Bollettino_Salesiano_202304

Bollettino_Salesiano_202304

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Don Bosco
nel mondo
Antille
Le case
di don Bosco
Treviglio
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
APRILE 2023
Quelli che
lo hanno
conosciuto
Giovanni
Villa
L’invitato
Don Hugo
Orozco

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I FIORETTI DI DON BOSCO
B.F.
Una mamma, un bambino
e dei poveri gioielli
U n giorno don Bosco era uscito
in città. Rientrando all’orato-
rio, vide accanto alla portine-
ria una povera madre che aveva in
braccio un fanciullo di circa un anno,
macilento, pieno di croste, immobile e
senza voce. Sembrava un cadavere.
Si fermò e domandò alla madre:
«Da quanto tempo è ammalato?»
«È sempre stato così dalla nascita».
«L’avete fatto vedere ai medici?»
«Sì, ma dicono che non c’è niente da
fare».
«E voi sareste contenta che guarisse?»
«S’immagini, il mio povero figliolo!»
E lo baciava.
«Credete che la Madonna possa
guarire vostro figlio?»
«Sì, ma non mi merito tanta grazia.
Se me lo guarisse le darei tutto ciò
che ho di più caro».
«Allora procurate, quando potete,
di andarvi a confessare e a fare
la Comunione. Per nove giorni
dite il Padre nostro e l’Ave Maria,
e invitate anche vostro marito a
recitarli. La Madonna vi esaudirà»
E benedisse il piccino con la bene-
dizione di Maria Ausiliatrice.
Quindici giorni dopo, di dome-
nica, nella sacrestia del santuario,
fra la gente che cercava di parlare
con don Bosco, c’era una don-
na con in braccio un bambino
dagli occhi limpidi e vivacissimi.
Giunta alla presenza di don Bosco,
tutta raggiante esclamò: «Ecco il mio
figliuolo».
«Che cosa desiderate, signora?»
Don Bosco non ricordava più la
benedizione data a quel bambino. La
donna gliela ricordò e gli disse che il
terzo o il quarto giorno della novena,
il bambino era guarito.
«Ora, continuò, sono venuta a
compiere la mia promessa».
Così dicendo tirò fuori una scatola
nella quale c’erano le sue povere
gioie: una piccola collana d’oro, un
anello, due orecchini.
La donna intanto diceva: «Ho
promesso alla Madonna che le avrei
donato le cose più care, e la prego di
volerle accettare».
Don Bosco scuoteva il capo: «Mia
buona Signora, come riuscite a man-
tenervi?»
«Viviamo giorno per giorno con la
paga di mio marito che lavora alla
fabbrica di ghisa».
«Siete riusciti a mettere da parte
qualche risparmio?»
«Che risparmio vuole che facciamo
con tre lire al giorno?»
«E vostro marito sa che volete donare
questi oggetti alla Madonna?»
«Sì, lo sa, e ne è contento».
«Ma se vi spogliate di tutto, come
farete se vi accadrà qualche disgra-
zia, qualche malattia?»
«Il Signore vede che noi siamo
poveretti e ci penserà. Io debbo dare
quello che ho promesso».
Don Bosco era profondamente
commosso: «Sentite, facciamo così.
La Madonna non vuole da voi un
sacrificio così grande. Se voi volete
proprio darle un segno della vostra
gratitudine, mi darete solo l’anello.
La collana e gli orecchini li
riporterete a casa».
«Questo no. Ho promesso
tutto, e devo dare tutto».
«Fate come dico io. La
Madonna è contenta così.
Voi non le mancate di
parola. Ve lo garantisco a suo
nome».
Don Bosco le ripeté di stare
tranquilla, e fece una carezza
al bambino (M.B., vol. X,
pp. 94-95).
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APRILE 2023

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Don Bosco
nel mondo
Antille
Le case
di don Bosco
Treviglio
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
APRILE 2023
Quelli che
lo hanno
conosciuto
Giovanni
Villa
L’invitato
Don Hugo
Orozco
APRILE 2023
ANNO CXLVII
NUMERO 4
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
La copertina: Il pulcino in molti paesi
è un simbolo della Rinascita Pasquale
(Foto ArtMarie/ iStock).
2 I FIORETTI DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 DON BOSCO NEL MONDO
Antille
10 L’INVITATO
Don Hugo Orozco
14 TEMPO DELLO SPIRITO
Una famiglia riconciliata
16 LE CASE DI DON BOSCO
Treviglio
20 GIOVANI
Patrick
24 FMA
Polonia
26 LA STORIA CONTINUA
Museo Casa don Bosco
30 QUELLI CHE LO HANNO CONOSCIUTO
Giovanni Villa
33 I NOSTRI SANTI
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 IL CRUCIPUZZLE
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
43 LA BUONANOTTE
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20
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 64
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
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Il Bollettino Salesiano
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Roberto Colosio, Roberto
Desiderati, Emilia Di Massimo,
Ángel Fernández Artime, Carmen
Laval, Cesare Lo Monaco, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto,
Marcella Orsini, Pino Pellegrino,
O. Pori Mecoi, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
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DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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e i lavoratori.

