche fosso.
Margherita, soddisfatta di quella
vittoria, abbracciò i figli: «Vedete,
anche senza fucili noi abbiamo fatto
scappare i ladri». Tutti scoppiarono
in una risata liberatoria e, tenendosi
per mano, fecero ritorno a casa.
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SETTEMBRE 2023

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Don Bosco
nel mondo
Filippine
L’invitato
Joseph Thanh
Salesiani
Don
Stefenelli
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
SETTEMBRE 2023
Le case di
don Bosco
Saluzzo
Diario
missionario
Etiopia
SETTEMBRE 2023
ANNO CXLVII
NUMERO 8
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
La copertina: Gli ultimi dolci ricordi
dell’estate (Foto Getty Images/iStock).
2 I FIORETTI DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 DON BOSCO NEL MONDO
Filippine
10 TEMPO DELLO SPIRITO
Gratitudine
12 L’INVITATO
Papua Nuova Guinea
16 LE CASE DI DON BOSCO
Saluzzo
20 DIARIO DI MISSIONE
Etiopia
24 SALESIANI
Don Alessandro Stefenelli
28 LA STORIA CONTINUA
La fontana
32 FMA
Aria di famiglia
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 IL CRUCIPUZZLE
43 LA BUONANOTTE
6
12
16
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 64
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Roberto Desiderati, Ezio
Marinoni, Emilia Di Massimo, Ángel
Fernández Artime, Antonio Labanca,
Sarah Laporta, Carmen Laval, Cesare
Lo Monaco, Alessandra Mastrodonato,
Francesco Motto, Filippo Perin,
Giampietro Pettenon, Pino Pellegrino,
Hoan Phan Trung, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Alberto Rodriguez M.
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livello internazionale che tutelano le foreste, l’ambiente
e i lavoratori.

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Ángel Fernández Artime
Figli di famiglia
Riscoprire il grande valore della vicinanza,
dell’amicizia, della gioia semplice nella vita
di tutti i giorni, il valore della condivisione,
del parlare e del comunicare.
Scrivo queste righe, cari
amici di don Bosco e
del suo prezioso ca­
risma, guardando la
bozza del Bollettino Salesiano
del mese di settembre. Il mio
saluto è l’ultima cosa che viene
inserita: sono l’ultimo a scri­
vere, in funzione del contenuto del mese. Proprio
come faceva don Bosco.
In questo mese, in occasione dell’inizio dell’anno
accademico nelle scuole, negli oratori, mi fa piacere
vedere che i messaggi hanno un sapore così missio­
nario (e per questo si parla di Filippine e Papua Nuo­
va Guinea), e anche la semplicità di una “missione
salesiana” con il sapore locale della casa di Saluzzo.
La lettura del bollettino mi fa apprezzare qualcosa
che è molto nostro, molto salesiano, e che sono certo
fa piacere a tanti di voi: mi riferisco al grande valore
della vicinanza, dell’amicizia, della gioia semplice
nella vita di tutti i giorni, il valore della condivisione,
del parlare e del comunicare. Il grande dono di avere
amici, di sapere che non si è soli. Il sentirsi amati da
tante brave persone nella nostra vita.
E pensando a tutto questo, mi è venuta in mente
una testimonianza sincera e molto onesta di una
giovane donna che ha scritto a padre Luigi Maria
Epicoco e che lui ha pubblicato nel suo libro La
luce in fondo. È una testimonianza che vorrei farvi
conoscere perché la considero l’antitesi di ciò che
cerchiamo di costruire ogni giorno in ogni casa sa­
lesiana. Questa giovane donna sente, in un certo
senso, che non c’è successo o realizzazione se man­
ca il più umano degli incontri, delle belle relazioni
umane, e questo anno scolastico che stiamo ini­
ziando ci riporta a tutto questo.
Questa giovane donna scrive di sé: «Caro Padre, ti
scrivo perché vorrei che tu mi aiutassi a capire se
la nostalgia che provo in questi mesi dice che sono
strana o che è cambiato qualcosa di importante per
me. Ti sarà utile forse che ti racconti un po’ di me.
Ho deciso di andare via da casa che avevo appena di­
ciott’anni. Era un modo per evadere da un ambiente
che mi sembrava così stretto, così soffocante per i
miei sogni. E così sono arrivata a Milano in cerca di
lavoro. La mia famiglia non poteva mantenermi agli
studi. Anche per questo ero arrabbiata con loro. Tut­
te le mie amiche erano prese dalla foga di scegliere
una facoltà. Io non avevo nessuna scelta perché nes­
suno mi avrebbe potuto mantenere. Ho cercato un
lavoro per vivere e ho sognato per anni la possibilità
di studiare. Ci sono riuscita e con immensi sacrifi­
ci mi sono laureata. Il giorno della mia laurea non
volli che la mia famiglia partecipasse. Pensavo che
dei contadini con la sola scuola media non avrebbero
capito un bel nulla dei miei studi. Comunicai solo a
mia madre che era andato tutto bene, e sentii le sue
lacrime che per un istante mi svegliarono a un senso
di colpa che non avevo mai provato. Ma fu questione
di poco. Io mi sono realizzata con le mie sole forze
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e non ho mai potuto e voluto fare affidamento su
nessuno. Anche al lavoro ho fatto carriera perché ho
scelto di allearmi con me stessa.
Ho passato anni così. E non capisco perché solo
adesso, nel cuore del lockdown di questa pande­
mia, mi è scoppiata dentro una nostalgia della mia
famiglia. Sogno di raccontare loro tutto quello che
non gli ho mai detto. Sogno di abbracciare mio pa­
dre. Di notte mi sveglio e mi domando se si può
vivere una vita emancipandosi da alcune relazioni
così significative. Anche le storie che ho avuto in
questi anni, non ho mai permesso che varcassero il
confine della vera intimità. Ma ora mi sembra tutto
così diverso. Ora che non posso scegliere di uscire
da casa, o andare da chi reputo importante, mi sono
ridestata alla consapevolezza della grande menzo­
gna dentro cui ho vissuto tutto questo tempo.
Chi siamo noi senza relazioni? Forse solo degli in­
felici in cerca di affermazioni. Ora ho capito che
tutto quello che ho fatto, in realtà, l’ho fatto perché
speravo che qualcuno mi dicesse chi ero davvero.
Ma gli unici che potevano aiutarmi a rispondere
a questa domanda li ho tagliati fuori chiudendo le
relazioni. E ora loro rischiano la vita, a centinaia di
chilometri da me. Se dovessi morire vorrei essere
con loro e non con i miei successi».
Una gioia condivisa
Apprezzo l’onestà e il coraggio di questa giovane
donna che mi ha fatto riflettere molto sulla nostra
realtà odierna. Mi ha fatto riflettere sullo stile di
vita che si sta vivendo in tante famiglie in cui l’im­
portante è avere dei buoni risultati, raggiungere
una buona situazione economica, riempire le nostre
giornate di cose da fare in modo che tutto sia reddi­
tizio, ecc. ma paghiamo prezzi molto alti per vivere
sempre, e sempre di più, non fuori casa ma fuori da
noi stessi. C’è il pericolo di vivere senza centro, cioè
“fuori centro”. E credetemi, cari amici, non potete
immaginare quanto questo si noti soprattutto nei
ragazzi e nelle ragazze delle nostre case, dei nostri
cortili e dei nostri oratori.
Il secondo successore di don Bosco, don Paolo
Albera ricorda: «Don Bosco educava amando, at­
tirando, conquistando e trasformando. Ci avvol­
geva tutti e interamente quasi in un’atmosfera di
contentezza e di felicità, da cui erano bandite pene,
tristezze, malinconie... Ascoltava i ragazzi colla
maggior attenzione come se le cose da loro esposte
fossero tutte molto importanti».
Il primo piacere della vita è essere felici insieme:
«Una gioia condivisa è doppia». La parola d’ordine
dell’educatore è «Io sto bene con voi». Una presenza
che è intensità di vita.
Racconta un biografo di don Bosco, don Ceria, che
un alto prelato dopo una visita a Valdocco dichia­
rò: «Voi avete una gran fortuna in casa vostra, che
nessun altro ha in Torino e che neppure hanno altre
comunità religiose. Avete una camera, nella quale
chiunque entri pieno di afflizione, se ne esce rag­
giante di gioia». Don Lemoyne annotò a matita: «E
mille di noi han fatto la prova».
Un giorno don Bosco disse: «Fra noi i giovani
adesso sembrano altrettanti figli di famiglia, tutti
padroncini di casa; fanno propri gl’interessi della
Congregazione. Dicono la nostra chiesa, il nostro
collegio qualunque cosa riguardi i Salesiani, la
chiamano nostra».
Ecco perché questo nuovo anno è un’occasione per
prendersi cura e per prendersi cura di noi stessi in
ciò che è più essenziale e più importante. Per la no-
stra famiglia.
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DON BOSCO NEL MONDO
Sarah Laporta
Don Bosco nelle Filippine
Incontro con don Duya Donnie Duchin
direttore del Bollettino Salesiano filippino
«Qui la nostra congregazione
continua a essere bella, giovane
e vibrante».
L’autore con i
suoi studenti
dopo una gita
in montagna.
La mia storia vocazionale
Per cominciare, io sono un “reduce”. Ho lasciato il
seminario come futuro novizio alla vigilia del nostro
presunto ingresso in noviziato. Lavoravo come inse­
gnante in una scuola di Manila e pensavo che sarei
stato felice di vivere e morire lavorando come tale.
Oltre a questo periodo di insegnamento, ho lavorato
per una casa editrice che produceva libri di testo in
inglese commercializzati esclusivamente in Corea.
Ho anche collaborato con articoli e curato mate­
riali didattici per un’azienda giapponese. E poiché
mi rimaneva molto tempo libero, ho anche lavorato
come tutor di inglese per una scuola di lingue. Ri­
pensandoci, non riuscivo a credere di essere riuscito
a destreggiarmi in tre lavori contemporaneamente!
Nonostante l’ottimo stipendio che ricevevo, il fa­
scino di lavorare come professore in una rispettabile
istituzione accademica del Paese e la soddisfazione
di fare ciò che mi piaceva di più, non ero soddisfat­
to. C’erano così tante possibilità davanti a me. O
almeno così pensavo.
Un tardo pomeriggio, dopo aver lasciato il lavoro,
passai davanti a un centro commerciale. Mi sono
detto che avrei potuto concedermi un ristorante
di lusso perché avevo fame. Mentre decidevo dove
mangiare, mi è venuto in mente il periodo del se­
minario.
Ho ricordato quei tempi in cui in seminario si face­
vano attività non strutturate, si ordinavano preliba­
tezze locali in un negozio vicino e si condividevano
storie di cui saremmo stati felici di parlare ancora
e ancora e ancora. E solo questo era un pezzo di
paradiso! Quella volta ho desiderato proprio questo.
Accantonai l’idea di mangiare perché ero diventato
affamato di qualcosa di più, di qualcosa di più gran­
de che non poteva essere soddisfatto solo da un cibo
fisico. Dentro di me, ero completamente vuoto.
Quella volta, Dio bussò di nuovo alla mia porta. E
io l’aprii. Un anno dopo la partenza mi sono messo
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SETTEMBRE 2023

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in contatto con il mio direttore spirituale. Gli ho
raccontato la mia situazione. Poi abbiamo parlato
del processo di riammissione. Mi ha chiesto di fare
volontariato al centro per bambini di strada gestito
dalla parrocchia di San Giovanni Bosco una volta
alla settimana. E poi abbiamo continuato a parlare
della mia esperienza. Ironia della sorte, è stato un
Venerdì Santo che ho preso la decisione di rien­
trare. Mentre la Chiesa universale ricordava la pas­
sione di Gesù quel giorno, ho assaporato la pace
rasserenante della mia decisione.
Oggi sono salesiano di don Bosco da 15 anni e sa­
cerdote da 7. Troppo giovane, direte voi. Ma questo
breve periodo è stato pieno di momenti di beatitu­
dine e di fedeltà, anche se i dolori e l’infedeltà lo
hanno anche guastato. Ci sono stati momenti chia­
ri in cui ho sentito che Dio voleva che rimanessi al
suo fianco; ma ci sono stati anche momenti in cui le
domande ossessionanti sono diventate la mia unica
ragione per restare.
Chi le ha raccontato per la prima volta
la storia di Gesù?
Poiché sono cresciuto con mio padre che lavorava
all’estero, ho imparato la maggior parte dei rudi­
menti della fede da mia madre. Lei è una devota
del Nazareno Nero e di Nostra Signora del Perpe­
tuo Soccorso, molto popolari nelle Filippine. Il suo
andare alle Messe domenicali e le sue espressioni
concrete di fede mi hanno fatto riconoscere che
Dio esiste.
Nei fine settimana frequentavo il corso di catechi­
smo nella nostra parrocchia. Il senso di comunità
deve essersi risvegliato in me quando ho potuto in­
teragire con i bambini della mia età.
Frequentando una scuola pubblica durante le ele­
mentari, sono stato preparato a ricevere Gesù nella
mia prima comunione da un catechista professio­
nista che visitava la nostra scuola il mercoledì. Fre­
quentare queste lezioni mi ha aiutato a sistematiz­
zare gli elementi essenziali della mia fede.
Giovani
filippini
con il Rettor
Maggiore.
SETTEMBRE 2023
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DON BOSCO NEL MONDO
Bosco è avvenuto quando avevo 12 anni. La sua
presenza era fonte di gioia per me e per i miei com­
pagni. La mia vocazione al sacerdozio è cresciuta
maggiormente grazie alla sua ispirazione.
Come è nata la sua vocazione?
Da bambino frequentavo la nostra parrocchia per
partecipare alle attività del fine settimana organiz­
zate dai catechisti. Ero felice di conoscere le storie
della Bibbia e le vite dei santi. A quel tempo, avevo
il desiderio più profondo di diventare sacerdote, ma
non sapevo come diventarlo.
Non sono mai stato un prodotto di una scuola di
don Bosco, tranne quando sono entrato nella casa
di formazione. L’incontro con un salesiano di don
Qual è il suo compito attuale?
Da tre anni sono assegnato alla nostra casa editri­
ce (Don Bosco Press) come editore. Pubblichiamo
testi accademici per i dipartimenti di istruzione di
base del Paese. Sono anche delegato provinciale per
la comunicazione sociale. Nella nostra Ispettoria
fin è tradizione che chi si occupa della comuni­
cazione sociale sia anche alla guida del Bollettino
Salesiano. Quindi, supervisiono anche il Bolletti­
no Salesiano nelle Filippine, che comprende le due
Ispettorie fin e fis.
Come sono i giovani nelle Filippine?
Come la maggior parte dei giovani, i ragazzi filip­
pini sono incollati ai loro gadget e ai social media.
Hanno grandi aspirazioni per se stessi e per le loro
famiglie.
Quelli che accompagno sono caparbi in ciò che de­
siderano realizzare, che si tratti del corso o della
scuola dei loro sogni, delle donne (o degli uomini)
che inseguono o degli hobby che li appassionano.
I Salesiani
sono presenti
nelle scuole,
nelle
parrocchie,
negli oratori
e nei centri
giovanili,
nelle case di
formazione,
nella casa
editrice, nei
centri di ritiro,
nei centri
per bambini
di strada e
nei centri di
formazione
tecnica.
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SETTEMBRE 2023

