Bollettino_Salesiano_201309

Bollettino_Salesiano_201309

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IL
SETTEMBRE
2013
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877

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IL
IL
SETTEMBRE
2013
SETTEMBRE 2013
ANNO CXXXVII
Numero 8
Come
Domenico
Savio...
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 DON BOSCO EDUCATORE
6 LETTERE
8 AVVENIMENTI
Don Bosco è qui!
10 SALESIANI NEL MONDO
Il circo di Bamberg
14 L'INVITATO
Monsignor Flavio Giovenale
18 FINO AI CONFINI DEL MONDO
20 A TU PER TU
Roberto Gontero
22 INVITO AL COLLE 1
26 LE CASE DI DON BOSCO
San Marino
29 IL CORTILE DI VALDOCCO
30 FMA
Casa Main
32 COME DON BOSCO
34 NOI & LORO
36 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Nella Terra del Fuoco
38 TESTIMONI DELLA FEDE
Nino Baglieri
40 I NOSTRI SANTI
41 RELAX
42 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
43 LA BUONANOTTE
Mensile di
informazione e
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
...noi
crediamo
nei giovani
In copertina :
Il volto sorridente
di San Domenico
Savio è il miglior
augurio ideale
per il nuovo
anno pastorale e
scolastico che sta
incominciando
(Disegno di Nino
Musio ).
14
20
38
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Egidio Deiana, Roberto
Desiderati, Cesare Lo Monaco,
Erino A. Leoni, Alessandra
Mastrodonato, O. Pori Mecoi,
Francesco Motto, Marianna
Pacucci, José J. Gomez Palacios,
Pino Pellegrino, Linda Perino,
Luigi Zonta, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Luciano Alloisio (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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DON BOSCO EDUCATORE
PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA
Don Bosco racconta
Ciò che
santifica non è
la sofferenza,
ma la pazienza
Q uella sera del 12 maggio 1886 ero ar-
rivato a Grenoble stanco e disfatto da
un lungo viaggio che, in tre mesi,
mi aveva portato da Torino in
Francia e Spagna. Mi ero sot-
toposto a un autentico tour de
force perché a Roma la costruzione
del tempio in onore del Sacro
Cuore stagnava per cronica
mancanza di soldi.
Ero stato amabilmente ac-
colto dal rettore del semi-
nario il quale, preoccupato
con il pietoso stato di spos-
satezza in cui mi trovavo, mi
aveva rivolto fraterne parole
di conforto: “Padre reve-
rendo, nessuno meglio di
lei sa quanto la sofferenza
santifichi”. Al che, mi ero
permesso di correggerlo af-
fermando che “ciò che santifi-
Sintetizzavo così il mio pensiero:
La croce non basta baciarla;
bisogna portarla
ca non è la sofferenza, ma la pazienza”. Non era
solo una frase ad effetto; era la sintesi della mia
esistenza, travagliata e sofferta: 71 anni che or-
mai pesavano sulle mie spalle e mi avevano ridot-
to a “un uomo morto dalla fatica”, come, pochi
giorni prima, mi aveva definito l’autorevole dott.
Combal, a Montpellier quando era venuto
a visitarmi, ripetendo le stesse parole
dettemi a Marsiglia nel marzo 1884.
Una chiacchierata
familiare e alcune
confidenze
Ricordo che in una conferenza
fatta ai miei salesiani avevo
spiegato loro il significato
della parola “pazienza” e
lo avevo fatto riferendomi
al verbo latino “che vuol dire
patire, tollerare, soffrire, far-
ci violenza”. E sottolineavo
con molto realismo: “Se non
costasse fatica, non sarebbe
più pazienza”. Poi, ag-
giungevo: “C’è bisogno
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di molta pazienza, o per dir meglio, di
molta carità condita col condimento di san
Francesco di Sales: la dolcezza, la mansue-
tudine”.
Basandomi sull’esperienza che stavo facen-
do e con una schiettezza che sapevo gradita,
anticipavo una loro spontanea obiezione e
mi aprivo confidenzialmente dicendo:
“Me ne accorgo anch’io che costa. E
non crediate che sia il più gran gusto del
mondo stare tutta la mattina inchiodato a
dare udienza o fermo al tavolino tutta la sera
per dar corso alle faccende tutte, a lettere o simili.
Oh!, vi assicuro che molte volte uscirei ben volen-
tieri a prendere un po’ d’aria e forse ne avrei un
vero bisogno… Non crediate che non costi anche
a me, dopo di aver incaricato qualcuno d’un affare
o dopo avergli mandato qualche incarico o delicato
o di premura, e non trovarlo eseguito a tempo o
malfatto, non costi anche a me il tenermi pacato;
vi assicuro che alcune volte bolle il sangue nelle
vene, un formicolio domina per tutti i sensi. Ma
che? Impazientirci? Non si ottiene che la cosa non
fatta sia fatta, e neppure si corregge con la furia”.
E finivo con un pensiero a me molto caro: “Ciò
che sostiene la pazienza deve essere la speranza.
Questa ci sorregga, quando la pazienza vorrebbe
mancarci”.
L’arte di saper aspettare
Da buon contadino avevo saputo aspettare, im-
parando e praticando la lezione della pazienza,
ricordavo di aver udito tante volte dalla mamma
un proverbio pieno di saggezza: “Cammin facendo
si aggiusta la soma all’asinello”. Era questo il mez-
zo di trasporto più comune, sicuro ed economico.
La merce veniva distribuita in parti e pesi uguali
sui due fianchi dell’animale mediante due grosse
bisacce o gerle. Durante il viaggio, gli inevitabili
scossoni finivano per aggiustare definitivamente il
carico. Questo ricordo della mia infanzia mi faceva
dire più tardi: “Quando io incontro una difficoltà
faccio come colui
che andando per la strada
ad un certo punto la trova sbarrata da un
grosso macigno. Se non posso levarlo di mezzo
ci monto sopra, o vi giro attorno. Oppure, lasciata
imperfetta l’impresa incominciata, per non perde-
re inutilmente il tempo nell’aspettare, do subito
mano ad altro. Non perdo però mai di vista l’opera
primitiva interrotta. Intanto col tempo le nespo-
le maturano, gli uomini cambiano, le difficoltà si
appianano”.
Dovuto alla mia formazione, non ero molto incli-
ne ad accettare forme esteriori di penitenze esa-
gerate. Dovetti frenare quel santo ragazzino chia-
mato Domenico Savio e gli proibii qualsiasi tipo
di mortificazione. Gli permisi solo “di sopportare
con pazienza gli insulti se qualcuno ti insulterà, di
sopportare con pazienza il caldo, il freddo, il vento,
la pioggia, la stanchezza e tutte quelle difficoltà di
salute che Dio permetterà”. Era ciò che consigliavo
a tutti: “Per ricopiare in sé i patimenti di Gesù, i
mezzi non mancano: il caldo, il freddo, le malattie,
le persone, gli avvenimenti. Ce ne sono dei mezzi per
vivere mortificati”. Sintetizzavo il mio pensiero
con questa espressione: “La croce non basta baciar-
la; bisogna portarla”.
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LA POSTA
I NOSTRI ESPERTI RISPONDONO
Margherita e Dio
Caro Direttore, vorrei esprimere al-
cune riflessioni sull’Astrofisica Mar-
gherita Hack, l’icona della scienza.
La sua passione per le stelle era
la sua anima. Il suo un morbo per
l’Astrofisica, una grande campio-
nessa delle difficili e delicate ri-
cerche scientifiche: sempre vigile,
attenta, interessata con umiltà e con
lo sguardo vivo e spalancato sul
mondo. Ha curato, amato, fondato
il famoso Osservatorio Astronomico
di Trieste.
Con lei è andato via un pezzo di
Storia semplice, originale, capace
di allacciare rapporti con grandi
scienziati, tante tavole rotonde.
Divulgatrice di scienza. Un sorriso
comunicativo, naturale, aperto alle
pubblicazioni scientifiche.
La sua fede nella scienza, sempre
razionale ed eticamente trasparen-
te, l’ha vista atea convinta, sicura,
certa solo di una matrice buddista
di un Dio diffuso in tutto l’universo.
Vorrei sperare che ora Margherita
Hack possa avere usato il suo cuo-
re lassù per conoscere quella fede
di cui tanti le avevano parlato.
Tina Giordano - Cerignola
Caro Bollettino, mi ha dolorosa-
mente colpito la figura della scien-
ziata Margherita Hack che fino al
termine della lunga vita ha conti-
nuato a professarsi atea. Eppure
era una persona intelligentissima e
grande studiosa. Mi viene in mente
l’inizio del salmo 19: «I cieli narra-
no la gloria di Dio, l’opera delle sue
mani annuncia il firmamento». La
professoressa Hack ha passato la
vita a scrutare i cieli e il firmamento:
perché non gli hanno detto niente?
Luigi Franco - Verona
L a professione di ateismo
di Margherita Hack ha
colpito molti e ha susci-
tato una serie di interro-
gativi quasi tutti del tipo
«Era una persona buona
e molto intelligente. Perché non si
è incontrata con Dio?».
In un libro (IL MIO INFINITO, Dio,
la vita e l’universo nelle riflessioni
di una scienziata atea) è lei stessa
ad affrontare il problema. Lo fa con
onesta correttezza: «La scienza
sviscera le cause piccole e grandi
di quello che c’è, non il perché c’è.
Non spiega, né potrà mai spiegare
perché c’è l’universo, perché c’è la
vita. Ed è qui che subentra la fede,
per alcuni. Quei perché, per i cre-
denti, trovano una risposta nell’ipo-
tesi che esista un creatore, un’entità
superiore non ben definita, Dio».
Chi non accetta la fede, e quindi non
accetta la «mediazione» col mistero
della vita da parte di nessuna casta,
ritiene che il credere in Dio sia un
modo infantile di spiegare tutto ciò a
cui la scienza non è in grado di dare
risposte, e nasca dal bisogno di
avere un sostegno, una guida, qual-
cuno che ci spieghi qual è il senso
dell’esistenza. A riprova dell’infanti-
lismo del credente si ricorda che il
«divino» nella vita degli uomini si è
andato via via attenuando con l’au-
mentare della conoscenza.
OGNI MESE
DON BOSCO
A CASA TUA
Il Bollettino Salesiano vie-
ne inviato gratuitamente a
chi ne fa richiesta.
Dal 1877 è un dono di don
Bosco a chi segue con sim-
patia il lavoro salesiano tra
i giovani e le missioni.
Diffondetelo tra i parenti e
gli amici. Comunicate su-
bito il cambio di indirizzo.
Ma tanto il credente che il non
credente non possono dimostrare
scientificamente l’esistenza o la
non esistenza di Dio.
In questo senso scienza e fede
possono benissimo convivere. Lo
scienziato credente adotterà il me-
todo scientifico per le sue ricerche
e attribuirà la capacità del cervello
umano di decifrare l’universo a
questa misteriosa entità chiamata
Dio, ispiratore della ragione e anche
causa ultima del mondo. Il non cre-
dente, dal canto suo, prenderà atto
del fatto che la materia nelle sue
forme più elementari abbia la capa-
cità di aggregarsi a formare atomi e
molecole, stelle e pianeti, ed esseri
viventi. L’uno crede nella materia e
nelle sue forze intrinseche, senza
altri fini, l’altro crede che quel-
le forze intrinseche della materia
obbediscano a una volontà e a un
Bene superiore. Le due ipotesi sono
perfettamente equivalenti, anche se
diametralmente opposte. A ripro-
va dell’esistenza di Dio i credenti
obiettano che è impossibile che da
una zuppa di particelle elementari,
quale quella che ha dato origine
all’universo, si sia sviluppato tutto
ciò che vediamo, osserviamo, in-
clusi noi stessi. Ci vuole una scin-
tilla, un atto di volontà che anima
la materia. E d’altronde, un Creatore
deve sempre precedere il Creato.
Mi domando, allora: è più sorpren-
dente immaginare un Dio babbo
amorevole che si preoccupa di cia-
scuna delle sue creature, o un Dio
padre severo che punisce o premia,
o un Dio che crea per il piacere di
creare ma poi si disinteressa com-
pletamente delle sue creature, o un
Dio che è allo stesso tempo padre e
madre, come scrisse papa Luciani
(suscitando scandalo e ironie varie
in una società in cui il maschilismo
è ancora ben radicato), oppure im-
maginare che una materia eterna
abbia la naturale proprietà di ori-
ginare dalle particelle elementari
tutto ciò che esiste?
Di certo è più gratificante e rassi-
curante per la nostra coscienza il
«racconto» di una creazione che
acquista senso perché inserita in
un disegno superiore, piuttosto
che un immenso «organismo» nato
forse da imprevedibili fluttuazioni
quantistiche nel vuoto: dall’energia
alla vita, alla mente che si interro-
ga sulla vita. Un simile scenario è
molto meno rassicurante, richiede
più «coraggio» della ragione. Ma è
meno affascinante?
Dunque non posso che ripetere: le
due «ipotesi» sono equidistanti ed
equivalenti, e rivelano l’impossibi-
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lità di rispondere in maniera esau-
riente e condivisa al perché c’è la
vita, l’universo e non il nulla».
La professoressa Hack ha scelto
l’ipotesi della materia eterna che
si rigenera grazie a “imprevedibili
fluttuazioni quantistiche”. Perché
non ha scelto l’ipotesi Dio? In ogni
caso avrebbe scelto un “dio” della
scienza, simile a quello dei filosofi,
neanche lontano parente del Dio di
Gesù Cristo. Il problema è tutto qui.
Noi crediamo in Dio non perché ce
lo dice la nostra intelligenza, ma
perché ce lo dice Gesù di Nazaret.
Margherita Hack, anche per motivi
di educazione familiare, ha sempre
detestato la Chiesa (la “casta”) e
quindi non si è incontrata con Gesù
e quindi non ha conosciuto vera-
mente Dio.
Senza Gesù, anche la persona più
intelligente del mondo può arrivare
solo al punto interrogativo.
Noi difendiamo
il muro
Ho letto l’articolo riguardante le cure
dentistiche prestate a Betlemme da
nostri medici dentisti. Mi sembra
un’iniziativa molto bella ma, esclu-
dendo i bambini che non hanno mai
colpa di nulla e sono tutti, anche i
piccoli Gesù ebrei, vittime innocenti
che vanno aiutate e soccorse, mi
sembra che proprio i Cristiani, se,
da un lato, agiscono bene aiutando
chi ha bisogno, purtroppo non se-
guano gli insegnamenti di Gesù né
i loro compiti nel mondo.
Chi è il vostro prossimo? e chi il
nemico? Gesù lo sapeva. Voi sem-
bra non lo sappiate. Il compito dei
Cristiani è sì quello di aiutare il
prossimo che ha bisogno ma an-
che di spiegare a chi è in torto, in
questo caso i Palestinesi, che non
avrebbero quel muro se non aves-
sero fatto attentati terroristici con-
tro gli Israeliani e che avrebbero il
loro stato da 65 anni se solo l’aves-
sero voluto. Oltre che aiutarli non
sarebbe cristiano spiegar loro che
la violenza non va bene? Non sono
mica gli Ebrei che proclamano la
guerra santa contro Ebrei e Cristia-
ni! E poi il Gesù uomo era ebreo
non palestinese! Perchè usare no-
stro Signore a scopi politici? Oltre
a questo i Palestinesi ricevono tan-
ti di quei soldi dall’occidente che
sono molto ma molto più ricchi di
noi oggi e quanti petrodollari sono
in tasca dei loro fratelli arabi che
potrebbero aiutarli? Non dico af-
fatto che noi non dobbiamo farlo
ma perché insinuare nella mente
e nell’anima questa falsa compas-
sione verso chi è colpevole della
costruzione del muro, non è affatto
povero (la Chiesa non si mette mai
dalla parte di chi è più debole) e far
nascere odio verso gli Ebrei e gli
Israeliani? In fondo non sono pro-
prio i Palestinesi che ci hanno dato
Gesù, non vi pare? Studiate l’islàm
e mettetevi dalla parte di che vi
permette di essere e restare Cri-
stiani non da quella che i Cristiani
li ammazza. Aiutare sì ma denigrare
chi semplicemente si difende NO!
Giuliana Pietrobello
Vado spesso in Israele ed anche a
Betlemme e non ho mai visto un
povero palestinese. Il muro esiste
perché ci sono stati atti terroristici
che hanno ucciso migliaia di ebrei
indifesi compresi i bambini e la-
sciato mutilate altrettante migliaia
di persone che non c’entravano
nulla con questo assurdo conflitto.
Scusate tanto se gli ebrei provano
a difendersi. Vogliamo parlare dei
missili che tutte le notti da Gaza
arrivano sui villaggi di Sderot? Al-
tro che mal di denti per quei poveri
bambini ebrei. Ricordo com’era
Betlemme nel 1973 e prima che
finisse sotto l’Autorità Palestine-
se. Una città allegra, viva, piena
di negozi, un popolo simpatico…
ed ora anche i Cristiani se ne sono
andati ed è rimasta solo tanta tri-
stezza.
Fra il mal di denti dei bambini pa-
lestinesi, di cui mi dispiace tantis-
simo, e il muro che difende milioni
di persone da pazzi scatenati, pre-
ferisco il muro.
Franca Soldato
Gentili signori,
il Vostro articolo su Bet Lehem
(Betlemme) trasuda ostilità. È così
che intendete “dialogare” col mon-
do ebraico? Il “recinto”, come lo
chiamate, chiude gli israeliani, e
non altri, sono loro a starci dentro
per evitare lo stragismo e i massa-
cri dei Vostri carissimi amichetti
arabi. Con buona pace dei fratelli
Cristiani angustiati da un’odiosa
persecuzione islamica.
Mi chiedo se il “recinto” fosse ser-
vito a salvare la Vita di migliaia di
embrioni, non lo avreste visto con
favore? Ebbene... serve a salvare
migliaia di Vite israeliane, non solo
ebrei ma anche arabi, drusi, cristia-
ni, islamici ecc... e questo non vi
sta bene. Vergogna!
Un’ultima cosa: Giù le zampe
dall’ebreo Gesù.
Ad. Mordenti
C’era una volta un
matto affacciato al
recinto dell’ospe-
dale psichiatrico.
Guardava stupito
il gran via vai della
strada e ad un certo punto chiese
ad un passante: «Ma siete in tanti
lì dentro?». Quando c’è una recin-
zione è difficile dire chi è dentro
e chi è fuori, chi è il buono e chi
il cattivo. In ogni caso i muri na-
scono dalla paura e di solito non
risolvono il problema per cui sono
stati costruiti. In Israele, ci sono
Salesiani di qua e di là del muro,
perché si occupano della gente e
non di questioni politiche. Anche
l’articolo in questione parlava solo
di amore del prossimo, gentile e
disinteressato. Per vederci una
connotazione polemica e addirit-
tura antiebraica ci vogliono una
malafede e una precomprensione
mastodontiche e decisamente so-
spette.
Quanto alle “zampe sull’ebreo
Gesù”, ricordo che i primi a voler
mettere le mani su Gesù sono sta-
ti i suoi compaesani (Vangelo di
Luca 4, 16-30 ).
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AVVENIMENTI
ERINO A. LEONI UFFICIO VOCAZIONI - SETTORE PG - CISI
BoDsonco
è qui!
Dopo il trionfale giro del mondo, l’urna di
don Bosco inizia la peregrinazione attraverso
le Ispettorie italiane. Tutta la Famiglia Salesiana
si prepara al grande appuntamento.
E gli andava quasi ogni giorno a visitarli in
mezzo ai lavori, nelle botteghe e nelle fab-
briche, e quivi rivolgeva una parola ad uno,
una domanda ad un altro, dava un segno
di benevolenza a questo, faceva un regalo a
quello, e tutti lasciava con una gioia indici-
bile. – Finalmente abbiamo chi si prende cura di noi!
– esclamavano quei poveri giovanetti. (MB II, 94)
E la storia per fortuna si ripete. Come per la sto-
ria di salvezza. E si ripete lo stesso metodo. Lui
viene a noi e non noi da Lui. Così ha imparato
don Bosco. Era lui che si scomodava, usciva per
le strade, usciva raggiungendo i posti di lavoro,
i luoghi d’incontro, le case dei ragazzi e diven-
tava un’esperienza che rinnovava il cuore. Così
ancora oggi don Bosco verrà da noi. Verrà nelle
nostre realtà, in alcune cattedrali e chiese prin-
cipali delle nostre città, in alcune case salesiane
sparse su tutto il territorio nazionale. Verrà e sarà
lui a prepararci al suo compleanno. Ci preparerà
re-insegnandoci l’identità salesiana: la passione
per Dio che lo ha portato ad essere appassionato
dei giovani, dei ragazzi, dei più poveri. Verrà – e
come ha fatto per le strade di Torino, per le strade
d’Italia sino al 1888 – verrà e ci chiamerà ad usci-
re dalle nostre cose, dalle nostre piccole misure,
dalle nostre sicurezze per entrare come protago-
nisti nel grande e inesauribile sogno di Dio. Un
sogno che non lascia tranquilli i santi, che li ac-
cende, che li rende presenti ovunque: che TUT-
TI siano salvi, o come diceva “felici nel tempo e
nell’eternità”.
Ecco come sarà questo suo viaggio. Un auten-
tico incontro: che conduce a Dio, nei momenti
comunitari di preghiera normalmente proposti
per fasce d’età; che chiama a un dono rinnovato
e totale nella interpellanza di stampo vocaziona-
le, che pone domande sulla dinamica educativa
Sarà attivo un sito internet:
www.donboscoèqui.it
in cui le sei Ispettorie di Italia saranno
coinvolte. Esso sarà il portale delle ce-
lebrazioni del 2015 concordato con la
“commissione FS evento 2015”, in questo
modo la peregrinazione dell’urna sarà il
primo passo delle celebrazioni del Bicen-
tenario.
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13 Dicembre - 31 Gennaio
ICP (Piemonte e Valle d’Aosta)
21 Novembre - 13 Dicembre
INE (Trentino Alto Adige, Veneto,
Friuli Venezia Giulia)
1 Febbraio - 28 Febbraio
ILE (Lombardia, Emilia-Romagna)
in sinergia con il cammino della chiesa italiana
che in questo decennio investe ogni risorsa per
rispondere all’«emergenza educativa».
Troppi ragazzi sono allo sbando. Troppi ragaz-
zi nell’ozio della ricerca del senso della loro vita.
Troppi ragazzi sono soli e senza la compagnia
di Dio. E per questo don Bosco si muove. Per
incontrare noi e rinnovarci nel dono a loro. Per
chiamare altri in “quel campo dove lavorare”.
Don Bosco passerà e sarà un’esperienza di Chiesa.
A partire dal 20 Settembre al 10 Ottobre nell’I-
spettoria Meridionale per poi attraversare,
dall’11 Ottobre al 31 Ottobre, l’Italia Centra-
le, dal Molise sino a Vallecrosia, passando per
la Sardegna e così approdare in Sicilia dal 1
Novembre al 20 Novembre. Dal mar Tirreno –
come gli antichi Navigatori – giungere nel cuore
dell’Adriatico approdando a Venezia per salire
sino a Bolzano dal 21 Novembre al 13 Dicem-
bre. Per festeggiare il Dies Natalis, nel cuore del-
le proprie origini, il Piemonte, dal 13 Dicembre
al 31 Gennaio per poi chiudere il Tour Italiano
in Lombardia - Emilia Romagna dal 1° Febbraio
al 28 Febbraio.
Un percorso che non vuole escludere nessuno.
Che incontrerà dai bambini all’intera Famiglia
Salesiana, che si farà accogliere dai Vescovi sino
al più povero che si accosta con fede.
Cantare “don Bosco ritorna” non è più solo un
desiderio vago ma è cogliere una realtà che si fa
concretezza accanto a noi.
11 Ottobre - 31 Ottobre
CC (Liguria, Toscana,
Umbria, Lazio, Abruzzo,
Molise, Sardegna)
1 Novembre - 20 Novembre
ISI (Sicilia)
20 Settembre - 10 Ottobre
IME (Campania, Puglia,
Basilicata, Calabria)
“Don Bosco ritorna”,
vieni con il tuo corpo benedetto,
ma vieni e non passare invano.
Scuotici dal torpore delle nostre abitudini,
scuotici dalla falsa sicurezza che pensa di conoscerti
[abbastanza
ma non si muove come hai fatto e fai Tu.
Incontrando i più poveri con un primo passo coraggioso,
giocandoci la vita come l’hai giocata Tu,
mettendola totalmente a disposizione di Dio.
Vieni e rendici capaci di vedere le sofferenze dei piccoli.
Vieni e donaci il tuo coraggio che ti ha fatto cercare solo anime.
Vieni e rendici solidi educatori,
appassionati come Te della salvezza dei ragazzi,
diventando fantasiosi segni dell’amore di Dio per Loro.
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SALESIANI NEL MONDO
TESTI E FOTO CENTRI DON BOSCO DI BAMBERG E CHEMNITZ (GERMANIA)
Traduzione di Marisa Patarino
La circo-pedagogia
secondo Giovanni
Brutti voti in matematica, problemi a leggere
o difficoltà con i genitori... nei circhi dei
centri salesiani di Bamberg e Chemnitz tutto
questo non ha importanza. Per i bambini e gli
adolescenti qui contano solo la gioia di stare
in equilibrio, provare numeri da giocolieri e
organizzare insieme le attività.
La passerella
al termine dello
spettacolo. Tutto
è organizzato dai
ragazzi stessi.
Markus va fiero delle sue scarpe sporti-
ve. Sono blu scuro, con occhielli gial-
li nei quali sono infilati lacci gialli. Il
ragazzo spiega che le ha acquistate
due giorni fa. Sono autentiche Mem-
phis. Markus ha 15 anni, porta un
orecchino all’orecchio sinistro e ha i capelli cor-
ti. Non si toglie il piumino color verde muschio
marca Boss; fa parte della sua immagine. Markus
infatti è una stella del circo. L’estate scorsa ha
vinto il primo premio a un concorso per giovani
artisti circensi con il suo numero al trapezio.
Markus fa parte del gruppo dei “maghi”, otto gio-
vani tra gli 8 e i 16 anni che vivono nella casa fa-
miglia “Canisius” a Bamberg. Alla Canisiusheim
abitano tre gruppi di giovani; sono inoltre attivi un
asilo nido, un centro diurno e tre corsi di forma-
zione professionale. Insieme alla St. Josefsheim, in
cui abitano due gruppi di giovani ed è in funzione
un asilo nido, la Canisiusheim costituisce il centro
per giovani Don Bosco di Bamberg, un’opera della
Ispettoria tedesca dei Salesiani.
A Bamberg, 350 bambini e giovani fruiscono
quotidianamente delle proposte educative pensa-
te per chi ha esigenze specifiche. Alcuni soggetti
sono iperattivi, altri presentano disturbi da defi-
cit di attenzione (adhd), manifestano un’ecces-
siva impulsività o sono incorsi in sanzioni pena-
li. Arrivano qui se i loro genitori non si sentono
in grado di affrontare in modo adeguato il loro
comportamento o se non riescono a seguire rego-
larmente la scuola. Qui ricevono una formazione
scolastica individuale, che permetta loro di por-
tare a termine almeno gli studi medi superiori.
Emil Hartmann, direttore dell’istituzione, cre-
de nei tanti aspetti positivi dei suoi ragazzi: «Un
bambino può venire al mondo con una patologia
o una disabilità, ma non con un comportamento
diverso dal consueto». Usa volutamente l’espres-
10
Settembre 2013

