Bollettino_Salesiano_202306

Bollettino_Salesiano_202306

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L’ultima fatica
di don Bosco
La Basilica
del Sacro Cuore
di Roma
Don Bosco nel mondo
Haiti
Le case di don Bosco
Messina
L’invitato
Don Andrea Ballan
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
GIUGNO 2023

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I FIORETTI DI DON BOSCO
B.F.
Don Bosco è matto!
D on Bosco cominciò a
raccontare i suoi sogni.
Parlava di un oratorio vasto
e spazioso, di chiese, case, scuole,
laboratori, ragazzi a migliaia, preti a
loro totale disposizione. In realtà
c’era solo un prato spelacchiato.
Naturale che la gente comune dices-
se: «Si è tanto infatuato dei giovani
che gli ha dato di volta il cervello».
Don Borel, il collaboratore e amico
fraterno, cercò di impedire a don
Bosco di raccontare i suoi sogni.
Un giorno, in camera sua, dopo un
inutile tentativo di «farlo ragionare»,
don Borel scoppiò a piangere. Uscì
dicendo: «Povero mio don Bosco, è
proprio andato».
Decisamente era pazzo, pazzo da
legare. I canonici non ne dubitavano.
Bisognava dunque correre subito
ai ripari. Per non stuzzicare la sua
diffidenza, si fece appello, per agire,
a due parroci, persone egualmen-
te degne, a cui necessariamente il
modesto prete don Bosco non poteva
manifestare che deferenza.
Ma il modesto prete li vide venire
da lontano. Eccoli dunque quei
parroci introdursi, girando al largo.
Parlano del vento e della piog-
gia, di tutte le banalità d’uso che
permettono degli accostamenti lenti
e prudenti.
Don Bosco ha capito. Risponde alle
loro domande. Non attenua niente
né dell’ampiezza dei suoi progetti, né
delle sue certezze. Il tono non ingan-
na. È pura esaltazione. Quel povero
prete è un megalomane. Occorre
agire senza indugio. Diventano più
amabili.
«Ebbene, non sarà mai detto che noi
siamo venuti per nulla... Vi abbiamo
disturbato... Volete in compenso fare
nella nostra carrozza un giretto in
città?»
«Carrozza?... pensa don Bosco, che
onore!». Ha buon fiuto e risponde:
«Con piacere».
Arrivano alla carrozza. Gentilezze:
«Salite, don Bosco».
«Per primo?... Mai e poi mai! Vi
devo rispetto. Passate voi per primi».
Si insiste, sia pur in maniera elegante
e graziosa. I due parroci, di mala
voglia, si decidono.
Entrano per primi nella carrozza
e subito don Bosco sbatte forte lo
sportello e grida al cocchiere: «Ades-
so difilato dove sapete, e al galoppo!»
II cocchiere parte di gran galop-
po. Il manicomio si spalanca. Gli
infermieri si gettano sui due parroci.
Hanno loro annunciato l’arrivo di un
malato. Ce ne sono due, due pazzi
furiosi, che gesticolano e chiamano
aiuto. Per loro fortuna il cappella-
no accorre e chiarisce l’equivoco.
Vengono lasciati liberi i due parroci.
Appena in tempo.
L’avvenimento fece subito scalpore.
Tutta la città ci rise sopra.
«Come pazzo, si diceva, è molto
spiritoso». Era vero.
Da allora anche i parroci di Torino,
un po’ tardi senza dubbio, lo lascia-
rono alla sua follia.
Don Bosco coltivò quella follia. E la
trasformò in santità.
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GIUGNO 2023

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L’ultima fatica
di don Bosco
La Basilica
del Sacro Cuore
di Roma
Don Bosco nel mondo
Haiti
Le case di don Bosco
Messina
L’invitato
Don Andrea Ballan
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
GIUGNO 2023
GIUGNO 2023
ANNO CXLVII
NUMERO 6
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
La copertina: La bella statua di Gesù
che domina la Basilica del Sacro Cuore
a Roma.
2 I FIORETTI DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 DON BOSCO NEL MONDO
Haiti
10 TEMPO DELLO SPIRITO
La benedizione
12 L’INVITATO
Don Andrea Ballan
16 LE CASE DI DON BOSCO
Messina
20 L’ULTIMA FATICA DI DON BOSCO
La Basilica del Sacro Cuore
di Roma
24 SALESIANI
Don Gigetto
28 LA STORIA CONTINUA
Il primo ospizio
costruito da don Bosco
32 FMA
Estate Ragazzi in Vaticano
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 IL CRUCIPUZZLE
43 LA BUONANOTTE
12
16
24
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 64
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
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e i lavoratori.