1.9 Page 9

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Secondo alcuni ricercatori contemporanei che stu­
diano i giovani filippini in relazione alla fede, i
giovani cattolici sono alla ricerca di un significato
più profondo della loro fede e stanno attivamente
reinterpretando il suo messaggio, rendendolo appli­
cabile e rilevante per le loro realtà. Può essere in­
teressante notare che, contrariamente alla nozione
comunemente diffusa di “essere spirituale ma non
religioso”, i giovani filippini non separano la reli­
giosità dalla spiritualità. Ciò non si traduce tuttavia
nella partecipazione alle funzioni religiose e alle
attività legate alla chiesa. Molti giovani cattolici fi­
lippini, soprattutto nelle aree urbane, preferiscono
esprimere la loro fede a modo loro e non necessa­
riamente attraverso e all’interno delle strutture ec­
clesiastiche formali. I giovani cattolici filippini si
aspettano non solo di essere ascoltati, ma anche di
essere coinvolti in discussioni e dialoghi sulla loro
vita, sulla loro fede e sul loro futuro.
Quali sono le opere salesiane?
I Salesiani hanno iniziato la loro opera nelle Filip­
pine nel 1951 sotto l’Ispettoria cinese. Nel luglio
1951, i Salesiani hanno rilevato la preesistente Ac­
cademia San Giovanni Bosco a Tarlac e nell’otto­
bre 1951 hanno iniziato la costruzione della scuola
a Victorias, Negros Occidental. Il 24 ottobre 1958
la presenza nelle Filippine fu eretta in Visitatoria e
il 12 agosto 1963 in Ispettoria.
Nel 1992 l’Ispettoria delle Filippine ha dato vita
alla fondazione dell’Ispettoria Sud delle Filippine
di Maria Ausiliatrice (fis).
I Salesiani dell’Ispettoria fin sono presenti nelle
scuole, nelle parrocchie, negli oratori e nei centri
giovanili, nelle case di formazione, nella casa edi­
trice, nei centri di ritiro, nei centri per bambini di
strada e nei centri di formazione tvet.
Quali sono i problemi che devono
affrontare?
Tra le sfide che le opere salesiane devono affrontare
nelle Filippine ci sono soprattutto quelle ancorate
alla realtà del secolarismo. Sebbene le Filippine si­
ano ancora una nazione prevalentemente cattolica,
avvertiamo come la fede può essere messa ai mar­
gini. Durante il precedente governo, la credibilità
della Chiesa è stata attaccata in modo che i suoi
ministri potessero perdere la reputazione di predi­
care il Vangelo. Questo ha colpito anche i Salesiani.
Come vede il futuro della
Congregazione nelle Filippine?
Poiché le Filippine sono considerate un attore im­
portante nell’opera di evangelizzazione in Asia,
grazie alla loro forte impronta cattolica, il futuro
della Congregazione qui continua ad essere pieno
di promesse. Nonostante l’atteggiamento negati­
vo di una società secolarista in crescita, la nostra
congregazione continua a essere bella, giovane e vi­
brante. Questo grazie all’eccezionale lavoro svolto
per migliorare la situazione dei giovani.
Per prima cosa, c’è una crescente consapevolezza
tra i confratelli della necessità di promuovere le
vocazioni nella famiglia salesiana (non solo come
sdb) attraverso la nostra vita di testimonianza, in­
dividualmente e come comunità.
«Qui la nostra
congregazione
continua a
essere bella,
giovane e
vibrante».
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1.10 Page 10

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TEMPO DELLO SPIRITO
Carmen Laval
La parola di sei lettere
che fa miracoli
Esiste un nuovo tipo di cura. La sua effica­
cia contro molte malattie è impressionante.
Non ha effetti collaterali... se non quello di
rendere più felici. Ma ci vorranno anni, pri­
ma che venga prescritto dalla medicina ufficiale.
Perché ha un enorme difetto: non fa guadagnare
nessuno!
Questo rimedio semplice e gratuito consiste sem­
plicemente nel dire spesso una parola di sei lettere:
grazie.
La scienza è chiara. Innumerevoli studi scientifici
dimostrano la straordinaria efficacia della gratitu­
dine. Non sono il denaro o il successo a rendere
appagante e significativa la vita: che cosa ci nutre e
ci rende veramente felici è la qualità delle relazioni
umane. Relazioni calde e premurose ci danno un
profondo senso di benessere. A chi non piace essere
apprezzato e festeggiato? Perché è proprio questo il
senso della gratitudine: celebrare le persone della
propria vita che ci rendono felici e ci sostengono.
Ma è sulla salute che l’impatto della gratitudine
è più sorprendente. La gratitudine cura anche le
malattie cardiache. Ha effetti benefici sul sonno,
sull’ansia o sulla depressione. La gratitudine guari­
sce persino il cuore.
Tutto è iniziato con la felicità: Dio ha creato il Pa­
radiso come inizio e fine della vita umana. Non c’è
bisogno di studiare in camice bianco per capire che
la gratitudine è un sentimento meraviglioso, che
merita di essere coltivato. E basta guardarsi intorno
per vedere che le persone grate sono generalmente
più soddisfatte di quelle ingrate.
5 modi per coltivare la gratitudine
Tenere un diario della gratitudine
Si tratta di un primo passo semplice e facile nel vo­
stro percorso di gratitudine. Scrivete semplicemen­
te tre cose per cui vi sentite grati e le emozioni che
vi hanno procurato. Alcuni studi hanno dimostrato
che tenere un diario quotidiano della gratitudine,
per un periodo relativamente breve di 2 o 3 setti­
mane, aumenta il senso di benessere.
Imparare a condividere di più
Esprimere emozioni positive come la gratitudine,
la tenerezza o l’umorismo rafforza le relazioni. Le
relazioni forti invitano a condividere ancora di più,
alimentando legami ancora più forti. Nel 2015,
degli psicologi londinesi hanno dimostrato che
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le persone a cui è stato chiesto di provare un po’
di gratitudine ogni giorno hanno avuto un sonno
migliore e una pressione sanguigna più bassa dopo
due settimane rispetto a un gruppo comparabile.
Esprimere gratitudine a marito, moglie, figli anche
per le piccole cose della vita, è un modo semplice
per arricchire il legame tra persone che si amano.
Scrivere lettere di gratitudine
Quando è stata l’ultima volta che avete ricevuto una
cartolina o una lettera scritta a mano? Nell’era delle
e-mail, degli sms e dei dm, prendersi il tempo di
scrivere a mano farà davvero la differenza. Le ri­
cerche hanno dimostrato che scrivere una lettera di
ringraziamento a qualcuno che ci ha aiutato fa bene
tanto a chi la riceve quanto a chi la manda. Infatti,
l’atto di scrivere aiuta a convalidare l’esperienza e a
rivivere le emozioni positive ad essa associate. Non
è necessario che sia lungo. Un semplice “Grazie per
l’attenzione, ha significato molto per me” può avere
un grande impatto su se stessi e sugli altri.
Provare le visite di gratitudine
Scrivere la propria gratitudine va benissimo, ma
esprimerla di persona è ancora meglio! Dite che
cosa vi ha reso felici, vi ha toccato e vi ha aiutato
nell’atteggiamento dell’altra persona nei vostri con­
fronti. Anche se per alcuni è la cosa più difficile
da fare, è stato dimostrato che è efficace. Mostrarsi
vulnerabili di fronte agli altri è un segno di since­
rità e il vostro gesto sarà ancora più apprezzato per
questo. È stata la pratica che ha portato più gioia e
felicità ai partecipanti allo studio. Questa felicità è
dovuta anche alla tenerezza reciproca espressa at­
traverso gesti fisici, come l’abbraccio.
Creare rituali di gratitudine
Creando dei “momenti di gratitudine” nella gior­
nata, ad esempio durante il caffè del mattino o
quando andate a letto la sera, aumenterete il vostro
senso di benessere. Provate a ringraziare per le cose
che date per scontate. Per esempio, alzarsi dal letto
al mattino è scontato per la maggior parte di noi.
Tuttavia, alcune persone malate non sono in gra­
do di farlo. Ringraziate la vita per la vostra buona
salute e vedrete che le vostre condizioni generali
miglioreranno.
Non è un sentimento qualsiasi
La gratitudine è preziosa perché ci porta a ricono­
scere che c’è del buono nella nostra esistenza. La
vita non è mai perfetta e a volte è crudele. Ma ci
sono sempre gioie, momenti che vale la pena vive­
re. La gratitudine ci invita a celebrare questi mo­
menti, a riconoscere ciò che va bene nella nostra
vita piuttosto che soffermarci su ciò che va male, a
concentrarci sugli aspetti positivi piuttosto che su
quelli negativi.
La gratitudine aiuta anche a bloccare le emozioni
tossiche come l’invidia e il rancore. Invece di invi­
diare chi ha di più, la gratitudine ci fa apprezzare
ciò che abbiamo. A un livello più profondo, la gra­
titudine ci allontana da noi stessi e ci apre agli altri.
Riconosciamo che dobbiamo agli altri almeno una
parte delle benedizioni che ci arrivano.
Questo cambiamento riguarda tutti noi, ogni gior­
no: l’acqua corrente, il riscaldamento, la possibilità
di mangiare tre volte al giorno, tutto questo rap­
presenta una comodità straordinaria rispetto a ciò
che l’umanità ha vissuto per millenni. Forse è per
questo che sembra più difficile per le persone nei
Paesi sviluppati provare gratitudine. È così facile
dire «grazie»!
Inizio io: grazie per aver letto il mio articolo fino
in fondo. Vi sono molto grata per la vostra atten­
zione.
SETTEMBRE 2023
11

2.2 Page 12

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L’INVITATO
Hoan Phan Trung
«Faccio don Bosco in
Papua Nuova Guinea»
Incontro con Joseph Thanh
La popolazione
della Papua
Nuova Guinea è
di circa 10 milioni
di persone,
di cui quasi il 60%
sono giovani.
Chi ti ha parlato di Gesù
per la prima volta?
È stato un privilegio per me essere nato durante il
governo democratico in Vietnam, ma purtroppo è
durato solo due anni prima che i comunisti pren­
dessero il potere nel 1975. In pratica, sono cresciuto
sotto l’ambiente e il sistema educativo comunista.
Fortunatamente, sono nato in una famiglia di forte
Vuoi presentarti?
Sono un sacerdote salesiano,
fr. Joseph Thanh. Sono nato in
Vietnam nel 1973, due anni pri­
ma della fine della guerra del
Vietnam. Ora sono missionario
salesiano nella Visitatoria Beato
Filippo Rinaldi in Papua Nuova
Guinea e Isole Salomone (PGS)
dal 2003. Sono il primogenito di
cinque fratelli della famiglia: io,
due fratelli minori e una sorella
più giovane che è una religiosa
appartenente alla Congregazione
Sievas de San Jose e attualmente missionaria in Pa­
pua Nuova Guinea. Mio padre è morto nel 1994,
quando ero solo al secondo anno di università. È
mia madre a mantenere la famiglia e a prendersi
cura dei figli.
12
SETTEMBRE 2023

2.3 Page 13

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tradizione cattolica. Essendo il primo figlio della fa­
miglia, ero sotto la piena cura e protezione dei miei
genitori in tutti gli aspetti, soprattutto per quanto
riguarda la fede cattolica. Ricordo ancora che du­
rante la scuola elementare, ogni giorno che tornavo
a casa da scuola, i miei genitori mi chiedevano che
cosa mi avessero insegnato a scuola (gli insegnanti
comunisti). Dopo aver ascoltato le mie relazioni, se
c’era qualcosa di diverso dalla fede cattolica, i miei
genitori correggevano immediatamente gli errori e
mi spiegavano la cosa giusta da tenere a mente.
Inoltre, i miei genitori mantenevano regolarmente
la devozione comune in famiglia, in particolare la
routine della preghiera al mattino e alla sera. Que­
ste pratiche dei miei genitori mi hanno influenzato
molto. Mi hanno insegnato le preghiere comuni e
pregavano con me ogni giorno, ad esempio prima e
dopo i pasti, la mattina appena sveglio e la sera pri­
ma di andare a letto. Mi accompagnavano in chie­
sa. Si sedevano accanto a me durante la mia prima
Confessione e la prima Comunione per insegnarmi
come fare una buona confessione, quali preghiere
dire prima e dopo la confessione, quali preghie­
re dire dopo aver ricevuto la Comunione. Hanno
chiesto al parroco il permesso di unirmi ai mini­
stranti quando ero in quinta elementare. Ringrazio
sempre Dio per avermi dato i miei genitori e sono
molto grato ai miei genitori per avermi trasmesso la
loro fede cattolica in modo molto bello.
Come hai scoperto la tua vocazione?
Ho prestato servizio in parrocchia come chierichet­
to dalla quinta elementare alla dodicesima. Duran­
te questi anni nel gruppo dei chierichetti ho avuto
molte opportunità di incontrare i sacerdoti appena
ordinati, i sacerdoti ospiti e di ascoltare molte con­
ferenze e animazioni sulla vocazione. Tutte queste
attività e questi incontri hanno avuto un grande
impatto su di me e mi hanno aiutato a iniziare a
pensare alla vocazione.
In PNG si
usano più di
800 dialetti.
Questo
fattore porta
a differenze
nelle pratiche
culturali, nelle
lingue, nei
costumi...
tutto ciò
comporta
alcune
difficoltà nella
comprensione
delle culture.
Come hai conosciuto i Salesiani?
Quando il mio caro padre è morto, frequentavo
il secondo anno di università a Bien Hoa. Questo
evento mi ha reso spesso triste. Mi preoccupavo di
molte cose. Così, un giorno, un mio compagno di
classe mi invitò ad andare con lui per partecipare
alle partite di calcio organizzate dai Salesiani a Ba
Thon ogni domenica. All’inizio volevo solo goder­
mi le partite per aiutarmi a superare la tristezza. In
seguito, ho capito che mi piacevano anche le altre
SETTEMBRE 2023
13

2.4 Page 14

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L’INVITATO
La
popolazione
della Papua
Nuova
Guinea è
di circa 10
milioni di
persone, di
cui quasi il
60% sono
giovani.
attività offerte dai Salesiani. Mi piace vederli quan­
do pregano insieme e mangiano insieme. I Salesia­
ni mi hanno ispirato a voler diventare come loro.
Dopo aver seguito per quasi quattro anni queste
attività in questa parrocchia salesiana, ho deciso di
unirmi ai Salesiani per conoscere meglio don Bo­
sco e la vita salesiana, non appena ho terminato gli
studi in collegio.
Qual è la tua obbedienza attuale?
Sono arrivato in Papua Nuova Guinea all’inizio
dell’anno 2023. Quest’anno segna 20 anni di pre­
senza in questa missione della Visitatoria pgs. At­
tualmente sono parroco della parrocchia di Maria
Ausiliatrice di Rapolo, nell’arcidiocesi di Rabaul.
Questa parrocchia di recente istituzione ci è stata
affidata dall’arcivescovo Francesco Panfilo, sdb,
pochi anni fa. La parrocchia è piuttosto grande,
con 9 comunità (chiamate sottoparrocchie). Quasi
la metà della popolazione della parrocchia è costi­
tuita da reinsediati che sono emigrati dal decanato
di Rabaul, a 60 km di distanza, durante la grande
eruzione vulcanica del 1993. Il mio ultimo incarico
è stato quello di parroco della parrocchia di Maria
Ausiliatrice ad Araimiri, nella diocesi di Kerema,
per 6 anni. Ho quindi acquisito alcune esperienze
preziose per l’animazione di questa nuova parroc­
chia.
Come sono i giovani della Papua
Nuova Guinea?
La popolazione della Papua Nuova Guinea è di cir­
ca 10 milioni di persone, di cui quasi il 60% sono
giovani. A causa del rallentamento dello sviluppo
del Paese, che coinvolge l’istruzione e l’economia,
molti giovani sono fuori dal sistema scolastico e
senza lavoro. Questi problemi portano i giovani a
essere coinvolti in tanti problemi. Tuttavia, i giova­
ni sono molto desiderosi di imparare.
Quante presenze salesiane ci sono
in Papua Nuova Guinea?
La Visitatoria di pgs del Beato Filippo Rinaldi è
composta da due Paesi della regione del Pacifico,
14
SETTEMBRE 2023