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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sione “comportamento diverso dal consueto”;
in definitiva, nessuno può venire al mondo con
“atteggiamenti che richiedono super attenzione”.
Tramite il sostegno educativo, Emil Hartmann e
i suoi collaboratori si impegnano insieme ai geni-
tori per fare in modo che i ragazzi possano torna-
re a vivere a casa loro.
È orgoglioso in particolare di un ragazzo di cui
si è occupato. Alcuni anni fa, il giovane era arri-
vato alla Canisiusheim perché aveva infranto la
legge e si riteneva che non potesse più frequenta-
re una scuola. È però diventato il miglior clown,
ha acquistato fiducia in se stesso, ha conseguito
il diploma di scuola superiore ed è diventato un
professionista.
Ragazzi acrobati.
A Bamberg,
350 bambini e
giovani fruiscono
quotidianamente
delle proposte
educative pensate
per chi ha esigenze
specifiche.
«La meta è il viaggio»
Il tema del circo permea tutta l’attività del cen-
tro per giovani Don Bosco. Il progetto del circo
è cominciato qui nel 1993. Non si trattava ancora
di un’opera istituzionale, ma da allora l’attività
circense è diventata la caratteristica del centro
giovanile e si è ampiamente diffusa. In Germa-
nia vi sono approssimativamente 300 circhi con
bambini e giovani. Si tratta però in prevalenza di
progetti culturali e ricreativi. «Noi, invece, ci ser-
viamo del circo con finalità pedagogiche», dice
Emil Hartmann.
Anche il centro diurno, al primo piano della Ca-
nisiusheim, è stato trasformato in un circo, con
l’ingresso nella pista, un settore per gli animali e
un carrozzone per il pranzo in comune. Si voglio-
no incoraggiare così i bambini e i giovani ad ac-
quisire una maggior creatività e a svolgere attività
mirate tramite la progettazione degli spazi. Nel
1997, grazie a varie donazioni è stato acquistato
un vero e proprio tendone da circo. Quest’anno
ne è arrivato uno nuovo, molto più grande. È sta-
to acquistato solo il rivestimento a strisce giallo-
rosse. Sono stati preparati in casa ponteggi e gra-
dinate, lavorando 20 tonnellate di acciaio e quasi
altrettante di legno. Quindici giovani disoccupati
lavorano alla realizzazione dell’opera e si occupa-
no di tutto ciò che riguarda il circo. Se sarà ne-
cessario, realizzeranno anche un nuovo tendone.
All’ingresso della Canisiusheim vi sono alcuni
pannelli con foto di esibizioni del circo “Giovan-
ni”. Qui tutti sono orgogliosi delle rappresenta-
zioni che i bambini e i giovani offrono al pubbli-
co, anche se il circo non è il fine ultimo dell’opera.
«Per noi la scuola circense non è finalizzata allo
Grazie alle attività
circensi i ragazzi
acquistano fiducia
in se stessi e
riescono bene
al di là di ogni
speranza.
Settembre 2013
11

2.2 Page 12

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SALESIANI NEL MONDO
Molti ragazzi
sanno che se
non avessero
potuto accedere
a questa scuola
difficilmente
avrebbero avuto
un futuro.
ragazzo, e anche di me». Adesso i suoi voti sono
molto migliori. Vorrebbe avere in tasca il diploma
di scuola superiore tra due anni. «Non voglio la-
sciarmelo sfuggire», dice. Non sa però ancora qua-
le professione vorrebbe imparare a svolgere per il
suo futuro. «Mia madre dice che dovrei andare al
circo. Mio padre vuole costruirmi un trapezio». Al
trapezio, Markus supera tutti, anche gli educatori
e gli insegnanti. Pochi si avventurano a cimentarsi
al trapezio. E spesso i bambini e i ragazzi surclas-
sano gli educatori anche al monociclo. Per Emil
Hartmann questo è un bene.
spettacolo. Riteniamo che la meta sia il viaggio»
dice Emil Hartmann. Ognuno può dunque pre-
sentare il suo lavoro, comunque sappia svolgerlo.
Tramite il circo, i bambini e i giovani devono im-
parare a interessarsi a un’attività e a non rinunciare
se il successo tarda ad arrivare. Non è molto pro-
duttivo cercare di indurre i bambini iperattivi a
dedicarsi a un impegno concentrato. Se i bambini
e i giovani vogliono imparare a pedalare sul mono-
ciclo o a svolgere esercizi al trapezio, non possono
raggiungere questi obiettivi senza concentrazione,
molto esercizio fisico e l’affiatamento tra gli artisti.
Emil Hartmann spiega: «Una performance cir-
cense è il sottoprodotto più bello che io conosca».
Anche Markus prende parte a queste iniziative.
Racconta di essere arrivato al Don Bosco un 7
gennaio. A scuola aveva ricevuto voti molto bassi,
perché non riusciva a concentrarsi a causa della sua
iperattività. Andava a scuola solo per trascorrervi
alcune ore. «Ho perso il controllo, ho colpito qual-
cuno in faccia», dice riferendosi a situazioni in cui
la persona che aveva di fronte non gli si era rivolta
con rispetto. Gli educatori dicono che oggi è più
tranquillo. Markus sa che se non avesse potuto
accedere a questa scuola non avrebbe avuto un fu-
turo. «Qui l’insegnante può prendersi cura di ogni
La fiducia volteggia sul trapezio
Troppo spesso in famiglia o a scuola viene detto
ai bambini e ai ragazzi soprattutto ciò che non
possono fare. Al circo invece, i giovani hanno la
possibilità di mettere alla prova le loro capacità e
di acquisire nuove competenze.
Volker Traumann, pedagogista e responsabile
del progetto del circo, ricorda in particolare un
ragazzo che aveva una scarsissima fiducia in se
stesso. «È stato difficile coinvolgerlo nelle attivi-
tà», dice l’animatore dei giochi e del laboratorio
teatrale. «Non aveva il coraggio di cimentarsi con
le consuete discipline circensi, come i numeri da
giocolieri, acrobati e clown». Aveva però detto di
saper giocare bene a calcio. Il gruppo del circo ha
dunque preparato un numero unico: il calciatore
12
Settembre 2013

