Bollettino_Salesiano_202303

Bollettino_Salesiano_202303

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In prima linea
Padre Nguyen
Thinh Phuoc
Le case
di don Bosco
Ivrea
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
MARZO 2023
Quelli che
lo hanno
conosciuto
Don Felice
Reviglio
SALVIAMO
i BAMBINI
del BENIN!

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I FIORETTI DI DON BOSCO
B.F.
La dieta di don Bosco
M onsignor Giovanni Cagliero
ricordava: la mensa di don
Bosco fu sempre frugalissi-
ma, per non dire meschina. Io da
giovanetto nel 1852 e 1853 assistevo
al suo pranzo e alla sua cena. La
minestra ed il pane era quello che
mangiavamo noi; e la pietanza che
gli preparava la sua buona Mamma
Margherita era per lo più di legumi e
alle volte con pezzettini di carne o di
uova, sovente di zucca condita: e
vedeva che lo stesso piatto presentato
alla mattina ritornava alla sera
riscaldato. Anzi lo vedeva alle volte
ritornare per più giorni ed anche sino
al giovedì se era una torta di mele.
Egli però non si occupava mai di
quello che preparava sua madre. Fu
sempre fedele alla massima di san
Francesco di Sales: “Nulla chiedere
e nulla rifiutare”.
A colazione non prendeva
per molti anni altro che una
piccola tazza di caffè mescola-
to a cicoria, bevanda che non
faceva gola a nessuno, mesco-
landovi alcune gocce di latte
solo quando veniva costretto
da qualche indisposizione. Per
qualche tempo e di rado vi
bagnava una fetta di pane
e in fine lasciò anche questo.
Suonato il mezzo giorno,
talvolta era ancora trattenuto
in camera dalle udienze, che
furono causa, come vedremo,
della più grande delle sue
mortificazioni, quindi ordinariamen-
te giungeva nel refettorio molto in ri-
tardo. Tanto più che in quel tragitto
era sovente fermato da più persone,
che l’una dopo l’altra volevano dirgli
o sentire da lui qualche parola; e
talora ne incontrava di quelle che
non conoscevano discrezione, trat-
tenendolo lungamente. Ed egli, con
ammirabile pazienza e tutta pacatez-
za, ascoltava, rispondeva e cercava di
dare ad ognuno soddisfazione.
Giunto in refettorio, se erano già
usciti i soliti commensali, pranzava,
attorniato dai giovanetti sopravve-
nuti, che lo circondavano così da
togliergli quasi il respiro, assordato,
dal loro chiasso, in mezzo ad una
confusione e ad un ambiente non
certamente gradito ai sensi, ma
graditissimo a lui che non cercava i
suoi comodi, ma il vantaggio de’ suoi
figliuoli.
E don Bosco preferiva patate, rape
ed erbe purché ben cotte, quantun-
que insipide, adducendo per ragio-
ne che erano più confacenti al suo
stomaco; e ripeteva frequentemente
la massima: – Dover l’uomo mangia-
re per vivere e non vivere per man-
giare. – Di quando in quando i suoi
chierici cercavano di fargli provvede-
re qualche vivanda più adattata alla
sua malferma salute; ma se egli se ne
accorgeva, se ne lagnava e cercava di
impedire ogni attenzione. Era am-
mirabile la sua indifferenza riguardo
alla qualità e al condimento dei cibi.
Non fu mai udito lamentarsi del vit-
to. Avvenne talvolta che dopo di lui
si servisse di minestra qualche altro,
che di solito, dopo averla assaggiata,
la buttava con mille smorfie.
Don Bosco l’aveva mangiata
serenamente. Aveva preso la
risoluzione di non dire mai:
“Questo mi piace, questo non
mi piace”. Finché visse sua
madre, il cibo se non altro
era caldo, e qualche rara volta
leggermente più sostanzioso
del solito. Una volta, narra-
va il teologo Savio Ascanio,
Margherita vedendo il figlio
spossato, gli preparò una
minestra con dentro un tuorlo
d’uovo. Ma egli vedendo che
ancor io ero molto stanco, la
divise con me.
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MARZO 2023

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In prima linea
Padre Nguyen
Thinh Phuoc
Le case
di don Bosco
Ivrea
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
MARZO 2023
Quelli che
lo hanno
conosciuto
Don Felice
Reviglio
SALVIAMO
i BAMBINI
del BENIN!
MARZO 2023
ANNO CXLVII
NUMERO 3
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
La copertina: La tragedia dei minori africani è
straziante (Foto Anton_Ivanov / Shutterstock).
2 I FIORETTI DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 DON BOSCO NEL MONDO
Benin
10 IN PRIMA LINEA
Padre Nguyen Thinh Phuoc
14 TEMPO DELLO SPIRITO
I 5 rimpianti più grandi
16 LE CASE DI DON BOSCO
Ivrea
20 GIOVANI
Fabio Aynaudi
24 FMA
Biancavilla
26 LA STORIA CONTINUA
Museo Casa don Bosco
30 QUELLI CHE LO HANNO CONOSCIUTO
Don Felice Reviglio
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
43 LA BUONANOTTE
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10
20
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 64
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Adolphe
Akpoué Coffi, Pierluigi Cameroni,
Roberto Desiderati, Emilia Di
Massimo, Ángel Fernández Artime,
Carmen Laval, Sarah Laporta, Cesare
Lo Monaco, Alessandra Mastrodona-
to, Francesco Motto, Pino Pellegrino,
O. Pori Mecoi, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Alberto Rodriguez M.
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e i lavoratori.