2.5 Page 15

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Papua Nuova Guinea e Isole Salomone. Ci sono 9
presenze salesiane in pgs: 7 presenze in png e 2
presenze in si. Tra queste 9 presenze ci sono 2 isti­
tuti tecnici, 3 scuole tecniche secondarie, 1 centro
professionale, 1 centro di formazione rurale, 1 casa
di ritiro, 1 aspirantato, 4 parrocchie e 1 santuario.
Quali sono le difficoltà
che incontrate?
In png si usano più di 800 dialetti. Questo fattore
porta a differenze nelle pratiche culturali, nelle lin­
gue, nei costumi... tutto ciò comporta alcune diffi­
coltà nella comprensione delle culture. Tra le tante
difficoltà, il razzismo e la rapina sono quelle più
difficili da affrontare in questa missione.
Quali sono le tue preoccupazioni?
Nel Paese ci sono più di 325 confessioni cristia­
ne. I cattolici sono circa il 19% della popolazione.
Questo fattore ha creato una grande divisione tra
la gente a causa delle differenze nelle dottrine di
fede. I membri delle famiglie sono divisi. I gruppi
fondamentalisti, invece di concentrarsi sui valori
cristiani e sullo spirito evangelico, si concentrano
sull’attacco e sul pettegolezzo nei confronti degli
altri gruppi. Sebbene il Paese sia definito un Paese
cristiano, la profondità della fede e delle pratiche
cristiane è ancora da raggiungere. I fedeli possono
cambiare facilmente fede. La mia preoccupazio­
ne più grande è quella di aiutare i fedeli a entra­
re nella profondità della loro fede e a occuparsi
seriamente della salvezza delle loro anime, non
solo a correre dietro al piccolo interesse delle cose
materiali.
Quali sono i tuoi progetti e i sogni
per il futuro?
Tra i progetti importanti da realizzare in parroc­
chia, la formazione dei laici nei diversi gruppi e
ministeri della parrocchia è la priorità. Subito dopo
vengono la formazione dei catechisti nei loro com­
piti e responsabilità per aiutare i bambini e i fedeli a
comprendere e ricevere i sacramenti; la formazione
alla vita familiare e al matrimonio per le famiglie;
la formazione dei giovani, soprattutto quelli che
sono fuori dalla scuola e non hanno un lavoro, e
che hanno bisogno di alcuni corsi brevi per un me­
stiere.
Come vedi il futuro della nostra
Congregazione in Papua Nuova
Guinea?
La presenza dei Salesiani nei due Paesi è molto ap­
prezzata e stimata dai due governi. I Paesi hanno
bisogno del servizio e del carisma dei Salesiani per
aiutare i giovani a cambiare e a crescere. Una gio­
ventù stabile aiuta la stabilità del Paese. Ci sono
richieste da parte dei vescovi di diverse diocesi
dei due Paesi che invitano i Salesiani a venire e ad
aprire opere nelle loro diocesi. Non hanno ancora
ricevuto risposta a causa della limitatezza numerica
dei Salesiani. Il carisma di don Bosco e il servizio
della Società di san Francesco di Sales sono ancora
molto necessari nei Paesi della regione pacifica.
I progetti più
importanti
da realizzare
in parrocchia
sono la
formazione
dei laici
nei diversi
gruppi e
ministeri della
parrocchia, la
formazione
dei catechisti
nei loro
compiti e
responsabilità
per aiutare
i bambini
e i fedeli a
comprendere
e ricevere i
sacramenti e
la formazione
alla vita
familiare e al
matrimonio
per le
famiglie.
SETTEMBRE 2023
15

2.6 Page 16

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LE CASE DI DON BOSCO
La Comunità
Come la Fenice
Saluzzo
Storia di un oratorio che
era un centro vitale nella
città, sembrava chiuso e
Saluzzo è una città dalla storia avvincente,
una capitale del passato da riscoprire. Tra
le sue vie scenografiche, palazzi e chiese
conservano veri e propri cimeli artistici,
prodotti in un lungo periodo in cui in queste ter­
invece è risorto più vivo
che mai.
na, era alquanto contrario all’apertura di un Orato­
re l’autunno del medioevo si intrecciava rio a Saluzzo non solo per i mezzi, ma soprattutto
con l’esplosione dell’arte rinascimen­ per mancanza di personale specializzato. Di questa
tale. Un vero e proprio cocktail di idea era pure l’allora Ispettore. Favorevolissimo, in­
culture in un luogo che per secoli è vece, era don Ricaldone nonostante che anch’egli
stato importante crocevia di uo­ condividesse le preoccupazioni del Rettor Mag­
mini, merci e idee.
giore. I saluzzesi sono piemontesi solidi e testardi.
Volevano i Salesiani a tutti i Quando don Ricaldone successe a don Rinaldi, lo
costi a Saluzzo. Avevano tro­ tempestarono di richieste per ottenere il consenso
vato il sito e le prime strutture, alla costruzione dell’Oratorio.
si trattava solo di convincere i La Provvidenza si servì di un viaggio in treno.
superiori di Torino. Don Ri­ L’avvocato Villa, presidente del comitato per l’ora­
naldi, Superiore maggiore torio fece un viaggio da Roma nello stesso scom­
della Congregazione Salesia­ partimento di don Ricaldone e don Giraudi, eco­
Saluzzo è una
città erede
di un’antica
e gloriosa
nobiltà.
16
SETTEMBRE 2023

2.7 Page 17

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nomo generale. «Dopo i consueti convenevoli si
parlò di tante cose» racconta l’avvocato. «Io tenni
in serbo la mia istanza fino a Nervi, allorché, in
un momento di buon umore, pregai don Ricaldone
di autorizzarmi a iniziare i lavori di costruzione
dell’Oratorio.
Egli mi guardò un po’ stupito; poi sorrise, chiamò
don Giraudi e gli domandò: «Hai sentito cosa vuole
Villa? Io direi di sì. Tu che ne pensi?». Don Giraudi
diede pure il suo consenso. Allora don Ricaldone
mi disse: «Ti autorizzo, caro Villa, a iniziare l’O­
ratorio: bada bene che noi non abbiamo il becco di
un centesimo, e tu lo sai. Pertanto aggiustati». Io
lo ringraziai vivamente e lo assicurai che ai mezzi
avrebbero provveduto i saluzzesi.
Potete immaginare la mia gioia e quella degli amici
che mi coadiuvavano nell’impresa. Il generale favo­
re della popolazione ci diede sprone e coraggio con­
tro le avversioni. Alla fine l’edificio con la Chiesa e
le sale raggiunse il tetto.
Una sera d’autunno, nebbiosa, vidi spuntare in Via
Donaudi un sacerdote, non alto, magrolino, rosso
in volto, all’apparenza timido, il quale si accostò
titubante al cancello della proprietà, mi disse che
si chiamava don Casalis, che veniva da Cuneo,
che era il Direttore dell’Oratorio... Quella sera
festeggiai l’avvenimento a casa mia ove invitai don
Casalis per la cena e per la notte, e così fu fino a che
furono preparate cucina e stanza. E poi?»
E poi venne il resto, venne cioè fatto dalla bontà
e dalla generosità dei saluzzesi, proprio alla moda
delle opere di don Bosco: cioè dal nulla e con mi­
gliaia di piccole offerte. L’oratorio fiorì, frequenta­
tissimo. Era normale il detto «Ciao Mama, vada
aj Sale». In poco tempo i “Sale” erano entrati nel
cuore dei saluzzesi.
Ugo Aimar ricorda: «Sono stato un allievo e as­
siduo frequentatore dell’Oratorio Salesiano don
Bosco. A volte, forse per abitudine o per nostalgia,
passo in via Donaudi e butto l’occhio su quel ben
familiare caseggiato. Mi sovvengono allora con no­
stalgia i ricordi dei bei tempi passati.
Avevo circa sette o otto anni quando iniziai a far
parte di quella grande famiglia che era l’Oratorio.
Di ricordi ne ho un’infinità, ma in particolare mi
ritornano in mente l’entusiasmo e l’ansia del mio
cuore quando venivano indette «Le Olimpiadi».
Quando iniziavano i giochi non conoscevamo ora­
ri. A volte a quei poveri sacerdoti non concedevamo
nemmeno il tempo di pranzare in santa pace.
Ci raggruppavamo tutti vicino al cancello, alcuni
addirittura salivano sul muretto e in coro chia­
mavamo per nome l’uno o l’altro prete affinché ci
aprissero il portone.
Quando finalmente riuscivamo ad entrare era
come se una marea di voci festanti e gioiose travol­
gesse il silenzio e tutt’attorno prendesse vita. Per
me andare all’Oratorio era il motivo dominante
della giornata. Non avrei potuto immaginare un
luogo più bello!»
Dopo la
partenza dei
Salesiani, la
diocesi e la
città hanno
tenuto vivo
l’oratorio.
SETTEMBRE 2023
17

2.8 Page 18

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LE CASE DI DON BOSCO
Dall'ottobre
2018 una
comunità
di tre Figlie
di Maria
Ausiliatrice
vive nell‘ap­
parta­mento
all‘interno
della
struttura e
collabora con
la diocesi.
Addio e arrivederci
Dopo oltre 40 anni di presenza in città, i Salesiani
lasciano Saluzzo nel 1981. La parrocchia di Maria
Ausiliatrice che era affidata ai sacerdoti salesiani,
viene suddivisa e inglobata in parte nella parroc­
chia di S. Agostino e un’altra parte passa alla par­
rocchia del Duomo. Viene creata frattanto la “nuo­
va” parrocchia di M. Ausiliatrice nell’area fra via
Torino e via Savigliano, dove era sorto e continuava
a crescere un nuovo quartiere.
La Diocesi, per dare continuità al lavoro pastorale
iniziato e portato avanti con competenza dai Sa­
lesiani, soprattutto in favore dei ragazzi e dei gio­
vani della città, si impegna perché ci siano uno o
più sacerdoti a coordinare le innumerevoli attività
dell’Oratorio Don Bosco.
Non più legato ad una parrocchia specifica, in un
primo momento l’Oratorio Don Bosco svolge un
ruolo educativo importante nella città e diviene
contemporaneamente un centro di aggregazione,
di attività ed iniziative della Pastorale Giovanile
diocesana.
Dopo alterne vicende ed esperienze, l’Oratorio pren­
de l’attuale configurazione di: Oratorio Cittadino
Inter-Parrocchiale. Una missione e un orizzonte con­
diviso, perseguito dalle comunità parrocchiali della
città che, insieme, si impegnano con gioia a vivere.
​Dall’ottobre 2018 una comunità di tre Figlie di
Maria Ausiliatrice, Salesiane di Don Bosco, vive
nell’appartamento all’interno della struttura e col­
labora con la diocesi, a pieno ritmo, in tutte le at­
tività dell’odb.
L’Oratorio, che viene chiamato in modi diversi (il
Don Bosco, l’odb, i Salesiani) è tornato ad esse­
re uno spazio di vita e comunione tra bambini,
ragazzi, giovani, educatori, famiglie, animatori,
volontari, parroci della città e suore Salesiane; un
luogo dove si condividono i valori dell’educazione,
trasmessi attraverso il Vangelo, la solidarietà, l’in­
tegrazione sociale, l’incontro, lo sport, la cultura, il
gioco e la testimonianza personale.
L’Oratorio è un tempo di opportunità dove ci si
spende per la formazione umana e cristiana dei ra­
gazzi e dei giovani nell’orizzonte ampio della fede e
dell’esperienza di Chiesa con riferimento alla figu­
ra di don Bosco e alla sua opera educativa, sociale
e spirituale.
Il cortile è uno spazio sempre aperto ai bambini,
agli adolescenti e ai giovani con una presenza adul­
ta attiva e amichevole.
È​ stato organizzato un efficace doposcuola per i
bambini dalla 1° alla 5° elementare e per i ragazzi
delle medie che necessitano di un sostegno indivi­
duale allo studio. Il progetto è attuato in sinergia
con il Comune di Saluzzo e le Associazioni del
territorio, per l’organizzazione di attività in orario
extrascolastico.
Attivi sono i vari gruppi e anche cammini persona­
lizzati per ragazzi universitari e corsi di formazione
per animatori e volontari che collaborino per aiu­
tare nel doposcuola, per far giocare, per progettare
nuovi laboratori, per tenere puliti gli ambienti, per
cucinare e per assistere i bambini. L’estate ragazzi e
i campi estivi mettono in azione centinaia di bam­
bini delle elementari, ragazzi delle medie e adole­
scenti. Come ai vecchi tempi.
C’è di più: il Centro Professionale
Palazzo Saluzzo di Monterosso, una delle dimore
nobiliari più importanti della città, risalente alla
fine del 1500, di proprietà comunale, dal 1972 al
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SETTEMBRE 2023

2.9 Page 19

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2012 è stato utilizzato come sede dell’istituto d’ar­
te, per poi essere abbandonato. Ora tornerà a nuova
vita, pronto ad essere ristrutturato e adeguato per
diventare la sede della scuola salesiana Cnos-Fap,
oggi ospitata a poche centinaia di metri, sempre
nella città alta, a Palazzo Solaro di Monasterolo. Il
palazzo, 1250 metri quadrati di superficie disposti
su tre piani e 1000 metri di giardino interno, si af­
faccia su via Santa Chiara.
L’ingresso è da cartolina. Dopo l’atrio si viene accol­
ti da quella che, fino al 1991, era una corte interna,
poi chiusa da una struttura in acciaio e vetro a for­
mare un grande salone. Tutto intorno le stanze del
pianterreno, mentre ai piani superiori gli spazi sono
già suddivisi in aule. Ciò che resta oggi, accanto a
grandi camere vuote, sono schegge di testimonian­
ze del passato: muri decorati di epoca rinascimen­
tale e qualche vecchio banco di scuola del recente
passato. Nel seminterrato ci sono i vecchi laboratori
dell’istituto d’arte, che potranno essere rimodulati
per un uso laboratoriale della scuola professionale
che, a Saluzzo, ha già attivi corsi di acconciatore,
arte bianca, informatica e falegnameria.
Il centro di Saluzzo attualmente ha questi percorsi
di qualifica professionale: Operatore del benessere,
Erogazione di trattamenti di acconciatura, Ope­
ratore delle produzioni alimentari, Lavorazione e
produzione di pasticceria, pasta e prodotti da forno,
Operatore ai servizi di promozione e di accoglien­
za, Diploma tecnico dell’acconciatura.
Come studenti della formazione iniziale lo fre­
quentano circa 200 ragazzi provenienti da Saluzzo
e dai paesi limitrofi. Ci sono molti ragazzi cinesi
provenienti soprattutto da Barge, che arricchiscono
certamente la dimensione culturale del centro.
Il team dei formatori e in generale il personale del
centro è piuttosto giovane e ben preparato. Negli ul­
timi anni, stiamo lavorando molto per la formazione
carismatica, assieme all’ispettoria essendo il centro
tutto in mano ai laici e mancando la comunità re­
ligiosa. Dal 2019 la direttrice è la signora Debora
Gastaldi. Il centro è autonomo a tutti gli effetti. I
Salesiani di Fossano sono un supporto soprattutto
carismatico e vengono per le confessioni e le messe
previste durante l’anno. Con l’ispettoria e la pasto­
rale giovanile cerchiamo di lavorare in sinergia per
continuare a formare il personale e a far conoscere
la pedagogia salesiana. Da un paio di anni l’équipe
educativa cerca di trovare le strategie più adatte per
l’animazione pastorale e il supporto ai formatori.
«Personalmente posso dirti che mi trovo davvero
molto bene» afferma suor Alice. «Ci sono tanta
disponibilità e molta freschezza! I colleghi sono
molto aperti alla formazione e anche a mettersi in
discussione. Negli ultimi anni la visita ai luoghi sa­
lesiani, le formazioni ricevute dall’ispettoria, i ritiri
organizzati nei tempi forti dell’anno stanno dando
pian piano buoni e bei frutti. Si lavora molto e mol­
to bene».
Nell’orbita
del carisma
salesiano,
in uno dei
palazzi più
belli messi a
disposizione
dal Comune,
oggi opera
con successo
crescente
un Centro di
Formazione
Professionale.
SETTEMBRE 2023
19