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Ángel Fernández Artime
Il cuore d’oro
dell’educazione
Perché la devozione al Sacro Cuore di Gesù fa parte del DNA
della Congregazione Salesiana.
Sulla copertina del Bollettino Salesiano di
questo mese c’è la bella statua del Gesù
benedicente che svetta sul campanile del-
la Basilica del Sacro Cuore di Roma. Una
gran bella chiesa che è costata “sangue e lacrime”
a don Bosco, che, già consumato dalla fatica, spese
le sue ultime energie e anni nella costruzione di
questo tempio richiesto dal Papa.
È un luogo caro a tutti i Salesiani anche per tanti
altri motivi.
La statua dorata del campanile, per esempio, è un
segno di riconoscenza: è stata donata dagli exallievi
argentini per ringraziare i Salesiani perché
erano venuti nella loro Terra.
Anche perché in una lettera del 1883,
don Bosco ha scritto la frase memora-
bile: «Ricordatevi che l’educazione è
cosa di cuore, e che Dio solo ne
è il padrone, e noi non
potremo riuscire a
cosa alcuna, se Dio
non ce ne insegna
l’arte, e non ce
ne dà in mano le
chiavi». La lette-
ra terminava così:
«Pregate per me,
e credetemi sempre
nel SS. Cuore di
Gesù».
Perché la devozione al Sacro Cuore di Gesù fa par-
te del dna salesiano.
La festa del Sacro Cuore di Gesù vuole incorag-
giarci ad avere un cuore vulnerabile. Soltanto un
cuore che può essere ferito è in grado di amare.
Così, in questa festa, contempliamo il cuore aperto
di Gesù per aprire anche i nostri cuori all’amore.
Il cuore è il simbolo ancestrale dell’amore e mol-
ti artisti hanno dipinto la ferita al cuore di Gesù
con l’oro. Dal cuore aperto si irraggia verso di noi
il fulgore dorato dell’amore, e la doratura ci mostra
inoltre che le nostre fatiche e le nostre ferite posso-
no tramutarsi in qualcosa di prezioso.
Ogni tempio e ogni devozione al Sacro Cuore di
Gesù parla dell’Amore di quel cuore divino, il cuore
del Figlio di Dio, per ciascuno dei suoi figli e figlie di
questa umanità. E parla di dolore, parla di un amore
di Dio che non sempre viene ricambiato. Oggi ag-
giungo un altro aspetto. Penso che parli anche del
dolore di questo Gesù Signore di fronte alla soffe-
renza di molte persone, allo scarto di altre, all’immi-
grazione di altre persone senza un orizzonte, alla so-
litudine, alla violenza che molte persone subiscono.
Penso che si possa dire che parla di tutto questo, e
allo stesso tempo benedice, senza dubbio, tutto ciò
che viene fatto a favore degli ultimi, cioè la stessa
cosa che faceva Gesù quando percorreva le strade
della Giudea e della Galilea.
Per questo è un bel segno che la Casa del Sacro
Cuore sia ora la sede centrale della Congregazione.
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Tanti cuori d’argento
Una di queste realtà gioiose che indubbiamente
allietano il “Cuore di Dio stesso” è quella che ho
potuto constatare di persona, ovvero ciò che si sta
facendo presso la Fondazione salesiana Don Bosco
nelle isole di Tenerife e Gran Canaria. La scorsa
settimana sono stato lì e, tra le tante cose che ho
vissuto, ho potuto vedere i 140 educatori che lavo-
rano nei vari progetti della Fondazione (accoglien-
za, alloggio, formazione al lavoro e successivo in-
serimento lavorativo). E poi ho incontrato un altro
centinaio di adolescenti e giovani che usufruiscono
di questo servizio di don Bosco per gli ultimi. Al
termine del nostro prezioso incontro, mi hanno fat-
to un regalo.
Mi sono commosso perché nel lontano 1849 due
ragazzini, Carlo Gastini e Felice Reviglio, avevano
avuto la stessa idea e, in gran segreto, risparmiando
sul cibo e conservando gelosamente le loro piccole
mance, erano riusciti a comperare un regalo per l’o-
nomastico di don Bosco. La notte di San Giovanni
erano andati a bussare alla porta della camera di
don Bosco. Pensate la sua meraviglia e commozio-
ne nel vedersi presentare due piccoli cuori d’argen-
to, accompagnati da poche impacciatissime parole.
Il cuore dei ragazzi è sempre lo stesso e anche oggi,
nelle Canarie, in una piccola scatola di cartone a
forma di cuore, hanno messo più di cento cuori con
i nomi di Nain, Rocio, Armiche, Mustapha, Xou-
sef, Ainoha, Desirée, Abdjalil, Beatrice e Ibrahim,
Yone e Mohamed e cento altri, esprimendo sempli-
cemente qualcosa che veniva dal cuore; cose sincere
di grande valore come queste:
Grazie per aver reso possibile tutto questo.
Grazie per la seconda possibilità che mi hai dato
nella vita.
Continuo a lottare. Con te è più facile.
Grazie perché mi hai ridato la gioia.
Grazie per avermi aiutato a credere che posso
fare tutto ciò che mi prefiggo.
Grazie per il cibo e la casa.
Grazie dal profondo del mio cuore.
Grazie per avermi aiutato.
Grazie per questa opportunità di crescita.
Grazie per aver creduto in noi giovani nonostan-
te la nostra situazione...
E centinaia di espressioni simili, rivolte a don Bo-
sco e agli educatori che in nome di don Bosco sono
con loro ogni giorno.
Ho ascoltato quello che hanno condiviso con me,
ho sentito alcune delle loro storie (molte delle quali
piene di dolore); ho visto i loro sguardi e i loro sor-
risi; e mi sono sentito molto orgoglioso di essere un
salesiano e di appartenere a una famiglia di fratelli,
educatori, educatrici e giovani così splendidi.
Ho pensato, ancora una volta, che don Bosco è più
attuale e necessario che mai; e ho pensato alla finez-
za educativa con cui accompagniamo tanti giovani
con grande rispetto e sensibilità per i loro sogni.
Abbiamo recitato insieme una preghiera rivolta al
Dio che ci ama tutti, al Dio che benedice i suoi figli
e le sue figlie. Una preghiera che ha fatto sentire a
proprio agio cristiani, musulmani e indù. In quel
momento senza alcun dubbio lo Spirito di Dio ci
abbracciava tutti.
Ero felice perché, come don Bosco a Valdocco ac-
coglieva i suoi primi ragazzi, oggi, in tanti Valdoc-
co nel mondo, sta accadendo la stessa cosa.
Quando parliamo dell’amore di Dio, per molti è un
concetto troppo astratto. Nel Sacro Cuore di Gesù
l’amore di Dio per noi è diventato concreto, visi-
bile e percettibile. Per noi Dio ha preso un cuore
umano, nel cuore di Gesù ci ha aperto il suo cuore.
Così, attraverso Gesù, possiamo portare i nostri
destinatari al cuore di Dio.
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DON BOSCO NEL MONDO
Antonio Labanca di Missioni Don Bosco
Pietà per Haiti
Povertà, criminalità, cattivo governo
stanno strangolando una popolazione
stremata dai disastri climatici.
Ma i salesiani restano!
Intervista a Padre Attilio Stra
Padre Attilio Stra, piemontese (di Cherasco),
missionario salesiano nella metà dell’isola
di Hispaniola colonizzata dai Francesi (l’al-
tra metà, dagli Spagnoli, è la Repubblica
Dominicana) è fra coloro che da oltre quarant’anni
resistono ad ogni peggioramento. Terremoti e ti-
foni sono stati devastanti; le crisi sanitarie che ne
sono derivate hanno trovato risposte sempre inade-
guate per la popolazione colpita. Ma causa ed effet-
to di ognuno di questi momenti estremi risiedono
nell’assenza di un’autorità governativa in grado di
organizzare il soccorso come la normale ammini-
strazione. Quando ai vecchi invasori si sono sosti-
tuiti i governi degli Stati Uniti, la dipendenza dai
poteri lontani e dai corrotti locali si è portata al
livello più alto, dal quale sembra non sia possibile
scendere.
Ci vorrebbe un miracolo, per venire fuori da questo
intreccio di povertà, violenza, criminalità, condizio-
namenti esterni” confida padre Attilio. Questo pen-
siero sembra scontrarsi con l’ottimismo di Missioni
Don Bosco – organismo che insieme ad altri so-
stiene da Valdocco le 13 opere salesiane di Haiti
– quando parla dei “miracoli” che avvengono attra-
verso i missionari. L’impegno profuso dai salesiani
per l’emergenza del 2010, quando un terremoto di
magnitudo 7 colpì gravemente anche la parrocchia,
gli oratori e le scuole causando oltre 300 vittime fra
bambini, ragazzi ed educatori, si è rinnovato due
anni fa a seguito di un nuovo fenomeno sismico;
in mezzo si è infilato nel 2016 l’uragano Mattew,
portatore di ulteriori morti e distruzioni.
Ma il miracolo è che 70 membri della congrega-
zione rimangano ancora oggi ad Haiti. Le case con
l’insegna di Don Bosco sono un rifugio per miglia-
ia di adolescenti i quali, per strada o nei bar, si tro-
verebbero a contatto con i reclutatori di spacciatori
ed estorsori. Nonostante questo, o forse proprio
per questo, gli stessi salesiani non vengono esclusi
dai rapimenti di breve durata, quelli che servono a
racimolare soldi facili in cambio del rilascio delle
vittime. Bande criminali infestano le strade, nes-
sun governo riesce a contrastarle. O – qualcuno
suggerisce – sono proprio alcuni uomini di potere
ad avvalersi di squadre armate per assicurarsi inco-
lumità e controllo dei commerci. Anche quello di
armi, che affluiscono insieme al petrolio a Port-au-
Prince, e con gli occhi chiusi della Polizia iniziano
il loro percorso per il Paese. Il potere politico, sotto
minaccia costante dei signori del crimine, non può
evolvere in senso positivo ma ne diventa necessa-
riamente complice.
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I salesiani hanno iniziato a lavorare
ad Haiti nel 1935, in risposta alla
richiesta del governo haitiano di istituire
una scuola professionale. Da allora,
hanno ampliato il loro lavoro fino ad
includere 11 centri educativi principali e
più di 200 scuole in tutto il Paese.
La presenza salesiana ad Haiti risale al 1935, quan-
do il governo di Port-au-Prince avvertì l’esigenza
di istituire un serio percorso formativo per i tec-
nici che occorrevano allo sviluppo del Paese. L’e-
sperienza educativa di don Bosco risultò essere la
risposta giusta, tanto che la prima scuola profes-
sionale ne generò gradualmente altre. Il gradimen-
to da parte della popolazione e la convenienza per
lo Stato fecero sì che nascessero anche scuole per
l’istruzione primaria e secondaria, distribuite nel-
le città di Fort-Liberté, Cap-Haïtien, Les Cayes e
Gressier oltre che nella capitale. Attualmente i sa-
lesiani sono titolari di oltre 200 plessi capillarmente
distribuiti anche nei piccoli centri, nei quali sono
coinvolti 25 500 scolari (compresi quelli dell’infan-
zia). Ci sono poi percorsi formativi per l’agricoltura
e per l’accoglienza turistica, istituti superiori per
formare insegnanti e addetti alla sanità.
Lo sguardo si è allargato a considerare i bisogni più
estesi dei giovani: sono nati così oratori, centri gio-
vanili, corsi per animatori, scuole di calcio e l’estate-
ragazzi. Negli ultimi anni i salesiani sono stati chia-
mati a condividere le emergenze delle famiglie. Uno
dei centri più significativi a questo riguardo è la
parrocchia dell’Immacolata Concezione a Drouil-
lard, un comune del dipartimento Port-au-Prince.
Qui si ebbe un piano di urbanizzazione intitolato
“Cité Soleil”, carico di molte promesse come annun-
cia il suo nome (città del sole). Oggi risulta essere
uno dei quartieri più fragili: “l’autorità statale è to-
talmente assente, molti genitori lottano per garan-
tire un pasto ai propri figli” spiegano i salesiani. La
gente sopravvive grazie agli aiuti umanitari, sacchi
di riso soprattutto, che affluiscono per il tramite dei
missionari: se ne fa garante la Fondazione intitola-
ta al beato Filippo Rinaldi che, in qualità di terzo
successore di don Bosco aveva posto i presupposti
per lo sbarco della congregazione anche nell’isola
caraibica. Don Victor Auguste, economo della Fon-
dazione, spiega: “La sfida più grande in questo pe-
riodo è l’insicurezza nel Paese, causata dall’attività
delle bande. Gran parte di Haiti è stata chiusa, ren-
dendo difficile per le persone muoversi in sicurezza.
I genitori non hanno potuto portare i figli a scuola
o partecipare ad altre attività. Siamo riusciti a di-
stribuire cibo anche alle donne anziane che vivono
nella comunità, che ne avevano bisogno”.
La sfida più
grande in
questo periodo
è l'insicurezza
nel Paese,
causata
dall'attività
delle bande.
Gran parte
di Haiti è
stata chiusa,
rendendo
difficile per
le persone
muoversi in
sicurezza. I
genitori non
hanno potuto
portare i figli
a scuola o
partecipare ad
altre attività.
Siamo riusciti
a distribuire
cibo anche alle
donne anziane
che vivono
nella comunità,
che ne avevano
bisogno.
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DON BOSCO NEL MONDO
Il miracolo
è che 70
membri della
congregazione
rimangano
ancora oggi ad
Haiti. Le case
con l’insegna
di Don Bosco
sono un
rifugio per
migliaia di
adolescenti
i quali, per
strada o
nei bar, si
troverebbero
a contatto con
i reclutatori di
spacciatori ed
estorsori.
Un pasto equilibrato serve nelle
scuole, come i quaderni e le ma-
tite: “Nel Paese, due studenti su
tre mangiano raramente a casa la
mattina prima di andare a scuola”
afferma il direttore Carius Dumé.
“Grazie ai piatti caldi distribuiti
ai ragazzi, sono migliorati anche
i tassi di frequenza alla scuola pri-
maria e al centro di formazione
professionale. La cura alimentare
ha ricadute positive sull’appren-
dimento e genera un miglioramento generale nelle
nostre scuole e per l’intera comunità”, considerato
che uno dei drammi dei genitori che si trovano in
situazioni precarie è quello di non poter garanti-
re ai figli una dieta sana e regolare. Un Paese che
potrebbe raggiungere la soglia dell’autosostenta-
mento o affacciarsi sul mercato internazionale per
lo scambio dei prodotti agricoli rimane sotto la co-
stante minaccia di carestia. Un tempo si produce-
vano ananas anche per l’esportazione, oggi il cibo
viene importato.
“Si vive di carità dall’estero” sottolinea padre Attilio
Stra. Ma si arriva al paradosso: per ritirare un contai-
ner di alimentari provenienti dagli
Stati Uniti è stato necessario paga-
re migliaia di dollari di dogana. O,
meglio, di tangente ai funzionari
che ne consentono lo sblocco prima
che la merce vada in scadenza: non
sono sufficienti le certificazioni di
provenienza e di destinazione dei
sacchi; questionari e formulari re-
golarmente compilati non bastano
a superare i blocchi dettati dalle
bande, giunte a interferire anche
sull’autorità portuale. Situazioni come queste danno
idea di quanto la corruzione e la minaccia siano pe-
netrate nella vita degli Haitiani.
Gli architetti del degrado arrivano poi a caricare
armi leggere nei container classificati come aiuti
umanitari in arrivo a Port-au-Prince, raggiungendo
il doppio scopo di rifornire il mercato della violen-
za nel Paese e di gettare discredito sulle organiz-
zazioni non governative. Tutto sembra concorrere
a strozzare la gente comune. Al confine di Stato,
la Repubblica dominicana ha schierato l’esercito
per bloccare l’ingresso sul suo territorio. Si sta co-
struendo un muro che dovrebbe impedire il passag-
gio di profughi. Solamente due volte alla settimana
le barriere si alzano per consentire, a chi può, di
recarsi ai mercati di tre piccole città di frontiera per
la provvista di verdure, frutta, cereali e l’acquisto
di prodotti industriali. Non può che derivarne una
speculazione economica della quale a fine catena
beneficiano imprese con sedi a Santo Domingo,
Taiwan, Stati Uniti, Giappone, Europa. “I prezzi
sono alle stelle, la moneta locale si svaluta”: l’osser-
vazione del salesiano è incontrovertibile.
La condizione delle famiglie preoccupa moltissimo
padre Attilio. Su 122 ragazzi che frequentano il
centro in cui lui opera, soltanto 3 trovano papà e
mamma quando rientrano a casa. “Non dico che i
genitori debbano essere sposati regolarmente – e, se
cattolici, anche in chiesa – ma che abbiano deciso
per la convivenza prima di metter al mondo un fi-
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I programmi salesiani sono presenti in tutta Haiti,
comprese le città di Port-au-Prince, Fort-Liberté,
Cap-Haïtien, Les Cayes e Gressier. Oggi i missionari
salesiani ad Haiti rappresentano la più grande fonte
di istruzione al di fuori del governo haitiano,
con scuole che forniscono istruzione a 25 500
studenti della scuola primaria e secondaria.
glio, o che il figlio li spinga a vivere sotto lo stesso
tetto”. Come in tante altre parti di mondo, la re-
sponsabilità di far crescere un neonato piccolo e ac-
compagnarlo fino all’adolescenza ricade sulla ma-
dre: ad Haiti la percentuale di donne che si trovano
sole con i figli a carico arriva al 97%. “È un vero
disastro” commenta il missionario. L’aiuto concreto
a queste famiglie spezzate può talvolta arrivare da
una zia, da una nonna, da un nuovo compagno che
accetta di condividere la fatica quotidiana.
La ricaduta sui minori è prevedibile, ancora ragaz-
zi, si avviano al consumo di droghe. “Fumano e si
iniettano di tutto. Sono disposti a compiere qua-
lunque azione che venga suggerita dagli spacciatori.
Rubano per poter pagare le dosi” racconta desolato
padre Attilio; “la priorità è guadagnarsi la giorna-
ta, non vanno certo a scuola in queste condizioni”.
Ma se anche avessero intenzione di frequentare
una classe, si troverebbero senza insegnanti: questi
vengono pagati con ritardi di sei mesi e più, oggi
non godono di alcuna garanzia. Maestri e profes-
sori vivono la condizione di tutti, hanno famiglia:
con che cuore potrebbero andare al lavoro se devo-
no cercare espedienti per poter vivere? È l’evidenza
che il nostro interlocutore ci mette di fronte.
Per una popolazione di 12 milioni di persone sono
ingaggiati 8000 poliziotti: una forza insufficiente
per controllare il territorio, soggetta al ricatto di
altre forze armate, quelle dei banditi. È facile così
che buona parte degli agenti possa preferire di es-
sere assoldata da privati, da cui ricevono stipendi
più alti e compiti più circoscritti, come quello di
fare da guardia del corpo quando un boss si deve
spostare per le strade. Contrasto allo spaccio? L’ul-
timo dei pensieri, o la prima preoccupazione per
non interferire.
Non c’è una “società civile” ad Haiti, non ci sono
basi culturali ed etiche perché questa prenda forza.
Le confessioni religiose non riescono a tessere re-
lazioni fra loro per costruire una rete di valori da
condividere con la popolazione. Il penultimo presi-
dente Jovenel Moïse venne assassinato nel 2021 ed
è difficile che persone integre accettino di rischia-
re la vita per incarnare le istituzioni repubblicane.
L’Onu tenta di imporre un po’ di normalità con le
forze armate messe a disposizione dal Brasile, ma
sembra proprio senza successo. Tutte le analisi por-
tano a considerare che non esistano vie di uscita, se
non per un “miracolo” appunto. Nel frattempo la
resilienza di padre Attilio e degli altri missionari è
l’unico dato certo.
Informazioni nel sito www.missionidonbosco.org
arindambanerjee / Shutterstock.com
La condizione
delle famiglie
preoccupa
moltissimo
padre Attilio.
Su 122
ragazzi che
frequentano il
centro in cui lui
opera, soltanto
3 trovano papà
e mamma
quando
rientrano a
casa.
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TEMPO DELLO SPIRITO
Carmen Laval
Il magico potere
della benedizione
È facile rendersi conto di quanto noi, paurosi, ansiosi, insicuri
esseri umani, abbiamo bisogno di una benedizione, di
qualcuno che ci rassicuri e ci conforti, che ci dica: «Non aver
paura, sei una bella creatura e qui tutti ti vogliono bene».
Dare una benedizione è confermare che
una persona è Amata. E più ancora, dare
una benedizione crea la realtà della quale
la benedizione parla. In questo mondo ci
sono tante reciproche ammirazioni, proprio come
ci sono tante reciproche condanne. Una benedizio-
ne va oltre la distinzione tra ammirazione e con-
danna, tra virtù e vizi, tra buone e cattive azioni. I
bambini hanno bisogno di essere benedetti dai loro
genitori e i genitori hanno bisogno di essere bene-
detti dai loro bambini. Tutti noi abbiamo bisogno
di benedirci a vicenda.
Una benedizione tocca l’originaria bontà dell’altro
e lo rassicura nel suo “essere amato”.
L’ultimo gesto di Gesù: il Vangelo di Luca si con-
clude così: «Gesù condusse i suoi discepoli verso il
villaggio di Betania. Alzò le mani sopra di loro e li
benedisse. Mentre li benediceva si separò da loro e
fu portato verso il cielo. I suoi discepoli lo adoraro-
no e poi tornarono a Gerusalemme pieni di gioia».
Papa Benedetto commenta: «Nella fede sappiamo
che Gesù, benedicendo, tiene le sue mani stese su
di noi. È questa la ragione permanente della gioia
cristiana».
La gioiosa soddisfazione della benedizione può se-
gnare la vita quotidiana.
Benedizione della tavola
La breve invocazione all’inizio di ogni pasto ricor-
da la bontà e la maternità di Dio che dimostra il suo
amore per gli esseri umani nel buon gusto del cibo.
Lo preghiamo perché alimenti la nostra salute e ci
doni la forza di portare a termine i compiti della
vita quotidiana. In questo modo si chiede anche a
Dio di sedersi a tavola con noi e di condividere la
gioia che ci tiene insieme.
E ricordare anche che Gesù si faceva presente nel
gesto di «spezzare il pane».
Benedizione della casa
«Sono a casa!»: è un sentimento fortissimo della
creatura umana che si sente protetta e sicura entro
un baluardo che la difende da ogni pericolo. Non
sono tanto i muri quanto l’amore premuroso di
quelli che abitano con lei. Nella Bibbia, Dio pro-
mette a Davide: «Sarò io a costruire a te una casa!»
e nel Vangelo di Luca, Gesù dice a Zaccheo: «Oggi
devo fermarmi a casa tua!». Benedire la casa signi-
fica proprio chiedere a Dio di proteggerla, fondarla
sull’amore e abitare in essa. La benedizione deve
rendere la casa abitabile, così che ci si dimori volen-
tieri, perché Dio stesso vi prende dimora insieme
a noi.
10
GIUGNO 2023

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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Benedizione per chi parte
Non è un augurio semplice come «Buon viaggio!»,
è invocare la protezione di Dio e dei suoi angeli
contro tutti i pericoli e le insidie del viaggiare. È
confortante ripetere alcuni versi del salmo 121: «Il
Signore veglierà su di te, proteggerà la tua vita, ti
proteggerà quando parti e quando arrivi, da ora e
per sempre».
Benedizione del mattino
e della sera
Per molti genitori è confortante pronunciare la be-
nedizione non soltanto sulla propria giornata, ma
anche sui propri figli e nipoti. Ed è bello pensare
che i propri cari non sono soli nel loro cammino ma
sono protetti dalle ali degli angeli di Dio.
«Nella benedizione della sera» scrive Anselm Grün
«ripresentiamo a Dio la nostra giornata. Pur con
tutti i conflitti e le delusioni affidiamo la giornata
a Dio, confidando nel fatto che è stata una giornata
UNA BENEDIZIONE PER TE
Il Dio buono e misericordioso ti benedica. Ti avvolga della
sua presenza d’amore e di guarigione. Ti sia vicino quando
ti alzi e quando ti corichi. Ti sia vicino quando esci e quan-
do entri. Ti sia vicino quando lavori. Faccia riuscire il tuo
lavoro. Ti sia vicino in ogni incontro e ti apra gli occhi per
il mistero che risplende verso di te in ogni volto umano.
Ti custodisca in tutti i tuoi passi. Ti sorregga quando sei
debole. Ti consoli quando ti senti solo. Ti rialzi quando sei
caduto. Ti ricolmi del suo amore, della sua bontà e dolcez-
za e ti doni libertà interiore. Te lo conceda il buon Dio, il
Padre e il Figlio e lo Spirito Santo. Amen.
benedetta, che si risolverà in benedizione per noi e
per gli altri. E nella benedizione della sera ci lascia-
mo cadere nelle mani benevole e affettuose di Dio.
Allo stesso tempo ci rammentiamo che la notte è
una metafora della morte. Non è ovvio che ci risve-
glieremo. Così la notte ci ammonisce di affidarci
con tutto ciò che esiste alle mani misericordiose di
Dio e di trovare pace in lui».
Milioni di
persone in
tutto il mondo
attendono
con vera
partecipazione
la benedizione
domenicale
del Papa.
GIUGNO 2023
11

