Bollettino_Salesiano_202305

Bollettino_Salesiano_202305

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FMA
Costa
d’Avorio
Le case
di don Bosco
Sampierdarena
Quelli che
lo hanno
conosciuto
Giorgio
Moglia
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
MAGGIO 2023
Don Bosco
nel mondo
Palabek
L’invitato
Don Václav
Klement
La MAMMA
di DON BOSCO

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I FIORETTI DI DON BOSCO
B.F.
L’imboscata
D on Bosco faceva un gran
bene e i nemici si moltipli-
cavano. Dovevano eliminar-
lo, sorprenderlo da solo, nel quartiere
più pericoloso della città. In che
modo?
«Un prete non può rifiutarsi dinanzi
ad un moribondo che lo chiama per
i Sacramenti» pensano. Chiamano
don Bosco. Don Bosco diffida (e ne
ha motivo!). Prende con sé quattro
ragazzoni, solidi e robusti. Arrivano
in un tugurio in cui sono raduna-
ti dei bevitori che fanno fracasso,
straor­dinariamente allegri: «Reve-
rendo, un goccio?»
«No grazie!» risponde don Bosco.
Gli versano ugualmente un bicchiere
di vino. Ma egli si accorge subito che
hanno preso il vino da una bottiglia
messa in disparte. Alza il bicchiere,
brinda e lo ricolloca sul tavolo senza
averlo bevuto.
Gli altri, subito minacciosi, esclama-
no: «Questo è un affronto! Lei deve
berlo!» Lo circondano.
Don Bosco balza verso la porta, la
spalanca. I quattro giovanotti entra-
no nella stanza. Subito finiscono le
minacce. Ma don Bosco vuol andare
fino in fondo, avere il cuore pulito.
«Conducetemi dal moribondo». Il
moribondo stava bene, anzi troppo
bene.
Don Bosco aveva prudenza, prontez-
za di spirito e sangue freddo. Quel
genere di appuntamenti con la morte
non turbarono mai il suo gran cuore.
Quei criminali non avevano una
gran fantasia. E ci riprovarono.
Chiamarono ancora una volta don
Bosco per amministrare l’Olio Santo
ad un moribondo. Questa volta era
una donna che domandava di morire
in pace con il Cielo. Naturalmente
era notte e don Bosco, naturalmente,
era in stato di allerta. Era appena
sfuggito alla morte. Perciò portò con
sé i suoi quattro robusti giovanotti.
Ancora un quartiere solitario e una
casa isolata. Senza dubbio, era un
trabocchetto. La moribonda non era
che un pretesto. Ma non si sa mai... e
don Bosco entrò.
C’era, è vero, una donna a letto che
rantolava. Ma quattro tipacci armati
di randelli facevano una strana
guardia all’ammalata. Accoglienza
inquietante, che allarmò subito don
Bosco. Tanto più che era buio, e c’era
solo una candela accesa.
Si avvicinò al letto: «Allora, brava
donna, ci mettiamo a posto con Dio?»
E l’altra, senza più rantolare: «Sì, ma
prima voglio che mio cognato, quella
canaglia che vedete lì, mi domandi
perdono; poi vedremo».
L’indiziato, «quella canaglia»,
rispose. L’altra lo insultò. La finta
collera salì (almeno sembrò salire);
l’uomo furioso, con un rovescio della
mano, abbatté la candela. Si piombò
nel buio.
E subito quattro randelli entrarono
in gioco, ma su don Bosco.
Don Bosco se lo aspettava. Prese
subito una sedia e se ne fece scudo.
I colpi si abbatterono sulla sedia fra-
cassandola. Don Bosco fuggì verso la
porta, arrivarono i suoi giovani che
fecero quadrato intorno a lui.
Arrivò a casa insanguinato, ma la
testa era intatta. La sedia l’aveva
protetto bene; le doveva la vita.
Solo la mano che la reggeva era
ferita. Un colpo l’aveva sbucciata
fino all’osso. Tutto sommato, se l’era
cavata molto bene...
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FMA
Costa
d’Avorio
Le case
di don Bosco
Sampierdarena
Quelli che
lo hanno
conosciuto
Giorgio
Moglia
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
MAGGIO 2023
Don Bosco
nel mondo
Palabek
L’invitato
Don Vaclav
Klement
La MAMMA
di DON BOSCO
MAGGIO 2023
ANNO CXLVII
NUMERO 5
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
La copertina: Mamma Margherita è il simbolo
benedetto di tutte le mamme e i papà dei Salesiani
(è il nuovo dipinto per i salesiani di Malta del pittore
siciliano Edoardo La Francesca).
2 I FIORETTI DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 TEMPO DELLO SPIRITO
Mamma Margherita
8 L’AUSILIATRICE NEL MONDO
Il cammino della sua gloria
12 L’INVITATO
Don Václav Klement
16 LE CASE DI DON BOSCO
Sampierdarena
20 DON BOSCO NEL MONDO
Palabek
24 IMPRESE
Maria ausiliatrice
al Polo Nord
26 FMA
Costa d’Avorio
28 QUELLI CHE LO HANNO CONOSCIUTO
Giorgio Moglia
32 COME DON BOSCO
34 LA LINEA D’OMBRA
36 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
38 I NOSTRI SANTI
39 I NOSTRI LIBRI
40 IL CRUCIPUZZLE
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
43 LA BUONANOTTE
12
20
26
Il BOLLETTINO SALESIANO si
stampa nel mondo in 64 edi-
zioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
Tel./Fax 06.65612643
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Juan José Chiappetti,
Roberto Desiderati, Emilia Di Massimo,
Ángel Fernández Artime, Antonio
Labanca, Sarah Laporta, Carmen
Laval, Cesare Lo Monaco, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto, Pino
Pellegrino, O. Pori Mecoi, Santiago
Valdemoros, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Alberto Rodriguez M.
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e i lavoratori.