2.10 Page 20

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DIARIO MISSIONARIO
Don Filippo Perin
Vita quotidiana
a Lare, Etiopia
Con il diario di don Filippo Perin
possiamo passare un po’ di tempo
in un angolo di missione salesiana.
Il signor
Natalino
ormai da
tre anni ci
sostiene
e viene a
trovarci,
aiutando
la scuola
materna.
Settembre
Abbiamo avuto la visita di alcuni ospiti, il signor
Natalino che ormai da tre anni ci sostiene e viene
a trovarci, aiutando la scuola materna del villaggio
di Ilea, 100 bambini con i loro maestri e lavoratori
al seguito per la scuola, con attività varie e il pran­
zo giornaliero. Un grande aiuto, lo ringraziamo di
cuore insieme alla sua famiglia per tutto questo e
per la condivisione di alcuni giorni della nostra vita
missionaria. Poi ci incontreremo ad Addis Abeba
con la signora Elisabetta, cara amica e benefattri­
ce da tanti anni per i pozzi d’acqua ricordando suo
figlio Andrea, che negli ultimi due anni ha inaugu­
rato da noi ben 6 pozzi.
Il nostro Vicariato di Gambella ha preso il via per
questo nuovo anno con un bell’incontro di tutti i
preti e le suore, anche gli ultimi ordinati a luglio
hanno ricevuto la loro destinazione: ci sono 12 preti
locali, 1 prete italiano, 5 suore di Madre Teresa,
6 salesiani e 4 seminaristi. Quest’anno 7 giovani
sono entrati nel seminario minore di Gambella,
per un’esperienza di almeno due anni per pensare
e capire se entrare poi nel seminario maggiore ad
Addis Abeba; abbiamo buone speranze. Invece sia­
mo ancora senza il nuovo vescovo, ormai da 5 anni
abba Angelo è in Italia per malattia, ma non hanno
ancora nominato il suo successore, speriamo che
l’arrivo del nuovo Nunzio in Etiopia porti qualche
novità.
Anche la vita della missione a Lare si sta rianiman­
do: ogni domenica tante persone vengono alla Mes­
sa, anche un certo numero durante la settimana,
abbiamo l’Eucaristia tre volte alla mattina. Stiamo
partendo con il gruppo del coro, dei chierichetti e
della catechesi. Verso novembre inizierà anche la
possibilità dello studio serale per gli studenti che
vogliono e qualche corso di inglese. Invece per le
nuove attività come l’asilo e l’oratorio le inizieremo
in seguito, prima vogliamo condividerle con i cate­
chisti e la gente.
Capodanno
Qui in Etiopia oggi 12 settembre abbiamo festeg­
giato il 1° giorno dell’anno 2012. Siamo più giovani
20
SETTEMBRE 2023

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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di 7 anni. Così siamo in festa, vacanze e festa tra
l’inizio del nuovo anno e la festa della Croce il 28
settembre, poi tutto riparte: scuola e lavoro.
Dopo alcuni mesi passati in Italia per la scomparsa
di mia mamma Alma e per riprendermi e ricaricar­
mi bene, sono tornato in Etiopia, sempre nella zona
di Gambella, ma in una nuova parrocchia, quella
di Lare.
Siamo a 80 km da Gambella sul confine con il Sud
Sudan, vicini al fiume Baro: la popolazione è tutta
di etnia Nuer e sostituirò don Matteo, un sacerdote
italiano di Mantova che ritorna in Italia dopo tan­
ti anni di missione. L’accoglienza da parte di don
Matteo e della gente è stata ottima, questo mi sta
aiutando a riadattarmi al clima, sempre molto cal­
do, alla loro cultura, alla vita semplice del villag­
gio, al fatto di essere l’unico bianco insieme a don
Matteo, alla lingua, sto riprendendo il nuer che già
avevo un po’ imparato...
Nella strada che porta da Gambella a Lare ci sono
la maggioranza dei profughi arrivati dal Sud Su­
dan, distribuiti in 4 grandi campi, più di 50 mila
persone per campo. Passando per la strada l’entra­
ta ai campi è posizionata nel tratto dove sono sorti
moltissimi negozi di ogni genere per servire pro­
prio i profughi; anche i salesiani di Gambella con il
vis hanno due progetti all’interno dei campi.
Credo che alla domenica, almeno per la Messa, an­
drò anch’io all’interno di un campo, visto che sono
tutti di etnia nuer.
È dal 2014 che è scoppiata la guerra civile in Sud
Sudan e subito dopo sono sorti questi campi per
accogliere i profughi che fuggivano dalla guer­
ra e, dato il loro numero elevatissimo, c’è sempre
tensione tra loro e la popolazione locale, che in
quella zona è di etnia anuak. Proprio la scorsa set­
timana hanno fermato una macchina di una ong
che lavorava dentro il campo e, poiché trasporta­
va un nuer, hanno ucciso sia il nuer sia l’autista.
Dopo due giorni la vendetta non si è fatta at­
tendere e alcune persone hanno ucciso una per­
sona anuak. Speriamo che la tensione si calmi.
Nella parrocchia sono giorni tranquilli di prepa­
razione delle attività che inizieranno verso metà
ottobre. C’è una bella comunità e con don Matteo
I ragazzi
di Lare.
«Siamo a
80 km da
Gambella sul
confine con
il Sud Sudan,
vicini al
fiume Baro,
la gente è
tutta di etnia
Nuer».
SETTEMBRE 2023
21

3.2 Page 22

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DIARIO MISSIONARIO
La scuola
d’infanzia
di Pilual.
Sotto:
La scuola
di Gok.
stiamo visitando alcuni villaggi attorno per partire
anche là con qualche attività.
Nella missione di Pugnido, dove ho passato gli ul­
timi 6 anni, il sacerdote locale diocesano che mi ha
sostituito in questi mesi, abba Henock, continuerà
a portare avanti la missione; sta lavorando molto
bene e il vescovo abba Angelo ha preferito lasciare
lui là e mandare me a sostituire don Matteo a Lare.
Sicuramente andrò a trovarlo una volta per salutare
lui e la popolazione.
Maggio e sangue
Martedì 24 maggio abbiamo festeggiato Ma­
ria Ausiliatrice, grande festa per i Salesiani. Fin
dall’inizio della sua vita, don Bosco è stato accom­
pagnato dalla presenza di Maria, che lo ha soste­
nuto e aiutato. Don Bosco avrà sempre una grande
riconoscenza per Maria e dopo di lui anche tutti i
Salesiani hanno sempre avuto una devozione par­
ticolare per Maria. Anche noi a Lare abbiamo la
nostra Madonna (foto), e ci richiamiamo spesso a
lei, guida nel nostro cammino di fede e Ausiliatrice.
Stiamo pregando molto in questi giorni per la
pace perché di nuovo a Gambella e nella cit­
tà di Itang sono scoppiati violenti scontri arma­
ti tra le due etnie più forti: gli anuak e i nuer.
Tutto è partito da una piccola scintilla e ha fatto riaf­
fiorare vecchie tensioni e vendette ancora da risolve­
re. Lunedì ero a Gambella e proprio dietro alla casa
salesiana è scoppiato uno scontro a fuoco che è anda­
to avanti per circa due ore, finché non è intervenuto
l’esercito a dividere le due parti. Siamo rimasti chiusi
in cappella a pregare con il suono rimbombante delle
armi che sparavano. Sempre domenica sono tornati
i Murle, una tribù guerriera del Sud Sudan, in cerca
di mucche e bambini. Hanno attaccato un piccolo
villaggio vicino a Matar, ucciso molte persone e ra­
pito parecchi bambini. La polizia e la gente di Ma­
tar hanno ingaggiato uno scontro a fuoco, ma ormai
erano già scappati nella savana, veramente una brutta
notizia questa. Quest’anno le piogge tardano ad arri­
vare, dopo una prima avvisaglia a fine aprile, abbia­
mo avuto un mese di maggio sempre sui 40 gradi e
senza piogge. Speriamo che arrivino presto così da
calmare gli animi della nostra gente e far tornare la
pace.
Le attività della nostra parrocchia continuano: la do­
menica dopo Pasqua abbiamo avuto degli incontri
con i Testimoni di Gesù risorto, alcuni passati, come
san Giovanni Bosco e santa Madre Teresa di Cal­
cutta, altri recenti, come don Jakob, sacerdote nuer
appena rientrato nella nostra diocesi, originario pro­
prio di Lare, i Fratelli della Carità di Abobo, Victor,
Alex e Memu, che portano avanti il piccolo ospedale
nel villaggio di Abobo, due nostri catechisti Sara e
Giovanni, tutti hanno raccontato la loro storia, come
sono arrivati alla fede e che cosa vuol dire oggi per
loro credere in Gesù Risorto. Infine ci stiamo pre­
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SETTEMBRE 2023

3.3 Page 23

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parando al giorno di Pentecoste, che per noi qui sarà
l’11 giugno, quando avremo la presenza del nostro
vescovo monsignor Roberto per alcune cresime e
molti battesimi e prime comunioni.
Un pozzo e buone notizie
Anche il lavoro nelle nostre cappelle va avanti: a
Pilual, abbiamo inaugurato un bel pozzo a mano,
grazie a Dio abbiamo trovato l’acqua, la gente e i
nostri bambini che ogni giorno vengono all’asilo
sono proprio contenti.
Nella capella di Thia Jak, dopo un bell’anno di for­
mazione, il 6 maggio abbiamo avuto 15 battesimi
e 10 comunioni. Questa comunità vive gran parte
dell’anno vicino al fiume Baro e dopo due anni di
accompagnamento, abbiamo costruito una piccola
chiesa e continuato a seguirli. Nella cappella di Ku­
bri, abbiamo il nostro catechista ammalato da un
paio di mesi, ora sta meglio e per Pentecoste stiamo
preparando alcuni per il battesimo e per la prima
comunione.
La cappella di Gok nella stagione secca si trasfe­
risce vicino al fiume Baro, per la coltivazione del
granoturco e per dare da bere alle mucche e alle
capre che hanno. Anche noi cerchiamo di se­
guirli facendo delle visite e delle preghiere sotto
dei grandi alberi in vari luoghi vicino al fiume.
Sia a Gok sia a Thia Jak sia a Kubri, i nostri asili
per i bambini funzionano molto bene. Continuano
gli incontri sotto l’albero per la nuova cappella di
Quanual: insegniamo le preghiere, i canti, il cate­
chismo.
Due belle notizie: all’inizio di maggio abbiamo
avuto l’ordinazione di un nuovo sacerdote per la
nostra diocesi, don Antonio Aballa, il primo sa­
cerdote anuak. È stata una bella celebrazione nella
chiesa di Gambella e poi è seguita una bella festa
per il nuovo sacerdote.
A metà maggio abbiamo avuto ad Addis Abeba un
bell’incontro con tutti i direttori salesiani dell’E­
tiopia e hanno potuto partecipare anche quelli
del nord, del Tigray. Adesso la situazione è molto
cambiata, c’è possibilità di movimento, di entrare
e uscire dalla regione, le scuole, la comunicazione,
l’energia elettrica e tutto il resto è quasi tornato alla
normalità. Abbiamo celebrato questo incontro per­
ché era da due anni e mezzo che non li vedevamo
per via della guerra civile che c’era nel Tigray, an­
che se un po’ di tristezza è apparsa quando ci hanno
raccontato la vita loro e della gente in questi due
anni di guerra: alcune situazioni sono veramente
terribili. Ma ora si cerca di guardare avanti e di ri­
costruire e far ripartire la vita di ogni giorno.
Concludo con una preghiera di santa Bakhita, ori­
ginaria del Sudan: “O Signore, potessi io volare
laggiù, presso la mia gente e predicare a tutti a gran
voce la Tua bontà, oh, quante anime potrei con­
quistarti! Fra i primi, la mia mamma, il mio papà,
i miei fratelli, mia sorella ancora schiava... tutti i
poveri dell’Africa, fa’ o Gesù, che anche loro ti co­
noscano e ti amino e si vogliano bene!”.
Messa
domenicale
di Abba
Filippo.
SETTEMBRE 2023
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3.4 Page 24

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SALESIANI
Ezio Marinoni
Il Salesiano che ha dato
il nome ad una città
Don Alessandro Stefenelli
Studioso poliedrico e appassionato,
osservatore attento e abile costruttore,
botanico, agronomo, meteorologo, ha
messo nozioni scientifiche e tecniche
a servizio dell’utilità pubblica, ideando
e costruendo un sistema idrico che
permettesse di controllare e drenare i flussi
stagionali del Rio Negro. Trasformò una terra
aspra e povera in una vallata ricca e fertile.
Uno dei rari
ritratti di don
Alessandro
Stefenelli.
Nasce a Fondo, un piccolo paese del Tren­
tino, il 15 dicembre 1864. Alessandro
Stefenelli nasce in un ambiente agiato,
figlio di un medico e di una nobildonna;
la generosità e l’altruismo sono nei geni di fami­
glia, come recita la lapide del papà, nel cimitero del
paese: “A De Stefenelli Dottor Enrico che solerte
per anni XXV prestò l’opera sua in patria a medi­
care gli infermi morto di anni cinquanta il 13 aprile
1875. La comunità riconoscente pose”. Da questa
epigrafe apprendiamo della morte precoce del geni­
tore e del predicato nobiliare nel cognome, omesso
poi dal religioso.
Quando ha sei anni, Alessandro sente leggere dal
papà una notizia su «un certo prete torinese che si chia-
mava don Bosco che a Torino aveva fondato parecchi
oratori e come si occupasse della gioventù che numero-
sissima correva a lui attratta dalla sua paterna e soave
figura di sacerdote. Questa notizia rimase fortemente
scolpita nella mia memoria».
Tecnica, scienza e missioni
Mancato il papà, è lo zio, don Guidobaldo de Ste­
fenelli, direttore spirituale del seminario di Trento
a occuparsi della sua educazione. Ha imparato a
leggere e scrivere da una maestra privata, solo dal
1875 frequenta la “scuola popolare”, in coincidenza
con la perdita del genitore. Si immagina ingegnere
o missionario, ma la vita e gli incontri lo porteran­
no a scegliere: l’incontro rivelatore a Mezzolom­
bardo con don Decarli, cooperatore salesiano (che
lo indirizza all’Oratorio di don Bosco a Torino) e
gli incontri a Valdocco con don Bosco stesso, du­
rante gli studi.
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SETTEMBRE 2023