2.3 Page 13

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DON BOSCO, IL GIOCOLIERE
che colpisce sempre la palla. Il ragazzo si eserci-
tava con un supervisore che ogni volta ricuperava
il pallone con un retino per farfalle. Ne è risultato
un numero circense divertente, ma anche auto-
ironico. «Vogliamo partire dai punti di forza dei
ragazzi», spiega Traumann. «I risultati che si ot-
tengono negli esercizi fisici determinano effetti
anche sulla personalità. I ragazzi ne traggono be-
neficio e inoltre rafforzano la fiducia in se stessi».
Una sorpresa sempre nuova
Adesso nell’arena si esercitano i clown. Quando
uno di loro finge di svenire, arriva in soccorso la
squadra di emergenza dei pagliacci. Taoufik, un
bambino di sette anni, prende dalla sua borsa da
medico una pizza di gomma e la mette sotto il
naso del paziente. Il clown svenuto si rialza su-
bito. «Nel circo apprezzo tanto la possibilità di
mettersi in maschera!», dice Taoufik con gioia. I
suoi occhi brillano. Ha scelto da solo la sua tenu-
ta: pantaloni a righe con camicia, cravatta colo-
rata e il naso da clown. I bambini hanno ideato
da soli anche il numero della squadra di soccorso.
I giovani artisti del circo Giovanni devono colla-
borare il più possibile tra loro. Si suddividono le
responsabilità dei vari incarichi e trovano il titolo
per i loro numeri. In occasione delle esibizioni, i
ragazzi stabiliscono l’ordine in cui i gruppi pre-
sentano i vari numeri e quale sarà la rappresenta-
zione conclusiva.
Mentre durante la prova generale gli animatori
danno qualche ultimo suggerimento, tutto pro-
cede al meglio per la rappresentazione finale con
il pubblico di genitori, nonni e fratelli. I ragazzi
ricevono applausi entusiasti e sguardi ammirati.
Una mamma si asciuga furtivamente gli occhi.
I risultati del progetto circense sono una sorpresa
sempre nuova per i genitori e gli insegnanti.
Anche nella Casa Don Bosco di Chemnitz, un
centro aperto per bambini e giovani, da quasi
dieci anni viene seguita la pedagogia del circo.
Il circo dei bambini e giovani “Birikino” offre ai
Già don Bosco abbinò elementi dell’arte circense ed educazione. Da ragazzo,
la domenica organizzava per i suoi compaesani esercizi sulla corda, numeri
da giocoliere e giochi di prestigio con le monete. Prima dell’ultimo esercizio
invitava regolarmente il pubblico a pregare il Rosario con lui e riassumeva
l’omelia che aveva sentito predicare in chiesa la mattina. Anche in seguito,
quando si dedicava ai giovani a Torino, i giochi e le lezioni erano elementi co-
stanti del suo oratorio, un centro giovanile con una cappella, cucina, camere,
laboratori e aule.
partecipanti alle attività del centro la possibilità
di cimentarsi due volte la settimana in varie di-
scipline circensi. Vari ragazzi accolgono queste
iniziative, per breve tempo o per diversi anni.
È accaduto anche a David, che in passato non
amava lo sport, è poco atletico ed è arrivato qui
per la prima volta quando aveva dodici anni.
All’inizio era spesso scoraggiato e non voleva
impegnarsi nelle attività proposte. Era così ti-
mido che non osava fare quasi nulla, ma non si
è arreso. Quando ha imparato a far volteggiare
i piatti e a compiere altri numeri da giocoliere
e da clown, ha superato la sua timidezza e ha
anche creato occasioni per partecipare ad altre
attività. Adesso David ha terminato con ottimi
risultati la scuola superiore e sta frequentando
un corso per diventare infermiere.
CONTATTI
http://www.zirkusgiovanni.de/
e http://Bamberg.donbosco.de/
Circo Birikino: www.dbh-chemnitz.de
A Bamberg
e Chemnitz
i Salesiani
dimostrano
l’efficacia di una
pedagogia sempre
aperta e creativa.
Settembre 2013
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2.4 Page 14

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L’INVITATO
O. PORI MECOI
«Sono partito per le missioni a 17 anni e il Rettor Maggiore
ha consegnato il crocifisso anche alla mamma»
Incontro con monsignor
Flavio Giovenale
vescovo di Santarém (Brasile)
Quando ha saputo di essere
stato eletto vescovo?
Quanti anni aveva
e quale incarico nella
Congregazione Salesiana?
Nel 1997 ero a Manaus (Amazzonia
brasiliana) come economo ispetto-
riale. Ogni tanto c’erano rumori di
nomine episcopali, ma mi pensavo
“fuori dal gioco”. Poi una telefonata
e la lettera dalla Nunziatura il 22 set-
tembre. Avevo 43 anni.
Qual è la storia
della sua vocazione?
La mia storia è una storia molto
“normale”. Fin da bambino pensavo a
essere prete o astronauta (comunque
ero attratto dal cielo!). Dai 7 anni ero
chierichetto insieme ai miei coetanei.
Attorno al mio paese (Murello, pro-
vincia di Cuneo) c’erano i Domeni-
cani a Racconigi, i Cappuccini a Bra
e i Salesiani a Lombriasco. Il parro-
co era diocesano e indicava ai diversi
animatori vocazionali i ragazzi pos-
sibili. Mi ricordo di una missione dei
Domenicani, ma, a quell’epoca, ero
troppo timido per essere predicatore.
E poi è venuto don Cesare Rosa, il
salesiano che mi ha coinvolto. E così
nell’ottobre 1965 ho cominciato le
medie nell’aspirantato Madonna dei
Boschi a Peveragno (cn). Il Novizia-
to a Monte Oliveto (1970-71, l’anno
del Capitolo Generale Speciale) e il
post-noviziato in Libano. Finalmen-
te nel settembre 1974 sono sbarcato
in Brasile.
Quali sono i ricordi più belli
della sua infanzia?
Sono moltissimi. La famiglia, gli
amici, i giochi vicino alla Chiesa
(c’era il vecchio mulino per giocare a
nascondino mentre in chiesa si diceva
il rosario. Quando suonava il campa-
nello andavamo a sbirciare per vedere
se era la fine del 2º o del 4º mistero.
Che allegria quando era il 2º mistero,
perché così avevamo ancora qualche
minuto per giocare). Mi son sempre
sentito molto amato in famiglia (e che
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Settembre 2013

2.5 Page 15

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belle litigate con i fratelli, specie con
la sorella Maria Teresa!) e in paese.
Tra i ricordi più belli è l’anno della 4ª
elementare, con il maestro Costanzo
Liprandi, un appassionato dell’edu-
cazione con spirito salesiano. È una
delle 2 figure, fuori delle mie famiglie
(la famiglia Giovenale e la famiglia
Salesiana), che più hanno contribuito
alla mia formazione. L’altra persona è
stato il dottor Mario Lubatti, medico
condotto di Murello, che mi ha aiuta-
to con il suo esempio di onestà, com-
petenza e sensibilità al sociale. Dio
mi ha dato la grazia di essere in Italia
quando è deceduto e poter celebrare il
suo funerale.
Perché è partito proprio
per il Brasile?
Durante il Noviziato ho fatto la do-
manda per partire missionario (sic-
come ero minorenne dovevo avere
il permesso dei miei genitori e don
Commisso – mio primo direttore spi-
rituale e amico – mi ha aiutato anche
in questo). Non ho scelto io il Brasile
e l’Amazzonia, ma è stato il Rettor
Maggiore. Siccome dovevo finire gli
studi liceali, mi hanno proposto di
farli a Beirut (Libano) nella scuola in-
ternazionale salesiana. E così è stato:
ho ricevuto il crocifisso missionario
a 17 anni e sono partito! (e il Rettor
Maggiore ha consegnato un crocifis-
so anche alla mamma!).
Qual è la situazione sociale
e politica della sua diocesi?
Sono vescovo di Santarém, lungo il
Rio delle Amazzoni, da pochi mesi,
dal dicembre 2012. È una diocesi
immensa (più di 170 mila km², oltre
metà Italia) con soli 450 mila abitan-
ti, di cui 220 mila abitano nella città
di Santarém. Perciò nel resto del-
la diocesi abbiamo poco più di una
persona per ogni km². Questa realtà
rende molto difficile organizzare i
Il battello che consente a monsignor Giovenale di
visitare la sua diocesi, vasta come metà Italia.
servizi di salute e di educazione per
la popolazione. E poi è una regione
ricca di acqua e minerali e perciò
molte grandi ditte la guardano con
cupidigia per le ricchezze minerali
e per latifondi agricoli (specialmen-
te per la soia). La tensione sociale
è grande in alcune regioni perché
questi avventurieri vogliono cacciare
i piccoli agricoltori perché, dicono,
“intralciano il progresso”...: per loro
alberi e agricoltori devono essere eli-
minati. Il sogno di queste ditte è tra-
sformare la foresta in campi piantati
a soia.
Settembre 2013
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2.6 Page 16

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L’INVITATO
Che cosa significa
la presenza dei salesiani
in questa parte del Brasile?
Nella diocesi di Santarém io sono... il
miglior salesiano! (anche l’unico). Ma
nell’Amazzonia la presenza salesiana è
importantissima, sia nel campo dell’e-
vangelizzazione, come nella promo-
zione sociale, specialmente nell’edu-
cazione. Nel 2014 celebreremo i 100
anni di presenza salesiana in Amaz-
zonia. La storia dell’America Latina
e dell’Amazzonia hanno avuto sempre
il contributo estremamente positivo
della Chiesa Cattolica e dei Salesiani:
educazione e salute sono stati orga-
nizzati dalla Chiesa, ma anche strade,
assistenza sociale, oltre, è chiaro, al
lavoro catechetico ed evangelizzatore.
È possibile dare un volto
brasiliano a don Bosco?
Don Bosco è molto identificato con
lo stile brasiliano, fatto di impegno e
di allegria, di positività rispetto alla
«Sogno oratori per questi ragazzi
pieni di voglia di vivere. In questa
diocesi sono il miglior salesiano
(e anche l’unico)».
vita. E poi... don Bosco
ha sognato Brasilia e i Sa-
lesiani hanno organizzato
anche socialmente intere
regioni del Brasile. Co-
sicché molti sono battez-
zati con “Giovanni Bo-
sco”, “Domenico Savio” o
“Maria Ausiliatrice”... Ci
sono già stati matrimoni
in cui lo sposo era Gio-
vanni Bosco e la sposa
Maria Ausiliatrice!
Com’è composta
la conferenza episcopale
brasiliana? La sua voce,
nella Conferenza
episcopale è ascoltata?
La Conferenza Episcopale brasiliana
è composta di 256 diocesi con 310
vescovi attivi (diocesani e ausiliari)
e 173 vescovi emeriti: in totale sia-
mo 483 vescovi! È una conferenza
enorme! Per questo è suddivisa in 18
regionali. Abbiamo una sola riunio-
ne nazionale annuale e poi ogni re-
gionale si organizza come vuole (o
come può). Noi del regionale Nord
2 (Amazzonia orientale) ci riuniamo
due volte all’anno: una a febbraio per
2 giorni solo i vescovi e un’altra ad
agosto insieme ai rappresentanti dei
laici e dei sacerdoti.
Nel regionale la partecipazione è più
diretta, immediata: ogni vescovo ac-
compagna qualche pastorale o attività
specifica (nel mio caso educazione e
minorenni). In ambito nazionale sono
il presidente della Caritas Brasiliana
(dal 2011 al 2015) e perciò la responsa-
bilità è grande. Ma tutti siamo rispet-
tati, ascoltati... L’assemblea nazionale
dura sempre una decina di giorni e i
dibattiti sono molto intensi e aperti.
Quali sono le sfide più
rilevanti della sua diocesi?
Abbiamo due realtà molto distinte: la
città di Santarém ha oltre 220 mila
abitanti, con le sfide proprie di una
grande città amazzonica: violenza,
bande armate, droga, disoccupazione
specialmente giovanile, mancanza di
strutture basiche (l’acquedotto non
arriva in tutti i quartieri e le fogne
non esistono)... Nell’altra parte del-
la diocesi la maggior difficoltà sono
le distanze e la scarsità del clero: per
arrivare all’ultima sede parrocchiale
della diocesi ci vogliono 37 ore di bar-
ca (e allora bisogna mettere insieme
pazienza, rosari, parole crociate, libri,
amaca e sperare che non arrivino le
tempeste)... e quando si arriva alla
sede parrocchiale, ci vogliono quante
ore ancora per raggiungere le diver-
se comunità? Ogni parrocchia ha in
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Settembre 2013

2.7 Page 17

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MINACCE DI MORTE
media 14 000 km² di estensione con
18 000 persone e una cinquantina di
comunità. E per tutto questo lavoro
ci sono solo uno o due preti. Perciò
abbiamo un grande lavoro per prepa-
rare e accompagnare i ministri laici
ed i sacerdoti hanno una funzione
di animazione, accompagnamento e
celebrazioni speciali. Per questo ogni
comunità ha solo due o tre messe
all’anno (nella sede parrocchiale tut-
te le domeniche). Ma come si fa, per
esempio, con la confessione “regolare”
(una o due volte... nella vita?), con
l’unzione dei malati, con il matrimo-
nio? Siamo in una realtà profonda-
mente differente dall’Europa e dalle
altre regioni del Brasile.
E allora? Avanti con entusiasmo chie-
dendoci sempre: “Cosa farebbe Gesù
in una situazione come questa?”. E
allora? Creatività pastorale, per dare
risposte adeguate alle sfide.
Come sono i giovani?
Sono giovani! Allegri, inquieti, con
molta voglia di vivere, di ballare, di
partecipare... E non sempre riusciamo
come Chiesa a rispondere alle loro
necessità e ansietà. Ma ci proviamo!
Dopo la 4ª e 5ª ginnasio nell’aspirantato di Peveragno e il Noviziato a Monte Oliveto, ho finito
gli studi liceali a Beirut, nella scuola salesiana. Erano tre scuole in una: la scuola “libanese”,
la scuola “americana”, l’unica scuola cattolica del Medio Oriente che dava titoli riconosciuti
dagli Stati Uniti e perciò frequentata da figli di impiegati di ditte internazionali e dell’ONU, e
poi la scuola “italiana”. E poi c’era l’Oratorio, frequentato da cristiani e musulmani. Era una
bellezza: più di 30 nazionalità, una ventina di religioni. Io che non ero mai uscito dalla provin-
cia di Cuneo, la “Granda”, mi sono trovato là e ho provato, di forma positiva, che le differenze
ci aiutano, ci completano. Ho imparato che si può essere cristiani senza essere piemontesi!
In comunità eravamo di 4 riti diversi, a Beirut c’erano 13 Vescovi cattolici! Che bello!
E questo mi è valso un aiuto formidabile nel 2007, quando ho avuto varie minacce di morte
nella lotta contro il traffico di droga e la corruzione della polizia, specie negli abusi contro mi-
norenni. Quando il Rettor Maggiore ha dato l’allarme, in pochi giorni, grazie al coordinamen-
to di don Gianni Caputa (che negli anni ’70 era tirocinante a Beirut), i compagni e gli exallievi
si sono mossi e hanno coinvolto persino la Amnesty International per aiutarmi. Poi ci sono
state altre iniziative e così abbiamo costruito due nuovi laboratori e la biblioteca nella scuola
tecnica “Cristo Lavoratore” ad Abaetetuba (dove ero vescovo, sempre nell’Amazzonia).
È forte la sfida delle sette?
Fortissima! C’è una differenza tra le
“Chiese” e le “sette”. Con le prime si
riesce a parlare, a lavorare insieme.
Con le seconde è impossibile perché
hanno la mentalità di razziatori, che
quando hanno finito il loro “lavoro”
chiudono i battenti e vanno a razziare
altrove... ma il disastro è stato fatto.
Che cosa pensa della
Congregazione Salesiana?
Tutte le volte che penso alla Congre-
gazione Salesiana io sorrido e ringra-
zio il Signore di avermi chiamato a
essere salesiano. È bello, è entusia-
smante, è portare serenità e allegria
alla Chiesa e al mondo. È il pensare
“positivo”, è credere che Gesù ha vin-
to il peccato e la morte e per questo i
giovani possono avere la certezza di
un presente e di un futuro validi per
loro, pensare che il diavolo esiste e
lavora, ma sono 2000 anni che se le
prende sode!
Ha qualche progetto
che le sta particolarmente
a cuore?
Nella Diocesi di Santarém i salesiani
non hanno mai lavorato, vorrei pro-
prio che i giovani si sentissero amati
da Dio. In questo territorio grande
più di metà dell’Italia non c’è nessun
oratorio e non ci sono quasi attività
per i giovani. La Chiesa di Santarém
è viva, ma troppo “adulta” e senza
giovani la Chiesa non ha futuro. Per
questo sogno oratori e attività giova-
nili, affinché i giovani si sentano a
loro agio nella Chiesa.
«Ogni comunità ha solo due o tre Messe all’anno.
Vado avanti con entusiasmo, chiedendomi
sempre: cosa farebbe Gesù in una situazione
come questa?».
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2.8 Page 18