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Ángel Fernández Artime
Maria Ausiliatrice
nella città dell’eterno caldo
«Ancora una volta ho potuto constatare di persona, viaggiando
nel mondo salesiano, che Maria Ausiliatrice – come promesso
da don Bosco – è un faro di luce, un porto sicuro, l’amore
materno di suo figlio e di tutti noi».
glia. Chi lo potrebbe fare se non voi? Vi affido tutti
i miei ragazzi. Abbiamo bisogno di voi, Madre di
Dio. Siate la nostra mamma, adesso e sempre…».
Tutta l’opera di don Bosco, presente e futura, fu
così affidata alla Vergine Maria.
E la Madre celeste prese molto seriamente il suo
compito. Ho potuto constatarlo di persona.
C ari amici di don Bosco e del Bollettino Sa-
lesiano, come faccio spesso voglio condi-
videre con voi, in questo mese di maggio,
un fatto che ho vissuto di recente e che mi
ha toccato il cuore, e allo stesso tempo, mi ha fat-
to riflettere molto sulla responsabilità che abbiamo
nei confronti della devozione a Maria Ausiliatrice.
Quando Mamma Margherita morì, don Bosco cor-
se alla «Consolata», la chiesa di Maria Consolatri-
ce. Con gli occhi pieni di lacrime, Giovanni riversò
tutto il suo dolore e tutto se stesso, nelle braccia
della “Consolatrice”, la più materna di tutte le ma-
dri: «Ora, io e i miei figli siamo senza madre sulla
terra. Una mamma è indispensabile in una fami-
Una città salesiana
Alla fine di marzo, quando mi sono recato nuo-
vamente in Perù, ho voluto visitare una città e una
presenza salesiana molto significativa. Per diversi
motivi.
Prima di tutto perché è chiamata dagli stessi abitanti
del luogo “la città del caldo eterno” o anche “la città
dove l’estate non finisce mai”, là certamente fa molto
caldo e l’umidità la rende ancora più calda.
Ma allo stesso tempo è una città molto salesiana.
Più di un secolo di presenza qui ha segnato lo spiri-
to della gente con uno stile di relazione e di legami
educativi molto familiare, molto semplice, insom-
ma molto salesiano.
E soprattutto è una città molto mariana, e nell’or-
bita delle due presenze salesiane, molto devota a
Maria Ausiliatrice.
Vorrei sottolineare il magnifico servizio educativo
che è stato fornito fin dall’inizio della nostra pre-
senza con la scuola Don Bosco e soprattutto, negli
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ultimi decenni, con l’opera salesiana di Bosconia,
una presenza umile e bella in uno dei quartieri più
periferici e più poveri, e dove, grazie all’impegno
di tante persone (sia nella società civile sia nella
Chiesa), e soprattutto grazie al carisma di don Bo-
sco, questa parte della città continua a trasformarsi,
dando opportunità di formazione professionale a
centinaia di ragazzi e ragazze che non avrebbero
avuto alcuna possibilità. Oggi escono da questa
casa salesiana con una professione appresa, eserci-
tata e formata per il mondo del lavoro. A Bosconia
c’è persino un magnifico centro medico salesiano
gestito da un ramo della nostra famiglia.
Tutto è degno di nota, ma sono stato particolarmen-
te toccato dalla profonda devozione a Maria Ausilia-
trice. Quasi inaspettatamente – perché solo un paio
di settimane prima avevo annunciato che mi sarebbe
piaciuto venire a conoscerli – mi sono trovato alle 18
di un normale giorno feriale in mezzo a una folla
di più di tremila persone, che si erano riunite per
celebrare l’Eucaristia in onore della nostra Madre
Ausiliatrice.
Ho visto centinaia di bambini e giovani con i loro
genitori, decine e decine di ragazzi, ragazze e ado-
lescenti dei vari oratori salesiani del luogo, inse-
gnanti, educatori.
Il “caldo eterno della città” sembrava poca cosa
rispetto alla fede, alla devozione, all’interiorità e
alla preghiera, al canto e a tutto ciò che immagi-
navo riem­pisse il cuore di quelle persone, così come
riemp­ iva il mio.
Ancora una volta ho potuto constatare di persona,
viaggiando nel mondo salesiano, che Maria Ausilia-
trice – come promesso da don Bosco – è un faro di
luce, un porto sicuro, l’amore materno di suo figlio
e di tutti noi, suoi figli e figlie. È in definitiva la
madre in cui ci abbandoniamo e che ci condurrà
sempre al suo amato Figlio. L’ho visto anche a Piura.
E allo stesso tempo vorrei aggiungere un altro pic-
colo commento con una necessaria autocritica per
tutti noi che siamo figli e figlie di don Bosco. Si
tratta di questo: lo spirito di Dio arriva dove vuole e
tocca il cuore dei suoi fedeli nel modo che solo lui sa
fare. È il caso della devozione alla Madre del Figlio
di Dio, ma ha sempre voluto contare su di noi, e la
mia nota critica è che non in tutte le parti del mon-
do la Madre del Cielo, la nostra Madre Ausiliatri-
ce, è stata fatta conoscere allo stesso modo, con la
stessa intensità, con la stessa passione apostolica. Ci
sono luoghi dove abbiamo sviluppato scuole, dove
abbiamo fatto passi, dove abbiamo certamente ser-
vito il bene della gente, ma non siamo riusciti a far-
la conoscere e amare.
Questo sarebbe incomprensibile per don Bosco.
Vi dirò che per me è altrettanto incomprensibile e
inaccettabile. Perché, inoltre, se nella famiglia di
don Bosco ci fossero persone che non fanno riferi-
mento all’Ausiliatrice, sarebbero un’altra cosa, ma
non sarebbero figli e figlie di don Bosco. Lei, la
Madre, e la devozione all’Ausiliatrice come Madre
del Signore e madre nostra non è facoltativa nel ca-
risma salesiano, come non lo era per don Bosco.
È, semplicemente, essenziale. «Maria SS. è la fon-
datrice e sarà la sostenitrice delle nostre opere, ri-
peteva continuamente don Bosco, Essa sarà larga
con noi di doni temporali e spirituali, sarà la nostra
guida, la nostra maestra, la madre nostra. Tutti i
beni del Signore ci vengono per mezzo di Maria».
È mio vivo desiderio che lei, la Madre del Figlio
prediletto, lei, l’Ausiliatrice, continui ad essere
speciale in tutte le parti del mondo come lo è nella
“città dell’eterno calore” (Piura-Perù).
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TEMPO DELLO SPIRITO
Carmen Laval
Una mamma come
Margherita
La grande Opera Salesiana è stata
cullata sulle ginocchia di Mamma
Margherita.
Se esiste la santità delle estasi e
delle visioni, esiste anche quella
delle pentole da pulire, delle calze
da rammendare, dei ragazzi da tirare
su con polenta e amore. Mamma
Margherita fu una santa così.
Dipinto di
Edoardo La
Francesca.
Il primo ricordo di don Bosco è la mano di sua
madre. Giovannino aveva solo due anni e non
voleva uscire dalla stanza dove era spirato il
papa. Racconta lui stesso: «“Povero figlio” disse
mia madre, “vieni con me, tu non hai più padre”.
Ciò detto, irruppe in forte pianto, mi prese per
mano e mi trasse altrove, mentre io piangeva per-
ché ella piangeva». La mano di Margherita, che
pure è straziata dal dolore e dall’apprensione per il
futuro, è dolce e ferma: non lascerà mai i suoi figli.
È il suo primo importante messaggio: «Possiamo
essere colpiti, ma andiamo avanti e qualunque cosa
capiti tu puoi contare su di me». Margherita aveva
allora ventinove anni; Giovannino due, Giuseppe
quattro, Antonio quattordici. Per Antonio, Mar-
gherita è solo la «matrigna». Per di più Antonio è
un adolescente grezzo, buon lavoratore, ma cocciu-
to e geloso.
In tutto questo Margherita è una mamma molto
«moderna»: la responsabilità della famiglia è tutta
sulle sue spalle. La classica battuta sulle madri oggi
dovrebbe suonare così: «La mamma è sola!». Oggi,
le mamme sono sole in molti modi. Perché hanno
un doppio lavoro, fuori e in casa, o perché sono
separate con i figli a carico o perché, nella mag-
gioranza dei casi sono lasciate sole nel compito di
educazione dei figli. «Mio marito di queste cose
non si interessa» dicono, quasi a giustificare una
distrazione che è in realtà una colpa grave.
Mamma Margherita è prima di tutto presente. Il suo
è un amore totale ed effettivo, fatto di poche parole,
molte azioni, un esempio continuo, una donazione
assoluta. È una contadina analfabeta, ma ricca di
infinita saggezza e di raro equilibrio. Tutti sono con-
cordi nel sottolineare il ruolo determinante di Mam-
ma Margherita nella formazione di Giovanni Bosco.
I suoi furono insegnamenti semplici ma grandissimi.
Per esempio:
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Decisione e coraggio sono i primi ingre-
dienti per riuscire. Nessuno vide mai don Bo-
sco «scoraggiato». E neanche sua madre.
In famiglia tutti devono dare una mano.
Mamma Margherita abituò ben presto i figli a
lavorare in casa e in campagna. Giovanni dovette in-
gegnarsi per pagare gli studi: imparò a fare il sarto,
il falegname, il barista e anche il barbiere. Anche a
Valdocco nessuno veniva «viziato». Quando un ra-
gazzo correva da Mamma Margherita per farsi at-
taccare un bottone alla giacca, lei gli porgeva ago e
filo, dicendo: «Perché non ci provi tu? Bisogna im-
parare a fare un po’ di tutto».
Il temperamento si deve dominare. Ogni
figlio ha un temperamento diverso, ma ognuno deve
imparare a tenere sotto controllo il proprio. Con la
dolcezza e la pazienza piegò Antonio tentato all’a-
sprezza. Con molta attenzione seguì l’evoluzione di
Giovannino: «Giovanni aveva in sé quel sentimen-
to di sicurezza nell’agire che si può con tanta facili-
tà trasnaturare in superbia; e Margherita non esitò
a reprimere i piccoli capricci fin dall’inizio, quando
egli non poteva essere capace di responsabilità mo-
rale» ricorda don Lemoyne.
I litigi e le incomprensioni tra fratel-
li non si risolvono con i predicozzi e le
discussioni. Mamma Margherita riconobbe la
parte di ragione di Antonio che non capiva la voglia
di studiare di Giovanni e intervenne efficacemente.
Anche se probabilmente aveva le lacrime agli occhi
mentre preparava il fagottino di Giovanni che an-
dava a fare il garzone lontano da casa.
I figli hanno una strada sulla quale van-
no accompagnati. Appena comprese la voca-
zione del figlio, Margherita gli disse chiaramente:
«Sentimi bene, Giovanni. Io voglio che tu ci pensi
bene e con calma. Quando avrai deciso, segui la tua
strada senza guardare in faccia nessuno. La cosa più
importante è che tu faccia la volontà del Signore.
Il parroco vorrebbe che io ti facessi cambiar idea,
perché in avvenire potrei avere bisogno di te. Ma io
ti dico: in queste cose tua madre non c’entra. Dio è
prima di tutto. Da te io non voglio niente, non mi
aspetto niente». Questo è veramente «dare la vita».
La gioia e la serenità sono il sale della
vita. Mamma Margherita vigilava, ma non in modo
sospettoso e pesante. Sapeva rimproverare sorriden-
do. E prendere la vita con un pizzico di umorismo.
Quando lasciò il suo piccolo paradiso di pensionata
dei Becchi, per seguire don Bosco in una periferia
triste e malfamata, cantava con suo figlio: «Guai al
mondo se ci sente, forestieri e senza niente».
Parlare, dialogare, raccontare sono
momenti vitali della vita familiare. E
nella piccola casa dei Becchi c’era anche il tempo di
raccontare i sogni.
La coscienza morale è una guida fonda-
mentale. Fin da piccoli, i ragazzi Bosco impara-
rono a distinguere il bene dal male, senza ipocrisia
e senza furberie. Conoscevano esattamente quello
che dovevano e quello che non dovevano fare. Sul
letto di morte Mamma Margherita disse al figlio
serenamente: «Ho la coscienza tranquilla, ho fat-
to il mio dovere in tutto quello che ho potuto».
Dio si impara in famiglia. La preghiera, il ca-
techismo, il senso della Provvidenza, i Sacramenti,
le opere di carità: tutto questo Giovannino Bosco
lo imparò sulle ginocchia di Mamma Margherita.
Su quelle ginocchia nacque il sistema educativo di
don Bosco.
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L’AUSILIATRICE NEL MONDO
B.F.
Idleclalamsmuaingoloria
«Dove c’è don Bosco c’è Maria!» si diceva. Oggi, possiamo
dire che dove ci sono i Salesiani c’è di sicuro una chiesa,
piccola o grande, dedicata a Maria Ausiliatrice. Eccone alcune.
Nel sogno del 1844, dopo la solita scena di
una moltitudine di animali di ogni spe-
cie, appare la Pastorella misteriosa. E don
Bosco continua: «Dopo aver molto cam-
minato, mi trovai in un prato dove quegli animali
saltellavano e mangiavano insieme, senza che gli
uni tentassero di mordere gli altri. Oppresso dalla
stanchezza, volevo sedermi, ma la Pastorella mi in-
vitò a proseguire il cammino. Fatto ancora un breve
tratto di via, mi sono trovato in un vasto cortile
con porticato attorno, alle cui estremità vi era una
chiesa. Qui mi accorsi che quattro quinti di quegli
animali erano diventati agnelli. Il loro numero poi
divenne grandissimo.
In quel momento sopraggiunsero parecchi pastorel-
li per custodirli: ma essi si fermavano poco e tosto
partivano. Allora succedette una meraviglia: molti
agnelli si cangiavano in pastorelli, che aumentando
si prendevano cura degli altri agnelli. Crescendo di
numero, i pastorelli si dividevano e andavano altro-
ve per raccogliere altri strani animali e guidarli in
altri ovili.
Io volevo andarmene, ma la Pastorella mi invitò a
guardare a mezzodì. Guardai e vidi un campo se-
minato a ortaggi.
«Guarda un’altra volta» mi disse.
Guardai di nuovo e vidi una stupenda e alta chiesa.
Nell’interno di quella chiesa c’era una fascia bianca
su cui a caratteri cubitali stava scritto: hic domus
mea, inde gloria mea (Qui la mia casa, di qui
la mia gloria).
Continuando nel sogno, volli domandare alla Pa-
stora che cosa significasse tutto questo.
«Tu comprenderai ogni cosa – mi rispose – quando
con i tuoi occhi materiali vedrai di fatto quanto ora
vedi con gli occhi della mente».
Un Santuario a Maria Ausiliatrice
in Burundi
Nel 2006, il vis, Volontariato Internazionale per lo
Sviluppo aveva terminato la costruzione del Centro
Scolastico Professionale e ricreativo della “Cité des
Jeunes”, una grande realizzazione per migliaia di
giovani a Bujumbura, capitale del Burundi.
Il Burundi è uno degli stati più poveri e più tra-
vagliati da guerre civili dell’Africa Centrale, ma la
gente è buona, è credente e desidera la pace.
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Il direttore salesiano padre Vincenzo Gonçalves da
Silva, classe 1936, brasiliano di nascita ma missio-
nario in Africa dal 1974, diceva con vigore: «Stia­
mo dando tutta la nostra vita per i poveri, ogni energia
della nostra vita; ecco realizzati i laboratori, le aule, i
campi da gioco, ma non basta perché i poveri non possono
essere ridotti a “tubi digerenti”, hanno anzitutto diritto a
sentire la presenza paterna di Dio, unica vera salvezza.
È necessario lanciare un segnale forte, un segnale
di fede, che raggiunga e dia speranza a tutto il
Burundi, che dica con chiarezza qual è la sorgente,
l’ispirazione, la meta dell’impegno educativo dei
salesiani, che additi a questo popolo così provato
da tragici anni di guerra il volto di una Madre che
accoglie e sostiene».
Quindi non una Chiesa, ma un Santuario. Un faro
luminoso per tutto il Burundi, grande, accogliente,
bello architettonicamente ma di una bellezza afri-
cana, che si innalzi verso il cielo per gridare a tutti
il primato dell’amore cristiano.
La Madonna si costruisce la sua casa.
È una folla commossa quella che circonda la pic­
cola cappella da cui sorride una statuetta di Maria
Ausiliatrice. La conoscono bene perché tutti i
giorni al termine del lavoro ci vanno a recitare il
Rosario chiedendo a Maria di benedire le loro fa-
miglie e quelle dei benefattori che regaleranno a
questo quartiere una chiesa dove poter pregare e
attingere la forza di risollevarsi dalla miseria.
Il superiore regionale dell’Africa salesiana, don
Guillermo Basanes, benedice solennemente la pri-
ma pietra, che verrà collocata a fondamento dell’al-
tare. Al suo interno una pergamena che chiede
all’Ausiliatrice di benedire tutto il popolo burun-
dese, “dal lago Tanganika fino ai confini di questo
bel paese” e di benedire chi si è impegnato e si im-
pegnerà per la costruzione del Santuario.
Oltre alla pergamena, viene inserito nella pietra un
prezioso frammento dell’altare che don Bosco co-
struì nella Basilica di Maria Ausiliatrice a Torino.
Don Bosco diceva che ogni mattone della Basilica
corrispondeva ad una grazia fatta dalla Madonna
ai benefattori.
“È la Madonna che si costruisce la sua casa” aveva
detto don Bosco a Torino nel 1862 costruendo la
Basilica a Lei consacrata, e anche noi lo abbiamo
constatato.
Comprando il terreno su cui costruire avevamo
finito i soldi disponibili, ma di anno in anno la
generosità dei benefattori ci ha consentito di non
fermare mai i lavori.
Poi succedono fatti imprevedibili: offerte molto
consistenti, non richieste; tecnici e architetti che
si sono offerti gratuitamente, il geometra Guido
Acquaroli che decide di stare sul posto per seguire
tutti i lavori fino alla fine. Una gara di solidarietà di
semplici cristiani: qualche gruppo parrocchiale rac-
coglie offerte, qualche coppia che si sposa rinuncia
alle bomboniere, qualche prima Comunione, qual-
che battesimo, devolvono l’equivalente in favore del
Santuario, persone private portano i loro risparmi.
Il quartiere di Buterere, in cui sorge la Cité des
Jeunes e il Santuario di Maria Ausiliatrice, era il
più povero di Bujumbura, abitato da 51 000 perso-
ne che si sono insediate in quella zona per salvarsi
dalle stragi della guerra civile; mancavano servizi
essenziali, la rete dell’energia elettrica non è ancora
arrivata in questa periferia.
Un imponente Santuario che cambia
il volto della città. La struttura interna del
Santuario cerca di richiamare la modalità abita-
tiva tradizionale. Il presbiterio con l’altare è ro-
tondo come la capanna ed è il luogo dell’intimità
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L’AUSILIATRICE NEL MONDO
con Gesù. Le pareti hanno una forma ovale come
l’“urugo”, il cortile tradizionale ovale che sta da-
vanti alla capanna, che accoglie tutti gli amici.
Nell’urugo c’era il pozzo ed ecco la zona del batti-
stero, ma c’era anche il deposito del sorgo ed ecco
la cappella feriale, anch’essa rotonda, dove ci si può
raccogliere in adorazione. In tutto il Burundi e in
tutti gli Stati confinanti non c’è una chiesa così
grande e maestosa lunga 72 metri e larga 45 metri
e che raggiunge i 30 metri in altezza con la croce
sul campanile.
La basilica di Maria Auxiliadora
a Buenos Aires
Nel maggio 1878, a Buenos Aires, ai salesiani fu
affidata la parrocchia di San Carlos de Almagro
e la loro presenza divenne talmente incisiva che la
vecchia chiesa non fu più in grado di contenere i
fedeli. La prima pietra di una nuova chiesa fu posa-
ta il 24 giugno 1900 alla presenza del vescovo Ca-
gliero, del presidente argentino e di sua moglie. Su
richiesta del parroco, la costruzione fu sviluppata
sotto la guida di suo fratello, Ernesto Vespignani,
noto architetto italiano arrivato a Buenos Aires nel
1901. Furono necessari dieci anni per completar-
la. La consacrazione si tenne nel
maggio 1910, in occasione della
festa di Maria Ausiliatrice. An-
cora oggi la basilica di Maria Au­
xiliadora y San Carlos costituisce
la più grande opera architettonica
realizzata dai salesiani di don
Bosco in Argentina.
Di dimensioni monumentali e di
notevole acustica, con un misto
di elementi architettonici tra cui
spiccano quelli di stile neoroma-
nico lombardo, la basilica ha una
cupola sormontata da una lanter-
na che custodisce un’immagine
di Maria Ausiliatrice alta cinque
metri. La grande statua bene-
detta da san Giovanni Bosco negli anni Ottanta
dell’Ottocento venne trasferita da Parigi a Buenos
Aires nel 1904 e intronizzata nella basilica.
I salesiani sottolinearono il fatto che il tempio fu
eretto al principio del Novecento con l’obolo dei
fedeli di tutta l’Argentina quale monumento nazio-
nale. Ad esso fanno capo come filiali più di 100 al-
tre chiese ben ufficiate con annessi fiorenti Collegi
Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice in tut-
ta la Repubblica. È meta di numerosi pellegrinaggi.
Qui si sposarono Juan Bergoglio e di Rosa Vasallo e
qui fu battezzato il 25 dicembre 1936 il loro primo-
genito Jorge Mario. Nessuno poteva immaginare
che quel neonato, figlio di poveri emigrati arrivati
dall’Italia, un giorno si sarebbe fatto prete e 77 anni
dopo sarebbe stato eletto Papa, il primo pontefice
argentino della storia.
Alla basilica di Maria Ausiliatrice Jorge Bergoglio
rimase legato per tutta la vita. Si recava spesso in
questa chiesa, anche da cardinale, e restava in pre-
ghiera a lungo davanti all’immagine della “Madon-
na di don Bosco”.
Il santuario di Nizza in Francia
Don Bosco arrivò a Nizza, Francia, chiamato dagli
abitanti della città. Fino al 1860 la città era nel re-
gno sardo che aveva per capitale Torino. Il vescovo
era monsignor Pietro Sola, nativo di Carmagnola
(Torino) e grande ammiratore di don Bosco. Una
rappresentanza di influenti personaggi della città
chiese a don Bosco di fare a Nizza quello che don
Albera stava facendo a Genova. Il rappresentan-
te del comitato nizzese, nel 1874, Ernest Michel
si recò finalmente da don Bosco per chiedergli se
poteva venire a Nizza per occuparsi dei bambini
abbandonati.
Nel 1975, arrivarono un giovane salesiano, don
Giuseppe Ronchail e un coadiutore e l’opera sale-
siana a Nizza ebbe inizio divenendo la “culla” della
presenza salesiana in Francia.
Una presenza che nel momento di piena fioritura
corse un grave pericolo. Alla fine del 1800, i go-
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MAGGIO 2023

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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verni introdussero misure contrarie alla Chiesa e
tutti i religiosi furono espulsi. Don Bosco diede a
don Ronchail l’ordine di presentare i salesiani non
come membri di una congregazione religiosa, ma
come dipendenti della società Beaujour di Marsi-
glia, che faceva opere filantropiche. Ma un chierico
salesiano francese svelò alle autorità la tattica e il
direttore don Bologna fu sul punto di dover tra-
sferire la comunità salesiana in Italia. Ma, come al
solito, intervenne Maria Ausiliatrice e don Bosco
fece un sogno.
«Una notte, dormendo, mi vidi davanti la Vergine
SS. posta in alto, proprio come si trova sulla cu-
pola di Maria Ausiliatrice. Aveva un gran manto
che si stendeva tutto attorno a Lei e formava come
un salone immenso; e lì sotto vidi tutte le nostre
case di Francia. La Madonna guardava con occhio
sorridente tutte queste case, quand’ecco successe
un temporale orribile, o meglio un terremoto con
fulmini, grandine, mostri orribili di ogni forma e
figura, fucilate, cannonate, che riempirono tutti
del più grande spavento. Tutti quanti questi mo-
stri, fulmini e palle erano rivolti contro i nostri che
stavano sotto il manto di Maria; ma nessuno recò
danno a coloro che stavano sotto una così potente
difenditrice: tutti i dardi andavano a spuntarsi nel
manto di lei e cadevano a vuoto. La Beata Vergi-
ne, in un mare di luce, con la faccia raggiante e un
sorriso di paradiso, disse molte volte in questo frat-
tempo: Ego diligentes me diligo (io amo chi mi ama).
Poco alla volta cessò ogni burrasca e nessuno dei
nostri restò vittima di quel temporale. Io non volli
fare gran caso di questo sogno, ma già fin d’allora
scrissi a tutte le case di Francia che stessero tran-
quille. Don Bosco ordinò di rimanere al proprio
posto rassicurandoli, sulla base di un sogno, che
non sarebbero stati espulsi.
Alla «Madonna dei tempi difficili» i tanti amici
francesi di don Bosco elevarono questo santuario,
nato nel periodo dell’Art Deco e quindi dall’aspetto
un po’ diverso dagli altri. Fu inaugurato nel 1933.
È un trionfo di decorazioni e di affreschi che rac-
contano la storia di don Bosco e della Congrega-
zione salesiana.
La Basilica di Lima, Perù
La Basilica di Maria Auxiliadora di Lima, Perù, è
uno dei grandi simboli dell’architettura religiosa della
capitale. La sua torre centrale è alta 56 metri e la sua
lunghezza è di 70 metri. Il progetto è del salesiano
Ernesto Vespignani. La sua costruzione fu decisa nel
1916 e completata nel 1924. Divenne uno dei sim-
boli della capitale e un esempio da imitare per altre
chiese. Ha superato praticamente indenne cinque
terribili terremoti. A partire dal 2007 il suo magni-
fico interno è stato splendidamente restaurato.
MAGGIO 2023
11