3.5 Page 25

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Il 14 ottobre 1879 la partenza dalla stazione di San
Michele segna una cesura con la famiglia e l’inizio
di una nuova vita; il giorno dopo avviene il primo
incontro con don Bosco, che si compiace perché
«adesso cominciano a venire anche da Trento». Di
lì a poco, infatti, arriverà anche Alessandro Gar­
bari. Un appunto nei quaderni autografi («Garbari
morì qualche anno fa fra i lebbrosi di Colombia») ci
aiuta a capire il tempo della loro stesura.
Alessandro riceve il primo abito talare da don Bo­
sco, poi è novizio a San Benigno Canavese (TO),
dove ha per maestro don Giulio Barberis, autore del
Vademecum dei giovani salesiani. La salute del novizio
è cagionevole, ma grazie a un carrettiere può curarsi
con l’acqua solforosa della fonte di San Genesio.
Il 7 ottobre 1882 Alessandro Stefenelli emette i voti
perpetui a San Benigno Canavese. Per completare
gli studi e ritardare la visita militare (fino alla sti­
pula dei Patti Lateranensi, i religiosi prestavano il
servizio militare di leva), invia una supplica a Sua
Maestà l’imperatore Francesco Giuseppe, tramite
il distretto militare di Cles; l’ipotesi non è contem­
plata, la supplica viene respinta e lui risulterà per
sempre renitente.
Un’altra esperienza che lo segnerà è l’incontro con
padre Denza, del quale è allievo a Moncalieri; lo
accompagna più volte all’osservatorio astronomico
collocato a sinistra dell’entrata principale dell’E­
sposizione Universale di Torino. La sua naturale
inclinazione, in questo contesto si perfeziona e lo
farà diventare un uomo di tecnica e di scienza.
Don Stefenelli respira il clima delle prime missio­
ni salesiane verso il Sud America, iniziate con don
Cagliero e nove missionari. Quando padre Denza
prega don Bosco di fondare in Patagonia una rete
di osservatori meteorologici, il Santo pensa a don
Stefenelli. Nel 1885 è destinato alle missioni, con
la IX Spedizione salesiana. Il viaggio verso il Sud
America è lungo: Sampierdarena, Alassio, Nizza
(dove assiste alle esequie del vescovo, monsignor
Postel). L’imbarco a Marsiglia, il 14 febbraio, sul
battello “La Bourgogne”, lo porta a Montevideo
il 13 marzo successivo, dove lo riceve l’ispettore,
don Costamagna. Quando arriva in Argentina, la
prima tappa è al Collegio Pio IX nel Barrio Alma­
gro (Buenos Aires), il cui Prefetto è don Valentino
Cassini, per iniziare ad apprendere la lingua spa­
gnola. Il 3 giugno parte per Patagones, con il chie­
rico Dallera, accompagnati da monsignor Fagnano.
Partecipa alla costruzione del primo osservatorio
meteorologico, dal quale effettua osservazioni e
misurazioni, che trasmette a padre Denza. La pas­
sione per la fotografia lo porta a riprendere la flora
e la fauna locali, con una macchina fotografica Al­
pina fornita dalla Ditta Bardelli di Torino, con una
cassa di lastre al bromuro Monkowen.
Accompagna quasi subito don Pestarino a Roca,
poi è a Pringles, con don Remotti, nel giugno 1886.
Sono le prove generali per il suo apostolato in terra
di missione.
Un fantastico sistema idrico
Nel 1888 conosce i nativi Araucani. Sono certa­
mente persone da catechizzare, adulti e bambini,
ma con spirito cristiano e di tolleranza, ai quali fa
Il santuario
di Maria
Ausiliatrice.
In tutta
Stefenelli
sono presenti
i ricordi del
grande don
Alessandro.
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3.6 Page 26

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SALESIANI
Sopra:
Il Collegio
San Michele.
Sotto:
Uno dei
canali
che hanno
fatto grande
la città.
catechismo in araucano; fra di loro, scopre una reli­
gione dualistica che prevede un Dio buono in cielo
e uno spirito malefico sotto la terra (Gualicho).
Il passo successivo è un incarico delicato, propo­
stogli il 10 giugno 1889, a Patagones, dopo aver
ricevuto l’ordinazione sacerdotale da monsignor
Cagliero: «Ti sentiresti di andare a fare una missio-
ne a Roca?». Inizia così una nuova avventura e, con
una marcia di circa 75 km al giorno, don Stefenelli
compie un nuovo lungo viaggio: Pringles, Cone­
sa Nord, Chympay, Chilforò, Chichinales, Santa
Flora, Roca. Nella nuova località, riceve un loca­
le in disuso dalla Società Spagnola (una stanza di
m 6×10) e costruisce in economia i primi banchi.
Poi ottiene una capanna, sopra cui innalza la pri­
ma croce e dà vita alla prima scuola. Su due lotti
di m 50×50, con l’aiuto dell’esercito, costruisce un
salone per i bambini abbandonati, e un altro per le
bambine e le Figlie di Maria Ausiliatrice.
Tra le fine del 1894 e l’inizio del 1895 sorge una
nuova opera, che lui definisce «Umile principio della
Scuola di Agricoltura». In un viaggio a Bahìa Blanca,
nella colonia Tornquist, trova la disponibilità della
famiglia lombarda di Carlo Sada, che inizia a dis­
sodare il terreno, per il quale «era necessario aver
acqua per irrigare». Scavato un pozzo, si possono
coltivare sei ettari, «con verdura, un bel carciofeto,
qualche pianta da frutto e vigna».
Il 25 maggio 1895 presenta un’ampia memoria al
Ministro della Pubblica Istruzione per chiedere
l’attenzione governativa sulla neonata scuola. Ot­
tiene 400 pesetas mensili che, con altre donazioni,
permettono l’acquisto di un motore a vapore da una
fabbrica di tessuti, una macchina di m 6×3, con 14
HP e una centrifuga di 14 pollici, per l’irrigazione
dei terreni.
La svolta è rappresentata dal viaggio di don Ste­
fenelli a Buenos Aires, a presentare un nuovo
progetto a Julio Argentino Roca, nel frattempo
eletto Presidente della Repubblica per la seconda
volta, per scavare un canale di irrigazione con re­
lative prese d’acqua, che realizza nel 1890 e desta
ammirazione per la grandiosità dell’opera. L’area
diventa ricca e fertile, grazie alle sue intuizioni e
conoscenze: ha creato dal nulla un sistema idrico
(fatto di chiuse, canali e condotti) che permette di
controllare e drenare i flussi stagionali del Rio Ne­
gro. Il suo progetto è nato dall’osservazione delle
condizioni di vita dei coloni, quasi al limite della
sussistenza, in una terra soggetta alla stagionalità e
ai capricci di un fiume impetuoso.
Su proposta del generale Godoy è nominato cap­
pellano militare delle truppe di stanza, con decor­
renza dal 1889.
La sua opera scolastica diventa il Collegio San
Michele, per il quale egli stesso accende le prime
fornaci di mattoni, con una dedicazione «contra
nequitias et insidias diaboli» (forse ispirato dalla
spiritualità araucana).
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SETTEMBRE 2023

3.7 Page 27

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È bene ricordare che la scuola ospita anche ra­
gazzi deboli, denutriti, malaticci. La sua visione
della missione, in stretta relazione con le condi­
zioni della popolazione locale, gli ha fatto aprire
la prima scuola agraria della regione, che offre ai
ragazzi un convitto, senza discriminazione di ori­
gine tra europei e indigeni; donare un pasto e un
luogo dove dormire offre la possibilità di ricevere
istruzione anche per i ragazzi provenienti dai ceti
più bassi. È duplice la visione antesignana di don
Stefenelli: dare cultura e lavoro ai giovani poveri
e non separare per classe o provenienza etnica gli
allievi.
Il 30 e 31 maggio 1899 arriva il diluvio. Il Rio Ne­
gro spazza via villaggi e seminativi; don Stefenelli
raccoglie i suoi ragazzi e si rifugia sulle colline in­
torno. La notte del 18 luglio, la campana della chie­
sa precipita. «I nostri cuori piangevano lagrime di
sangue», scrive il missionario trentino. Con fatica,
dedizione e nuovi aiuti, tutto verrà ricostruito.
Amaro ritorno
Alle soglie del nuovo secolo, si concludono gli ap­
punti di padre Stefenelli. Forse perché il clima po­
litico è cambiato. Alla fine del 1912 un Decreto an­
nulla quello del 3 maggio 1902 con le concessioni a
don Stefenelli e, l’anno dopo, il governo argentino
espropria 200 ettari alla sua opera. Le terre libere
erano ancora sconfinate, perché accanirsi contro di
lui? Amarezza e sconforto lo portano a richiedere il
rientro in Italia, che gli viene accordato.
Nel 1919 è inviato a Roma, dove fonda una Scuola
Agraria al Mandrione, per orfani di guerra. Anche
qui, realizza un pozzo e opere irrigue all’avanguar­
dia, che ne faranno la scuola modello fra quelle
salesiane fino al secondo dopoguerra. Torna, infi­
ne, alle sue montagne. Dal 1927 al 1929 è Prefetto
a Rovereto, infine nella casa salesiana di Trento,
dove si spegnerà il 16 agosto 1952.
Ha lasciato segni profondi in Argentina: la sua
scuola agraria esiste ancora, il comprensorio è di­
venuto un quartiere di General Roca intitolato a
lui, con la sua stazione ferroviaria. In Italia, il suo
paese natale, Fondo, gli ha intitolato la scuola ele­
mentare.
Nell’umiltà delle sue parole si rispecchia l’operato
di una vita: se qualcuno ne tesseva le lodi, egli attri­
buiva tutto ciò a quella che considerava la sua unica
gloria, essere stato salesiano e missionario (incu­
rante di essere diventato Commendatore dell’Or­
dine della Corona d’Italia il 28 maggio 1942!).
Il 6 marzo 2017 il Col­
legio San Michele da
lui fondato è diventato
Patrimonio Naziona­
le dell’Argentina. «La
scuola San Miguel è
molto più di un vecchio
edificio, è un monu­
mento che racconta la
storia viva della fati­
ca, del coraggio e della
perseveranza di coloro
che hanno scommesso
sull’educazione e sulla
conoscenza come mez­
zo per raggiungere il
progresso e la promozione delle persone, affron­
tando tutte le avversità che la Patagonia imponeva
loro a quei tempi», ha dichiarato la deputata Maria
Emilia Soria. A lei si deve l’iniziativa, a ricordo
di un missionario che ha aperto la Scuola Agraria
Sperimentale per fornire educazione agli orfani,
agli indigeni e ai migranti, e ha formato quelli che
sarebbero divenuti gli agrotecnici della regione. Il
suo ricordo non è mai sbiadito nell’immaginario
popolare locale, tanto che già nel 1933 la stazio­
ne precedentemente denominata “General Roca”
viene ribattezzata con il nome di “Stazione Ste­
fenelli”; anche altre istituzioni (come la stazione
meteorologica, case per ritiri, ong, canali di irri­
gazione e altro) hanno acquisito il nome del sacer­
dote trentino, in segno di eterna gratitudine nei
suoi confronti.
Le opere
dei Salesiani
oggi a
Stefenelli.
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3.8 Page 28

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LA NOSTRA STORIA
Giampietro Pettenon
La fontana, il pozzo e
la cucina
La fontana di
Casa Pinardi,
il più antico
silenzioso
testimone di
Valdocco.
C asa Pinardi era dotata di una
fontana addossata al muro
esterno sul lato meridionale.
Serviva agli inquilini come
unica fonte di approvvigionamento di
acqua potabile per cucinare, lavarsi, ir­
rigare l’orto…
Ma da dove traeva l’acqua questa fontana
a pompa? Ovviamente non dall’acque­
dotto comunale che in quegli anni era
ancora lontano a venire, ma dal pozzo
sottostante, fatto costruire dai fratelli Filippi con­
temporaneamente alla casa, ed avente la profondità
di circa dieci metri e diametro di circa un metro.
Quando don Bosco decide la demolizione di casa
Pinardi per costruire la nuova ala dell’Oratorio, sta
ben attento a preservare questa preziosa fonte di
vita, ed anzi, crea un secondo accesso al pozzo. Si
potrà così attingere acqua non più soltanto in su­
perficie tramite la fontana, ma anche direttamente
dal piano interrato del nuovo fabbricato dove collo­
ca la nuova e spaziosa cucina che sarà in funzione
dal 1856 al 1927.
È stato un lavoro edile delicato quello voluto da don
Bosco. Hanno scavato proprio accanto alla canna
del pozzo per costruire il piano interrato e poi han­
no forato questa canna sul lato interno addossato al
nuovo fabbricato, per darvi un facile accesso – come
vediamo nella foto sotto – a chi sta lavorando in
cucina e ha bisogno
di prelevare acqua dal
pozzo.
Visitando la cucina
dell’Oratorio che si
trova nel museo Casa
Don Bosco, affascina
non poco questa di­
stribuzione di locali e
impianti della cucina.
Anzitutto è un am­
biente dotato di gran­
di e luminosissime
finestre che, seppur
trovandosi il locale
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SETTEMBRE 2023

3.9 Page 29

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nel piano interrato, sono capaci di portare dentro
tantissima luce naturale.
Sul lato esterno del locale poi troviamo ancora ben
conservato l’accesso al pozzo di cui abbiamo appena
detto e, da un lato e dall’altro dello stesso, vediamo
la dispensa e la stufa a legna. La dispensa è un vero
e proprio locale accessibile discendendo tre gradini
che ci portano fuori dal perimetro dell’edifico, sot­
to il cortile. Sono belli e ben conservati i ripiani in
mattoni che, su tre lati, servivano per appoggiare le
vettovaglie da mantenere fresche. Dall’altra parte
del pozzo invece c’era una stufa a legna di cui resta
una parte del forno e la canna fumaria, dentro il
muro perimetrale.
Interessante, e direi scontato per il tempo in cui si
costruisce questo edificio in cui non c’erano elet­
trodomestici e isolamenti termici artificiali, che la
dispensa e il punto di cottura fossero separati dal
pozzo: con la sua frescura contribuiva a non conta­
minare le derrate alimentari con il calore prodotto
per cucinare i cibi.
Completa l’area della cucina un semplice locale at­
tiguo, destinato a funzione di collegamento con i
refettori. Chi serve i pasti, infatti, non entra mai in
cucina. C’è sempre un locale intermedio dove chi
ha cucinato deposita il cibo da servire, e chi serve
lo preleva e lo porta in sala da pranzo.
Tornando al tema della fontana, dobbiamo sapere
che nei lavori di restauro conservativo e di allesti­
mento del museo Casa Don Bosco si è voluto dare
un segno a terra di questo luogo, così particolare
nel contesto degli edifici che costituiscono la Val­
docco salesiana.
L’architetto ha scelto di perimetrare il complesso
edilizio del primo Oratorio, ora museo, con un am­
pio marciapiede in listelli di pietra di Luserna. La
pietra di Luserna è elemento lapideo tipico e tradi­
zionale dei marciapiedi torinesi, ma non la forma a
listelli stretti e lunghi, che rappresenta un tocco di
contemporaneità – delicato ed efficace – nel deli­
mitare il contorno di questo luogo così simbolico.
È durante i lavori di costruzione di questo mar­
ciapiede che è emersa una bella sorpresa: la pietra
che raccoglieva l’acqua della prima fontana di casa
Pinardi.
Si tratta di una grossa pietra quadrata di circa un
metro di lato, che non era sospesa a muro ma pog­
giava a terra, avente anche la funzione di coperchio
superiore del pozzo, scanalata nella parte centrale
per creare una vasca con il bordo perimetrale rial­
zato per contenere l’acqua.
Questo è uno di quei ritrovamenti che mettono
in discussione alcuni elementi tramandatici dagli
scritti storici.
La rappresentazione della primitiva casa Pinar­
di, fatta dal pittore Bellisio allievo di don Bosco,
mostra la fontana con la semicoppa a muro, come
è tutt’oggi ben visibile e riconoscibile nella forma.
E così la descrive anche don Giraudi nel suo libro
sull’Oratorio di Valdocco: “era fissata al muro una
vasca di pietra con una pompa…”.
Una possibile risposta a questo dilemma potrebbe
essere la seguente. Nella primitiva casa Pinardi la
pompa ed il getto d’acqua della fontana erano sicu­
ramente addossate al muro meridionale della casa.
La vasca in pietra però era poggiata a terra e ser­
L’accesso
al pozzo.
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3.10 Page 30