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Ángel Fernández Artime
DiouhnacduaotroeagdraonndBeo..s. co
... senza confini, come i lidi del mare.
Di quel cuore ogni giorno sento il battito.
Lui si chiama Alberto. Di
lei, una giovane madre,
non so il nome.
Lui vive in Perù. Lei vive
a Hyderabad (India).
Ciò che unisce queste due storie,
due vite, è che le ho incontrate
in occasione del mio servizio,
Alberto in Perù e la giovane
madre in India la settimana
successiva.
Ciò che le accomuna è il prezioso filo d’oro della
carezza di Dio attraverso l’accoglienza che don Bo-
sco ha riservato loro in una delle sue case. Il cuore
dei Salesiani ha cambiato le loro vite, salvandole
dalla situazione di povertà e forse di morte a cui
erano condannate. E credo di poter dire che il frut-
to della Pasqua del Signore passa anche attraverso
gesti umani che guariscono e salvano.
Queste sono le due storie.
Un giovane riconoscente
Qualche settimana fa mi trovavo a Huancayo
(Perù). Stavo per celebrare l’Eucaristia con più di
680 giovani del movimento giovanile salesiano
dell’Ispettoria, insieme a diverse centinaia di per-
sone di quella città, a 3200 metri di altitudine sulle
alte montagne del Perù, e mi è stato detto che un ex
studente voleva salutarmi. Aveva impiegato quasi
cinque ore di viaggio per arrivare e ne doveva af-
frontare altre cinque per tornare.
«Sarò veramente felice di incontrarlo e ringraziarlo
per il suo bel gesto» risposi.
Poco prima dell’inizio dell’Eucaristia, quel giovane
si avvicinò e mi disse che era molto contento di sa-
lutarmi. «Mi chiamo Alberto e ho voluto fare que-
sto viaggio per ringraziare don Bosco di persona
perché i Salesiani mi hanno salvato la vita».
Lo ringraziai e gli chiesi perché mi stava dicendo
questo. Lui ha continuato con la sua testimonian-
za, e ogni parola mi toccava sempre di più il cuore.
Mi disse che era un ragazzo difficile; che aveva dato
molti problemi ai Salesiani che lo avevano accolto in
una delle case per ragazzi in difficoltà. Aggiunse che
avrebbero avuto decine di motivi per sbarazzarsi di
lui perché «ero un povero diavolo, e potevo aspettar-
mi solo qualcosa di brutto dal mondo e dalla vita, ma
loro sono stati molto pazienti con me».
E continuò: «Sono riuscito a farmi strada, ho conti-
nuato a studiare e, nonostante la mia ribellione, di
volta in volta mi hanno dato nuove opportunità, e
oggi sono un padre di famiglia, ho una bellissima
bambina e sono un educatore sociale. Se non fosse
stato per quello che i Salesiani hanno fatto per me,
la mia vita sarebbe molto diversa, forse sarebbe ad-
dirittura già finita».
Ero senza parole e molto commosso. Gli dissi che
gli ero molto grato per il suo gesto, le sue parole e il
suo cammino, e che la sua testimonianza di vita era
la più bella soddisfazione per un cuore salesiano.
Fece un gesto discreto e mi indicò un salesiano che
era là presente in quel momento, che era stato uno
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dei suoi educatori e uno di quelli che avevano avu-
to molta pazienza con lui. Il salesiano si avvicinò
sorridendo e, credo con una grande gioia nel cuore,
mi confermò che era stato proprio così. Condivi-
demmo il pranzo insieme e poi Alberto tornò dalla
sua famiglia.
Una mamma felice
Cinque giorni dopo questo incontro, mi trovavo nel
sud dell’India, nello stato di Hyderabad. In mezzo
a tanti saluti e attività, un pomeriggio mi annun-
ciarono una visita. Era una giovane madre con la
sua bambina di sei mesi che mi aspettava alla recep-
tion della casa salesiana. Voleva salutarmi.
La bambina era bellissima e, poiché non era spa-
ventata, non ho resistito a prenderla in braccio e a
benedire anche lei. Abbiamo scattato alcune foto
ricordo, come desiderava la giovane mamma. Que-
sto è stato tutto in questo incontro.
Non ci sono state altre parole, ma la storia era dolo-
rosa e splendida nello stesso tempo. Quella giovane
madre un tempo era una bambina “buttata via”, che
viveva per strada e senza nessuno. È facile immagi-
nare il suo destino.
Ma un giorno, nella provvidenza del buon Dio, fu
trovata da un salesiano che aveva iniziato ad acco-
gliere i bambini di strada nello stato di Hyderabad.
Fu una delle ragazze che riuscì ad avere una casa
insieme ad altre ragazze. Insieme agli educatori, i
miei fratelli salesiani si assicurarono che tutti i bi-
sogni essenziali fossero soddisfatti e curati.
Così questa bambina, raccattata dalla strada, poté
rifiorire, fare un percorso di vita che l’ha portata a
essere oggi moglie e madre e, cosa per me incredibil-
mente inestimabile, insegnante nella grande scuola
salesiana dove ci trovavamo in quel momento.
Non potevo fare a meno di pensare a quante altre
vite così, salvate dalla disperazione e dall’ angoscia,
ci sono nel mondo salesiano, quanti miei buoni fra-
telli e sorelle salesiani si inginocchiano ogni giorno
a “lavare i piedi” dei Gesù piccoli e grandi delle
nostre strade.
Questa è la chiave di come molte vite possono esse-
re trasformate in meglio.
Come non vedere in questi due fatti la “mano di
Dio” che ci raggiunge attraverso il bene che pos-
siamo fare? E che siamo tutti noi che, in qualsiasi
parte del mondo, in qualsiasi situazione di vita e
professione, crediamo nell’umanità e crediamo nel-
la dignità di ogni persona, e crediamo che si debba
continuare a costruire un mondo migliore.
Scrivo questo perché anche le buone notizie devo-
no essere rese note. Le cattive notizie si diffondono
da sole o trovano persone interessate. Queste due
storie di vita reale, così vicine nel tempo per me,
confermano una volta e mille volte quanto valga il
bene che cerchiamo di fare tutti insieme.
E anche quello che un canto salesiano poeticamente
esprimeva: «Dico che Giovanni Bosco è vivo, non
pensare che un Padre così possa abbandonarci. Non
è morto, il Padre vive, c’è sempre stato e rimane, lui
che si è preso cura di giovani abbandonati e orfa-
ni, di ragazzi di strada, soli, che aiutava a cambia-
re... Dico che Giovanni Bosco è vivo e ha intrapreso
mille iniziative. Non vedi la sua sollecitudine di pa-
dre che opera adesso in tutto il mondo? Non lo senti
intonare il suo canto a tante figlie, a tanti figli, che
portano questi riflessi del Padre che amiamo? Lui
vive, quando i suoi salesiani sono così».
Auguro a tutti voi una Buona Pasqua; e a chi
si sente lontano da questa certezza di fede,
auguro ogni bene,
con tanta cor-
dialità.
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DON BOSCO NEL MONDO
Marcella Orsini
La Pastorale ecologica
nelle Antille I Salesiani di Don Bosco
sia per estensione della
Negli ultimi tre anni abbiamo tutti provato
la fragilità del sistema Terra. Il Pianeta ci
chiede aiuto con la voce dei suoi abitanti
più giovani, le ragazze e i ragazzi dei mo-
vimenti in difesa dell’ambiente e di denuncia degli
atti di irresponsabilità e di disconoscenza da par-
te delle generazioni adulte, distratte e non curanti
dell’emergenza climatica e dei disastri ambientali
ad essa correlati.
Papa Francesco, con l’enciclica Laudato Si’ del
2015, esprime quale dev’essere la posizione dei cri-
loro presenza sia per
carisma di amore per i più
giovani, hanno inserito
l’Ecologia integrale nelle
linee strategiche della loro
pastorale in tutte le opere
nel mondo.
stiani rispetto alla tematica dell’Ecologia integrale preventiva, hanno inserito l’Ecologia integrale nel-
L’educazione
delle ragazze e
dei ragazzi alla
conversione
ecologica e alla
salvaguardia
del Creato
diventa un
processo di
cambiamento
culturale.
e ci ricorda che “noi stessi siamo terra”, non pren-
dersi cura della nostra casa comune significa non
prendersi cura di noi stessi, negare un presente di
qualità e un futuro sostenibile a oltre il 10% del-
la popolazione mondiale, a sua volta composta in
maggioranza da giovani.
I Salesiani di Don Bosco sia per estensione della
loro presenza sia per carisma di amore
per i più giovani, in una prospettiva
le linee strategiche del sessennio 2020-2026 e nella
loro stessa pastorale in tutte le opere nel mondo.
Il Rettor Maggiore e il suo Consiglio Generale si
sono espressi in maniera esplicita riguardo all’im-
pegno assunto dalla Congregazione nella tutela del
Creato e all’accompagnamento dei giovani verso
un futuro sostenibile con l’obiettivo di “tradur-
re l’enciclica Laudato Si’ nell’azione quotidiana di
ogni salesiano e di ciascuna opera salesiana”.
Il processo che deve accompagnare il raggiungi-
mento di questo obiettivo deve passare dalla pre-
parazione “da parte di ogni Ispettoria di un piano
per attuare una politica che elimini la povertà ri-
spettando l’ambiente”.
L’educazione delle ragazze e dei ragazzi alla con-
versione ecologica e alla salvaguardia del Creato e
il rispetto e la promozione di politiche ambientali
nelle strutture salesiane, da atto concreto orientato
alle buone pratiche, diventa un processo di cam-
biamento culturale e una preparazione dei giovani
alla cittadinanza in un mondo che appartiene loro,
qui e adesso.
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Il Dicastero per la Pastorale Giovanile ha curato e
rilasciato in occasione del Tempo del Creato 2022
(1° Settembre - 4 Ottobre) il Documento di Posi-
zionamento della Congregazione rispetto all’Eco-
logia integrale, dal titolo “I Salesiani di Don Bosco
in cammino verso un mondo sostenibile alla luce
dell’Ecologia integrale”.
Un territorio ferito
In adesione a questa linea, l’Ispettoria salesiana
delle Antille (ant) affinché si realizzi il progetto
educativo, pastorale e politico a tutela della natura
e dell’ambiente nei Paesi che la compongono, Re-
pubblica Dominicana, Cuba e Porto Rico, ha isti-
tuito un settore specifico per la Pastorale ecologica.
Le isole che compongono le Antille, nella regione
dei Caraibi, sono situate in un’area ad alta vulne-
rabilità agli effetti dei cambiamenti climatici quali
aumento delle temperature, innalzamento del livel-
lo del mare, siccità che genera una scarsa disponi-
bilità di acqua, variabilità delle precipitazioni e au-
mento dell’intensità e della frequenza degli uragani
e riduzione dei raccolti, terremoti, interruzione e
fragilità degli ecosistemi.
I Paesi che compongono l’Ispettoria ant sono clas-
sificati con livelli alti e molto alti di vulnerabilità ai
cambiamenti climatici. L’impatto dei recenti eventi
estremi legati al clima, gli uragani Maria, Irma, Fio-
na e le varie tempeste tropicali evidenziano una si-
gnificativa vulnerabilità e un alto livello di esposizio-
ne di alcuni ecosistemi e di molti sistemi umani alla
variabilità climatica e ai rischi che essa comporta.
Le iniziative legate alla Pastorale ecologica ven-
gono realizzate dai Gruppi Ecologici degli Orato-
ri e dei Centri Giovanili e consistono soprattutto
nell’individuazione di itinerari ecologici, nell’orga-
nizzazione di campi ambientali e nella promozione
di campagne di sensibilizzazione.
Lo sviluppo di progetti green gestiti dalla Fonda-
zione Salesiana Don Bosco, tra cui il progetto pro-
mosso dal Centro di formazione ambientale eco-
bosco prevede di raggiungere obiettivi misurabili,
attraverso le risorse di enti pubblici e privati, che
possano creare modelli replicabili di riferimento
per tutti i Paesi dell’ispettoria.
I salesiani
prevedono
per questa
finalità, di
costruire
entro l’anno
15 casette
“green” al cui
interno poter
ospitare fino
a 8 ragazzi.
L’ecobosco
Le principali funzioni della Pastorale ecologica
sono molteplici e coprono ogni livello d’intervento:
promuovere l’impegno e la difesa dell’ecologia inte-
grale, affinché la chiamata all’azione della Lauda-
to Si’ diventi parte dell’azione educativo-pastorale;
partecipare alla costruzione, disseminazione e im-
plementazione delle “Linee guida ispettoriali per
l’ambiente”; rappresentare l’Ispettoria in forum e
spazi, che promuovono la cura dell’ambiente; ac-
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DON BOSCO NEL MONDO
I salesiani
delle Antille,
per il 2023
intendono
concentrare
le risorse per
potenziare
il Centro di
formazione
ambientale
ECOBOSCO,
situato a
40 minuti
da Santo
Domingo,
capitale della
Repubblica
Dominicana.
compagnare l’attuazione delle linee guida per l’am-
biente proposte dalla Chiesa, dalla Congregazione
e dai patti globali e locali; promuovere e accompa-
gnare l’attuazione di iniziative di “Green Campus”
nei centri salesiani; sviluppare e attuare programmi
di formazione ambientale; accompagnare le ini-
ziative ecologiche portate avanti dai settori e dalle
opere salesiane; consolidare alleanze strategiche
con i principali attori pubblici e privati del settore
(ministeri, università, ong, fondazioni, aziende, so-
cietà civile); studiare i problemi ambientali nei Pae­
si appartenenti ad ant e coordinare la posizione
approvata dall’Ispettore e dal suo Consiglio; ammi-
nistrare e gestire l’utilizzo del Centro salesiano di
formazione ambientale ecobosco, nonché soste-
nere i suoi programmi e le sue proposte.
Tutte queste funzioni vengono distribuite in tre
aree di intervento: la Pastorale, finalizzata alla
conversione ecologica e alla cura della spiritualità
nella prospettiva dell’amore per il Creato; la For-
mazione, il cui obiettivo è sviluppare conoscenze
e competenze per la leadership nella promozione
del cambiamento e la Partecipazione istituzionale,
che mira allo sviluppo di una Politica ambientale
ispettoriale e a un Sistema di gestione ispettoriale
su base ecologica strutturati e condivisi.
In particolare, i salesiani delle Antille, per il 2023
intendono concentrare le risorse per potenziare il
Centro di formazione ambientale ecobosco, si-
tuato a 40 minuti da Santo Domingo, capitale della
Repubblica Dominicana, in un’area intensamente
alberata, di recente riconosciuta come Parco Na-
zionale, dove i giovani possono avere un contatto
diretto con la natura e dove si realizza un impegno
concreto e determinato a favore della cura dell’am-
biente e della tutela delle risorse naturali del Paese.
Il Centro ecobosco accoglie alcuni ragazzi più in
difficoltà che non hanno le risorse per raggiungerlo
ogni giorno, i salesiani prevedono per questa fina-
lità, di costruire entro l’anno 15 casette al cui inter-
no poter ospitare fino a 8 ragazzi. Inoltre, obiettivo
dei salesiani per l’anno è anche quello di abbattere
i consumi energetici con l’installazione dei pannelli
solari.
I ragazzi di ecobosco usufruiscono di una forma-
zione diretta in ambito ambientale con un program-
ma di 6 incontri l’anno durante i quali sviluppano
un senso critico riguardo all’urgenza di dotarsi di
buone pratiche e di conoscenze utili a diventare
loro stessi attivatori di un cambiamento culturale
nella direzione della salvaguardia della casa comu-
ne, dunque dell’umanità stessa che la abita.
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INTERVISTA A PADRE WILLIAM BATISTA JÁQUEZ,
salesiano responsabile della Pastorale ecologica nell’Ispettoria
delle Antille
Abbiamo incontrato padre William, responsabile e
coordinatore della Pastorale ecologica dell’Ispettoria
ANT e gli abbiamo chiesto di portare la sua testimo-
nianza di un ruolo quanto mai attuale e ben inserito
nel quadro di riferimento della Congregazione deli-
neato all’indomani del Capitolo Generale 28.
Lei è incaricato della Pastorale
ecologica dell’Ispettoria delle Antille.
Di che cosa si tratta?
La Pastorale ecologica è concepita come un servizio
della Pastorale giovanile salesiana per attuare la poli-
tica ambientale ispettoriale e per accompagnare i vari
settori, i servizi e le opere nello sviluppo di una forma-
zione ecologica integrale.
Com’è nata l’idea di una pastorale
specifica per le tematiche ambientali
ed ecologiche?
L’Ispettoria salesiana delle Antille, nel suo impegno a
rispondere alle azioni globali contro il cambiamento
climatico, la perdita di biodiversità e il problema eco-
logico integrale, seguendo le linee della Chiesa e della
Congregazione che cercano di sviluppare un nuovo
modo di relazionarsi con il Creato, ha istituito la Pasto-
rale ambientale con l’obiettivo di generare un’espe-
rienza trasversale a tutti i settori della Pastorale gio-
vanile salesiana e, direi, dell’Ispettoria in generale, e
di dare unità alle esperienze ecologiche realizzate con
tanto entusiasmo negli ultimi anni.
A quali esigenze,
pragmatiche e
carismatiche,
rispondono i salesiani
con la Pastorale
ecologica?
Noi salesiani rispondiamo all’ur-
gente necessità di curare e di pro-
teggere la nostra casa comune, seguendo gli orienta-
menti della Chiesa che ci vengono fondamentalmente
dall’enciclica Laudato Si’ e della Congregazione, negli
orientamenti ricevuti dal Capitolo Generale 28, dal
Documento di Posizionamento e dalla Conferenza
“Energy Forever”, organizzata dall’Economato Gene-
rale nel 2019, in cui noi Istituzioni salesiane ci siamo
confrontate su energia verde, pulita e rinnovabile. Per
tutte queste ragioni abbiamo attivato un processo di
conversione ecologica che porta a un cambiamento di
abitudini e che cerca di invertire i danni causati da un
processo contrario, fin dal suo inizio. Questo percorso
di conversione ci porta a rivedere il nostro rapporto
con il Creatore e con tutta la creazione e a fissare obiet-
tivi concreti che si concretizzano in un progetto di vita
personale e pastorale.
Che impatto ha la formazione alla
cura del Creato nella vita di tutti i
giorni delle ragazze e dei ragazzi
delle scuole salesiane nelle Antille?
Non si tratta solo di una formazione accademica. Cer-
chiamo soprattutto di formare la coscienza in modo
che la conoscenza diventi testimonianza di una vita
coerente con i valori e i principi su cui si basa l’ecologia
integrale e per questo è fondamentale l’impegno in
un progetto di vita personale che da tutte le dimen-
sioni della persona umana aiuti i giovani a crescere.
Attualmente, coloro che sono coinvolti nel Movimento
ecologico salesiano stanno facendo progressi e sono
riconosciuti nelle loro comunità per il loro impegno
nella cura della casa comune, senza compromettere i
valori fondamentali della fede cristiana che ci portano
a vivere in armonia con l’intero Creato.
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L’INVITATO
O. Pori Mecoi
Don Hugo Orozco
«Porto Don Bosco in due Americhe»
Incontro con il Consigliere Regionale per l’Interamerica.
Don Hugo
con alcune
“speranze”
salesiane.
Può presentarsi?
Mi chiamo Hugo Orozco, sono
un felice salesiano di Don Bo-
sco dal 1989, sacerdote dal
1997, messicano di nascita.
Sono il primo di una fami-
glia di tre figli, mio padre è
medico e mia madre è mor-
ta nell’agosto 2014. Come
salesiano, mi piace la presenza
dei giovani, in mezzo a loro mi sen-
to un pastore educatore e mi sento davvero a
mio agio. Mi piacciono la musica, la fotografia e
la cucina, ho avuto l’opportunità di conseguire una
laurea in Psicologia dell’educazione e
un diploma post-laurea in Peda-
gogia sociale.
Mi sento molto vicino a Gesù,
fin da quando ero adolescen-
te, il Vangelo continua ad af-
fascinarmi, a ispirarmi, cer-
co di fare miei alcuni gesti,
come il gusto per i piccoli, per
i semplici, i dimenticati. Scopro
nella vita e nell’amore due esperienze
che mi mettono in contatto con Dio, sono a
disagio di fronte all’ingiustizia o all’abuso di potere
da parte di chi è più forte.
Com’è nata la sua vocazione?
In famiglia ho imparato dalla generosità dei miei
genitori, dalla loro capacità di empatia, dalla loro
sensibilità per i dettagli e da come relazionarsi con
Dio. Sono stato allievo di una scuola salesiana a
Guadalajara, in Messico, dai 7 ai 15 anni, dove ho
conosciuto don Bosco, che mi ha affascinato fin da
piccolo. Dai 15 ai 18 anni ho studiato in una scuola
dei Fratelli Maristi, dove ho imparato ad amare la
preghiera e l’apostolato.
A 15 anni ho vissuto un’esperienza di Pasqua dei
Giovani che ha cambiato il mio modo di vivere la
fede, con altri giovani, impegnati in cause sociali e
con uno stile di ottimismo e speranza. Mi è piaciu-
to. Un anno dopo ho incontrato per la prima volta
un gruppo di ragazzi di strada e mi sono ricordato
che don Bosco li visitava in carcere e per strada,
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ed è stato allora che ho voluto essere come lui per
la prima volta. Vorrei anche essere un amico, so-
prattutto di quei giovani, essere per loro la presenza
dell’amore con cui Dio li ama. All’età di 18 anni
ho fatto un’esperienza di volontariato missionario
per un anno; il contatto con la gente semplice della
campagna e con la splendida natura che li circonda
ha reso il mio cuore pronto a sperimentare con for-
za il desiderio di rispondere all’invito di dedicare
non solo un anno, ma tutta la mia vita a Gesù Cri-
sto, nello stile di don Bosco.
La Regione Interamerica è
grande come gli antichi Imperi
La regione è nel continente Americano, compren-
de 18 paesi: Canada, Stati Uniti, Messico, Cuba,
Haiti, Repubblica Domenicana, Porto Rico, Gua-
temala, El Salvador, Nicaragua, Honduras, Costa
Rica, Panama, Colombia, Venezuela, Ecuador,
Perù, Bolivia. Lingue della regione: spagnolo, in-
glese, francese.
Il continente Americano ha territori sia nella zona
polare artica sia nella zona subpolare antartica, ed è
attraversato da quattro dei cinque paralleli che de-
limitano le zone climatico-astronomiche. Questa
unicità dà al continente una straordinaria varietà di
climi, che si riflette nelle caratteristiche della flora
e della fauna, nella distribuzione della popolazione
e nelle attività economiche.
Da un punto di vista culturale ed economico, si
possono distinguere due grandi unità: l’America
anglosassone al nord e l’America Latina al sud.
L’America anglosassone ha un alto sviluppo indu-
striale e tecnologico e un’economia basata sull’e-
sportazione di prodotti ad alto valore aggiunto. In
America Latina, l’economia è organizzata intorno
alla produzione e all’esportazione di materie prime.
Queste disparità tra le situazioni economiche delle
diverse Americhe si esprimono vividamente nelle
migrazioni di popolazione.
Con più di un miliardo di abitanti, le Americhe
sono il terzo continente più popoloso dopo l’Africa
e l’Asia. Per quanto riguarda le diverse suddivisioni
del continente, il Nord America rappresenta quasi
la metà della popolazione (493 milioni). L’America
del Sud ha più di 440 milioni di abitanti, segui-
ta dall’America Centrale con più di 50 milioni e i
paesi delle Antille con circa 45 milioni di abitanti.
America è un continente di contrasti e disugua-
glianze. I 10 paesi più popolati della regione sono:
Stati Uniti, Messico, Colombia, Canada, Perù,
Venezuela, Guatemala, Ecuador, Bolivia e Haiti. I
10 paesi più poveri della regione: Haiti, Venezuela,
Nicaragua, Honduras, Bolivia, El Salvador, Guate-
mala, Colombia, Ecuador e Perù.
In America Latina ci sono attualmente 522 popo-
li indigeni che vanno dalla Patagonia al nord del
Messico, passando per diverse aree geografiche
come l’Amazzonia, le Ande, i Caraibi continentali,
la Bassa America centrale e la Mesoamerica. Mes-
sico, Bolivia, Guatemala, Perù e Colombia rap-
presentano l’87% dei popoli indigeni dell’America
Latina e dei Caraibi. Il restante 13% della popola-
zione indigena risiede in 20 stati diversi.
Con più di
un miliardo
di abitanti,
le Americhe
sono il terzo
continente
più popoloso
dopo l‘Africa
e l‘Asia.
APRILE 2023
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2.2 Page 12

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L’INVITATO
La presenza di
don Bosco in
Interamerica
si concretizza
nell‘animazione
di opere di
promozione
umana,
educazione ed
evangelizzazione
a favore di
molti bambini
e giovani in
situazioni reali
di rischio,
vulnerabilità o
abbandono e
a favore delle
popolazioni
indigene nella
nostra presenza
missionaria.
Qual è la situazione generale
dei cristiani?
Secondo le informazioni fornite dall’agenzia di
stampa zenit, la Quinta Conferenza Generale
dell’Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi si
è svolta nel 2007 ad Aparecida, in Brasile. A quel
tempo, il 70% dei latinoamericani si considerava
cattolico, la Chiesa godeva di ampia fiducia, ma si
cominciavano a vedere gli effetti della carenza di
vocazioni sacerdotali. Sono passati quasi 15 anni
da allora e la realtà ecclesiale latinoamericana ha
subito una grande trasformazione.
Le Americhe ospitano 641 821 000 cattolici, es-
sendo il continente più cattolico (il 64% della po-
polazione è cattolica) e concentrando la maggior
parte dei cattolici del mondo (il 48% dei cattolici
del mondo si trova in questa regione). Tuttavia,
secondo i dati dell’indagine Latinobarómetro, che
studia l’affiliazione religiosa dal 1995, l’identifica-
zione con la Chiesa cattolica è diminuita in tutta la
regione.
In quasi tutti i Paesi, la Chiesa cattolica ha subi-
to perdite nei suoi ranghi, controbilanciate da un
aumento dei membri delle chiese evangeliche e di
coloro che non appartengono o non si identificano
con alcuna religione organizzata.
I Paesi dell’America centrale hanno registrato la
maggiore crescita delle chiese evangeliche, con
Honduras e Guatemala in particolare, dove l’ap-
partenenza alle chiese evangeliche eguaglia o supe-
ra (nel caso dell’Honduras) quella al cattolicesimo.
Uruguay, Repubblica Dominicana, El Salvador e
Cile sono i Paesi con la più alta percentuale di di-
saffezione religiosa. Questa categoria comprende le
persone che si descrivono come atee, agnostiche o
che non hanno una religione particolare, anche se
alla fine potrebbero essere credenti.
Secondo il censimento della popolazione 2021
di Statistics Canada, i cattolici sono diminuiti di
2 milioni negli ultimi dieci anni, passando da 12,8
milioni nel 2011 a 10,9 milioni nel 2021. La per-
centuale attuale fa dei cattolici in Canada il 29,9%
della popolazione totale. Più graficamente, solo 3
canadesi su 10 sono cattolici.
Negli Stati Uniti, secondo le statistiche della San-
ta Sede, il 22% della popolazione totale si dichiara
cattolico. Gli Stati Uniti hanno la quarta popola-
zione di cattolici al mondo, dopo Brasile, Messico e
Filippine. Gli altri cristiani nel Paese rappresenta-
no il 53% della popolazione, i gruppi non cristiani
il 6% e quelli senza religione il 18,5%.
Com’è il contatto con le altre
confessioni cristiane?
Negli Stati Uniti e in Canada c’è una cultura di
maggiore vicinanza e coesistenza con altre confes-
sioni cristiane e persino con riti diversi. Nel resto
della regione interamericana, il rapporto con le
Chiese evangeliche non è sempre dei migliori; nel
migliore dei casi si tollerano a vicenda, ma a causa
della divisione che provocano, c’è una resistenza re-
ciproca al rapporto.
Qual è la situazione attuale
dei Salesiani?
L’età media è di 57 anni; l’età media più giovane
si registra nella Provincia di Haiti (45,2), seguita
dalla Provincia dell’America Centrale (53,8) e dal-
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APRILE 2023