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FINO AI CONFINI DEL MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
BRASILE
Professori
senza frontiere:
un progetto
di solidarietà
con Haiti
(ANS - San Paolo) – Quattro insegnanti di
Educazione Fisica della Rete Salesiana delle
Scuole del Brasile (rse) hanno trascorso il
mese di luglio ad Haiti con l’obiettivo di
contribuire, attraverso lo sport e la gioia,
alla crescita integrale di bambini e adole-
scenti tra i 5 e i 18 anni. “Abbiamo lavorato
per una introduzione allo sport globale, con
attività che hanno coinvolto l’aspetto ludico,
affettivo, cognitivo e spirituale”, precisa
la Coordinatrice del progetto, suor Adair
Sberga, Figlia di Maria Ausiliatrice. Gli
insegnanti hanno portato con sé casacche,
uniformi e materiali da gioco acquistati
grazie alla collaborazione di varie scuole
della rse.
Attualmente la Rete Salesiana delle Scuo-
le è la più grande rete d’insegnamento
cattolico del continente americano. Conta
circa 5 mila educatori e 85 mila allievi di
ogni ordine e grado.
COLOMBIA
Una nuova vita
per gli ex
bambini soldato
(ANS - Cali) – Il Centro
di formazione professio-
nale salesiano di Cali, in
Colombia, è impegnato a
ridare la speranza a quei
ragazzi che hanno vissuto
gli orrori della guerra
come bambini soldato.
Sono ragazzi e ragazze
che in passato sono stati
reclutati dai guerriglieri,
alle volte addirittura rapiti,
e costretti a fare “il lavoro
sporco” della guerra, cioè
quello più pericoloso. Una
volta presi dall’esercito o
recuperati in altro modo,
alcuni di questi ragazzi
vengono inviati a Cali
dove i Salesiani gestisco-
no uno dei centri istituiti
per il recupero degli ex
bambini soldato. L’opera
è grande, completa di
aule, campi da basket,
dormitorio e laboratori,
e la maggior parte degli
ex soldati vi frequenta
un corso di formazione
professionale.
SIERRA LEONE
Il Parlamento
Don Bosco
dei Ragazzi
(ANS - Freetown)
– Per celebrare la
Giornata del Bambino Africano, il 16
giugno, circa 700 bambini, ragazzi e giovani
dell’opera per la protezione dei minori “Don
Bosco Fambul” hanno dato vita ad un’as-
semblea del Parlamento “Don Bosco” dei
Ragazzi. Molti giovani hanno denunciato
il fenomeno delle violenze e degli abusi sui
minori; altri hanno raccontato le proprie
esperienze di vita di strada e di come le loro
esistenze siano rimaste segnate dalla violen-
za e dallo sfruttamento che hanno vissuto
quotidianamente. I membri del Parlamento
Don Bosco hanno anche votato all’una-
nimità una risoluzione che ha richiesto al
governo della Sierra Leone azioni rapide e
incisive per il bene dei bambini del paese.
“Non è solo il 16 giugno di ogni anno che
i bambini meritano l’affetto dei genitori,
dei parenti, degli insegnanti e persino del
Presidente! È ogni singolo giorno!” ha detto
il salesiano coadiutore Lothar Wagner,
Direttore dell’opera.
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2.9 Page 19

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GUATEMALA
L’oratorio
salesiano
si diffonde
tra i villaggi
Q’eqchi
(ANS - San Pedro Carchá) – Il 5 giugno,
anniversario dell’ordinazione di don Bosco
(1841), nel villaggio Chiqueleu, all’interno
della missione salesiana di San Pedro Car-
chá, è stato benedetto il primo cortile di un
oratorio salesiano Q’eqchi.
La missione di San Pedro Carchá, infatti,
in vista del bicentenario della nascita di don
Bosco, si è impegnata ad accompagnare i
giovani aprendo nuovi oratori e permet-
tendo loro di sperimentare la bellezza del
Sistema Preventivo. In poco tempo si è
passati da 3 a 9 oratori e in futuro ce ne
saranno altri.
L’oratorio di Chiqueleu è stato realizzato
grazie all’aiuto della parrocchia salesiana
di Arese e alla donazione delle offerte
del salesiano don Donato Bosco, che ha
destinato a questo scopo i doni ricevuti nel
giorno della sua ordinazione sacerdotale,
avvenuta l’anno scorso.
NEPAL
Il programma:
“Impara,
guadagna e
restituisci”
(ANS - Kathmandu) – Lo
scorso 5 giugno, il Don
Bosco Technical Institute
“Thecho” di Kathman-
du ha inaugurato un
innovativo programma di
formazione e qualifica-
zione professionale dei
giovani delle aree rurali ed
emarginate del Nepal.
Ai giovani che non
possono permettersi una
formazione al lavoro viene
data la possibilità di fre-
quentare gratuitamente un
corso semestrale in una
materia da loro scelta e di
ripagare l’istituto salesia-
no solo successivamente,
quando avranno trovato
un lavoro. Il programma si
basa sulla qualificazione
e la responsabilizzazione
dei giovani ed innesca
anche un circolo virtuoso:
con il denaro reso dai
primi studenti che trovano
lavoro verranno allestiti
altri corsi gratuiti per i
futuri allievi.
INDIA
Consultazioni
sugli Obiettivi
di Sviluppo
del Millennio
post-2015
(ANS - Bangalore) – L’Ufficio di Pianifi-
cazione e Sviluppo dell’Ispettoria di Ban-
galore (breads) è stato scelto per guidare
e organizzare nello stato del Karnataka le
consultazioni sugli Obiettivi di Sviluppo del
Millennio post 2015. Questa consultazione fa
parte dell’azione di tutela di livello nazionale
per raccogliere le voci della gente comune
ed influenzare di conseguenza il quadro di
riferimento degli obiettivi di sviluppo del
Millennio. La metodologia seguita ha previsto
discussioni con la modalità d’indagine del “fo-
cus group” e sondaggi via e-mail per indivi-
duare le principali preoccupazioni dei soggetti
interessati. Successivamente gli organizzatori
hanno predisposto tre sessioni di consultazio-
ne alle quali hanno partecipato centinaia di
adulti e giovani: una a Bangalore, su “Bambi-
ni: Autorità ed Equità”; una a Davangere, su
“Bambini ed educazione”; e una in program-
ma a Raichur, su “Bambini e Salute”.
Settembre 2013
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2.10 Page 20

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A TU PER TU
B.F.
La
missione Dasemprelemotivazioni
fondamentali dell’Associazione
sono state: affermare il primato
della famiglia nell’educazione,
sostenere il diritto dei genitori
di scegliere la scuola,
scuola
promuovere la scuola cattolica.
Incontro
continua conRoberto
Gontero,
presidente
nazionale
dell’AGeSC
Che cosa comporta
essere presidente
nazionale dell’AGeSC?
Significa innanzitutto sentirsi al
servizio delle famiglie e della scuola
cattolica. La nostra è l’unica Asso-
ciazione nazionale per i genitori che
scelgono la scuola cattolica e quindi
è l’unica voce che li rappresenta nella
società e sostiene i loro diritti e le loro
richieste.
Perché questa
Associazione?
L’AGeSC è nata nel 1975, da subito le
motivazioni fondamentali dell’Asso-
ciazione sono state: affermare il pri-
mato della famiglia nell’educazione,
sostenere il diritto dei genitori di sce-
gliere la scuola, promuovere la scuola
cattolica.
Quali risultati
avete ottenuto?
Se guardiamo all’obiettivo del ricono-
scimento della piena parità scolastica
e della libertà di scelta educativa dei
genitori, l’obiettivo è oggettivamente
ancora lontano. Ma alcuni passi sono
stati fatti.
Scuola privata o paritaria?
In Italia, il termine corretto per de-
finire le nostre scuole, anche perché
l’accezione di ‘privato’ ha nel nostro
Paese una percezione negativa, è
quello di ‘scuola paritaria’.
Bisogna sapere però che in tutto il
mondo si usa il termine di ‘scuola
privata’ e questa scuola ottiene qua-
si ovunque finanziamenti statali ben
più significativi di quelli ottenuti in
Italia.
È facile agganciare
i genitori o c’è
un po’ di indifferenza?
Non è mai stato facile perché aderire
ad un’Associazione significa impe-
gnarsi ed è sempre richiesta la parte-
cipazione diretta. Oggi però le diffi-
coltà sono sicuramente maggiori e lo
si vede nella fatica che tutti i tipi di
associazioni (partiti, sindacati, sporti-
ve, sociali, culturali) stanno facendo.
In Italia è garantita
la libertà di educazione?
La risposta è NO! Abbiamo una buo-
na legge sulla parità dal punto di vista
giuridico, la 62/2000 di Berlinguer,
che non ha però avuto il seguito pro-
messo dal punto di vista economico.
Per cui oggi in Italia la scuola paritaria
accoglie circa il 12% della popolazione
20
Settembre 2013

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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scolastica e ottiene un finanziamento
pari all’1% di tutto il bilancio statale
per la scuola; uno studente statale co-
sta in media più di 7000 euro, uno stu-
dente delle paritarie ottiene dallo Sta-
to meno di 500 euro. Voglio ricordare
che in tutta Europa solo la Grecia si
trova in una situazione peggiore della
nostra, in tutti gli altri Paesi i finan-
ziamenti pubblici coprono almeno il
50% dei costi fino ad arrivare nei Paesi
nordici al 90%.
Chi sono i principali nemici?
Dal punto di vista del valore della li-
bertà di scelta educativa delle famiglie
i principali nemici sono alcune mino-
ranze ideologiche e politiche dell’e-
strema sinistra e del laicismo esaspe-
rato, come si è visto chiaramente nel
recente referendum comunale di Bolo-
gna sull’abolizione dei finanziamenti
comunali alle scuole dell’infanzia pa-
ritarie. Queste realtà minoritarie tro-
vano spesso ampia risonanza nei mezzi
di comunicazione.
Come riesci a conciliare
la tua vita professionale
e familiare con l’impegno
di Presidente AGeSC?
In effetti è la fatica più grande che il
nuovo compito implica poiché, anche
se molto impegnativo, sempre di vo-
lontariato si tratta. Quando ho dovuto
decidere se accettare l’incarico di Pre-
sidente ho riunito la famiglia, abbiamo
pregato come facciamo sempre prima
di mangiare e poi ho detto che avevo
bisogno di tutti per poter svolgere al
meglio questo servizio. Nella nostra
Roberto Gontero a colloquio con il cardinal
Angelo Bagnasco presidente della Conferenza
Episcopale Italiana e (sotto) con la sua bella
famiglia.
famiglia da sempre si respira aria di
volontariato cristiano in quanto sia
mia moglie Letizia sia il sottoscritto
siamo anche impegnati nell’Operazio-
ne Mato Grosso ed in Comunione e
Liberazione. Inoltre nel Mato Grosso
in Brasile dove siamo stati molti mesi
insieme abbiamo imparato che non si
può vivere solo per se stessi e che non
bisogna fare ‘l’abitudine’ all’ingiusti-
zia della povertà. Qualunque povertà,
materiale o spirituale che sia.
Imiei figliFrancesca, ElenaeGianpao-
lo sono stati subito d’accordo... è stato
molto incoraggiante ed oggi, quando
si tratta di partire per un impegno in
giro per l’Italia, la loro condivisione mi
è di grande sostegno. Ovviamente il
peso più grande lo porta mia moglie.
Noi lavoriamo da 23 anni insieme nel-
la nostra piccola azienda e quando uno
dei due manca l’altro “tira il carretto”
per tutti e due. Sperimentiamo gior-
no per giorno la regola del dare gra-
tuitamente e del ricevere. Quest’ultima
sempre in maggior quantità.
Settembre 2013
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3.2 Page 22

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INVITO AL COLLE 1
EGIDIO DEIANA
Qui dove tutto è cominciato
duecento anni fa
4
2
1
5 63
L’ITINERARIO
1. Gradinata davanti al Tempio
2. Davanti alla casetta
3. Davanti al prato del sogno
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Settembre 2013
4. Davanti al monumento di Giovannino giocoliere
5. Davanti alla cappella del rosario
6. Dentro il Santuarietto di Maria Ausiliatrice

3.3 Page 23

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1. Il Colle
Su questa collina, oggi nota
come Colle don Bosco, nella
borgata Becchi in Frazione
Morialdo nel comune di Ca-
stelnuovo don Bosco, il 16
agosto 1815 è nato san Gio-
vanni Bosco. All’epoca di Giovannino
su questo Colle c’erano pochi cascinali:
cascina Biglione - canton Cavallo - casa
Graglia e borgata Bechis. La campa-
gna: vigne e prati, alcuni coltivati al-
tri semplicemente pascolo. Da qui un
panorama stupendo: una catena alpina
straordinaria, uno scenario meraviglio-
so di colline, gioco di colori... è la bel-
lezza del creato che affascina: l’orizzon-
te si stende immenso per chilometri.
Facile spaziare con la fantasia, sogna-
re in grande...
Durante la sua visita, il 3 settembre
1988, il beato Giovanni Paolo II de-
finì il luogo “Colle delle Beatitudini
Giovanili”: il progetto evangelico di
felicità indicato da Gesù è accessibile
a tutti, fin da piccoli, come ha spe-
rimentato Giovannino Bosco e come,
da santo educatore, ha insegnato e
insegna a milioni di ragazzi di tutto
il mondo. La grande croce collocata
sulla collinetta più elevata vuole pro-
prio testimoniare la universalità della
salvezza portata da Gesù e del cari-
sma missionario di don Bosco.
Visitare questi luoghi vuol dire ri-
scoprire le origini della straordinaria
personalità di don Bosco e della sua
opera diffusa in tutto il mondo.
2. La casetta: “Questa è la mia casa”
Cuore storico ed affettivo del-
la collina è la casetta dove è
cresciuto Giovannino Bosco.
La famiglia si era trasferita
qui dopo la morte improvvi-
sa di papà Francesco (maggio
to aveva acquistato nel mese di feb-
braio, progettando di lasciare Cascina
Biglione e trasferirsi in una casa tut-
ta loro: povera, ma comunque la loro
casetta.
Donna saggia, di grande buon senso,
1817). In precedenza la famiglia Bo- ricca di una fede semplice e profon- tempo, Giovannino Bosco apprende i
sco abitava alcune stanze presso una da nello stesso tempo, Margherita valori fondamentali del cristiano buo-
Cascina di proprietà dei Biglione, si prende cura della famigliola. Alla no, della bontà evangelica e del cit-
notai e avvocati di Chieri. France- scuola della mamma, dotata di una tadino onesto, affidabile e generoso.
sco lavorava le terre di Biglione come personalità forte e dolce nello stesso La vita nella casetta si sgranava con
mezzadro e capo campagna.
tanto lavoro, tanto sacrificio,
Rimasto vedovo, aveva sposato
ma anche tanta carità e con-
in seconde nozze Margherita
divisione. Alla porta venivano
Occhiena, originaria di Capri-
a bussare poveri, mendicanti,
glio. Dal loro matrimonio nac-
persone che sfruttavano i giorni
quero Giuseppe e Giovanni.
di festa o di mercato per racco-
Con la morte di Francesco Bo-
gliere qualcosa e sopravvivere.
sco, Margherita si trasferisce La cascina Biglione, dove nacque don Bosco, si trovava dove ora
nell’umile casetta che il mari- c’è la Basilica.
Un bicchiere d’acqua, un pezzo
di pane, un piatto di minestra,
Settembre 2013
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3.4 Page 24

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INVITO AL COLLE 1
un riparo per la notte o per il maltempo... con serenità e
cordialità Mamma Margherita accoglieva sempre. “I poveri
sono un dono di Dio!” affermava con delicata carità.
Qui Dio era di casa! La giornata veniva scandita dalla pre-
ghiera quotidiana, confidente. Si chiudeva con il Rosario,
che rasserenava e regalava fiducia nel presente e per il doma-
ni fidando nell’aiuto materno di Maria, la madre di Gesù.
3. Il prato del sogno:
“Ecco il campo del tuo lavoro”
Giovannino, crescendo, sente
nascere in cuore un desiderio
grande: studiare. Per diven-
tare prete. Per prendersi cura
dei ragazzi. E mentre in lui
cresce questo desiderio, Dio
gli fa capire in modo straordinario un
suo progetto. Glielo comunica attra-
verso un sogno: il primo di una serie
di sogni che don Bosco farà e che gli
sveleranno poco a poco il cammino.
Quando fa questo sogno Giovannino
aveva nove/dieci anni. Era ambienta-
to qui, su questa distesa che sfocia-
va nel prato, con un grande
orizzonte fino a Buttigliera
e oltre. Con bontà, conqui-
stando il cuore dei ragazzi,
deve aiutarli a trasformarsi
da animaletti, lupacchiotti,
in agnelli (da ragazzi poveri,
abbandonati e pericolanti e
pericolosi in cristiani buoni e
cittadini onesti). Questo so-
gno traccerà tutta l’esistenza
di don Bosco: prendersi cura
dei ragazzi di tutto il mondo
e portarli alla virtù, a Gesù.
4. Monumento di Giovannino “giocoliere”
F are qualcosa per gli altri. È una
sensibilità che Giovanni inizia
a esprimere fin da giovanissi-
mo. Grazie alla zia Marianna,
impiegata presso il parroco di
Capriglio, può frequentare al-
cuni corsi elementari. Impara così a
leggere e scrivere. Soprattutto nelle
sere d’inverno, raccolti nella stalla (il
luogo più caldo della casa), Giovan-
nino raccontava o leggeva ai coetanei
quanto aveva appreso.
Il monumento sottolinea gli ini-
zi di Giovanni come giovanissimo
animatore: attraverso l’arte del gio-
coliere e del saltimbanco. Su questi
prati. Gradualmente, nell’impostare
i suoi spettacoli di intrattenimento,
Giovanni segue alcuni criteri che
orienteranno più tardi il gioco in
Oratorio. Serietà di preparazione,
divertimento sano e intelligente, e...
finalità formativa.
Dalla madre impara un criterio per
farsi degli amici: legarsi a chi è leale
e generoso (evitare i volgari, grossola-
ni, maleducati, prepotenti...) e a chi è
aperto al senso di Dio...
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Settembre 2013