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Ángel Fernández Artime
Ho capito cosa provava
don Bosco
Il giorno dopo la solenne festa di don Bosco,
ho provato un’intensa emozione. Dopo
i controlli piuttosto rigidi, ho varcato la soglia
dell’Istituto Penitenziario Minorile “Ferrante
Aporti” di Torino, quello che un tempo
si chiamava “La Generala”.
Su una delle pareti c’è una grande targa che
ricorda le visite di don Bosco ai giovani in
carcere. Quante volte, con le tasche della sua
veste rattoppata piene di frutta, cioccolatini,
tabacco aveva superato portoni pesanti come questi,
al Senato, al Correzionale, alle Torri e poi anche qui
alla Generala, per andare a trovare i suoi “amici”, i
giovani carcerati. Parlava del valore e della dignità
di ogni persona, ma spesso quando tornava, tutto
era distrutto. Quelle che sembravano amicizie na-
scenti erano morte. I volti erano tornati duri, le voci
sarcastiche sibilavano bestemmie. Don Bosco non
sempre riusciva a vincere l’avvilimento. Un giorno
scoppiò a piangere. Nel lugubre stanzone vi fu un
attimo di esitazione. «Perché quel prete piange?»
domandò qualcuno. «Perché ci vuole bene. Anche
mia madre piangerebbe se mi vedesse qui dentro».
L’impatto di queste visite sulla sua anima fu così
grande che promise al Signore che avrebbe fatto
tutto il possibile per garantire che i ragazzi non
venissero mandati lì. Nascono così l’oratorio e il si-
stema preventivo.
Molte cose sono cambiate. I figli di don Bosco
non hanno abbandonato la via tracciata dal Padre.
È tradizione che i cappellani siano salesiani. Tra i
cappellani “storici” c’è l’amato don Domenico Ric-
ca, andato in pensione lo scorso anno dopo oltre
40 anni di servizio. Un altro salesiano, don Silvano
Oni ha preso il suo posto e i novizi salesiani, sotto
la guida del maestro di noviziato, vanno ogni set-
timana a incontrare i giovani detenuti dell’Istituto
Penitenziario, con un’iniziativa chiamata “il cortile
dietro le sbarre”. Tutti i “detenuti” sono molto più
giovani dei novizi di don Bosco. E la stragrande
maggioranza non ha parenti.
Per questo noi salesiani amiamo
tanto i giovani
Come don Bosco, ho lasciato parlare il cuore. C’e-
rano anche gli educatori che accompagnano questi
giovani quotidianamente. Ho salutato tutti, com-
presi i molti giovani stranieri. Ho sentito che la co-
municazione era possibile. In precedenza tre novizi
avevano recitato una breve scena della vita di don
Bosco. Poi mi hanno dato la parola e hanno dato
anche ai giovani la possibilità di farmi tre o quattro
domande. E così è stato. Mi hanno chiesto chi era
don Bosco per me, perché ero salesiano, che cosa
si prova a vivere ciò che vivo e perché ero venuto a
trovarli.
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Ho raccontato loro di me, della
mia origine e della mia naziona-
lità. «Sono spagnolo, sono nato in
Galizia, figlio di un pescatore. Ho
studiato teologia e filosofia, ma so
molto di più sulla pesca perché me
l’ha insegnata mio padre. Ho scel-
to di diventare salesiano 43 anni
fa, volevo fare il medico, ma poi ho
capito che don Bosco mi chiamava
a curare le anime dei più giovani.
Perché non esistono ragazzi buoni
e cattivi, ma giovani che hanno
avuto meno e, come diceva il no-
stro santo, in ogni giovane, anche
nel più sfortunato, c’è un punto ac-
cessibile al bene, e il dovere prima-
rio dell’educatore è quello di cercare questo punto,
la corda sensibile di questo cuore, e di far fiorire
una vita. Per questo noi salesiani amiamo tanto i
giovani. Tutti possiamo commettere errori, ma se
credete in voi stessi, se avete fiducia nei vostri edu-
catori, ne uscirete migliori. Il mio sogno è di incon-
trarvi tutti un giorno a Valdocco con i giovani che
ho salutato ieri nella festa del nostro Santo».
Durante il pranzo, un giovane mi ha chiesto se po-
teva farmi una domanda in privato. Ci separammo
un po’ dal grande gruppo per non essere interrot-
ti. “A cosa serve la mia presenza qui?” mi chiese a
bruciapelo. Gli ho detto: “Credo sinceramente per
niente e per molto. Per niente, perché la prigione,
l’internamento non può essere una meta o un luogo
di arrivo, ma solo un luogo di passaggio. Ma, ho ag-
giunto, penso che ti farà molto bene perché ti aiuterà
a decidere che non vuoi più tornare qui, che hai la
possibilità di un futuro migliore, che dopo qualche
mese qui c’è la possibilità di andare in una delle co-
munità di accoglienza che abbiamo noi salesiani, per
esempio a Casale, non lontano di qui…”.
Appena l’ho detto, il giovane ha aggiunto, senza la-
sciarmi finire: «Lo voglio, ne ho bisogno, perché sono
stato nel posto sbagliato e con le persone sbagliate».
Abbiamo parlato. Hanno parlato. E ho capito quan-
to sia vero che, come diceva don Bosco, nel cuore
di ogni giovane ci sono sempre semi di bontà. Quel
giovane, e molti altri che ho incontrato, sono total-
mente “recuperabili” se gli viene data la giusta op-
portunità, dopo gli errori commessi.
Ho salutato di nuovo i giovani, uno per uno. Ci
siamo salutati con grande cordialità. I loro sguardi
erano puliti, i loro sorrisi erano sorrisi di giovani
battuti dalla vita, giovani che avevano sbagliato, ma
pieni di vita. Ho percepito negli educatori un gran-
de senso di vocazione. Mi è piaciuto.
Alla fine del tempo stabilito – che era stato con-
cordato – ho salutato e uno di loro si è avvicinato e
mi ha detto: «Quando torni?» Mi sono commosso.
Gli ho sorriso e gli ho detto: «La prossima volta che
mi inviterai, sarò qui, e nel frattempo ti aspetterò,
come don Bosco, a Valdocco».
Questo è ciò che ho sperimentato ieri.
Amici del Bollettino Salesiano, amici del carisma
di don Bosco, come ieri, anche oggi è possibile rag-
giungere il cuore di ogni giovane. Anche nelle più
grandi difficoltà, è possibile migliorare, è possibile
cambiare per vivere onestamente. Don Bosco lo sa-
peva e ci ha lavorato per tutta la vita.
Don Bosco
nelle prigioni
senatorie
(quadro di
Nino Musio).
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DON BOSCO NEL MONDO
Adolphe Akpoué Coffi
I Salesiani in Benin
ridonano la vita ai bambini
Un tempo il Benin si chiamava Dahomey, ed era noto per
la qualità dei suoi schiavi. Cent’anni dopo la fine della tratta,
gli schiavi sono ancora il principale prodotto d’esportazione
del Paese: cambiano solo l’età (oggi sono bambini), il mezzo
di trasporto (l’automobile) e la destinazione (la Nigeria).
Qui i Salesiani lottano con tutte le loro forze per salvarli.
L a Repubblica del Benin, ex Dahomey, è uno
Stato dell’Africa occidentale con una super-
ficie di 114 763 km2.
È in questo Paese che i primi salesiani,
pionieri, sono arrivati il 9 agosto 1980 dall’Ispettoria
di Bilbao (Spagna) per mettersi al servizio della
gioventù povera e abbandonata.
Per capire abbiamo incontrato padre Emmanuel
Bernard Richard Azagba, direttore della comunità
salesiana di Tokpota a Porto Novo e responsabile
della casa Don Bosco che accoglie bambini in si-
tuazione di vulnerabilità.
Il salesiano
padre
Emmanuel.
Padre, com’è nata
la sua vocazione?
La mia vocazione è stata un po’ complessa,
in quanto provengo da una famiglia di
tre figli, il più giovane e, per di
più, l’unico maschio. Inoltre,
c’è stato un elemento spe-
ciale che ha aiutato i miei
genitori a fare una lettura
cristiana e li ha portati a
offrire il loro unico ra-
gazzo alla Chiesa. Infatti, noi tre figli dei miei ge-
nitori, siamo nati il 24 dicembre con un intervallo
esatto di cinque anni tra una nascita e l’altra. Fin
da bambino ho sempre avuto il desiderio di consa-
crarmi al Signore. Ma un giorno, nella parrocchia
salesiana di San Francesco Saverio a Porto-Novo,
ho osservato come i salesiani durante l’oratorio sta-
vano con i bambini di strada e i vari giochi che or-
ganizzavano per loro, la gioia che seminavano nei
cuori di questi bambini. Così un giorno sono stato
invitato a giocare con loro.
Ma mentre giocavo mi sono infortunato e su-
bito un salesiano ha iniziato a prendersi cura
di me senza conoscermi, per poi portarmi a
casa. Ogni giorno questo salesiano veniva a
trovarmi. Dopo il periodo di convalescen-
za, sono stato invitato a visitare le case dei
bambini chiamate “Foyer Don Bosco”.
Sono rimasto affascinato dal dina-
mismo dei Salesiani nei confronti
dei bambini e dei giovani. Così
ho cominciato a capire che sta-
vano facendo come Gesù per
l’umanità sofferente.
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Dopo questa esperienza di vicinanza a questi bam-
bini, mi sono detto che anch’io sarei stato come
i Salesiani per questi bambini. Mi sono unito al
gruppo degli Aspiranti alla Vita Salesiana e sono
diventato salesiano di don Bosco. Ho trascorso i
miei primi anni di sacerdozio in questa casa, dove
da pochi mesi sono diventato direttore della comu-
nità. È bello donarsi a Dio per i più poveri e per
tutti gli uomini e le donne del nostro mondo.
Qual è la situazione attuale
dei bambini che ospitate?
Ci sono molti bambini in Benin. In alcune famiglie
numerose, a causa della poligamia (oggi vietata dal-
la legge), i bambini non sempre beneficiano delle
attenzioni dei genitori che non possono provvedere
a loro. Sono costretti a cavarsela da soli. Coloro che
frequentano la scuola la abbandonano quando i ge-
nitori non pagano la scuola, nonostante il governo
abbia decretato la gratuità della scuola materna ed
elementare nel 2006. Purtroppo, la scolarizzazione
gratuita all’orizzonte è stata poco più di una tro-
vata pubblicitaria, un fuoco d’artificio. I bambini
che vengono espulsi dalla scuola e i cui genitori non
hanno i mezzi, rimangono a casa, imparano un me-
stiere o vengono affidati a un parente, un amico o
un conoscente. E non tutti sono trattati bene. Al-
cuni vengono abusati o maltrattati e finiscono per
scappare. Alcuni sono accusati di stregoneria e ven-
gono cacciati via.
Sono questi bambini abbandonati che iniziammo
a vedere sempre più spesso per strada o al mercato
ad attirare la nostra attenzione. Erano abbastanza
grandi per andare a scuola e non ci andavano. Ab-
biamo iniziato interessandoci alla loro situazione.
Così, a Porto Novo, dopo aver riflettuto in comu-
nità e aver coinvolto nella riflessione confratelli di
altre comunità, abbiamo preso l’impegno di offrire
loro i nostri servizi.
All’inizio abbiamo accolto i bambini che dormiva-
no nei mercati o per strada e che venivano chiamati
“bambini di strada”. Gradualmente siamo passati
JOEL, UNO DEI “MOSTRI”
«Nei ghetti di Cotonou ognuno ha la sua specialità. La no-
stra era prendere i bambini. Li prendevamo di notte, fra i
bambini di strada del quartiere, o nei villaggi fuori mano.
Poi, sempre di notte, li portavamo nella foresta dove ci da-
vano appuntamento i nigeriani. Lì non c’è nessun control-
lo, si può passare dal Benin alla Nigeria tranquillamente.
I nigeriani venivano in macchina, si caricavano i bambini,
ci sganciavano i soldi e arrivederci alla prossima. Non so
bene che cosa ci facessero, con tutti quei bambini. Noi li
prendevamo e basta».
anche ai bambini vittime di tratta (esempio: un
bambino che, contro la sua volontà, è stato portato
via con la forza dal suo villaggio, con il pretesto di
andare a scuola in città e di vivere con una famiglia
benestante in un’altra città o in un altro paese dove
viene utilizzato come assistente domestico o di ven-
dita), e alle bambine vittime di sfruttamento econo-
mico e domestico (un bambino che vende pomodo-
ri al mercato per tutto il giorno senza pause, senza
mangiare correttamente, e che viene punito perché
perde soldi o perché ha sonno o è stanco). Inoltre, ci
sono minori in conflitto con la legge (cioè che han-
no commesso un reato e devono scontare una pena
in carcere). Nonostante i notevoli sforzi compiuti
da chi si occupa di protezione, sorgono nuovi pro-
blemi, come l’uso di droghe e l’integrazione di reti
Si cerca di
sensibilizzare
l’opinione
pubblica.
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DON BOSCO NEL MONDO
di adulti in cui i bambini, sia maschi sia femmine,
si prostituiscono. Alcuni bambini sono accusati di
stregoneria a causa di alcune deformità fisiche.
Le azioni
portate avanti
dai Salesiani
di Don Bosco
mirano a
formare e
offrire una
seconda
possibilità a
molti bambini
e giovani in
situazione di
fallimento.
Qual è la situazione delle opere
salesiane in Benin?
I Salesiani sono arrivati in Benin nell’agosto del
1980 e si sono stabiliti prima a Comé, nella diocesi
di Lokossa, che hanno lasciato nel 1985. Nel frat-
tempo furono fondate altre missioni: Porto Novo
nel 1981, Parakou nel 1983, Cotonou nel 1985 e
Kandi nel 1987. A Cotonou, come a Porto Novo,
ci sono due comunità salesiane che lavorano per i
giovani poveri e abbandonati. Queste ultime fon-
dazioni si dedicano esclusivamente alla cura dei
bambini vulnerabili. Le azioni portate avanti dai
Salesiani di Don Bosco mirano a formare e offrire
una seconda possibilità a molti bambini e giovani in
situazione di fallimento. Proponiamo un’educazio-
ne integrale che tenga conto dell’ambiente e delle
esigenze. Questa educazione tiene conto dell’uomo
e di tutto l’uomo.
Nell’evoluzione del servizio educativo e pastorale
che svolgevamo nelle parrocchie e nelle due scuole
di Parakou (1987) e Cotonou (1990), abbiamo in-
dividuato una nuova sfida alla quale abbiamo cer-
cato di dare una risposta. Abbiamo visto bambini
e giovani vagare giorno e notte nel mercato. Erano
esposti a ogni sorta di pericolo. Così, nel 1995, a
Porto Novo, abbiamo avviato azioni a loro favore.
Oggi questo lavoro si estende a Cotonou (con una
nuova comunità) e a Kandi, dove si presta atten-
zione a questi bambini per affrontare questa nuova
frontiera. I nostri centri di accoglienza per i bambi-
ni si chiamano Centro di accoglienza e protezione
dell’infanzia (cape).
A poco a poco, molti bambini in situazioni di vul-
nerabilità hanno iniziato a bussare alle nostre porte
grazie al lavoro dei nostri educatori sul campo che
li incontrano nei nostri punti di riferimento nei
mercati. Tre delle sei comunità del Benin prestano
attenzione ai bambini vulnerabili.
A Porto Novo esiste una casa di transito aperta nel
1995 con una capacità di 60 posti. Esiste una se-
conda casa di riposo aperta nel 2000 con una ca-
pacità di 120 posti. Vengono accolti qui quando
diventano stabili e accettano di andare a scuola o
di imparare un mestiere. Nel 2009 sono stati aperti
tre laboratori di formazione artigianale (falegna-
meria, saldatura ad arco e meccanica di due ruo-
te). Per variare l’offerta formativa, alcuni bambini
vengono indirizzati verso l’azienda agro-pastorale
aperta nell’ottobre 2009.
Ci sono due case come punto di ascolto, orientamen-
to e attività educative nei mercati di Dantokpa-Co-
tonou (2007), Ouando-Porto Novo (2010) e Sèmé-
Kraké (2010) al confine con la Nigeria. Esploriamo
i mercati per incontrare i bambini vulnerabili che vi
passeggiano. Cerchiamo le famiglie dei bambini per
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scoprire perché si sono allontanati da casa.
Nel 2007 abbiamo lanciato il Programma di ap-
prendimento accelerato (alp) per consentire ai
bambini lavoratori minorenni che sono fuori dalla
scuola ed esclusi dal sistema educativo formale di
godere del loro diritto all’istruzione. Questo per-
mette loro di imparare a leggere e scrivere e i più
bravi sostengono l’esame per il Certificato di Istru-
zione Primaria (cep) in tre anni invece dei sei anni
del programma formale di istruzione primaria.
A Cotonou, è stato aperto un punto di ascolto e
orientamento nel mercato di Dantokpa il 6 maggio
2009. Poi abbiamo acquistato due piccoli appez-
zamenti di terreno nel mercato, sui quali abbiamo
costruito e lanciato due programmi di corsi accele-
rati (acp). È stato inaugurato a Djidjè-Cotonou il
10 dicembre 2013 con tre laboratori di formazione
professionale (cucito e ricamo, carpenteria in allu-
minio, meccanica a due ruote).
A Kandi, in seguito alla recrudescenza della trat-
ta di minori nel nord del Benin (il fenomeno del
reclutamento o dell’affidamento di un bambino a
qualcuno in cambio di denaro attraverso l’inganno
o l’abuso di autorità), abbiamo aperto un centro di
accoglienza. Le ragazze e i ragazzi sono i benvenu-
ti. Infatti, è l’unico centro che accoglie sia ragazze
sia ragazzi. A Malanville, città di confine con il
Niger, abbiamo un centro di ascolto.
Quali sono i bisogni più urgenti?
L’accoglienza di bambini vulnerabili nelle nostre
case solleva la questione della ristorazione, del
vestiario, dell’assistenza sanitaria, del pagamento
della scuola o dell’apprendistato. C’è anche il pro-
blema del personale specializzato che lavora con i
salesiani e il cui stipendio deve essere garantito.
Poi c’è la fornitura di varie attrezzature e altre ne-
cessità...
dell’Ispettoria per rispondere alle esigenze di que-
sto fronte della missione salesiana. È un dato inco-
raggiante. Inoltre, lavoriamo in sinergia con altre
istituzioni che si occupano di bambini vulnerabili.
La sensibilità dei confratelli sta crescendo.
C’è molto da fare per assicurare che i diritti dei
bambini siano conosciuti e rispettati, per garantire
la giustizia sociale, la parità di genere e l’assunzio-
ne di responsabilità da parte dei genitori. Il futuro
sta nell’educazione per cambiare atteggiamenti
e comportamenti.
Nel 2007 i Salesiani
hanno lanciato
il Programma di
apprendimento
accelerato (ALP)
per consentire ai
bambini lavoratori
minorenni che sono
fuori dalla scuola
ed esclusi dal
sistema educativo
formale di godere
del loro diritto
all‘istruzione.
Come vede il futuro?
Siamo ottimisti sui risultati attuali e futuri. Ci
sono un impegno e un accompagnamento da parte
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IN PRIMA LINEA
O. Pori Mecoi
Padre Nguyen Thinh Phuoc
Consigliere Regionale per Asia Est-Oceania
«Il raccolto è abbondante, ma
i lavoratori sono pochi. Insieme
all’Asia meridionale, il 33% della
popolazione mondiale risiede in
questa regione. Il campo apostolico
per la Chiesa e per i Salesiani in
particolare è estremamente vasto».
Padre
Nguyen è
vietnamita.
Può presentarsi?
Mi chiamo (Joseph) Nguyen Thinh Phuoc, nato in
una famiglia di dieci fratelli che è cresciuta in un am-
biente cattolico tradizionale e devoto. I ragazzi catto-
lici in Vietnam venivano incoraggiati nelle pratiche
di pietà e, se possibile, a pensare alla vita sacerdo-
tale o religiosa. Infatti, tutti i primi cinque ragazzi
della famiglia sono entrati negli aspiranti di varie
congregazioni (Fratelli Cristiani, Redentoristi e Sa-
lesiani). Dopo la Prima Comunione il desiderio di
avvicinarmi a Gesù il Signore è diventato sempre più
forte e il mio sogno si è realizzato quando sono sta-
to ammesso all’Aspirantato del Liceo Salesiano. Lo
spirito di famiglia, la vicinanza, la gioiosa familiarità
tra superiori, fratelli, chierici e studenti, l’alta qualità
dell’educazione cristiana nell’Aspirantato mi hanno
fatto sentire immediatamente che Dio mi chiamava
a questo stile di vita e non mi sono mai pentito di
aver risposto a questa chiamata giorno dopo giorno.
Come sono arrivati i Salesiani
nel Sud-Est asiatico?
I Salesiani sono arrivati nella Regione Salesiana
dell’Asia Orientale-Oceania all’inizio del xx se-
colo, con Macao (Cina) come prima destinazione
(1906), realizzando il sogno missionario di don Bo-
sco (la sua visione di Pechino!). Nei primi 3 decenni
del secolo, i salesiani si stabilirono in 5 Paesi. Dopo
la seconda guerra mondiale, altri 5 Paesi accolsero
i missionari. Negli ultimi due decenni del xx seco-
lo, i Salesiani hanno avviato opere in altri 5 Paesi.
Negli ultimi 20 anni del xxi secolo, altre presen-
ze (4 Paesi) sono state avviate da queste Ispettorie
consolidate come missioni di prossimità che stanno
diventando sempre più autonome nell’inculturare il
carisma salesiano.
Qual è la situazione generale
dei cristiani?
L’Asia Orientale-Oceania è una regione estrema-
mente vasta che attualmente comprende 22 Paesi
con differenze molto evidenti in termini di cultura,
lingua, storia, sviluppo economico-sociale, situa-
zione politica e, in particolare, affiliazione religiosa.
Ci sono Paesi in cui i cristiani sono la maggioranza,
come le Filippine (95%), la Papua Nuova Guinea
(93%) e l’Australia (60% con i cattolici al 22-23%).
Altri, con numeri più moderati, come la Corea del
10
MARZO 2023