2.2 Page 12

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L’INVITATO
Sarah Laporta
Don Václav Klement
nuovo Superiore della Visitatoria Africa Meridionale
Il piccolo gruppo dei
Salesiani è un pizzico
di lievito forte e motivato
nella massa delle sfide
di questa regione.
Don Václav
e il Rettor
Maggiore.
Si può presentare?
Mi chiamo Václav (Venceslao in Italiano) Klement,
nato 65 anni fa a Brno, la seconda città della Ce-
coslovacchia. I miei genitori erano gente laboriosa,
semplice e dedicata all’educazione, con profonde
radici cristiane. Sono il primo di 4 fratelli, cresciu-
to in una bellissima famiglia, tra la parrocchia e la
scuola che educava all’ateismo marxista. Nella par-
rocchia ero molto attivo tra i ministranti, nel coro,
nel gruppo scout e nel gruppo giovanile. La Chiesa
in Cecoslovacchia per 40 anni era libera solo per la
liturgia, quindi tante realtà erano clandestine. Non
sapevo che nostro zio, che ha vissuto nella stessa
casa e lavorava nella vicina fabbrica, era vescovo.
Tutti i 26 anni che ho vissuto nella Cecoslovacchia,
sono stati segnati dagli studi: prima di lasciare il
paese ho imparato circa 6 lingue diverse (ceco, slo-
vacco, russo, tedesco, inglese, latino) e dopo anche
il coreano, spagnolo e polacco. Dal mio papà ho
preso la passione per i libri e per il lavoro, lui era
un lavoratore infaticabile, sia come ingegnere per
gli impianti elettrici, sia come membro del consi-
glio pastorale e nella ricostruzione di tantissime
chiese. Prima del servizio militare ho servito alla
messa quotidiana come un ministrante per 10 anni,
quindi vicino a Gesù-Eucaristia. Insieme con l’im-
pegno quotidiano apostolico in parrocchia erano le
basi della vocazione salesiana.
Com’è nata la sua vocazione?
Il mio è stato un cammino vocazionale insolito.
Due volte non sono stato accettato nel seminario
maggiore, solo dopo aver finito il servizio milita-
re di due anni sono stato accettato. Nel seminario
ho scoperto che uno dei migliori amici era diven-
tato salesiano. Sono cresciuto in un Paese con due
ispettorie salesiane di circa 400 confratelli, ma con
nessuna casa salesiana. Infatti dal 1950 al 1989 il
regime totalitario aveva chiuso tutte le case reli-
giose. Dopo la perdita di tutte le istituzioni e case
salesiane, alcuni confratelli facevano ministero nel-
le parrocchie diocesane, altri nelle strutture della
chiesa ’clandestina’.
Ho conosciuto la biografia di don Bosco a 10 anni
nella mia parrocchia, ma ho incontrato il primo
salesiano “dal vivo” solo dopo i 24 mesi del ser-
vizio militare, nell’unico seminario diocesano che
esisteva. Quindi i 4 anni della formazione salesiana
sono stati tutti clandestini. Posso dire di aver avuto
almeno tre maestri dei novizi.
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MAGGIO 2023

2.3 Page 13

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Qual è stato il suo itinerario salesiano?
Grazie a Dio ho incontrato tanti veri modelli sa-
lesiani in Cecoslovacchia, confratelli che hanno
portato avanti il carisma nella persecuzione, nono-
stante le prigioni, i lavori forzati oppure una vita
umile e molto sacrificata. La loro testimonianza, il
coraggio e la fede, il loro amore a don Bosco sono
le radici della mia chiamata salesiana.
Dopo una “buona notte” sul nascente Progetto Afri-
ca, durante gli esercizi spirituali, non ho potuto dor-
mire. Ho scoperto la mia vocazione missionaria. Ho
capito che il Signore mi aveva dato in abbondanza le
tre qualità fondamentali per essere missionari: buo-
na salute, capacità di imparare le lingue e la passione
di condividere la fede con i non cristiani.
Due anni dopo questa buona notte, con l’aiuto di
tanti ho potuto lasciare il mio Paese e, attraverso le
Alpi della Slovenia senza nessun documento, sono
arrivato a Roma. Dopo due anni di continua for-
mazione e l’ordinazione sacerdotale da Giovanni
Paolo II, sono stato inviato dal Rettor Maggiore
nella Corea del Sud nel 1986. Il mio sogno missio-
nario ‘africano’ è stato cambiato per l’Asia Est, dove
ho trascorso tanto tempo.
Gesù Cristo e hanno ricevuto anche il battesimo ed
alcuni giovani che ho potuto accompagnare nella
ricerca vocazionale.
Vivere nella giovane Chiesa coreana, che è cresciu-
ta da 2 milioni al mio arrivo fino a 6 milioni di
fedeli ad oggi, era un grande dono del Signore. La
freschezza della fede era vissuta anche tra i Sale-
siani, da 35 confratelli nel 1984 fino ad una ma-
tura ispettoria con più di 120 confratelli, che invia
anche missionari all’estero. Un eccezionale spirito
di famiglia vissuto tra i confratelli non si può di-
menticare.
Anche il cammino con i salesiani cooperatori in
Corea ha segnato la mia vita, ho imparato da loro
la formazione congiunta con i laici, nel reciproco
scambio. Dopo 30 anni di maturazione vocazio-
nale, la provincia coreana dei salesiani cooperatori
conta più di 700 membri ben formati.
Poi l’orizzonte si è allargato
Come un fulmine a ciel sereno, quando ero Ispet-
tore della Corea, durante il Capitolo Generale 25
a Roma, sono stato eletto come primo consigliere
regionale della nuova regione Asia Est-Oceania
(2002-2008). Un territorio immenso dalla Mongo-
lia fino all’Australia nel sud, dalla Thailandia fino
alle isole Samoa nel Pacifico.
L’impegno
di don
Václav è una
coraggiosa
sfida in
Paesi molto
difficili.
Il ricordo più bello?
Durante i 16 anni di vita missionaria in Corea del
Sud ho toccato con mano il carisma di don Bosco:
tanti giovani poveri accolti e preparati per la vita,
tanti giovani che hanno incontrato nostro Signore
MAGGIO 2023
13

2.4 Page 14

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L’INVITATO
Don Václav
con il
manifesto
della Santità
Salesiana.
Al termine, fui eletto Consigliere per le missioni
salesiane. Significava tanti viaggi d’animazione in
tutti e 5 i continenti, per accompagnare il discer-
nimento e la formazione di 220 nuovi missionari
durante il sessenio. Poi fui incaricato per un altro
sessennio come Consigliere regionale per l’Asia
Est-Oceania, che comprende ben 23 paesi e 12
ispettorie.
Dopo 18 anni passati nel Consiglio generale, il
Rettor Maggiore mi ha chiamato a svolgere diverse
visite straordinarie (2020-2022). Così negli ultimi
20 anni ho visitato quasi 100 paesi dove è presente
la congregazione salesiana, specialmente nelle pe-
riferie missionarie e presenze più recenti. Era una
vita nomade, con qualche mese in casa generalizia e
quasi tutto l’anno nei viaggi tra le case ed ispettorie
salesiane. Quindi posso dire che il mio indirizzo è
‘Don Bosco’.
E ora la Visitatoria Africa Meridionale
(AFM). Qual è la situazione attuale?
La chiamata del Rettor Maggiore ed il mio nuo-
vo invio missionario nel Sud Africa mi ha colto di
sorpresa. Conosco molti confratelli dal tempo della
visita straordinaria fatta 12 anni fa in questa Visita-
toria. È dedicata a don Rua perché fu il primo suc-
cessore di don Bosco ad inviare i salesiani a Cape
Town, nel 1896.
Ora è una Visitatoria che comprende tre paesi,
Sud Africa, Lesotho e Eswatini, con un totale di
64 millioni d’abitanti e una minoranza cattolica di
circa 5 millioni di fedeli. Solo nel piccolo Lesotho
troviamo circa il 50% di cattolici tra 2 milioni di
abitanti.
Ci sono ora solo 35 confratelli salesiani e 7 comu-
nità canoniche. Essendo un paese con 11 lingue
ufficiali, anche la Visitatoria salesiana conta non
meno di 15 nazionalità tra i salesiani. Ci sono 15
scuole, 5 parrocchie, 2 opere sociali, centri giova-
nili ed oratori.
Sono pochi i salesiani, ma sono circa 1400 i laici
collaboratori (lay mission partners). In maggioranza
i confratelli sono africani, ma hanno già inviato il
primo salesiano missionario ad gentes nel 2014.
Ovviamente nel contesto della regione Africa-Ma-
dagascar con 14 ispettorie e quasi 2000 salesiani,
l’afm è la Circoscrizione più piccola. Ci sono 5
giovani confratelli in formazione iniziale con tre
aspiranti. La presenza di ben 5 salesiani coadiutori
completa la nostra vocazione salesiana consacrata,
un tesoro prezioso nel contesto africano.
Nonostante la scarsità di confratelli, ci sono tante
realtà bellissime della missione salesiana, come il
volontariato giovanile missionario, opere sociali per
i più bisognosi e migliaia di giovani che possiamo
incontrare ogni giorno nelle nostre scuole, oratori
e parrocchie.
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2.5 Page 15

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Quali difficoltà prevede?
Ognuno dei 134 paesi dove i salesiani vivono e la-
vorano per i giovani affronta diverse sfide. Sicu-
ramente la sfida principale è la sproporzione tra
il personale salesiano e l’ampiezza della missione,
quando nello stesso tempo abbiamo diversi inviti
dai vescovi di varie diocesi sudafricane. Richiedono
i salesiani per far crescere la pastorale giovanile, per
contribuire alla formazione dei giovani cattolici e
non solo.
Quindi siamo invitati a un impegno straordinario
nel campo vocazionale e per la ricerca dei nuovi
missionari. Inoltre la società sudafricana anche a
distanza di 30 anni dopo la fine della segregazio-
ne (apartheid) ancora soffre la forte disuguaglianza
economica tra i ricchi e i poveri. Ciò crea ancora
notevoli tensioni sociali. I giovani dell’Africa me-
ridionale richiedono un fermo impegno per essere
preparati per la vita con gli oratori, i centri giova-
nili, i cfp ed altre opere di formazione integrale.
Come vede il futuro dei Salesiani in
questo angolo difficile dell’Africa?
Nella grande, giovane e dinamica regione Africa-
Madagascar contiamo sulla comunione e solida-
rietà effettiva tra le 14 ispettorie. Nonostante tante
sfide esterne, sociali, economiche e materiali, il
futuro della comunità cattolica, nella quale siamo
una piccola porzione, dipende dalla passione per i
giovani e dallo spirito salesiano.
Durante la recente consultazione per il nuovo ispet-
tore tutti i confratelli della Visitatoria dell’Africa
Meridionale hanno additato il ministero vocazio-
nale come un’assoluta priorità, quindi se cammi-
niamo vicino ai giovani come don Bosco, troviamo
il futuro affascinante. Anche nell’Africa meridio-
nale la più grande richezza sono i giovani e lo spi-
rito comunitario.
La Chiesa ha bisogno di don Bosco, quindi il no-
stro futuro dipende dal portare don Bosco vivo tra
le tante sfide del momento presente.
«Nonostante
la scarsità di
confratelli,
ci sono
tante realtà
bellissime
della
missione
salesiana,
come il
volontariato
giovanile
missionario,
opere sociali
per i più
bisognosi e
migliaia di
giovani che
possiamo
incontrare
ogni giorno
nelle nostre
scuole, oratori
e parrocchie».
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2.6 Page 16

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LE CASE DI DON BOSCO
La Comunità
Sampierdarena
La seconda Valdocco
«La nostra
realtà
territoriale è
multietnica,
situata in un
quartiere
popolare,
povero e
bisognoso
di iniziative
educative
costanti e
creative».
Il cuore di don Bosco si allarga
Il 26 ottobre 1871 don Albera, due giovani sale-
siani, tre capi laboratorio ed un cuoco partono per
Genova. Al momento di partire don Bosco aveva
con affetto raccomandato a don Albera, il direttore
della nuova opera, di non darsi pensiero di niente
e di riporre tutta la fiducia nel Signore. Gli chiese
poi se avesse bisogno di qualche cosa. “No, signor
don Bosco – rispose – La ringrazio, ho con me 500
Lire”. E don Bosco: “Non è necessario tanto denaro.
Non ci sarà la Provvidenza a Genova? Va’ tranquillo,
la Provvidenza penserà anche a te”. Si prese le 500
Lire e gli lasciò una somma molto inferiore. E la
Provvidenza non mancò.
Alla stazione di Genova non trovarono nessuno
ad attenderli. I Salesiani chiesero informazioni ai
passanti e raggiunsero la casa loro destinata. In
novembre si accolgono i primi giovani. A sceglierli
sono i soci della San Vincenzo. Saranno i primi ap-
prendisti calzolai.
Don Bosco riceveva molte richieste per opere simili
ma, tranne due eccezioni di poca durata, non vol-
le più aprire istituti nei piccoli centri. Perciò aveva
orientato le sue scelte in base a condizioni geogra-
fiche e sociali che consentissero di valorizzare nel
miglior modo possibile il suo ideale educativo.
Ciò lo portò a rinunciare alle opere poste nei piccoli
centri e ad indirizzarsi verso quelle situate nei
quartieri popolari dei capoluoghi e in importanti
aree di provincia.
L’esperienza originaria dell’Oratorio di Valdocco,
situato in uno dei quartieri periferici di pieno svi-
luppo della città e caratterizzato da seri problemi
sociali, aveva conferito alla persona e all’opera di
don Bosco un’immagine e un ruolo ben definiti:
egli era al servizio dei giovani poveri e abbandona-
ti di ceto popolare delle periferie cittadine con un
metodo educativo innovativo e di grande efficacia.
L’espansione dell’opera fuori Torino avrebbe dovu-
to seguire lo stesso modello.
Sampierdarena sembra segnare un nuovo indiriz-
zo che non mira solo a rispondere alle richieste dei
comuni, ma innanzitutto all’appello della Chiesa a
favore di scuole e associazioni giovanili cattoliche.
Da sempre don Bosco aveva voluto fondare in Li-
guria una casa o un ospizio per i ragazzi poveri. Fi-
nalmente poté realizzare il suo progetto con l’aiuto
delle Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli e del
marchese Giuseppe Cataldi (1809-76), banchiere e
senatore, che gli affittò la propria villa in disuso a
Marassi per 500 Lire l’anno.
Presto il numero degli iscritti superò la capienza
della casa, che oltretutto era collocata in posizio-
ne scomoda, a qualche chilometro dal centro città.
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2.7 Page 17