2.3 Page 13

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la Colombia Medellin (54,1). L’età media più alta
si registra nella Provincia degli Stati Uniti Ovest
(66,9), seguita dagli Stati Uniti Est (65,3) e dall’E-
cuador (62,1).
La presenza di don Bosco in Interamerica si con-
cretizza nell’animazione di opere di promozione
umana, educazione ed evangelizzazione a favore di
molti bambini e giovani in situazioni reali di ri-
schio, vulnerabilità o abbandono e a favore delle
popolazioni indigene nella nostra presenza missio-
naria. I Salesiani di Don Bosco, insieme a centinaia
di laici, stanno animando
159 scuole
80 Centri di formazione al lavoro
7 Università
175 Oratori
172 Parrocchie
65 Opere sociali
18 Case di riposo
10 Case della salute
8 Stazioni radio
4 Case editrici
15 Case di formazione
34 Comunità missionarie
15 Librerie
5 Istituti di catechesi
7 Centri di comunica-
zione sociale
6 Centri medici
2 Comunità pensionisti-
che universitarie.
E quali realtà
ispirano più
speranza?
Tutti i Paesi della regione
ispirano speranza, il conso-
lidamento del carisma oggi
con le crescenti espressioni
laicali e la significativa pre-
senza giovanile sono espres-
sioni di questo ottimismo.
Quali sono i problemi più acuti
del momento?
Per i salesiani della Regione Interamerica, il pro-
blema più urgente da affrontare è quello di come
organizzarsi, dato che il numero di confratelli in
ogni comunità diminuisce, mentre allo stesso tem-
po la promozione delle vocazioni carismatiche,
consacrate e laiche è una sfida, soprattutto per la
fedeltà alla loro identità e alla loro missione.
Quali sono i bisogni più urgenti?
I bisogni più urgenti dei giovani di oggi si scon-
trano con un contesto ampio, diversificato e in co-
stante cambiamento. Una generazione con grandi
risorse tecnologiche, potenziata nella sua capacità
di connettersi, con una bella semplicità e una gran-
de vulnerabilità. Tutti circondati da espressioni di
disuguaglianza sociale, corruzione, violenza strut-
turale, delinquenza obbligatoria.
Come vede il futuro?
Penso che la regione sia
meravigliosamente giovane,
vivace, impulsiva, creativa.
Credo che il carisma stia as-
sumendo caratteristiche più
laiche e che il suo futuro sia
orientato verso questi sce-
nari di maggiore protago-
nismo nella missione e nella
pastorale salesiana. Il nostro
più grande impegno di vita
è quello di essere i salesiani
che don Bosco sogna per i
giovani di oggi, sognando
insieme a loro un futuro di
maggiore speranza. Il con-
tributo educativo ed evange-
lizzatore del carisma salesia-
no continua ad essere attuale
e significativo nel continente
americano.
Per i salesiani
della Regione
Interamerica,
il problema
più urgente
da affrontare è
quello di come
organizzarsi,
dato che il
numero di
confratelli in
ogni comunità
diminuisce.
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2.4 Page 14

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TEMPO DELLO SPIRITO
Carmen Laval
Una famiglia riconciliata
Nessun vincolo tra persone resiste
senza perdono. Ma è possibile
imparare la rara arte del perdono.
Ecco dieci piccoli esercizi.
In famiglia è così facile giudicare e condanna-
re gli altri. Gli urti quotidiani finiscono per far
soffrire o ferire: e l’elenco è lungo: i suoi tic, le
sue lentezze, il suo vestito, le sue musonerie, le
sue recidive. Parole che feriscono, dette senza con-
trollo, al di là del pensiero, tensioni sulla manuten-
zione della casa, per le discussioni in macchina, per
i rimproveri di chi è troppo preso dal suo lavoro.
Diversità di carattere, insoddisfazione davanti alla
mediocrità dell’altro. Amore espresso in modo in-
sufficiente, silenzi. Discussioni diverse, per provare
se stesso, difendere il proprio spazio, dire le proprie
delusioni. È difficile soprattutto dimenticare.
Accettare di essere diversi. La Famiglia è fon-
data sull’alterità e sulla differenza. Fatalmente
l’altro reagirà in modo diverso, vedrà le cose in
modo differente. Bisogna essere incessantemen-
te all’ascolto della temperatura del cuore dell’al-
tro e chiedergli il suo “modo di usarlo”: “Se ti
amo male, se ti pesto i piedi, dimmelo, perché
cambi; se ti amo come si deve, dimmelo anche,
perché io continui”.
Mettere alla base della Famiglia un “contratto”:
«Noi non ci faremo mai soffrire volontariamen-
te». Si dice alle persone sposate: quando litigate
tenetevi per mano (così è difficile darvi schiaffi).
Considerare gli aspetti positivi. Troppo spesso i
piccoli litigi nascondono gli aspetti meravigliosi
della vita di famiglia, è importante relativizzare
i miniproblemi.
L’amore cresce attraverso questi piccoli perdoni.
Più ci si abitua a perdonare le piccole cose, più si
perdoneranno quelle grandi. Così pure, più pre-
sto lo si fa, meglio è.
Parlare, spiegarsi. Perdonare è più facile quando
c’è comunicazione. È necessario chiedere perdo-
no. Semplicemente, umilmente, sinceramente.
Non esitare a fare il primo passo. La parola com-
pie miracoli quando il suo tono è giusto, privo di
giudizi, perché crea e ricrea.
Per perdonare ed essere perdonato abbiamo biso-
gno di sentire queste parole: “Ti chiedo perdono”,
“ti ho dato un dispiacere”, “mi sono innervosito”,
“ho torto”. Queste parole toccano il cuore e susci-
tano un dialogo talvolta improntato di umiltà e di
sincerità, che altrimenti non avrebbe avuto luogo.
Riconoscere la ferita che si è fatta. Gli esseri
umani sono fragili e vulnerabili. Tutti portiamo
un’etichetta che dice: “Trattare con cura, maneg-
giare con cautela, merce delicata”.
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APRILE 2023

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Colui che è stato ferito ha bisogno di sapere che
la sua ferita è stata presa in considerazione. È
tanto naturale giustificarsi trovando scuse nel
proprio passato, soprattutto trovando colpe negli
altri (i superiori). È importante impegnarsi in un
processo di verità per scoprire i propri torti per-
sonali, e riconoscerli umilmente.
C’era una volta un ragazzo dal carattere molto
difficile. Si accendeva facilmente, era rissoso e
attaccabrighe. Un giorno, suo padre gli consegnò
un sacchetto di chiodi, invitandolo a piantare un
chiodo nella palizzata che recintava il loro cortile
tutte le volte che si arrabbiava con qualcuno.
Il primo giorno, il ragazzo piantò trentotto chiodi.
Con il passare del tempo, comprese che era più
facile controllare la sua ira che piantare chiodi e,
parecchie settimane dopo, una sera, disse a suo
padre che quel giorno non si era arrabbiato con
nessuno. Il padre gli disse: «È molto bello. Ades-
so togli dalla palizzata un chiodo per ogni giorno
in cui non ti arrabbi con nessuno».
Dopo un po’ di tempo, il ragazzo poté dire a suo
padre che aveva tolto tutti i chiodi.
Il padre allora lo prese per mano, lo condusse
alla palizzata e gli disse: «Figlio mio, questo è
molto bello, però guarda: la palizzata è piena
di buchi. Il legno non sarà mai più come prima.
Quando dici qualcosa mentre sei in preda all’ira,
provochi nelle persone a cui vuoi bene ferite si-
mili a questi buchi. E per quante volte tu chieda
scusa, le ferite rimangono».
“è finito”, i loro occhi, il loro broncio continuano
a dimostrare che il fatto non è ancora digerito.
Imparare a negoziare. Significa cercare una so-
luzione media, che tenga conto dei due punti di
vista. Questo suppone che ognuno, in un primo
tempo, cerchi lealmente, con empatia, di met-
tersi al posto dell’altro, di entrare nel suo modo
di vedere.
Riconciliarsi. Anche se la riconciliazione non è
indispensabile per il perdono, il perdono è com-
pleto quando sfocia nel ristabilimento delle rela-
zioni. Il perdono non è ancora la riconciliazione,
ma ne è la via. Il perdono è un catalizzatore che
crea l’ambiente necessario per una nuova parten-
za e per ricominciare. Perdonare è ridare fiducia.
È ripartire “come prima”. Significa riparare e
cambiare. Il segno della sincerità di richiesta di
perdono è lo sforzo che ci si impegna a fare per
non cadere più negli stessi errori.
Un perdono totale è una cosa divina, che noi im-
pariamo soltanto da Dio. Il cristiano non dice: «Io
credo al peccato», ma «alla remissione dei pec-
cati». E quando il sacerdote dice «Io ti assolvo»,
dice molto di più che “tu sei perdonato”. Assolvere
significa ridare la libertà a colui che era legato,
significa togliergli le catene. Quando il perdono
ci sembra impossibile, guardiamo il Cristo in cro-
ce. Nel momento stesso in cui, sospeso ai chiodi,
muore di asfissia in una sofferenza indicibile, egli
ha il coraggio di dimenticare se stesso per chinarsi
sui suoi carnefici e perdonarli.
Dare tempo al tempo. Bisogna accettare che
non venga immediatamente una parola di per-
dono. Quando si è sopraffatti dalla collera, ci
vuole un tempo di calma, di riflessione, e anche
di preghiera per acquistare la capacità di chie-
dere perdono. È un processo lungo e complesso,
bisogna aspettare che il tempo faccia l’opera sua.
Alcuni dimenticano subito l’offesa, soprattutto
quando si tratta di offese leggere. Altri hanno
la tendenza a rimuginarla. Anche se dicono che
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2.6 Page 16

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LE CASE DI DON BOSCO
Roberto Colosio
Treviglio
«La nostra Comunità Educativa è
formata da 11 salesiani e da 100 e
più corresponsabili e collaboratori
laici che rendono possibile ogni
giorno l’accoglienza di 1200 allievi
della scuola, della formazione
professionale, di ragazzi e giovani
che ruotano attorno ai diversi
gruppi dell’Opera».
Estratto dalla Cronaca dell’Istituto Salesiano
santa Famiglia in Treviglio anno 1892: «Il
14 ottobre 1892 partirono da Torino, bene-
detti dal Rev. Signor don Rua, don Fran-
cesco Cottrino, come Direttore, e i chierici don
Felice Razzoli e don Francesco Martini. La piccola
comitiva era accompagnata dall’Economo Gene-
rale don Sala, diretto a Brescia per interessi della
Congregazione. Giunsero alla stazione di Treviglio
sul far della sera, mentre le campane delle chiese
sonavano a distesa. Il clero, andato per riceverli, li
accompagnò nel piccolo santuario della Madon-
na delle Lagrime, dove monsignor Prevosto diede
loro il benvenuto e raccomandò alla popolazione la
nuova Opera delle scuole parrocchiali, esortando
i genitori a mandare i figlioli all’Oratorio Festi-
vo. Il giorno seguente, il 15 ottobre, si dava inizio
all’Opera; non vi era un Coadiutore per i servizi di
cucina e di casa e la Provvidenza inviò un buon ca-
techista dell’Oratorio Festivo, costruttore di ceppi
per zoccoli, il quale si offerse di stare gratuitamente
coi nuovi venuti, adattandosi a fare da cuoco e a
disimpegnare i vari servizi della casa, coadiuvato da
una sua buona sorella che preparava il pranzo e la
cena nei giorni festivi, quando il fratello attendeva
all’Oratorio. I due si chiamavano Giacinto e Teresa
Gendarini. I loro nomi meritano di essere ricordati
come veri benefattori dell’opera nascente.
Nel corso degli anni la struttura e l’offerta formativa si sono ampliati
e modificati nella fedeltà a don Bosco e al progetto originario di
rappresentare per Treviglio e in tutto il territorio circostante un polo
scolastico ed educativo di riferimento stimato da tutti.
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APRILE 2023

2.7 Page 17

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Nel novembre alle prime tre classi, si aggiunsero la
IV e la V classe elementare per i soli esterni, i quali
pagavano, quelli che potevano, una lira al mese. I
nostri vivevano coll’elemosina della messa del Di-
rettore e con un piccolo sussidio mensile che dava il
curato Rainoni. In breve però, l’insegnamento ele-
mentare, impartito dai salesiani, guadagnò l’atten-
zione e la stima della cittadinanza, perché oltre ai
figli del popolo, cominciarono ad affluire i figlioli
degli esercenti e delle migliori famiglie trevigliesi.
Ne venivano anche dai paesi vicini: Calvenzano,
Brignano, Spirano, Canonica, Fara, Verdello, Ca-
sirate, Caravaggio, Cassano d’Adda ecc.
Al mattino, sinché non si poté avere una cappellina
in casa, il Direttore celebrava la Messa nel Santua-
rio della Madonna della Lacrime e i confratelli vi
facevano le loro pratiche di pietà. L’anno scolastico
1892-93 si chiuse bene con un applauditissimo sag-
gio scolastico che si rinnovò negli anni successivi.
Ben presto ci si trasferì nell’attuale sede di via Za-
novello 1, dove nel 1894 venne aperta una Scuola
Media. Con il mutare dei tempi e dei nomi, i due
primi settori sono tuttora aperti e vivi.
Nel corso degli anni la struttura e l’offerta formati-
va si sono ampliati e modificati nella fedeltà a don
Bosco e al progetto originario di rappresentare per
Treviglio e in tutto il territorio circostante un polo
scolastico ed educativo di riferimento: nel 1939 fu
aperto il Liceo Classico, nel 1983 l’Istituto Tecnico
per Geometri, nel 1987 il Liceo Scientifico, a cui
si è aggiunta l’opzione Scienze Applicate dal 2014,
nel 2007 l’Istituto Professionale Aziendale, nel
2013 l’Istruzione e Formazione Professionale nel
settore della logistica a cui è seguito nel 2017, ulti-
mo nato della famiglia, l’Istituto Tecnico-Tecnolo-
gico ad indirizzo logistico. Un grande dinamismo
che ha fatto del Centro Salesiano Don Bosco di
Treviglio una risposta alle sempre nuove esigenze
educative, al passo con i tempi dal 1892.
Dai Salesiani è passato anche lo sport, in particola-
re il calcio, con la storica società «Orsa», attiva dal
1962 e ora cessata.
L’altra chiusura dolorosa arriva nel 2000, quando lo
storico oratorio cessa l’attività. Oggi il centro salesia-
no, diretto da don Renato Previtali, ospita la primaria
e la secondaria di primo grado (le ex elementari e me-
die), i licei classico, scientifico e delle scienze applica-
te, un centro di formazione professionale per operato-
ri dei servizi logistici e un istituto tecnico tecnologico
con specializzazioni in logistica e informatica.
«Per me
la scuola
Salesiana di
Treviglio è
una grande
famiglia, che
ti fa sentire
a casa e che
ti aiuta nelle
difficoltà...
Ti accoglie
e ti insegna
ad essere
una persona
onesta ed
un buon
cristiano»
afferma un
allievo.
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2.8 Page 18

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LE CASE DI DON BOSCO
L’opera offre
un camminino
educativo che
si prende a
cuore tutte le
dimensioni
della vita
dei ragazzi e
delle ragazze:
intellettuale,
affettiva,
relazionale,
sociale,
professionale,
spirituale,
ecclesiale. Il
tutto attraverso
una forte
relazione
educativa in
stile salesiano
che coinvolge
giovani ed
educatori
in un‘unica
esperienza
di vita
caratterizzata
da un clima
di famiglia,
di fiducia e di
dialogo.
CHE COSA NE PENSANO
Gli allievi:
Per me la scuola Salesiana di Treviglio è una
grande famiglia, che ti fa sentire a casa e che ti
aiuta nelle difficoltà... Ti accoglie e ti insegna ad
essere una persona onesta ed un buon cristiano.
Io mi ci trovo benissimo e penso che questa scuo-
la ti faccia apprezzare lo studio come tu non hai
mai fatto: sia grazie ai professori, che ti aiutano
quando sei in difficoltà o giù di morale e ti fan-
no imparare cose nuove, sia grazie ai compagni
con cui ti diverti un sacco e con cui condividi le
difficoltà scolastiche quotidiane e, infine, grazie
al grande e immenso cortile che ti permette di
trascorrere con i tuoi compagni i lunghi interval-
li, giocando a calcio, a basket, a pallavolo e a bi-
liardino, stringendo amicizie anche con i ragazzi
delle altre classi. (Luca B.)
Per me la scuola Salesiana di Treviglio è acco-
gliente perché quando hai un problema loro per
te ci saranno sempre. Io ho appena iniziato, ma
mi trovo bene e l’amore che cercano di trasmet-
terti è immenso ma non è solo felicità è anche
impegno e tenacia nello studio e diventare dei
campioni a scuola e nella vita. (Samuel R.)
Per me la scuola Salesiana di Treviglio è come un
vortice; un vortice molto divertente ed anche un
po’ pauroso. Pauroso perché inizialmente avevo un
po’ di paura di non esserne all’altezza, ma adesso
non più perché mi sono ambientata benissimo nel-
la scuola e mi hanno accolto tutti molto bene.
Divertente perché oltre a studiare c’è la possibi-
lità di giocare insieme.
Mi diverto moltissimo soprattutto ai tornei (gio-
co a pallavolo), ma anche nelle partite che faccio
a calcio con i miei compagni di classe, posso dire
che sto diventando una calciatrice provetta.
Volevo solo ringraziare i miei genitori per l’op-
portunità che mi hanno offerto entrando in que-
sta scuola meravigliosa. (Viola T.)
Una insegnante:
Per me la scuola Salesiana di Treviglio è una scuo-
la autentica perché accoglie i ragazzi come persone
in crescita e non semplici studenti. Perché insegna
che non basta insegnare ma è necessario segnare
attraverso una conoscenza che illumini la mente e
la renda libera, ma anche attraverso una fede con-
creta, vissuta e in cammino, di cercatori di Dio. La
scuola salesiana fornisce tanti “perché” e non solo
tanti “come”.
Io non sono cresciuta con i salesiani, ma il carisma
di don Bosco e Dio mi hanno sempre toccata ed
intercettata. Solo ultimamente, grazie a Dio, posso
imparare dai Salesiani a partire dai miei ragazzi,
che sono per me anche i migliori, piccoli, insegnan-
ti che attraverso uno sguardo mi ricordano perché
sono qui, e quanto Dio mi ama! (Chiara Mineo)
I Salesiani
Come può descrivere la presenza
salesiana a Treviglio?
Le confesso che ogni giorno che passa sono sem-
pre più ammirato dalla grande fiducia che tante
famiglie di Treviglio, e degli oltre 100 comuni di
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2.9 Page 19