2.2 Page 12

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L’INVITATO
Sarah Laporta
Moldavia
Vivere la missionarietà
nel quotidiano
Incontro con don Andrea Ballan.
Nato in Italia a Castelfranco Veneto, ha
studiato all’ups (Università Pontificia
Salesiana) di Roma e Torino, oltre che
all’All Hallows College di Dublino, Irlan-
da. Dal 2002 al 2017 ha vissuto a Gatchina, in
Russia, lavorando nel Centro di formazione profes-
sionale “Don Bosco”. Dopo aver trascorso tre anni
nella comunità delle catacombe di San Callisto a
Roma si è trasferito a Chisinau nella Repubblica
Moldova, dove lavora ancora oggi.
«In Moldavia
abbiamo
una sola
comunità, qui
a Chisinau.
Al momento
siamo in sei
salesiani,
tutti italiani».
Come hai conosciuto i salesiani?
Ho conosciuto i salesiani alle superiori quando ho
frequentato il Collegio “Astori” di Mogliano Ve-
neto. Sono stati i miei genitori a mandarmi dai
salesiani perché volevano un ambiente tranquillo e
una scuola seria. In quegli anni, infatti, le scuole
superiori statali erano spesso in sciopero oppure
occupate dagli studenti.
Qual è la storia della tua vocazione?
Ricordo che il nostro anziano parroco, quando
ogni quindici giorni raccoglieva tutti i bambini del
catechismo per le confessioni, ci faceva sempre pre-
gare per le vocazioni al sacerdozio e desiderava che
noi promettessimo a Gesù che, se avesse chiamato
uno di noi, gli avremmo detto di “sì”. Io quella pro-
messa la facevo ogni volta che andavo a confessarmi
ed oggi sono qui.
Ho chiesto di diventare salesiano alla fine della
quinta superiore. In verità gli anni delle superiori
non sono stati tutti rose e fiori e non tutti i salesia-
ni mi sono andati a genio. Don Bosco, però, mi ha
affascinato quando ho letto le Memorie dell’Orato-
rio e quando in seconda superiore siamo andati in
pellegrinaggio a Torino. A Valdocco mi sono sentito
interpellato da don Bosco che diceva ai giovani che
lo circondavano che, se avesse avuto un manipolo di
giovani docili come quel fazzoletto che in quel mo-
mento stava stropicciando tra le sue mani, avrebbe
potuto fare grandi cose a favore dei ragazzi.
Quando hai deciso di partire
per le missioni?
Io sono solito dire che io sono andato all’estero, più
che partito per le missioni.
12
GIUGNO 2023

2.3 Page 13

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Per me il missionario era quello con la barba lunga
e bianca che lasciava la sua patria per un Paese lon-
tano, per andare a stare in mezzo alla foresta, alla
giungla o alla savana, tra le tribù dei “primitivi”, i
serpenti e gli scorpioni. Io non mi sono mai sentito
chiamato a questo tipo di vita. Non ho mai fatto
una scelta “ad gentes” né “ad vitam”. Ho accettato
invece di andare “in trasferta”, non troppo lontano,
pro tempore”, in prestito.
Sono partito la prima volta per la Russia nel 1996.
Ero ancora studente di filosofia. L’ispettore di
Venezia non trovava un confratello da mandare a
Gatchina per accompagnare i volontari che anda-
vano ad animare le attività estive e io mi sono of-
ferto perché alle superiori avevo studiato un po’ di
russo da autodidatta e la Russia mi affascinava. Ho
continuato ad andare in Russia d’estate per tutti gli
anni della formazione e, di anno in anno, diventava
sempre più chiaro che il mio futuro era “segnato”.
Appena ordinato, nel 2002, infatti, sono partito per
Gatchina, dove sono rimasto fino al 2017, quando
ho chiesto al Rettor Maggiore di rientrare in Italia,
visto che la scuola che avevamo era stata chiusa al-
cuni anni prima e la Congregazione in Russia stava
facendo delle scelte che io non condividevo.
Come sei arrivato in Moldavia?
Lasciata la Russia, pensavo di aver finito con l’Eu-
ropa dell’Est, tant’è che non mi sono portato die-
tro neanche un libro in russo. Il mio sogno era di
andare in Medioriente perché alle superiori oltre
al russo mi ero messo a studiare un po’ di arabo.
L’ispettore di Venezia, però, quando il mio servizio
alle catacombe stava per giungere al termine, mi ha
pregato di venire in Moldavia perché qui serviva
uno che sapesse il russo. Così l’11 settembre 2020
sono arrivato a Chisinau. Qui all’inizio mi hanno
chiesto di fare il parroco, cosa che io non avrei mai
desiderato fare ma che ho accettato, e nel 2021 sono
diventato anche direttore di tutta l’opera.
Com’è strutturata la presenza
salesiana in Moldavia?
In Moldavia abbiamo una sola comunità, qui a Chi-
sinau. Al momento siamo in sei salesiani, tutti ita-
liani. Io sono il più giovane. Facciamo parte dell’i-
spettoria di Venezia (ine: Italia Nord-Est) e siamo
collegati alle altre nostre due comunità salesiane
in Romania. Ciò che ci unisce è la lingua, perché
anche in Moldavia la lingua ufficiale è il romeno,
anche se qui si parla ancora molto il russo e l’im-
«La nostra
cappella,
dedicata
a Maria
Ausiliatrice,
dal 2010 è
diventata
anche
parrocchia
a servizio
della sparuta
comunità
cattolica
locale».
GIUGNO 2023
13

2.4 Page 14

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L’INVITATO
«Don Bosco
è arrivato
in Moldavia
15 anni fa.
È possibile
dare un volto
moldavo a
don Bosco
ma credo ci
vorrà ancora
del tempo».
pronta sovietica è tuttora ben visibile ed è differente
da quella lasciata dal comunismo di Ceausescu in
Romania.
Il cuore della nostra opera è il cortile. L’oratorio
pullula di ragazzini e di giovani che vengono a di-
vertirsi nel tempo libero. Dopo lo stop dovuto alla
pandemia, a poco a poco siamo ripartiti anche con
le attività estive, i gruppi formativi e, da quest’an-
no, con il doposcuola.
Dietro l’oratorio sorge la nostra casa famiglia, dove
accogliamo fino a dieci ragazzi abbandonati che ci
vengono affidati dai servizi sociali delle varie re-
gioni della Moldavia. Per questi ragazzi noi siamo
tutto: siamo quei padri e quelle madri che non han-
no avuto, quel nido sicuro dove guarire e fortificar-
si per prendere il volo e guardare al proprio futuro
con speranza.
A fianco dell’oratorio abbiamo il laboratorio di sal-
datura dove i ragazzi dei centri di formazione pro-
fessionale statali della città vengono per le ore di
tirocinio. I centri di formazione professionale statali
moldavi, infatti, non hanno laboratori ben attrezzati
e gli istruttori, quasi tutti pensionati che continua-
no ad insegnare per passione, non sono aggiornati.
Purtroppo questo è un settore della nostra opera an-
cora in crisi perché facciamo fatica a trovare chi sia
disposto a finanziare questi corsi che invece danno
dignità ai giovani dei ceti meno abbienti ed educano
gli adolescenti a guadagnarsi onestamente il pane
con il lavoro delle proprie mani.
All’ingresso dell’opera svetta il piccolo campanile
della nostra cappella, dedicata a Maria Ausiliatrice,
che dal 2010 è diventata anche parrocchia a servi-
zio della sparuta comunità cattolica locale.
Con lo scoppio della guerra in Ucraina, parte dei
locali del nostro centro sono stati destinati all’acco-
glienza di chi scappava (e continua a scappare) dalle
bombe. Ad oggi, più di 500 persone hanno trovato
rifugio da noi. Alcuni solo per pochi giorni, altri,
invece, per periodi più lunghi.
Infine, dal 2021 il Vescovo ci ha affidato una se-
conda parrocchia, a Crezoaia: un piccolo paesino
di campagna, a 28 km di distanza da Chisinau,
abitato da circa 200 persone, dove le suore fondate
dal beato Edmund Bojanowski gestiscono già da
20 anni un asilo e un doposcuola.
È possibile dare un volto moldavo
a don Bosco?
Don Bosco è arrivato in Moldavia 15 anni fa. È pos-
sibile dare un volto moldavo a don Bosco ma credo ci
vorrà ancora del tempo. Per ora don Bosco sta assu-
mendo sembianze più laicali che consacrate. Ad oggi
non abbiamo nessun salesiano moldavo. Abbiamo
però una salesiana cooperatrice che ha conosciuto i
salesiani ed ha fatto la sua promessa a Mosca dove si
era trasferita per lavoro diversi anni fa.
14
GIUGNO 2023

2.5 Page 15

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Io credo che don Bosco si stia incarnando nei nostri
animatori. Sono loro che, crescendo, stanno assi-
milando i tratti caratteristici di don Bosco e del suo
Sistema preventivo. Oggi noi iniziamo a vedere i
primi lupi del sogno dei 9 anni di don Bosco diven-
tanti agnelli che si stanno trasformando in pastori e
questo ci riempie di gioia. Io credo che questi nostri
animatori, imbevuti di valori cristiani e buone pra-
tiche salesiane, sapranno essere in un futuro prossi-
mo bravi genitori oltre che onesti cittadini.
Come sono i giovani?
Che cosa sognano?
I giovani moldavi sono un universo variegato. Tra
loro ci sono quelli che, sostenuti dalle loro famiglie,
si impegnano nello studio, coltivano i loro interes-
si frequentando scuole sportive, di musica, d’arte,
ecc., fanno progetti per il futuro. Ci sono poi quelli
che, invece, lasciati a se stessi, passano il tempo a
giocare con il telefonino o a bighellonare con gli
amici, vivendo alla giornata. Non mancano, infine,
i giovani con comportamenti devianti che vanno a
nutrire il mondo della criminalità.
Anche qui noi vediamo come la pandemia abbia
inciso negativamente sulla vita dei giovani: mesi
e mesi di scuola online e di confinamento in casa
hanno lasciato un segno profondo nella loro psiche.
Molti si sono immersi nel mondo virtuale, fino a
diventarne succubi, e ora fanno fatica a staccarsene
e a fare i conti con la realtà.
Tra i sogni che i giovani moldavi nutrono, direi
che uno dei più comuni, purtroppo, è quello di
trasferirsi all’estero. Molti non vedono un futuro
per sé in Moldavia, anche a motivo della corruzione
che ancora dilaga nella pubblica amministrazione,
favorita da leggi draconiane e da una burocrazia
anchilosata.
Molti, infine, sono abbagliati dal mito dell’Occi-
dente, dal lusso sfrenato che il web veicola, dal mi-
raggio del colpo di fortuna a portata di mano che
ti esime da una vita fatta di sacrifici quotidiani e
piccoli successi.
Quali sono le sfide più rilevanti
per la vostra presenza in Moldavia?
Le sfide da affrontare in Moldavia sono molte, so-
prattutto per un’opera come la nostra ancora giova-
ne (l’opera è stata inaugurata nel 2007). Nonostante
siamo nella capitale e nonostante la forte emigrazio-
ne in Europa, una accentuata diffidenza verso gli
stranieri e in particolare verso i cattolici è ancora
palpabile non solo tra la gente semplice ma anche
tra il clero ortodosso e le autorità civili. Questo con-
tinuo sospettare della bontà delle nostre intenzioni,
del nostro desiderio di aiutare i giovani senza cerca-
re il nostro tornaconto, è davvero avvilente.
Hai qualche progetto che ti sta
particolarmente a cuore per il futuro?
Un progetto che mi sta particolarmente a cuore è
la costruzione di una scuola primaria e seconda-
ria. Una scuola salesiana, cattolica ed ecumenica.
Io credo che se vogliamo consolidare la presenza
di don Bosco in Moldavia dobbiamo puntare sulla
scuola. La scuola, a mio avviso, darebbe maggio-
re visibilità alla nostra opera e sigillerebbe il patto
educativo con quelle famiglie disposte ad affidarci i
loro figli per un cammino di crescita umana di 9/12
anni.
«A fianco
dell’oratorio
abbiamo il
laboratorio
di saldatura
dove i ragazzi
dei centri di
formazione
professionale
statali della
città vengono
per le ore di
tirocinio».
GIUGNO 2023
15

2.6 Page 16

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LE CASE DI DON BOSCO
Orazio Moschetti
25 anni della scuola
superiore di bioetica e
sessuologia di Messina
Incontro con don Gianni Russo direttore e anima dell’Istituto.
Puoi presentarti?
anni, poi direttore di una comunità salesiana qui
Sono un salesiano di don Bosco, felice della mia a Messina, ora sono rientrato come preside (adesso
vocazione. Non smetto di ringraziare Dio per aver- chiamato direttore); sono anche responsabile della
mi chiamato, perché Lui è sempre vivo in me e mi rivista “Itinerarium”. 25 anni fa, in sintonia con la
riempie della Sua gioia e della Sua misericordia e Chiesa (enciclica Evangelium vitae sulla bioetica),
mi spinge a condividere la straordinaria esperienza sentendo le nuove sfide all’uomo, alle famiglie e ai
dello stare con Cristo. L’incontro con don Bosco e giovani, ho dato origine a un corso biennale post
con i salesiani ha avviato dentro di me la passione laurea in bioetica e sessuologia.
per la bellezza della vita e mi ha spinto a guarda- Dal 2006 sono membro della Pontificia Accademia
re con positività il mondo in cui vivo. Sento nel per la vita, con nomina del Santo Padre Benedetto
più profondo di me stesso che la vita è il XVI.
più grande dono e che Dio è lì dentro,
primo animatore, pronto a sostenermi Scuola Superiore di Bioetica
quando sono incerto nel cammino. e Sessuologia
Don
Gianni
I Superiori, dopo la prima formazione L’Istituto Teologico, sorto a Messina nel 1932, è
Russo.
e l’ordinazione sacerdotale, mi hanno nella sede attuale dal 1966-67, anno in cui ai sale-
mandato a completare i miei siani si sono uniti l’arcidiocesi di Messina e i Cap-
studi di teologia morale e puccini. Dal 1969 rilascia gradi accademici. Un’e-
di bioetica prima a Roma sperienza di oltre mezzo secolo, percepita come
e poi negli Stati Uniti. esperienza di comunità, di Chiesa, di sinodalità.
Dal 1993 sono docente di Da qui sono uscite schiere di salesiani provenienti
queste materie presso l’I- da tutti i continenti (anche oggi), preti, religiosi e
stituto Teologico S. Tom- religiose a servizio delle diocesi e dei carismi del-
maso, centro universita- le congregazioni, un numero considerevole di laici
rio aggregato alla Facoltà che insegnano religione e che assimilano lo stile
di Teologia dell’Univer- educativo di don Bosco, vescovi provenienti dal cle-
sità Pontificia Salesiana. ro secolare o religioso: ultimo monsignor Salvatore
Sono stato preside per sei Rumeo, nostro catecheta, eletto vescovo di Noto.
16
GIUGNO 2023

2.7 Page 17

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Chi sono gli operatori?
Gli operatori dell’Istituto Teologico siamo tutti,
cioè la comunità accademica, un bel popolo di ol-
tre 300 persone, di cui 60 docenti (uomini e donne,
anche la mia vice è una donna). Offriamo diversi
gradi accademici: Baccalaureato e Licenza in Teo-
logia (con specializzazione Catechetica); Diploma
di Teologia pastorale; Diploma di Pastoral counsel-
ling; Diploma in Catechesi liturgica, Musica, Arte
sacra e Turismo religioso; Diploma in Formazione
Teologica al Diaconato Permanente; Diploma in
Formazione Teologica ai Ministeri Istituiti; Corso
di Perfezionamento base in Teologia pastorale del
matrimonio e della famiglia. Nella Scuola Superiore
di Specializzazione in Bioetica e Sessuologia il Di-
ploma di specializzazione in bioetica e sessuologia.
Sicilia e Calabria, laici che si preparano a
insegnare religione. Nella Scuola di Bioe-
tica, invece, sono medici, biologi, giuristi,
veterinari, esperti di ecologia e ambiente e,
soprattutto, insegnanti. A tutti offriamo la
gioia dello stile accogliente e positivo di don
Bosco.
L’Istituto Teologico,
sorto a Messina
nel 1932, è nella
sede attuale dal
1966-67, anno in cui
ai salesiani si sono
uniti l’arcidiocesi
di Messina e i
Cappuccini. Dal
1969 rilascia gradi
accademici.
E chi sono gli allievi?
Gli allievi dell’Istituto Teologico sono salesia-
ni e altri religiosi (Francescani vari, Camilliani,
Rogazionisti, …), seminaristi di varie diocesi di
GIUGNO 2023
17