3.5 Page 25

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5. La casa del fratello Giuseppe e Museo
contadino. La cappella del Rosario
Ci troviamo nella casa del fra-
tello Giuseppe. Dopo il la-
voro al Sussambrino, ad un
paio di chilometri da qui,
Giuseppe era tornato qui ai
Becchi e si era costruito la
casa. Con lui abitava anche Mamma
Margherita. Durante l’estate 1846,
don Bosco, reduce da una malattia
che lo aveva portato in fin di vita,
torna qui ai Becchi per la convale-
scenza. Qui fa la proposta alla ma-
dre: “Mamma, vieni con me a Tori-
no... la zona dove ho trovato casa, a
Valdocco, è isolata, non è delle mi-
gliori, anzi... Se vieni con me, sono
più tranquillo!”. E Mamma Mar-
gherita parte con il figlio (3 novem-
bre 1846). Negli anni seguenti, per
le vacanze, nel periodo della ven-
demmia, don Bosco torna ai Becchi
insieme alla madre. Giuseppe, oltre
alla camera, mette a disposizione del
fratello prete questa stanza perché
la trasformi in cappella e non deb-
ba tutti i giorni fare la strada fino in
parrocchia per celebrare.
È la prima cappella che don Bosco
costruisce, dedicandola alla Madonna
del Rosario. Dopo don Bosco han
continuato a venire i suoi figli da
Torino per la festa del rosario (la
banda fino al 1934). La cappella è
stata rinnovata recentemente e ripor-
tata allo stile delle origini, semplice e
raccolta. Le vetrate richiamano alcuni
avvenimenti significativi avvenuti qui
e legati alla memoria salesiana delle
origini: Sogno dei nove anni - Incon-
tro con Domenico Savio - Vestizione
chiericale di don Rua - Don Bosco e
sua madre.
6. Il Santuarietto di Maria Ausiliatrice
E’stato costruito nel cente-
nario della nascita di don
Bosco, 1915. Già vari grup-
pi di pellegrini avevano
iniziato a venire qui al Col-
le dopo la morte di don
Bosco per visitare la casa delle origini.
Don Albera, Rettor Maggiore e suc-
cessore di don Bosco, accetta l’invi-
to a costruire un luogo di culto che
accoglie i vari pellegrini che salgono
a visitare la casetta di don Bosco. Il
tempietto viene costruito su proget-
to dell’arch. salesiano Giulio Valotti
e con l’apporto degli allievi ed exal-
lievi delle varie scuole salesiane. Con
l’inaugurazione della chiesetta, il 1°
agosto 1918, inizia al Colle anche la
presenza dei primi salesiani. Inizia
così l’avventura dell’opera salesiana.
Oggi il Santuarietto è luogo di pre-
ghiera mariana e adorazione quoti-
diana in continuità con i due grandi
amori di don Bosco, Eucaristia e Ma-
ria SS. Da più di 20 anni, vari mem-
bri della Famiglia Salesiana si turnano
ogni giorno in preghiera e adorazione.
Pregano per i giovani e per le famiglie
e gli educatori della Famiglia Salesiana
di tutto il mondo.
Settembre 2013
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LE CASE DI DON BOSCO
LINDA PERINO
Don Bosco sul Titano
Lo hanno desiderato e invocato,
lo hanno amato e seguito nei suoi figli.
Quando si è allontanato ha continuato
a vivere nel cuore di exallievi e cooperatori
affezionati. Finché lo hanno fatto tornare.
La nuova chiesa
parrocchiale
dei Salesiani
ha un disegno
affascinante
e ben inserito
nel paesaggio
della più antica
repubblica del
mondo.
La Repubblica di San Marino, all’inizio del
1900, si presenta come uno Stato con scar-
si mezzi economici a disposizione e con
una economia prevalentemente agricola.
La realtà sociale e civile è però in fermen-
to e manifesta forti ideali di partecipazio-
ne democratica, di giustizia, di uguaglianza e di
solidarietà. In questo contesto prende forma l’i-
stanza di alcuni cittadini che mira all’istituzione
di una scuola pubblica di arti e mestieri destinata
alla formazione civile e morale dei giovani appar-
tenenti ai ceti più poveri. Si valuta l’opportunità
di affidare l’erigenda scuola ai Salesiani.
Il 29 marzo 1906 il vescovo del Montefeltro,
monsignor Alfonso Maria Andreoli, scrive a
don Rua: “Un signore della mia cara Repub-
blica di San Marino desidera erigere un istituto
per arti e mestieri nei confini della medesima e
vuole i suoi figli, i carissimi Figli di don Bosco,
a dirigerlo. Egli elargisce allo scopo una buona
sostanza, circa lire sessantacinquemila. La fab-
brica potrebbe costruirsi presso una bella Chiesa
dedicata alla Vergine, che già si trova aperta al
pubblico, ben arredata e provvista, ed i Salesiani
potrebbero reggerla ed officiarla. Tutto il resto
verrà da sé e sarà una vera provvidenza e per i
figli di don Bosco anche una compiacenza, ave-
re una casa nella piccola ma storica e secolare
Repubblica”.
La vita beata e la doccia fredda
La sera del 10 novembre 1922 i Salesiani arrivano
finalmente a Borgo Maggiore. Si rendono im-
mediatamente necessari interventi sulla struttura
come l’adeguamento del terreno a cortile per il
gioco.
E i ragazzi e i bambini di Borgo cominciano a
frequentare l’Oratorio. Uno dei primi oratoriani
ricorda: “Rappresentò qualcosa di molto nuovo
per noi bambini vedere quel giovane (don Man-
nucci, chierico salesiano ventiduenne) candidato
alla missione di sacerdote, sempre pronto a scen-
dere nel piccolo cortile dell’Istituto e mettersi in
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Settembre 2013

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mezzo al gruppo per rincorrere tutti insieme e
con gran confusione quella palla che forse era l’u-
nico giocattolo a nostra disposizione. O quando
dall’alto della scala che portava al teatrino faceva
dondolare una caramella che si doveva prendere
con la bocca senza l’uso delle mani. Era il nostro
divertimento ottenuto con l’impegno di un ami-
co più grande, cosa alla quale non eravamo certo
abituati”.
Il lavoro apostolico non manca e i Salesiani lo af-
frontano con lo spirito di don Bosco. Non è facile
la loro presenza a Borgo Maggiore. Il 22 aprile
1930 il Direttore della Casa Salesiana invia una
lettera al responsabile del Popolo Sammarinese,
organo del Partito Fascista, che, in un artico-
lo, aveva pesantemente criticato i Salesiani: «Il
cronista, con punta ironica, parla di vita beata e
tranquilla dell’Istituto Salesiano di Borgo. Ecco:
Il rev.mo don Ulcelli, ex Direttore, che dopo sei
anni di fatiche e fastidi, muore in una clinica di
Bologna, non è indice di vita beata; il rev.mo don
Mannucci, che estenuato di forze, per le fatiche e
le occupazioni di sette lunghi anni, ora è pure lui
degente in una casa di cura, non è indice di vita
beata; l’attuale direttore don Sartori, che da non
molti mesi, è uscito da una gravissima malattia
che lo obbliga tuttora a mille riguardi, neppure
lui è indice di vita beata: tanto meno poi in questo
tempo in cui si trova solo, con la responsabilità
dell’Istituto e del Santuario della B.V. della Con-
solazione e della Parrocchia di San Giovanni».
Un exallievo così ricorda la sua esperienza gio-
vanile all’Oratorio negli anni segnati dalla pre-
senza entusiasmante di don Ennio Pastorboni:
«Vero e proprio punto d’incontro di tante persone
di tutti i ceti sociali, l’Oratorio. Attraverso tante
giornate, trascorse nel gioco, nel contatto umano,
nella ricerca vissuta di legami sempre profondi ed
autentici, prese radice, sotto la guida dei nostri
sacerdoti, l’educazione di tante schiere di giova-
ni, i quali soprattutto attraverso l’associazionismo
(Azione Cattolica, gli indimenticabili Lupetti,
Esploratori, Rovers) e la frequenza dell’Oratorio
seppero legare generazioni di età diverse che si
ritrovavano per vari motivi di comune interesse,
creando così un tutt’uno di grande significato
educativo. Nel campetto che noi ragazzi chiama-
vamo comunemente “il cortile” e negli ambienti
della Casa nella quale si ritrovavano le sale di ri-
creazione e le sedi degli Aspiranti di Azione Cat-
tolica e degli Scouts, nacquero per molti le prime
serie riflessioni, i primi esempi sul valore dell’a-
micizia, sul rispetto degli altri, sull’importanza
vera che assume la fede nella vita di un uomo, e
soprattutto prendemmo coscienza verso un tipo
di religiosità non opprimente, non ossessiva, così
come certa cultura del tempo voleva trasmettere,
far credere o presentare».
II 9 novembre del 1964 però arriva la doccia fred-
da: chiude la Casa Salesiana di Borgo Maggiore.
Il Congresso di Stato esprime al Signor Ispet-
tore dei Salesiani “il rammarico del Governo
sammarinese per la decisione adottata di ritirare
la Comunità salesiana che da quarantaquattro
anni svolgeva benemerita attività nella Parroc-
chia di Borgo e il miglior apprezzamento per
l’opera che la Comunità salesiana ha esplicato
nella Repubblica di San Marino e i suoi senti-
menti di profonda gratitudine per il bene profu-
L’interno è pratico
e accogliente,
adatto ad una
comunità giovane
e dinamica.
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3.8 Page 28

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LE CASE DI DON BOSCO
Il cortile
dell’oratorio.
Proprio il ricordo
del “cortile” e dello
stile dei salesiani
ha fatto ritornare
don Bosco a San
Marino.
so fra la popolazione e in particolare fra i gio-
vani con appassionato zelo e mirabile senso di
abnegazione”.
Don Bosco ritorna
Ma don Bosco non lascia San Marino: continua
a vivere nel cuore di tanti exallievi e cooperatori.
Ritorna una prima volta nel 1988. È una gigan-
tesca statua di bronzo di don Bosco benedicente
collocata là dove per quarant’anni i ragazzi aveva-
no pregato e giocato. Ma i tanti amici sammari-
nesi di don Bosco vogliono di più.
Don Eligio Gosti, parroco ed exallievo, scri-
ve: «L’appetito vien mangiando. Infatti a tavola
avemmo il coraggio di chiedere al Rettor Mag-
giore il ritorno dei Salesiani. La risposta fu di-
plomaticamente evasiva, ma lasciò uno spiraglio
alla speranza. E la speranza divenne ossessione.
Mai nella vita ho voluto una cosa con maggiore
ostinazione del ritorno a San Marino dei Figli di
Don Bosco.
Io che non amo il telefono, mi son messo ad usar-
lo fino a far infuocare la linea. Infatti il Rettor
Maggiore che si era nascosto sulle Alpi Svizzere
per un periodo di raccoglimento, fu tormentato
dalle mie chiamate, dopo aver avuto il numero
segreto per la complicità di certe suore. E don Vi-
ganò perse quasi la pazienza... “Ma avete già tanti
religiosi...” Ma noi vogliamo i Salesiani! Il povero
Rettor Maggiore, che aveva detto un primo sì, fu
bloccato dal no degli Ispettori che erano a corto
di personale. Ricorremmo alla preghiera».
La preghiera fu esaudita e i Salesiani tornarono a
San Marino.
Il 1° settembre 1991 i Salesiani prendono in cura
una nuova splendida chiesa parrocchiale e un ma-
gnifico oratorio nella zona residenziale di Murata
e si buttano a capo fitto a costruire la nuova co-
munità parrocchiale, perché la nuova parrocchia
risulta dall’unione di due precedenti, quella del-
la Pieve e quella di Murata, ciascuna delle quali
aveva la propria sede.
I quattro confratelli che compongono la comunità
salesiana si rendono disponibili all’insegnamento
della religione nelle scuole elementari, medie e
superiori. In questo modo possono incontrare i
fanciulli, i ragazzi e i giovani di buona parte della
repubblica, che gradualmente frequenteranno l’o-
ratorio rendendolo vivo e fiorente.
Il vescovo affida poi ai Salesiani anche la cura
pastorale della parrocchia del vicino castello di
Fiorentino.
Pur nelle difficoltà del tempo presente, che inve-
stono la chiesa in occidente, la presenza dei Sa-
lesiani è fortemente significativa e il carisma di
don Bosco si diffonde tra i sammarinesi anche ad
opera di un nutrito gruppo di exallievi (un centi-
naio di associati) e dell’associazione dei Salesiani
cooperatori.
E nonostante tutto la storia continua.
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insieme
facciamo nuovo
dacosì il cortile di
don Bosco
Una nuova base per il monumento a don Bosco e
comode panchine intorno agli alberi del cortile.
Perché la culla della
Congregazione Salesiana
torni ad essere simbolo
di accoglienza, di gioia
e di raccoglimento per tutti
i pellegrini.
La realizzazione è impegnativa
e il momento difficile. Per questo
ci permettiamo di chiedere l’aiuto
concreto di tutti.
Tutti possono partecipare:
scuole, Ispettorie, parrocchie,
famiglie.
Ricordando che ogni contributo
piccolo o grande
è ugualmente prezioso.
Per informazioni:
e-mail: biesse@sdb.org
Per i contributi:
Banca Intesa Sanpaolo
fil. 00505 - Torino
IBAN:
IT94 N030 6901 0051 0000 0016 221
BIC: BCITITMM
Intestato a Oratorio San Francesco
di Sales - Il cortile di don Bosco
Un’oasi di pace dove c’era l’orto di mamma
Margherita.
a così
Un anfiteatro e alcuni
gazebo per gli incontri giovanili.
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3.10 Page 30

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FMA
EMILIA DI MASSIMO
Casa Main
e don Bosco:
cuori
La trovi in una delle zone
centrali e popolari di
Roma, in via Appia Nuova.
Immersa nel traffico
che, appena ne varchi la
porta, sembra per incanto
svanire alle tue spalle.
Casa Main nasce
nel 2001, ma in realtà
di anni ne conta di più.
È dal 1994, infatti, che le Figlie
di Maria Ausiliatrice cerca-
vano il modo di riempire uno
“spazio” di casa lasciato libero
dal trasferimento dei Corsi
professionali. In cuore ave-
vano il sogno di una “casa famiglia”
per ospitare bambini/e dai 3 ai 12
anni e offrire loro sicurezza materia-
le e affettiva. Si iniziano i lavori per
trasformare le vecchie aule scolastiche
in ambienti funzionali ed accoglienti
e, finalmente, nel 1995 la comunità è
che
amano
pronta ad accogliere la prima bambina
che arriva a Casa Don Bosco. In segui-
to, il progetto si amplia e un’altra ala
della casa viene ristrutturata per ospi-
tare preadolescenti ed adolescenti dai
12 ai 18 anni. Casa Main, appunto.
Le due Case Famiglia sono gestite da
una salesiana, responsabile dell’ope-
ra, la quale si avvale dell’aiuto di una
équipe educativa formata dall’educa-
trice, dalla psicologa-supervisore e da
diversi volontari. Il team ha contatti
con i Servizi Sociali del Comune, con
le asl, con il Tribunale per i Mino-
renni, con le diverse scuole frequen-
tate dai bambini e dalle ragazze, con
la Parrocchia e con l’oratorio presente
nella comunità delle Figlie di Maria
Ausiliatrice.
Ci sono un paio d’ore “libere” e pos-
siamo concederci un incontro con
suor Alessia Civitelli e suor Lucia Di
Maio, responsabili rispettivamente
delle più piccole e delle adolescenti.
«Quanti operano da noi – racconta
suor Alessia – sia a Casa Don Bosco
sia a Casa Main, si impegnano a ren-
dere attuale il Sistema Preventivo. È
un percorso d’insieme che abbiamo
cercato di declinare con le categorie
dell’oggi. Ecco che allora la ragione
è intesa come opportunità di dialogo
sereno e incoraggiante mediante il
quale gli educatori aiutano i minori a
scoprire le proprie risorse, a valoriz-
zarle e a orientarle verso un progetto
di vita. La religione si vive dischiu-
dendo ai valori, soprattutto quello
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Settembre 2013