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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Sud (11%), il Vietnam (7%). E in molti altri Paesi
la Chiesa cattolica, nonostante 500 anni di evan-
gelizzazione, è ancora una minoranza (Thailandia,
meno dell’1%; Giappone 0,05%) e, recentemente,
nuovo territorio missionario (Mongolia, 1000 cat-
tolici su una popolazione di 3,3 milioni).
Com’è il contatto con le altre religioni?
Per gli asiatici e gli abitanti del Pacifico in generale
(e anche per gli australiani che sono molto aperti
agli altri), essere diversi nell’adesione religiosa (cre-
denze, pratiche di pietà religiosa) non è una sfida
ma un’opportunità. Per migliaia di anni le princi-
pali religioni mondiali hanno attirato i credenti in
questi due continenti (Asia e Oceania) e hanno tra-
sformato le loro vite in modo da renderle più utili
e fruttuose per le loro comunità. L’insegnamento
cattolico insiste sull’umanità dell’individuo come
base di tutti i contatti, i dialoghi e le collaborazioni
che si svolgono giorno per giorno da secoli in Asia
e nel Pacifico (dal xvi secolo, quando arrivarono i
primi missionari). Oggi possiamo trovare migliaia
e migliaia di giovani non cristiani e non cattolici,
insieme ai loro genitori, che considerano l’ambiente
salesiano come la loro seconda casa.
Qual è la situazione attuale
dei Salesiani?
Attualmente i salesiani sono circa 1433 (fino al
2021) con un’età media di 55 anni. Dedicano la loro
vita in 80 scuole accademiche (che servono 110 000
studenti) e in più di 40 centri professionali (tecnici,
con 10 500 studenti) e 73 parrocchie (che servono
137 541 fedeli), insieme a più di 100 oratori (che ser-
vono 15 000 giovani) e ostelli/pensioni (45 che ser-
vono 4000 pensionanti). Tra le sette Regioni della
Congregazione, è la più piccola in termini numeri-
ci ma molto vivace in termini di evangelizzazione
e di invio di missionari ad gentes in altre Regioni.
Le statistiche presentate nel Capitolo generale 28
(2020) mostrano che il 40% degli attuali missionari
proviene da questa Regione (2014-2020).
Attualmente
nella
Regione Asia
Est-Oceania
i salesiani
sono 1433
con un‘età
media di
55 anni.
Quali sono i Paesi e le opere
più importanti?
I cambiamenti sociali dopo l’epoca coloniale hanno
portato molte rivoluzioni e molti Paesi asiatici sono
entrati nell’arena mondiale con grandi aspettative
di raggiungere gli altri stati. L’educazione è sempre
stata lo strumento più efficace. Molti missionari
salesiani hanno portato il carisma salesiano con il
loro zelo missionario, un carisma che si concentra
sullo sviluppo umano e cristiano attraverso opere
tradizionali come le scuole, le scuole tecniche che
possono essere collegate o circondare una comuni-
MARZO 2023
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2.2 Page 12

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IN PRIMA LINEA
tà parrocchiale. Queste sono ancora molto efficaci
in diversi Paesi in via di sviluppo, semisviluppati
o addirittura sviluppati, in quanto si rivolgono ai
giovani per trasformarli in buoni cittadini e devoti
credenti. Anche nelle stazioni missionarie dove l’e-
vangelizzazione sembra essere al centro dell’atten-
zione, prima o poi i Salesiani avviano qualche for-
ma di programma educativo per elevare la vita dei
giovani poveri di queste aree. I collegi o gli ostelli
con centinaia di ragazzi sono ancora molto diffusi
in numerose ispettorie dell’eao, perché rispondono
alle esigenze dei giovani che hanno un disperato
bisogno di un ambiente sicuro e adeguato agli studi
e alla formazione religiosa.
È noto che molte di queste opere sono molto
apprezzate dal governo e un buon numero di esse
riceve il suo sostegno.
E quelli che ispirano più speranza?
Sono i giovani che ispirano più speranza. In mol-
te case/scuole/oratori salesiani possiamo trovare
migliaia e migliaia di giovani che le frequentano
per ricevere una qualche forma di formazione. In
questo contesto, la crescita del carisma salesiano è
assicurata per le prossime generazioni, poiché molti
giovani aspirano a continuare le opere buone che i
Salesiani hanno offerto loro e, a loro volta, ne assu-
meranno le responsabilità. Possiamo vedere che an-
che in una società in cui la Chiesa è una minoranza
o in cui la società diventa sempre più fortemente
secolarizzata, Dio chiama ancora i giovani cattolici
a entrare nella vita salesiana.
Si avverte ancora una forte struttura familiare e un
forte legame che insiste sull’alto valore della comu-
nità. Non solo i giovani poveri che vengono sradi-
cati dal villaggio e dalla famiglia per andare in città
a cercare lavoro, ma anche i giovani professionisti
di maggior successo vedono nella famiglia il fon-
damento di una prosperità continua nella loro vita.
Più la Chiesa lavora sulla pastorale familiare, più
l’istituto educativo salesiano inculca e forma i gio-
vani a vivere i valori della famiglia, e più la società
è sulla strada giusta per il suo sviluppo, nonostante
tutte le minacce esterne dei mass media o della pro-
paganda liberale. E questa è una dimensione forte
alimentata dal carisma salesiano.
I collegi o gli
ostelli con
centinaia
di ragazzi
sono ancora
molto diffusi
in molte
ispettorie
dell‘EAO,
perché
rispondono
alle esigenze
dei giovani
che hanno
un disperato
bisogno di
un ambiente
sicuro e
adeguato agli
studi e alla
formazione
religiosa.
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MARZO 2023