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provenienza dei nostri allievi, dimostrano verso la
nostra opera educativa. La loro domanda, implici-
ta o esplicita, è soprattutto di carattere educativo.
Siamo sempre di più provocati nella nostra capacità
di offrire un progetto educativo integrale: il pro-
getto che don Bosco ha mirabilmente riassunto nel
binomio “buon cristiano e onesto cittadino”. Un
cammino educativo che si prende a cuore tutte le
dimensioni della vita dei ragazzi e delle ragazze:
intellettuale, affettiva, relazionale, sociale, profes-
sionale, spirituale, ecclesiale. Il tutto attraverso una
forte relazione educativa in stile salesiano che coin-
volge giovani ed educatori in un’unica esperienza di
vita caratterizzata da un clima di famiglia, di fidu-
cia e di dialogo.
La nostra Comunità Educativa è formata da 11 sa-
lesiani e da 100 e più corresponsabili e collaboratori
laici che rendono possibile ogni giorno l’accoglien-
za di 1200 allievi della scuola, della formazione
professionale, di ragazzi e giovani che ruotano at-
torno ai diversi gruppi dell’Opera e dei fedeli che
frequentano la chiesa di San Carlo. Essere un vil-
laggio educativo di adulti e di giovani attorno a don
Bosco ha proprio questo scopo: ricordare a noi e a
loro che la presenza di don Bosco a Treviglio potrà
avere un futuro solo grazie al “cuore e alle mani” di
salesiani e laici, animati dalla stessa passione per
Dio e per i giovani.
Di che cosa hanno bisogno oggi i
giovani della sua Opera Salesiana?
I giovani desiderano anzitutto adulti che testimo-
nino loro il senso della loro vita e delle loro scelte.
Oggi, dove siamo troppo pieni di cose, i ragazzi
hanno bisogno di vedere persone adulte felici, pur
nella fatica degli eventi quotidiani, perché hanno
trovato e vivono e combattono per ideali e valori
alti nella concretezza di ogni giorno. Loro non san-
no che farsene di adulti che scimmiottano la giovi-
nezza per apparire degli adultescenti o degli ami-
coni. I giovani hanno bisogno di testimoni di vita
felice e fedele e non di erogatori di servizi o di soldi.
I giovani, oggi, hanno inoltre bisogno di trovare
non tanto che cosa fare da grandi, ma che cosa fare
di grande con la loro esistenza e di sopportarne la
fatica e l’impegno. Ciò che rende felici nel tempo
e per l’eternità è la ricerca, la scelta e la fedeltà alla
propria vocazione. Aiutare un ragazzo/a a rispon-
dere alla domanda esistenziale per chi sono, a chi
voglio appartenere è oggi essenziale per la loro
identità e la loro riuscita vocazionale.
Da ultimo i giovani hanno diritto di essere accolti e
ascoltati senza pregiudizi e difese. Questo comporta
che genitori ed educatori riescano a stare zitti da-
vanti a loro e a non imporre o offrire a loro ricette
precostituite o solo legate al passato. Stare davanti
ai giovani con il cuore aperto che accoglie e la mente
vigile che illumina la loro esistenza ancora inesperta
è un dono di libertà che possiamo fare loro.
Che cosa si augura per i prossimi anni
per la casa Salesiana di Treviglio?
Mi auguro che nella nostra missione salesiana non
ci stanchiamo mai di lavorare e pregare per i gio-
vani e con i giovani. Treviglio deve essere sempre
di più e sempre meglio casa che accoglie, scuola che
avvia alla vita, parrocchia che evangelizza e cortile
per incontrarsi come amici. Davvero mi auguro che
salesiani e laici possiamo sperimentare insieme la
bellezza e la fatica del Sistema Preventivo di don
Bosco oggi: insieme e mai da soli con il sorriso di
don Bosco.
Come in
tutte le case
salesiane,
il cortile
è il cuore
dell’amicizia e
dell’incontro.
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2.10 Page 20