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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Sotto il titolo : Suor Alessia con due piccole
ospiti. Sopra e sotto : Istantanee della vita in
casa.
della tolleranza nei confronti del-
la diversità, in quanto non si hanno
preferenze di lingua, di cultura e di
religione. Centrale è l’amorevolezza,
vissuta come attenzione a tutte le di-
mensioni della vita del giovane e, so-
prattutto, come capacità di far sentire
che è amato personalmente».
In questo angolo di Roma, “amare”
si traduce in impegno imprescindi-
bile per gli educatori, è la condizione
necessaria per una crescita armonica e
integrale delle giovani e giovanissime.
A ritmo famiglia
Ci sentiamo “a casa”, in questi am-
bienti colorati, dove si vive a “ritmo
famiglia”: gli orari sono dettati dalle
esigenze scolastiche, dagli impegni di
studio e dalle attività del tempo libero
delle piccole e giovani ospiti: «La vita
familiare è garantita dall’essere com-
pletamente autonomi nella gestione
delle giornate – spiega suor Lucia – e
questo contribuisce molto a creare un
ambiente di famiglia che coinvolge
subito le giovani e le fa sentire a casa».
Scorriamo il Progetto educativo del-
le due Case Famiglia. In particolare,
l’obiettivo prioritario di Casa Main è
quello di consentire al minore di so-
stare per un periodo di tempo varia-
bile, a seconda delle proprie esigenze,
in un ambiente educativo che lo aiuti
a ritrovare un sereno equilibrio con se
stesso, con i suoi coetanei, con l’adulto,
con la famiglia di origine o con il con-
testo socio-culturale di appartenen-
za per agevolarne l’inserimento nella
società. «È importante – precisa suor
Lucia – far cogliere alle giovani che
arrivano da noi, con storie che pesano
come macigni sulle loro spalle, che noi
le accogliamo come persone uniche e
irripetibili, degne di stima e di rispet-
to, qualunque sia il loro “passato” e il
loro “presente”». E le giovani colgono
che c’è un’intera comunità, con volti e
nomi, ruoli e compiti differenziati, che
è lì per aiutare, accompagnare ad as-
sumersi gradualmente la responsabilità
della propria vita, a diventare “grandi”.
Sostenere il minore nello sviluppo
delle proprie potenzialità e nell’acqui-
sizione di una graduale autonomia, in
relazione all’età e alla situazione per-
sonale, non sempre è facile, tuttavia
le discrete relazioni interpersonali e
di gruppo, con coetanei e con figure
adulte di riferimento, consentono alle
giovani di realizzarsi.
Molte sono le storie che affollano il
cuore e i racconti di suor Alessia e
suor Lucia: un cuore grande, come
una tenda, che aiuta anche a percorre-
re un cammino di fede, dove si incon-
tra Gesù Buon Pastore che accoglie,
ama, perdona.
La comunità è la forza e la realtà che
fa fiorire giorno dopo giorno il mi-
racolo dell’educazione: «Senza la pre-
senza di adulti significativi – afferma
sorridendo suor Alessia – di numerosi
volontari, di famiglie, quindi di per-
sone disponibili ad accompagnare i
giovani nel loro cammino di crescita,
quanto si vive a Casa Main non sa-
rebbe possibile, non si riuscirebbe a
realizzarlo».
È vero, che le giovani e le piccole sono
protagoniste, ma dietro alla festa,
allo svago, al gioco, alla spontaneità
e all’amicizia, alla gioia e alle parole
sussurrate, c’è un’unica convinzio-
ne di adulti che credono che occorre
amare ciò che loro amano. Parola di
Don Bosco e… di Casa Main!
Settembre 2013
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4.2 Page 32

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Le tredici mosse dell’arte di educare
7. Castigare
Intanto sia subito chiaro: castigare non è il verbo più importante
dell’arte di educare.
Più importanti sono altri verbi, come, ad esempio, parlare, amare,
risplendere. Questi sono i tre verbi portanti dell’educazione.
Parlare perché educare è far succedere fatti interiori, educare è
convincere. Ora, solo la parola convince. Amare perché la nostra
influenza arriva solo fin dove arriva il nostro amore. Risplendere
perché educare non è salire in cattedra, ma è tracciare un sentiero:
è mostrare, è risplendere: è essere ciò che si vuole trasmettere.
Tutto questo è vero, però anche il verbo castigare deve occupare
un posto di tutto rispetto nell’arte di educare.
il braccio! Tira calci ai compagni di
gioco? Lo facciamo uscire immedia-
tamente dal campo.
Il castigo è legittimo per più d’u-
na ragione. È legittimo perché
avverte che non tutto è lecito,
non tutto è permesso. Non è le-
cito picchiare un compagno, non
è lecito rubare la roba agli altri,
non è lecito sradicare i fiori del giar-
dino, attraversare di corsa le strade…
Chi infrange tali regole, deve accor-
gersene! Il castigo serve, appunto, a
questo.
Lasciar correre sarebbe uno sbaglio da
cartellino rosso. Un bambino abitua-
to alla totale impunità è un candidato
alla prepotenza, alla sopraffazione!
Il castigo è legittimo perché, soprat-
tutto i piccoli, hanno bisogno di sen-
tire che i genitori hanno la situazione
in mano: ciò li aiuta a crescere più
sicuri. Il castigo dimostra, appunto,
che c’è qualcuno che sa come ci si
deve comportare: ciò dà tranquillità
al bambino.
Il castigo è legittimo perché stimola
la volontà. Le punizioni sono sempre
spiacevoli, sia per chi le dà sia per chi
le riceve. Ebbene, ciò che è spiacevole
rafforza la volontà. Servizio quanto
mai opportuno per i nostri ragazzi
così devitalizzati da avere, ormai, la
grinta del pesce bollito o della moz-
zarella!
Finalmente, il castigo è legittimo
perché sovente è la via più immediata
e sicura per evitare spiacevoli conse-
guenze. Il bambino si sta sporgendo
dal davanzale? Mette le dita nella
presa della corrente? Qui un castigo
immediato è quel che ci vuole. Lan-
cia pietre a vanvera? Gli blocchiamo
La mappa dei castighi
Insomma, la presenza del castigo
nell’educazione è più che legittima.
Così legittima che nessun pedagogi-
sta ne ha mai messo in dubbio la va-
lidità! Semmai si è discusso sui tipi di
castighi di cui possiamo disporre e sul
modo di gestire la punizione. Lo spa-
zio a disposizione ci obbliga a fermar-
ci quasi esclusivamente sulla mappa
dei castighi.
Dunque abbiamo i castighi cor-
porali.
Sberle, ceffoni, bacchettate… Sono
castighi da bandire, da non usare
mai, sia perché proibiti dalla legge,
sia perché hanno pesanti conseguenze
negative su chi li subisce: provocano
risentimento, umiliazioni, scuotono
il mondo emotivo del figlio. Alla lar-
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Settembre 2013

4.3 Page 33

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E SE VI SCAPPA LA MANO? UN CASTIGO INDOVINATO UN CASTIGO SBAGLIATO
“Se una volta vi è ‘scappata la mano’, non
angosciatevi, non fatene una tragedia.
Capita, capita a tutti, anche a me, lo con-
fesso pubblicamente, è capitato.
L’importante è che non diventi un ‘metodo
educativo’ e tanto meno un’abitudine.
Ai bambini più piccoli basterà aggiungere
un po’ di affetto e sarete immediatamente
perdonati.
E, per quel che riguarda i più grandicelli,
non pensate che sia vietato chiedere scusa
e spiegare il motivo di quello ‘scatto’. Non
perderete la faccia, anzi acquisterete mag-
gior rispetto perché lui o lei si sentirà più
rispettato”.
(Riccardo Renzi educatore)
ga, dunque, dai maltrattamenti fisici!
Formano catene di violenti. Chi è sta-
to picchiato da piccolo, sarà portato a
rifarsi da grande su altri.
Un secondo tipo di castigo è l’iro-
nia, il sarcasmo, la presa in
giro.“Oh, eccolo il signorino con le mani
di pastafrolla. Dovremo starti accanto
dal pannolino al pannolone!”. Tra tutti,
il castigo dell’ironia è il più danno-
so: ferisce l’autostima che è una forza
fondamentale della crescita.
Terzo tipo di castigo: la privazione
di comodi e piaceri. “Non ti sei
comportato bene: oggi niente patatine!”.
“Hai bisticciato con la sorella: questa sera
niente televisione!”…
Questo è un castigo che si può sfrut-
tare: avverte del male fatto e richiede
un qualche sacrificio.
Quarto tipo di castigo: il castigo
morale. Consiste nel mostrarsi tri-
sti, dispiaciuti del male fatto.
È castigo morale non parlare con il
bambino per un certo tempo: “Hai
detto tante bugie non ho più voglia di
parlare con te!”. È castigo morale di-
mostrarsi di malumore. È castigo
morale evitare tutti i diminutivi. Il
Marco, un ragazzo di dodici anni, con
genitori in lotta continua, un mattino
uccide a calci e pugni un gattino da-
vanti ai compagni di gioco nel cortile
del condominio.
Il giudice dei minori decide di punirlo
perché impari a rispettare gli animali.
Per sei mesi Marco dovrà occuparsi di
un gattile, il ricovero dei gatti randagi.
Dovrà lavare le gambe e le orecchie
ai gatti, dovrà tenere in ordine le loro
cuccette e, prima di tornare a casa
alla sera, dovrà dare “almeno due carez-
ze ad ogni animale”.
La punizione funziona a meraviglia!
La responsabile del gattile racconta:
All’inizio il ragazzo viveva l’incarico
come una imposizione assurda. Poi,
poco per volta, le carezze obbligatorie
sono divenute spontanee. Alla fine tra
il piccolo maltrattatore ed i gatti si è
creato un feeling insospettato… Ora
Marco ha un cane, e lo adora”.
Il fatto, avvenuto nel gennaio 2006, è
un magnifico esempio di castigo in-
telligente che raggiunge il suo scopo:
non condannare, non umiliare, ma
educare.
Un mattino il maestro corregge pubbli-
camente i temi. Quando è la volta del la-
voro di Lucia, si rivolge all’alunna, un po’
grassottella e scandisce: “Adesso capisco
perché sei così cicciottella: mangi tutto,
persino gli accenti, le virgole, i punti! ”.
I compagni ridono divertiti, Lucia si sente
fortemente ferita ‘dentro’.
Ecco un castigo da disapprovare senza ‘se’
e senza ‘ma’.
Perché colpisce una forza fondamentale
della crescita: l’autostima.
Perché dimentica una verità: i piccoli pos-
sono avere sofferenze grandi.
castigo morale è castigo ‘nobile’: non
sporca le mani, non urla.
Il castigo morale generalmente fun-
ziona, specialmente con il piccolo. A
tale tipo di castigo vanno tutte le no-
stre preferenze.
CASTIGHIAMO MOTIVANDO
Il castigo, da solo, non risolve nulla. Ha efficacia pedagogica solo se motivato e
capito. Con i “Qui comando io!” ed i “È così perché è così!”, si formano terroriz-
zati, non educati!
Il figlio, sia pure piccolissimo, deve venire a conoscere le ragioni del castigo. Solo
così viene illuminato e può capire il perché del suo comportamento non buono.
Non hai avuto voglia di raccogliere la carta che hai gettato per terra, così io non
ho voglia di prenderti in braccio!”, “Hai aspettato troppo tempo prima di metterti a
fare il compito, anch’io aspetto a darti la merenda, a preparare la cena…”.
No, non sono ricatti, ma argomenti minimi su misura di bambino e di fanciullo.
Argomenti che fanno intuire al piccolo che il castigo non dipende dal nostro umo-
re o dalla nostra forza, ma dalla ragione. È chiaro che in età preadolescenziale ed
adolescenziale, le motivazioni dovranno essere più razionali e profonde. La droga,
ad esempio, è punibile perché drogarsi è rottamarsi, è autodistruggersi…
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4.4 Page 34

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NOI & LORO
ALESSANDRA MASTRODONATO
LA FIGLIA
C’è un tempo
per tornare
Si fa fatica a considerare
il ritorno come un “nuovo inizio”
di studio e di lavoro
C’è un tempo per partire e un tempo
per tornare. Al termine delle va-
canze estive, vissute, soprattutto dai
più giovani, all’insegna dello svago
e dell’evasione, il dover tornare alla
routine e all’ordinarietà dei propri
impegni quotidiani è spesso associato ad una sen-
sazione di noia e di malinconia. È vissuto come
un dovere, appunto, che si contrappone al piacere
del riposo, del gioco, del tempo libero, tanto ago-
gnato per tutto il corso dell’anno e subito consu-
mato in un vorticoso turbinio di emozioni, viag-
gi, scoperte e conoscenze, destinati a smarrire
rapidamente la propria carica di entusiasmo e di
energia una volta tornati alla consueta tiritera di
faccende e di incombenze che ogni anno si ripete,
sempre uguale a se stessa, monotona e ripetitiva.
In particolare per gli adolescenti (ma non solo per
loro), il ritorno sui banchi di scuola rappresenta la
“conclusione” delle vacanze, il “chiudersi” di una
parentesi colorata di divertimento e spensieratez-
za, l’“esaurirsi” di quella dolce euforia che rappre-
senta la cifra caratteristica della stagione estiva, la
“fine” di ogni promessa di svago e libertà: insom-
ma l’“abbandono” di tutti quei progetti vacanzieri
che il mese di settembre, inesorabile e crudele,
porta via con sé.
Si fa fatica, invece, a considerare il ritorno come
un “nuovo inizio”: inizio di un nuovo anno di stu-
dio e di lavoro, segnato, certo, da molteplici im-
pegni e responsabilità, ma anche dalla laboriosità
del tempo feriale che, se vissuta con entusiasmo e
dedizione, può rivelarsi estremamente gratifican-
te; inizio di esperienze inedite sul piano culturale,
premessa per la costruzione di un’identità umana
e professionale più “adulta”; inizio di nuove pos-
sibili amicizie e relazioni, intessute all’insegna
del desiderio di mettersi in gioco e di una rinno-
vata disponibilità al dono di sé e all’accoglienza
dell’altro.
Un ri-tornare, che non è solo un passivo tornare
alle vecchie abitudini e a un orizzonte di vita con-
sueto e rassicurante, ma un ri-significare l’intero
percorso sinora compiuto, rinnovandolo con quel
bagaglio di esperienze, scoperte, avventure e re-
lazioni accumulato durante l’estate.
Perché se nulla può eguagliare l’eccitazione del-
la partenza, è altrettanto vero che non si com-
prende veramente la bellezza del viaggiare fino a
quando non si sperimenta la dolcezza del ritorno
a casa, la possibilità di ri-appropriarsi del pro-
prio spazio e del proprio tempo, facendo nuove
tutte le cose e ri-assaporando la straordinarietà
dell’ordinario.
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4.5 Page 35