2.3 Page 13

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Quali sono i problemi più acuti
del momento?
Il principale è come vivere la nostra identità cari-
smatica salesiana. I salesiani dell’eao hanno avuto
molto successo nella gestione di parrocchie, scuole e
oratori. Alcune Ispettorie hanno lasciato eredità in-
negabili con glorie nel passato e anche nel presente.
Molti dei fondatori del carisma salesiano sono stati
elevati agli onori degli altari (san Luigi Versiglia e
san Callisto Caravario) o sono in procinto di far-
lo (Cimatti, Braga, Majcen). Hanno lasciato i loro
Paesi per venire nell’Estremo Oriente asiatico, non
solo per educare ma anche per evangelizzare i gio-
vani e tutte le persone (!) Il cristianesimo ha qual-
cosa di unico e speciale da offrire ai popoli dell’Asia
e del Pacifico: Gesù Cristo. Sotto l’impatto globa-
le, anche molti Paesi dell’eao stanno diventando
sempre più laici, nonostante le loro radici familiari
religiose. Come mistici nello Spirito Santo, i Sale-
siani sono sfidati a testimoniare la completa antro-
pologia cristiana delineata da Gesù il Signore nella
loro vita quotidiana e nei loro servizi.
Allo stesso tempo, le differenze culturali, etniche e
persino religiose, invece di essere un tesoro comu-
ne da condividere, potrebbero essere manipolate da
forze politiche avide di potere e diventare fattori
disastrosi per destabilizzare i Paesi a livello interno
o regionale.
Quali sono i bisogni più urgenti?
Ogni Paese deve affrontare le proprie urgenze, che
sono piuttosto diverse e in qualche modo contra-
stanti. Tuttavia, qualunque sia lo stato raggiunto
dal Paese nella sua trasformazione sociale ed eco-
nomica, “i poveri sono sempre con voi!”. Per istinto,
i salesiani sono attenti a riconoscere le diverse for-
me di povertà che colpiscono i giovani (minoranze
etniche, immigrati, lavoratori migranti ecc.). Come
fare in modo che le forze interne raggiungano que-
sti giovani emarginati e assicurino loro un futuro?
Riconoscendo queste necessità, difficilmente un’I-
spettoria salesiana può offrire la soluzione senza
entrare in partnership con altre Ispettorie, come
chiede il Rettor Maggiore.
Come vede il futuro?
Il raccolto è abbondante, ma i lavoratori sono pochi.
Insieme all’Asia meridionale, il 33% della popola-
zione mondiale risiede in questa regione. Il campo
apostolico per la Chiesa e per i Salesiani in parti-
colare è estremamente vasto. Allo stesso tempo, la
Chiesa invita i suoi fedeli in Asia e nel Pacifico a
entrare in un triplice dialogo: dialogo con i poveri,
con la cultura e con le religioni. Con la loro identità
carismatica missionaria, i Salesiani si impegnano
nell’educazione e nell’evangelizzazione, dando la
priorità ai giovani poveri come parte sensibile della
società.
Essendo cresciuto e lavorando in un’Ispettoria (vie)
che ha perso quasi tutto durante e alla fine della
guerra (1954 e 1975), mettendo insieme qualcosa
di molto umile per ricominciare, credo che nessuna
difficoltà, nessuna sfida (interna o esterna) possa
impedire ai Salesiani di dedicare i loro servizi ai
giovani in difficoltà: Dio ama i giovani; don Bosco
amava i giovani; i bisogni dei giovani sono evidenti,
cioè la missione salesiana è significativa. Spetta a
ogni salesiano compiere questa missione affidata a
lui e alla sua comunità da Dio.
I Salesiani
collaborano
attivamente
con tutte
le famiglie
religiose
presenti nel
territorio.
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2.4 Page 14

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TEMPO DELLO SPIRITO
Carmen Laval
I 5 rimpianti più grandi
Bronnie Ware ha lavorato come
assistente ai malati terminali.
Questo lavoro l’ha portata a
scrivere “I cinque rimpianti più
grandi di chi sta per morire”. Il libro
ha avuto un successo mondiale.
Ecco la lista dei 5 rimpianti più grandi che provano
le persone in punto di morte:
Rimpianto 1: Vorrei aver avuto
il coraggio di vivere una vita fedele
ai miei princìpi e non quella che
gli altri si aspettavano da me
Viviamo in un mondo fatto di apparenze e di giu-
dizi. Spesso viviamo le nostre vite facendo esatta-
mente ciò che la gente si aspetta da noi o temendo
il giudizio degli altri. Il problema di questo modo di
vivere sta nel fatto che spesso andiamo contro i nostri
princìpi e contro ciò che il nostro cuore ci dice di fare.
Questo è uno dei rimpianti più comuni in assoluto ed
è uno dei rimpianti che causa più dolore perché ci
si rende contro troppo tardi degli errori commessi.
Quando il tempo inizia a scarseggiare tutto assume
un significato diverso. Ciò che prima reputavamo
importante, diventa insignificante e ciò che dava-
mo per scontato diventa fondamentale al punto da
rimpiangerlo per non averne compreso prima l’im-
portanza.
Rimpianto 2: Vorrei non aver
lavorato così tanto
Vivere una vita felice significa trovare un equili-
brio in tutte le cose: lavoro, famiglia, passioni.
Quando si dedica più tempo ad una cosa piuttosto
che un’altra, ecco che l’equilibrio viene meno ed è
proprio questo fatto che ci fa rimpiangere di non
aver dedicato del tempo prezioso anche alla fami-
glia o alle nostre passioni.
Ora immaginate di non avere più la possibilità di
godere della presenza di vostra/o moglie/marito/
madre/padre/nonna/nonno (o le persone che ama-
te, chiunque esse siano).
Come vi sentireste pensando al fatto che avete dedi-
cato gran parte della vostra vita al lavoro senza aver
potuto apprezzare il tempo con le persone che amate?
Rimpianto 3: Vorrei avere avuto
il coraggio di esprimere i miei
sentimenti
L’incapacità di esprimere i propri sentimenti nei
confronti delle persone che amiamo è uno dei peg-
giori mali del nostro tempo.
Spesso si ha paura di aprirsi e di essere sinceri e questa
paura è dovuta al dolore che può derivare dalla
nostra onestà (anche se questo fosse provocato solo
dal semplice imbarazzo).
Tutte le cose che ci avevano caratterizzato da bam-
bini, come la sincerità, la purezza e la trasparenza,
vengono perse per strada e ci ritroviamo soli e sepa-
rati gli uni dagli altri.
La paura del dolore, di un rifiuto, del giudizio ci
fa innalzare questi muri che ci allontanano dagli
altri e che allontanano gli altri da noi. Il problema
è che ci fanno perdere una fetta preziosissima della
nostra vita.
Rimpianto 4: Vorrei essere rimasto
in contatto con i miei amici
“La cosa che mi manca più di tutte sono le mie amicizie.
Alcuni sono morti. Altri sono in situazioni come la mia.
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2.5 Page 15

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Con altri ancora ho perso i contatti. Vorrei non averlo
fatto. Pensi che gli amici ci saranno sempre. Ma la vita
va avanti e improvvisamente ti ritrovi senza più nes-
suno al mondo che ti capisca o che sappia qualcosa della
tua storia.”
Ecco un altro rimpianto molto comune e non è un
caso che lo sia.
Siamo animali sociali e questo nostro istinto ci
porta a sviluppare costantemente relazioni sociali o
comunque ci porta a desiderare un confronto con le
altre persone, anche al solo fine di passare il tempo.
La solitudine è un altro grande male del nostro
tempo. Un amico (vero) è probabilmente la persona
che più ti può aiutare e supportare nella vita.
Un amico è l’unico che può capire come ti senti (o
quantomeno avvicinarsi a capirlo) poiché è con il
tuo amico che ti puoi aprire senza avere la paura di
essere giudicato. È quello che fa un vero amico: ti
ascolta, ti aiuta e ti supporta.
Rimpianto 5: Vorrei aver permesso
a me stesso di essere più felice
“Ogni giorno è un dono adesso, sai. È sempre stato così,
ma solo ora ho rallentato il ritmo abbastanza da riusci-
re a scorgere l’enorme bellezza che ogni giorno ci offre.
Possiamo dare così tante cose per scontate.” Possiamo
scegliere ogni giorno di essere felici e di agire come
se lo fossimo. In realtà possiamo essere tutto quello che
desideriamo se ci diamo la possibilità di esserlo.
La gratitudine, se praticata tutti i giorni e, magari,
per il resto della vita, è una forza molto potente.
In genere ci focalizziamo sul volere sempre di più
dalla vita: più soldi, più relazioni, più cose…
Ma se questo può essere considerato un modo per
spronarci ad avanzare, potrebbe, sul lungo termi-
ne, rivelarsi controproducente se non c’è una forza
uguale e contraria a fare da equilibrio.
Quella forza è la gratitudine. Apprezzare ciò
che già abbiamo è la cosa più importante da fare.
Apprezzare ogni singolo nuovo giorno su questa
terra, apprezzare il momento presente (l’unico
vero momento che esiste), apprezzare le cose che
abbiamo, anche quelle più piccole, come una
penna o l’acqua calda, ci consente di focalizzarci
sull’abbondanza che già possediamo.
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2.6 Page 16

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LE CASE DI DON BOSCO
La comunità
Le tante vite di Ivrea
Dal settembre 2020 la gestione
dell’Opera è stata affidata
dall’Ispettore salesiano ai laici:
Melisenda Mondini, salesiana
cooperatrice, è stata nominata
nuova Direttrice ed affiancata
da un gruppo di Cooperatori
che già da molti anni collabora
all’interno della Casa di Ivrea e
che ha preso a cuore la missione
salesiana come una scelta anche
di vita, oltre che professionale.
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2.7 Page 17