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Perciò l’anno successivo (1872) don Bosco cercò un
luogo più adatto. Grazie all’interessamento dell’ar-
civescovo di Genova, monsignor Salvatore Magna-
sco, con l’aiuto delle Conferenze di San Vincenzo
de’ Paoli e il permesso della Santa Sede, acquistò
l’antico monastero dei Teatini e la grande chiesa
in rovina. Il complesso si trovava a Sampierdarena,
sobborgo di Genova popoloso e in via di sviluppo,
che somigliava molto ai quartieri torinesi di Borgo
Dora e Valdocco.
La proprietà costò a don Bosco 37 000 lire. Per il
restauro della chiesa e dell’edificio riuscì a racco-
gliere una cifra analoga rivolgendosi al clero, alla
nobiltà e alla ricca classe media. In tal modo poté
aprire l’orfanotrofio (ospizio) San Vincenzo de’ Pao­
li, i laboratori e l’oratorio festivo, più tardi anche
le scuole primarie e secondarie e il seminario per
le vocazioni adulte (Opera di Maria Ausiliatrice).
Con un personale giovane ed appassionato, guidato
da don Albera, l’istituto di Sampierdarena prosperò
e divenne la “Valdocco della Liguria”, un’opera più
simile e completa delle altre due precedentemente
aperte in Liguria: Alassio e Varazze. Quando nel
1881 venne istituita l’Ispettoria ligure-toscana, di-
venne anche sede provinciale.
E continuò a crescere
Il “Don Bosco” di Sampierdarena ha segnato pro-
fondamente la vita e la storia del quartiere viven-
do in simbiosi con la sua gente gioie e dolori, due
guerre, la fatica della ricostruzione, la migrazio-
ne interna dal Meridione d’Italia, la migrazione
dall’Africa, dall’Asia e dall’Est Europa e, dal 1996,
lo stanziamento massiccio dei latino americani...
Sono passati oggi 150 anni e Sampierdarena si è
dimostrata una scelta giusta, per la sua vocazione
operaia e industriale. Un terreno ricco di futuro per
i ragazzi di don Bosco che, sempre più numerosi,
hanno costretto a pensare e ripensare le strutture in
funzione dei sempre nuovi sbocchi di lavoro.
La caratteristica prevalente fu la scuola di Arti e
Mestieri. Seguendo poi l’evoluzione della scuola in
Italia si succedettero il ginnasio, l’avviamento, la
scuola media e le classi della qualifica professionale
che preparava operai richiesti dal mondo del lavoro.
Nel 1963 nacque l’Istituto Tecnico Industriale, per
meccanici; poi si aggiunsero gli elettrotecnici, poi
Sono passati
oggi 150 anni e
Sampierdarena
si è dimostrata
una scelta
giusta, per la
sua vocazione
operaia e
industriale.
Un terreno
ricco di futuro
per i ragazzi
di don Bosco
che, sempre
più numerosi,
hanno costretto
a pensare e
ripensare le
strutture in
funzione dei
sempre nuovi
sbocchi di
lavoro.
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2.8 Page 18

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LE CASE DI DON BOSCO
L’oratorio e
la parrocchia
sono
vivacissimi,
multietnici
e molto
frequentati.
gli elettronici, poi gli informatici. Fino a non mol-
ti anni fa, come attesta la memoria dei Salesiani
più anziani che da tanti anni vivono nell’Opera, le
grandi industrie genovesi si premuravano di chiede-
re gli elenchi dei ragazzi ancor prima che finissero i
loro studi per assumerli subito nel mondo del lavoro.
Il passaggio di Genova da città industriale a città di
servizi e la riforma scolastica che sembrava privile-
giare i Licei hanno fatto sì che nel 1991 nascessero
anche un Liceo Scientifico ed un Liceo sportivo.
Nel 1998 nasce “L’Albero Generoso” scuola prima-
ria e con lui il “nido”, la scuola dell’infanzia, e si
consolida la scuola secondaria di primo grado.
E per concludere nel 1999 nasce l’importantissi-
mo Centro di Formazione Professionale oggi fiore
all’occhiello dell’intera Opera ed unica realtà con
Genova Quarto dove permane la presenza salesiana
egregiamente condotta da un gruppo di laici della
Famiglia Salesiana.
L’oratorio e la parrocchia sono vivacissimi, multietni-
ci e molto frequentati. La parrocchia con oltre 15 000
fedeli e con una presenza massiccia di stranieri ha
costruito nel tempo una bella comunità. La parte-
cipazione alle varie attività della Chiesa è tangibile.
Hanno una percentuale buona la partecipazione alla
Liturgia Domenicale, la ricerca per le confessioni e
la vita cristiana e comunitaria in generale.
Tre domande al Direttore, don Sergio Pellini
Che cosa ti dà maggiore soddisfazione?
La gioia più grande e che mi dà soddisfazione è sen-
tirsi parte attiva di un sogno di don Bosco che con-
tinua ancora da 150 anni in questa città, con questi
giovani e validi collaboratori. La stima e l’apprezza-
mento per questa Opera e per il carisma che passa
anche per le nostre povere persone ci riempie il cuore
e ci rende sempre più appassionati come comunità
educativa a continuare a servire e ad amare.
Come sono i giovani che frequentano
l’opera?
La nostra realtà territoriale è multietnica, situata
in un quartiere popolare, povero e bisognoso di
iniziative educative costanti e creative. L’Opera è
aperta a tutti senza rinunciare alla nostra identità e
i giovani non mancano! Occorre esserci, essere pre-
senti in cortile e cogliere nella spontaneità il punto
su cui far leva per orientare al bene.
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2.9 Page 19

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“CANTAVANO BELLISSIME LODI”
Don Albera, seguendo l’esempio e i consigli di don
Bosco, ebbe grande fiducia nella Provvidenza. Fu uno
squisito ed intelligente educatore. Mise in atto per l’O-
spizio di San Vincenzo de’ Paoli le sue doti di organiz-
zatore, costruttore e animatore spirituale e soprattutto
la sua bontà. I giovani ed i confratelli sentivano in lui
il padre sensibilissimo alle loro svariate necessità, la
pietà che trascina al bene, la mente colta, aperta che
intuiva le loro disposizioni psicologiche e ad esse si
conformava nel porgere ad ognuno il suo aiuto. Una
conferma indiretta la troviamo in una lettera di don
Domenico Canepa che ricorda, dopo cinquant’anni, i
primi momenti di vita dell’Opera. Ragazzetto, Dome-
nico abitava nei pressi della casa di Marassi. “Ricordo
quando don Albera e i suoi compagni giunsero a Ma-
rassi. Noi guardavamo con una certa diffidenza i nuo-
vi venuti. Forse a cagione del vicino Istituto di discoli
nella vallata del Bisogno si applicò tale qualifica anche
a loro che venivano raccomandati dalla conferenza:
ciascuno però si convinse che tale nomignolo non con-
veniva punto. Con meraviglia e con senso di piacere
si osservava la familiarità che esisteva fra Superiori e
alunni; conversavano, giocavano insieme e alla sera sul
terrazzo cantavano bellissime lodi alla Madonna che
immensamente piacevano agli abitanti del vicinato e
il cui eco saliva gradito fino al Santuario delia Madon-
na del Monte, sito quasi in faccia all’Ospizio. La nostra
meraviglia più grande era specialmente vedere quei
giovani giocare o passeggiare in mezzo ai filari, senza
che provassero la tentazione di staccare qualcuno dei
magnifici grappoli d’uva.”
II giovane della lettera è un orfanello che lavorava
presso uno zio accanto all’Opera salesiana. Una sera,
verso la fine dell’anno, stava scalzo, in maniche di
camicia, appoggiato alla porta dell’Ospizio. Si sentì im-
provvisamente toccare sulla spalla da don Albera che
gli disse: “Vuoi venire con me?” “Sissignore”, rispose.
Don Albera parlò con lo zio del ragazzo e se lo portò a
Sampierdarena ove divenne salesiano. Ordinato sacer-
dote, fu uno tra i più cari a don Bosco negli ultimi anni
della sua vita e zelante maestro di noviziato in Italia e
in Francia.
Domenico Canepa fu iI secondo sacerdote salesiano
genovese dopo don Lemoyne.
Quali sono i progetti per il futuro?
Innanzitutto continuare il sogno di don Bosco a
Genova con una presenza di consacrati ma coin-
volgendo maggiormente in una corresponsabilità i
laici collaboratori.
Lavorare sempre con un’attenzione particola-
re per i più poveri e cercare di rendere l’Opera
adeguata e sostenibile alle esigenze attuali e
future.
Operare maggiormente in rete.
Preparare il prossimo 150° (11 settembre 2025)
anniversario della prima spedizione missionaria.
Coinvolgere amici e benefattori nel progetto
di un Polo Culturale Giovanile non solo con la
scuola ma anche con la ripresa del teatro, del Ci-
nema e della Musica.
Offrire un’esperienza vocazionale significativa
per giovani e adulti. In 150 anni la nostra Opera
ha sfornato più di 300 vocazioni religiose e sa-
cerdotali.
Progetti ambiziosi ma non impossibili a Dio se
rientreranno nella Sua Volontà. Questa Opera sa-
lesiana è disponibile a queste sfide. La guida di
Maria Ausiliatrice ci sosterrà e ci indicherà le vie
da seguire!
Il direttore, don Sergio Pellini, intervistato in teatro: «La gioia più grande e che mi dà
soddisfazione è sentirsi parte attiva di un sogno di don Bosco che continua ancora
da 150 anni in questa città, con questi giovani e validi collaboratori».
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2.10 Page 20

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DON BOSCO NEL MONDO
Santiago Valdemoros e Juan José Chiappetti (Boletin salesiano)
Vivere e lavorare in un
campo profughi
La presenza salesiana a Palabek, in Uganda.
La proposta di
Formazione
Professionale
è caratteristica
dell‘opera
salesiana a
Palabek e
risponde al
desiderio di
imparare, di
sentirsi utile,
di laurearsi
per trovare
lavoro.
Il tempo è una questione molto delicata nel
campo profughi, perché trascorrono mol­
to tempo libero. I Salesiani si assumono la
responsabilità di generare proposte per quel
tempo libero: teatro, danza, laboratori, musica”, dice
Máximo Herrera.
“Nel 2015, papa Francesco ha invitato le congre-
gazioni non solo a lavorare nei campi profughi, ma
anche a viverci. Così noi salesiani abbiamo raccolto
la sfida di essere dentro il Palabek – spiega il sale-
siano Máximo Herrera, argentino e missionario in
Africa –. Altre organizzazioni lavorano lì ma non
vivono lì. Partono tutti i giorni, ma i salesiani sono
gli unici autorizzati a vivere dentro Palabek e Ka-
kuma, in Kenya”.
L’Uganda è il Paese africano con il maggior nu-
mero di campi profughi – sono ventotto in totale
– e sono destinati a persone provenienti da Etiopia,
Somalia, Congo, Rwanda, Burundi e Sudan. Si sti-
ma che vi vivano un totale di 1 700 000 rifugiati.
Nel caso particolare di Palabek, appartiene all’Onu
e ha un’estensione di 400 chilometri quadrati, vi
soggiornano circa 72mila persone, principalmente
dal Sud Sudan.
I salesiani sono l’unica organizzazione autorizzata
a vivere all’interno del campo profughi di Palabek.
Máximo Herrera è un coadiutore salesiano, ar-
gentino ed exallievo delle opere di Salta e Cór-
doba. Da 28 anni vive e lavora come missionario
salesiano in Africa e tra i luoghi dove ha dovuto
prestare il suo servizio c’è la comunità salesiana di
Palabek.
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MAGGIO 2023

3 Pages 21-30

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Com’è vivere in un campo profughi
come salesiano?
I Salesiani hanno una casa piccola, la maggior parte
della gente vive in case di fango o di paglia, ma
la nostra almeno aveva una lamiera, abbiamo la
luce, che la gente non ha, e l’acqua di pozzo. Fino
all’anno scorso eravamo sei salesiani di sei paesi: un
venezuelano, due tirocinanti – uno del Burundi e
l’altro dell’Uganda – un congolese, un indiano e io.
È stata un’esperienza molto bella. La nostra quoti-
dianità in campagna è stata una sorpresa, perché le
condizioni umane sono molto limitate, la città dove
si compra il cibo è a 80 chilometri di distanza su
una strada di montagna e condividiamo le basi che
la gente mangia, mais e fagioli.
Ricordo che la prima domenica in cui sono arrivato
sono uscito a correre e ho trovato un sacco di donne
e bambini che spaccavano pietre, e ho pensato “che
vita triste, una domenica che spacca pietre”. Quando
sono tornato a casa ne ho parlato e mi hanno detto:
E che altro fa quella donna, non ha niente da fare”.
Il tempo è una questione molto delicata per loro
perché trascorrono molto tempo libero.
La nostra casa è come la sede della missione, e a otto
chilometri abbiamo la scuola, che è per la formazio-
ne professionale, è l’unica lì. E poi ci occupiamo di
tutte le attività del tempo libero: sport, tea­tro, musi-
PALABEK. PORTO DI SPERANZA
Alice e Gladys sono due giovani madri fuggite dalla guerra e che
vogliono offrire un futuro migliore ai propri figli. La loro quoti-
dianità nell’insediamento è cambiata grazie all’istruzione; ora
hanno speranza per il futuro e fiducia che arriverà la pace defi-
nitiva. La sua storia e l’opera dei missionari salesiani si possono
vedere nel documentario realizzato da Misiones Salesianas: Pa-
labek. Porto di speranza.
ca. La cosa più difficile per un rifugiato è il tempo,
perché è eterno, non ha niente da fare.
La proposta di Formazione Professionale è caratte-
ristica dell’opera salesiana a Palabek e, come affer-
ma Máximo, “risponde al desiderio di imparare, di
sentirsi utile, di laurearsi per trovare lavoro”.
Qual è la speranza, l’attesa, di una
persona che ci abita?
Il Sudan, da dove provengono i profughi, ha solo 11
anni di indipendenza ed è molto insicuro, perché
le tribù si uccidono a vicenda. Quindi chi entra in
campo – la maggioranza sono donne – e fa studiare
i ragazzi non vuole più tornare.
Noi Salesiani abbiamo un programma, sostenuto
con fondi dalla Spagna e da altre organizzazioni,
affinché i ragazzi possano studiare al liceo fuori dal
campo. Quindi un ragazzo che ha lasciato il Sudan,
dove non ha niente, e che sta studiando, non vuole
partire. Per questo la presenza salesiana pensa al
futuro. Certo che ci nutriamo, ma anche gli altri.
Pensiamo al futuro, a dare strumenti a quel ragaz-
zo affinché possa raggiungere gli obiettivi che si
prefigge.
«Nel 2015,
papa Francesco
ha invitato le
congregazioni
non solo a
lavorare nei
campi profughi,
ma anche a
viverci. Così
noi salesiani
abbiamo
raccolto la
sfida di essere
dentro il
Palabek» spiega
il salesiano
Máximo Herrera,
argentino e
missionario in
Africa. «Altre
organizzazioni
lavorano lì ma
non vivono lì».
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3.2 Page 22

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DON BOSCO NEL MONDO
“La devozione
a Maria
Ausiliatrice è
molto forte
tra i profughi,
durante il
tempo del
Covid la
messa era
vietata, ma
la gente
continuava a
riunirsi per
recitare il
rosario”.
Sembra che la missione salesiana in
Africa sia strettamente legata alla vita
quotidiana della gente.
Mi piace molto questo aspetto della vita quotidiana
della spiritualità salesiana. Come santificare, anche
se non è una parola che va molto di moda, le cose
comuni?
Trascorriamo l’intera giornata con i rifugiati in
varie attività: formazione professionale, progetti
agricoli, nel tempo libero attività come sport, ban-
da musicale, danza e ne siamo felici. Quindi, come
convivere con quello da cristiano, quella “cosa nor-
male” del lavoro con cui ogni mortale deve convive-
re. È lì che noi salesiani ci avviciniamo a Dio.
Don Bosco è stato molto chiaro che l’educazione
è il miglior dono che possiamo offrire in Africa.
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MAGGIO 2023
Non si accontentava di lavorare con i ragazzi pove-
ri, ma voleva che uscissero dalla situazione in cui si
trovavano, perché credeva che avessero un futuro.
“La devozione a Maria Ausiliatrice è molto forte
tra i profughi, durante il tempo del Covid la messa
era vietata, ma la gente continuava a riunirsi per
recitare il rosario”.
Di fronte a una realtà così difficile,
come si sostiene la fede?
Penso che ci siano due chiavi: primo, la profondità
della fede di ogni missionario. Penso di aver impa-
rato a pregare mentre ero in Africa, perché ho visto
lo sforzo e la convinzione con cui pregano. Ci sono
due dettagli che hanno attirato la mia attenzione:
primo, entrano in Chiesa a piedi nudi perché dico-
no che è un luogo sacro, santo. E anche che quando
vanno dove si trova il santuario, si coprono il volto.
Questo è da Mosè e dall’Esodo, perché dicevano
che la luce era così forte che non si poteva vedere.
Quell’espressione della Bibbia l’hanno presa alla
lettera, ma è un’espressione preziosa.