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MARIANNA PACUCCI
Musi lunghi, silenzi prolungati: la fine
delle vacanze estive è sempre segnata
da sentimenti negativi. Il ritorno alla
quotidianità è un mix di malinconia
e malumore, con una sensazione cre-
scente di stanchezza: ri-cominciare
pesa tanto, troppo, perché non è mai percepito
come un nuovo inizio, ma come lo sforzo di ri-
prendere faticosamente quel che si era lasciato
andare o, peggio, era rimasto in sospeso, come un
nodo ingarbugliato che più passa il tempo, più è
arduo sciogliere.
Nella famiglia tutto questo sembra destinato a
moltiplicarsi in modo esponenziale e i “ri” diven-
tano una vera e propria litania: ri-motivare e ri-si-
gnificare gli impegni di ciascuno: ri-prendere e ri-
spolverare abitudini e ritmi che si erano accantonati
con un moto liberatorio; ri-allacciare e ri-lanciare i
legami e le forme della collaborazione domestica;
ri-ordinare e ri-pristinare la funzionalità della casa
perché possa tornare ad essere un ambiente acco-
gliente per le mille esigenze di genitori e figli...
“Uffa, che noia!” dicono i più piccoli che si vedono
ri-presentare le regole di cui farebbero volentieri a
meno; ma anche i giovani e gli adulti hanno mille
ragioni per sbuffare, mentre sono ancora in bilico
fra l’estate e l’autunno. E tutti tentano di rallen-
tare il ritorno alla “normalità”, magari dribblando
su qualche responsabilità particolarmente pesante
o negandosi alle aspettative e ai compiti che la
vita sociale impone come fatto scontato.
Lo stesso valore della genitorialità ha bisogno
talvolta, dopo le ferie, di essere ri-pristinato: se è
vero che non ci si può dimettere da questo ruolo
neppure temporaneamente, è però probabile che
nei mesi estivi madri e padri si concedano qual-
che “distrazione”, giustificandola con l’idea che le
vacanze separate dai figli possono aiutarli a cre-
scere nella capacità di autonomia.
Mettendo in conto anche questi elementi positivi,
è giusto allora connotare il ritorno con alcuni “ri”
intriganti: ad esempio, il ri-trovare e il ri-trovarsi.
La “gioia”
del ritorno
È giusto connotare il ritorno con
alcuni “ri” intriganti: ad esempio,
il ri-trovare e il ri-trovarsi.
Perché non è vero che le cose
e le persone vengono riprese
esattamente nel punto
in cui sono state lasciate
Perché non è poi così vero che le cose e – ancor più
– le persone vengono riprese esattamente nel pun-
to in cui sono state lasciate: nessuno torna a casa
senza aver visto cose diverse, fatto incontri inediti
e imparato qualcosa di buono. E anche chi da casa
non si è mai mosso, comunque ha vissuto un’at-
tesa che è preziosa per la vita affettiva: una casa
svuotata è il miglior trampolino per ri-appropriarsi
del desiderio di confidenza,
condivisione, cura all’in-
terno della propria real-
tà domestica.
Ascoltando la voce del
cuore, il ritorno è
per tutti i membri
di una famiglia oc-
casione di gioia e
di reciproco arric-
chimento.
LA MADRE
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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Con don Bosco
pranzo rigorosamente al sacco, riprese
fino a sera. E così per una quindicina
di giorni con il temutissimo tempo
che invece ci vuole sempre bene. Solo
al Forte Bulnes il freddo ci paralizza,
e Darwin nella
costringendoci a sospendere il lavoro
e a ritornare il giorno dopo.
Il Papa che arriva
da laggiù
Terra del Fuoco Pure a 14000 km di distanza da
Roma, il 13 marzo vediamo la fu-
mata bianca dell’elezione di papa
Francesco e la sua prima benedizio-
ne “urbi et orbi”. In quei tempestosi
Storia di un film destinato al palato di persone non
mari sono naufragate decine di navi,
banali, di giovani che pensano, di appassionati di storia
e le loro carcasse sono visibili un po’
dovunque, compresa la nave Amedeo,
e di avventure in terre sconosciute e misteriose.
quella usata da don Fagnano.
Guidati dal messaggio di pionieri come don Bosco e
i salesiani della Patagonia e della Terra del Fuoco:
Lavoriamo 4 giorni a quelle latitudini
fueghine, dormendo in piccoli hostales
L’infinito non lo vedi, se nel cuore non ce l’hai.
T utto comincia a metà gen-
naio 2013 con l’o.k. delle
“Missioni don Bosco” al pro-
getto congiunto della Naif
film e del sottoscritto. Il 21
febbraio ci imbarchiamo a
Fiumicino alla volta di Santiago del
Cile. Vogliamo partire con il piede
giusto: con la storia non si scherza e la
storia delle missioni salesiane in quelle
terre è problematica. Fortunatamente
la nostra è solo una fiction, che gode
di una propria libertà artistica.
Con altre 4 ore di volo, siamo a Punta
Arenas, accolti da un dolce venticello
estivo e dalle due comunità del “Don
Bosco” (che festeggia il centenario
della fondazione) e del San José. In 3
giorni, grazie al loro aiuto, prendia-
mo i necessari contatti. Problemi da
risolvere: affittare una moto di grossa
cilindrata in una città che ne è priva;
trovare un ombrello in una città dove
non esistono, anche se piove spessis-
simo. Il motivo? Chiedetelo al vento.
Le riprese
Ogni mattina caricamento del mate-
riale sul pulmino, viaggio (fra le 2 e
le 5 ore), arrivo sulla location prevista,
preparazione delle inquadrature, pro-
ve di recitazione, prime riprese, pausa
Panorama da Punta Arenas e relitto della nave
Amedeo, usata dal missionario salesiano don
Fagnano.
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Settembre 2013

4.7 Page 37

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per giovani avventurieri. Una giornata
la dedichiamo a Wulaia, luogo classico
della presenza del famoso antropologo
Darwin, di cui non rimangono che
cippo e lapide commemorativa semi-
abbandonati. Laggiù a sud del mondo
ci viene spontaneo pregare per le po-
polazioni scomparse e per i missio-
nari, così come sulla lancia di ritorno
celebriamo la Messa in unione con il
primo Papa extraeuropeo, venuto ap-
punto “quasi dalla fine del mondo”.
Sulla via del ritorno
Passati in motoscafo sull’altra sponda
del canale di Beagle, a Ushuaia, terra
argentina, sul pulmino che ci porta a
Rio Grande costeggiamo buona parte
delle rive del Lago Fagnano. La mente
non può fare a meno di ricordare che a
sud del sud del mondo monti, ghiac-
ciai, laghi, insenature, fiordi, fiumi
portano i nomi di paesi, città, perso-
naggi italiani, grazie soprattutto alle
scoperte di don Alberto de Agostini.
Alla Missione salesiana della Can-
delaria di Rio Grande, monumento
nazionale del Paese, è tuttora attiva
una scuola salesiana, che chiude però
i battenti alle 17.00. Per la sera e per
la notte rimaniamo dunque padroni
della Missione, dormiamo nelle stan-
ze dei missionari, sogniamo, chissà, le
loro imprese di un secolo fa.
Il 24 marzo siamo ormai tutti a Roma
con oltre 30 scene girate.
Ma… e la docu-fiction?
Anticipare la drammatica storia rac-
contata in 100 minuti di film sarebbe
togliere il gusto della scoperta. Dicia-
mo solo che vi si intrecciano tre in-
triganti storie, ciascuna poi messa a
confronto con la seconda faccia della
medaglia.
Anzitutto quella dello straordinario
paesaggio patagonico austral-fueghi-
no e della Croce di Capo Froward,
collocata esattamente un secolo fa da
don Salaberry (vedi BS di maggio).
In secondo luogo quella di don Bo-
sco (e dei salesiani) e di Darwin: gli
uni che chiamano “benedetta” quella
terra che l’altro mezzo secolo prima
aveva definito “maledetta”; gli uni che
amano l’indios al punto da volerlo
educare ed evangelizzare, e l’altro che
semplicemente lo definisce l’“anello
mancante” della catena evoluzionisti-
ca fra l’animale e l’uomo.
Infine la storia del giovane infatuato
della scienza e dell’adulto, exallievo
salesiano credente a modo suo: l’uno
che afferma con arroganza il primato
di una visione ingenua della vita, ali-
mentata da una grande fiducia nella
ragione e nella scienza capaci di dare
un senso compiuto all’esistenza uma-
Don Luis Hector Salaberry ideatore della Croce di
Capo Froward.
La piccola scrivania di don Bosco con il
mappamondo su cui il santo progettò le imprese
missionarie dei suoi figli.
na, e l’altro che, più maturo, vede una
grande superficialità in questo modo
di ragionare, perché trascura la parte
più feconda della vita, quella che si
scopre riflettendo sul significato del-
la Croce; l’uno e l’altro personaggio
hanno un segreto nel cuore, che solo
alla fine si confesseranno a vicenda.
Come si può intuire, si tratta di un
formidabile mix di immagini scono-
sciute e di storie avvincenti, accompa-
gnato da musiche originali di France-
sco Perri. Si spera di presentare il film
in contemporanea a Punta Arenas,
Buenos Aires, Roma e Torino; poi, a
fine ottobre, sarà disponibile per tutti
in dvd in diverse lingue.
Diciamolo subito: il film è destina-
to al palato di persone non banali, di
giovani che pensano, di appassionati
di storia e di avventure in terre lonta-
ne, sconosciute e misteriose. Vedetelo,
guidati dal messaggio di pionieri come
don Bosco e i salesiani della Patagonia
e della Terra del Fuoco: L’infinito non
lo vedi, se nel cuore non ce l’hai.
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TESTIMONI DELLA FEDE
PIERLUIGI CAMERONI
Nino Baglieri
Un angelo
in carrozzella
postulazione@sdb.org
«Il 24 marzo 1978,
venerdì santo, erano le
quattro del pomeriggio,
ho sentito un gran calore
invadere il mio corpo,
in quell’istante ho
accettato la Croce,
ho detto il mio “sì” al
Signore, ho accettato
Cristo nella mia vita e
sono rinato a vita nuova».
Antonino Baglieri era nato a
Modica (Siracusa) il 1° mag-
gio 1951. Dopo aver frequen-
tato le scuole elementari e
aver intrapreso il mestiere di
muratore, a diciassette anni,
il 6 maggio 1968, precipita da un’im-
palcatura alta 17 metri. Ricoverato
d’urgenza, Nino si accorge con ama-
rezza di essere rimasto completamente
paralizzato. Di fronte ad una situa-
zione molto drammatica la mamma
Giuseppina, donna forte nella fede, si
rende disponibile ad accudirlo perso-
nalmente per tutta la vita. Inizia così
il cammino di sofferenza di Nino che
passa da un centro ospedaliero all’al-
tro, ma senza alcun miglioramento.
Ritornato nel 1970 al paese natio,
dopo i primi giorni di visite di amici,
iniziano per Nino dieci lunghi anni
oscuri, senza uscire di casa, in solitudi-
ne, sofferenza e tanta disperazione. Per
dieci anni Nino Baglieri nuota nella
disperazione, bestemmiando e non ve-
dendo uno spiraglio di luce. Accanto a
lui la mamma prega, proprio come la
mamma di sant’Agostino pregò per la
conversione del figlio.
Il 24 marzo 1978, venerdì santo, un
gruppo di persone facenti parte del
Rinnovamento nello Spirito pregano
per lui; Nino sente in sé una trasfor-
mazione, come lui stesso racconterà:
«Era il venerdì santo del 1978; non po-
trò mai dimenticare questa data. Era-
no le quattro del pomeriggio; venne il
sacerdote con un gruppetto di persone,
cominciò a pregare su di me, mi pose
le mani sulla testa e ha invocato lo
Spirito Santo e proprio in quel preciso
momento, mentre invocava lo Spirito,
ho sentito un gran calore invadere il
mio corpo, un formicolio, come se una
forza nuova entrava in me e qualcosa
di vecchio usciva. In quell’istante ho
accettato la Croce, ho detto il mio “sì”
al Signore, ho accettato Cristo nella
mia vita e sono rinato a vita nuova. In
quel momento desideravo la guarigio-
ne fisica, invece il Signore ha operato
qualcosa di più grande: la guarigione
dello spirito. Sono rinato a vita nuova,
un uomo nuovo con un cuore nuovo;
pur restando nella stessa sofferenza
il mio cuore è stato riempito di gioia
nuova, una gioia che io non avevo mai
conosciuto» (Sulle ali della croce. Nino
Baglieri e... tanta voglia di correre, a cura
di Giuseppe Ruta, Elle Di Ci 2008,
182-183).
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A sinistra: Un intenso primo piano di Nino
Baglieri. A destra: Una scena del recital
che lo ricorda. Sotto: Nino con la mamma
e il papà alla casetta di don Bosco.
Da quel momento Nino accettò la
Croce e disse il suo “sì” al Signore.
Incominciò a leggere il Vangelo e la
Bibbia: riscoprì le meraviglie della
fede. Fu proprio in quel tempo che,
aiutando alcuni ragazzini, vicini di
casa, a fare i compiti, imparò a scri-
vere con la bocca. Ed ecco come tra-
scorre le sue giornate: redige le sue
memorie, scrive lettere a persone di
ogni categoria in varie parti del mon-
do, personalizza immagini-ricordo
che omaggia a quanti vanno a visi-
tarlo. Grazie a un’asticella, compone i
numeri telefonici e si mette in contat-
to diretto con tante persone ammala-
te: la sua parola calma e convincente
li conforta. Comincia un continuo
flusso di relazioni, che non solo lo fa
uscire dall’isolamento, ma lo porta a
testimoniare il Vangelo della gioia e
della speranza, con coraggio e sen-
za alcun timore. A Loreto, parlando
ad un folto gruppo di giovani, che lo
guardavano con una certa commise-
razione, ebbe il coraggio di dire: «Se
qualcuno di voi è in peccato morta-
le, sta molto peggio di me!». Dal 6
maggio 1982 in poi, Nino festeggia
l’Anniversario della Croce e, lo stesso
anno, entra a far parte della Famiglia
Salesiana come Salesiano Cooperato-
re. Il 31 agosto 2004 emette la profes-
sione perpetua tra i Volontari con don
Bosco (cdb). Il 2 marzo 2007, alle ore
8, Nino Baglieri, dopo un periodo di
lunga sofferenza e di prova, rende la
sua anima a Dio. Dopo la morte, vie-
ne vestito con la tuta e le scarpe da
ginnastica, affinché, come aveva det-
to, «nel mio ultimo viaggio verso Dio,
potrò corrergli incontro».
È iniziato il processo
di beatificazione
In questa corsa verso Dio, Nino ha
coinvolto tanti che, avendolo co-
nosciuto personalmente ed avendo
ascoltato la sua parola, hanno ritrova-
to grazie a lui speranza e forza. Il 3
marzo 2012 è iniziato il processo di
beatificazione.
Nino Baglieri è diventato un apo-
stolo instancabile, una calamita di
bontà, che ha attirato tantissimi gio-
vani all’amore di Dio. Dove trovava
la forza? Nella Santa Eucaristia! Nel
suo diario, scritto tenendo la penna in
bocca, egli ha confidato una toccan-
te preghiera che dice così: “Signore,
nella Santa Eucaristia ti lasci assor-
bire per trasformarci in te, per esse-
re come te, per amare e servire come
te. Trasforma la mia vita, o Signore,
cambiala a modo tuo, fa’ che anche io
possa essere ostia per i miei fratelli,
possa donarmi agli altri con lo stesso
tuo amore: come tu ti doni a me, fa’
che anche io mi doni a tutti”».
Settembre 2013
39