2.8 Page 18

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LE CASE DI DON BOSCO
Studi e ricerche
Oltre la didattica, pubblichiamo studi e ricerche
nelle nostre diverse collane e nelle due riviste scien-
tifiche, “Itinerarium” e “Catechesi - Nuova serie”;
offriamo ogni anno un numero significativo di
eventi formativi e convegni. Certamente la nostra
teologia non è arroccata su un colle (dove ci trovia-
mo), ma mantiene un dialogo aperto e costruttivo
con la città e con le aree circostanti di Sicilia e Ca-
labria.
Similmente la Scuola Superiore di Bioetica e Ses-
suologia (didattica, pubblicazioni, eventi, consu-
lenze), che in questi 25 anni ha formato oltre 1000
professionisti e che è un seme significativo nella
società. Abbiamo offerto alla Chiesa e alla società
nel 2004 una corposa Enciclopedia di Bioetica e
Sessuologia (edizioni Elledici, Velar, Cic), rinno-
vata nel 2018 con l’aggiunta di 118 voci nuove. È
un’istituzione dallo stile “dialogico”, aperto a co-
loro che provengono da impostazioni di pensiero
diverse, ma è chiaro l’indirizzo salesiano cattolico;
anche protestanti o islamici seguono i 4 corsi di teo­
logia cattolica: è una bella esperienza di fraternità.
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GIUGNO 2023

2.9 Page 19

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Quali sono i piani per il futuro?
Continuare a seminare, a dialogare, a seguire con
interesse la Chiesa, il papa, il magistero dei vescovi,
la società e le nuove frontiere della scienza. Cristo è
un volto sempre luminoso e una mano tesa a tutti:
collaboriamo costruttivamente. Per il resto siamo
docili ai Superiori che hanno il compito di indiriz-
zare i nostri percorsi e le nostre offerte formative.
Noi guardiamo il territorio, i bisogni, ascoltiamo le
chiese locali e cerchiamo di dare il nostro contri-
buto. Come don Bosco sappiamo di poter far
leva sulle energie positive di ogni uomo.
Nella Scuola di
Bioetica, gli allievi
sono medici,
biologi, giuristi,
veterinari, esperti
di ecologia e
ambiente e,
soprattutto,
insegnanti. A
tutti offriamo la
gioia dello stile
accogliente e
positivo di don
Bosco.
GIUGNO 2023
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2.10 Page 20

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L’ULTIMA FATICA DI DON BOSCO
Guido Novella
La Basilica del
Sacro Cuore
di Roma
Papa Leone XIII aveva chiesto
aiuto a tutti, ma la Chiesa dedicata
al Sacro Cuore era ferma alle
fondamenta. «C’è un solo uomo
capace di portarla a termine»
gli disse il cardinale Alimonda.
«Chi?» «Don Bosco». Fu la sua
ultima immane fatica e gli costò
lacrime e sangue.
La grande
statua di Gesù
regalata dagli
exallievi.
Nella zona dove sorge l’odierna Basilica del
Sacro Cuore esistevano nell’antichità due
complessi monumentali dell’epoca im-
periale: il Castro Pretorio e le Terme di
Diocleziano.
Il primo – Castra Praetoria – era la grandiosa ca-
serma delle guardie imperiali, costruita nel 21-23
d.C. dal prefetto Elio Seiano, il potente ministro
dell’imperatore Tiberio.
Miglior fortuna ebbe il complesso monumenta-
le delle Terme, costruite tra il 298 e il 306 d.C.
dall’imperatore Diocleziano, noto per la feroce
persecuzione contro i cristiani.
Bisogna arrivare fino al 1860 per trovare un avve-
nimento di decisiva importanza per tutta la zona:
la deliberazione del governo Pontificio di Pio IX di
costruirvi una stazione ferroviaria, inaugurata nel
1863 come Stazione Centrale delle Ferrovie Ro-
mane e che, per la vicinanza con le antiche Terme
di Diocleziano, diventerà nota con il nome attuale
di Stazione Termini. Questo avvenimento sconvol-
se la vita tranquilla e agreste della zona. Le ville
scomparvero e sorse una nuova area urbana.
Il 10 settembre 1870, pochi giorni prima della
breccia di Porta Pia, Pio IX inaugurò il nuovo ac-
quedotto dell’Acqua Marcia (costruito dai Romani
nel II sec. a.C. e caduto in disuso nel V sec. d.C.).
Negli anni successivi il quartiere Esquilino, che si
stava sviluppando intorno alla stazione Termini,
divenne il ritrovo di avventurieri, ambulanti e mi-
granti in cerca di lavoro.
20
GIUGNO 2023

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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L’impresa di don Bosco
Papa Pio IX aveva fatto acquistare un terreno sulla
strada allora denominata Via di Porta San Loren-
zo (l’odierna via Marsala) con l’intenzione di farvi
edificare una chiesa da dedicare a san Giuseppe
“Patrono della Chiesa universale”. In quegli anni
però si va affermando, soprattutto in Francia e in
Italia, un forte movimento di devozione al Sacro
Cuore di Gesù. Pio IX modifica il suo progetto e
accetta che il nuovo tempio sia dedicato al Sacro
Cuore.
La costruzione della chiesa si ferma già allo stadio
delle fondamenta, per mancanza di fondi e per di-
sorganizzazione interna. Il nuovo pontefice Leone
XIII è affranto per l’insuccesso: il cardinale Ali-
monda gli suggerisce allora di incaricare dell’im-
presa don Bosco, di cui sono ben note al Papa l’in-
traprendenza e l’incondizionata obbedienza.
Il 5 aprile 1880 Leone XIII incarica don Bosco
di assumere la responsabilità del progetto,
specificando di non avere fondi da affidargli: il
sacerdote piemontese accetta, ponendo quale unica
condizione la possibilità di ampliare il cantiere per
affiancare alla costruenda chiesa “un grande ospizio,
dove insieme possano essere accolti in convitto, e avviati
alle scuole e alle arti e mestieri, tanti poveri giovani,
che abbondano, specialmente in quel quartiere”. Per
questa ragione venne acquistato un terreno limitro-
fo di 5500 metri quadrati.
L’edificazione della chiesa costa enormi fatiche e
sacrifici all’anziano don Bosco, ma procede con sor-
prendente speditezza. In più occasioni i fondi a di-
sposizione si prosciugano, ma don Bosco ordina di
non interrompere i lavori: in quei momenti giungo-
no nei modi più inaspettati donazioni che coprono
i debiti e consentono la continuazione del progetto.
Il 20 aprile 1887, don Bosco compie il suo ultimo
viaggio da Torino a Roma: incontra nuovamente
papa Leone, che lo elogia per l’impresa compiu-
ta e lo rincuora con affetto. Il 14 maggio 1887 la
Chiesa del Sacro Cuore al Castro Pretorio viene
solennemente consacrata.
Il 16 maggio 1887 don Bosco
stesso celebra Messa all’altare
di Maria Ausiliatrice: sarà la
sua unica celebrazione nella
chiesa del Sacro Cuore. Nel
1921, papa Benedetto XV
dichiara il Tempio del Sacro
Cuore Basilica Minore.
La facciata
Il materiale utilizzato è il tra-
vertino di Tivoli. La parte
inferiore è divisa in tre scom-
parti corrispondenti ai tre
portali d’ingresso (realizzati
dai falegnami di Valdocco),
mentre nella parte superiore vi
è un unico settore “mosso” da
una elegante trifora. La parte più alta termina con
un timpano triangolare ai cui lati sono posti due
angeli di Angelo Benzoni che guardano la croce.
Al centro si trova lo stemma di Leone XIII. Sul
ripiano a sinistra è posta la statua di sant’Agostino,
a destra la statua di san Francesco di Sales. I tre
portali sono sormontati da tre lunette con mosaici,
che raffigurano al centro il Sacro Cuore, a sinistra
san Giuseppe e a destra san Francesco di Sales.
La facciata
della Basilica.
GIUGNO 2023
21

3.2 Page 22

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L’ULTIMA FATICA DI DON BOSCO
L’altare
maggiore.
Il campanile
In travertino di Tivoli, è rimasto incompiuto fino
al 1931. Si presentava come una massiccia torre
quadrata, in contrasto con le forme slanciate del
complesso. Uno dei due piani superiori alloggia 5
campane. Nel 1929, don Bosco fu dichiarato beato
da papa Pio XI. Per l’occasione, gli ex allievi argen-
tini vollero regalare una grande
statua del Sacro Cuore in segno di
riconoscenza per le missioni sale-
siane in Argentina. La statua, alta
6,50 metri e del peso di 16 quinta-
li, è di rame sbalzato e cesellato a
mano e dorato a foglie di oro zec-
chino. La statua, malamente restaurata negli ultimi
anni del secolo XX, è stata “ridorata” nel 2008.
Interno della Basilica
L’interno della Basilica è pari, per solennità e
decoro, all’esterno. Nelle pareti, sopra gli archi sor-
retti da 8 colonne monolitiche di granito di Baveno
(Novara), Cesare Caroselli ha di-
pinto 12 profeti.
Nel soffitto, Virginio Monti ha
dipinto 4 episodi che illustrano
la misericordia di Dio: Gesù e la
Samaritana, Gesù tra i fanciulli,
Gesù e l’adultera, il figliol pro-
digo. Al centro abbiamo il Sacro
Cuore, opera in legno dorato di
Andrea Bevilacqua.
Sulle pareti del transetto sono dipinti 8 apostoli con i
4 evangelisti. Al centro degli archi, due tondi con
Gesù che istitui­sce l’Eucarestia e Gesù Buon Pa-
store. Nel soffitto, Annunciazione e Natività ad
opera di Virginio Monti e al centro il primo stem-
ma della Congregazione Salesiana, voluto da don
Bosco.
Altare Maggiore
È composto di 4 colonne di marmo con capitelli
corinzi dorati; in alto un timpano triangolare con
una colomba, simbolo dello Spirito Santo. Al
centro, in un riquadro di marmi preziosi, la tela
con l’immagine del Sacro Cuore, ispirata alla terza
visione di santa Maria Margherita Alacoque. Gli
ornati marmorei provengono dalla basilica di San
Francesco a Siena.
Altare di San Giuseppe
In origine si trovava nel Coro e veniva utilizzato
per le celebrazioni parrocchiali che si svolgevano
nel Coro poiché il corpo centrale era ancora in co-
struzione. Don Bosco volle questo altare per ricor-
dare che la chiesa, nei progetti di Pio IX, doveva
essere dedicata a san Giuseppe. La tela è di Giu-
22
GIUGNO 2023

3.3 Page 23

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seppe Rollini, exallievo di don Bosco a Valdocco.
San Giuseppe ha accanto la Vergine Maria, Gesù
Bambino in braccio e, con la mano destra distesa,
protegge la basilica di San Pietro, offerta da un an-
gelo genuflesso.
Altare di Maria Ausiliatrice
Fu donato dal principe Torlonia, sindaco di Roma,
che lo fece trasportare dalla sua Villa sulla Nomen-
tana. È composto da due colonne di marmo con
capitelli corinzi sormontate da un timpano spez-
zato con il monogramma di Maria Ausiliatrice al
centro. La tela è opera di Giuseppe Rollini, come
risulta dalla firma e dalla data apposte nell’angolo
in basso a destra. Il pittore ricevette suggerimen-
ti da don Bosco sulle modalità d’impostazione del
quadro: Maria Ausiliatrice con il diadema di regina
sul capo, con la destra stringe uno scettro e con la
sinistra sostiene il Divin Figlio, anch’egli incoro-
nato. Don Bosco, il 16 maggio 1887, vi celebrò la
Messa, l’unica celebrata nel tempio: si interruppe
molte volte con un pianto a dirotto. Tornato in sa-
crestia disse al segretario di aver capito quello che
nel sogno di nove anni gli aveva detto la Madonna:
“A suo tempo tutto comprenderai”.
La cupola
Il vasto presbiterio è sormontato da una cupola con
occhio centrale e lanternino. Alla base della cupo-
la, tra questa e i pennacchi, si legge su una fascia
azzurra con caratteri dorati la scritta: “Ibi cunctis
diebus oculi mei et cor meum” (“Qui tutti i giorni i
miei occhi e il mio cuore”). La parola “cor” sovra-
sta l’altare maggiore per accentuare la centralità del
Sacro Cuore. Gli affreschi della cupola sono il ca-
polavoro di Virginio Monti e si riferiscono al trion-
fo del Sacro Cuore. Al centro campeggia, su un
trono di luce, la figura del Redentore che mostra
alla confidente santa Maria Margherita Alaco-
que, anch’essa in gloria, il suo cuore pieno d’amo-
re. Accanto, in atto di umile adorazione, la beata
Caterina da Racconigi, cui Gesù diede prove del
suo umile amore. Da
una parte e dall’altra
di questo gruppo cen-
trale, angeli recanti
simboli della passione
e inneggianti su cetre
d’oro al cuore di Gesù.
Via via poi, nel resto
della fascia affrescata
san Francesco di Sa-
les, santa Margherita,
santa Teresa, san Ber-
nardo, sant’Agostino,
san Francesco d’As-
sisi, santa Gertrude,
san Bernardino da
Siena, san Luigi Gon-
zaga e schiere di beati
adoranti. Nei quattro
pennacchi della cu-
pola, Cesare Carosel-
li affrescò Davide e i
profeti maggiori.
Il quadro di
San Giuseppe
e quello
di Maria
Ausiliatrice.
GIUGNO 2023
23

3.4 Page 24

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SALESIANI
Fabio Cortesi
Occhi azzurri
sull’Angola
Luigi de Liberali,
per tutti don Gigetto,
salesiano, 70 anni
portati benissimo nel
fisico e nella mente,
è in Angola da 14
anni, dopo una lunga
esperienza in Brasile.
La lingua, il portoghese, è la stessa, ma le cul-
ture e le realtà sociali e politiche sono diverse.
In comune, questi due paesi, hanno ricchez-
ze naturali enormi ed enormi ingiustizie.
Sulla schiena delle donne
L’Angola, 33 milioni di abitanti in un territorio
grande quattro volte l’Italia, ha petrolio, diamanti,
miniere, legname pregiato, ma l’acqua potabile in
casa è un lusso, la scolarizzazione si ferma prevalen-
temente ai primi tre anni di studio, la sanità è riser-
vata a chi può pagarsela, la gestione delle fogne e dei
rifiuti è molto limitata. Pensano le piogge a scaricare
quanto si trova nelle strade e a portarlo all’oceano. Ci
sono strutture, macchinari, ci sono nuovi edifici, ma
non ci sono abbastanza tecnici per far funzionare i
servizi e non ci sono abbastanza soldi per la maggior
parte della popolazione. I medici sono prevalente-
mente cubani e qualche russo; i cinesi, nuovi colo-
nizzatori dell’Africa, realizzano molte infrastrutture
commissionate e pagate dal governo, ma finalizza-
te al loro profitto. Le università sono per pochi. La
struttura familiare è caratterizzata dal peso quasi
esclusivamente caricato sulle spalle delle donne: c’è
una poligamia di fatto, permessa dalla legge e gli zii,
i parenti, divengono figure di riferimento. Le donne
hanno cura dei figli, pensano al cibo, trovando qual-
cosa giorno per giorno tornando dal lavoro.
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GIUGNO 2023