3.3 Page 23

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GLI INIZI
Quando giunse a Palabek, insieme con alcuni confratelli, pa-
dre Ubaldino Andrade, missionario venezuelano, aveva bene
in mente il 19° articolo dell’atto costitutivo dei Salesiani: i figli
di don Bosco sono chiamati ad avere il senso del concreto e
ad essere attenti ai segni dei tempi, convinti che “il Signore
si manifesta anche attraverso le urgenze del momento e dei
luoghi”.
Per questo si è subito messo al la-
voro per migliorare le condizioni
di vita delle migliaia di Sud-su-
danesi in fuga dalla guerra – pre-
valentemente donne e bambini
– insediati nel campo profughi di
Palabek con la speranza di ritor-
nare un giorno al loro villaggio in
un futuro di pace.
L’insediamento, situato nel nord
dell’Uganda, era in piena fase
organizzativa, e i Salesiani han-
no messo in campo le loro capacità, fortemente sostenuti
dall’intera Congregazione e, dall’Italia, dai benefattori di
Missioni Don Bosco. Hanno pertanto aperto asili per i bimbi
e successivamente una scuola professionale, avviato pro-
grammi nutrizionali e di sostegno psicologico.
Dopo aver provveduto a queste necessità impellenti, hanno
costruito una cappella dedicata a don Bosco per accogliere i
momenti di preghiera di queste
persone che manifestano ne-
cessità spirituali fortissime. “Tra
i rifugiati imperversano fame,
malnutrizione e altri deficit legati
alle carenze alimentari, ma essi
hanno soprattutto fame di Dio,
sono estremamente sensibili a
tutto ciò che ha a che fare con la
fede”. È con queste parole che
padre Ubaldino racconta la sua
esperienza.
Nel campo profughi si ricorda molto quando Gesù
va in Egitto, lo festeggiano come il giorno dei pro-
fughi, perché lì anche Gesù era un profugo, era uno
di loro.
E infine riscatto la devozione a Maria, in tempo di
Covid era vietato andare a messa, ma i cristiani si
riunivano per pregare il Rosario, perché questo era
permesso. In campagna sono molto devoti alla Ver-
gine. E come Salesiani lavoriamo per diffondere la
devozione a Maria Ausiliatrice, che, come ai tempi
di don Bosco, è la madre che ci accompagna nei
momenti difficili. Penso che questo abbia molto a
che fare con il contesto dell’Africa, dove le donne
sono quelle che scappano con i loro figli. Vedi che
vengono a passeggio con i piccoli, arrivano al cam-
po e continuano ad accudirli.
E mi sembra anche molto importante sostenere la
fede, la vita comunitaria, le missioni salesiane sono
comunità. La missione è affidata alla comunità.
Siamo molto vicini alle persone, passiamo tutto il
giorno nei laboratori e tu ascolti o scopri costante-
mente situazioni difficili e anche se non sembra che
ti riguardino.
Ma la comunità ti aiuta ad ammorbidirla, a soppor-
tarla, è importante capire la missione salesiana nel
suo insieme, non si consegna a un missionario. Il
missionario fa il suo lavoro, ma tutti i fratelli fanno
la missione. Quindi quando vinciamo il “campio-
nato” lo vinciamo tutti e quando lo perdiamo, lo
perdiamo tutti. Questo ci aiuta a vivere con una
certa normalità.
«E mi sembra
anche molto
importante
sostenere la
fede, la vita
comunitaria,
le missioni
salesiane sono
comunità. La
missione è
affidata alla
comunità».
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IMPRESE
Associazione Grande Nord
Maria Ausiliatrice
al Polo Nord!
In cima al mondo ci sono due statue di Maria Ausiliatrice.
Q uarant’anni or sono nasceva a Torino un
sodalizio di amici tutti appassionati del
Grande Nord, delle desertiche lande ar-
tiche, dei ghiacci dell’Oceano Glaciale
Artico, degli iceberg, del sole di mezzanotte e delle
aurore boreali durante le notti polari, nonché della
fauna polare con il suo re indiscusso: l’orso bianco.
Quest’anno ricorre dunque il 40° anniversario di
quel team che ha visto gli allora giovani torinesi
La piccola
statua
di Maria
Ausiliatrice
collocata a
Kap Martin.
compiere ben 7 spedizioni artiche, sempre con fi-
nalità di collaborazione scientifica con alcune uni-
versità italiane ed estere.
Oltre a ciò in tutti questi anni vi è stata una produ-
zione di diversi libri, di oltre 250 articoli su tutti i
principali periodici, di filmati video, di conferenze,
di un sito web e anche di cartoline e buste filate-
liche che hanno caratterizzato le varie spedizioni.
Kap Martin
Nel 1982 la prima spedizione polare di questo grup-
po di biologi, medici, subacquei, alpinisti nell’arcipe-
lago delle isole Svalbard.
Si trattava di compiere 300 km a piedi in quelle
terre che nel 1926 e ’28 avevano visto l’epopea dei
dirigibili “Norge” e “Italia” di U. Nobile.
Devoti di Maria Ausiliatrice alcuni componenti del
gruppo si organizzarono per portare una statuetta
della Madonna di don Bosco, e le suore del “Sa-
lotto” di Rivoli (to), frequentato dalla figlia di un
componente della spedizione, fecero scrivere alle
loro allieve una preghiera di pace da collocare ac-
canto alla statuetta.
Così, durante la spedizione “Svalbard ’82”, gli amici
torinesi posero la statuetta in un’area prospiciente il
Mare Artico, al riparo sotto un grosso masso, a Kap
Martin.
Facendo aderire ad una roccia la Madonnina me-
diante del collante speciale, le posero quindi ac-
canto, in un astuccio di alluminio, la preghiera che
avevano portato con loro ed un gagliardetto trico-
lore. La loro “missione” era compiuta.
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Capo Teghetthoff
Dopo altre spedizioni che portarono l’Associazione
Grande Nord (così si chiama questo gruppo) an-
cora alle Svalbard, nell’Alto Artico Canadese, in
Groenlandia Est, e a cui, di volta in volta, si inte-
gravano nuovi volti, i torinesi ebbero l’opportunità
di poter organizzare una spedizione nell’arcipelago
più a Nord del mondo: la Terra di Francesco Giu-
seppe, facente parte dell’immenso Artico Russo.
Era il 1994.
Il gruppo sarebbe stato la prima spedizione italia-
na in quelle isole dove nel 1899-1900 era giunta
la spedizione del Duca degli Abruzzi con la nave
“Stella Polare”, nonché il primo gruppo occiden-
tale nel dopoguerra a raggiungere quell’arcipelago
a 600 km dal Polo Nord. E questi primati durano
ancora oggi. Anche in questa occasione si decise
di portare una statuetta di Maria Ausiliatrice da
collocare nell’arcipelago, questa volta donata dalla
Redazione di Mondo Erre, periodico salesiano con
cui alcuni del gruppo collaboravano da anni.
La statuetta fu collocata al riparo di una grossa roc-
cia basaltica, nelle stesse modalità della prima volta,
con accanto una targa in ottone su cui vi era la pre-
ghiera di dar la pace al mondo... dalla cima del mon-
do. Il luogo prescelto era stato Capo Teghetthoff, in
un’area che aveva visto passare nell’800 i più grandi
esploratori polari della storia.
Un’altra delle missioni del gruppo subalpino era
compiuta.
Nel corso di tutte le spedizioni artiche dell’Asso-
ciazione Grande Nord, com’è tipico di tutte le spe-
dizioni polari, molti e svariati sono stati i momenti
di pericolo vero che gli amici torinesi hanno corso e
da cui si sono sempre salvati. Certamente lassù c’era
Qualcuno che li proteggeva.
L’immagine di Maria Ausiliatrice
sul tetto del mondo è un segno
di benedizione per tutte le
creature.
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FMA
Christian Selbherr/Don Bosco magazin Foto: Jörg Böthling
Costa d’Avorio:
sfida alla povertà
In uno slum come Divo, in Costa
d’Avorio, bambini e giovani
devono superare grandi ostacoli
nel loro cammino verso il futuro.
Anche grazie all’aiuto delle suore
di Don Bosco.
Una donna
d’affari
coraggiosa:
Souhela ha
aperto il suo
salone di
bellezza.
C ome spesso accade: alla gente piace par-
lare! Soprattutto quando ci sono notizie
interessanti. Patricia Konan e Lyliane Sa-
nogo hanno appena fatto una breve pausa
caffè e stanno chiacchierando. Stanno parlando di
una giovane donna di nome Souhela. Hanno appe-
na scoperto che Souhela ha recentemente aperto il
suo negozio in città. Un “negozio di bellezza”. Non
è così facile, dice una. Ci vuole coraggio, dice l’altra,
e devi pensare bene che tipo di attività vuoi aprire.
Una pasticceria? “Attualmente puoi trovarle in ogni
angolo”, afferma la signora Sanogo. “Il mercato è so-
vraffollato.” È simile ai negozi di parrucchieri. La
conversazione va avanti così per un po’.
Perché le due signore sono così preoccupate per il
futuro di un piccolo salone di bellezza? Ebbene,
conoscono il titolare, perché le due donne lavora-
no come badanti nel “Foyer Marie Dominique”, un
centro sociale delle suore di Don Bosco ad Abidjan
in Costa d’Avorio. E Souhela è stata addestrata lì.
Patricia Konan e Lyliane Sanogo sono orgogliose
che la 26enne abbia ora osato fare il passo successi-
vo dopo diversi anni di formazione con le suore di
Don Bosco. Gestisce il suo piccolo negozio: “Yeri’s
Beauty Shop”.
Nel centro delle suore Don Bosco ci sono regolari
classi di scuola primaria e corsi di formazione ar-
tigianale per ragazze. Alcune stanno imparando a
fare le panettiere e le pasticciere, altre si stanno di-
plomando come sarte.
Una delle sfide più grandi: che cosa succede quando
terminano la formazione? Non tutte potranno apri-
re subito il proprio negozio. “Sì, è difficile”, afferma
suor Ruth Cediel. “Quando se ne vanno da qui, spes-
so non trovano subito lavoro. A volte è scoraggiante».
Per questo le suore cercano contatti con negozi,
aziende e imprese.
E a volte nuove porte si aprono inaspettatamente.
Oggi, ad esempio, si è annunciato un uomo che
vorrebbe fare qualcosa di buono per le ragazze del
centro. Un pranzo gratis! Il donatore viene da Tai-
wan e ha già lavorato in Austria nel settore del-
la ristorazione. “Ora ho un ristorante asiatico ad
Abidjan”, dice mentre le ragazze fanno la fila per
il cibo. Un paio di grandi pentole di riso con ver-
dure fresche, e che come donazione, va bene qui.
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«E io sono sempre alla ricerca di lavoratori», dice il
ristoratore alle sorelle. “Forse un giorno posso of-
frire uno stage?” Accettano di tenersi in contatto.
Sarebbe una collaborazione promettente.
Fuga dalla violenza domestica
C’è anche una ragazza a tavola il cui vero nome
dovrebbe preferibilmente non essere menziona-
to. Chiamiamola Caroline. “Nessuno sa che è con
noi”, dice suor Ruth Cediel. Perché Caroline è
scappata di casa, più precisamente: è scappata dal
marito violento. L’avevano sposata contro la sua vo-
lontà. Una volta, quando è diventato troppo per lei,
deve aver reagito. Poi è scappata. “Sai”, dice sorella
Ruth, “il punto centrale del matrimonio forzato è il
prezzo della sposa per una ragazza. Una volta che i
soldi sono stati pagati dalla famiglia, nessuno è più
interessato alla donna”.
Questo è quello che è successo a Caroline, che ora
deve sperare che un giorno la sua famiglia non la
ritroverà. Soprattutto qui nel quartiere densamen-
te popolato puoi trovare rapidamente un riparo da
qualche parte, ma è altrettanto facile essere indivi-
duati per caso da un conoscente. In realtà esistono
leggi per casi del genere, ma un Paese come la Co-
sta d’Avorio ha alle spalle lunghi anni di conflitti
politici, che hanno scosso definitivamente lo Stato.
Tuttavia, le suore collaborano quotidianamente con
le autorità statali.
Spesso sono gli agenti di polizia o gli impiegati
dell’ufficio di assistenza sociale della città che por-
tano loro bambini e giovani e chiedono di prender-
sene cura. Così è stato con le due ragazze Lisette
e Ange. Vivevano per strada. Di notte cercavano
un posto dove dormire sotto un telone di plastica
o sotto uno dei tanti banchi di legno del mercato,
che poi restano lì deserti. Una sera è passata una
pattuglia della polizia. “Il brigadiere le ha prese e le
ha portate da noi.”
Un percorso con molti ostacoli
“Mi piace qui”, dice Lisette mentre si siede in clas-
se, cucendo e adattando un pezzo di stoffa. Impara
a realizzare i famosi abiti africani variopinti con la
stoffa colorata. Forse questo è un modo per un fu-
turo migliore anche per loro. Ma il suo passato non
la lascerà andare così facilmente. Vorrebbe tornare
in famiglia, ma i suoi genitori non stanno più in-
sieme, si sono entrambi risposati. In quanto figlia
maggiore, al momento non c’è spazio per lei, dico-
no. Si può solo immaginare quanto debbano essere
dure le condizioni in un quartiere come questo.
Lo hanno sperimentato loro stesse le suore di Don
Bosco. Hanno vissuto in mezzo a Divo per un po’,
ma è diventato troppo pericoloso per loro. La loro
casetta è stata visitata da ogni sorta di strane crea-
ture. “Abbiamo deciso di partire”, dice suor Ruth.
Il Foyer Marie Dominique dista poche centinaia
di metri. È custodito e chiuso con un cancello di
ferro.
Gli studenti dovrebbero essere al sicuro lì, ma an-
che i leader dovrebbero essere al sicuro. “Tuttavia,
non abbiamo paura”, dice la sorella. Confidano che
il loro lavoro darà certamente i frutti che merita.
Una suora
piena di
fiducia:
Ruth Cediel
confida che
il suo lavoro
a Divo sarà
apprezzato,
nonostante
tutta la
violenza e il
crimine.
Prima pietra
per il futuro:
ogni bambino
ha diritto
all’istruzione.
Questo è
l’impegno
delle suore di
Don Bosco.
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QUELLI CHE LO HANNO CONOSCIUTO
Testimonianze giurate al processo sulla santità di don Bosco
«Ero sempre
in sua compagnia»
Giorgio Moglia, contadino.
Quando Giovannino Bosco, in una fredda giornata del feb-
braio 1827, dovette lasciare la sua casa dei Becchi per i mal-
trattamenti del fratellastro Antonio, andò a cercare lavoro
come garzone alla cascina dei Moglia. Nell’aia incontrò
tutta la famiglia: Luigi, giovane papà di anni 29; Dorotea,
fiorente mamma di 26 anni; il loro bambino Giorgio, di tre
anni; la giovanissima sorella di Luigi, Teresa di 15 anni; e
Giuseppe, zio anziano di Luigi.
Quando si fece il «processo di santità» per don Bosco, la
signora Dorotea era appena mancata, vecchietta bianca e
fragile di 91 anni. Al «processo» si recò suo figlio Giorgio,
67 anni. Rilasciò la sua testimonianza sotto giuramento e
sotto segreto.
Due grani e quattro spighe
Mia madre mi raccontò che un giorno il giovane
Bosco, ritornato dalla campagna sul mezzogiorno
insieme allo zio di mio padre, questi stanco dai
lavori si sdraiò in casa per riposarsi, e vedendo il
giovane Bosco che, sentito il suono dell’Angelus Do­
«Mi chiamo Moglia Giorgio del fu
Luigi e della fu Dorotea Fili-
pello, di anni 67, nato e domi-
ciliato a Moncucco Torinese, di
professione contadino. Quanto dirò, sarà quanto so
di mia scienza, e non altrimenti.
Io ho conosciuto don Giovanni Bosco quando ave-
vo tre anni e il giovane Bosco tredici, nel tempo
in cui trovavasi in casa dei miei genitori, in qualità
di servitore di campagna. Abitavamo già allora in
Moncucco, alla Borgata Moglia. Il giovane Bosco
si è fermato circa due anni in casa nostra. Durante
quel tempo tutti i giorni io gli parlavo, perché si
può dire che ero sempre in sua compagnia, sia in
campagna sia in casa. Anzi, mia madre mi conse-
gnava in custodia a lui, ed egli lo faceva volentieri,
ma ora non ricordo nulla di quello che egli mi dice-
va essendo io d’età infantile.
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mini (la campana di mezzogiorno), si era messo in
ginocchio a recitare l’Angelus (preghiera che ricorda
l’Annunciazione della Madonna), ne restò oltremodo
meravigliato, ed esclamò:
«Questa è bella, io che sono il principale e non ne
posso più dalla stanchezza, me ne sto qui, e il mio
servitore invece si mette a pregare in ginocchio!».
Il giovane Bosco soggiunse:
«Oh guardate, se va bene ho guadagnato più io a
pregare che voi a lavorare; se pregate, seminando
due grani ne nascono quattro spighe; se non prega-
te, seminando quattro grani raccogliete due spighe.
E ridendo soggiunse: – Pregate anche voi, e invece
di due ne raccoglierete quattro».
L’altro a ciò udire esclamò: «Oh pofferbacco, che io
abbia a prender lezione da un giovanetto?».
Raccoglieva i ragazzi nei tempi
liberi e piovosi
Mia zia, di nome Anna, allora nubile, mi diceva
che nei tempi liberi e piovosi il giovane Bosco rac-
coglieva i giovanetti attorno a sé, e loro insegnava
ora il catechismo ora a cantare qualche lode sacra.
All’età di quindici anni il giovane Bosco, per
motivo degli studi lasciò la nostra casa, e vi ritornò
quando era già chierico, e noi non lo conoscevamo
più. Al vederlo e riconoscerlo tutti ne provammo
un gran piacere, e i miei genitori lo vollero far ri-
manere con loro. Essendo la madre del Bosco allo
stretto d’alloggio, lo fecero restare in casa, dove ri-
mase tre mesi durante le vacanze. In tal tempo lo si
vedeva sempre dedito alla preghiera e allo studio, e
assiduo alla Chiesa.
Quando arrivò la prima volta
Quando il giovane Bosco venne accolto in casa
nostra da servitore di campagna, come mi fu rac-
contato dai miei genitori, era venuto via dalla casa
paterna col permesso della sua mamma, perché
era maltrattato dal suo fratellastro. E venne a casa
nostra un giorno verso sera. S’incontrò con lo zio di
mio padre, di nome Giuseppe Moglia, che gli disse:
«Oh dove vai?» E Bosco rispose: «Vado cercando
un padrone per prestare l’opera mia». Allora lo zio
gli disse: «Bravo, lavora» e lo mandò via. Quan-
do una mia zia sentì queste parole, supplicò lo zio
di volerlo accogliere, per essere essa esonerata dal
condurre gli animali al pascolo, e tanto disse che il
Moglia lo tenne in casa.
«Ho conosciuto sua madre
Margherita»
Da mia zia Anna seppi che il giovane Bosco era
intento alla preghiera anche quando era occupato a
pascolare il gregge in campagna. Ricordo ancora che
il giovane Bosco, essendo già chierico, io ero andato
alla sua casa, e vi rimasi per circa tre mesi. Prima
di addormentarci mi faceva pregare e mi dava buoni
consigli. Fra le altre cose mi disse parecchie volte:
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QUELLI CHE LO HANNO CONOSCIUTO
– La miglior opera che sia al mondo è portare le
anime perdute al bene, sulla buona strada.
Altre volte mi diceva:
– Chi perde il rispetto al padre e alla madre, si at-
tira la maledizione di Dio.
E questo mi disse, avendogli io narrato che un gio-
vane del mio paese aveva maltrattato suo padre.
Io ho tanto rispetto, stima e amore per don Bosco,
quanto ai miei stessi genitori. E se ho bisogno di
grazie dal Signore, io ricorro a lui per ottenerle. Io
desidero ardentemente la sua beatificazione, e se
fosse necessario che io andassi a piedi sino a Roma,
io lo farei ben volentieri.
Ho conosciuto sua madre, che si chiamava Mar-
gherita, contadina. Aveva una piccola casa e qual-
che campicello. Il padre non l’ho conosciuto perché
è morto quando don Bosco era ancora ragazzino.
Sua madre era tenuta in grande stima dai miei ge-
nitori, e presso la borgata e dintorni, e da tutti lo-
data come una madre cristiana, veramente buona.
Mia madre ogni anno
gli regalava le calze
Quando mio zio arava il campo, il giovane Bosco
che guidava i buoi, se questi andavano senza bi-
sogno della sua guida, coglieva ogni momento per
trarre fuori un libro e leggere.
Dopo essersi il giovane Bosco fermato due anni con
noi, si fermò un anno dal parroco di Castelnuovo,
quindi andò a Chieri per continuare i suoi studi.
Mia madre, quando egli era già chierico in seminario,
gli regalava ogni anno qualche paio di calze, il che
prova che essa lo considerava come un suo figlio.
Io ho sentito la Messa di don Bosco nei primi mesi,
dopo che era stato ordinato sacerdote, mentre tro-
vavasi in vacanza a Castelnuovo, e ne restai edifica-
to. L’ho pure sentito predicare una volta nel princi-
pio del suo sacerdozio, e io e i parenti ne restammo
bene impressionati.
Vidi la casupola che fu
il principio dell’Oratorio
Fin da quando si trovava in casa nostra, il giovane
Bosco nei momenti di libertà cercava di attirarsi i
giovanetti, e loro insegnava il catechismo, le litanie,
qualche lode, e raccontava qualche buon esempio.
Fatto poi sacerdote, accrebbe questo suo desiderio
di far del bene alla gioventù, e fondò poi l’Oratorio
per accogliere giovani poveri. Io stesso, venuto una
volta a Torino, vidi la casupola che fu il principio
dell’Oratorio, in cui v’erano già alcuni giovani. In
quell’occasione don Bosco mi disse che se conosce-
vo qualche giovane povero e senza genitori, lo con-
ducessi pure a Torino al suo Oratorio, che l’avrebbe
accettato: difatti ne condussi due o tre. Il numero
dei giovani (crebbe) sempre più. Negli ultimi anni,
in cui visse, don Bosco mi disse che nell’Oratorio
di Valdocco v’era più gente che non nel mio paese
di Moncucco.
Ho letto alcuni libri e fui associato alle Letture Cat­
toliche che don Bosco faceva pubblicare allo scopo
di istruire il popolo nelle cose religiose.
Mi domandava
notizie della sua vigna
Mi raccontava mio zio Giovanni Moglia che, quan-
do il giovane Bosco era in casa nostra, piantarono
insieme quattro filari di viti. Giovanni coi vimini
legava uno di quei filari vicino a terra, e questo gli
costava fatica. Stanco del lavoro, si lamentava del
mal di schiena e delle ginocchia, ma mio zio gli
diceva:
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4.1 Page 31