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GIOVANI
O. Pori Mecoi
Patrick
«Il Congo è un vivaio fiorente
di vocazione per la Famiglia
Salesiana e per il mondo».
Salesiano di Lubumbashi
Patrick Mwenya Kizembe
è un giovane studente
salesiano dell‘Istituto
Teologico San Tommaso
d‘Aquino di Messina.
La mia carta d’identità
Mi chiamo Patrick Mwenya Kizembe, giovane
studente salesiano dell’Istituto Teologico San
Tommaso d’Aquino di Messina. Sono nato a
Lubumbashi, una grande città nel sud della Re-
pubblica Democratica del Congo. Questa città
ha una popolazione notevolmente giovane. Nella
mia famiglia siamo otto figli, quattro femmine
e quattro maschi; io sono il sesto. Mio padre è
morto il 25 aprile 2012. Durante la sua vita ha
lavorato in un allevamento di bestiame. Mia ma-
dre vive ancora a Lubumbashi dove si occupa di
affari. Entrambi ci hanno insegnato la vita di
preghiera in famiglia e ci hanno inculcato un’e-
ducazione cristiana indicandoci la strada per rag-
giungere la parrocchia salesiana chiamata Bikira
Mwenyi Huruma (Nostra Signora della Miseri-
cordia) per fare catechismo, frequentare l’oratorio
e anche per studiare in una scuola delle suore sa-
lesiane della zona.
Come ho conosciuto i salesiani?
Sono cresciuto in un quartiere chiamato Tabac-
Congo dove già esisteva l’opera dei Salesiani di Don
Bosco: la parrocchia, la scuola e l’oratorio. E poiché
mi piaceva giocare a calcio con i miei amici, è stato
più facile e anche più spontaneo per me incontrare
i salesiani. Posso dire di aver conosciuto i Salesiani
di Don Bosco fin da giovanissimo, praticamente a
11 anni, quando ho iniziato ad andare in oratorio a
giocare. Allo stesso tempo, ho conosciuto ancora di
più i salesiani andando a studiare in una scuola del
mio quartiere chiamata Kitulizo School Complex.
Questa scuola è tuttora gestita dai Salesiani di Don
Bosco. È attraverso questa scuola che ho conosciuto
chi sono i Salesiani e chi è veramente don Bosco.
L’ho fatto grazie alle parole mattutine che i salesia-
ni ci rivolgevano ogni giorno prima di entrare nelle
aule per studiare, e alle varie parole serali che i sa-
lesiani ci rivolgevano in oratorio. Inoltre, vedendo
le attività divertenti che questi bravi salesiani orga-
nizzavano nella scuola, nell’oratorio e anche nella
parrocchia, tutto questo mi ha insegnato chi sono
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i salesiani. Questi salesiani mi hanno insegnato un
sistema pedagogico molto ricco per l’educazione dei
giovani, il famoso sistema preventivo. Direi che con
questo famoso sistema i Salesiani di Don Bosco mi
hanno istruito, mi hanno educato e formato con un
cuore sufficientemente pieno di amicizia e di pater-
nità come don Bosco.
Com’è nata la mia vocazione?
Subito dopo aver ricevuto i sacramenti dell’inizia-
zione cristiana, ho avuto il desiderio di frequenta-
re vari gruppi liturgici come il gruppo dei servitori
dell’altare, il gruppo degli amici di Domenico Sa-
vio, il gruppo dei lettori. Così, come ho detto prima,
ho dovuto frequentare l’oratorio, la scuola salesiana
durante la mia adolescenza e post adolescenza. Mi
sono piaciute le attività organizzate dai salesiani, so-
prattutto perché erano davvero educative e mi hanno
permesso di incontrare amici e di vivere l’atmosfera
familiare in modo gioioso. È in questo contesto che
è nata la mia vocazione. Quello che mi ha toccato
molto è stato vedere i Salesiani sempre con noi, fare
un’assistenza veramente attiva in mezzo a noi; il loro
sapere, il loro modo di stare con noi adolescenti, il
modo in cui si svolgevano le attività, iniziavamo
sempre con la preghiera e poi seguivamo le attivi-
tà del giorno e finivamo sempre con la preghiera
per ringraziare Dio per intercessione della Vergine
Maria. Posso confessare che è stata questa eloquen-
te testimonianza del saper fare dei salesiani che ho
incontrato a far tremare le mie viscere e a sedurmi a
fare la scelta di diventare salesiano.
Ma la scelta di diventare salesiano è arrivata un po’
più tardi, dopo un momento di riflessione sufficien-
temente importante. E poi ho dovuto decidere di
trovare una guida spirituale che mi aiutasse a chia-
rire e a maturare le mie motivazioni vocazionali.
Così ho conosciuto un giovane sacerdote salesiano
di nome Daniel Mafuta che mi ha accompagnato
fino all’inizio della mia prima esperienza salesiana
come aspirante nella casa Bakanja-Magone, che si
occupa dei giovani che si sono staccati dalla fami-
glia, cioè dei giovani poveri e abbandonati.
La mia storia salesiana
Ho iniziato la mia esperienza salesiana come aspi-
rante nel luglio 2012 nella Casa Bakaja-Michel Ma-
gone. È un’opera che accoglie e rieduca i giovani che
si sono allontanati dalle loro famiglie. Un anno dopo
sono stato ammesso a iniziare la fase di pre-novizia-
to nella comunità Cité des Jeunes, dove ho trascorso
quasi un anno, e sono stato ammesso a iniziare il
noviziato nella comunità San Giovanni Bosco Kan-
sebula. Al termine del noviziato ho emesso la prima
professione il 16 agosto 2015 presso il Collegio Ima-
ra. Ho fatto tre anni nel postnoviziato di Kansebula,
dove ho studiato filosofia e scienze dell’educazione.
Dopo questa fase di post-noviziato sono stato man-
dato in Tunisia per fare il tirocinio per due anni. Il
primo anno di stage l’ho fatto a Manouba, dove i
salesiani hanno una scuola elementare e un orato-
rio. Manouba è una città alla periferia della capitale
Le prime
esperienze
di Patrick
sono state
a Manouba,
Tunisia, dove
i salesiani
hanno
una scuola
elementare e
un oratorio.
Manouba è
una città alla
periferia della
capitale Tunisi.
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GIOVANI
La
Repubblica
Democratica
del Congo
è una delle
nazioni al
mondo con
tre quarti di
popolazione
giovane.
Tunisi; il mio secondo anno di stage l’ho fatto nella
capitale, a Tunisi, dove i Salesiani hanno un colle-
gio che prima era gestito dai Fratelli Marianisti. È
stata una tappa molto proficua e soprattutto arric-
chente per me, perché ho avuto modo di conoscere
persone di un’altra cultura, di una religione diversa
dalla mia, persone di mentalità diversa ma molto
accoglienti, ospitali e collaborative. L’aspetto che
mi è piaciuto di più nel popolo tunisino è il sorriso,
ogni volta che ti guarda, anche se non vi conoscete,
il tunisino ti mostra un volto sorridente.
La maggior parte dei giovani che frequentano il
nostro oratorio a Manouba parla solo arabo, perché
gran parte di loro proviene da quartieri popolari e
molti non vanno a scuola regolarmente. Questo mi
ha spinto a imparare un po’ di arabo per poter con-
dividere e collaborare bene con i giovani e rendere
più facile il mio apostolato tra loro. È stata davvero
un’esperienza salesiana bella e indimenticabile. I
giovani che ho incontrato in Tunisia mi hanno se-
dotto con i loro volti sempre sorridenti e accoglien-
ti. Li porterò sempre nel mio cuore di salesiano.
Come sono i giovani congolesi?
La Repubblica Democratica del Congo è una del-
le nazioni al mondo con tre quarti di popolazione
giovane. In una prospettiva postmoderna, questa
gioventù presenta alcuni importanti dinamismi
culturali, pur mantenendo la propria identità. Si
lanciano costantemente nella competizione del
mercato internazionale; sono giovani che sanno
aprire facilmente gli orizzonti esterni. Si adattano
straordinariamente bene ovunque si trovino, gra-
zie alla loro convivialità. La cultura congolese è
veicolata dalla musica della “Rumba”, riconosciuta
dal dicembre 2021 come patrimonio immateriale
dall’unesco. Questa gioventù si caratterizza an-
che per il suo abbigliamento elegante, noto come
sape” (Société des Ambianceurs et des Personnes
Elégantes).
Ma questa apparenza spesso nasconde i veri pro-
blemi della gioventù congolese, afflitta da molti
mali: la disoccupazione, il fenomeno dei bambini
di strada, la delinquenza giovanile, l’insicurezza, la
manipolazione e l’uso dei giovani nei conflitti ar-
mati, lo squilibrio del sistema educativo ecc. Ciò
è dovuto alla precaria situazione della sicurezza in
alcune zone del Paese e alla crisi della governan-
ce in un Paese che è vittima di un’avidità su larga
scala a causa delle sue immense risorse minerarie.
La gioventù è anche segnata da un senso di appar-
tenenza tribale, da una lingua e da tutti i valori
ad essa associati, come il rispetto per gli anziani,
l’attribuzione dei nomi di famiglia, l’apertura alla
fede degli antenati ecc. Il tribalismo e il sincreti-
smo diventano allora un pericolo se esagerati. Cer-
to, questi giovani hanno ancora molta strada da
fare in termini di patriottismo. Nelle grandi città,
la povertà economica e spirituale provoca la proli-
ferazione di sette di cui i giovani sono il bersaglio
principale. D’altra parte, i giovani congolesi, come
tutti gli altri giovani, amano la vita e la rispettano,
nonostante la globalizzazione sostenga l’inversione
dei valori fondamentali. Il rispetto della vita e della
dignità umana è una delle aspirazioni dei giovani
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congolesi. I giovani congolesi hanno un linguaggio
comunicativo collettivo, cioè del “noi” invece che
dell’“io”.
Nonostante i vari problemi citati, ho la sensazione
che questi giovani parteciperanno alla successione
politica del Paese. Perché ciò avvenga, è necessario
che siano formati al risveglio della coscienza na-
zionale.
Qual è il futuro della congregazione
in Congo?
Il Congo è un grande Paese (2 345 000 km2) e
come Ispettoria salesiana (afc) è davvero un’Ispet-
toria feconda dal punto di vista salesiano. La rd
Congo ha dato origine alla Provincia Africana dei
Grandi Laghi (agl), alla Vice-Provincia Africana
del Congo-Congo (acc) e, attualmente, alla Dele-
gazione di San Giuseppe nell’Est della Repubblica
Democratica del Congo, con sede a Goma. Questo
dimostra già che il Congo è un grande Paese e un
polmone a livello salesiano.
Vedendo l’eccellente lavoro che i Salesiani stanno
svolgendo in Congo, è chiaro che la missione sa-
lesiana in quel Paese ha un futuro luminoso, ro-
seo e in forte crescita, dal momento che il numero
di giovani che esprimono il desiderio di diventare
salesiani è in aumento. E questo è un motivo per
poter ringraziare Dio per tutte queste vocazioni,
perché sono un segno di benedizione per tutta la
Congregazione grazie alla generosità missionaria
dei Salesiani congolesi, sempre più aperti alla mis-
sione ad gentes. Questo numero crescente di giovani
vocazioni deve spingerci ancora di più a lavorare
efficacemente per trasmettere di più il carisma, lo
spirito salesiano, a questi giovani che si uniscono
a noi perché sono da considerare un vivaio per il
futuro fiorente della Congregazione in Congo e nel
mondo. E credo che questo sia ciò che i confratel-
li stanno facendo fino ad ora, perché abbiamo una
pastorale giovanile straordinariamente brillante e
sufficientemente ben gestita. Questa è già una pro-
va sufficiente del futuro della congregazione sale-
siana nella Repubblica Democratica. Ringraziamo
Dio per queste meraviglie.
Inoltre, il Congo è tra le province che inviano mol-
ti confratelli missionari ad vitam. Questa, dunque,
è un’altra prova sufficientemente convincente di
quanto la rd Congo stia fiorendo nella vocazione; è
anche un dono per il quale ringraziamo il Signore.
Infatti, posso affermare che don Bosco è veramente
accolto in Congo in modo eloquente. Ci sono per-
sino dei vescovi che invitano i salesiani ad andare a
lavorare nelle loro diocesi perché sanno che siamo
dei collaboratori, degli educatori di giovani. Questa è
una prova sufficiente che
la Congregazione ha dav-
vero un futuro in Congo
e che questa è un’oppor-
tunità per tutta la Con-
gregazione, per chiunque
voglia leggere i segni dei
tempi.
Vedendo
l‘eccellente
lavoro che
i Salesiani
stanno
svolgendo
in Congo, è
chiaro che
la missione
salesiana in
quel Paese
ha un futuro
luminoso,
roseo e in
forte crescita,
dal momento
che il numero
di giovani che
esprimono
il desiderio
di diventare
salesiani è in
aumento.
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FMA
Emilia Di Massimo
Dov’è che si sorride?
«Le Salesiane
non sono
solo un
luogo o delle
persone,
sono un
grande
sentimento,
il sentimento
dell’amore
di Dio e del
prossimo, di
una sicurezza
interiore».
Siamo in Polonia, a Suwałki, dove vivono
otto Figlie di Maria Ausiliatrice le quali
dedicano la maggior parte del loro tempo ai
giovani, ed è proprio a loro che suor Kamila
Łuczak desidera dare la parola per far comprendere
la missione educativa che svolgono.
Calamite ambulanti
“Le Salesiane non sono solo un luogo o delle perso-
ne, sono un grande sentimento, il sentimento dell’a-
more di Dio e del prossimo, di una sicurezza inte-
riore. Quando ho avuto bisogno di aiuto, quando
ho vissuto il momento più difficile e doloroso della
mia vita, ho potuto piangere con una suora. Una
suora ma anche la sorella maggiore che non ho mai
avuto, una persona in grado di farmi sorridere. Du-
rante i diversi incontri che le suore propongono ho
sempre sentito che non potevo non aderirvi, attrat-
ta da Qualcuno che mediante loro mi raggiungeva.
Presso la scuola salesiana, dove sto studiando, c’è
anche l’Oratorio, lo sfondo migliore che potrei
scegliere quando immagino una suora salesiana.
Ho collaborato come animatrice e scout vivendo
Una piccola città,
una casa accogliente,
l’oratorio, la scuola
secondaria di secondo
grado, la residenza
scolastica e, da quasi
un anno, porte aperte
per accogliere 3 mamme
e 4 bambini ucraini.
una fantastica esperienza che mi ha fatto acquisire
abilità nuove, soprattutto ho imparato il valore del
sorriso guardando quello delle suore. L’entusiasmo
salesiano lo respiro ovunque, è un dono che inten-
sifica sentimenti positivi. Penso che le suore siano
una calamita ambulante che possa attrarre davvero
chiunque e che il mio incontro con loro non sia sta-
to affatto casuale!” (Olivia)
“Quando stavo per iniziare i miei studi presso la
scuola delle Salesiane, ero francamente molto spa-
ventata dalla visione di studiare in una scuola catto-
lica perché non ero credente e, per di più, avevo dei
legami con una setta. Una volta ho notato affisso
in bacheca, un annuncio riguardante l’attività di
volontariato ed ho pensato che sarebbe stata un’ot-
tima attività, mi è sempre piaciuto aiutare. Entran-
do nella sala tv sono rimasta scioccata quando ho
notato una suora salesiana che ci attendeva con il
sorriso. Ricordo ancora la sensazione di paura ma
gradualmente di calma perché la suora era davvero
gentile. Ho incontrato la spiritualità di don Bosco
e di Maria Mazzarello e, anche se in quel momento
non ero credente, sono rimasta affascinata dal loro
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carisma educativo. La suora ha letto una frase di
don Bosco che anche ora mi risuona dentro: “Il dia-
volo ha paura della gente allegra”. Mi avevano in-
segnato che la fede equivaleva alla tristezza ed a un
cupo silenzio. Quella frase mi ha colpita molto, una
settimana dopo sono andata al mio primo incontro
dell’Oratorio. Così è iniziata la mia avventura che
continua ancora oggi; mi sono convertita ed oggi
Dio ha un posto speciale nel mio cuore. Ho sco-
perto la mia passione per i bambini ed ho deciso di
andare all’università per diventare insegnante. Ho
iniziato a percepire il mondo con colori molto più
vividi ed ho scoperto la fede come un’esperienza di
gioia”. (Wiktoria)
loro, intercettando i desideri e le difficoltà delle ra-
gazze. La presenza costante ha probabilmente fatto
nascere in qualcuna l’esigenza, dopo 3 anni che vi-
veva con noi, di entrare in Cappella perché “Qual-
cosa mi ha spinto… Semplicemente sono andata a
sedermi davanti al tuo Gesù”.
Ho registrato anche dei fallimenti ma non ho per-
so l’entusiasmo di continuare a testimoniare la mia
fede, a sorridere! Vivere con le giovani mi allarga il
cuore, mi apre di più a loro e mi fa sentire la pre-
senza di don Bosco che sembra dirmi che se qual-
cuno chiederà dov’è che si sorride, ora abbiamo suore
e giovani che, più che indicare un luogo, sanno te-
stimoniarlo”.
A Suwałki,
in Polonia,
le otto Figlie
di Maria
Ausiliatrice
sono per
la gente il
sorriso di
Dio e di don
Bosco.
«La poltrona di Magda»
“I quattro anni che ho trascorso dalle suore, sia a
scuola sia nella residenza scolastica, non li dimen-
ticherò mai. Quegli anni mi hanno resa più aperta
agli altri e alla solidarietà. Mi sono sentita accolta,
soprattutto nell’internato mi sono sentita a casa, in
famiglia, in particolare quando si festeggiavano i
compleanni delle suore, delle ragazze, così come
alla vigilia di Natale. Non dimenticherò mai una
poltrona su cui mi sedevo dopo essere tornata dalla
scuola, lì facevo dei compiti, studiavo oppure sem-
plicemente stavo seduta e parlavo con le suore e le
ragazze. Ancora oggi le Salesiane dicono che è “la
poltrona di Magda”, ovvero la mia, quella che non
dimenticherò mai”.
Le testimonianze delle ragazze hanno in comune
il filo rosso del sorriso, il suo valore inestimabile;
afferma un proverbio cinese: “Il sorriso dura un
istante. Il suo ricordo può durare tutta la vita”.
Suor Marzena Lata, direttrice della comunità, ag-
giunge: “Vivere con le giovani all’inizio mi è sem-
brato stare in un centro estivo: serate trascorse da-
vanti ad un falò, passeggiate, contatti con i genitori,
la buona notte salesiana, la preghiera sebbene non
sempre sia stata gradita, i dialoghi. Ma poi la mia
stanza è diventata un luogo di ascolto. La vita dei
giovani è diventata la mia entrando in relazione con
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LA STORIA CONTINUA
Giampietro Pettenon
Museo Casa don Bosco
Alla scoperta di un edificio ricco di storia.
La casa
Pinardi
com’era,
secondo un
disegno che
risale ai primi
anni.
Progetti per il futuro
Il primo obiettivo di don Bosco, finalmente pro-
prietario della casa in cui abita con Mamma Mar-
gherita e i suoi ragazzi, è quello di costruire una
nuova chiesa che sostituisca la cappella troppo bas-
sa e angusta, incapace di contenere i numerosissimi
giovani che frequentano l’oratorio festivo.
A casa Pinardi non dedica alcuna particolare atten-
zione. È una casa singola di cinque stanze allineate
fra loro con al centro una stretta scala in legno che
conduce al ballatoio del primo piano, dove ci sono
altre cinque stanze. La superficie della casa cor-
risponde a quella dell’attuale porticato del museo
Casa Don Bosco, con una lunghezza complessiva
che, partendo dalla porta di ingresso dell’attuale
cappella Pinardi, arriva alla scala centrale del mu-
seo. Non ha il piano interrato, né il porticato, né
gli abbaini. Accanto alla casa sul lato ad occidente
che confinava con Casa Bellezza, vi era il cortile di
gioco dell’oratorio festivo. Qui don Bosco progetta
ed inizia subito a costruire la chiesa di San France-
sco di Sales. Posa la prima pietra il 20 luglio 1851
e dopo soli undici mesi, il 20 giugno 1852, festa
della Madonna Consolata a lui tanto cara, avviene
la consacrazione della chiesa.
A questa prima edificazione ne seguiranno molte
altre, in continuazione, fino alla morte del santo
e oltre. Tanto che la Valdocco salesiana, un intero
isolato nel quartiere cittadino che progressivamente
prende forma, sarà un continuo cantiere per quasi
cent’anni.
Gli ultimi edifici verranno eretti nei primi anni
’50 del Novecento sulle macerie della devastazio-
ne subita dalla Casa Madre della Congregazione
salesiana, nel bombardamento avvenuto durante la
seconda guerra mondiale: il Teatro Grande al po-
sto della scuola ginnasiale, il Centro di Formazione
Professionale al posto del primo teatro voluto da
don Rua ad inizio Novecento e la cosiddetta Casa
Audisio al posto dell’antica casa Filippi – già a suo
tempo ampliata da don Bosco nel 1861 – e del pri-
mo edificio scolastico costruito appositamente a
tale scopo nel 1863.
Il refettorio dei ragazzi
La chiesa di San Francesco di Sales è il primo edifi-
cio che don Bosco costruisce all’Oratorio; l’edificio
presenta una caratteristica innovativa per il tempo,
che sarà poi replicata in tutte le chiese costruite da
don Bosco e dai suoi figli in America del Sud.
Mi riferisco al piano interrato.
Tradizionalmente le chiese non si costruiscono con
un intero piano abitabile sotto il pavimento dell’edi-
ficio sacro. Sovente, nelle grandi chiese più antiche
c’è una cripta, un piccolo sacello, che custodisce le
reliquie del santo a cui il luogo di culto è dedicato.
Stupisce non poco l’idea di don Bosco, ripresa poi
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fedelmente dai salesiani, di iniziare la costruzione
di una chiesa partendo da un piano interrato, delle
medesime dimensioni della chiesa soprastante, che
a seconda delle necessità sarà destinato a refettorio
dei ragazzi, oppure a laboratorio, sala di ricreazio-
ne, teatro, cappella…
Come dicevo poco sopra, dopo la chiesa di San
Francesco di Sales, don Bosco avvia la costruzio-
ne della Basilica di Maria Ausiliatrice, poi quella
di San Giovanni Evangelista sempre a Torino in
Corso Vittorio Emanuele II, infine la Basilica del
Sacro Cuore a Roma. In tutte è presente il piano
interrato.
Non solo. A Buenos Aires don Ernesto Vespigna-
ni, architetto salesiano e grande missionario in Ar-
gentina, progetta e realizza ad inizio Novecento la
grandiosa Basilica di San Carlo Borromeo e di Ma-
ria Ausiliatrice e, ovviamente, anche in questo caso
la costruzione prevede un intero piano interrato
sulla medesima sagoma della chiesa soprastante. E
lo stesso dicasi della Basilica di Maria Ausiliatrice
a Lima, capitale del Perù, sempre ad opera di don
Vespignani.
Don Bosco e i suoi figli spirituali hanno sempre
“fame” di spazi per accogliere più ragazzi possibi-
le in casa salesiana. E se la parte superiore delle
chiese è abbellita da cupole, guglie, torri, campani-
li, statue… nel piano interrato, che a nessuno crea
disturbo, ci collocano ambienti di vita della loro
opera educativa.
Da quanto ci trasmettono le cronache salesiane, il
piano interrato di San Francesco di Sales rimane
incompiuto ed inutilizzato per i primi sei anni. È
nel 1858 che don Bosco completa questo ampio lo-
cale sotterraneo e lo adibisce a refettorio dei ragazzi
ospiti nell’oratorio, che nel frattempo sono
diventati duecento.
Va ricordato inoltre che don Bosco non
volle mai costruire un teatro nel suo
Oratorio a Valdocco e quindi in
occasione degli spettacoli teatrali
messi in scena dai ragazzi, nei pri-
mi tempi il refettorio fungeva anche
da teatrino con il palco allestito nel
catino absidale a nord, sottostante il
presbiterio della chiesa.
Ora questo ambiente – molto sugge-
stivo dal punto di vista architettonico
perché ha la copertura voltata con archi
ribassati, ampie finestre che portano
dentro la luce naturale ed è la sala più
grande di tutto il museo – presenta la
collezione di opere della devozione
mariana e oggetti sacri appartenenti
al tesoro della Basilica di Maria Au-
siliatrice.
Dall’alto:
il refettorio
sotterraneo,
la prima statua
della Madonna
della cappella
Pinardi, la Chiesa
di San Francesco
di Sales.
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LA STORIA CONTINUA
Il locale, per scelta museografica, non ha impianto
di illuminazione propria. La luce, soffusa, viene dai
lucernari che lasciano filtrare obliquamente i raggi
solari e dalle teche di esposizione a tutto vetro che,
illuminate al loro interno, evocano grandi lanterne
che indicano il cammino al visitatore.
Sotto:
Il pavimento
originale;
uno dei pochi
conservati dal
tempo di don
Bosco. È in
lastre di pietra
di Luserna.
Tre elementi importanti
Degni di nota in questo locale sono tre elementi
architettonici.
Il primo è il pavimento originale; uno dei pochi con-
servati dal tempo di don Bosco. È in lastre di pietra
di Luserna – la pietra tipica di Torino – di forma
irregolare, posate a compor-
re un mosaico di forme sa-
pientemente incastrate l’una
all’altra. Al momento di to-
gliere questo pavimento per
fare i lavori di sottofonda-
zione della chiesa (la chiesa
non aveva vere fondamenta;
abbiamo scoperto che i muri
perimetrali partivano da ter-
ra a soli venti centimetri dal-
la quota di calpestio) e degli
impianti tecnologici neces-
sari all’esposizione museale,
si è provveduto a fotografare
la collocazione delle pietre,
asportarle, numerandole una
ad una, per poi ricollocarle
nella medesima posizione
una volta ultimati i lavori.
Quelle pietre che stiamo cal-
pestando noi oggi visitando
il museo, sono le stesse su cui
hanno camminato don Bosco, Michele Rua, Gio-
vanni Cagliero e tanti altri giovani prima, e salesiani
poi, che ben conosciamo.
La seconda caratteristica di questo locale sono i due
telai superstiti delle finestre originali. Commuo-
ve vedere i piccoli vetri tenuti insieme da fermi in
metallo, perché troppo piccoli rispetto alla cornice
in legno della finestra, che avrebbe dovuto/potuto
contenerne di più grandi. Ma erano anni di estrema
povertà, si economizzava su tutto, anche su una pic-
cola lastra di vetro che veniva “cucita” con un’altra,
anch’essa troppo piccola da sola per l’uso che serviva.
Ultimo elemento degno di nota sono i due tron-
chi di scale contrapposti fra loro e collocati nei due
piccoli transetti del locale, che dai cortili esterni
immettevano direttamente nel refettorio. Proba-
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bilmente erano scale riservate una agli studenti e
l’altra agli artigiani; distinzione in due categorie di
ragazzi accolti in Oratorio, venutasi a creare a Val-
docco con il passare degli anni e con l’organizza-
zione sempre più puntuale di spazi, orari e attività
che scandivano la vita dei tantissimi giovani ospiti
di don Bosco.
Il criptoportico
Di fianco al refettorio dei ragazzi (sul lato orien-
tale), sempre nel piano interrato, al momento di
mettere mano al restauro del fabbricato, vi era un
locale estremamente degradato a causa dell’umidi-
tà, sottostante il cortile di casa Pinardi. Pareva una
dispensa o un deposito a servizio della vicina cucina
o del refettorio stesso. Invece i documenti d’archi-
vio ci hanno rivelato una storia ben diversa. Era un
corridoio sotterraneo (criptoportico), costruito da
don Bosco nel 1870, in occasione dell’ampliamen-
to del coro e delle sacrestie della basilica di Maria
Ausiliatrice.
La basilica viene consacrata il 9 giugno 1868. Solo
due anni più tardi don Bosco ne amplia la parte
terminale dietro l’altar maggiore, avvicinando così
la basilica alla chiesa di San Francesco di Sales che
è sul retro ed anzi, collegando i due edifici tramite
un ampio porticato a livello del cortile, a cui corri-
sponde nel piano interrato un altro portico a servi-
zio del forno per il pane.
Fino al 1870 don Bosco comprava il pane per le nu-
merose bocche da sfamare che aveva in casa e il pa-
gamento del panettiere a fine mese era sovente una
tragedia che solo il ricorso alla Provvidenza poteva
risolvere. Ad un certo punto decide di farlo in casa, il
pane. Per questo costruisce un grande forno sotto la
nuova sacrestia di levante e collega il locale del forno
con la cucina e i refettori, che sono tutti al piano
interrato, tramite questo criptoportico. Quello che
noi ora percorriamo è solo la metà della lunghezza
originale di questo porticato sotterraneo. La parte
mancante è stata demolita e inglobata nei sotterranei
della basilica in occasione del grande ampliamento
avvenuto negli anni ’30 del Novecento.
Vediamo nella pianta sottostante a firma di don
Bosco e del progettista Luigi Spezia, datata 24
marzo 1870, la sagoma in colore rosso del coro sul
retro della basilica e del portico che, affiancandosi
alla chiesa di San Francesco di Sales, arrivava fino
a casa Pinardi.
La basilica
viene consacrata
il 9 giugno
1868. Solo due
anni più tardi
don Bosco ne
amplia la parte
terminale dietro
l’altar maggiore,
avvicinando
così la basilica
alla chiesa di
San Francesco
di Sales che
è sul retro ed
anzi, collegando
i due edifici
tramite un
ampio porticato
a livello del
cortile, a cui
corrisponde
nel piano
interrato un
altro portico
a servizio
del forno
per il pane.
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QUELLI CHE LO HANNO CONOSCIUTO
Testimonianze giurate al processo di Santità di don Bosco
«Don Bosco mi lavò i piedi
al Giovedì Santo» Giovanni Villa,
pasticciere.
Giovanni Villa, da Ponderano presso Biella, nacque nel
1839. Emigrato giovanissimo a Torino in cerca di lavoro,
andò da don Bosco e frequentò il suo Oratorio festivo per
undici anni. Si confessò da lui per tutto quel tempo. Tornato
a Biella, incontrò nuovamente don Bosco che lo invitò anco-
ra a Torino. Qui riprese a frequentare l’Oratorio e don Bosco,
mentre si faceva una bella posizione come dolciario. Dive-
nuto padre di famiglia, pose due figli nel collegio salesiano
di Lanzo. Aiutò anche finanziariamente don Bosco, che gli
fu paternamente riconoscente.
Sono Giovanni Villa, d’anni 55, nativo di Pondera-
no (Biella), confettiere (= dolciario) con esercizio (=
azienda, negozio) proprio. Ho conosciuto don Bosco
nel luglio 1855 in Torino (aveva 16 anni). Però ne
avevo già sentito parlare. Il mio parroco aveva detto
in una predica che molti dei giovani che andavano a
Torino per fare il muratore, nelle feste si trovavano
in pericolo e senz’assistenza. Ora egli sapeva che un
buon prete giovane si era messo a raccogliere tutti quei
poveri giovani, e mentre dava loro campo a divertirsi,
li istruiva e li tratteneva onestamente. Ci raccomandò
di fare un’abbondante elemosina per aiutarlo.
Da quel momento desideravo conoscerlo, e tre anni
dopo, venuto a Torino per circostanze di famiglia,
mi sono fatto premura di andare a trovarlo. Da quel
momento non mancai mai di frequentare l’Orato-
rio festivo, ed ebbi sempre modo di parlare con don
Bosco.
gherita. Era il tipo di una buona massaia, di spirito
veramente cristiano. All’Oratorio faceva veramente
l’ufficio di una buona e pia madre, e in essa noi
giovani avevamo confidenza filiale. Tutti eravamo
molto edificati dalle sue virtù.
In quel 1855 vidi don Bosco attorniato da circa 200
giovani interni, alcuni dei quali già chierici, e da un
600 giovani esterni che frequentavano l’Oratorio
festivo. Quando don Bosco veniva in cortile, tutti
ci assiepavamo attorno a lui, fortunato chi poteva
avvicinarlo e baciargli la mano. Diceva una parolina
nell’orecchio che faceva una santa impressione.
Mamma Margherita
Ho conosciuto la madre di don Bosco, che noi
giovani dell’Oratorio chiamavamo Mamma Mar-
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APRILE 2023