3.5 Page 25

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In Angola la comunicazione è sotto stretto control-
lo: dopo un anno la guerra in Ucraina non è nelle
informazioni della tv pubblica. La politica è con-
trollata da chi ha le leve finanziarie e militari.
Ci sono tanti giovani, la vita media è bassa per le
malattie che falcidiano, in assenza di igiene e di
cure, gli anziani ma anche tanti bambini. Malaria,
verminosi, aids colpiscono le persone diffusamen-
te, assieme ad altre patologie.
I salesiani
Ci sono i salesiani: gli stranieri sono 25, 120 sono
Angolani, la maggior parte giovani in formazione.
Operano in tredici comunità: in parrocchie, centri
giovanili, scuole, centri di formazione professiona-
le, raccogliendo i ragazzi di strada abbandonati e
senza una famiglia.
La fede cristiana è testimoniata e diffusa dai pre-
sbiteri, ma soprattutto dai catechisti, che la dome-
nica riuniscono le comunità per celebrare e pregare.
Ad ogni parrocchia corrispondono molte comunità
da animare. Le donne sono l’anima della vita ec-
clesiale, con il canto, l’accoglienza, l’animazione
delle celebrazioni liturgiche, la danza, il servizio,
la festa...
La maggior parte delle famiglie lotta ogni giorno
per la sopravvivenza, a fronte di una minoranza che
gode delle rendite derivanti dalle concessioni statali
per le materie prime. Uno dei lavori più diffusi nel-
le città è la vigilanza: le case di chi sta meglio sono
costantemente presidiate per evitare razzie. Molti
sono anche impiegati nelle strutture statali o com-
merciano informalmente, in tutti i modi, od opera-
no nei trasporti, utilizzando spesso mezzi di altri.
In Angola ci
sono tanti
giovani, la
vita media è
bassa per le
malattie che
falcidiano,
in assenza
di igiene e
di cure, gli
anziani ma
anche tanti
bambini.
GIUGNO 2023
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3.6 Page 26

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SALESIANI
“Cosa
sarebbe la
Chiesa in
Angola senza
la presenza
di don Bosco,
dei Salesiani
e delle Figlie
di Maria
Ausiliatrice?”
(Monsignor
Valenzuela).
Fuori città, quasi tutti coltivano povera-
mente piccoli appezzamenti di terre-
no, dai quali ricavano alimento e
sostentamento familiare.
Il cristianesimo è molto dif-
fuso, ma convive con una
cultura magica, con la
convinzione che malattie
e morte derivino non da
cause naturali ma dal
malocchio inviato da qualche persona. Per rime-
diare alle maledizioni la gente si rivolge a indovini,
stregoni, che, con adeguato pagamento, effettuano
riti e indicano i colpevoli.
Nell’incontro che don Gigetto ha avuto nella par-
rocchia di San Domenico Savio di Verona, sono
state fatte alcune domande: “Come si può uscire
da questa assurda situazione dove un’enorme ric-
chezza naturale coincide con miseria sociale, in-
giustizia, malattia? Come vincere la superstizione?
Come possono gli altri aiutare gli Angolani?”
Gli occhi azzurri del missionario salesiano sono di-
ventati ancora più brillanti, le braccia si sono aper-
te nell’accettazione di una realtà, per manifestare
speranza, ma anche bisogno di tanto
tempo per far crescere compe-
tenze e cultura. La risposta ai
quesiti è stata una sola pa-
rola: educazione. Educare
alla conoscenza, a leggere
e scrivere, alla passione
per lo studio, ai principi
di giustizia ed ai valo-
ri dell’umanità, ad una
professione. Educare alla fede cristiana, dare stru-
menti anche semplici, penne e quaderni, testi per
l’evangelizzazione, perché questa va di pari passo
con l’emancipazione sociale. Educare, ma anche
tanta pazienza, senza la pretesa di imporre tempi
e modelli, offrendo possibilità di riscatto, occhi
nuovi e cuori nuovi, l’abbraccio ai ragazzi abban-
donati, il sostegno ai tanti animatori laici delle co-
munità che divengono esempio anche per noi, per
le nostre terre, dove è finito il tempo della delega
dell’evangelizzazione e della testimonianza ai soli
consacrati. Il Signore benedica don Gigetto che lo
testimonia con un sorriso, una forza serena che di-
sarma.
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GIUGNO 2023

3.7 Page 27

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Il Museo Casa Don Bosco è la
storia di una grande avventura
educativa, a partire da quei
primi ragazzi a cui don Giovanni
Bosco ha offerto una casa,
una scuola, un’educazione,
un futuro. Quell’anima
profonda è custodita e resa viva
nel racconto di quella storia
e nella proposta di percorsi
educativi che, attraverso
l’esperienza museale interattiva,
possono offrire opportunità
di crescita e di apprendimento.
www.basilicamariaausiliatrice.it

3.8 Page 28

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LA STORIA CONTINUA
Giampietro Pettenon
Il primo ospizio
costruito da don Bosco
La facciata
del Museo
Casa don
Bosco e
l’attuale casa
Pinardi (Foto
Mike Pace).
T rascorsi solo pochi giorni dall’inaugurazio-
ne della chiesa di San Francesco di Sales,
don Bosco nell’estate del 1852 inizia la co-
struzione del campanile stretto fra la chie-
sa e casa Pinardi e, dalla parte opposta della casa,
innalza un nuovo fabbricato. È l’edificio che ancora
oggi vediamo: inizia dalla scala centrale del museo
e, con un angolo di novanta gradi, forma un’ala pa-
rallela alla chiesa di San Francesco di Sales.
Se a occidente di casa Pinardi don Bosco usa tut-
to il terreno a disposizione per costruire la chiesa
di San Francesco di Sales fino al confine con la
proprietà di casa Bellezza, ad oriente usa tutto il
terreno disponibile per costruire il primo ospizio
fino al confine con casa Filippi.
Così come appartiene al genio di don Bosco la no-
vità di collocare un piano interrato sotto le chiese,
anche le caratteristiche di questa costruzione dico-
no molto del santo.
L’edificio, di dimen-
sioni notevoli rispetto
all’adiacente casa Pi-
nardi e con all’interno
sale capienti e lumino-
se, all’esterno mantiene
l’aspetto di una tipica
casa di ringhiera.
La logica distributiva
degli spazi interni non
prevede un corridoio
di collegamento fra le
stanze. Salendo le scale
si accede ai locali tra-
mite il piccolo e stretto
ballatoio esterno, che permette di essere percorso
da una persona alla volta. Evidentemente don Bo-
sco non intende costruire un collegio o un convento
per i suoi ragazzi, ma una casa. E il ballatoio ha
proprio il sapore di casa.
Tutto l’edificio è interessato da un piano interrato
con saloni ad uso civile (refettori e laboratori).
Il piano terra è caratterizzato da un ampio porti-
cato sul lato esposto a sud. Questa è un’altra novità
introdotta da don Bosco nelle sue opere, e da allora
ogni casa salesiana si caratterizza per la presenza di
un porticato.
Il portico è contaminazione fra interno ed esterno:
è la casa che si apre al cortile ed è il cortile che entra
in casa. È un luogo da vivere tutti i giorni dell’an-
no: quando piove ripara dalla pioggia e quando c’è
il sole fa ombra.
Per don Bosco gli spazi hanno tutti una funzione
educativa paritetica: la camera, il refettorio, l’au-
la scolastica, il laboratorio, la chiesa, il cortile e il
porticato… tutto serve e tutto viene valorizzato in
chiave educativa. Egli assegna una nuova funzione
al portico, che fin dal medioevo viene usato con
diverse destinazioni.
A Bologna i caratteristici portici – bassi e stretti
– avevano una vocazione produttiva. Erano l’espan-
sione della bottega dell’artigiano che poteva così la-
vorare all’aperto con più aria e più luce.
Nella Torino dei Savoia – che aspirano a farne la
capitale del Regno d’Italia – i portici, ampi ed ele-
ganti, hanno una vocazione ludica e commerciale.
Sono dedicati al passeggio dei nobili e della corte
reale e servono per ammirare le merci che i negozi
espongono in vetrina.
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GIUGNO 2023

3.9 Page 29

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Nell’Oratorio di Don Bosco il
portico assume una vocazione
squisitamente educativa: è luo-
go di incontro conviviale, è area
di gioco da usare tutti i giorni
in qualsiasi condizione atmo-
sferica perché protetta, è luogo
di preghiera e di formazione.
Nel portico dell’Oratorio, don
Bosco durante i mesi estivi ra-
duna i suoi ragazzi alla sera per
la preghiera e il pensiero della
“buona notte”; tutti rivolti verso
la piccola edicola dell’Ausilia-
trice che sta sul muro del campanile e con la cattedra
della buona notte accanto al terzo pilastro a sinistra
di chi guarda (il calco in bronzo collocato nella po-
sizione originale ci trasmette la sensazione di essere
in una chiesa).
Ultimo elemento caratteristico di questo fabbricato
sono gli abbaini del sottotetto, una tradizione tori-
nese che viene dalla vicina Francia. Nel sottotetto
dei palazzi del centro città c’erano le stanze della
servitù, a Valdocco invece negli abbaini che vedia-
mo sul lato a sud, avevano la loro cameretta i primi
salesiani. Guardando dal cortile, l’abbaino che sta
proprio sopra la scala centrale era della camera del
chierico Michele Rua, il secondo abbaino a destra
era di Giovanni Cagliero e l’ultimo prima che il
fabbricato faccia angolo era di Giovanni Battista
Francesia. Ora questi locali del sottotetto non sono
stati interessati dal restauro e dalla conversione di
tutto l’immobile a museo. Restano un sottotetto, in
attesa di essere in futuro valorizzati…
Come dicevamo sopra, la costruzione di questo
primo ospizio inizia subito dopo aver inaugurato la
chiesa di San Francesco di Sales (20 giugno 1852).
A dicembre la costruzione è a buon punto ma un
periodo di piogge ininterrotte senza che il fabbri-
cato abbia raggiunto il tetto – con i muri freschi di
malta esposti alla pioggia – provoca una rovinosa
caduta delle pareti tanto che il municipio di Tori-
no interviene ed impone a don
Bosco di interrompere i lavori
fino a quando non sia termi-
nata la stagione invernale.
Nei lavori di restauro abbiamo
avuto prova della causa di que-
sto crollo. Asportando l’into-
naco completamente degra-
dato del primo refettorio dei
ragazzi, che si trova nel piano
interrato nell’ampio locale che
sta sotto il porticato, abbiamo
visto la qualità dei materiali da
costruzione.
C’è di tutto in quel muro perimetrale: ciottoli di
fiume di diverse grandezze (don Bosco, scarso di
mezzi, andava con i ragazzi nel vicino corso del
fiume Dora e della Stura con il carretto a portare
a casa i ciottoli che servivano ai muratori), mattoni
di argilla, pezzi di pietra, scarti di altro materiale
edile.
Impressiona davvero vedere questo insieme variega-
to di forme e materiali tenuti insieme da una malta
povera di cemento. Quella parete ora visibile nella
sua nudità era in origine intonacata. Nel lavoro di
restauro abbiamo scelto, con l’architetto direttore dei
lavori, di lasciarla esposta alla vista del visitatore per
ricordare il fatto del crollo avvenuto in fase di co-
struzione, l’estrema povertà degli inizi dell’oratorio e
la tenacia con cui don Bosco stava realizzando il suo
sogno: dare una casa ai poveri ragazzi.
Ancora una volta don Bosco è veloce nella costru-
zione; a ottobre del 1853 l’edificio è completato e
subito le sue sale e le camere si animano di vita e
di ragazzi che crescono di numero ogni giorno che
passa.
Il campanile della chiesa
di San Francesco di Sales
Nel medesimo tempo in cui cresceva il fabbricato
del primo ospizio, fra la chiesa e la vecchia casa Pi-
nardi, don Bosco fa erigere il campanile che ancora
Il portico
della
preghiera
e delle
“buonenotti”.
GIUGNO 2023
29

3.10 Page 30

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LA STORIA CONTINUA
Il campanile
della chiesa
di San
Francesco di
Sales.
oggi vediamo; piccolino ma elegante, proporziona-
to nelle dimensioni alla attigua chiesa di cui è il
completamento.
Anche al campanile don Bosco assegna un compi-
to, e in questo ha lo sguardo proiettato al futuro. La
torre campanaria infatti – che, come ogni edificio a
Valdocco, parte dal piano interrato – al suo interno
ha una scala che arriva fino alla cella che custodisce
la campana. Ebbene questa scala ha le rampe di sa-
lita che sbarcano esattamente alla medesima quota
dei piani di solaio dell’ospizio che si trova dall’altra
parte di casa Pinardi.
Era infatti intenzione di don Bosco di abbattere
casa Pinardi ormai troppo piccola – sarà demolita
tre anni più tardi – e costruire un nuovo fabbrica-
to delle medesime forme e dimensioni dell’ospizio
appena eretto.
In questo modo la scala dentro
il campanile serviva da scala
di servizio, stretta ma molto
comoda, per collegare tutti i
piani della casa: dalla cucina
nell’interrato su, su fino al sottotetto dove erano le
camere dei ragazzi e degli assistenti salesiani.
Negli anni successivi alla morte del santo, questa
scala è stata interrotta e parzialmente demolita per
fare spazio alla piccola sacrestia che serviva l’attua-
le cappella Pinardi. Con l’intervento di restauro
abbiamo voluto riproporla, anche se solo parzial-
mente. Nel piano interrato del museo la scala è solo
evocata da una linea luminosa che corre lungo il
muro e, grazie ad un solaio in vetro, il visitatore
può alzare lo sguardo per ammirare, con un colpo
d’occhio, tutta l’altezza della torre campanaria.
La nuova casa Pinardi
Per poco più di due anni don Bosco ferma le co-
struzioni. Lo sforzo iniziale di costruzione della
chiesa di San Francesco di Sales e del primo ospizio
lo ha fortemente provato.
A marzo del 1856 decide che i tempi sono maturi
per riprendere in mano il progetto iniziale, quel-
lo di completare l’edificio del primo Oratorio con
l’abbattimento della “vecchia” (ha solo dodici anni
di vita!) casa acquistata dal Pinardi ed erigere al
suo posto la nuova ala dell’ospizio con le medesime
caratteristiche di quella a fianco, collegando così
in un unico palazzo, a ferro di cavallo, la casa di
Valdocco.
30
GIUGNO 2023