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«Se va
bene ho
guadagnato
più io a
pregare che
voi a lavorare;
se pregate,
seminando
due grani
ne nascono
quattro
spighe; se
non pregate,
seminando
quattro grani
raccogliete
due spighe.
Pregate
anche voi,
e invece
di due ne
raccoglierete
quattro».
– Va avanti. Se non vuoi avere mal di schiena da
vecchio, bisogna che lo soffra ora che sei giovane.
E Bosco continuò a lavorare. Ma dopo qualche
istante soggiunse: «Ebbene, queste viti faranno l’u-
va più bella e daranno miglior vino e in maggior
quantità, e dureranno più delle altre».
La cosa avvenne come aveva predetto, perché
le altre viti di quella terra coll’andar del tempo
andarono perdute, e invece quelle legate dal giovane
Bosco continuarono fino al 1890 con ammirazione
di tutti. E io, ogni qualvolta venivo all’Oratorio in
Torino, don Bosco mi domandava sempre notizie
di quella vigna.
Nel 1840 il chierico Bosco venne a far da padrino
al mio fratello Giovanni. Mia madre si lamentava
di essere sfinita di forze, temeva di non riaversi in
salute; al che don Bosco le disse: «Fatevi coraggio
e state di buon umore, voi verrete fino all’età di
novant’anni». Difatti essa morì in età di novantun
anno. Devo dire che essa si fidava molto di questa
promessa di don Bosco, e benché alcune volte colpi-
ta da malattie anche gravi, non volle mai prendere
rimedi prescritti dal medico, perché diceva: «Don
Bosco mi ha assicurato che vivrò fino ai 90 anni».
Essa dopo la morte di don Bosco, si raccomandava
a lui tutti i giorni, e morì col suo ritratto sul letto.
«Questo è il mio padrone»
Don Bosco ebbe sempre grande riconoscenza per
la mia famiglia, per quel poco che abbiamo fatto
per lui. Nei primi anni del suo Oratorio, quando
non aveva ancora molti giovani, tutti gli anni li
conduceva a casa nostra a fare una scampagnata.
E voleva che noi considerassimo il suo Oratorio
come casa nostra quando dovevamo venire a To-
rino. Moltissime volte mi fece sedere accanto a sé
a tavola, anche quando era attorniato da molti suoi
preti. Una volta a pranzo disse ai suoi preti e ad
altre persone, rivolto a me: «Questo è il mio antico
padrone», alludendo al tempo in cui da giovane era
stato al servizio di mio padre Moglia.
Don Bosco morì pochi anni fa nell’Oratorio di
Valdocco. Io l’ho veduto qualche mese prima. Lo
trovai seduto su un seggiolone, sfinito di forze, pa-
ziente però e gioviale. Avendogli chiesto come sta-
va, egli mi disse: «Eh siamo nelle mani di Dio».
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31

4.2 Page 32

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COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
Pedagogia controcorrente 5
Genitori o amici dei figli?
L’idea dei genitori conformisti
che pensano sia da sorpassati
mettersi su un piano più alto
dei figli, si è infiltrata ovunque.
Quando il buon Dio decise di creare il pa-
dre, cominciò con una struttura piutto-
sto alta e robusta.
Allora un angelo che era lì vicino gli
chiese: «Ma che razza di padre è questo? Se i bam-
bini li farai alti come un soldo di cacio, perché hai
fatto il padre così grande? Non potrà giocare con
le biglie senza mettersi in ginocchio, rimboccare le
coperte al suo bambino senza chinarsi e nemmeno
baciarlo senza quasi piegarsi in due!».
Dio sorrise e rispose: «È vero, ma se lo faccio picco-
lo come un bambino, i bambini non avranno nessu-
no su cui alzare lo sguardo».
L’autorevole sociologo Franco Garelli nota: “Oggi i
genitori giovanilizzano, i maestri bamboleggiano, i
sacerdoti recitano il ‘mea culpa’”.
Quasi ciò non bastasse, Mario Lodi, uno degli
insegnanti più famosi d’Italia che già conosciamo,
aggiunge: “Mentre una volta erano i figli ad aver
paura dei genitori, oggi sono i genitori ad aver pau-
ra dei figli”. Ecco perché i genitori controcorrente
hanno applaudito quando sono venuti a sapere che
Charles Galea, pedagogista statunitense che per
decenni si è occupato di ragazzi difficili nei rifor-
matori degli Stati Uniti, ha detto a tutto tondo: “Se
avete 40 anni, non comportatevi come se ne aveste
16! I vostri figli vogliono qualcuno da rispettare.
Forse non hanno il coraggio di dirvelo, ma non ci
sono dubbi su quello che pensano: ‘comportatevi da
genitori, non da coetanei!’”.
La più sintetica tra tutti è stata la pedagogista
Katharina Zimmer: “Genitori, fate il vostro mestiere,
e piantatela di imitare i ragazzi!”.
Il padre che vuole apparire soltanto quale «miglior
amico dei suoi figli», un po’ come un rugoso com-
pagno di giochi, serve a poco. Si tratta di un at-
teggiamento psicologicamente comprensibile, ma
in cambio la formazione della coscienza morale e
sociale dei figli non ne esce ben stabilizzata.
Nella sua essenza, l’autorità non consiste nel co-
mandare: etimologicamente la parola deriva da un
verbo latino che significa un po’ come «aiutare a
crescere». L’autorità nella famiglia dovrebbe appun-
to aiutare i membri più giovani a crescere, configu-
rando nella maniera più affettuosa possibile ciò che
in gergo psicoanalitico si chiama il loro «principio
di realtà».
Questo è buon senso che, grazie a Dio, di tanto in
tanto, riaffiora. Sì, il rapporto genitori-figli è pe-
dagogicamente accettabile, solo se è a-simmetrico.
Collocarsi sullo stesso piano dei figli non produce
che guai.
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MAGGIO 2023

4.3 Page 33

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Tutti sappiamo che i figli hanno tre bisogni fonda-
mentali: il bisogno di sazietà (bisogno di cibo), il
bisogno di affettività (bisogno d'amore) e il bisogno
di sicurezza (bisogno di protezione).
Quest’ultimo aiuta il figlio a costruirsi una forte
personalità e ad acquisire una buona autonomia.
Nell'infanzia, poi, è fondamentale in quanto aiuta
il bambino a difendersi dall’ansia.
I doni necessari
Ebbene, il figlio sente soddisfatto il suo bisogno di
sicurezza, solo se padre e madre gli appaiono più alti
di lui! Stando così le cose, i genitori si impegnano
a mettere in atto tutte le nove condizioni principali
che li staccano dal figlio e li fanno ‘autorevoli’ ai
suoi occhi.
Le elenchiamo appena, tali condizioni, sicuri che il
lettore saprà centellinarle per assimilarle.
Manteniamo sempre le promesse: chi imbroglia,
perde la faccia, perde autorevolezza.
Siamo coerenti: chi predica acqua e beve vino, non
può esser preso sul serio.
Non perdiamo troppe volte il controllo: la frequen-
te mancanza di controllo denota debole densità
interiore.
Ammettiamo d’aver sbagliato: chi ammette d’aver
sbagliato è più credibile.
Resistiamo alle provocazioni: sovente le provoca-
zioni dei figli hanno solo lo scopo di verificare
quanto i genitori sono forti, autorevoli.
Siamo sempre sinceri: anche una sola menzogna
può far perdere tutta la credibilità.
Siamo concordi: se vi è disaccordo tra i genitori,
l’autorevolezza va a farsi benedire!
Non permettiamo che i figli ci chiamino per nome:
per nome si chiamano gli amici, i genitori no!
Incoraggiamo sempre: un ragazzo scoraggiato è un
ragazzo perso.
Ben nove condizioni, tutte necessarie non tanto
per non essere genitori ‘patetici’, come lo psichiatra
Paolo Crepet definisce i genitori ‘amiconi’, quanto
piuttosto per avere figli orgogliosi d’avere un padre
IL PADRE PERFETTO
1. Ascolta i bambini
2. Vive il quotidiano in armonia
3. Aiuta ad avere fiducia in sé
4. Sviluppa l’autostima
5. Passa tempo insieme
6. Insegna a pensare, riflettere, valutare
7. Aiuta ad affrontare le paure
8. È presente negli eventi importanti
9. Aiuta a sperimentare
10. Insegna uno stile di vita sano
shutterstock.com
ed una madre che hanno capito che l’Uomo non
si misura dalla statura fisica, ma dalla elevatezza
morale!
Il ricordo di Shaquille
Shaquille O’Neal (uno dei più famosi giocatori di
basket del campionato americano) è alto 2 metri e
16 centimetri, pesa 147 chili e porta il 60 di scarpe.
«Dopo essermi concentrato sul basket e dopo esse-
re diventato il leader della squadra, presi più seria-
mente la mia responsabilità di dare il buon esempio.
A volte devo fermarmi e pensare prima di agire, e
a volte commetto degli errori. Ma seguo ancora i
consigli di mio padre, e continuo a cercare quelle
occasioni in cui posso fare la differenza ed esse-
re di buon esempio. “Sii un leader, Shaq, non uno
che segue. Visto che le persone devono sollevare lo
sguardo per guardarti, da’ loro una buona ragione
per farlo”».
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4.4 Page 34