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Più si faceva chiasso,
più era contento
Don Bosco dava ai giovani la comodità di divertirsi,
di giocare, di cantare, scorrazzare, suonare... Più
si faceva chiasso nel cortile e più ne era contento.
Quando vedeva che eravamo alquanto malinconici,
o anche non troppo vivi, egli stesso si dava attorno
per rianimarci con mille industrie, con giochi nuo-
vi, per cui noi tutti eravamo pieni di contentezza. E
quando veniva il tempo opportuno, egli suonava il
campanello o lo faceva suonare, cessava in un istan-
te ogni gioco e ci portavamo in chiesa.
Pani, salami e bottiglie appese
In alcune feste dava a tutti colazione con pane e
salame. Ricordo che un anno, nella festa dello Sta-
tuto, perché noi non andassimo in città a prende-
re parte a divertimenti pericolosi, comprò salami,
pane e piccole bottiglie di vino, e appese tutto a una
corda. Poi disse: «Un signore mi ha dato qualche
cosa per far un po’ d’illuminazione per la festa dello
Statuto. E io ho pensato di comprare questo per voi.
Ora ognuno estrarrà un numero: il primo prenderà
il pane, il secondo il salame, il terzo la bottiglietta
del vino». Così abbiamo fatto, e per gruppi di tre,
lieti e contenti facemmo merenda. Con queste in-
dustrie egli ci chiamava attorno a sé.
II segreto di don Bosco
Mi ricordo che nel 1862, trovandomi in Osimo nel
10° fanteria (per il servizio militare) fui interpellato
da un buon prete giovane di colà, don Salvatore,
qual segreto avesse don Bosco per attirarsi il cuo-
re dei giovani così potentemente, e mi incaricò di
chiederglielo. Venuto poco dopo in licenza, gli ri-
ferii l’incarico ricevuto, e don Bosco mi disse che
non lo sapeva, e che quel buon prete, se amava Dio,
sarebbe pure riuscito meglio di lui. Il metodo di
educazione di don Bosco era tutto paterno. Insom-
ma era un padre amoroso in mezzo ai suoi figli. Li
assisteva continuamente egli stesso, e non potendo,
incaricava altra persona di sua fiducia, o chierici o
laici.
«Ho conosciuto
la madre di
don Bosco, che
noi giovani
dell‘Oratorio
chiamavamo
Mamma
Margherita. Era
il tipo di una
buona massaia,
di spirito
veramente
cristiano.
All‘Oratorio
faceva
veramente
l‘ufficio di una
buona e pia
madre, e in
essa noi giovani
avevamo
confidenza
filiale. Tutti
eravamo molto
edificati dalle
sue virtù».
Don Bosco in prigione?
Nel 1860 don Bosco ebbe una perquisizione domi-
ciliare per opera del Governo, il quale credeva che
don Bosco tramasse qualche cosa contro lo Stato.
(Era appena finita la seconda guerra d’indipenden-
za, e gran parte dello Stato Pontificio si staccava
dal Papa e veniva annesso al Piemonte). Si sparse la
voce in Torino, portata dai giornali, che don Bosco
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QUELLI CHE LO HANNO CONOSCIUTO
Sentii più
volte don
Bosco dire:
«Che piacere
quando
saremo tutti
in Paradiso!».
era stato messo in prigione. Alla domenica io corsi
all’Oratorio, e lo trovai in chiesa che confessava.
Dopo pranzo vi tornai presto per vederlo e sentire
da lui quello che gli era successo. Don Bosco era at-
torniato da un duecento giovani circa, e ricordo che
disse: «In Torino dicono che don Bosco è in prigio-
ne, e invece don Bosco è qui prigioniero in mezzo
ai suoi giovani». I miei compagni poi mi narrarono
che vi erano state varie guardie di questura e un
delegato, che entrarono nella sua camera, e rovista-
rono ogni cosa, però invano.
Un falò di libri cattivi in cortile
Tutte le opere di don Bosco avevano unicamente
questo fine: la salvezza delle anime. Difatti teneva
nella sua camera un cartello su cui aveva scritto a
grossi caratteri: Da mihi animas, coetera tolle (Dam-
mi le anime e prenditi tutto il resto), e questa massima
don Bosco ce la spiegava sovente.
Ricordo che nell’anno 1859 veniva all’Oratorio un
giovinetto il cui padre faceva il mestiere di vende-
re in città dei giornali quasi tutti cattivi, contrari
alla santa religione. Don Bosco odiava questo me-
stiere, perché, come ci diceva, con esso si coopera
direttamente al male. Perciò un giorno si recò di-
nanzi al banco dei giornali tenuto da quel padre,
e tanto disse e fece che lo persuase a farsi cedere
tutti quei libri e giornali cattivi, che erano bibbie
dei protestanti e libri e giornali cattivi. Se li fece
portare all’Oratorio, e in contraccambio gli mandò
un’altrettanta quantità, un carretto, di libri buoni,
tra i quali «Il Giovane Provveduto», «Il Cattolico»
(manuali di preghiere e di vita cristiana scritti da don
Bosco) ed opuscoli delle Letture Cattoliche (mensili di
lettura cristiana e divertente).
Di quei libri dei protestanti e giornali cattivi, don
Bosco ne fece poi un mucchio nel cortile dell’O-
ratorio, e li incendiò e ridusse in cenere alla nostra
presenza.
Quando mi lavò i piedi
Si conosceva da tutti che egli camminava alla pre-
senza di Dio. Un mio compagno mi diceva un
giorno che non si poteva negare, nel contemplare
don Bosco in tutto il suo esteriore contegno, che
fosse sempre per così dire in faccia a Dio. Sempre
raccomandava a noi giovani la stessa cosa, ossia
l’esercizio della presenza di Dio.
Voleva che tutti i giovani s’accostassero con fre-
quenza ai sacramenti della Penitenza e della Co-
munione, ed egli si prestava volentieri a confessarci,
impiegando varie ore successive. Chiamava pure in
aiuto vari sacerdoti estranei, ma la maggior parte
desiderava confessarsi da don Bosco, e io stesso per
poter confessarmi al mio turno, ho dovuto varie
volte aspettare sino alle 10 di sera.
Nella Settimana Santa celebrava egli stesso le sacre
funzioni. Faceva pure la lavanda dei piedi, e una
volta fra i dodici giovani scelti fui pure io chiamato
da lui medesimo, e ricordo che egli fece quella la-
vanda con uno spirito di fede, umiltà e semplicità,
che inteneriva e commuoveva i nostri cuori.
Lo sentii più volte dire: «Che piacere quando saremo
tutti in Paradiso!». Egli mi diresse spiritualmente
per undici anni, e se attualmente sono quel che
sono e per riguardo all’anima e per la posizione,
devo tutto a don Bosco.
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I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni  postulatore generale
 Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulatore@sdb.org
 Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di aprile preghiamo per la beatificazione del
Venerabile Francesco Convertini, salesiano di Don Bosco.
Francesco Convertini nacque in
contrada a Locorotondo (Bari)
il 29 agosto 1898 da una fami-
glia povera che lo avviò ai lavori
manuali ancora piccolo. Perse il
padre quando aveva neppur
due mesi di età, e sua madre,
dopo essersi risposata, morì
quando Francesco aveva undi-
ci anni. Appena diciottenne fu
chiamato alle armi durante la
Prima Guerra Mondiale (1915-
1918), fu fatto prigioniero ed
internato in un campo di con-
centramento in Polonia. Termi-
nata la guerra fu liberato ma
con il retaggio della meningite;
una volta guarito decise di en-
trare nella Guardia di Finanza
a Torino dove, per la grande
devozione alla Madonna, andò
a confessarsi nella Basilica di
Maria Ausiliatrice.
La Provvidenza volle che il
confessore fosse don Angelo
Amadei, il secondo grande bio-
grafo di don Bosco. Don Angelo
divenne la guida spirituale del
giovane Francesco Convertini e
lo entusiasmò tanto all’ardore
dei missionari salesiani, che
partivano per l’India, che Fran-
cesco intraprese gli studi tra i
Salesiani nell’Istituto missiona-
rio di Ivrea. Dopo aver ricevuto
il crocifisso da don Rinaldi, il 7
dicembre 1927, si imbarcò per
raggiungere l’India.
Fu formato da santi salesiani:
novizio a Shillong con il Vene-
rabile Stefano Ferrando (1895-
1978), discepolo del Servo di
Dio don Costantino Vendrame
(1893-1957), con il quale spe-
rimentò il contatto vivo con la
gente, percorrendo centinaia
di chilometri a piedi, di villag-
gio in villaggio, entrando nelle
case, per raccontare, a piccoli
e grandi, la vita e le opere di
Gesù. Con difficoltà riuscì a
compiere gli studi filosofico-
teol­ogici, e fu ordinato sacerdo-
te nel giugno del 1935.
Il nuovo vescovo, monsignor
Stefano Ferrando lo inviò nella
nuova missione di Krishnagar
nel Bengala, e anche se non
riuscì mai a possedere bene
la lingua bengalese, nessuno
ebbe tanti amici come lui. Don
Convertini guadagnò anime
per Cristo mediante la preghie-
ra, la predicazione e il sacrifi-
cio. Il vescovo e i sacerdoti, le
suore e i laici, tutti lo volevano
come confessore, perché trova-
vano in lui la personificazione
della misericordia di Dio. La sua
povertà era proverbiale: nato
povero, rimase povero come la
sua gente; spesso camminava
a piedi nudi e dormiva sempre
sulla nuda terra.
Don Francesco Convertini era
un uomo buono e la sua amo-
revolezza salesiana gli apriva il
cuore e le case della gente; si
donava indistintamente a tut-
ti, cristiani, indù e musulmani,
e da tutti fu amato e venerato
come maestro di vita interiore e
molti lo ritenevano “un profeta
e un santo”. Morì l’11 febbraio
1976 mormorando: “Madre
mia, io non ti ho mai dispiaciuto
in vita. Ora aiutami Tu!”. È stato
dichiarato Venerabile da papa
Francesco il 20 gennaio 2017
Preghiera
Signore, che hai suscitato
il Venerabile Francesco Convertini,
discepolo fedele del Maestro delle Beatitudini
e missionario del Vangelo della gioia,
donandogli il sorriso puro di un bambino,
un cuore mite verso tutti i fratelli cristiani, indù e musulmani,
e mani distaccate dai beni terreni
per servire i poveri, donaci di imitare le sue virtù
e concedici, per sua intercessione,
la grazia... che con fede ti chiediamo.
Per Cristo nostro Signore.
Amen
Ringraziano
Sabato 30 ottobre 2021 nel po-
meriggio mi accingo a potare la
siepe del giardino di mio figlio
utilizzando una scala a pioli in
ferro con un’asta posteriore per
la tenuta. Avevo appena iniziato
quando l’asta che sostiene la
scala scivola ed io perdo l’equi-
librio e cado a terra picchiando
la testa violentemente sull’a-
sfalto. La caduta avvenuta da
un’altezza di circa 2 metri mi ha
provocato una ferita alla testa
con conseguente abbondante
fuoriuscita di sangue e lividi sul-
la schiena con indolenzimento
del collo e della schiena. Non riu­
scivo più ad alzarmi muovendo
con difficoltà corpo e gambe. La
strada comunale è scarsamente
percorsa da auto o da persone
tranne durante l’estate che vi
è un sostenuto passaggio di
ciclisti. Quella sera, casualmen-
te, dopo pochi secondi passa
un’auto dalla quale scendono
un signore e una signora. Lui
chiama subito l’ambulanza e lei,
saputo che abitavo nella casa
adiacente il giardino, avvertì mia
moglie e mio figlio e continuò a
tenermi sveglio con una serie di
domande facendo in modo che
non mi appisolassi fino all’arri-
vo dell’ambulanza, che giunse
dopo un quarto d’ora. Questi
signori mi dissero che erano di
Edolo e avevano sbagliato strada
per recarsi al cimitero di Vervio
dove è sepolta una loro zia e si
trovavano casualmente a percor-
rere quella strada poco frequen-
tata. Casualità o preciso destino?
Sono stato portato all’ospedale
di Sondalo dove dopo tutti gli
accertamenti diagnostici e sutu-
rata la ferita alla testa mi hanno
ricoverato in osservazione per
3 giorni continuando a tener-
mi monitorato. Ripercorrendo
quanto accaduto e visto che tut-
to sommato mi era andata bene
ho pensato che a salvarmi sia
stata una grazia del venerabile
don Giuseppe Quadrio. Tutte le
sere mi rivolgo con la preghiera
a Lui dedicata chiedendogli la
grazia della salute spirituale e
materiale. Da molti anni mi oc-
cupo nel ricordare annualmente
la sua fulgida figura e Lui mi ha
beneficiato con questa grazia.
Guido Visini
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COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
Pedagogia controcorrente 4
Paroelepaorroizlezovnetratilci ali
Il potere delle parole è enorme! Dire una parola, infatti,
è trasmettere un pensiero, un sentimento, un valore.
Ecco perché la parola è il più ricco allattamento psicologico!
V i è una differenza enorme tra un ragazzo
che sente, sempre e solo, parole come
mangiare, bere, vestire ed il ragazzo che
sente anche ‘dovere’, ‘sacrificio’, ‘perdono’,
giustizia’, ‘pace’, ‘Dio’.
Il primo ragazzo penserà che nella vita basta
diventare ‘grosso’: il secondo sarà invitato a diventare
‘grande’.
II famoso scrittore bulgaro Elias Canetti (premio
Nobel 1981) riconosceva apertamente d’essere stato
‘costruito’ dalle parole della mamma, donna colta ed
orgogliosa. Rimasto orfano di padre in tenera età,
ricorda le serate che passava con la madre a leggere,
e conclude: “Io sono fatto di quelle parole!”.
Sì: tutti ‘siamo un colloquio’, come dice l’indovinato
titolo di un libro dello psichiatra Eugenio Borgna.
Sì: viviamo secondo le parole che abbiamo in testa!
Ecco perché i genitori-salmoni sono specialisti nel
parlare ai figli.
Non usano mai parole invalidanti:
Stupido!’. ‘Imbranato’. ‘Chi credi
di essere?’...
Queste non sono parole. Sono
macigni che schiacciano l’io del fi-
glio, lo feriscono nella sua autosti-
ma, con tutte le pesanti conse-
guenze che ne derivano.
I genitori patentati usano parole incoraggianti:
Bravo!’, ‘Siamo fieri di te!’, ‘Ce la farai!’...
I genitori patentati usano anche parole stonate,
oggi: ‘Sacrificio’, ‘silenzio’, ‘rinuncia’, ‘dovere’...
I genitori patentati usano parole verticali, cioè parole
che invitano ad innalzarci, a diventare ‘grandi’.
Proprio su queste puntano in particolare, perché lo
ritengono uno dei primi doveri per salvare l’educa-
zione dei figli!
Davvero: uno dei primi doveri! Che cosa, in-
fatti, diciamo, oggi, ai nostri ragazzi? Dicia-
mo che è peccato avere le ascelle sudate, l’alito
cattivo, la biancheria grigia, la forfora sui capelli...
Proponiamo saponi, dentifrici, deodoranti, pillole...
Insegniamo che la vita è un tempo concessoci per
impegnarlo a comprare la felicità che si nasconde
in scatole e in barattoli ‘sotto vuoto spinto. Ebbene,
questo è tradimento! Tradimento dovuto alla man-
canza di circolazione di parole verticali.
I ragazzi tristi, disorientati, insicuri
sono in forte aumento!
L’incoraggiamento è l’aspetto
più importante nella pratica
di educazione del bambino; è tanto
importante, che la mancanza di esso
si può considerare quale causa fon-
damentale di certe anomalie
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APRILE 2023