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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Demolisce casa Pinardi – sempre con l’aiuto dei
giovani – recuperando tegole, travi, mattoni, pie-
tre… tutto quello che può essere riutilizzato per la
nuova costruzione, fa scavare l’area per poter ini-
ziare a costruire anche in questo caso dal piano in-
terrato e poi su, fino agli abbaini del sottotetto.
In soli sei mesi, ad ottobre del 1856, la nuova ala di
edificio è terminata ed utilizzata subito per acco-
gliere nuovi ragazzi che in quell’inverno arrivano
ad essere centosettanta.
Dal punto di vista architettonico questa nuova co-
struzione è in perfetta continuità con la precedente.
Sono emersi però alcuni particolari costruttivi in
fase di restauro che indicano una maggiore atten-
zione di don Bosco in fase costruttiva.
Anzitutto il materiale da costruzione è più curato e
selezionato. Le pareti perimetrali sono in mattoni
rossi (li vediamo nella dispensa sotterranea collega-
ta alla cucina) e non quell’insieme eterogeneo che
abbiamo descritto precedentemente a proposito del
primo refettorio nel piano interrato. Gli stessi in-
tonaci della cucina che sono nel piano interrato ri-
sultavano meno degradati dall’umidità di quelli del
primo lotto costruttivo di soli tre anni precedente
e per questo sono stati in massima parte recuperati.
Il secondo indizio è la presenza di un sistema di ri-
scaldamento delle stanze ai piani superiori a ipocau-
sto, cioè con canali a pavimento entro i quali viene
immessa aria calda. Dietro la cucina, al di là dello
stretto corridoio, vi era una caldaia a legna e carbo-
ne collegata ai piani superiori tramite canali verticali
dentro il muro di spina centrale della casa. Con ser-
rande meccaniche manuali che possiamo vedere an-
cora oggi, il calore veniva deviato dove più occorreva.
Al primo piano di questa parte di edificio, nel pavi-
mento abbiamo ritrovato questi canali che corrono
paralleli ai muri nelle stanze. Uno di questi è visibile
grazie ad una copertura in vetro che ha sostituito la
copertura originale in pietra di luserna.
Il terzo elemento che denota una cura nei parti-
colari costruttivi sono i soffitti voltati delle sale
del primo piano, ancor oggi molto ben conservati.
Sono gli unici soffitti voltati che l’edificio conserva
dalle origini, nei piani primo e secondo.
La fontana, il pozzo e la cucina
Casa Pinardi era dotata di una fontana addossata al
muro esterno sul lato meridionale. Serviva agli in-
quilini come unica fonte di approvvigionamento di
acqua potabile per cucinare, lavarsi, irrigare l’orto…
Ma da dove traeva l’acqua questa fontana a pom-
pa? Ovviamente non dall’acquedotto comunale che
in quegli anni era ancora lontano a venire, ma dal
pozzo sottostante, fatto costruire dai fratelli Filippi
contemporaneamente alla casa, ed avente la profon-
dità di circa dieci metri e diametro di circa un metro.
Quando don Bosco decide la demolizione di casa
Pinardi per costruire la nuova ala dell’Oratorio, sta
ben attento a preservare questa preziosa fonte di
vita, ed anzi, crea un secondo accesso al pozzo. Si
potrà così attingere acqua non più soltanto in su-
perficie tramite la fontana, ma anche direttamente
dal piano interrato del nuovo fabbricato dove collo-
ca la nuova e spaziosa cucina che sarà in funzione
dal 1856 al 1927.
Oggi è
finalmente
visibile
quello che
era l’angusto
“regno” di
Mamma
Margherita
(Foto Mike
Pace).
GIUGNO 2023
31

4.2 Page 32

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FMA
Emilia Di Massimo
Sei dei nostri?”
Estate Ragazzi in Vaticano.
Ricordo di un’esperienza assolutamente unica.
Due anni fa, nel 2020, papa Francesco
chiese ai Salesiani, veri professionisti del
settore, di coordinare l’Estate Ragazzi in
Vaticano, un’iniziativa rivolta alle fami-
glie dei dipendenti della Santa Sede, per far vivere
ai ragazzi l’esperienza di un oratorio estivo all’in-
terno delle mura vaticane. L’iniziativa ha avuto un
tale successo che è stata ripetuta anche nel 2021 e
quest’anno è giunta alla sua terza edizione.
Papa
Francesco
ha rivolto
un saluto
speciale ai
bambini
che hanno
partecipato
all’Estate
Ragazzi in
Vaticano.
“Tutto in una festa”
Una proposta educativa che ha regalato a bambi-
ni e ragazzi l’opportunità di vivere il periodo delle
vacanze estive in modo divertente e costruttivo, in
un ambiente formativo che ha trasmesso la bellezza
della vita.
Settimanalmente un programma dettagliato ha
scandito le giornate dei ragazzi e una storia di fan-
tasia li ha guidati tra svariate attività pensate per le
diverse fasce di età dei ragazzi.
L’obiettivo: far scoprire la bellezza dello stare in-
sieme, del condividere emozioni e sorrisi. Un’espe-
rienza dove tutti si sono sentiti a casa e i più piccoli
hanno imparato dai grandi.
Dopo l’edizione 2020, incentrata sui valori dello
sport, nel 2021 “Estate Ragazzi in Vaticano” ha af-
frontato la tematica dell’ecologia integrale, presente
nell’‘Enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco, quale
chiave per un mondo migliore.
Il percorso tematico, “Sei dei nostri?”, ha fatto ri-
flettere sulle tematiche ecologiche consentendo di
scoprire il senso vero dell’essere cristiani nel mon-
do. Così per sei settimane all’interno delle Mura
leonine. Prima di iniziare l’attività don Franco
Fontana, Direttore della comunità salesiana in
Vaticano e Responsabile dell’Estate ragazzi, ha
affermato: “Questi sono ancora giorni difficili per
tutti noi e per le vostre famiglie. Proporre, di que-
sti tempi, l’iscrizione all’iniziativa vuole infondere
anche speranza nella luce che arriverà”.
Con lui hanno collaborato due salesiani, Pao-
lo Vaschetto e Batista de Abreu Wellington, due
Figlie di Maria Ausiliatrice, suor Carmen Mea e
suor Them Tran Thi, gli operatori dell’associazio-
ne specializzata nell’animazione giovanile “Tutto
in una Festa” ed altri giovani animatori volontari.
Suor Carmen ci dice: “sono stati ospitati circa 200
tra bambini e ragazzi, dai cinque ai tredici anni,
li abbiamo coinvolti in giochi e attività ricreative,
formative, dedicate alla salvaguardia dell’ambiente.
Abbiamo cominciato dalla mattina con l’accoglien-
za, la colazione ed un momento di preghiera per i
partecipanti”. Riguardo alle attività, suor Them ci
32
GIUGNO 2023

4.3 Page 33

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informa: “si sono svolte prevalentemente all’aperto,
nei giardini vaticani si sono tenuti i percorsi guida-
ti, nella zona dell’eliporto i giochi di gruppo; l’area
dei campi ha ospitato i giochi acquatici per i quali
sono state allestite due piscine; gli altri sport, come
il basket ed il tennis, all’aperto”.
La speranza rinasce
“In base alla tematica dell’ambiente sono stati va-
lorizzati i Giardini vaticani”, ci spiega don Franco,
“ogni settimana è stata portata una pianta che il
gruppo dei ragazzi più grandi ha in seguito pian-
tato in una zona detta “del bosco”. I ragazzi hanno
approfondito le tematiche presenti nell’Enciclica:
ambiente, ecologia, equità dei diritti, concludendo
con un grande gioco”. Hanno affrontato con gli
animatori un argomento specifico tramite un video
o con storie che li hanno accompagnati alla sco-
perta dei temi ambientali e li hanno sensibilizzati
all’importanza del rispetto dell’ambiente.
Tali tematiche si sono concretizzate anche all’in-
terno dei laboratori artistici, dove i ragazzi si sono
lasciati facilmente coinvolgere nell’utilizzo ricrea-
tivo ed originale di materiali recuperabili o riuti-
lizzabili, come ci dice anche Sveva C., una delle
animatrici dei Blu, i ragazzi delle medie dagli 11 ai
14 anni: “Durante questo percorso mi sono ritrova-
ta all’interno di un gruppo di ragazzi molto svegli e
sempre interessati a svolgere nuove attività.
Nei momenti dedicati ai laboratori artistici si sono
mostrati molto curiosi e coinvolti, qualsiasi sia stato
l’argomento proposto: ciò ha reso divertente il gio-
co sia per noi sia per loro. Sicuramente da questa
esperienza mi porterò dentro il loro entusiasmo e
la loro amicizia”.
Anche Matteo C., animatore, conferma ed aggiun-
ge: “Il gruppo dei ragazzi dei Blu ha dimostrato di
essere un gruppo unito, pronto a sostenersi, soprat-
tutto nei momenti di difficoltà, e al tempo stesso
non ha avuto difficoltà nel condividere, durante i
momenti formativi, le sue debolezze perché si sen-
tiva a proprio agio. Tutto questo è stato possibile in
base alla collaborazione che si è instaurata tra gli
animatori e che ha portato ottimi risultati all’inter-
no dell’animazione”.
Lucrezia D., animatrice del gruppo dei Gialli, i
bimbi dagli 8 ai 10 anni, ci dice: “Vivere l’esperienza
dell’estate ragazzi mi ha profondamente arricchita
spiritualmente, mi ha insegnato a saper affrontare
le diversità caratteriali dei bambini che ho incon-
trato. Mi sono trovata benissimo e mi mancheran-
no tutti i bambini incontrati in questo viaggio”.
Roberto K., animatore del gruppo dei Verdi, dai 5
ai 7 anni, conferma: “Mi ha particolarmente colpi-
to il fatto che vari bambini hanno mostrato in più
occasioni di avere degli atteggiamenti e dei com-
portamenti estremamente intelligenti e saggi, che
difficilmente mi sarei aspettato considerando la
loro età. Questa esperienza mi lascia tanta gratitu-
dine verso il Signore e mi restituisce molta speran-
za nel futuro della nostra società”.
Martedì 3 agosto, al termine dell’Udienza Gene-
rale, papa Francesco ha rivolto un saluto speciale ai
bambini che hanno partecipato all’Estate Ragaz-
zi in Vaticano: “Saluto i ragazzi del Centro estivo
Estate ragazzi in Vaticano. Sono rimasti zitti fino
ad ora e si capisce che facciano un po’ di rumore ac-
compagnati dai genitori e dagli animatori, che rin-
grazio per la loro preziosa opera. Voglio ringraziare
don Franco, l’anima spirituale del Vaticano, che
da buon salesiano è stato capace di mettere questo
seme, fare questo centro estivo, è il terzo anno”.
Suor Carmen:
“Sono stati
ospitati circa
200 tra bambini
e ragazzi, dai
cinque ai tredici
anni, li abbiamo
coinvolti in
giochi e attività
ricreative,
formative,
dedicate alla
salvaguardia
dell’ambiente.
Abbiamo
cominciato dalla
mattina con
l’accoglienza,
la colazione ed
un momento di
preghiera per i
partecipanti”.
GIUGNO 2023
33

4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
Pedagogia controcorrente 6
Generazione Touch
L’avanzata della comunicazione digitale (per intenderci:
l’avanzata dei cellulari, dei tablet, degli smartphone...) è
inarrestabile. Ormai l’invasione digitale è un dato di fatto.
Per i nostri ragazzi una vita senza quelle appendici elettroniche
non è vita! Cinque strategie per aiutarli a maturare.
Siamo nell’epoca della «generazione touch»:
piccoli esperti nello smanettare su tutte le
tastiere possibili, ma incapaci di adoperare
le forbici anche a dieci anni compiuti.
Gli adolescenti inviano una media di 3400 sms
al mese e trascorrono più tempo con i media che
con i genitori o gli insegnanti. «C6, xké, sake…»
sta nascendo un nuovo codice linguistico in rapida
evoluzione.
Su una semplice considerazione siamo tutti presso-
ché d’accordo: la comunicazione digitale è un ele-
mento positivo sotto molti aspetti. La presenza del-
la tecnologia in casa è diventata talmente ordinaria
che molti genitori non la considerano una minaccia
per la solidità dei rapporti familiari.
La rivoluzione della rete digitale mondiale è soltan-
to all’inizio e, come in tutte le cose, più è luminosa
più è profonda l’ombra che genera. Il vecchio saggio
proverbio afferma: «Non è il vino che ubriaca l’uo-
mo. È l’uomo che si ubriaca».
Sono soprattutto i giovanissimi che “si ubriacano”.
Come fa un minore in fase di crescita a imparare a
relazionarsi in “carne e ossa” con gli altri quando pas-
sa la gran parte del tempo davanti a uno schermo?
Prima strategia: Valutare la vita
digitale della famiglia
Scrive Gary Chapman: «Non rinunciare alla tua
influenza di genitore solo perché non sei pratico
di un certo device o un sito Internet. Interessati
delle app usate dai figli, chiedi agli altri genitori
di aiutarti o iscriviti a un corso per avere almeno i
fondamenti di questo universo. Non puoi rimanere
indietro mentre loro viaggiano soli in un mondo
digitale in rapida evoluzione. Perché senza l’autori-
34
GIUGNO 2023

4.5 Page 35

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tà dei genitori, Google diventa la riposta a tutti gli
interrogativi della vita».
Si tratta di conoscere bene per proteggere ed edu-
care. Ormai per avere l’attenzione di un bambino
bisogna competere con un cellulare.
Seconda strategia: Facciamogli
toccare il mondo reale
Fanno tristezza i bambini d’oggi costretti a passare
da una scatola all’altra. Dalla scatola della came-
retta alla scatola dell’ascensore; dalla scatola dell’a-
scensore alla scatola dell’automobile; dalla scatola
dell’automobile a quella dell’aula scolastica... È de-
cisamente tempo di rompere le scatole!
Tutti sanno che i bambini soffrono di claustrofobia:
il chiuso gli è così insopportabile che farli uscire
di casa significa dargli la vita. Hanno una voglia
matta di fare, di muoversi, di correre...
Una cosa è certa: i piccoli non amano la disoccu-
pazione psicologica. Se amano il mondo virtuale è
perché non possono gustare quello reale.
Terza strategia: Offriamogli
alternative accattivanti
Dunque, ad esempio, lasciamo che gli amici ven-
gano a trovarlo a casa. Di tanto in tanto andiamo a
mangiare in pizzeria. Se ci è possibile passiamo il
fine settimana fuori casa...
Comunque, le alternative più accattivanti restano
sempre due: la vacanza e il gioco.
Nei giorni della vacanza il figlio può verificare che
il mondo reale è infinitamente più ricco del mondo
artificiale e del mondo virtuale dei media. Oggi vi
sono bambini che non hanno mai visto un cavallo
dal vivo, una farfalla, una libellula, una mucca... In
vacanza il figlio può toccare un fiore, l’erba, può
sentire il solletico della terra sotto i piedi... Può toc-
care il mondo vero!
Quarta strategia: Difendiamo il libro
La lettura è l’autogrill dell’anima: alimenta l’in-
telligenza, sfama lo spirito, salva la fantasia, libera
dalle manette mentali. Mentre internet può creare
dipendenza, la lettura crea indipendenza!
Quinta strategia: Mangiamo insieme
(almeno una volta al giorno)
La ragione è semplice e forte, nello stesso tempo:
mangiare «insieme» (e non solo «accanto»), tutta la
famiglia unita, è sempre un incontro piacevolissi-
mo, soprattutto se avviene di sera.
Un tempo guardare qualcuno negli occhi era
considerato un segno di cortesia. E se tuo figlio
apprende questa capacità essenziale, spiccherà
senz’altro sugli altri. Quando due persone si guar-
dano negli occhi accade qualcosa. Genitori e figli
che sanno guardarsi negli occhi vivono la forma
di comunicazione più profonda. Possiamo parlarci
da una parte all’altra di una stanza, ma quando ci
guardiamo negli occhi stabiliamo un legame mol-
to più forte. Guardarsi arricchisce il legame visivo
ed emotivo.
E tu quali storie puoi condividere a tavola con i fi-
gli? Puoi raccontargli del primo lavoro, del tuo mi-
gliore amico alle elementari o del tuo film preferito
da ragazzo. Condividere storie rende più profonde
le relazioni familiari. Non permettere alla tecnolo-
gia di rubare il tempo che puoi dedicare alla narra-
zione perché questi racconti radicheranno nei tuoi
figli l’amore che provano per te.
GIUGNO 2023
35