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LA NOSTRA STORIA
Abbiamo
ritrovato
integro
un piccolo
lavamani,
anch’esso con
base e catino
in pietra,
ricavato da
una nicchia
nel muro ed
illuminato
naturalmente
dall’alto
da un oblò
rotondo.
viva a non disperdere l’acqua eccedente che, se non
raccolta, avrebbe creato fango e una pozza di acqua
ristagnante.
Nella costruzione del primo ospizio avvenuta nel
1853, il progetto edilizio prevedeva il porticato con
colonne e archi regolari su tutta la facciata meri­
dionale della casa. Nel 1856 si demolisce la vec­
chia casa Pinardi e si costruisce la nuova ala con
le medesime caratteristiche co­
struttive, ripetendo l’alternanza
di colonne e archi; ma proprio
dove c’era la primitiva fontana
il progetto prevede il vuoto di
un arco.
È allora, a mio parere, che si
trova la soluzione di sposta­
re leggermente a occidente la
fontana, che sarà addossata alla
colonna più vicina, e con l’oc­
casione si sostituisce la prima
vasca in pietra collocata a terra
(semplice e grezza che conti­
nuerà a stare al suo posto con la
sola funzione di coperchio del
pozzo) con la semicoppa in pie­
tra, sospesa a muro (più elegante e funzionale) che
ancora oggi vediamo. Il rinnovo della fontana ben
si inquadra in quell’insieme di particolari costrutti­
vi più attenti e meno austeri che hanno caratteriz­
zato questo secondo edificio, come già descritto in
precedenza.
Per finire merita citare un altro piccolo particolare
costruttivo che si trova nell’atrio del piano interrato
prima di entrare in cucina e nei refettori lì vicini.
Abbiamo ritrovato integro un piccolo lavamani,
anch’esso con base e catino in pietra, ricavato da
una nicchia nel muro ed illuminato naturalmente
dall’alto da un oblò rotondo che si può vedere nel
pavimento del porticato della buona notte. A fian­
co del piccolo lavandino c’è un’altra nicchia in cui si
poggiava la brocca con l’acqua che serviva all’igiene
delle mani prima dei pasti.
La grande cantina
Nei lavori di restauro l’ambiente della cantina è
quello che ha riservato più sorprese. Sapevamo
bene dai documenti storici che in questa parte
dell’edificio in origine c’era la cantina, ma in anni
abbastanza recenti questo ampio locale era stato ri­
strutturato e destinato ad archivio contabile dell’e­
conomato di Valdocco. Il pavimento era in gres,
vi era un corridoio che collegava numerosi locali
divisi fra loro, era stato costruito un controsoffitto
in fibra minerale, le porte metalliche servivano ad
isolare gli archivi da eventuali incendi. Insomma
della primitiva vocazione di questo spazio non si
percepiva proprio nulla.
La prima cosa che si fece fu quella di togliere le
pareti divisorie e il controsoffitto. Si potè quindi
cogliere lo spazio arioso della cantina nel suo peri­
metro originale ed anche la sua destinazione, non
vocata alla vita dei ragazzi e dei salesiani di Valdoc­
co, ma ad essere un luogo di deposito e conserva­
zione del vino. Questi i segni che abbiamo trovato.
1. Le pareti erano intonacate in maniera grezza;
non come le finiture dei muri negli altri ambien­
ti del piano interrato, finiti con cura ed intonaca­
30
SETTEMBRE 2023

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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ti. Qui si possono notare gli spessori diversi del
muro che a circa un metro di altezza dal piano di
calpestio ha un’unghia rientrante perché il muro
si riduce di spessore.
2. In una parete vicina all’ingresso si nota un masso
tondeggiante proveniente dal fiume, di dimen­
sioni notevoli, che forma ancora oggi una gobba
che esce dal muro; i costruttori non si sono curati
di scalpellarlo per poterlo coprire con l’intonaco.
3. La grande volta a botte non è intonacata; i mat­
toni sono a vista, imbiancati dalla calce viva che
si usava per disinfettare le pareti ed evitare muffe.
4. Nell’opera di ripulitura, alla fine si è dato mano
alla rimozione del pavimento contemporaneo.
Subito sono venuti alla luce dei mattoni in cotto.
Piano, piano, senza arrecare danni, si è proce­
duto a togliere le piastrelle e il fondo cementizio
ed è emerso nella sua interezza il primitivo pavi­
mento in mattoni rossi di terracotta.
Insieme al pavimento in lastre di pietra di Luserna
del refettorio dei ragazzi che stava sotto la chiesa
di San Francesco di Sales, questo grande pavimen­
to della cantina è il secondo originale portato alla
luce nella creazione del museo Casa Don Bosco.
Al centro, a filo pavimento, c’è un pozzo a perdere
con una vera in pietra. Altri piccoli pozzi a perdere
sono ancora visibili davanti a quelli che erano gli
stalli per le grandi botti, in corrispondenza della
cannella per spillare il vino.
Nella parete di fondo si è ben conservato un arma­
dio a muro con i ripiani in pietra e le ante di legno
originali, dove si conservava il vino in bottiglie.
Ultimo particolare di questo locale sono i fori sul
soffitto voltato che mettono in comunicazione la
cantina con il grande porticato del piano terra. Ser­
vivano a calare direttamente l’uva nei tini al tempo
della vendemmia, senza dove portare le ceste su e
giù per le scale.
La grande
cantina.
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31

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FMA
Emilia Di Massimo
Aria di famiglia
Uno spazio per le famiglie dove
le relazioni permettono l’incontro
e la crescita della famiglia dai più
piccoli ai più grandi.
Insieme si cerca la felicità “come un processo che
nasce dalla relazione con l’invisibile, con la ma­
gia della creazione”, afferma la scrittrice Clau­
dia Fabris; i più felici dovrebbero essere i geni­
tori, i contadini, gli artisti. Possiamo immaginare
di donare felicità creando le condizioni per vivere le
relazioni, sostenerle e tessere legami dentro le fami­
glie e tra le famiglie.
La narrazione non è una cronistoria, è il momento
della vita nel quale comprendo il mio percorso e
quello dell’altro, per questo è sempre nuova e ricca
Casa di
famiglia è
nata come
Associazione
nel 2009
e vive la
spiritualità
salesiana.
nello scambio: ciascuno comprende meglio sé gra­
zie al fatto che si sta palesando all’altro” (Enrica).
È questa la principale esperienza di Casa di famiglia,
uno spazio per le famiglie dove le relazioni permet­
tono l’incontro e la crescita della famiglia dai più
piccoli ai più grandi e ciascuno sviluppa i suoi talenti.
Arte, educazione, socialità
e spiritualità
Siamo al numero 11D di via Castelgomberto a
Torino; suor Carmela Santoro, Responsabile del­
la fondazione, ci dice di che cosa si tratta: “Uno
spazio per la famiglia: persone di qualsiasi età,
con figli o senza, di diverse nazionalità, religioni e
culture, con una particolare attenzione al contesto
nella quale è inserita la famiglia, un contesto che
ha sempre più complesse sfide sociali e culturali,
è messa in discussione ma è oggetto di aspettative
impegnative. Tutto ciò che si cerca di proporre e
vivere è per la famiglia, per riconoscerne il valore e
le difficoltà, per promuoverla e sostenerla.
Uno spazio per l’incontro con l’arte: un metodo per
arrivare alla relazione autentica tra le persone, e con
il Signore”.
“Dall’arte si può apprendere a ricercare e riconosce­
re il bello in ciò che viviamo”, aggiunge Salvatore.
Egidio sottolinea che “l’arte è lo strumento per
aprire dentro di sé spazi di riflessione, nuove co­
noscenze, facendo prendere contatto con la propria
fragilità. L’arte abbatte il limite del pregiudizio e
mette a proprio agio le persone; è incontro con il
bello, con la gioia, con il mistero”.
“L’Arte fa leggere luci e ombre delle relazioni fa­
miliari. È veicolo di legame, confronto, incontro,
dà incentivi nuovi, fa ascoltare il proprio vissuto e
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SETTEMBRE 2023

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lascia risuonare dentro domande, intuizioni, pro­
spettive nuove”, afferma Aurelio.
Casa di famiglia è uno spazio per prendersi cura
del famigliare mediante l’incontro, operando per
far crescere il senso di libertà e responsabilità nelle
coppie e rafforzare i legami tra le famiglie e nelle
comunità.
Casa di famiglia condivide con le famiglie lo “spa­
zio della casa”, “dà la possibilità di vivere momenti
di incontro, di attività, di aggregazione, con geni­
tori, bambini, nonni, offre esperienze di formazio­
ne e di confronto su temi educativi”, spiega Sara, è
esperienza di armonia, rispetto e fraternità”.
Casa come spiritualità salesiana
Casa di famiglia nasce come Associazione nel
2009, si riconosce nella spiritualità salesiana che
cerca di vivere concretizzando il Sistema Preven­
tivo, è aperta al confronto con le altre culture ed
espressioni religiose, costruisce reti con vari Enti
nello stile della sinergia e dell’integrazione di ri­
sorse.
Si basa sull’idea di lavorare con gruppi familiari per
promuovere e rafforzare i legami di coppia, interge­
nerazionali, sociali, comunitari.
Il fulcro delle attività associa­
tive è dato dall’integrazione di
due dimensioni: artistico-spiri­
tuale e conviviale.
Roberto ci racconta che l’arte è
una forma importante per il po­
tenziamento dei legami familia­
ri, non è mai fine a se stessa ma
ha lo scopo di orientate la fami­
glia a sperimentare, dialogare,
crescere. Abbiamo organizzato
incontri per approfondire temi
legati alla vita delle famiglie,
gite, feste, per imparare a vive­
re la ferialità come luogo pri­
vilegiato di relazione; Andrea
aggiunge che “Abbiamo impa­
rato che è bello pregare insieme, condividere gioie
e fatiche del quotidiano; da soli non si può vivere
pienamente. La scoperta della forza dei legami fa­
miliari, il riconoscerne le radici ed il ravvivare le re­
lazioni con più attenzione all’ascolto reciproco sono
punti di forza. Come dice papa Francesco, rileggere
la propria vita «educa lo sguardo, ci fa vedere i «pic­
coli miracoli» che Dio compie per noi e ci indica
nuove strade da percorrere”.
Alessio, Martina e Johnny ci dicono che: “Il dia­
logo nasce dall’esperienza perché è in essa e con
essa che si instaura la relazione; quello tra genera­
zioni nasce mediante occasioni
di educazione informale, con la
creazione di spazi e tempi in cui
la famiglia può stare insieme
in modo nuovo; le generazioni
dialogano a partire dal raccon­
to e dalle esperienze vissute, da
tematiche culturali. Un esem­
pio fra tutti? Una tovaglietta,
simbolo di convivialità, diventa
lo spazio per raccontare la fami­
glia, riconoscersi e condividere
insieme e con la comunità”.
“Cosa puoi fare per promuovere
la pace nel mondo? Vai a casa e
ama la tua famiglia”, suggeriva
madre Teresa di Calcutta, pro­
prio come accade a Torino.
Casa di
famiglia”
condivide
con le famiglie
lo “spazio
della casa”,
“dà la
possibilità
di vivere
momenti
di incontro,
di attività, di
aggregazione,
con genitori,
bambini,
nonni”.
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4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
Pedagogia controcorrente 8
Il rilancio delle relazioni
Il clima culturale porta a riempire le case di cose, cose e
ancora cose. I genitori controcorrente preferiscono riempirle
di relazioni: sono convinti che la vera povertà non è la
mancanza di cose, ma la mancanza di rapporti umani.
Oggi la vita è diventata uno shopping e il
mondo un grande supermercato. Abbia­
mo “le cose alla gola” e non ci accorgia­
mo più delle persone. E piccoli e grandi
soffrono della peggiore delle malattie: la solitudine.
Ci sono almeno sei valori da ricuperare:
Rilanciamo il saluto
Il saluto è una piccola fiamma che accende una
relazione. Il saluto rompe la solitudine: ecco per­
ché ‘salutare’ non è solo un verbo, ma è anche un
aggettivo: ‘salutare’ è ‘salutare’: fa bene!
Il saluto innalza l’altro da anonimo a prossimo. Sta
qui il motivo per cui in un mondo nel quale il salu­
to sta scomparendo, vogliamo rilanciarlo. Un salu­
to sincero: Buongiorno! sia un vero Buongiorno! Un
saluto spontaneo: chi saluta per primo ha sempre
ragione. Un saluto largo che arriva a tutti, anche
al nemico. Un saluto cordiale, caldo. Il saluto può
rendere meno grigia una giornata intera! Il saluto
non costa nulla, ma produce molto.
Mangiamo insieme
Oltre al saluto, anche i pasti, consumati insieme,
sono un momento privilegiato per nutrire le rela­
zioni. A tavola si è tutti ‘compagni’ (‘si mangia lo
stesso pane’).
A tavola si è di fronte (non ‘contro’) l’uno all’altro;
gli occhi si incontrano, si incrociano. Dai latini il
pasto era chiamato ‘convivio’, parola che rimanda a
vivere insieme. È appunto l’insieme che fa del pasto
un momento forte di relazione.
‘Insieme’ e non ‘accanto’ come le sedie. I genitori
controcorrente fanno di tutto per salvare l’insieme.
Per questo, nelle loro case, quando si mangia non
si guarda la televisione; padre e madre non fanno
‘prediche’, né interrogatori di sesto grado sul come
è andata la scuola; a tavola tutti possono parlare,
anche il bambino della Scuola dell’Infanzia. Nes­
suno dice: «Qui comando io! Sta’ zitto! Tu non capisci
niente...».
A tavola si ride; a tavola si ascolta: ascoltare è
sempre comunicare al massimo grado.
I genitori contro corrente trasformano la tavola nel­
la più simpatica scuola di relazioni umane.
Mettiamo in circolazione
parole gentili
La parola è il ponte che maggiormente ci unisce.
Finché si parla, il ponte regge; è quando non si
parla più che il distacco è totale!
Forse non vi abbiamo mai pensato, eppure la parola
è il più grande strumento di cui possa disporre la
persona. Uno strumento così variegato, così duttile
che può piegarsi ad ogni uso.
Vi sono parole che possono essere usate per acca­
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shutterstock.com
rezzare, altre per infangare; parole che risuscitano
e parole che seppelliscono.
I genitori controcorrente sanno bene tutto ciò, per
questo mettono in circolazione solo parole gentili,
parole di seta, come queste: ‘Grazie!’. ‘Scusa’. ‘Per
favore’. ‘Perdono’. ‘Arrivederci’.
Quando si dicono e si sentono parole gentili, avviene
qualcosa di straordinario: le anime si abbracciano.
Difendiamo la domenica
Quando l’imperatore Costantino il 7 Marzo 321
stabiliva che il primo giorno della settimana (la do­
menica) doveva essere dedicato al riposo, emanava
una legge decisamente terapeutica.
Non solo, ma una legge che presuppone un gran­
de principio sapienziale: si lavora per vivere, non
si vive per lavorare. In altri termini: il lavoro è un
valore relativo, non assoluto.
Più in alto del lavoro stanno le relazioni umane. La
domenica dovrebbe essere, appunto, il giorno privi­
legiato per entrare in rete con gli altri, a cominciare
dai famigliari e parenti.
La scampagnata, la visita ai nonni, la partecipazio­
ne alla Messa, il pranzo consumato insieme, il ge­
lato gustato in compagnia (alla domenica i compiti
sono tassativamente proibiti!), la pizza gustata tutti
insieme... Ecco altrettante straordinarie occasioni
di relazioni umanizzanti!
Moltiplichiamo gli incontri
Oggi la tecnologia elettronica ci permette incontri
che un tempo erano impensabili.
Pensiamo agli innumerevoli contatti che ci permet­
te Internet. Tutto bene, però con un enorme limite:
la vicinanza elettronica è puramente virtuale!
Dunque una vicinanza povera e fredda! Lo psi­
canalista Luigi Zoja ha intitolato un suo studio
“Morte del prossimo”: morte della relazione oriz­
zontale, da aggiungersi alla morte della relazione
verticale con Dio. E così diventiamo sempre più
soli. “Bisogna riprendere il coraggio di guardare i
volti dei vicini per sentirsi circondati dagli altri e
meno soli” esorta un altro studioso. Appunto ciò
che cercano di fare i genitori controcorrente. Que­
ste alcune loro strategie: tutte le volte che possono
vanno a piedi: hanno la possibilità di incontrare
più persone; invece di mandare un sms, vanno di
persona dagli amici; organizzano feste condomi­
niali, ‘rimpatriate’ dei compagni di scuola, incon­
tri delle famiglie che hanno lo stesso cognome...
Insomma i genitori controcorrente cercano la vi-
cinanza fisica, sempre infinitamente più ricca di
quella puramente virtuale.
È diventata famosa la battuta di un film: «Tutti i li­
bri del mondo non valgono un caffè con un amico!».
Rifiutiamo l’aggressività verbale
Un tempo solo gli asini si parlavano tirandosi calci,
oggi sta diventando costume comunicare a calci tra
gli umani. L’aggressione verbale dilaga sempre più.
Soprattutto i talk show televisivi hanno fatto scuo­
la. Il loro stile aggressivo e feroce che non ascolta
l’altro, ma lo aggredisce a base di urla e gestacci, sta
contagiando tutti: basta un piccolo incidente stra­
dale, basta uno sguardo di troppo, un sorriso am­
biguo, per scatenare la rissa. Che dire, poi, di tanti
incontri condominiali e di riunioni scolastiche che
dopo pochi minuti di pace, subito si trasformano in
guerra tra genitori ed insegnanti? L’urlo è elevato a
prova della verità e l’arroganza prende il posto della
vecchia saggia logica!
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4.6 Page 36