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Il nostro ieri
L’Istituto “Cagliero” na-
sce nel 1892 e il suo nome
riporta ad una grande per-
sona, il cardinal Cagliero,
nato a Castelnuovo d’Asti, un
uomo che, seguendo le orme di
don Bosco, dedicò la sua vita ai giovani
e alle missioni. I Salesiani aprirono la loro Casa a
studenti provenienti da tutta Europa e “a novizi” che
giunsero da ogni parte d’Italia. Da subito l’attenzio-
ne al territorio e la vicinanza alla popolazione furono
di primaria importanza: i Salesiani di Ivrea inizia-
rono a coltivare il cuore e la mente di numerosi gio-
vani, accogliendoli nell’oratorio che venne fondato
nel 1910. Sicuramente fu la realizzazione del sogno
più grande di don Bosco che prevedeva la presenza
della musica, dello sport, del teatro e delle attività di
assistenza scolastica per i ragazzi in difficoltà.
Anno memorabile fu il 1922, quando vennero aperte
le porte ai giovani missionari che volevano preparar-
si per affrontare il loro cammino e così numerosi ra-
gazzi accorsero da tutta Italia. Possedevano un cuore
grande, pronto al sacrificio, pur
di soccorrere il prossimo. Il loro
operato (si pensi che i missio-
nari furono ben 962) portò aiuto
materiale e spirituale alle popola-
zioni in difficoltà dislocate in ogni
parte del mondo.
Il nostro oggi
La Casa salesiana del cardinal Cagliero si fregia
ancora oggi del titolo di un tempo: Istituto Mis-
sionario.
Continua infatti la sua mission in Ivrea e nel territo-
rio circostante, concentrandosi negli ultimi decen-
ni sull’accompagnamento dei giovani, accogliendo
tutti, senza preclusioni sociali, religiose e culturali.
Porta avanti con fie-
rezza la volontà di
don Bosco, cioè acco-
glie ed educa i ragaz-
zi, ponendosi come
traguardo quello che
si propose il fondato-
L‘Istituto pone
le sue basi
nell’accogliere
il ragazzo con
particolare
attenzione alla
sua situazione
di partenza
umana,
culturale e
spirituale, nel
farlo maturare
come persona,
curando
intelligenza,
volontà,
socialità e
bontà e nel
promuovere
la crescita
integrale.
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2.8 Page 18

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LE CASE DI DON BOSCO
L’ampia
proposta
di attività
laboratoriali
consente la
socializzazione
e la creatività
in ambito
artistico,
musicale,
sportivo e
teatrale.
re della congregazione salesiana con il suo primo
Oratorio, ovvero formare “onesti cittadini e buoni
cristiani”, in un clima di accoglienza, evangelizza-
zione, studio e allegria.
L’Istituto infatti pone le sue basi nell’accogliere il
ragazzo con particolare attenzione alla sua situa-
zione di partenza umana, culturale e spirituale, nel
farlo maturare come persona, curando intelligenza,
volontà, socialità e bontà e nel promuovere la cre-
scita integrale e la piena realizzazione della persona
nel contesto sociale grazie ad un cammino che si
snoda tra la Scuola Primaria e la Scuola Secondaria
di Primo Grado.
Un cambiamento epocale
Dal Settembre 2020 la gestione dell’Opera è stata
affidata dall’Ispettore salesiano ai laici: Melisenda
Mondini, salesiana cooperatrice, è stata nomina-
ta nuova Direttrice ed affiancata da un gruppo di
Coope­ratori che già da molti anni collabora all’in-
terno della Casa di Ivrea e che ha preso a cuore la
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2.9 Page 19

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missione salesiana come una scelta anche di vita,
oltre che professionale.
Questa nuova gestione ha a capo un Consiglio di
Indirizzo presieduto dall’Ispettore salesiano con la
presenza del Delegato di Pastorale Giovanile, l’E-
conomo Ispettoriale, la Direttrice dell’Opera e il
Delegato salesiano.
Melisenda Mondini ha accolto questa pionieristica
proposta con entusiasmo, con consapevolezza e con
la profonda convinzione che la Casa salesiana di
Ivrea avrebbe dovuto continuare ad essere sul terri-
torio faro di accoglienza e solidarietà.
Immediata è stata la sua opera di coinvolgimento,
in questa innovativa e affascinante sfida, del perso-
nale docente e ausiliario: ciascuno ha raccolto con
estrema cura il carisma salesiano, interpretandolo
rispettosamente alla luce della propria vocazione
e seguendo le parole di papa Francesco: “Il Signore
desidera che facciamo della vita un’opera straordinaria
attraverso i gesti ordinari, i gesti di ogni giorno. Lì
dove viviamo, in famiglia, al lavoro, ovunque, siamo
chiamati a essere testimoni di Gesù, anche solo donando
la luce di un sorriso”.
Dunque testimoni, ma anche missionari, non
in terre lontane, ma nel proprio contesto di vita,
perseguendo l’obiettivo non semplice, ma entusia-
smante, di formare ragazzi capaci di affrontare con
umanità e coscienza le sfide del Mondo, collabo-
rando proficuamente in questo intento con la Pa-
storale Giovanile della Diocesi di Ivrea.
Il cambiamento è stato accolto dalle famiglie degli
studenti con estrema serenità e fiducia: grande
è stata la disponibilità di molti a proseguire il
cammino scolastico ed extrascolastico in un clima
di familiarità e dialogo.
Spirito innovativo
Sulla scia di questa evoluzione, si è mirato ad im-
plementare quello spirito innovativo che contrad-
distingue l’Istituto Cardinal Cagliero già da diversi
anni: gli alunni possono infatti fruire delle lim, di
una rete wifi, di libri digitali, di Ipad per le attività
dei singoli o per quelle in cooperative learning, di
un’aula digitale dotata di un computer per ciascuno,
di strumenti di robotica educativa motivanti e coin-
volgenti e di una stampante 3d.
L’innovazione si respira anche nei numerosi pro-
getti didattici e laboratori educativi che nel corso
di questi anni sono stati proposti agli alunni e che
contraddistinguono l’offerta formativa della scuola:
nel corso del primo ciclo di istruzione gli allievi,
attraverso un progetto di potenziamento linguisti-
co, hanno l’opportunità di acquisire solide compe-
tenze comunicative ed espressive nella lingua in-
glese grazie ad un orario che prevede due ore in
più di lezione rispetto alle tre ore curricolari e al
supporto degli insegnanti madrelingua; gli allievi
inoltre possono conseguire la certificazione icdl,
riconosciuta in più di 100 Paesi che attesta il li-
vello essenziale di competenze informatiche e web.
L’ampia proposta di attività laboratoriali consente
poi la socializzazione e la creatività in ambito arti-
stico, musicale, sportivo e teatrale.
Tutto questo intorno al cuore della scuola: il Cardi-
nal Cagliero infatti si sviluppa intorno ai suoi cor-
tili, proprio come voleva don Bosco; il cortile era
infatti il luogo dove lui raccoglieva i ragazzi del suo
oratorio per conquistarli ed è il luogo dove ancora
oggi ragazzi, docenti ed educatori si incontrano per
portare avanti il suo grande progetto.
Dal Settembre
2020 la
gestione
dell‘Opera è
stata affidata
dall‘Ispettore
salesiano
ai laici:
Melisenda
Mondini,
salesiana
cooperatrice,
è stata
nominata
nuova
Direttrice ed è
affiancata da
un gruppo di
Cooperatori.
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2.10 Page 20

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GIOVANI
Sarah Laporta
Fabio Aynaudi
La sua prima esperienza è stata come
animatore in un oratorio parrocchiale,
recentemente è stato nominato
Segretario del Movimento Giovanile
Salesiano per il Piemonte ed eletto
coordinatore della Segreteria
nazionale.
«Sono
segretario
del MGS del
Piemonte,
un gruppo di
ragazzi con cui
la segreteria,
il delegato e
la consigliera
di pastorale
giovanile si
confrontano
sui cammini,
gli eventi e le
proposte che
riguardano
tutto il
territorio».
Ti puoi presentare?
Sono Fabio Aynaudi, ventitré anni, laureando ma-
gistrale in storia presso l’Università degli studi di
Torino con il sogno di poter presto, con il carisma
salesiano, insegnare ai ragazzi della scuola media.
Sono cresciuto a Fenestrelle, un piccolo paese della
val Chisone che conta poche centinaia di abitan-
ti. Lì l’estate è sempre stata il momento più atteso,
perché i tanti villeggianti che frequentano Fene-
strelle la rendono viva e animata, ma soprattutto
perché da una quindicina di anni, più precisamente
dal 2006, prima alcuni animatori poi sempre di più
con il passare degli anni, si impegnano ad organiz-
zare qualche settimana di estate ragazzi per i bam-
bini e i ragazzi.
L’Oratorio Mamma Margherita di Fenestrelle
conta tra animatori e ragazzi poco più di un cen-
tinaio di persone, non ha sicuramente i numeri di
un grande oratorio di città, ma un contesto così
ristretto consente di avere una cura delle attività
e delle relazioni del tutto unica e introvabile in
altre realtà.
Che cos’è l’Oratorio per te?
Cresciuto in questo contesto oratoriano atipico,
senza un sacerdote incaricato ma con grandi esempi
di animatori più grandi mi sono trovato a segui-
re un iter che ho trovato per me naturale; dopo la
terza media iniziare a dare una mano come aiuto
animatore, poi animatore per tutta la durata delle
superiori e dal 2018, quando chi era responsabile
e coordinatore dell’oratorio ci ha comunicato che
non avrebbe più potuto occuparsene, insieme ad
altri ragazzi della mia età abbiamo preso in mano
come responsabili quello che per noi era stato casa,
svago, divertimento, amicizia e famiglia.
Appena maggiorenni le difficoltà incontrate non
sono state poche, tanti errori, tanti tentativi falliti,
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3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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ma anche grandi soddisfazioni e soprattutto tan-
ti passi fatti in particolare per noi e per il gruppo
animatori.
Come hai incontrato i Salesiani?
Il 2018 è un anno molto significativo per me. Ap-
pena terminate le settimane di estate ragazzi del
primo anno da responsabile, sicuramente il più fa-
ticoso, confuso e meno fruttuoso, partecipai ad un
pellegrinaggio estivo proposto dal mgs Piemonte:
invitato quasi controvoglia da mio fratello, ora lo
ricordo come un punto di svolta determinante nel
mio percorso.
Fu il primo vero incontro con il mondo salesiano:
fino a quel momento guardandolo da fuori avevo
pensato “non fa per me”, ma in quel pellegrinag-
gio, in un momento di tanti cambiamenti quali
l’imminente inizio dell’università e l’estate ragazzi
appena finita, vissuta in maniera tanto diversa dal
solito, mi sono sentito smontare nelle mie certezze
da quel contesto che prima mi pareva distante da
me e avevo bisogno di ricostruire, ma non più da
solo. Fino a quell’estate il mio cammino di fede era
estremamente infantile, fermo, fatto di abitudini e
di qualche messa nel periodo estivo, ma non basta-
va più, c’era per la prima volta un aspetto emotivo e
di relazione che non capivo.
Ho iniziato l’accompagnamento spirituale e da qui
tanti passi. Il mgs è diventato sempre più parte del-
la mia agenda, tra proposte di servizio come l’mgs
day o i Savio Club e altre di cammino come gli
esercizi spirituali o i gruppi ricerca… Ho anche
svolto il servizio civile presso la pastorale giovanile
di Valdocco, sperimentando in quell’anno anche la
vita in comunità salesiana, trovandomi circondato
da grandi esempi di adultità. Gli errori, le cadute e
gli sbagli non sono scomparsi, ma una vita di fede
attiva e in relazione mi ha sicuramente cambiato
molte prospettive ed è cambiato il paradigma con
cui guardavo la mia vita.
La preghiera, l’accompagnamento ed il servizio
li considero ora tre gambe di uno sgabello: sen-
za una di queste non posso “stare in piedi”, e con
l’aiuto di una guida ho potuto riordinare tanti
aspetti della mia vita, dallo studio al divertimen-
to fino alle relazioni. Questo mi ha fatto portare
più frutto anche nell’oratorio di Fenestrelle, mi
divenne più chiaro quanto fosse importante per i
ragazzi quella realtà e ci rendemmo conto di avere
tra le mani qualcosa di davvero grande. Gli anni
seguenti da responsabili andarono sempre meglio,
l’esempio dell’oratorio di don Bosco ci ha aiutati a
far crescere anche la piccola realtà di Fenestrelle,
il gruppo animatori crebbe molto e oggi è in grado
di camminare da solo.
«Il mondo
salesiano è
diventato
nel tempo
sempre più
quotidiano
per me, e
sento mio il
carisma di
don Bosco».
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3.2 Page 22