4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A CURA DI PIERLUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Il computer
inspiegabilmente
smetteva di funzionare
Lavoravo a Bruxelles, presso la
Commissione Europea, come
responsabile delle installazioni
di computer presso le nostre
Delegazioni sparse nel mondo,
tra cui quella del Madagascar.
Avendo conosciuto don Grazia-
no De Lazzari, salesiano, spe-
ravo di poter andare ad Anta-
nanarivo a fare il mio lavoro per
incontrarlo. Ho sempre pregato
don Bosco affinché arrivasse
quel giorno. Quel giorno arrivò
e ne fui enormemente felice. Da
allora ben 7 volte sono ritorna-
to in quella missione, traspor-
tandovi ogni sorta di materiale,
come dono al mio amico e alla
Missione di Clearvaux, a Ivato;
poiché altrettante volte il com-
puter della missione inspiega-
bilmente ha smesso di funziona-
re ed io “dovevo” pianificare un
altro viaggio per poter andare a
ripararlo. Ogni volta io mettevo
nelle mie valigie abiti, scarpe,
medicine ecc. Un giorno il mio
bagaglio personale si è smarrito
e la compagnia aerea, per poter
risarcire il danno, mi diede ben
200 euro per gli effetti personali.
Quale meravigliosa occasione
per comprare nella capitale mal-
gascia oltre 40 camiciole per i
ragazzi, che facevano la Prima
Comunione! Ora da pensionato
qui a Passignano sul Trasimeno,
dove abito, organizzo diverse
iniziative per poter sostenere il
mio caro amico a Fianarantsoa
e per i suoi ragazzi. Spesso mi
sono chiesto: “Come mai quel
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
computer ha smesso di funzio-
nare? Le mie suppliche a don
Bosco? E chi, se no?”
Ponticelli Gaetano,
Passignano sul Trasimeno (PG)
Grazie concesse alla
nostra famiglia
Dopo 6 anni dalla nascita del mio
primo bambino, io e mio marito
desideravamo dare un fratellino
al nostro primogenito. Dopo ben
due anni di tentativi il bambino
non arrivava; allora iniziammo
a consultare i medici, i quali ci
dissero che non cerano problemi
e che dovevamo avere pazienza.
Ma il tempo passava senza che
arrivasse la gravidanza. Venni a
conoscenza della storia del pic-
colo san Domenico Savio.
Iniziai a pregare e a recitare la
novena tutte le sere, chiedendo
con fervore al piccolo santo la
grazia di un bambino. Dopo po-
chi mesi rimasi incinta del mio
piccolo Samuele Giuseppe, che
ha portato la gioia nella nostra fa-
miglia. San Domenico Savio non
ha esaudito solo me, ma anche
mia cognata e mio fratello, che
desideravano tanto un bambino.
Io e mia mamma ci mettemmo in
preghiera; anche a mia cognata
diedi il librettino con la novena.
Dopo diversi mesi anche questa
volta il piccolo santo ha conces-
so alla nostra famiglia la grazia
di un bellissimo bambino. Come
ho promesso, rendo pubbliche le
grazie ottenute per intercessione
di san Domenico Savio e ringra-
zio il Signore per il dono che ab-
biamo ricevuto.
Chiarelli Stefania,
Siderno (Reggio Calabria)
La vita… dono prezioso
da apprezzare
Mi chiamo Michela. Desidero
raccontarvi la mia storia. Tre
anni fa ero incinta e ho perso le
mie due gemelle: in un attimo
si è infranto il mio sogno: le ho
viste volare via, senza gemiti
Cronaca della Postulazione
In occasione della visita all’Ispettoria del Messico “Nostra Signora
di Guadalupe”, Madre Yvonne Reungoat, Superiora Generale delle
Figlie di Maria Ausiliatrice, ha chiesto di avviare l’Inchiesta dioce-
sana sulla vita, virtù eroiche e fama di santità e di segni di suor
Antonietta Böhm, Figlia di Maria Ausiliatrice (Germania, 23 set-
tembre 1907 - Messico, 27 aprile 2008). Suor Antonietta una donna
di grande fede, di ferma speranza, di vera carità verso tutti. Animata
da vivo desiderio apostolico viveva l’unione con Dio e aveva, gra-
zie alla sua filiale
devozione a Maria
Ausiliatrice, uno
speciale dono di
discernimento per
le persone e le
situazioni più di-
verse. Con l’avvio
della causa di suor
Antonietta Böhm la
Famiglia Salesiana
si arricchisce di un
nuovo candidato
alla santità: è il
166°.
nella loro fragilità. Mi è rimasta
tanta rabbia contro la Vita e con-
tro Dio; mi chiedevo: “Perché a
me, perché a noi? Non trovavo
risposte. Il tempo ha in parte
attutito la sofferenza, ma non
si dimentica mai. Nel maggio
2012 ho scoperto di essere nuo-
vamente incinta, ma il sogno è
durato poche settimane, perché
la gravidanza è andata male. In
agosto sopraggiunta una suc-
cessiva gravidanza, il mio pic-
colino ha lottato per vivere; lui
ha lottato più di me e per me. La
gravidanza è stata difficile, ma
questa volta non ero da sola a
combattere. Il Signore ha posto
sul mio cammino tante perso-
ne che ci hanno voluto bene,
accompagnandoci in ogni mo-
mento di questesperienza, nei
momenti brutti e belli. Un giorno
unamica con un grande sor-
riso mi ha regalato labitino di
san Domenico Savio. Io non
conoscevo la storia di questo
santo, ma a lui ci siamo affidati
e abbiamo chiesto protezione.
I miei amici lo hanno fatto per
noi, quando offuscati dalle pau-
re non riuscivamo a farlo. In tutti
i miei ricoveri non mi sono mai
sentita sola. Il 14 aprile alle 5.05
è nato il nostro piccolo Edoardo.
Ancora oggi, quasi non riesco a
credere d’aver ricevuto un dono
così prezioso, delicato e unico.
Passerei le mie giornate a guar-
dare il mio bambino e a ringra-
ziare... tutti.
Michela, Torino
40
Settembre 2013

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
LE SALESIANE NATE DAL CUORE DI DON BOSCO
Don Bosco da pochi anni aveva fondato la Società Salesiana ed
era attivamente impegnato nel recuperare, educare e fornire uni-
struzione professionale ai fanciulli bisognosi quando, incorag-
giato dal papa Pio IX, decise di rivolgere la sua opera anche alla
gioventù femminile. Per attuare questo progetto doveva prima isti-
tuire unapposita congregazione che avesse una regolare struttura
e degli spazi dedicati. Nel 1864 aprì un oratorio a Mornese, in pro-
vincia di Alessandria e lì entrò in contatto con lunione delle Figlie
di Maria Immacolata fondata dieci anni prima dal sacerdote Domenico Pestarino e vi si ispirò. Quindi
scelse tra quelle suore Maria Domenica Mazzarello e lincaricò di fondare e dirigere il ramo femminile dei
Salesiani la cui data istitutiva si fa risalire al 5 agosto del 1872, data della prima cerimonia di vestizione
delle XXX. La nuova congregazione voluta da don Bosco si sviluppò rapidamente in tutta Italia a partire
dalle regioni settentrionali dove era più radicata e poi nel Meridione aprendo case in Sicilia a soli otto
anni dalla fondazione. Nel 1891 fu fondata una casa a Roma e successivamente lespansione continuò
verso la Toscana e poi a Napoli, in Puglia e in Basilicata. La congregazione al principio era tutta protesa
alla promozione sociale con la creazione di scuole femminili
e di oratori festivi. Inoltre, considerata lepoca, diffondeva i
sentimenti di italianità soprattutto attraverso gli insegnamenti
impartiti in lingua italiana che in alcune aree era ancora poco
parlata. Lopera di Madre Mazzarello venne lodata ufficial-
mente con decreto pontificio e lei stessa fu prima beatificata
e poi proclamata santa nel 1951. Attualmente le Salesiane di
don Bosco sono presenti in 92 nazioni con più di 1450 case e
si dedicano a opere sociali, alleducazione cristiana e allistru-
zione con scuole di ogni grado.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Federazione Ci-
clistica Italiana - 3. Fuoriclasse - 7. Vo-
lersi bene - 13. La fine della vigilia - 14.
Le tavole sulle quali i sacerdoti celebrano
la Messa - 16. Una luminosa intuizio-
ne - 17. Quello greco vale 3,14 - 18.
Metà glassa - 20. Gruppo montuoso
asiatico con alcune delle più alte cime del
mondo (k=c) - 22. Attraversa Modane
- 23. Nome di numerose comete - 25.
Negazione bifronte - 26. Indolenza, iner-
zia - 28. Il drammaturgo norvegese che
scrisse Gli Spettri - 29. Incentivo per chi
raggiunge determinati risultati - 31. Au-
toma - 32. Periodo geologico - 33.
mia, né sua - 35. Diminutivo di Mattia
- 37. La Pop che furoreggiò negli anni
’60-’70 - 38. Sulla scala viene prima del
re! - 39. C’è chi la preferisce al sangue
- 41. Si valutano dopo l’incidente - 43.
Cambiano i coni in cena - 44. Una par-
ticolare chitarra persiana - 45. Vi danza-
no intorno i pellerossa - 47. Titolo che
si antepone al nome del sacerdote - 49.
XXX.
VERTICALI. 1. XXX - 2. Distingue
le bocche da fuoco - 3. Un innovativo ri-
vestimento per divani e poltrone - 4. Divo
a Hollywood - 5. Fiume della Galizia - 6.
Città costiera dell’Algeria - 8. La stazione
spaziale russa abbandonata nel 2001 - 9.
Località etiopica dove gli italiani subirono
una pesante sconfitta nel 1896 - 10. Il
celebre autore de La Ronda di Notte - 11.
Salerno (sigla) - 12. Costringere dietro
minaccia - 15. Immagini sacre russe -
17. Il Superiore del convento - 19. Una
curva del fiume - 21. L’Organizzazione
per la pace nel mondo - 22. L’inizio del
giorno - 24. Sono uguali nelle bevan-
de - 27. Mezzo uomo - 29. Il gruppo
linguistico più diffuso in Africa - 30. Or-
gani maschili dei fiori - 34. La città dove
nacque Abramo - 36. Dentro - 39. Club
Alpino Italiano - 40. La mitologica dea
dell’Aurora - 41. Preposizione articolata
- 42. L’Istituto conosciuto come Banca
Vaticana - 44. Le ha doppie il tiratore -
46. A te - 48. Il simbolo del nichel.
Settembre 2013
41

5.2 Page 42

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
DON ROBERTO GIANNATELLI
Morto a Roma il 12 ottobre 2012, a 80 anni
Fin da giovane, don Roberto
iniziò a manifestare alcune doti
ereditate dalla sua famiglia:
capacità progettuale e organiz-
zativa, costanza e duttilità nel
perseguire gli obiettivi, senso
di responsabilità attiva e pro-
mozionale. Ordinato sacerdote
nel 1960, fu inviato a proseguire
gli studi di pedagogia a Roma
conseguendo la licenza e suc-
cessivamente il dottorato. Per
due anni (1963-1965) lavorò al
Centro catechistico di Leumann
di cui fu anche segretario. Venne
poi destinato all’Ateneo Salesia-
no, dove tenne ininterrottamente
corsi di Metodologia cateche-
tica e di Insegnamento della
religione e successivamente di
Educazione ai media. A questo
lavoro di base andarono via via
aggiungendosi altre incombenze
molto gravose. Basterà ricorda-
re gli incarichi di governo nelle
Facoltà e nell’Università: Diret-
tore dell’Istituto di Catechetica
(1968-1974), Decano della Fa-
coltà di Scienze dell’Educazione
(FSE) (1974-1980), Vicerettore
dell’UPS (1980-1983) e coor-
dinatore della struttura diparti-
mentale di Pastorale Giovanile
e Catechetica all’inizio della sua
costituzione (1981-1983), Retto-
re dell’Università (1983-1989),
Preside dell’Istituto di Scienze
della Comunicazione sociale
appena costituito (1989-1995),
Direttore dell’Ufficio Sviluppo
e Relazioni pubbliche. Apprez-
zato per la sua competenza, si
guadagnò la fiducia della Confe-
renza Episcopale Italiana, della
Congregazione per il Clero e del
Pontificio Consiglio delle Co-
municazioni sociali, che lo han-
no avuto come qualificato con-
sulente; inoltre gli fu richiesto
di collaborare nel campo della
catechesi e dell’educazione ai
media da parte di commissioni
internazionali (FIUC) e nazionali
(Copercom), di editrici e gruppi
di ricerca. Un ruolo particolare
svolse in seno all’Ufficio Cate-
chistico nazionale della CEI.
Era emblematico il suo entusia-
smo per la catechetica. Ricor-
diamo le tante iniziative di don
Roberto, con imprese di grande
valore, veri e propri percorsi di
avanguardia nel mondo italiano,
come il Progetto Uomo, il Proget-
to Viva la vita, la continuazione e
specializzazione dei corsi estivi
di aggiornamento a Colfosco e
a Corvara. Si può capire come
don Roberto fosse cooptato fin
dall’inizio dalla Conferenza Epi-
scopale Italiana diventando uno
dei padri del Documento di base
della catechesi italiana nel dopo
Concilio.
Un segnale della salesianità di
don Roberto erano il suo amo-
re e impegno per l’Università
Salesiana. Come decano della
Facoltà di Scienze dell’Educa-
zione si prodigò affinché fosse
approfondita e presentata l’origi-
nalità della vocazione pedagogi-
co-pastorale dei salesiani nella
Chiesa e nel mondo, favorendo
il raccordo interdisciplinare con
le altre Facoltà dell’Università.
Egli mirava a perseguire una so-
lida, moderna pedagogia basata
sulle scienze dell’educazione, in
una sintesi viva di teologia, an-
tropologia e metodologia. Nel
1989 ebbe l’incarico dal Rettor
Maggiore don Viganò di impe-
gnarsi per l’Istituto Superiore
di Scienze della Comunicazione
sociale (ISCOS), ora Facoltà. Vi
si dedicò con la sua consueta
energia e determinazione. Una
sfida grande che però non spa-
ventò don Roberto. Egli infatti
era dotato di notevole capacità
creativa e, inoltre, lavorava in-
stancabilmente. Pur essendo
delicato di salute, era spinto a
«pensare in grande» e a tradurre
rapidamente in azione i proget-
ti, coinvolgendo i collaboratori,
procedendo con decisione, ma-
gari sopravanzandoli nel percor-
so attuativo, e a causa di ciò non
senza qualche sofferenza. Ma era
una persona che non conosceva
rancore e acrimonia. Aveva un
cuore buono e generoso, capace
di riprendere sempre di nuovo il
cammino, assai grato ai suoi col-
laboratori con i quali manteneva
una continua amicizia.
Un ultimo singolare impegno
fu la dedizione di don Roberto
a curare i rapporti con la Cina.
Detta così sembra una favola
utopica. In realtà era un’inci-
piente, concreta relazione con
docenti e studenti di università
cinesi per uno scambio culturale
sul versante pedagogico, dando
ospitalità all’UPS per incontri di
studio, ricambiati in incontri in
terra cinese.
In sintesi possiamo dire che
nell’Università don Roberto vi
risiedette non da straniero o in
termini di passeggero, ma aman-
do l’università come casa sua,
accettandone in pieno i compiti
di docente e di dirigente, con
dedizione piena, laboriosa e in-
faticabile, vivendo appieno la sua
identità di consacrato, secondo
le Costituzioni e le esigenze della
vita di comunità.
42
Settembre 2013

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Due sassolini azzurri
Due sassolini, grossi sì e no
come una castagna, giaceva-
no sul greto di un torrente.
Stavano in mezzo a migliaia
di altri sassi, grossi e picco-
li, eppure si distinguevano
insieme ad altri sassi colorati.
«Ci rimarremo ben poco!», dissero,
sicuri della loro indiscussa bellezza.
Poi una mano li prese e li schiacciò di
malagrazia contro il muro in mezzo ad
altri sassolini, in un letto di cemento
da tutti gli altri. Perché erano di un tremendamente appiccicoso.
intenso colore azzurro. Loro due
Piansero, supplicarono, minacciarono.
sapevano benissimo di essere i più bei Non ci fu niente da fare.
sassi del torrente e se ne vantavano dal I due sassolini azzurri si ritrovarono
mattino alla sera.
inchiodati al muro.
«Noi siamo i figli del cielo!», strilla- Il tempo ricominciò a scorrere, lenta-
vano, quando qualche sasso plebeo mente. I due sassolini azzurri erano
si avvicinava troppo. «State a debita sempre più arrabbiati e non pensavano
distanza! Noi abbiamo il sangue blu. che ad una cosa: fuggire. Ma non era
Non abbiamo niente a che fare con facile eludere la morsa del cemento,
voi!».
che era inflessibile e incorruttibile.
Erano insomma due sassi boriosi e I due sassolini non si persero di
insopportabili. Passavano le giornate coraggio. Fecero amicizia con un filo
a pensare che cosa sarebbero diven- d’acqua, che scorreva ogni tanto su
tati, non appena qualcuno li avesse di loro. Quando furono sicuri della
scoperti. «Finiremo certamente
lealtà dell’acqua, le chiesero il favore
incastonati in qualche collana
insieme ad altre pietre preziose
come noi».
«Sul dito bianco e sottile
di qualche gran dama».
«Sulla corona della regina
d’Olanda».
Un bel mattino, mentre i
raggi del sole giocavano con
le trine di spuma dei sassi
più grandi, una mano d’uomo
entrò nell’acqua e raccolse i
due sassolini azzurri.
«Evviva!», gridarono i due
all’unisono. «Si parte!». Fini-
rono in una scatola di cartone
Disegno di Fabrizio Zubani
che stava loro tanto a cuore. «Infiltrati
sotto di noi, per piacere. E staccaci da
questo maledetto muro».
Fece del suo meglio e dopo qualche
mese i sassolini già ballavano un po’
nella loro nicchia di cemento.
Finalmente, una notte umida e fredda,
Tac! Tac!: i due sassolini caddero per
terra. «Siamo liberi!».
E mentre erano sul pavimento, lancia-
rono un’occhiata verso quella che era
stata la loro prigione.
«Ooooh!». La luce della luna che
entrava da una grande finestra
illuminava uno splendido mosai-
co. Migliaia di sassolini colorati e
dorati formavano la figura di Nostro
Signore. Era il più bel Gesù che i
due sassolini avessero mai visto. Ma
il volto... il dolce volto del Signore,
in effetti, aveva qualcosa di strano.
Sembrava quello di un cieco. Ai suoi
occhi mancavano le pupille!
«Oh, no!». I due sassolini azzurri
compresero. Loro erano le pupille
di Gesù. Chissà come stavano bene,
come brillavano, come erano ammi-
rati, lassù.
Rimpiansero amaramente la loro
decisione. Quanto erano stati
insensati!
Al mattino, un sacrestano
distratto inciampò nei due sas-
solini e, poiché nell’ombra e
nella polvere tutti i sassi sono
uguali, li raccolse e, brontolan-
do, li buttò nel bidone della
spazzatura.
Puoi buttarti giù fin che
ti pare: resti la pupilla
degli occhi di Dio.
Settembre 2013
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Don Bosco Educatore
Più volte fui richiesto
Il trattatello
sul Sistema preventivo
Avvenimenti
Coadiutore Salesiano
e martire
La Beatificazione
di Stefano Sándor
L'invitato
«Siamo i primogeniti
di don Bosco»
Incontro con José Miguel
Núñez Moreno
Salesiani nel mondo
Don Bosco nella terra
degli uomini liberi
L'esperienza dei Salesiani
in Thailandia
Come don Bosco
Le tredici mosse
dell'arte di educare
8. Ascoltare
Speciale
Invito al Colle don Bosco 2
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612658
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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