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COSÌ PARLAVA MAMMA MARGHERITA
A trentatré anni, Francesco Bosco fu por-
tato via da una polmonite. Margherita
non poteva farcela da sola e decise di an-
darsene dalla fattoria Biglione. Con rara
crudeltà, i Biglione la citarono in giudizio
per il pagamento di una penale pesante.
Margherita trasferì nella malconcia ca-
setta, che in realtà era una stalla con fie-
nile e un deposito di attrezzi agricoli, la
sua famiglia: il figlio Antonio, nove anni,
Giuseppe, quattro anni, Giovanni di due
anni e la suocera invalida che si chiamava
come lei, Margherita Bosco. Aveva qual-
che piccolo pezzo di terra, una mucca e
un vitello. E tanti debiti. Perché anche la
casetta non era ancora stata pagata.
Erano poveri, certo. Ma c’era lei. La mam-
ma aveva le braccia larghe e un cuore an-
cora più largo. E tanto coraggio.
Neanche a farlo apposta i primi anni fu-
rono maledetti da una micidiale carestia.
Giovanni lo ricorderà sempre: «Le per-
sone che dovevano sopravvivere erano
cinque, e proprio quell’anno i raccolti an-
darono perduti per una terribile siccità. I
generi alimentari salirono a prezzi favo-
losi. Si dovette pagare fino a venticinque
lire per un’emina di grano, e sedici lire
per una di granoturco. Gente che ricorda
bene quei tempi, mi ha raccontato che i
poveri chiedevano in elemosina un pu-
gno di crusca, per rendere più consisten-
te la scarsa minestra di ceci o di fagioli. Si
trovarono mendicanti morti nei prati, con
la bocca piena d’erba: l’ultima risorsa con
cui avevano cercato di nutrirsi.
Mia madre mi raccontò molte volte che
nutrì la famiglia dando fondo ad ogni
scorta. Poi raccolse il denaro che aveva
in casa e lo diede ad un vicino, Bernardo
Cavallo, perché cercasse di procurarci dei
viveri. Era un nostro amico, si recò a vari
mercati, ma non riuscì a combinare nien-
te. Anche offrendo prezzi esorbitanti,
non si riusciva a comprare».
Margherita guardava gli occhi dei suoi
bambini. Avevano sempre fame. E tanta
paura. Non si perse di coraggio neanche
per un istante.
«Papà, morendo, mi disse di avere fiducia
in Dio. Inginocchiamoci e preghiamo».
Anche Giovannino, con le piccole mani
giunte, diceva le parole che non capiva
con gli occhi sgranati sulla mamma. La
mamma si alzò risoluta e disse: «Nei casi
estremi si devono usare mezzi estremi».
Prese il coltello grosso e andò nella stal-
la. Con l’aiuto di Bernardo Cavallo uccise
il vitello. E quella sera la famiglia Bosco
poté mangiare carne a sazietà.
Antonio già grandicello si preoccupò:
«Come faremo senza vitello?»
«Qualcosa bisogna sacrificare per ciò che
è veramente importante. Voi siete più
importanti del vitello».
«Ci rimboccheremo le maniche e lavore-
remo di più. Ci faremo aiutare. Insieme
ce la faremo».
Giovanni masticava con gusto il suo
boccone d’arrosto e ascoltava attento
le parole della mamma. Non le avrebbe
dimenticate.
Non dimenticò molti altri insegnamenti
della mamma che divennero il telaio lu-
minoso della sua persona.
del comportamento. Un bambino che si comporta male
è un bambino scoraggiato. L’infanzia, infatti, ha biso-
gno di un incoraggiamento continuo, proprio come
una pianta ha bisogno di acqua: deve essere incorag-
giata per poter crescere, maturare, acquisire la sicu-
rezza di essere inserita. Eppure, le tecniche da noi
usate oggi per allevare il bambino offrono una serie
di esperienze scoraggianti. Al bambino in tenera età
l’adulto appare dotato di una grande generosità, di
straordinaria efficienza e di capacità sovrumane; solo
il coraggio naturale gli impedisce di rinunciare del
tutto, di fronte a queste impressioni. Che cosa mera-
vigliosa è il coraggio di un bambino! Riusciremmo a
comportarci come i nostri figli, se dovessimo essere
posti nella stessa condizione di vivere fra giganti a
cui niente sia impossibile? I bambini rispondono ai
diversi dati di fatto con un enorme desiderio di acqui-
sire delle capacità e di superare il loro profondo sen-
so di piccolezza e di inadeguatezza; vogliono a ogni
costo diventare parte integrante della famiglia. Però,
nei loro tentativi di assicurarsi un riconoscimento
e di trovare una collocazione, si perdono spesso di
coraggio. I metodi impiegati in genere per educarli
contribuiscono una volta di più allo scoraggiamento.
Il rispetto dei ragazzi impone che si ritorni a pro-
porre qualcosa per cui meriti essere vivi: che si ri-
torni a parlare di Lealtà, Giustizia, Amore, Pace,
Onestà, Fratellanza... Ecco ciò che più urge oggi!
Urgono le parole che fanno pensare ai Valori, senza
i quali c’è caduta di tensione, c’è la perdita della
voglia e della gioia di vivere. I genitori educatori
sanno bene tutto questo.
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4.6 Page 36

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LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
Qualcosa per cui lottare
È una regola che vale
in tutto l’universo,
chi non lotta per qualcosa
ha già comunque perso.
C ontro la precarietà di un’esistenza che
fiacca ogni progetto ed ipoteca il futuro.
Contro le immagini stereotipate e le con-
venzioni sociali che spesso ci inchiodano
in ruoli in cui facciamo fatica a riconoscerci.
Contro le logiche distorte di una società che ci vuo-
le sempre perfetti, flessibili, competitivi, anche a
costo di schiacciare chi cammina di fianco a noi.
Contro la paura di non essere mai “abbastanza”, di
Forse è vero,
mi sono un po' addolcita,
la vita mi ha smussato gli angoli,
mi ha tolto qualche asperità.
Il tempo ha cucito qualche ferita
e forse tolto anche ai miei muscoli
un po' di elasticità.
Ma non sottovalutare la mia voglia di lottare,
perché è rimasta uguale,
non sottovalutare di me niente,
sono comunque sempre una combattente!
È una regola che vale in tutto l'universo,
chi non lotta per qualcosa
ha già comunque perso,
e anche se la paura fa tremare,
non ho mai smesso di lottare...
rimanere un passo indietro agli altri o, più sempli-
cemente, di non essere capaci di trovare il nostro
posto nel mondo.
Contro un tempo che sembra sfuggirci letteral-
mente di mano e vissuto perennemente in affanno,
senza riuscire a ritagliarci lo spazio necessario per
un genuino discernimento, indispensabile per re-
stituire senso al nostro agire e per compiere scelte
davvero significative.
La quotidianità dei giovani adulti del terzo millen-
nio è, nostro malgrado, spesso segnata da un la-
borioso, ininterrotto, infaticabile, a tratti sfibrante,
lottare-contro. La dimensione della “lotta” – che,
per molti versi, appare connaturata alla vita stes-
sa – assorbe, in effetti, molte delle nostre energie,
ci impone di essere sempre in allerta, ci costringe
a confrontarci con una inesausta tensione per non
soccombere ai contraccolpi dell’esistenza.
È nella lotta che ci alleniamo ad affrontare a viso
aperto e con tenacia le difficoltà che inevitabilmen-
te incontriamo sulla nostra strada, mettendo alla
prova la nostra capacità di resistenza ed imparando
a superare i nostri limiti. E, non di rado, le bat-
taglie quotidiane con cui siamo chiamati a fare i
conti finiscono con il modellare il nostro carattere,
temprandolo, fortificandolo, talvolta persino indu-
rendolo per meglio sopravvivere a questo continuo
combattere.
Finché ci limitiamo a lottare-contro, il nostro at-
teggiamento di fronte alla vita rischia tuttavia di
ridursi a un vano sforzo oppositivo, prigioniero di
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4.7 Page 37

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una logica astrattamente contestativa e incapace di
spingere lo sguardo oltre l’orizzonte del possibile.
Per dare nuovo slancio al nostro tentativo di incide-
re profondamente sulla realtà ed innescare un radi-
cale processo di cambiamento, è invece necessario
essere disposti a porsi in una prospettiva inedita:
quella, autenticamente rivoluzionaria, del lottare-
per.
Solo trovando qualcosa per cui lottare – un valore,
un ideale, un diritto, un amore – possiamo infatti
restituire senso alla fatica di un cammino impe-
gnativo e costantemente in salita come quello verso
l’adultità. Perché in questo semplice, ma tutt’altro
che automatico, mutamento di prospettiva risiede
la conquista di una nuova consapevolezza del pote-
re costruttivo delle nostre azioni, in grado non solo
di abbattere muri e smantellare ostacoli, ma ancor
più di edificare ponti e seminare speranza. E, se
avremo la fortuna di incrociare nel nostro percorso
altri uomini e altre donne che la pensano come noi,
Per tutto quello che è giusto,
per ogni cosa che ho desiderato,
per chi mi ha chiesto aiuto,
per chi mi ha veramente amato.
E anche se qualche volta ho sbagliato,
qualcuno non mi ha ringraziato mai,
so che in fondo ritorna tutto quel che dai.
Perché è una regola che vale in tutto l'universo,
chi non lotta per qualcosa
ha già comunque perso,
e anche se il mondo può far male,
non ho mai smesso di lottare...
È una regola che cambia tutto l'universo,
perché chi lotta per qualcosa
non sarà mai perso
e in questa lacrima infinita
c'è tutto il senso della vita...
(Fiorella Mannoia, Combattente, 2016)
potremo allora anche sperimentare la gioia, rin-
francante e nel contempo incoraggiante, di lottare-
con.
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
Se la Patagonia deve aspettare…
andiamo in Asia (continuadalnumeroprecedente)
I precedenti delle missioni salesiane
Antica
fotografia
di un
missionario e
la sua gente
nella vasta
“Pampa”.
C on la missio giuridica ricevuta dal papa,
con il titolo e le facoltà spirituali dei mis-
sionari apostolici concessi dalla Congrega-
zione di Propaganda Fide, con una lettera
di presentazione di don Bosco all’arcivescovo di
Buenos Aires, i dieci missionari dopo un mese di
viaggio attraverso l’oceano Atlantico, a metà di-
cembre 1875, arrivarono in Argentina, paese im-
menso popolato da poco meno di due milioni di
abitanti (quattro milioni nel 1895, nel 1914 sareb-
bero stati otto milioni). Di essa conoscevano a ma-
lapena la lingua, la geografia e un po’ di storia.
Accolti con simpatia dalle autorità civili, dal clero
locale e da benefattori, vissero inizialmente mesi
felici. La situazione nel paese si presentava infat-
ti favorevole, tanto dal punto di vista economico,
con grandi investimenti di capitali stranieri, quanto
sociale con l’apertura legale (1875) all’immigrazio-
ne, soprattutto italiana: 100 000 immigrati, di cui
30 000 nella sola Buenos Aires. Favorevole era an-
che la congiuntura educativa data dalla nuova legge
sulla libertà d’insegnamento (1876) e dal vuoto di
scuole per “ragazzi poveri ed abbandonati”, come
quelli cui volevano dedicarsi i salesiani.
Difficoltà sorgevano invece dal punto di vista religio-
so – data la forte presenza di anticlericali, massoni,
liberali ostili, inglesi (gallesi) protestanti in alcune
zone – e dal modesto spirito religioso di molto cle-
ro nativo e immigrato. Analogamente sul versante
politico per i sempre incombenti rischi d’instabilità
politica, economica e commerciale, per un nazionali-
smo ostile alla Chiesa cattolica e suscettibilissimo ad
ogni influenza esterna e per il problema irrisolto de-
gli indigeni della Pampa e della Patagonia. Il conti-
nuo avanzamento della linea di frontiera meridionale
infatti li costringeva con la forza ad arretrare sempre
più a sud e verso la Cordigliera, quando addirittu-
ra non li eliminava o, catturati, non li vendeva come
schiavi. Se ne rese subito conto il capospedizione don
Cagliero. Due mesi dopo il suo sbarco scriveva: “Gli
Indi sono esasperati contro il Governo Nazionale.
Vanno per essi armati di Remington, fanno prigio-
nieri uomini, donne, fanciulli, cavalli e pecore […]
bisogna pregare Dio che loro mandi missionari per
liberarli dalla morte dell’anima e del corpo”.
Dall’utopia del sogno al realismo
della situazione
Nel biennio 1876-1877 ebbe luogo una sorta di dia-
logo a distanza fra don Bosco e don Cagliero: in
meno di venti mesi ben 62 loro lettere hanno attra-
versato l’Atlantico. Don Cagliero in loco s’impegna-
va ad attenersi alle direttive date da don Bosco sulla
base delle lacunose letture a sua disposizione e delle
sue ispirazioni dall’Alto, non facilmente decifrabi-
li. Don Bosco a sua volta veniva a sapere dal suo
condottiero sul campo come la realtà in Argentina
38
APRILE 2023