4.6 Page 36

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LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
Oltre l’abitudine...
Se vogliamo riappropriarci fino
in fondo della nostra libertà
e della possibilità di scegliere
chi essere, al di là di qualsiasi
condizionamento esterno o
percorso preordinato, dobbiamo
farci carico, almeno ogni tanto,
della capacità di scardinare
completamente il meccanismo
dell’abitudine in cui siamo
incastrati.
E girano, girano gli uomini
sopra la giostra del mondo,
come i valzer delle cameriere
fra i tavolini alla fine del giorno.
E girano mosconi e chiacchiere
nei saloni dei parrucchieri,
girano i tacchi delle signore
a notte fonda sui marciapiedi.
E nei weekend, in processione
nei supermercati,
narcotizzati dalle occasioni,
comprare ed essere comprati.
Ed io e te, accarezzati da una gioia breve
e dal sorriso delle cassiere,
soddisfatti o rimborsati,
sommersi o salvati?
E girano, girano gli uomini
d'un dolceamaro girare in tondo,
di vecchi amanti nelle balere,
come falene alla fine del giorno.
«L’abitudine è una seconda natura, e non
meno potente». Così scriveva già nel
Cinquecento Michel de Montai-
gne, evidenziando con grande acu-
tezza come le nostre abitudini facciano parte di noi,
ci identifichino, contribuiscano a definire chi siamo
e in che modo viviamo la nostra esistenza.
Che ne siamo consapevoli o meno, una parte signi-
ficativa della nostra vita – dai più elementari gesti
quotidiani ai piccoli riti che scandiscono le nostre
giornate, dalle strade che regolarmente percorria-
mo alle relazioni che intratteniamo con gli altri – è
radicata saldamente nell’abitudine, che ci porta a
reiterare in modo passivo pensieri e azioni, senza
più chiederci il senso e il fine di ciò che facciamo.
Come assuefatti alla ripetitività del vivere, narco-
tizzati da un infinito “girare in tondo” in cui ogni
cosa si confonde e anche i colori sembrano sbiadire,
ci abbandoniamo alla “giostra del mondo”, rinun-
ciando a percorrere sentieri alternativi e a lasciare
un’impronta originale sul nostro percorso.
Per quanto, infatti, un’esistenza vissuta all’insegna
dell’abitudine possa risultare monotona e incapa-
ce di regalarci lo stupore dell’inedito, affidarci alla
consuetudine e al già noto ci appare rassicurante,
al punto da scambiare questa condizione di “im-
mobile quiete” alla quale spesso finiamo per adat-
tarci con ciò che chiamiamo felicità. E ciò è vero
soprattutto per i giovani adulti, che all’incertezza
del cambiamento e al brivido di una navigazione
condotta in mare aperto, tra tanti pericoli e impre-
vedibili tempeste, non di rado preferiscono la tran-
quillità della bonaccia.
Del resto, non c’è da stupirsi che sia così: il cam-
mino verso l’adultità si configura in molti casi come
una vera e propria corsa a ostacoli, come uno sla-
lom sfiancante tra insormontabili difficoltà e una
36
GIUGNO 2023

4.7 Page 37

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endemica precarietà, per cui la conquista di una
sia pur minima serenità, alimentata dalla confor-
tante certezza della routine, ci appare come un mi-
raggio al quale restare aggrappati con le unghie e
con i denti, anche se questo significa abdicare alla
ricerca di una felicità più piena ed appagante. In
questa prospettiva, rivalutiamo anche le abitudini
più banali che, pur nella loro stanca ripetizione, di-
ventano sinonimo di sicurezza e ci accontentiamo
di galleggiare sulla superficie del mondo, vivendo
come comparse che si adattano inermi a replicare
un copione sempre uguale, anziché cimentarci nella
difficile arte di “reinventare” ogni giorno le nostre
scelte e il nostro progetto di vita.
Se è vero, però, che – come aveva compreso già Ari-
stotele – «noi siamo ciò che facciamo ripetutamente», di
modo che coltivare delle buone abitudini può essere
un modo efficace per migliorare la nostra esisten-
za e restituire valore alle nostre azioni, se vogliamo
riappropriarci fino in fondo della nostra libertà e
della possibilità di scegliere chi essere, al di là di
qualsiasi condizionamento esterno o percorso pre-
ordinato, dobbiamo farci carico, almeno ogni tan-
to, della capacità di scardinare completamente il
meccanismo dell’abitudine in cui siamo incastrati,
E girano motori e femmine,
girano i cacciabombardieri,
mille caviglie, mille tagliole
intorno al pozzo dei desideri.
E nei weekend, in confessione
nei supermercati,
tra gli affettati e le comunioni,
mangiare ed essere mangiati.
Ed io e te, affaticati da un dolore lieve
e dalle trombe e dalle bandiere,
sorridenti e circondati,
sommersi o salvati?
Beato il cane al passo del padrone
e che è uno stupido per vocazione,
e che, siccome tiene un osso in bocca,
non dirà la sua opinione.
Beati tutti gli uomini per bene,
chi non sapeva e chi non vuol sapere,
e chi ha confuso l'abitudine con la felicità.
Ed io rinnego tutto prima del blackout, prima che
faccia notte,
prima che il vento arrivi
e il gallo canti tre volte...
Beato il cane al passo del padrone
e che è uno stupido per vocazione,
e che, siccome tiene un osso in bocca,
non dirà la sua opinione.
Beati tutti gli uomini per bene,
chi non sapeva e chi non vuol sapere,
e chi ha confuso l'abitudine con la felicità.
E girano, girano gli uomini...
(Francesco Gabbani, L’abitudine, 2023)
per correre il rischio di per-
correre sentieri inesplorati e
concederci l’opportunità di
verificare dove conducono.
Solo così riusciremo a svin-
colarci dal circolo vizioso di
ogni sterile routine e, andan-
do finalmente oltre l’abitu-
dine, potremo aprirci al mi-
stero del possibile e far spazio
nella nostra vita all’irrompe-
re salvifico di «cieli nuovi e
terra nuova».
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
PATAGONIA: “La più grande
impresa della nostra Congregazione
I precedenti delle missioni salesiane
(continua dal numero precedente)
Erano appena arrivati i Salesiani in Patago-
nia, che don Bosco il 22 marzo 1880 tornò
nuovamente alla carica presso varie Congre-
gazioni Romane e lo stesso papa Leone XIII
per l’erezione di Vicariato o Prefettura della Patago-
nia con sede a Carmen, che abbracciasse le colonie
già costituite o che si sarebbero andate organizzan-
do sulle sponde del Río Negro, dal 36° al 50° grado
di latitudine Sud. Carmen sarebbe potuta divenire
“il centro delle Missioni Salesiane fra gli Indi”.
Ma i disordini militari al momento dell’elezione
del generale Roca a Presidente della Repubblica
(maggio-agosto 1880) e la morte dell’ispettore sa-
lesiano don Francesco Bodrato (agosto 1880) fe-
cero sospendere le pratiche. Don Bosco insistette
anche presso il Presidente in novembre, ma senza
risultati. Il Vicariato non era voluto né dall’arcive-
scovo né era gradito all’autorità politica.
Pochi mesi dopo, nel gennaio 1881 don Bosco in-
coraggiava il neoispettore don Giacomo Costama-
gna a darsi da fare per il Vicariato in Patagonia ed
assicurava il direttore-parroco don Fagnano che a
proposito della Patagonia – “la più grande impresa
della nostra Congregazione” – una grande respon-
sabilità sarebbe presto ricaduta su di lui. Ma si ri-
maneva nell’impasse.
Intanto in Patagonia don Emilio Rizzo, che aveva
accompagnato nel 1880 il vicario di Buenos Aires
monsignor Espinosa lungo il Río Negro fino a Roca
(50 km), con altri salesiani si apprestava ad ulteriori
missioni volanti lungo lo stesso fiume. Don Fagna-
no poi nel 1881 poté accompagnare l’esercito fino
alla Cordigliera. Don Bosco, impaziente, fremeva e
don Costamagna ancora nel novembre 1881 lo con-
sigliò di trattare direttamente con Roma.
Fortuna volle che a fine 1881 venisse in Italia mon-
signor Espinosa; don Bosco ne approfittò per in-
formare suo tramite l’arcivescovo di Buenos Aires,
che nell’aprile del 1882 sembrò favorevole al pro-
getto di un Vicariato affidato ai Salesiani. Più che
altro forse per l’impossibilità di attendervi con il
suo clero. Ma ancora una volta non se ne fece nulla.
Nell’estate 1882 e poi ancora nel 1883 don Beauvoir
accompagnò l’esercito fino al lago Nahuel-Huapi
sulle Ande (880 km); altrettante escursioni apo-
stoliche avevano fatto altri salesiani in aprile lungo
il Río Colorado, mentre don Beauvoir ritornava a
Roca e in agosto don Milanesio si inoltrava fino a
Ñorquín nel Neuquén (900 km).
Don Bosco era sempre più convinto che senza un
proprio Vicariato apostolico i Salesiani non avreb-
bero goduto della necessaria libertà di azione, visti
i difficilissimi rapporti che aveva avuto lui con il
suo arcivescovo di Torino e tenuto pure conto che
lo stesso Concilio Vaticano I non aveva deciso nulla
circa i non facili rapporti fra Ordinari e superiori
di Congregazioni religiose nei territori di missione.
Inoltre, cosa non di poco conto, solo un Vicariato
missionario avrebbe potuto avere il sostegno finan-
ziario dalla Congregazione di Propaganda Fide.
Pertanto don Bosco riprese i suoi sforzi, avanzan-
do alla Santa Sede la proposta di suddivisione am-
ministrativa della Patagonia e Terra del Fuoco in
tre Vicariati o Prefetture: dal Río Colorado al Río
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GIUGNO 2023

4.9 Page 39

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La pastorella
del quinto
sogno
missionario
che don
Bosco ebbe
a Barcellona
nella notte
dal 9 al 10
aprile del
1886.
Chubut, da questi al Río Santa Cruz, e da questi
alle isole della Terra del Fuoco, Malvine (Falkland)
comprese.
Papa Leone XIII alcuni mesi dopo acconsentì e
gli fece chiedere i nominativi. Don Bosco allora
suggerì al cardinale Simeoni l’erezione di un solo
Vicariato per la Patagonia settentrionale con sede a
Carmen, dal quale dipendesse una Prefettura apo-
stolica per la Patagonia meridionale. Per quest’ul-
tima proponeva don Fagnano; per il Vicariato don
Cagliero o don Costamagna.
iniziava così a realizzarsi, tanto più che alcuni Sale-
siani da Montevideo in Uruguay all’inizio del 1883
erano arrivati a fondare la casa di Niteroi in Brasile.
Il lungo processo di poter gestire una missione in
piena libertà canonica era arrivato a conclusione.
Nell’ottobre del 1884 don Cagliero sarebbe stato
insignito della nomina di Vicario apostolico della
Patagonia, là dove avrebbe fatto la sua entrata l’8
luglio successivo, sette mesi dopo la sua consacra-
zione episcopale avvenuta a Valdocco il 7 dicembre
1884.
Un sogno che si avvera
Il 16 novembre 1883 un decreto di Propaganda Fide
eresse il Vicario apostolico della Patagonia settentrio-
nale e centrale, che comprendeva il sud della provin-
cia di Buenos Aires, i territori nazionali di La Pam-
pa centrale, il Río Negro, il Neuquén e il Chubut.
Quattro giorni dopo lo affidò a don Cagliero come
Provicario apostolico (e successivamente Vicario apo-
stolico). Il 2 dicembre 1883 fu la volta del Fagnano
ad essere nominato Prefetto apostolico della Patago-
nia cilena, del territorio cileno di Magallanes-Punta
Arenas, del territorio argentino di Santa Cruz, delle
isole Malvinas e delle non meglio definite isole che
si estendevano fino allo stretto di Magellano. Eccle-
siasticamente la Prefettura copriva aree appartenenti
alla diocesi cilena di San Carlos de Ancud.
Il sogno del famoso viaggio in treno da Cartagena in
Colombia a Punta Arenas in Cile del 10 agosto 1883
Il seguito
Sia pure in mezzo a difficoltà di ogni genere che
la storia ricorda – comprese accuse e vere calunnie
– l’opera salesiana da quei timidi inizi si dispiegò
rapidamente sia nella Patagonia Argentina sia in
quella cilena. Si radicò per lo più in piccolissimi
centri di indios e di coloni, oggi diventati cittadi-
ne e città. Monsignor Fagnano nel 1887 si stabilì a
Punta Arenas (Cile), da dove iniziò poco dopo le
missioni nelle isole della Terra del Fuoco. Gene-
rosi e capaci missionari spesero generosamente la
vita al di qua e al di là dello Stretto di Magellano
“per la salvezza delle anime” e pure dei corpi (per
quanto era nelle loro possibilità) degli abitanti di
quelle terre “laggiù, alla fine del mondo”. Lo hanno
riconosciuto in tanti, fra loro una persona che se ne
intende, perché a sua volta venuto “quasi dalla fine
del mondo”: papa Francesco.
(fine)
GIUGNO 2023
39