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LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
Come angeli
con un’ala soltanto
Ci sono ferite che non se ne vanno / nemmeno col tempo, /
più profonde di quello che sembrano; / guariscono sopra
la pelle, / ma in fondo ti cambiano dentro.
In una bellissima preghiera di alcuni anni fa,
don Tonino Bello – l’indimenticato vescovo
della diocesi di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e
Terlizzi, di cui recentemente è stato avviato il
processo di beatificazione – scriveva che gli uomi-
Non puoi combattere una guerra da solo,
il cuore è un'armatura,
ci salva, ma si consuma.
A volte chiedere aiuto ci fa paura,
ma basta un solo passo,
come il primo uomo sulla luna,
perché da fuori non si vede
quante volte hai pianto.
Si nasce soli
e si muore nel cuore di qualcun altro,
siamo angeli con un’ala soltanto
e riusciremo a volare
solo restando l’uno accanto all’altro…
Ci sono ferite che non se ne vanno
nemmeno col tempo,
più profonde di quello che sembrano;
guariscono sopra la pelle,
ma in fondo ti cambiano dentro.
Ho versato così tante lacrime
fino ad odiare me stesso,
ma ogni volta che ho toccato il fondo
tu c’eri lo stesso.
Quando siamo distanti,
ogni volta che piangi,
piange pure il cielo...
ni sono «angeli con un’ala soltanto», per cui riescono
a volare solo rimanendo abbracciati. Non c’è for-
se immagine più vivida per esemplificare il lega-
me indissolubile che ci unisce alle persone che ci
sono vicine e per dar conto del fatto che abbiamo
profondamente bisogno gli uni degli altri se voglia-
mo «abbandonarci come un gabbiano all’ebbrezza del
vento» e «assaporare l’avventura della libertà», come
recita la preghiera poche righe più avanti.
Non esiste, infatti, dono più prezioso che possiamo
sperimentare del conforto di una mano tesa verso
di noi, soprattutto quando giunge inaspettata, pro-
prio nel momento in cui ci sentiamo persi e abbia-
mo la sensazione di girare a vuoto, senza riuscire a
dare un senso e una direzione al nostro disordinato
vagare. Eppure, quanto è difficile chiedere aiuto?
Quanta fatica ci costa ammettere, prima di tutto
con noi stessi, che da soli non ce la facciamo e che
abbiamo bisogno di qualcuno che ci venga in soc-
corso e che condivida con noi la fatica di vivere?
Se quando eravamo bambini ci sembrava naturale
e sinceramente rassicurante poter fare affidamento
sulle persone che avevamo accanto e non ci vergo-
gnavamo di ricorrere a loro anche per le esigenze
più banali, diventando adulti questa dipendenza
nei confronti degli altri inizia a pesarci e a sem-
brarci inopportuna, al punto che ci convinciamo
di bastare a noi stessi e di essere perfettamente in
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4.5 Page 35

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Camminerò
a un passo da te
e fermeremo il vento,
come dentro agli uragani.
Supereroi,
come io e te,
se avrai paura allora stringimi le mani,
perché siamo invincibili vicini
e ovunque andrò sarai con me.
Supereroi,
solo io e te,
due gocce di pioggia
che salvano il mondo...
Mi basta un attimo e capisco che
ogni cicatrice tua è anche mia,
mi basta un attimo per dirti che
con te ogni posto è casa mia,
perché siamo invincibili vicini
e ovunque andrò sarai con me.
Supereroi,
solo io e te,
due gocce di pioggia
che salvano il mondo dalle nuvole...
(Mr. Rain, Supereroi, 2023)
grado di affrontare da soli le nostre battaglie. Di-
ventiamo orgogliosi e ostinati, e questa determina-
zione a fare a meno di qualsiasi aiuto esterno, se
da un lato è sinonimo della conquistata capacità di
autodeterminarci e può rappresentare uno stimolo
costruttivo a mettere in gioco tutte le nostre risorse
interiori per superare i nostri limiti, dall’altro lato
si traduce talvolta in un atteggiamento cieco e con-
troproducente, che ci impedisce di riconoscere le
nostre fragilità e ci porta a chiuderci in uno steri-
le isolamento. Finiamo, infatti, con il credere che
chiedere aiuto sia sinonimo di debolezza, laddove
invece si tratta di un atto che richiede grande forza
e coraggio, poiché significa spogliarci di ogni dife-
sa ed ammettere con franchezza le nostre difficoltà.
Del resto, a spingerci a nascondere le nostre cicatri-
ci dietro una finta corazza è spesso la stessa società
in cui viviamo che, di fronte alla sofferenza di chi
sperimenta un momento di crisi, sembra preferire
l’afasia e il mimetismo, piuttosto che incoraggiarci
a manifestare senza remore le nostre paure. Non
sempre, infatti, essa appare disponibile ad accoglie-
re il grido di dolore di coloro che vivono una situa-
zione di disagio e, non di rado, fa fatica a confron-
tarsi apertamente con le invocazioni e le esigenze
dissonanti che provengono da chi è più fragile. Per
cui, per tanti giovani adulti che si trovano a fare
i conti con una quotidianità complessa e incuran-
te delle loro ferite, l’unica via percorribile rimane
quella del silenzio, che li porta ad implodere e a
imboccare la strada dell’autodistruzione.
Ma se è vero che il mondo che ci circonda è spes-
so sordo ai nostri affanni e che il pudore della nostra
condizione di adulti, unito al timore di non essere au-
tenticamente compresi, ci trattiene talvolta dal chie-
dere aiuto a chi ci vuole bene, è proprio in questi mo-
menti in cui più acutamente sperimentiamo la nostra
fragilità che dobbiamo fare appello a tutta la nostra
forza interiore per fare un passo verso l’altro che ci
tende una mano, ricordandoci che solo insieme pos-
siamo riuscire a liberare la nostra ala rimasta inesora-
bilmente «impigliata nella rete della solitudine» – come
scriveva ancora don Tonino Bello – e ritornare a vola-
re in un cielo terso, finalmente sgombro di nuvole.
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4.6 Page 36

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
Finalmente in Patagonia!
I precedenti delle missioni salesiane
(continua dal numero precedente)
Il 15 agosto 1879 monsignor
Aneiros offriva formalmente a don
Bosco la missione patagonica: «È
arrivato finalmente il momento, in
cui posso offrirvi la Missione della
Patagonia, verso la quale il vostro
cuore ha tanto sospirato».
I primi
catechismi in
Patagonia.
A far sospendere a don Bosco e don Ca-
gliero, almeno temporaneamente, qua-
lunque progetto missionario in Asia fu la
notizia del 12 maggio 1877: l’arcivescovo
di Buenos Aires aveva offerto ai salesiani la missio-
ne di Caruhé (a sud est della provincia di Buenos
Aires), luogo di presidio e di frontiera tra numerose
tribù di indigeni del vastissimo deserto della Pam-
pa e della Provincia di Buenos Aires.
Si aprivano così ai salesiani per la prima volta le
porte della Patagonia: don Bosco ne rimase come
elettrizzato, ma a raffreddare decisamente i suoi
entusiasmi ci pensò subito don Cagliero: “Le ripeto
però che a riguardo della Patagonia non bisogna
correre con velocità elettrica, né andarci a vapore,
perché a questa impresa i Salesiani non sono an-
cor preparati […] si è pubblicato troppo ed abbia-
mo potuto fare troppo poco a riguardo degli Indii.
L’impresa non bisogna disconoscerla, facile assai ad
idearsi, difficile a realizzarsi, ed è troppo poco tem-
po che siamo qui venuti, e ci conviene sì con zelo ed
attività lavorare a questo scopo, ma non fare fracas-
so, per non suscitare ammirazione a questa gente di
qui, per volere aspirare noi, arrivati jeri, alla con-
quista di un paese che ancora non conosciamo e di
cui ignoriamo persino la lingua”.
Venuta meno l’opzione di Carmen de Patagónes
con la parrocchia affidata dall’arcivescovo ad un
padre lazzarista, ai salesiani rimasero aperte quella
appunto più a nord di Carhué e quella più a sud di
Santa Cruz, per la quale don Cagliero ottenne un
passaggio navale in primavera, che gli avrebbe fatto
rimandare di sei mesi il previsto rientro in Italia.
L’anno 1877 si chiuse con la terza spedizione di 26
missionari capitanati da don Giacomo Costamagna
e con la nuova richiesta di don Bosco alla Santa Sede
di una Prefettura a Carhué e un Vicariato a Santa
Cruz. Eppure, a dire il vero, in tutto l’anno l’evange-
lizzazione diretta dei salesiani fuori città si era limi-
tata alla breve esperienza di don Cagliero e del chie-
rico Evasio Rabagliati nella colonia italiana di Villa
Libertad a Entre Ríos (aprile 1877) ai confini della
Diocesi del Paranà e ad alcune escursioni nel campo
pampeano dei salesiani di S. Nicolás de los Arroyos.
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4.7 Page 37

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Il sogno si realizza (1880)
Nel maggio 1878 falliva per una tormenta oceanica
il primo tentativo di raggiungere Carhué da parte
di don Costamagna e del chierico Rabagliati. Ma
intanto don Bosco era già ritornato alla carica con il
nuovo Prefetto di Propaganda Fide, cardinal Gio-
vanni Simeoni proponendogli un Vicariato o Pre-
fettura con sede a Carmen, come aveva suggerito
lo stesso don Fagnano che lo vedeva come punto
strategico per raggiungere gli indigeni.
L’anno dopo (1879), proprio mentre veniva meno
un progetto di entrata dei Salesiani in Paraguay, si
aprivano loro finalmente le porte della Patagonia.
Nell’aprile infatti il generale Julio A. Roca dava
inizio alla famosa “campagna del deserto” con l’o-
biettivo di sottomettere gli indios e ottenere sicurez-
za interna, respingendoli oltre i fiumi Río Negro e
Neuquén. Era il “colpo di grazia” al loro sterminio,
dopo i numerosi massacri dell’anno precedente.
Il vicario generale di Buenos Aires, monsignor
Espinosa, come cappellano di un esercito forte di
seimila uomini, si fece accompagnare dal chierico
argentino Luigi Botta e da don Costamagna. Il fu-
turo vescovo si rese subito conto dell’ambiguità del-
la loro posizione, ne scrisse immediatamente a don
Bosco, ma non vide altra via per aprire la strada
della Patagonia ai missionari salesiani. Ed in effetti
appena il governo chiese all’arcivescovo di stabilire
alcune missioni sulle sponde del Río Negro e nella
Patagonia, si pensò subito ai salesiani.
Questi, dal loro canto, avevano in animo di chie-
dere al governo la concessione per dieci anni di un
territorio da loro amministrato in cui costruire, con
materiali pagati dal governo e con manodopera de-
gli indios, gli edifici indispensabili per una sorta di
reducción in quel territorio: gli indigenti avrebbero
evitato la contaminazione dei coloni cristiani “cor-
rotti e viziosi” ed i missionari vi avrebbero piantato
la croce di Cristo e la bandiera argentina. Ma l’i-
spettore salesiano don Francesco Bodrato non se la
sentì di decidere da solo e don Lasagna nel maggio
lo sconsigliò per il fatto che il governo Avellaneda
era alla fine del suo mandato e non era interessato
al problema religioso. Meglio dunque conservare
salesianamente indipendenza e libertà d’azione.
Il 15 agosto 1879 monsignor Aneiros offriva for-
malmente a don Bosco la missione patagonica: “È
arrivato finalmente il momento, in cui posso offrirvi
la Missione della Patagonia, verso la quale il vostro
cuore ha tanto sospirato, come la cura d’anime tra i
Patagoni, che può servire di centro alla missione”.
Don Bosco la accettò subito e di buon grado, anche
se essa non era ancora il tanto sospirato consenso
all’erezione di circoscrizioni ecclesiastiche autono-
me rispetto all’arcidiocesi di Buenos Aires, realtà
costantemente avversata dall’Ordinario diocesano.
La partenza
Il drappello di missionari partì alla volta della sospi-
rata Patagonia il 15 gennaio 1880: era composto da
don Giuseppe Fagnano, direttore della Missione e
parroco a Carmen de Patagónes (il padre lazzarista
si era ritirato), due sacerdoti, di cui uno si occupava
della parrocchia di Viedma sull’altra riva del Río Ne-
gro, un salesiano laico (coadiutore) e quattro suore.
In dicembre a dar man forte arrivò don Domenico
Milanesio e pochi mesi dopo don Giuseppe Beauvoir
con un altro coadiutore novizio. L’epopea missionaria
salesiana in Patagonia incominciava. (continua)
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4.8 Page 38