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GIOVANI
La famiglia salesiana in questi anni mi ha
accolto, cresciuto e si è rivelata concretamente
una “famiglia”, sono immensamente grato
al Signore di avermi fatto incontrare ciascuno
dei ragazzi, salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice
che mi hanno accompagnato.
Con gli altri corresponsabili abbiamo infatti deci-
so di iniziare a passare il testimone ai più giovani,
per consentire loro di vivere quanto abbiamo avu-
to la fortuna di vivere noi e perché diventando noi
giovani adulti alcuni impegni rendono proibitivo
dedicarsi a tempo pieno all’oratorio Mamma Mar-
gherita, che resta comunque il luogo che, anche se
ci è voluto del tempo per capirlo, mi ha concesso di
mettermi davvero a servizio e nel quale ho potuto
incontrare il Signore in ogni ragazzo che è passato
da lì.
Come vedi il Movimento Giovanile
Salesiano?
Il mondo salesiano è diventato nel tempo sempre
più quotidiano per me, e sento mio il carisma di
don Bosco, dal 2020 faccio parte della consulta
mgs del Piemonte, un gruppo di ragazzi con cui
la segreteria, il delegato e la consigliera di pastorale
giovanile si confrontano sui cammini, gli eventi e
le proposte che riguardano tutto il territorio. Negli
ultimi anni si sta investendo molto sulla consulta,
nata proprio nel 2020, poiché crediamo fortemente
in una vera e concreta corresponsabilità tra giova-
ni, salesiani e figlie di Maria Ausiliatrice cercando
di rispecchiare appieno quello che è il Movimento
Giovanile Salesiano.
Come consulta, quando ci si incontra si cammina
insieme sulla scia di quella che è la proposta pasto-
rale, ci si confronta sugli eventi passati e si pensa
insieme a quelli futuri, si scambiano idee e proposte
in un clima tanto professionale quanto familiare e
di comunità. Ad ora conta circa 25 persone tra cui
15 giovani rappresentativi di molte delle realtà sa-
lesiane del territorio.
Com’è il tuo impegno, oggi?
Recentemente sono stato nominato Segretario mgs
per il Piemonte ed eletto coordinatore della Segre-
teria nazionale, composta da un giovane rappresen-
tante per ogni territorio dell’Italia salesiana, don
Roberto Dal Molin e suor Mara Tagliaferri.
Con la segreteria nazionale ci incontriamo mensil-
mente, presso il centro nazionale al Pio XI a Roma
oppure in una casa dell’Italia salesiana che ci ospita,
permettendoci anche di conoscere nuove realtà di
territori diversi dal nostro. L’obiettivo della segre-
teria nazionale è di accompagnare i vari territori nel
camminare insieme, così da costruire un’identità di
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MARZO 2023

3.3 Page 23

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Italia salesiana partendo dalle realtà di ogni terri-
torio. Nello specifico ha compiti propositivi, ope-
rativi ed esecutivi su mandato della Consulta na-
zionale (organo composto dalle segreterie di ogni
territorio), ascoltando, rielaborando, raccogliendo i
frutti e portando a concretezza le questioni emerse
negli incontri con la consulta, dando per esempio
forma alla proposta pastorale che accompagnerà il
movimento giovanile salesiano l’anno successivo.
Il ruolo di coordinatore non è di presidenza ma di
servizio, ci si occupa di organizzare il lavoro del-
la segreteria, in collaborazione con don Roberto e
suor Mara si convoca, si prepara l’ordine del giorno
e si guidano gli incontri con la consulta nazionale.
La famiglia salesiana in questi anni mi ha accolto,
cresciuto e si è rivelata concretamente una “fami-
glia”, sono immensamente grato al Signore di aver-
mi fatto incontrare ciascuno dei ragazzi, salesiani
e delle figlie di Maria Ausiliatrice che mi hanno
accompagnato e con cui tutt’ora ho la fortuna di
condividere e camminare insieme. Il movimento
giovanile salesiano è proprio questo: camminare,
costruire e servire insieme giovani, sdb e fma. Il
desiderio è quello di poter aiutare ad offrire ad altri
esperienze e cammini di livello che davvero cambi-
no la vita come è stato per me.
«Il
movimento
giovanile
salesiano è
camminare,
costruire
e servire
insieme
giovani, SDB
e FMA».
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3.4 Page 24

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FMA
Emilia Di Massimo
Da aqu1e2s0taapnanrite
A Biancavilla, in provincia di Catania, la frase
normale di ragazzi e giovani è “Andiamo
dalle Sorelle. Con loro si sta bene!”.
Don Bosco in piazza
Giungono 120 anni fa e vengono accolte volentie-
ri, diventano parte integrante del territorio confer-
mando la lungimiranza sia del cardinale Giuseppe
Francica Nava, il quale propose l’apertura della casa
per le Figlie di Maria Ausiliatrice, sia dell’Ispettri-
ce suor Maddalena Morano la quale si rese presente
per aiutare a porre le basi della costruzione della
casa, completata nel 1908 con la generosità della
benefattrice Francesca Messina.
Siamo a Biancavilla, un comune in provincia di Ca-
tania dove le Figlie di Maria Ausiliatrice proseguo-
no la missione educativa; mediante la loro presenza
sono nati svariati gruppi diventanti in seguito atti-
vamente appartenenti alla Famiglia salesiana. Ab-
biamo chiesto ad Antonio Zappalà, collaboratore
Video Star, di indicarci alcuni gruppi: “è d’obbligo
nominare le ex allieve le quali si sono impegnate a
portare avanti molte attività e i valori sui quali si
fonda l’opera. Negli anni ’70 è nato il gruppo dei
Salesiani Cooperatori che, promuovendo i valori di
don Bosco, si è impegnato a portare avanti le attività
educative per i giovani, come ad esempio il grest
durante il periodo estivo. Successivamente il grup-
po ha proposto anche la realizzazione di una Piaz-
za dedicata a don Bosco, giungendo a far costruire
una statua che lo raffigura insieme a due ragazzi”.
Le attività tuttavia non si limitano al grest in
quanto negli anni si sono moltiplicate: a partire da
una semplice Casa per le orfane del paese sono ar-
rivate ad avere la scuola sia per l’infanzia sia per
la primaria; l’Istituto propone inoltre anche alcune
attività che si svolgono durante l’oratorio pomeri-
diano per i giovani.
Il contagio della gioia
La storia della Casa è caratterizzata dall’impegno,
dalla coerenza e soprattutto da una gioia contagio-
sa. Generazioni di giovani hanno messo a disposi-
zione la loro presenza guardando a don Bosco, tra-
smettendo la sua importanza educativa ai loro figli
che così hanno seguito le stesse orme collaborando
con le suore, sempre pronte a sorridere, ad acco-
gliere tutti e ad avere una parola giusta per ognuno,
proprio come faceva don Bosco con i suoi ragazzi.
La Direttrice dell’Istituto Maria Ausiliatrice di
Biancavilla, suor Biagina Calanni Billa, ha rilasciato
un’intervista rispondendo alle domande che seguono.
Dopo 120 anni di attività a Biancavilla,
come vede la presenza salesiana?
“Biancavilla è sempre stata caratterizzata dalla pre-
senza delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Le suore
sono state costantemente parte integrante non solo
della società ma dei gruppi giovanili, facendosi ac-
cogliere con entusiasmo. Nonostante i tempi siano
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3.5 Page 25

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cambiati, la presenza salesiana rimane un punto di
riferimento per i giovani che ancora oggi continuano
a frequentare le nostre attività, soprattutto il Centro
Aggregativo. Noi come Istituto non coinvolgiamo
solo i giovani ma l’intera Comunità biancavillese,
soprattutto nelle festività che appartengono alla Fa-
miglia salesiana. È bello vedere come la comunità si
senta ancora coinvolta nelle varie iniziative e come
l’Istituto si riempia di una gioia che contagia, soprat-
tutto in occasione di ricorrenze importanti, quali la
festa don Bosco e di Maria Ausiliatrice, le quali fa-
voriscono l’incontro con le varie realtà educative.”
Quale difficoltà vede per raggiungere
i giovani del territorio, quali sono
i problemi?
“Tutt’ora ci sono ragazzi e giovani che, per svariati
motivi, vivono situazioni di disagio familiare, so-
ciale, culturale. Uno dei problemi principali è sicu-
ramente quello dei giovani che restano ai margini
della società e che quindi stentano ad essere coin-
volti e a lasciarsi coinvolgere da altri giovani che vi-
vono il senso di appartenenza a gruppi di impegno
o esperienza simili. Il nostro compito come Figlie di
Maria Ausiliatrice è quello di garantire il Sistema
Preventivo, ovvero lo stile educativo vissuto sia da
don Bosco sia da Maria Domenica Mazzarello. È
urgente raggiungere i giovani lì dove sono, far capire
loro che possono guardare al futuro mettendosi in
gioco con coraggio, guidarli nella ricerca del senso
della vita, aiutarli a scoprire e accettare il progetto di
Dio, sostenerli nella ricerca dei loro punti di forza,
parafrasando don Bosco che direbbe “il punto acces-
sibile al bene”! Per noi Figlie di Maria Ausiliatrice,
pertanto, è urgente entrare in dialogo con i giovani,
ascoltarli, essere empatici nei loro confronti.”
Per il futuro quale impegno sinodale
può realizzare la Famiglia Salesiana
di Biancavilla, in particolare per
incontrare i giovani?
“Un impegno sinodale che sicuramente potrà rag-
giungere i giovani di oggi, ma anche le generazioni
future, è quello di lavorare in sinergia con le altre
agenzie educative presenti nella realtà biancavillese;
la collaborazione e la responsabilità condivisa con le
altre Istituzioni ecclesiastiche del territorio, il dialogo
con le famiglie, l’ascolto e il confronto con i giovani
sono elementi necessari per rispondere insieme alle
sfide educative e pastorali, nello stile salesiano che an-
cora oggi si traduce in vicinanza, familiarità e gioia”.
La famiglia salesiana a Biancavilla è viva e, nono-
stante le difficoltà, è proiettata verso il futuro con
speranza. La Casa delle Salesiane continuerà ad
essere sempre al servizio della gente, della comuni-
tà e ogni giovane biancavillese non potrà che dire,
come da 120 anni a questa parte: “Andiamo dalle
Sorelle. Con loro si sta bene!”.
La storia della
presenza
salesiana a
Biancavilla è
caratterizzata
dall’impegno,
dalla coerenza
e soprattutto
da una gioia
contagiosa.
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3.6 Page 26