4.9 Page 39

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si presentasse diversa da quella pensata in Italia. Il
progetto operativo studiato in Torino poteva sì es-
sere condiviso negli obiettivi e nella stessa strategia
generale, ma non nelle coordinate geografiche, cro-
nologiche e antropologiche previste. Don Cagliero
se ne rendeva perfettamente conto, a differenza di
don Bosco che invece continuava instancabilmente
ad allargare gli spazi per le missioni salesiane.
Il 27 aprile 1876 infatti annunciava a don Cagliero
l’accettazione di un Vicariato Apostolico in India
– esclusi dunque gli altri due proposti dalla Santa
Sede, in Australia e Cina – da affidare appunto a
lui stesso, che dunque avrebbe lasciato ad altri le
missioni in Patagonia. Due settimane dopo però
don Bosco presentava a Roma la richiesta di eri-
gere un Vicariato Apostolico pure per la Pampa e
la Patagonia, che riteneva, erroneamente, territorio
nullius [di nessuno] sia civilmente sia ecclesiastica-
mente. Lo ribadiva nell’agosto successivo firmando
il lungo manoscritto La Patagonia e le terre austra-
li del continente americano, redatto assieme a don
Giulio Barberis. La situazione era resa ancor più
complicata dall’acquisizione da parte del governo
argentino (d’accordo con quello cileno) delle terre
abitate dagli indigeni, che le autorità civili di Bue-
nos Aires avevano suddiviso in quattro governato-
rati e che l’arcivescovo di Buenos Aires riteneva a
ragione soggette alla sua giurisdizione ordinaria.
Ma le furibonde lotte governative contro gli indi-
geni (settembre 1876) fecero sì che il sogno salesia-
no “Alla Patagonia, alla Patagonia. Dio lo vuole!” per
il momento restasse tale.
Gli italiani “indianizzati”
Intanto nell’ottobre 1876 l’arcivescovo aveva propo-
sto ai missionari salesiani di assumere la parrocchia
della Boca in Buenos Aires a servizio di migliaia di
italiani “più indianizzati che gli Indiani quanto a
costume e religione” (avrebbe scritto don Cagliero).
La accettarono. Lungo il primo anno di permanen-
za in Argentina infatti avevano già reso stabile la
loro posizione nella capitale: con l’acquisto formale
della cappella Mater misericordiae in centro città,
con l’impianto di oratori festivi per Italiani in tre
punti della città, con l’ospizio di “artes y officios” e
la chiesa di San Carlo ad Ovest – che sarebbe rima-
sto colà dal maggio 1877 al marzo 1878 quando si
trasferì ad Almagro – e ora la parrocchia della Boca
al sud con oratorio in via di attivazione. Progetta-
vano anche un noviziato e mentre aspettavano le
Figlie di Maria Ausiliatrice prospettavano un ospi-
zio e un collegio a Montevideo in Uruguay.
A fine anno 1876 don Cagliero era pronto a rien-
trare in Italia, visto anche che si prolungava ecces-
sivamente sia la possibilità di entrare nel Chubut
sia la fondazione di una colonia a Santa Cruz (all’e-
stremo sud del continente) a causa di un governo
che creava impacci ai missionari e che gli indigeni
avrebbe preferito “distruggerli anziché ridurli”.
Ma con l’arrivo in gennaio 1877 della seconda spe-
dizione di 22 missionari, don Cagliero progettò au-
tonomamente di ritentare un’escursione a Carmen
de Patagones, sul Río Negro, in accordo con l’arcive-
scovo. Don Bosco a sua volta lo stesso mese suggerì
alla Santa Sede l’erezione di tre Vicariati Apostolici
(Carmen de Patagones, Santa Cruz, Punta Arenas)
o almeno uno a Carmen de Patagones, impegnan-
dosi ad accettare nel 1878 quello di Mangalor in
India con don Cagliero Vicario. Non solo, ma il 13
febbraio con immenso coraggio si dichiarava pure
disponibile per lo stesso 1878 per il Vicariato aposto-
lico di Ceylon a preferenza di quello dell’Australia,
entrambi propostogli dal papa (o suggeriti da lui al
papa?). Insomma a don Bosco non bastava l’America
Latina, ad occidente, sognava di mandare i suoi mis-
sionari in Asia, ad oriente.
(continua)
Salesiani e
Figlie di Maria
Ausiliatrice a
Dawson, Terra
del Fuoco.
Nel 1890, il
governo cileno
concesse ai
missionari
salesiani una
concessione
di 20 anni a
Dawson Island
per educare,
prendersi cura
e cercare di
assimilare le
popolazioni
indigene.
Quello che
rimane delle
strutture
dell‘opera
salesiana è
stato designato
monumento
nazionale
cileno.
APRILE 2023
39

4.10 Page 40

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IL CRUCIPUZZLE
Roberto Desiderati
Scoprendo don Bosco
Parole di 3 lettere: Cor, Lei, Lot,
Luz, Per, Ser.
Parole di 4 lettere: Note, Nubi,
Osso, Semi, Tebe, Tubi.
Parole di 5 lettere: Babbo, Clave,
Ovest, Ruolo.
Parole di 6 lettere: Ciampi, Nibbio,
Noiosa, Pecora, Rorido.
Parole di 7 lettere: Abbaini,
Dozzina, Mulatto, Spettri, Tergere.
Parole di 9 lettere: Chiassoso.
Inserite nello schema le parole elencate a fianco, scrivendole da sinistra a destra e/o dall’alto
in basso, compatibilmente con le lunghezze e gli incroci. A gioco ultimato risulteranno nelle
? Parole di 10 lettere: Apostolato,
Arcobaleno, Facinoroso, Stamberghe.
?
caselle gialle le parole contrassegnate dalle tre X nel testo. La soluzione nel prossimo numero. Parole di 19 lettere:
La soluzione nel prossimo numero.
Fisiochinesiterapia.
IL SANTO INFERMIERE
XXX nacque nel 1880, in una famiglia che sopravviveva a malapena a causa della povertà e che per gli
stenti e i sacrifici che doveva sopportare decise di emigrare in Argentina alla ricerca di un lavoro. Da Bo-
retto, in provincia di Reggio Emilia, attraversarono l’oceano Atlantico e presero dimora a Bahía Blanca.
Qui il giovane frequentò assiduamente la parrocchia e lo spirito della vita salesiana gli sembrò da subito
congeniale. Trasferitosi nella cittadina di Bernal si dedicò all’assistenza degli infermi, ma prestando
le sue cure a un giovane sacerdote tubercolotico si ammalò anch’egli e fu quindi inviato a Viedma,
in Patagonia, dove gli avrebbe giovato il clima più salubre. Su suggerimento del salesiano padre Evasio
Garrone chiese a Maria Ausiliatrice la guarigione, impegnandosi a dedicarsi all’assistenza degli infermi.
Guarì improvvisamente e in seguito disse: «Credetti, promisi, guarii». Nel 1911 emise la professione
perpetua come fratello laico salesiano e per tutta la vita si dedicò totalmente prima alla farmacia annessa e poi
all’Ospedale, del quale divenne amministratore, vicedirettore e infermiere esperto. Il suo servizio si estendeva
a tutta la città e alle due località situate sulle rive del fiume Negro: Viedma e Patagones. In caso di necessità,
accorreva ad ogni ora del giorno e della notte, con qualunque tempo, raggiungendo i tuguri della periferia e
Soluzione del numero precedente
lavorando gratuitamente. La sua fama d’infermiere santo si diffuse per
tutto il Sud e da tutta la Patagonia arrivavano gli ammalati che spesso
preferivano la sua visita a quella dei medici. Nel 1950 si rivelarono i sin-
tomi di un tumore che non gli lasciò scampo: morì il 15 marzo dell’anno
successivo. Le sue spoglie si trovano nella chiesa di San Giovanni Bosco
a Viedma. È stato dichiarato Venerabile, poi Beatificato da papa Giovanni
Paolo II e dichiarato Santo il 9 ottobre 2022.
40
APRILE 2023

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO E` BENEDIZIONE
Bollettino Salesiano del Cile
che trascorse diversi anni della to aperta all‘integrazione nella
sua vita, alcuni con tutta la fa- cultura, al lavoro.
miglia, per opere di educazione “Ho assimilato facilmente le
ed evangelizzazione a Medel- usanze, le feste, il 18 settem-
lín, in Colombia.
bre… Ho dei ricordi molto vivi
Entrò nell‘Aspirantato salesia- della prima volta che abbiamo
no di Bagnolo, in Piemonte. Da festeggiato il 21 maggio: que-
novizio era entusiasta dell‘idea sto ha attirato la mia attenzione
della missione, ispirato dall‘e- perché in Italia non ci sono fe-
sempio del padre.
ste nazionali celebrate in que-
Emise la prima professione sto modo… io ero entusiasta
religiosa il 16 agosto 1941 e dei cileni, tanto che ho acquisi-
fu ordinato sacerdote il 20 set- to la nazionalità”.
tembre 1952.
È stato professore alla Pontificia
Arrivò in Cile nel 1947 come Università Cattolica del Cile e
DON MARIO BORELLO
Centenario della nascita di un maestro di fede
missionario, proveniente dall‘I-
talia, all‘età di 24 anni.
Il suo servizio nell‘Ispettoria sa-
lesiana del Cile si è svolto prin-
anche al Pontificio Seminario,
in quest’ultimo luogo per 25
anni.
In un’intervista rilasciata al Bol-
e apostolo della catechesi
cipalmente nelle case di forma- lettino Salesiano del Cile nel
zione, ad eccezione delle opere 2005, don Borello ricordava che
Nacque a Torino, in Italia, il 10 lo presentarono a don Bosco, a di Concepción e Punta Arenas. l’articolo 34 delle Costituzioni
?
gennaio 1923, a pochi passi Maria Ausiliatrice e ai Salesiani In un‘intervista del 2011, in salesiane attribuisce un’impor-
da Valdocco, luogo dove san fin da giovanissimo. Sentì il de- occasione della presentazione tanza centrale alla catechesi
Giovanni Bosco fondò il primo siderio di essere sacerdote fin del suo libro “Presentación Pa- nell’attività della Congregazio-
oratorio. I suoi genitori fre- dalla tenera età.
storal del Credo Baptismal”, ha ne: “Per noi l’evangelizzazione e
quentavano la messa nella Ba- Suo padre era un missionario ricordato di essere arrivato in la catechesi sono la dimensione
silica di Maria Ausiliatrice, così laico, Salesiano Cooperatore, Cile con una disposizione mol- fondamentale della nostra mis-
SOSTIENICI
Da oggi è possibile effettuare donazioni per la Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO e sostenere Il Bollettino Salesiano,
le missioni e le opere salesiane attraverso l’attivazione della domiciliazione
bancaria (mandato per addebito diretto SEPA “CORE” – ex RID).
Puoi trovare il modulo da presentare al tuo istituto
di credito e tutte le altre informazioni alla pagina
Rivista fondata da
https://www.donbosconelmondo.org/sostienici/
S. Giovanni Bosco
nel 1877
MARZO 2023
In prima linea
Padre Nguyen
Thinh Phuoc
Le case
di don Bosco
Ivrea
Quelli che
lo hanno
conosciuto
Don Felice
Reviglio
SALVIAMO
i BAMBINI
del BENIN!

5.2 Page 42

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IL LORO RICORDO E` BENEDIZIONE
sione... siamo chiamati, tutti e in
tutte le occasioni, a essere edu-
catori alla fede”.
In questo modo, il suo lavoro di
catecheta non solo ha avuto un
impatto all’interno dell’Ispetto-
ria salesiana, ma ha dato anche
un valido contributo all’intera
Chiesa cilena e del continente.
Don Borello è stato, infatti, Di-
rettore della Commissione na-
zionale di catechesi nominata
dalla Conferenza Episcopale,
ha fondato l’Istituto Superiore
di Catechesi (Catequeticum), è
stato presidente onorario della
Società Cilena dei Catecheti
(SOCHICAT) e Segretario per
la Catechesi della Conferenza
Episcopale Latinoamericana
(CELAM).
Secondo padre Borello, i ca-
techisti, coloro che guidano
i processi di preparazione ai
sacramenti nelle parrocchie,
nelle scuole e nelle diverse isti-
tuzioni, dovrebbero possedere
quattro grandi qualità: matu-
rità umana, conoscenza della
fede cristiana (credo e morale),
saper gestire una buona meto-
dologia per insegnare e coltiva-
re una vita spirituale.
Nella sua vasta esperienza
nell‘animare processi globali
di catechesi nella Chiesa, com-
menta che è possibile trovare
queste qualità, tuttavia, è an-
che possibile vedere grandi
lacune, dovute soprattutto
alla dimenticanza dello Spirito
Santo nel fare la catechesi e
all‘ignoranza dell‘escatologia,
cioè di ciò che accade dopo la
nostra morte e dopo la fine del
mondo. “Ci sono persone mol-
to dure, con una presentazione
della fede triste, moralistica;
poi, non possono veramente
trasmettere il messaggio del
Signore, che è la Buona No-
vella (vangelo). C‘è anche un
fallimento nella pedagogia,
quando parli e parli, senza in-
teragire con le persone. Prima
bisogna affrontare i problemi
delle persone e poi rispondere
loro dalla fede, e non, facendo
un paragone, porgere loro un
mattone dottrinale che devono
inghiottire».
Centinaia di persone hanno
frequentato i suoi corsi a livel-
lo nazionale e internazionale:
vescovi, sacerdoti, suore, semi-
naristi, catechisti e membri del
personale apostolico sono stati
arricchiti dai suoi insegnamenti
per più di quattro decenni.
È per questo motivo che i ve-
scovi del Cile lo hanno rico-
nosciuto come “pilastro fon-
damentale del rinnovamento
della catechesi in Cile”, affer-
mazione che è stata suggellata
con l’assegnazione della Croce
dell’Apostolo San Giacomo nel
2016.
Dati dell’ente beneficiario
Fondazione DON BOSCO NEL MONDO
Via Marsala 42, 00185 Roma
BANCA POPOLARE DI SONDRIO
IBAN IT86 O056 9603 2020 0000 7100 X00
I miei dati anagrafici
Compilando la scheda si accetta
l’informativa sulla privacy
Cognome ....................................................................
Nome ...........................................................................
Indirizzo ........................................................................
CAP ...............................................................................
Città ..............................................................................
Provincia .....................................................................
Telefono .......................................................................
E-mail ...........................................................................
Codice fiscale ..............................................................
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per scaricare il modulo
da consegnare
compilato al tuo
istituto di credito
DESIDERO SOSTENERE CON CONTINUITÀ LA FONDAZIONE DON BOSCO NEL MONDO
Con la domiciliazione bancaria (mandato per addebito diretto SEPA “CORE” – ex RID)
si possono aiutare con continuità le missioni salesiane. Farlo è semplice e veloce,
compilando questo coupon e inviandolo a Fondazione DON BOSCO NEL MONDO.
Il primo prelievo dovrà cominciare a partire dal mese di ..........................................................
Il mio sostegno ammonterà a Euro
,
ogni mese  ogni 3 mesi  ogni 6 mesi 
ogni anno
Intestatario del conto e coordinate bancarie
Cognome e Nome/Ragione sociale .....................................................................................................................................
Indirizzo ................................................................................................................................. N ............... CAP .........................
Località ....................................................................................... Provincia ..................... Paese ...........................................
IBAN ............................................................................................ Banca .......................................................................................
Causale ..............................................................................................................................................................................................
DATA ............./............../...................          Firma ...........................................................................................
Puoi compilare e inviare questo modulo attraverso le seguenti modalità:
Fondazione DON BOSCO NEL MONDO, Via Marsala 42, 00185 Roma
+393429984165
donbosconelmondo@sdb.org

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.Disegno di Fabrizio Zubani
Lmeasrteinllee
U na tempesta terribile si abbatté sul mare.
Lame affilate di vento gelido trafiggeva-
no l’acqua e la sollevavano in ondate
gigantesche che si abbattevano sulla spiaggia come
colpi di maglio, o come vomeri d’acciaio aravano il
fondo marino scaraventando le piccole bestiole del
fondo, i crostacei e i piccoli molluschi, a decine di
metri dal bordo del mare.
Quando la tempesta passò, rapida come era arri-
vata, l’acqua si placò e si ritirò. Ora la spiaggia era
una distesa di fango in cui si contorcevano nell’a-
gonia migliaia e migliaia di stelle marine. Erano
tante che la spiaggia sembrava colorata di rosa.
Il fenomeno richiamò molta gente da tutte le parti
della costa. Arrivarono anche delle troupe televisi-
ve per filmare lo strano fenomeno.
Le stelle marine erano quasi immobili. Stavano
morendo.
Tra la gente, tenuto per mano dal papà, c’era
anche un bambino che fissava con gli occhi pieni
di tristezza le piccole stelle di mare. Tutti stavano
a guardare e nessuno faceva niente.
All’improvviso, il bambino lasciò la mano del
papà, si tolse le scarpe e le calze e corse sulla
spiaggia. Si chinò, raccolse con le piccole mani tre
piccole stelle del mare e, sempre correndo, le portò
nell’acqua. Poi tornò indietro e ripeté l’operazione.
Dalla balaustrata di cemento, un uomo lo chiamò.
«Ma che fai, ragazzino?».
«Ributto in mare le stelle marine. Altrimenti
muoiono tutte sulla spiaggia» rispose il bambino
senza smettere di correre.
«Ma ci sono migliaia di stelle marine su questa
spiaggia: non puoi certo salvarle tutte. Sono
troppe!» gridò l’uomo. «E questo succede su
centinaia di altre spiagge lungo la costa! Non puoi
cambiare le cose!».
Il bambino sorrise, si chinò a raccogliere un’altra
stella di mare e gettandola in acqua rispose: «Ho
cambiato le cose per questa qui».
L’uomo rimase un attimo in silenzio, poi si chinò,
si tolse scarpe e calze e scese in spiaggia. Co-
minciò a raccogliere stelle marine e a buttarle in
acqua. Un istante dopo scesero due ragazze ed
erano in quattro a buttare stelle marine nell’acqua.
Qualche minuto dopo erano in cinquanta, poi
cento, duecento, migliaia di persone che buttavano
stelle di mare nell’acqua.
Così furono salvate tutte.
Per cambiare il mondo basterebbe che qualcuno, anche piccolo,
avesse il coraggio di incominciare.
APRILE 2023
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5.4 Page 44

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Taxe-Perçue
Tassa riscossa
PADOVA cmp
Sostenibili
e accoglienti
EcoBosco” è uno dei centri di accoglienza dei Salesiani delle Antille; il progetto è
costruire casette eco-sostenibili destinate ad ospitare ciascuna 6/8 giovani che non
hanno le risorse per raggiungerlo ogni giorno. Crescendo in questo ambiente, oltre a
studiare, i ragazzi acquisiranno comprensione e consapevolezza dell’importanza per
il rispetto della natura, sviluppando l’amore per il creato.
Questo li renderà esempio vivo e promotori di buone abitudini nella società.
Aiutaci a costruire le casette ECOBOSCO per poter accogliere giovani in difficoltà.
LA NATURA INSEGNA, ANCHE CON IL TUO CONTRIBUTO
Scopri di più a pagina 6 di questo numero oppure su www.donbosconelmondo.org
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
+39 06 6561 2663
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