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I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni  postulatore generale
 Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulatore@sdb.org
 Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di maggio preghiamo per la beatificazione
del Servo di Dio Akash Bashir, exallievo di don Bosco.
Akash Bashir nasce in Pakistan
il 22 giugno 1994 in una fami-
glia umile e studia all’Istituto
Tecnico “Don Bosco” di Lahore.
Conduceva una vita come quella
di qualsiasi altro giovane e ave-
va i suoi sogni per il suo futuro.
Viveva con la sua famiglia, aveva
amici sia a scuola sia al lavoro, gli
piaceva fare sport e la preghiera
era parte della sua vita. Si era
impegnato a vivere da “cittadino
onesto e buon cristiano”, come
voleva don Bosco, ed era diven-
tato un volontario della sicurezza
nella sua chiesa parrocchiale, in
un momento in cui la situazione
in Pakistan era preoccupante
con il rischio di incontrare atten-
tatori suicidi che prendevano di
mira luoghi religiosi.
Il 15 marzo 2015, una domenica
mattina, infatti un attentatore
suicida tentò di entrare nella
chiesa di San Giovanni a Youha-
nabad, quartiere cristiano di
Lahore, che in quel momento
aveva al suo interno oltre 1000
fedeli partecipanti alla Messa.
Quando si rese conto della si-
tuazione, Akash non esitò a sa-
crificare se stesso per impedire
che l’attentatore provocasse una
strage in chiesa.
“La storia della Chiesa è forte-
mente segnata da tante donne
e da tanti uomini che con la loro
fede, con la loro carità e con la
loro vita sono stati come fari che
hanno illuminato e continuano
ad illuminare tante generazio-
ni nel tempo”. Per i cristiani di
Youhanabad, per la Chiesa di
Dio che è in Pakistan e per tutta
la Famiglia Salesiana, Akash, con
la sua grande fede, è esattamen-
te questo: un faro, un esempio
da seguire. Sulla sua tomba in
tanti si recano per pregare e per
chiedere l’intercessione. Il lumi-
noso esempio di Akash Bashir,
exallievo salesiano, continua a
diffondersi in tutto il mondo. Egli
ha incarnato la parola di Gesù:
“Nessuno ha un amore più gran-
de di questo: dare la sua vita per i
propri amici” (Gv 15,13).
Il 15 marzo 2022 nel VII anni-
versario della sua morte è stata
aperta la sua Causa di martirio.
Questo giovane exallievo salesia-
no è il primo pakistano in cammi-
no verso gli altari, e rappresenta
tutti i cristiani perseguitati nei
Paesi con una minoranza cristia-
na, e tutti i giovani coraggiosi e
orgogliosi della loro fede.
Ringraziano
Ringrazio, pubblicamente, come
promesso, la Mamma di Gesù,
Maria Ausiliatrice, che ha sal-
vato mio papà. Alcuni giorni fa
si è sentito mancare per un for-
te calo di pressione, trovandolo
seduto in terra quasi svenuto:
stava morendo. Soccorso dai
sanitari e portato in ospedale, si
è ripreso. Ho chiesto, con Fede,
l’intercessione di Maria Ausilia-
trice ed Ella non mi ha deluso,
convinto che accompagnerà il
mio caro papà e la mia mamma
a vivere insieme ancora qualche
anno in buona salute e nella
Grazia di Dio.
(R.F.)
Preghiera
Dio onnipotente,
il tuo fedele servo Akash Bashir,
exallievo di don Bosco
ha testimoniato con tutto il cuore il Vangelo
specialmente nei confronti della sua famiglia
e della comunità parrocchiale di Youhanabad.
Tu gli hai donato una fede forte,
una speranza infallibile
e uno zelo instancabile
nel servire la comunità cattolica
e condurre altri a Gesù.
Hai fatto di lui un modello luminoso per altri giovani
e per persone di altre religioni,
una fonte d’ispirazione nel servizio agli altri
e all’aiuto disinteressato.
Aiutaci a seguire Gesù come lui,
con zelo instancabile, cuore indiviso e amorevolezza.
Ti supplichiamo umilmente di glorificare
questo tuo eroico figlio, testimone della fede,
e concedici la grazia di ricevere
sotto la sua intercessione
la manifestazione del tuo amore.
Fa’ che la nostra vita sia una continua lode a Te,
che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.
CRONACA DELLA POSTULAZIONE
Martedì 7 marzo 2023, nel corso della Sessione Ordi-
naria dei Cardinali e Vescovi membri del Dicastero delle
Cause dei Santi, è stato dato all’unanimità parere positivo
in merito all’esercizio eroico delle virtù, alla fama di
santità e di segni del Servo di Dio Carlo Crespi Croci,
(1891-1982) Sacerdote Professo della Società di San Fran-
cesco di Sales, missionario in Ecuador.
Esprimo il mio grande grazie al
Signore, al Servo di Dio don
Costantino Vendrame e a tutti
coloro che hanno fatto da mes-
saggeri con il Cielo per ridarmi,
attraverso il prezioso intervento
dei medici, la vita e la salute.
Forti dolori persistenti hanno
fatto sì che mi recassi al Pronto
Soccorso dove sono stato ricove-
rato d’urgenza per essere opera-
to. L’intervento è stato comples-
so ed è andato bene. I medici
sono intervenuti in tempo. Il chi-
rurgo che mi ha operato mi ha
detto: “Se avesse atteso ancora
qualche ora sarebbe morto!”.
In quei giorni difficili mi sono
affidato al Signore con tutto me
stesso e una grande serenità mi
ha accompagnato. Io credo di
aver ricevuto una grande grazia
dal Signore, per intercessione
di don Costantino. Dopo il mio
ricovero in Ospedale in molti mi
hanno sostenuto nella preghie-
ra affinché la complessa situa-
zione si risolvesse. Sia lodato il
Signore, Grazie, don Costantino.
(Loris)
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4.9 Page 39

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I NOSTRI LIBRI
Gildásio Mendes Dos Santos
Don Bosco
e la realtà digitale
Don Bosco è vissuto in un’epoca
nella quale la realtà digitale non
esisteva affatto, eppure la sua
pratica educativa e spirituale
contiene alcune intuizioni estre-
mamente illuminanti e attuali.
Il libro propone un approfondi-
mento per rispondere ad alcu-
ne domande: come collegare la
tematica del digitale e la pratica
educativa di don Bosco? Come
abitare nel mondo digitale,
come educare ed evangelizzare i
giovani? È importante recupera-
re le intuizioni che don Bosco ebbe in merito alla comunicazione
del suo tempo, quali l’interattività, il rapporto umano, l’ambiente
educativo e il linguaggio comunicativo.
Don Gildásio Mendes Dos Santos è studioso e ricercatore in rap-
porti umani e Media digitali. Nel 2020 è stato eletto Consigliere
Mondiale per la Comunicazione Sociale dei Salesiani.
Bruno Ferrero
365 piccole storie
per l’anima  3
L’atteso seguito dei due precedenti volumi di gran-
de successo: 365 grandi storie raccontate in poche
pagine, piccole per-
le di saggezza spiri-
tuale, per stimolare
un buon pensiero
al giorno. I raccon-
ti si prestano alla
meditazione perso-
nale, all’uso nella
catechesi e nell’ani-
mazione dei grup-
pi, alla lettura in
famiglia.
Bruno Ferrero
Il segreto del bambù
È il ventiquattresimo
libretto della serie
“Piccole storie
per l’anima”.
MAGGIO 2023
39

4.10 Page 40

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IL CRUCIPUZZLE
Roberto Desiderati
Scoprendo don Bosco
Parole di 3 lettere: Art, Goi, Mai,
Non, Sei, Sme, Tet.
Parole di 4 lettere: Colt, Fasi, Loti,
Osso, Soul, Sugo, Tele, Velo.
Parole di 5 lettere: Siero.
Parole di 6 lettere: Raglan, Rigida,
Zagare.
Parole di 7 lettere: Agreste,
Macario, Negroni, Niagara, Vigilia,
Zazzera, Zingaro.
Parole di 8 lettere: Mascagni.
Inserite nello schema le parole elencate a fianco, scrivendole da sinistra a destra e/o dall’alto
in basso, compatibilmente con le lunghezze e gli incroci. A gioco ultimato risulteranno nelle
caselle gialle le parole contrassegnate dalle tre X nel testo. La soluzione nel prossimo numero.
? Parole di 9 lettere: Cromatica,
Scaligera, Settimana.
Parole di 10 lettere: Nefrologia.
?
La soluzione nel prossimo numero.
Parole di 12 lettere: Scansafatica.
I GIOVANI PER I GIOVANI
In Sicilia, ormai già quasi mezzo secolo fa, i giovani degli oratori salesiani decisero di in-
contrarsi per condividere le proprie esperienze salesiane e formarsi insieme secondo gli
insegnamenti di don Bosco come laici impegnati e come educatori, sia uomini sia don-
ne. Indirono a Catania nell’agosto del 1975 il primo convegno regionale degli oratori
di Sicilia e dopo alcuni incontri la partecipazione si estese non solo ai giovani degli ora-
tori ma a quelli di tutti gli ambienti educativi e delle associazioni dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Nel 1988, in occasione del centenario della morte di don Bosco il Rettor Maggiore don Viganò, durante un incontro
di giovani provenienti da tutte le case salesiane del mondo, dichiarò ufficialmente che facevano parte di un unico,
grande movimento mondiale. In pratica fu così che nacque, in Sicilia ed in alcuni paesi del Sud America, il XXX Sa-
lesiano abbreviato nella sigla MGS. Le strutture del movimento cominciarono a nascere in Italia a partire dal 1995
e in quegli anni venne costituita la Segreteria Nazionale grazie all’attivismo di alcuni animatori. Massimo Selleri fu
eletto primo segretario nazionale del movimento, affiancato da Marco Pappalardo, Italo Canaletti e Michela Picchi.
I giovani, insieme ai Salesiani di don Bosco e alle Figlie di Maria Ausiliatrice, stilarono il primo documento in cui
venivano illustrati i principi su cui si fonda il movimento. Questi principi
Soluzione del numero precedente descrivono una realtà aperta a tutti i ragazzi e i giovani che, vivendo lo stile
salesiano nell’esperienza comunitaria, si impegnano in un’animazione e
un servizio di “giovani per i giovani”. La struttura del movimento è formata
da un’assemblea nazionale con un coordinatore nazionale laico, un sacer-
dote delegato dei Salesiani, una delegata delle Figlie di Maria Ausiliatrice,
i rappresentanti delle sedi MGS regionali e, infine, rappresentanti di asso-
ciazioni civilistiche e di volontariato di stampo salesiano.
40
MAGGIO 2023

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IL LORO RICORDO E` BENEDIZIONE
Unisal
DON JOSÉ MANUEL PRELLEZO
Morto a Roma il 16 marzo 2023, a 90 anni
di vita salesiana e 64 di vita sa- studentato teologico di Sala- di Teoria e Storia dell’Educazio-
cerdotale.
manca. Ottenuto il Dottorato in ne e della Pedagogia, del Centro
Nato ad Espinama, nella Comu- Pedagogia nel 1968 con la tesi Studi Don Bosco e la responsa-
nità Autonoma della Cantabria, pubblicata dal titolo “Fuentes bilità di vicario nella comunità
il 21 aprile 1932, era diventato de los escritos pedagógicos “San Domenico Savio”.
salesiano il 16 agosto nel 1949, manjonianos”, è stato inviato Negli oltre trent’anni di docen-
presso Mohernando, ed era dall’obbedienza al Pontificio za universitaria, don Prellezo ha
stato ordinato sacerdote il 24 Ateneo Salesiano nel 1968.
prodotto un’ampia serie di stu-
giugno 1959 a Madrid.
Dal 1969 in poi ha tenuto cor- di che hanno offerto contributi
Dal 1959 al 1961 ha svolto vari si di Metodologia del lavoro nuovi, originali, critici nello stu-
incarichi come professore e scientifico e di Storia della Pe- dio del pedagogista Manjón,
È venuto a mancare il salesia- catechista nell’aspirantato di dagogia, prima in qualità di as- della storia della pedagogia
no spagnolo don José Manuel Cambados e come professore sistente, poi di docente aggiun- spagnola e della storia salesia-
Prellezo, per oltre 30 anni illu- nello studentato filosofico di to (1970-1973), quindi come na. Lo comprovano una dozzina
stre studioso e docente dell’U- Medina del Campo.
professore straordinario (1973- di volumi di cui è autore e un’al-
niversità Pontificia Salesiana Nel 1961 ha iniziato gli studi 1976) e infine come ordinario tra quindicina di libri curati o
(UPS), nonché autore di un’am- superiori di Pedagogia al Pon- (1976-2002), apprezzato per la composti in collaborazione con
pia serie di contributi nuovi, tificio Ateneo Salesiano dove sua competenza e la qualità di- altri autori, senza contare gli
?
originali, critici nello studio ha conseguito la Licenza in dattica del suo insegnamento. oltre 120 articoli di riconosciuto
del pedagogista Manjón, della Filosofia-Pedagogia nel 1965 e A questo lavoro di base si sono valore scientifico pubblicati in
storia della pedagogia spagno- ha fatto poi i corsi di Dottorato. aggiunti altri impegni assai im- varie riviste e dizionari. Né va
la e della storia salesiana. Don Dal 1965 al 1967 è stato pro- pegnativi, come la Condirezione dimenticata la sua partecipa-
Prellezo ha raggiunto la Casa fessore nell’Istituto di Ourense della rivista Orientamenti peda- zione a numerosi convegni e
del Padre con 90 anni d’età, 74 e professore e catechista nello gogici, la Direzione dell’Istituto incontri scientifici.
SOSTIENICI
Da oggi è possibile effettuare donazioni per la Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO e sostenere Il Bollettino Salesiano,
le missioni e le opere salesiane attraverso l’attivazione della domiciliazione
bancaria (mandato per addebito diretto SEPA “CORE” – ex RID).
Puoi trovare il modulo da presentare al tuo istituto
di credito e tutte le altre informazioni alla pagina
Rivista fondata da
https://www.donbosconelmondo.org/sostienici/
S. Giovanni Bosco
nel 1877
MARZO 2023
In prima linea
Padre Nguyen
Thinh Phuoc
Le case
di don Bosco
Ivrea
Quelli che
lo hanno
conosciuto
Don Felice
Reviglio
SALVIAMO
i BAMBINI
del BENIN!

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IL LORO RICORDO E` BENEDIZIONE
Per la sua apprezzata compe-
tenza in campo storico è stato
chiamato a ricoprire incarichi
prestigiosi: membro rispetti-
vamente del comitato consul-
tivo della rivista Educación y
Futuro del Centro universitario
«Don Bosco» di Madrid; dell’I-
stituto Storico Salesiano (ISS)
e dell’Associazione Cultori di
va, scrisse: “Ripercorrendo gli
anni della sua vita e in modo
particolare quelli della sua at-
tività all’UPS, si resta ammirati
per l’assidua e infaticabile de-
dizione con cui ha svolto il Suo
servizio accademico. Entrando
nella nostra Congregazione,
Lei ha potuto sviluppare in
modo assai apprezzabile le
doti ereditate dalla Sua fami-
glia e dallo stesso ambiente
delle sue origini: un’instanca-
bile laboriosità e la puntiglio-
sa tenacia, accompagnata da
salesiana serenità, nel com-
piere gli incarichi che le sono
stati successivamente affidati
nell’Università e nella vita del-
la comunità religiosa”.
Storia Salesiana (ACSSA); inol-
tre, socio ordinario della Socie-
tà Spagnola di Pedagogia; e,
infine, Direttore della collana
Fuentes y Documentos de Pe-
dagogía pubblicata dalla “Edi-
torial CCS” di Madrid.
Nella lettera per il suo emeri-
tato, l’allora Rettor Maggiore,
don Pascual Chávez Villanue-
Don Prellezo con il gruppo degli studiosi di storia salesiana.
Dati dell’ente beneficiario
Fondazione DON BOSCO NEL MONDO
Via Marsala 42, 00185 Roma
BANCA POPOLARE DI SONDRIO
IBAN IT86 O056 9603 2020 0000 7100 X00
I miei dati anagrafici
Compilando la scheda si accetta
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Codice fiscale ..............................................................
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Con la domiciliazione bancaria (mandato per addebito diretto SEPA “CORE” – ex RID)
si possono aiutare con continuità le missioni salesiane. Farlo è semplice e veloce,
compilando questo coupon e inviandolo a Fondazione DON BOSCO NEL MONDO.
Il primo prelievo dovrà cominciare a partire dal mese di ..........................................................
Il mio sostegno ammonterà a Euro
,
ogni mese  ogni 3 mesi  ogni 6 mesi 
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Indirizzo ................................................................................................................................. N ............... CAP .........................
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Causale ..............................................................................................................................................................................................
DATA ............./............../...................          Firma ...........................................................................................
Puoi compilare e inviare questo modulo attraverso le seguenti modalità:
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+393429984165
donbosconelmondo@sdb.org

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LA BUONANOTTE
B.F.Disegno di Fabrizio Zubani
Festa di compleanno
E ra un sabato sera, in un
famoso ristorante
all’ultimo piano di un
grattacielo. Era piuttosto
affollato. Le persone attendevano
pazientemente di essere
accompagnate ai tavoli.
Arrivò un ragazzo dall’aria
entusiasta e chiese un tavolo
per un gruppo di dieci
persone. Mentre il suo nome
veniva scritto dal cameriere, il
ragazzo lo informò: «Oggi è il
mio compleanno. Ho organizzato
una festa con i miei amici».
La sua innocente esuberanza fece
sorridere tutti i presenti.
Gli diedero un tavolo, dato che
ce n’era uno molto grande libero.
Si sedette al tavolo e per circa
un’ora, continuò a fare chiamate
e a mandare messaggi. Man
mano che la serata andava avanti,
sembrava sempre più scoraggiato.
Nessuno si presentò per unirsi
a lui al suo tavolo. I camerieri
continuavano a chiedergli se
avesse novità, e lui ogni volta
mormorava una scusa.
Alla fine dovette lasciare quel
tavolo e si sedette a un tavolo più
piccolo. Era ancora solo.
Per molto tempo, è rimasto
seduto, tutto solo. Poi si alzò e
lasciò il ristorante. Prima che ce
ne rendessimo conto, si era perso
tra la folla.
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5x
1000
! Dacci il 5
Noi ci faremo
in 1000
La tua firma permetterà alla Fondazione DON BOSCO NEL MONDO di essere al fianco
dei Salesiani di Don Bosco nei paesi in cui operano con amore e dedizione per proteggere
l’infanzia più vulnerabile e a rischio, guidati dall’esempio e dall’insegnamento di don Bosco.
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