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LA STORIA CONTINUA
Giampietro Pettenon
Museo Casa don Bosco
Alla scoperta di un edificio ricco di storia.
Pianta di
Torino nel
1839. In alto
a sinistra
la zona
disabitata di
Valdocco.
A Valdocco anche i muri parlano
di don Bosco
Negli anni trascorsi a Torino-Valdocco ho ricevuto
l’incarico dal Rettor Maggiore don Ángel Fernán-
dez Artime, di coordinare i lavori di progettazione,
di realizzazione del restauro conservativo e di al-
lestimento del museo Casa don Bosco. È stato un
periodo intenso ed impegnativo. Intenso, perché
si metteva mano alla casa delle origini del carisma
salesiano, la casa costruita dallo stesso don Bosco,
in poche parole ad una vera e propria reliquia, da
trattare come tale. Impegnativo, perché il coordina-
mento delle competenze di altissimo livello espresse
dall’architetto, dal museografo, dal museologo e dal
responsabile della comunicazione, ciascuno a capo
di un pool di professionisti e di maestranze, non
è stata cosa facile. Nella fase iniziale di ripulitura
dell’edificio dalle superfetazioni che la fantasia dei
salesiani e le necessità del tempo avevano richiesto,
le sorprese non sono mancate e, a volte, sono state
davvero emozionanti.
Togliere con delicatezza dai muri originali le aggiun-
te di pareti, pavimenti e solai rifatti con materiali
non adatti e gli impianti obsoleti ed invasivi, è stato
come accarezzare la mano della nonna chiedendole
di raccontarci la storia della sua giovinezza. E la
nonna non ci ha deluso. Quello che questo edificio
ci ha rivelato di sé, del contesto in cui fu costruito,
delle scelte di don Bosco, lo presento nelle pagine
di questo breve testo. Sollecitato a questo da nu-
merosi amici e confratelli salesiani che sentendomi
raccontare le scoperte che quotidianamente si rive-
lavano a noi, mi hanno fortemente spinto a scrivere.
La gran parte di ciò che viene raccontato lo ripren-
do dal lavoro di coloro (salesiani e laici) che finora
hanno studiato e scritto la vita di don Bosco e delle
origini della Congregazione Salesiana.
II territorio fra Corso Regina
Margherita e la Dora
La città di Torino viene fondata dai romani alla
confluenza tra il Po e la Dora Riparia. Dei due
fiumi, però è la Dora che ha sempre rivestito per i
torinesi un’importanza particolare dal punto di vi-
sta sociale ed economico. Il Po, che arriva a Torino
da sud, lambisce placidamente la città, è ampio e
funge da difesa naturale.
La Dora invece, a regime torrentizio, arriva dalla
Valle di Susa a nord ovest di Torino con tanta ener-
gia, a causa del dislivello naturale.
Valdocco si trova a nord di Torino, appena fuori le
mura della città, dentro l’alveo naturale del fiume
Dora. Ancora oggi notiamo la pendenza delle vie
del quartiere, e tra queste vi è anche Piazza Maria
Ausiliatrice, che da Corso Regina Margherita scen-
dono verso la Dora. Qui nel periodo di don Bosco
è un pullulare di attività: magli, segherie, mulini,
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tessiture di lana. È la zona delle attività produttive
perché l’acqua della Dora, prelevata a monte della
città tramite canali artificiali, faceva funzionare le
varie macchine ad energia idraulica. Altra caratte-
ristica di Valdocco ai tempi di don Bosco è la sua
collocazione a ridosso di uno dei grandi viali che
costituiscono la nuova cintura della città, grandi
strade volute da Napoleone durante il periodo di
annessione del Piemonte alla Francia (1800-1814).
Per decreto di Napoleone, le città murate del
Piemonte devono smantellare la cinta difensiva.
I francesi, da un punto di vista politico, vogliono
dare un segnale forte alla città di Torino: non deve
più difendersi dai francesi, perché adesso sono loro
i padroni di casa.
Dal punto di vista sociale essi ritengono che sia il
momento di aprire le città ai territori circostanti e
alla campagna. Quindi questo tipo di difesa non
è più necessario. Fanno radere al suolo le difese
militari della città settecentesca, che sono un
terrapieno e, spianandole, costruiscono i primi
grandi viali di Torino. Uno di questi è proprio
Corso Regina Margherita (allora si chiamava Cor-
so San Massimo), che terminava nel grande Rondò
della Forca da cui iniziava Corso Principe Eugenio.
Luoghi ben conosciuti e visibili tutt’oggi. La parte
centrale dei grandi viali, diremmo oggi, era riserva-
ta all’alta velocità. Facilitava infatti lo spostamento
dei carri carichi di merci e il transito delle carrozze,
ed era a loro riservato. I controviali ai lati invece
servivano ai pedoni, erano i grandi marciapiedi del
tempo. E di gente che andava a piedi ce n’era molta.
Quando leggiamo che don Bosco, alla sera, con-
gedandosi dai giovani a Porta Palazzo li mandava
Il complesso
delle opere
salesiane di
Valdocco,
oggi.
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3.8 Page 28

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LA STORIA CONTINUA
Il sito,
indicato dalla
Madonna,
dove sarà
costruita la
Basilica.
tutti a casa e i più grandi lo riaccompagnavano fino
all’oratorio, camminavano proprio nei controviali
dell’attuale Corso Regina Margherita. Don Bosco
arriva dunque a Valdocco, e non è il primo dei santi
sociali torinesi dell’Ottocento a stabilirvisi perché
prima di lui erano già operativi il Rifugio della
Marchesa di Barolo (1823) e la Piccola Casa della
Divina Provvidenza del santo Benedetto Cottolen-
go (1832).
Una periferia vivace e laboriosa
Don Bosco trova una periferia abitata soprattutto
da giovani immigrati dalle campagne e dalle valli
del Piemonte, impiegati nell’edilizia o nelle attivi-
tà produttive. E questi sono anche i primi ragazzi
che don Bosco accoglie in Oratorio: muratori che
lavoravano sulle impalcature alla costruzione dei
palazzi prospicenti i nuovi viali e operai impiegati
nelle officine della zona. Le case che ci sono in
zona, quando arriva don Bosco, non sono cascine di
campagna a vocazione agricola e nemmeno le case
di abitazione dei proprietari: in casa Pinardi non
abitava il signor Pinardi, in casa Moretta non abitava
il signor Moretta (che era un prete), in casa Filippi
non abitavano i fratelli Filippi, in casa Bellezza non
abitava una donna bellissima... Il nome della casa era
il cognome della famiglia proprietaria dell’immobile.
Erano tutte «case di ringhiera», praticamente dei
condomini popolari del diciannovesimo secolo, case
affittate stanza a stanza.
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3.9 Page 29

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Sappiamo che nell’inverno del 1845-46 don Bosco
prende a pigione tre camere in casa Moretta (la casa
si trovava dove adesso vi sono gli uffici parrocchiali
e l’ostello Mamma Margherita).
L’abitazione viene descritta come una casa lunga
con nove stanze al piano terra e altrettante al primo
piano, a cui si accedeva tramite una scala esterna e
un ballatoio comune.
In quelle tre stanze, dal novembre 1845 al marzo
1846, don Bosco avvia la prima scuola serale di To-
rino. Fa scuola a 200 ragazzi. Ricevette lo sfratto a
causa delle lamentele dei vicini. Casa Filippi invece
si trovava esattamente dove oggi vi è il negozio di
souvenir e la libreria, dentro Valdocco. In quella casa
al primo piano c’era una filanda, mentre nei magaz-
zini e locali laterali della corte vi era il deposito dei
carretti comunali e nelle stanze soprastanti trovava-
no alloggio i carrettieri. Nei lavori di ristrutturazio-
ne (2016) degli ambienti destinati ai pellegrini che
visitano Valdocco, è emerso il muro di facciata della
casa adiacente a casa Filippi, caratterizzata dall’am-
pio porticato in cui venivano parcheggiati i carretti.
Nel muro perimetrale del dehor del bar di Valdoc-
co, si possono vedere le arcate, le colonne in mattoni
rossi con il marcapiano in pietra chiara e le chiavi
metalliche di bloccaggio dei tiranti di questo edificio
che, molto probabilmente, è oggi il reperto edificato
più antico che abbiamo a Valdocco.
Casa Pinardi
Casa Pinardi, costruita dai fratelli Filippi, viene
comprata dal signor Pinardi il 14 luglio 1845 come
investimento che garantisce una rendita grazie
all’affitto dell’intera casa concluso con Pancrazio
Soave il 10 novembre 1845.
Sul retro della casa, il signor Pinardi fa costruire
una tettoia anch’essa concessa in affitto al signor
Pancrazio Soave (fabbricante di soda), il quale a
marzo del 1846 la subaffitta a don Bosco. Partico-
lare interessante che lo stesso don Bosco ci raccon-
ta nelle sue Memorie dell’Oratorio, giocando sulle
parole, è che lui cerca un “oratorio” e il Soave gli
offre la disponibilità di un “laboratorio” a conferma
che in questa zona era alta la domanda di labora-
tori dove avviare un’attività artigianale. Don Bo-
sco affittata la tettoia dal signor Pancrazio Soave,
la trasforma in una semplice cappella che inaugura
il giorno di Pasqua, era l’11 aprile 1846. Poi don
Bosco si ammala gravemente tanto che la sua vita
è seriamente in pericolo e per essa i giovani prega-
no con fervore la Consolata. Si ritira convalescente
presso la casa materna a Castelnuovo per tutta l’e-
state del 1846 e quando torna a Valdocco con sua
mamma il 3 novembre 1846 prende tre stanze a
pigione in casa Pinardi. Il mese successivo, cioè a
dicembre 1846, affitterà tutta la casa memore dello
sfratto dalle tre stanze ricevuto la primavera prece-
dente dal canonico Moretta per le lamentele degli
altri condomini che mal sopportavano, dopo una
giornata di intenso lavoro, gli schiamazzi serali dei
ragazzi di quel prete strano.
Paga l’affitto della casa per cinque anni, nel frat-
tempo l’oratorio festivo è diventato anche una casa
per una ventina di ragazzi e, il 19 febbraio 1851,
finalmente potrà comprarla pagandola Lire 28 500.
Per acquistarla don Bosco deve mercanteggiare
non poco con Pinardi, che all’inizio della tratta-
tiva chiedeva l’esorbitante somma di Lire 50 000.
Da osservare che il Pinardi aveva pagato la casa ai
fratelli Filippi Lire 14 000 e dopo soli sei anni la
rivende a don Bosco per più del doppio del prezzo
di acquisto. Applicando un indice di rivalutazione
storica che parte dall’unità d’Italia (1861) il prezzo
pagato da don Bosco per casa Pinardi e il terreno
circostante, corrisponde oggi (2022) ad un prezzo
di acquisto di circa Euro 150 000,00.
(Continua)
Come si
presentava la
piccola casa
di Pinardi.
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3.10 Page 30