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LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
Esserci per
un nuovo inizio
Di fronte ai fallimenti e alle delusioni più cocenti che incrinano
la fiducia in noi stessi e nelle nostre capacità la vita ci offre
sempre la possibilità di ricominciare, di rimettere insieme
i cocci, di ritrovare il nostro posto nel mondo.
«E sserci per un nuovo inizio»: così la
filosofa Hannah Arendt definisce
la condizione propria dell’essere
u­ma­no, riconoscendo che la pecu­
liarità del nostro agire risiede nella capacità di
dare inizio a qualcosa di inedito, di essere artefici
di un’innovazione. Ogni individuo serba quindi in
sé un “nuovo inizio”, un potenziale d’azione che
contribuisce a rendere imprevedibile la propria
Tu lo sai dove va
la vita senza il coraggio?
Rimane vera a metà,
come una statua di ghiaccio.
Scomparirà pian piano quello che ho passato,
come dediche a mano sopra un libro usato.
Bisogna dare il giusto peso ad uno sbaglio:
le cicatrici servono a volare meglio...
In mezzo a questo rumore
e tra un milione di strade,
cerco un futuro migliore,
mi fermo e provo a brillare!
E chi mi guarda mentre ballo sola un lento
non sa mai com'è bello darsi il proprio tempo.
È il brivido che provo sopra il precipizio,
la fine di una gara prima del giudizio...
esistenza e la realtà che ci circonda, facendo sì che
il mondo sia segnato dal «permanente affacciarsi
del nuovo», che contraddice ogni determinismo e
azzera l’ineluttabilità di un destino già scritto.
In altri termini – come ha scritto efficacemente
Alessandro D’Avenia, commentando proprio le
parole della Arendt – «a ciascuno di noi è affidato
il proprio sé come inizio, compito e compimento»,
ed è esattamente in questo che si manifesta appie­
no la nostra libertà e irrepetibilità. Mettendo radi­
calmente in discussione la nullità dell’essere ipo­
tizzata da Heidegger, che concepiva l’umano stare
nel mondo a partire dall’esperienza della morte,
ovvero a partire da un suo limite insuperabile, la
riflessione della filosofa tedesca prende le mosse
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SETTEMBRE 2023

4.7 Page 37

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da un’analisi dell’esistenza ontologicamente radi­
cata nel concetto di “natalità”. È con il miracolo
della nascita, intesa non semplicemente come un
«essere gettato nel mondo», cioè come un even­
to declinato al passato e privo di una dimensione
relazionale, ma come «vita partorita», attestante
il legame con l’origine e con le nostre radici, che
ognuno di noi si affaccia al mondo con tutto il suo
carattere di novità, quale segno di speranza che si
inserisce in una realtà già data, ri-configurando­
la e ri-generandola. Ed è attraverso il fenomeno
biologico del “venire al mondo” che, dando pie­
na concretezza alla nostra facoltà di dare inizio
a qualcosa di inedito, sperimentiamo al massimo
grado la nostra libertà.
La forza di rinascere
Ma questo miracolo si ripete nella nostra esisten­
za di giovani adulti ogniqualvolta incominciamo
qualcosa di nuovo, intraprendiamo un nuovo per­
corso tra le molteplici strade possibili, riprendiamo
in mano la nostra vita dopo un periodo di buio,
o comunque di stallo, che ci ha temporaneamen­
te “congelati” in una condizione di immobilità e
di “morte interiore”. La decisione di rimettersi in
cammino rappresenta, infatti, una vera e propria
“ri-nascita”, in cui siamo chiamati – appunto – a «es-
serci per un nuovo inizio», ovvero a essere portatori
di novità e di cambiamento, esercitando appieno la
nostra libertà e, con essa, la responsabilità di
scegliere, di agire,
Quando ci metto l'anima
e poi mi perdo d'animo
è il mondo che crolla,
ma la mia testa dura no!
Cade il sorriso dalle labbra,
come un bicchiere che si rompe sul pavimento:
ci son parole come bombe che brucian dentro,
ma non le ascolterò,
non lascio vincere la rabbia!
E cresce come una foresta il mio cambiamento,
scambio quello che temevo per ciò che sento,
e non è molto,
ma almeno è un buon inizio!
Cosa si è rotto in me?
Cosa mi ha fatto tremare forte?
È la paura che trasforma a volte
l'insicurezza in libertà...
Bastasse un treno per scappare, scappare via;
bastasse un trucco per coprire tutta l'apatia;
bastasse un buon inizio per la mia malinconia...
E cresce come una foresta il mio cambiamento,
scambio quello che temevo per ciò che sento,
e non è molto,
ma almeno è un buon inizio!
(Laura Pausini, Un buon inizio, 2023)
di dare una nostra risposta originale alle domande e
alle sollecitazioni che quotidianamente ci vengono
poste dalla realtà che abitiamo.
Di fronte ai fallimenti che inevitabilmente segnano
il percorso verso l’adultità, alle delusioni più cocenti
che, creando dentro di noi una sorta di corto circui­
to, incrinano la fiducia in noi stessi e nelle nostre
capacità, alle cicatrici che lacerano la nostra inte­
riorità, lasciandoci in eredità paure e insicurezze, la
vita ci offre sempre la possibilità di ri-cominciare,
di ri-mettere insieme i cocci, di ri-trovare il nostro
posto nel mondo, rinnovando la speranza in un
futuro migliore. E anche se ciò non ci dà alcuna
garanzia di riuscita, poiché siamo sempre esposti
al rischio di nuove cadute e avvilimenti, il fatto
stesso di ri-metterci in gioco, accettando la sfida
di ri-disegnare il nostro itinerario esistenziale e di
ri-provare ad essere felici, rappresenta già di per sé
un “buon inizio”!
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
Don Bosco nel giudizio di
padre Edgardo Mortara
Dopo l’uscita a Cannes del film
“Rapito” di Marco Bellocchio, da
mesi si parla e si scrive di Edgardo
Pio Mortara. I sorprendenti
contatti con don Bosco.
Una pellicola esteticamente valida, stori­
camente non irreprensibile, che narra la
tristissima vicenda dell’allontanamento
forzato nel 1858 del bambino Edgardo
Mortara dalla sua famiglia ebrea in quanto bat­
tezzato e dunque, secondo le leggi dell’epoca nello
stato pontificio, da educare nella religione cattolica.
In questa sede però vogliamo semplicemente pre­
sentare la stima che il ragazzo, il chierico, il prete
Mortara ha avuto per don Bosco ed anche alcuni
convincimenti spirituali propri dell’ex “rapito”, che
di certo il film non sottolinea.
Incontri ravvicinati a Roma
nel 1867 – una visione
Nel gennaio 1867 don Bosco era ospite a Roma del
conte Vimercati, residente non lontano dalla chiesa
di S. Pietro in Vincoli officiata da Canonici Regola­
ri Lateranensi, presso i quali stava il sedicenne Ed­
gardo Mortara. Ecco quanto il giovane ricordava 37
anni dopo: “Fin dal 1867… ebbi l’onore e la gioia di
vederlo e di assisterlo al santo altare, dove rimasi più
volte edificato dalla sua profonda pietà e devozio­
ne, che però non presentava nulla di affettato, né di
straordinario. Al ritornare alla sacrestia, mentre pie
persone imploravano in ginocchio la benedizione del
Venerabile Sacerdote, io non mi saziava di ammirare
la sua modestia e umiltà, facile, disinvolta, senza vio­
lenza, riflesso genuino di una virtù profondamente
impressa nel suo animo… Nel prendere un frugale
rinfresco, Egli si porgeva a tutti amabile, gioviale,
conversando con tutti di cose edificanti e istruttive,
perfino di filologia e del greco moderno, che egli pa­
reva conoscesse benissimo. Insomma al mirarlo su­
perficialmente nulla di notevole si scorgeva in lui, se
non una modestia e una compostezza esteriore che
incantava e profumava l’ambiente; ma all’osservarlo
attentamente s’indovinava l’uomo di Dio”. Un bel
ricordo, si direbbe, di un don Bosco cinquantenne.
Poco dopo Edgardo entrò nel noviziato sulla via
Nomentana ed anche colà ebbe l’occasione di in­
contrare don Bosco: “Ricordo che essendo [don
Bosco] stato invitato alla nostra frugale mensa in
S. Agnese fuori le mura, il dì della festa di quel­
la gloriosa Vergine e Martire noi ci dicevamo l’un
l’altro: – Avete veduto? Egli ha desinato come gli altri!
Ma che parsimonia, che riserbo, che modestia nelle sue
parole e ne’ suoi sguardi! – Don Bosco mi trattò sem­
pre con speciale benevolenza, del che io non saprei
indicarle altro motivo, senonché perché egli sapeva
benissimo quello che aveva fatto e sofferto per me
l’angelico Pontefice Pio IX… Dopo la S. Messa,
egli mi dirigeva sempre qualche parola affettuosa,
mi regalò la medaglia di Maria Ausiliatrice, invi­
tandomi più volte a visitarlo in Torino ed onoran­
domi anche di speciali confidenze… Una volta mi
chiamò a parte e mi pregò di scrivergli a Torino,
giacché egli voleva manifestarmi un segreto.
Gli scrissi subito e mi rispose presso a poco così: –
Caro mio D. Pio... Io debbo manifestarvi una cosa,
che vi prego per ora di tener segreta. Nel ritorna­
re alla sagrestia dopo la messa, io vidi sulla vostra
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4.9 Page 39

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fronte ondeggiare una nube oscura. Quando voi
abbassavate la fronte, voi sembravate tutto sereno e
ridente. Nell’alzarla però quella tetra nube ricopriva
il vostro volto, che io non vedeva più. Al disopra di
quella nube due angioli sostenevano una bella corona
di fiammanti rose. Figlio mio, siate umile e tutto an­
drà bene per voi. L’orgoglio figurato da quella oscura
nube sarebbe la vostra rovina. Quella bella corona il
Signore ve la darà, se voi persevererete. Siate sem­
pre fedele… Debbo dire, per amore della verità, che
questa comunicazione segreta corrisponde perfetta­
mente al mio stato interiore ed all’insieme del mio
carattere e del mio temperamento, ed anche allo
svolgimento della mia modesta esistenza”.
Incontro a Marsiglia con
don Bosco taumaturgo nel 1880
I decreti francesi ostili agli Ordini religiosi, man­
dati ad effetto il 31 ottobre 1880 colsero padre
Mortara a Marsiglia, ormai sacerdote e religioso
con voti perpetui, perpetuo gravemente ammalato
nel collegio dei Fatebenefratelli, dove rischiava di
comprometterli. Fortuna o Provvidenza volle che
una religiosissima signora madame Marcoselles, da
lui già conosciuta a Roma nel 1869, gli offrisse ospi­
talità in casa sua, tanto più che era costretto a letto.
Ragioni di prudenza consigliavano di occultare il
suo rifugio, perché risultava in Italia renitente alla
leva. Per questo il Direttore dell’oratorio salesiano
S. Leone, don Giuseppe Bologna, si recava di na­
scosto a visitarlo. Saputo che don Bosco era in città,
gli espresse il desiderio di vederlo.
Ecco dunque in che modo il padre Mortara narra
la visita del Santo “Mostrai gran brama di vederlo,
sperando che egli mi otterrebbe la guarigione. Un
giorno difatti, il 5 febbraio, il venerabile sacerdote si
recava da me. Io implorai la sua benedizione e lo pre­
gai d’intercedere per me presso Dio affine di otte­
nermi la grazia desiderata, per adoperarmi per la sua
gloria e convertire la mia cara madre (che purtroppo
passò all’eterna vita il 17 ottobre 1896). Egli rispose
esortandomi alla pazienza e rassegnazione ed a fare il
sacrifizio della mia vita, se ciò a Dio piacesse. Quan­
to a mia madre, le mie preghiere sarebbero più effi­
caci nel cielo. Mi benedisse di nuovo e si congedò”.
La benedizione ebbe effetto tanto che morirà 60
anni dopo aver peregrinato come predicatore in
decine di paesi europei e pure negli Stati Uniti.
Alludendo a questa visita diceva in una lettera del
1884 a don Bosco dalla casa salesiana di Utrera in
Spagna: “Quando Ella mi onorò di una sua visita
a Marsiglia in casa delle signore Marcoselles, mi
disse che il Signore poteva sospendere il decreto di
morte già emanato per me. Il decreto fu sospeso,
Ella me lo fece ritirare, ed ora guai a me se la vita
che mi resta non la impiego tutta ad edificare, di­
fendere e dilatare il mistico regno di Dio”.
Sempre a Marsiglia il trentenne padre Mortara per
motivi di salute aveva bisogno di ritornare in Italia,
da dove era fuggito segretamente dopo la breccia
di porta Pia (1870) per timore di essere costretto
a lasciare la vita religiosa. Ancora una volta, il 10
ottobre 1880, si rivolse a don Bosco chiedendogli se
poteva fare qualcosa presso la famiglia reale perché
potesse rientrare in Italia senza problemi.
Non si sa quale sia stato l’esito di tale supplica. Di
certo padre Mortara venne più volte in Italia e pas­
sò a Valdocco nel luglio 1898.
Don Bosco e
papa Pio IX.
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni  postulatore generale
 Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulatore@sdb.org
 Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di settembre preghiamo per la beatificazione
del Venerabile Augusto Hlond, cardinale salesiano di cui
ricorre il 75° della morte.
Augusto Hlond nac-
que a Brzeckowice
(Polonia) il 5 luglio
1881. A 12 anni,
attratto dalla fama
di don Bosco, seguì
in Italia il fratello
maggiore Ignazio per
consacrarsi al Signore tra
i Salesiani, e vi attirò presto altri
due fratelli. Ammesso al novi-
ziato, ricevette l’abito talare dal
beato Michele Rua (1896). Fatti
gli studi a Roma all’Università
Gregoriana, tornò per il tirocinio
in Polonia ad Oswiecim. Fu ordi-
nato sacerdote il 23 settembre
1905. Nel 1907 fu direttore del-
la nuova casa di Przemysl (1907-
09), e poi di Vienna (1909-19).
Nel 1919 divisa l’Ispettoria
Austro-Ungarica, fu nominato
Ispettore (1919-22). In due anni,
il giovane ispettore promosse
la fondazione di una decina di
nuove presenze. Dopo esser sta-
to Amministratore Apostolico fu
consacrato vescovo di Katowice
il 3 gennaio 1926. Il 24
maggio dello stesso
anno diventava Pri-
mate di Polonia.
L’anno seguente,
il 20 maggio, il S.
Padre lo creava Car-
dinale. Ebbe dalla S.
Sede anche la cura dei
Polacchi della diaspora, dispersi
nelle varie parti del mondo. Per
questo egli fondò una Congre-
gazione, la Società di Cristo per
gli emigrati della Polonia. Con
la Seconda guerra mondiale
cominciò il suo calvario che lo
costrinse all’esilio fino alla fine
della guerra. Sostò dapprima a
Roma, dove iniziò una coraggio-
sa difesa della sua Patria, che
intensificò in Francia, quando
riparò a Lourdes. Raggiunto dal-
la polizia nazista fu deportato
a Parigi affinché formasse un
governo polacco ligio ai nazisti.
Il Cardinale si rifiutò decisamen-
te. Allora i nazisti lo internarono
dapprima in Lorena, poi in
Westfalia. Liberato dalle truppe
alleate, tornò in Polonia, ove
venne nominato Arcivescovo di
Varsavia. Qui, come prima aveva
difeso il suo popolo dagli orrori
del nazismo, così ora con vigoro-
se pastorali continuò a difender-
lo dall’ateismo comunista. La di-
vina Provvidenza lo scampò da
più di un attentato, riservando-
gli il transito dei grandi patriar-
chi. Morì il 22 ottobre 1948. I
funerali furono un’apoteosi. Per
la prima volta nella storia della
Polonia, la tumulazione venne
fatta nella stessa cattedrale.
Papa Francesco l’ha dichiarato
Venerabile il 18 maggio 2018.
Preghiera
Signore Gesù, ti sei spogliato di tutto
perché tutti gli uomini siano raggiunti
dall’amore salvifico di Dio.
Ti preghiamo di lasciarci ispirare
dall’amore apostolico del Servo di Dio Augusto Hlond,
affinché sappiamo impegnare tutte le nostre forze
per compiere ogni giorno la tua volontà
e per far sentire a tutti gli uomini la bellezza e la profondità
della tua presenza amorosa nel mondo intero.
Rendici docili alle ispirazioni interiori
e idonei a tradurle in atti di carità pastorale.
Donaci il coraggio di spogliarci di tutto ciò
che ostacola lo splendere del tuo volto nella nostra vita.
Donaci la grazia di comunicare a coloro che incontriamo
che tu sei l’eterna giovinezza e l’unica vita autentica
che sorregge e anima tutto per sempre.
Fa’ che il tuo servo Augusto, se tale è la tua volontà,
sia elevato alla gloria degli altari.
e concedici, per sua intercessione,
la grazia che ti chiediamo...
Amen.
Ringraziano
Siamo Alessia e Aurelio Empe-
reur, genitori del piccolo André,
nato ad Aosta il 3 dicembre
2022. Siamo una famiglia cre-
sciuta nei valori cristiani e unita
dalla Fede. Scriviamo in merito
alla Grazia che abbiamo ricevu-
to da san Domenico Savio e
don Bosco la sera di martedì 3
gennaio 2023. Il nostro piccolo
è stato ricoverato d’urgenza nel
reparto di rianimazione dell’o-
spedale Regina Margherita di
Torino il mattino del 3 gennaio
2023 a causa di una grave forma
di bronchiolite. Nel pomeriggio
del 3 gennaio le condizioni del
piccolo André si sono aggravate
di ora in ora e in noi cresceva
la paura di ricevere una brut-
ta notizia da parte dei medici.
Presi dallo sconforto e dal pa-
nico, abbiamo deciso di recarci
a Valdocco, accompagnati da
un salesiano amico di famiglia
che sette anni fa ci ha sposato.
Dopo aver recitato il Santo Ro-
sario, abbiamo pregato davanti
alle due urne dei Santi, chie-
dendo la Grazia per la guarigio-
ne del piccolo André. Tornati in
ospedale i medici ci hanno co-
municato che le condizioni era-
no ulteriormente peggiorate e
che avrebbero dovuto eseguire
in urgenza un delicato inter-
vento salvavita mediante assi-
stenza extracorporea poiché i
suoi polmoni non reagivano e
l’insufficienza respiratoria era
importante. Abbiamo trascor-
so le successive interminabili
ore in sala d’attesa, nelle quali
abbiamo pregato, supplicato e
implorato don Bosco, Dome-
nico Savio e Maria Ausiliatrice.
I dottori dopo due lunghissi-
me ore ci hanno richiamato in
reparto comunicandoci che il
trend si era improvvisamente
invertito, il nostro piccolo sta-
va iniziando a rispondere agli
stimoli e pertanto l’intervento
salvavita era stato sospeso. Per
una motivazione ancora non
totalmente chiara al dottore
rianimatore, André stava rea-
gendo. Dal Cielo i nostri Santi
che tanto avevamo pregato ci
avevano ascoltati! Con l’abitino
di san Domenico Savio nella
culla dell’ospedale, le grandi
cure dei medici, le tantissime
preghiere della comunità, la
sua grande forza e l’amore che
gli abbiamo trasmesso, André
ce l’ha fatta! Il 21 gennaio sia-
mo usciti dall’ospedale per tor-
nare a casa! Adesso il piccolo
sta bene! Ogni giorno la nostra
famiglia, composta da altri due
fratellini, prega e ringrazia don
Bosco, san Domenico Savio e
Maria Ausiliatrice. Non smette-
remo mai di ringraziare.
40
SETTEMBRE 2023