4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni  postulatore generale
 Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulatore@sdb.org
 Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di giugno preghiamo per la beatificazione del
Venerabile Carlo Crespi Croci, salesiano di don Bosco.
Carlo Crespi nasce a Legnano,
presso Milano, il 29 maggio
1891, come terzo di 13 figli, da
una famiglia facoltosa ed in-
fluente. Frequenta la scuola loca-
le e all’età di 12 anni entra nell’I-
stituto Salesiano Sant’Ambrogio
Opera Don Bosco di Milano. Nel
1903 si reca al liceo salesiano di
Valsalice, a Torino, per completa-
re gli studi. Avvertita la chiamata
alla vita salesiana, completa il
noviziato a Foglizzo e l’8 settem-
bre 1907 emette la prima profes-
sione religiosa. Nel 1910 emette
la professione perpetua.
È durante questo periodo che
approfondisce lo studio della
teol­ogia, della filosofia ed inse-
gna matematica, musica e scien-
ze naturali. Il 28 gennaio 1917
viene ordinato sacerdote. Presso
l’Università di Padova scopre l’e-
sistenza di un microorganismo
fino ad allora ignoto, segnalan-
dosi in ambiente scientifico per
questa importante scoperta.
Nel 1921 consegue il dottorato
in scienze naturali, con specializ-
zazione in botanica e poco dopo
il diploma di musica.
È il 1923 quando parte per l’Ecua-
dor come missionario. Dapprima
sbarca a Guayaquil, raggiunge
Quito e infine si stabilisce defini-
tivamente a Cuenca dove rimar-
rà fino alla morte. È qui che inizia
un lavoro di promozione umana
senza precedenti, fondando
diverse opere: l’oratorio festi-
vo, il Normal Orientalista per la
formazione dei missionari sale-
siani, la scuola elementare “Cor-
nelio Merchán”, la scuola di arti
e mestieri che in seguito assu-
merà il nome di Collegio tecnico
salesiano, la Quinta Agronomica,
ovvero il primo istituto di agraria
della regione, il Teatro salesiano,
la Gran Casa della comunità,
l’Orfanotrofio “Domenico Savio”,
Ringraziano
Desidero esprimere la mia de-
vozione e la mia riconoscenza
alla cara Venerabile Mamma
Margherita. Colpito dall’azio-
ne di quanti volevano vendi-
carsi per i miei risultati profes-
sionali, sono stato oggetto di
enormi calunnie e di diverse
ingiustizie che in breve tempo
mi hanno privato completa-
mente del mio ruolo e di qual-
siasi credibilità. Ho impiegato
più di un lustro a ristabilire la
verità ed il mio buon nome, e
solo ora torno a respirare per la
fine di quest’incubo. Fin dall’i-
nizio delle mie sofferenze ho
invocato Mamma Margherita
perché non mi mancassero i
mezzi per la vita dignitosa mia
e dei miei cari, e le opportunità
non sono mancate! Ho proprio
sentito la sua mano materna
che mi ha confortato, guidato
e straordinariamente aiutato
in questo lungo periodo. Con-
siglio a chiunque si trovi in
difficoltà materiali di rivolgersi
a Mamma Margherita perché,
come ai tempi di suo figlio don
Bosco, sa sempre trovare i mez-
zi necessari per sostenere chi
invoca il suo aiuto.
(NN)
il museo “Carlo Crespi”, celebre
per i suoi numerosi reperti scien-
tifici. Nel 1938 organizza il Primo
Congresso Eucaristico Diocesano
a Cuenca.
Generazioni di cittadini di Cuen-
ca beneficiano dei suoi insegna-
menti e della sua generosità. La
riconoscenza della gente comu-
ne per il bene compiuto da pa-
dre Crespi è tale da manifestarsi
con forza anche nella dolorosa
circostanza che nel 1962 vide,
a causa di un incendio, la quasi
totale distruzione dell’Istituto
“Cornelio Merchán”.
Gran parte del suo tempo è tra-
scorso nel Santuario di Maria Au-
siliatrice di Cuenca, della quale
diffonde con zelo la devozione.
Gli ultimi anni della sua vita
sono trascorsi interamente nel
nascondimento del confessiona-
le. Fiaccato da una vita di stenti
scelta per vivere come povero tra
i suoi poveri, muore il 30 aprile
1982. Il 23 marzo 2023 papa
Francesco lo dichiara Venerabile.
Preghiera
O Signore, ti rendiamo grazie
perché al sacerdote Carlo Crespi,
educatore e apostolo dei ragazzi e dei giovani poveri,
hai concesso di amarti e servirti
secondo il cuore di don Bosco.
Donaci la gioia di vederlo glorificato
come sacerdote eroico ed esemplare.
Per sua intercessione concedi a noi la grazia
che ti domandiamo con cuore fiducioso.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
CRONACA DELLA POSTULAZIONE
Il 23 marzo 2023, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in udien-
za Sua Eminenza il Cardinale Marcello Semeraro, Prefetto del
Dicastero delle Cause dei Santi. Durante l’Udienza, il Sommo
Pontefice ha autorizzato il medesimo Dicastero a promulgare il
Decreto riguardante le virtù eroiche del Servo di Dio Car-
lo Crespi Croci, Sacerdote professo della Società Salesiana di
S. Giovanni Bosco; nato il 29 maggio 1891 a Legnano (Italia) e
morto il 30 aprile 1982 a Cuenca (Ecuador).
Il 28 marzo 2023 i Consultori storici del Dicastero delle Cause
dei Santi hanno espresso voti affermativi in merito alla Positio
super martyrio dei Servi di Dio Giovanni Świerc e VIII Com-
pagni, Sacerdoti Professi della Società di San Francesco di Sales.
Il 30 marzo 2023 la Consulta medica del Dicastero delle Cause
dei Santi ha dato parere positivo, con tutti voti affermativi, al
presunto miracolo attribuito all’intercessione del Venerabile
Camille Costa de Beauregard Sacerdote diocesano (1841-
1910), occorso al bambino René Jacquemond, per guarigione
da «cheratocongiuntivite intensa con smerigliatura della cor-
nea, forte iniezione pericheratica, arrossamento e iniezione del-
le congiuntiva, fotofobia e lacrimazione dell’occhio destro per
trauma violento da agente vegetale-bardana» (1910).
40
GIUGNO 2023

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO E` BENEDIZIONE
B.F.
«Sono nato a Bellinzago Nova-
rese, in Piemonte. La leggenda
dice che è un paese dove le per-
sone sono senza anima, dove
ogni famiglia, e questo non è
leggenda, ha un prete, una suo-
ra ed un asino e dove la chiesa è
sempre zeppa di fedeli. A parte
l’anima, la mia famiglia entra-
va bene in questi parametri:
una suora, un prete e un asino.
Al presente rimango solo io:
il prete. Uno dei ricordi che va
più lontano è che alla domenica
si andava sempre in chiesa. Mi
piaceva servire messa e sogna-
vo di poter anch’io un giorno
celebrarla ed essere come quei
missionari che venivano in pae-
se e ci raccontavano tante cose
fantastiche. Andai persino dal
parroco per dirgli che volevo
andare in Africa una volta cre-
sciuto. «Vuoi farti mangiare dai
leoni?», mi chiese.
E mi feci salesiano con la bene-
dizione dei miei, con la stessa
potei partire per le cosiddette
missioni. Si era al termine del
mese di ottobre del 1960 e la
destinazione assegnatami come
nuovo campo di lavoro erano le
Isole Filippine. Avevo 22 anni.
Nelle Filippine fui economo di
una scuola di 2000 studenti e
poi economo ispettoriale. Ebbi
Don Valeriano
Barbero
Morto a Novara il 14 aprile 2023,
a 84 anni
la fortuna o la grazia di costruire
il teologato, ricostruire scuole e
soprattutto la grande chiesa de-
dicata alla Madonna.
La nuova frontiera però era
Papua Nuova Guinea, la parte
orientale della quasi omo-
nima isola. Partimmo in tre.
Fui nominato parroco. Erava-
mo giovani, pieni di entusia-
smo e niente ci scoraggiava.
Fui attaccato con una scure,
fui portato in tribunale varie
volte per questioni di terre o di
alberi, fui minacciato per i più
strani motivi con la speranza
che cedessi alle loro richieste.
Persino che ero uno di loro ri-
tornato in vita, ma adesso ero
bianco e mi rifiutavo di dare
loro l’aiuto promesso quando
ero di colore nero. Contrassi
molte volte la malaria e come
ultimo tocco anche la lebbra.
Per darci forza non mancarono
autentici miracoli, o almeno
tali creduti dalla gente, come
quello di avere fatto risuscita-
re una donna che era già data
per morta o quando il mare ci
restituì dopo due mesi le 100
lastre di alluminio per il tetto,
affondate con la barca che le
portava. Era proprio il 24 mag-
gio quando queste lastre si
resero visibili nella fanghiglia
della baia, mentre noi aveva-
mo perso ogni speranza. Nel
Golfo passando da villaggio
in villaggio, senza convertire,
senza fare rumore, ma sempre
presente alla persona anzia-
na, all’ammalato, a chi moriva
di tubercolosi, a chi aveva la
lebbra, a chi aveva fame pen-
so di avere portato negli anni
trascorsi nelle paludi e nella
foresta e sui fiumi del Golfo la
carezza o il profumo di Dio».
“Ora è con il Signore, che ama-
va molto, e con Maria Ausiliatri-
ce, di cui diffondeva la devozio-
ne non solo con i suoi discorsi,
ma anche con bellissime chie-
se”, scrive l’arcivescovo emerito
di Rabaul, monsignor Francesco
Panfilo, SDB.
Continua monsignor Panfilo:
“Lo conobbi da quando ero un
salesiano in formazione e lui era
un giovane sacerdote e diven-
tammo presto molto amici. Pos-
so dire che non era solo un mio
confratello nella Congregazione
salesiana, ma un vero fratello.
Fummo tutti sorpresi quando
nel 1980 lasciò le Filippine,
dove era stato Direttore ed Eco-
nomo Ispettoriale, per iniziare
a lavorare ad Araimiri, in Papua
Nuova Guinea. Scherzando mi
diceva: ‘Tu sei stato Ispettore e
ora sei vescovo, ma io sono un
pioniere’. E aveva ragione! In
Papua Nuova Guinea. Don Val
ha dato tutto quello che aveva.
Quando facevo le mie visite
ispettoriali ad Araimiri, passavo
ore a parlare con lui, ma quando
arrivava il momento di partire,
me ne andavo sempre con il
cuore pesante, perché sapevo
quanto fosse duro e difficile il
lavoro. Quando sono arrivato
in Papua Nuova Guinea dalle
Filippine, nel maggio 1997, sta-
va costruendo il nuovo Collegio
(DBTI). Siamo stati insieme fino
all’8 settembre 2001, quando
sono stato ordinato vescovo
di Alotau. In quei quattro anni
abbiamo pregato insieme,
mangiato insieme e lavorato
insieme. Infatti, quando arrivò il
momento di versare il cemento,
entrambi ci unimmo agli operai
e lo facemmo. Si parlerà degli
edifici che ha costruito: chie-
se, aule, case per il personale,
dormitori… Tuttavia, ciò che ci
lascia è che prima di tutto era
un sacerdote, un sacerdote sa-
lesiano e ne era orgoglioso. Era
un uomo di preghiera e le sue
riflessioni erano spiritualmente
profonde. Ha gestito milioni di
dollari per erigere quegli edifici,
ma posso testimoniare che era
distaccato dal denaro e dalle
cose materiali. Era povero e mol-
to frugale nel suo stile di vita”.
“Don Val non aveva mezze mi-
sure quando si trattava di entu-
siasmo e zelo per la missione.
L’eredità che lascia è quella della
passione per le anime, dello
zelo per il Regno, dell’entusia-
smo nel lavoro”.
“La Chiesa di Port Moresby, di
Rabaul e di tutta la PNG pian-
ge la perdita di don Val. Era un
grande uomo, con una grande
valenza pastorale e che ha rea­
lizzato opere potenti e per la
gente.” ha dichiarato il cardi-
nale John Ribat, arcivescovo di
Port Moresby.
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IL CRUCIPUZZLE
Roberto Desiderati
Scoprendo don Bosco
Parole di 3 lettere: Cia, Dei.
Parole di 4 lettere: Alec, Amen,
Ecce, Ibis, Inps, Ione, Nino, Tara, Uadi.
Parole di 5 lettere: Natal, Natia,
Notte, Odeon, Omnes.
Parole di 6 lettere: Camper,
Impari, Kaiser, Persia, Telone.
Parole di 7 lettere: Creanza,
Longevo, Ostrega, Taralli, Titanic.
Parole di 8 lettere: Lingerie,
Stipetto.
Inserite nello schema le parole elencate a fianco, scrivendole da sinistra a destra e/o dall’alto
in basso, compatibilmente con le lunghezze e gli incroci. A gioco ultimato risulteranno nelle
caselle gialle le parole contrassegnate dalle tre X nel testo. La soluzione nel prossimo numero.
? Parole di 9 lettere: Sassarese,
Senzienti.
Parole di 10 lettere: Originario,
Valdostani.
?
La soluzione nel prossimo numero.
Parole di 12 lettere: Velociraptor.
DALLA CAPPELLA PINARDI AL SANTUARIO
Don Bosco, come sappiamo, era molto devoto alla Madonna e, riguardo la devozione mariana,
“nessuno può giungere ad un’intima unione con Nostro Signore e ad una perfetta fedeltà allo
Spirito Santo, senza una grandissima unione con la Vergine santa ed una grande dipendenza
dal suo soccorso”. La Madonna accoglie ed intercede. Per don Bosco questa devozione, evo-
lutasi passando da quella per la Madonna Consolata e Immacolata a quella di XXX, nacque
da lontano, nel suo passato di fanciullo e si rafforzò in seguito anche grazie ad un sogno fatto nel 1844. L’idea
della costruzione di una maestosa chiesa nel quartiere di Valdocco a Torino, in onore di Maria Santissima, nacque
dall’esigenza di accogliere un maggior numero di fedeli ma il Santo sentì di essere riconoscente, egli stesso e tutti
i fedeli, per gli aiuti ricevuti dalla Vergine e per invocare protezione per la nascente Congregazione Salesiana. Ella
è aiuto nel cammino della vita per vincere sul peccato, per essere liberati da ogni forma di male (spirituale, morale
e fisico) e soprattutto per attuare il bene. Da queste grandi motivazioni il progetto di un’imponente basilica, dedi-
cata alla madre di Dio, cominciò a concretizzarsi grazie all’architetto Spezia che prese a modello la facciata di San
Giorgio Maggiore a Venezia del Palladio. Si passò dunque dalla cappella Pinardi alla piccola chiesa di San France-
sco di Sales e fino all’attuale Santuario-Basilica. La chiesa era a croce latina,
Soluzione del numero precedente l’interno ancora spoglio e disadorno ma san Bosco era fiducioso circa il suo
completamento: “È la Madonna che vuole la Chiesa; essa penserà a paga-
re!” era solito dire. La solenne consacrazione avvenne il 9 giugno 1868
e oggi si presenta con un grande Altare maggiore, le cupole maggiore e
minore, due cappelle laterali del presbiterio, le tribune laterali, sacrestia e
una Statua dell’Ausiliatrice che sormonta la copertura.
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LA BUONANOTTE
B.F.Disegno di Fabrizio Zubani
Il cielo a punti
U na buona cristiana si presen-
tò alla porta del Cielo. Era
tutta intimorita. San Pietro
alla Caritas. Ho cercato sempre di
sopportare le persone che mi stavano
accanto, soprattutto il parroco e i
tecipato a dei ritiri e alle conferenze
quaresimali… Ho recitato sempre le
preghiere… E il rosario nel mese di
la ricevette cordialmente. Cercò di miei vicini di casa…»
maggio…»
rassicurarla, ma le disse serio: «Per Quando si fermò a tirare il fiato, san San Pietro le disse: «Siamo a tre
entrare in Paradiso, ci vogliono cento Pietro le disse: «Due punti e mezzo». punti».
punti».
Per la donna fu un pugno nello
La donna si demoralizzò. Come
La brava donna cominciò a elencare: stomaco.
poteva arrivare a cento punti? Aveva
«Sono stata fedele a mio marito per Allora riprovò: «E… Ah sì! Ho
detto l’essenziale e le riusciva difficile
tutta la vita. Ho educato cristiana- assistito i miei vecchi genitori. Ho trovare ancora qualcosa.
mente i miei figli; non ci sono riusci- perdonato a mia sorella che mi faceva Con le lacrime agli occhi e la voce
ta tanto, ma ho fatto tutto quel che la guerra per via dell’eredità… E… tremante, disse: «Se è così, posso
?
ho potuto. Sono stata catechista per Ecco! Non ho mai saltato una Messa contare solo sulla misericordia di
ventidue anni. Ho fatto volontariato la domenica, eccetto che per la na- Dio! …»
per le Missioni e ho dato una mano scita dei miei figli. Ho anche par- «Cento punti!» esclamò san Pietro.
Il Signore è
bontà e misericordia;
è paziente, costante
nell’amore.
Come il cielo è alto
sulla terra,
grande è il suo
amore per chi gli è
fedele.
Come è buono un
padre con i figli,
è tenero il Signore
con i suoi fedeli.
Egli sa come siamo
fatti,
non dimentica che
noi siamo polvere.
(Salmo 103)
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VITA1050x0
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C.CF.F0. 001051552522024094494
Cod. fiscale 97210180580 wwww.d.odnobnobsocsocnoenlemlmonodnod.oo.rogrg
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BIBCI:CB: CBICTIITTIMTMM