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO E` BENEDIZIONE
Marcel Verhulst
Monsignor
Jean-Pierre Tafunga
salesiano, arcivescovo metropolita di Lubumbashi.
Morto il 31 marzo 2021, a 78 anni
Era nato il 25 luglio 1942 a Pan-
da-Likasi. Un film su don Bosco
gli diede la risposta che cercava
da tempo: capì che sarebbe sta-
ta una cosa meravigliosa dedica-
re la sua vita ai giovani come sa-
cerdote. Jean-Pierre, a diciotto
anni, temeva di essere già trop-
po vecchio per iniziare il lungo
cammino. Jean-Pierre ne parlò
con suo padre. Sua madre era
morta un anno prima e lui era fi-
glio unico. Pensava che il padre
avrebbe contato soprattutto su
di lui per garantire il futuro della
famiglia. Tuttavia, egli rispose:
“Anch’io ero figlio unico; prendi
la decisione che vuoi” e lo lasciò
completamente libero di segui-
re la strada del sacerdozio. Nel
frattempo, aveva acquisito un
diploma in studi tecnici. Trovò
facilmente un buon lavoro all’U-
nion Minière, dopo un anno di
lavoro, si ritirò dalla vita pro-
fessionale per iniziare gli studi
che gli avrebbero permesso di
diventare sacerdote. È entrato
poi nel noviziato di Kansebula
e ha seguito il corso ordinario
di formazione dei salesiani fino
all’ordinazione sacerdotale.
Insegnò quindi in diversi istituti
tecnici e fu nominato direttore
a Goma. Completò in seguito
gli studi all’Università Pontificia
Salesiana di Roma e nel 1989 fu
subito nominato direttore della
casa di formazione di Kansebu-
la e nell’aprile 1990 ricevette la
nomina a provinciale dell’Ispet-
toria AFC. Diventò così il primo
provinciale africano dell’AFC,
ma anche il primo africano a
ricoprire questo incarico nella
Congregazione salesiana. La
nomina a questo incarico era un
segnale forte di un’Africa che vo-
leva diventare protagonista del
proprio futuro, non solo nella
sfera politica, ma anche in quel-
la sociale ed ecclesiale.
La sua nomina suscitò grande
entusiasmo tra i confratelli afri-
cani. Già preparato, in un certo
senso, a questo compito dalla
sua esperienza di direttore di
due case (Goma-Kansebula),
dai suoi studi di spiritualità
salesiana presso l’UPS e dalla
sua recente partecipazione al
Capitolo Generale 23 come
delegato dell’Ispettoria AFC. A
quel tempo, più o meno due
terzi dei confratelli erano anco-
ra missionari, la maggior parte
belgi, ma un terzo erano già
africani (congolesi, ruandesi
o burundesi). La sua nomina
significava che l’Africa salesia-
na doveva diventare più incul-
turata o africanizzata. Questa
era anche la sua convinzione
personale: “Il fatto che la scel-
ta sia caduta su di me, indica
in un certo senso che voglia-
mo dare la mano agli africani.
Spetta agli africani inculturare
don Bosco in Africa. È un segno
profetico: è stata posta la prima
pietra di una nuova realtà. Da
tempo la Congregazione scom-
mette di fare dell’Africa salesia-
na una regione autonoma”.
Padre Jean-Pierre Tafunga eser-
citò il suo mandato di provincia-
le per poco più di due anni, cioè
dal 15 agosto 1990 al 6 ottobre
1992: data della sua elevazione
all’episcopato da parte di san
Giovanni Paolo II, come vescovo
della diocesi di Kilwa-Kasenga
(nella provincia del Katanga).
Il nuovo vescovo adottò come
motto episcopale “Amor et mi-
sericordia”.
Il 10 giugno 2002, dopo quasi
dieci anni come vescovo di Ka-
senga, papa Giovanni Paolo II lo
trasferì alla diocesi di Uvira (Sud
Kivu), dove rimase fino al 2008.
Un giornalista ha scritto: “Nel
2002, in un momento in cui la
diocesi di Uvira languiva sotto
l’ombra del tribalismo e della
xenofobia, il Vaticano decise di
trasferire il vescovo Jean-Pierre
Tafunga dal Katanga alla diocesi
di Uvira. Il desiderio di promuo-
vere la gioventù si è concretizza-
to, in particolare nell’organizza-
zione di un grande congresso
a Uvira nel 2005 per la prima
volta. Oggi i fedeli cattolici e i
sacerdoti riconoscono nel vesco-
vo Tafunga un unificatore.
Il 31 luglio 2008, papa Bene-
detto XVI lo ha promosso arci-
vescovo-coadiutore dell’arcidio-
cesi di Lubumbashi con diritto
di successione. Partecipando al
Secondo Sinodo Africano, il 12
ottobre 2009, ha spiegato ai
padri sinodali come i valori della
giustizia, della pace e della ri-
conciliazione siano inscritti nella
cultura tradizionale africana.
«Monsignor Tafunga» scrive
Honorato Alonso, di Goma,
«era una persona piena di at-
tenzione e di cura per ogni
confratello della sua comunità.
Conosceva i bisogni di ciascuno
e non smetteva mai di incorag-
giarli per il bene della comuni-
tà. Dobbiamo constatare con
gioia che è stato grazie a lui che
lo spirito salesiano si è radical-
mente impiantato a Goma. Dal-
la comunità, attraverso il corpo
insegnante, fino agli studenti,
ha saputo mostrare chiaramen-
te lo spirito ereditato da san
Giovanni Bosco».
SETTEMBRE 2023
41

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IL CRUCIPUZZLE
Roberto Desiderati
Scoprendo don Bosco
Parole di 3 lettere: Gas, Ned.
Parole di 4 lettere: Asti, Chic, Iran,
Iter, Mode, Piaf, Roma, Sito, Togo.
Parole di 5 lettere: Perle, Trita,
Vapor.
Parole di 6 lettere: Anidro,
Paloma.
Parole di 7 lettere: Caramba,
Esplosi, Incipit, Navarra, Odierno,
Sgherri, Vertice, Zirconi.
Parole di 8 lettere: Lombroso.
Inserite nello schema le parole elencate a fianco, scrivendole da sinistra a destra e/o dall’alto
in basso, compatibilmente con le lunghezze e gli incroci. A gioco ultimato risulteranno nelle
caselle gialle le parole contrassegnate dalle tre X nel testo. La soluzione nel prossimo numero.
? Parole di 9 lettere: Ecografia,
Emiparesi.
Parole di 10 lettere: Emozionata,
Parapiglia, Sacripante, Turacciolo.
?
La soluzione nel prossimo numero.
Parole di 11 lettere: Aschenaziti.
UN SALESIANO IN GIAPPONE
Nato nel 1879, in una modesta famiglia emiliana di Faenza, padre bracciante e madre tessitrice, XXX aveva
un fratello e una sorella. Tutti e tre scelsero di prendere i voti, i maschi secondo la regola salesiana e Santina,
la femmina, divenne suora Ospedaliera della Misericordia, e beatificata molti anni dopo da papa Giovanni
Paolo II, nel 1996. Vincenzino era il minore e crebbe con la passione degli studi e della musica. Maturata la
sua vocazione, fu mandato a Torino e a 21 anni si laureò in composizione musicale presso il Conservatorio di
Parma, a 24 anni in scienze naturali all’Università di Torino e a 27 in filosofia e pedagogia. Nel 1900, conclu-
se i suoi studi teologici e fu ordinato sacerdote, dopodiché insegnò agraria, pedagogia, canto, fu direttore
dell’Oratorio San Luigi e poi direttore a Valsalice fino al 1925. La sua più grande aspirazione era di diventare
missionario, come lo fu anche il fratello Luigi partito per l’America Latina e lì dedicatosi ai giovani fin quando morì,
nel 1928, con la fama di santo. Vincenzo dovette però aspettare vent’anni per veder realizzato il suo sogno. Dopo
aver insegnato – e di lui dicevano che “quando insegnava anche i muri sorridevano” –, diretto bande musicali, fatto
il compositore, il preside e il direttore a Valsalice la sua domanda per andare missionario in Giappone fu final-
mente accolta. Svolse a Chōfu la sua opera per 40 anni, un’intensa attività
Soluzione del numero precedente pastorale e missionaria: fu direttore dello Studentato Teologico Salesiano
fino a 82 anni, promosse la fondazione delle Suore di Carità e divenne
prefetto apostolico di Miyazaki. Morì a Tokyo nel 1965 lasciando scritti di
pedagogia, di agraria, di agiografia, ben 6138 lettere in giapponese e 950
composizioni musicali. Disse che “se si vuol essere missionari in Giappone
e non si diventa giapponesi fino al midollo, si fa solo il vuoto attorno a sé”.
42
SETTEMBRE 2023

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LA BUONANOTTE
B.F.Disegno di Fabrizio Zubani
La grotta azzurra
E ra un uomo povero e
semplice. La sera, dopo una
giornata di duro lavoro,
«Sono le croci degli uomini», disse
il Signore. «Scegline una». L’uomo
buttò con la malagrazia la sua croce
e riprovò, ma ogni croce aveva qual­
che difetto.
Finalmente, in un angolo semibuio,
rientrava in casa spossato e pieno di in un angolo e, fregandosi le mani, scovò una piccola croce, un po’ logo­
malumore. Guardava con astio la
cominciò la cernita.
rata dall’uso. Non era troppo pesante,
gente che passava in automobile o Provò una croce leggerina, ma era né troppo ingombrante. Sembrava
quelli seduti ai tavolini dei bar.
lunga e ingombrante. Si mise al collo fatta apposta per lui. L’uomo se la
«Quelli sì che stanno bene»,
una croce da vescovo, ma era incredi­ mise sulle spalle con aria trionfante.
brontolava l’uomo, pigiato nel tram, bilmente pesante di responsabilità e «Prendo questa!», esclamò. Ed uscì
come un grappolo d’uva nel torchio. di sacrificio. Un’altra, liscia e gra­ dalla grotta.
«Non sanno che cosa vuol dire
ziosa in apparenza, appena fu sulle Il Signore gli rivolse il suo sguar­
tribolare... Tutto rose e fiori, per loro. spalle dell’uomo cominciò a pungere do dolce dolce. E in quell’istante
?
Avessero la mia croce da portare!». come se fosse piena di chiodi. Affer­ l’uomo si accorse che aveva ripreso
Il Signore aveva sempre ascoltato con rò una croce d’argento, che mandava proprio la sua vecchia croce: quella
molta pazienza i lamenti dell’uomo. bagliori, ma si sentì invadere da una che aveva buttato via entrando nella
E, una sera, lo aspettò sulla porta di straziante sensazione di solitudine e grotta. E che portava da tutta la
casa.
di abbandono. La posò subito. Provò vita.
«Ah, sei tu, Signore?», disse l’uomo,
quando lo vide. «Non provare a
rabbonirmi. Lo sai bene quant’è
pesante la croce che mi hai imposto».
L’uomo era più imbronciato che
mai.
Il Signore gli sorrise bona­
riamente. «Vieni con me.
Ti darò la possibilità
di fare un’altra scel­
ta», disse.
L’uomo si trovò
all’improvviso dentro
una enorme grotta
azzurra. L’architet­
tura era divina. Ed
era piena di croci:
piccole, grandi,
tempestate di gem­
me, lisce, contorte.
SETTEMBRE 2023
43

5.4 Page 44

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