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QUELLI CHE LO HANNO CONOSCIUTO
Testimonianze giurate al processo di Santità di don Bosco
«Fui il secondo ragazzo
accettato nella casa di don Bosco»
Felice Reviglio, parroco di S. Agostino in Torino.
Felice Reviglio nacque a Torino, presso la parrocchia di S. Ago-
stino. Si allontanò dalla religione cristiana per difficoltà
incontrate nella parrocchia e per l’atteggiamento ostile della
sua famiglia. A 16 anni era un buon cantore di brani d’opera
lirica, e volle conoscere don Bosco e il suo Oratorio. Don Bo-
sco vide in lui un futuro sacerdote e sperò di farne il primo
salesiano (Michele Rua aveva 5 anni meno di lui). Reviglio fu
davvero il primo sacerdote cresciuto nell’Oratorio, ma disse
a don Bosco che non se la sentiva di diventare salesiano. Don
Bosco l’aiutò a inserirsi nel clero diocesano, dove fu parroco
a Volpiano e poi parroco di S. Agostino, la parrocchia dov’era
nato. Fu sempre un amico totale di don Bosco.
Io sono il teologo Reviglio Felice, 60 anni, nativo
e domiciliato a Torino, curato della parrocchia di
Sant’Agostino in questa stessa città.
«Entrai nell’Oratorio
scavalcando un muro»
Nella mia deposizione mi attengo a quanto so di
mia propria scienza, ciò che ho visto e udito.
Ho conosciuto don Giovanni Bosco circa l’anno
1847 (don Bosco aveva 32 anni, Reviglio ne aveva
appena compiuti 16). Un giorno di domenica con
alcuni miei amici, attirato da ciò che si diceva di
don Bosco, cioè che trattava i giovani con molta
bontà, mi presentai all’Oratorio scavalcando un
piccolo muro, poiché la porta era già chiusa. Pe-
netrai così nella piccola chiesa dove si facevano le
funzioni. Mi accorsi subito che quel meschino Ora-
torio non poteva essere stato altro che una stalla o
tettoia, convertita in cappella.
Fin dal primo istante fui enormemente sorpreso nel
vedere tanti giovani della mia età e condizione, de-
voti e modesti come agnellini, pendere dalle labbra
di un piccolo e venerando sacerdote, che seppi poi
essere il teologo Giovanni Borei, il quale con dol-
cezza, semplicità e affabilità istruiva quello stuolo
di giovani.
Dopo mi trattenni nel cortile, e presi parte alla ricrea­
zione. Il mio primo desiderio era quello di conosce-
re e avvicinare quel prete che mi era stato descritto
dai miei amici con tanto entusiasmo, come un padre
amoroso della gioventù, don Bosco. Lo avvicinai, e
forse per la prima volta sentii una gioia ineffabile,
che ora conosco essere stata la prima chiamata che
Dio mi faceva per attirarmi a sé. È molto difficile
tentare di descrivere l’accoglienza affabile, benigna
che ebbi da don Bosco, e la profonda commozione
che provai. Mi fece alcune domande sul mio stato e
la mia condizione, poi fece risuonare al mio orecchio
una di quelle potenti parole che egli sapeva dire per
guadagnare la gioventù. Mi sentii del tutto mutato.
Per non dirgli di no, con quei miei compagni che mi
avevano accompagnato cantai alcuni pezzi d’ope-
ra, che furono molto graditi... Avevo allora 16 anni,
vivevo nell’ignoranza della dottrina cristiana e non
conoscevo nemmeno il Padre nostro. Intenerito dal
mio misero stato, don Bosco nel nostro secondo in-
contro mi invitò dolcemente a recarmi dietro l’altare
della cappella, dicendomi che sarebbe venuto subito
ad ascoltare la mia confessione. Era questa l’abile ope-
rosità sua: girava tra i giovani che si ricreavano e avvi-
cinava quelli che, con il suo occhio penetrante e ispi-
rato, conosceva aver maggior bisogno della sua carità.
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4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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«La prima volta che mi confessai
da don Bosco»
Recatomi di slancio nella cappella, trovai diversi
giovani che aspettavano anch’essi di confessarsi da
don Bosco. Venuto il mio turno, versai il mio cuore
nel suo, e udii una parola che infuse nell’anima mia
la pace più ineffabile. Dopo la confessione, egli si of-
ferse di istruirmi nelle prime verità della fede, che mi
vennero poi insegnate da don Ponte, da lui delega-
to. Siccome egli veniva a mensa con don Bosco, mi
riceveva tutti i giorni dopo pranzo, e mi insegnava
il catechismo. Per fortuna sua, alcuni anni prima
ero già stato ammesso alla prima Comunione, ma
mi era stata poi proibita dal parroco di S. Agostino
perché non sapevo il Padre nostro. Fu quindi facile ri-
chiamare alla mente le lezioni che avevo ricevuto da
bambino, e in quindici giorni fui pronto alla prima
Comunione, che ricevetti dalle mani di don Bosco.
Da quel momento l’Oratorio divenne il mio luo-
go prediletto, lo frequentavo almeno tutti i giorni,
e qualche volta più volte al giorno. In quelle ore
imparai la musica, che potei ben presto eseguire tan-
to all’Oratorio come altrove. Alla sera, dopo la le-
zione che ci faceva don Bosco, egli ci accompagnava
verso casa. Giunti sui viali, cantavamo varie lodi alla
Madonna, poi tornavamo alle nostre famiglie.
«Mi arrampicai su un gelso
per sfuggire a mia madre»
Con il passare dei giorni, don Bosco venne a cono-
scere bene la mia situazione, e si offrì di accettarmi
in casa sua in qualunque giorno mi fossi presentato.
L’occasione si presentò molto presto. Una sera,
stanco del lavoro, affranto dalla privazione del cibo
e offeso da ingiurie e minacce, verso le otto di sera
scappai verso l’Oratorio. Don Bosco non era ancora
tornato a casa, e per timore di essere raggiunto da
mia madre mi arrampicai su un gelso, che con le
sue abbondanti foglie mi nascose dagli sguardi,
nonostante il chiarore della luna. Rannicchiato tra
un ramo e l’altro come un malfattore che ha paura
di essere raggiunto dalla giustizia, attendevo con
grande trepidazione l’arrivo di don Bosco. Venne
finalmente don Bosco, ma anche mia madre che,
persuasa che fossi fuggito all’Oratorio, voleva ri-
portarmi a casa. Tra mia madre e don Bosco s’in-
gaggiò un dialogo lungo e non troppo piacevole,
che preferisco non ricordare.
Io, ascoltatore inosservato, avevo solo paura che
qualcuno guardasse in su verso l’albero, e mi scopris-
se. Fu certo Provvidenza che nessuno mi vide, e che
sia don Bosco sia i miei compagni (arrivati intanto
per la scuola serale) non avendomi visto, assicuraro-
no mia madre che lì non potevo essere. Appena lei
se ne andò, cominciai a respirare. Quando tutti se ne
furono andati, discesi dall’albero e andai a bussare
alla porta di don Bosco. Egli, sommamente sorpreso
di vedermi e sentito ciò che mi era capitato, disse
alla sua veneranda madre di darmi pane e minestra,
e mi assegnò un lettino per riposare nella notte. Il
giorno dopo incontrai mia madre che tornò a cer-
carmi, e ottenni il suo pieno consenso di rimanere
all’Oratorio. Da quel momento divenni il secondo
ragazzo accettato nella casa di don Bosco. In quel
modo don Bosco inaugurava il suo ospizio, e dava un
nuovo sviluppo alla sua missione.
«Per dieci anni vissi accanto a mamma
Margherita. Essa mi confidò...»
Per vari anni, con gli altri (che di giorno in giorno
crescevano di numero) ricevevo quotidianamente
minestra e pane, e potevamo raccogliere nel vicino
orto la verdura che ci doveva servire da compana-
«L‘Oratorio
divenne il
mio luogo
prediletto, lo
frequentavo
almeno tutti
i giorni, e
qualche volta
più volte al
giorno».
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4.2 Page 32

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QUELLI CHE LO HANNO CONOSCIUTO
«Egli si
adoperava
per gettare le
fondamenta
di una società
religiosa, i
membri della
quale gli
professassero
ubbidienza.
Io fui il primo
scelto da lui a
questo fine.
Sebbene non
mi sia sentito
di promettergli
l‘obbedienza
che chiedeva,
fui ugualmente
aiutato da lui a
proseguire gli
studi, e lasciato
da lui in
perfetta libertà
di consacrarmi
alla diocesi».
tico. (...) Conobbi la madre di don Bosco. Vissi ac-
canto a lei dieci anni, e posso dire con tutta verità
che era donna di eminente pietà, semplicità, di pre-
ghiera e di sacrificio. Da lei stessa seppi che, rima-
sta vedova all’età di 29 anni, ebbe molte proposte di
matrimonio, alle quali tutte rinunciò per attendere
all’educazione dei suoi due figli, cosa che le costò
lavoro, privazione di riposo e molti sudori. (...)
La vita del primissimo Oratorio,
minuto per minuto
Dal giorno che entrai nell’Oratorio, osservai
la santa e intelligente operosità che don Bosco
adoperava per la santificazione dei giovani. In un
cortile abbastanza vasto che circondava la cappella
si radunavano nei giorni festivi circa cinquecento
giovani. Egli aveva provvisto diversi giochi e at-
trezzi di ginnastica per trattenerli allegramente:
bocce, piastrelle, stampelle, il passo del gigante, le
parallele, il cavalietto, e nelle occasioni di S. Luigi
e di S. Francesco di Sales c’era la corsa nei sacchi, la
rottura delle pignatte, il rompicollo (arrampicata su
un piano inclinato sdrucciolevole, un’imitazione pove-
ra dell’albero della cuccagna).
Durante la ricreazione dei giovani, don Bosco an-
dava girando all’intorno, e ora si avvicinava a uno e
ora a un altro, e in tale occasione, mentre nessuno
se ne accorgeva, li interrogava per conoscerne l’in-
dole e i bisogni. Era riuscito ad avere l’aiuto di vari e
buoni sacerdoti, che lo aiutavano, assistevano i gio-
vani nel tempo di ricreazione. Si formavano diversi
gruppi, intorno a don Bosco e ad altri sacerdoti, e si
cantavano lodi alla Madonna. Queste ricreazioni si
svolgevano prima e dopo le funzioni sacre.
Fin dal mattino presto, in ogni stagione dell’anno,
don Bosco si trovava in cappella e confessava i gio-
vani che già numerosi frequentavano i sacramen-
ti. A un’ora stabilita celebrava la S. Messa, dopo
la quale raccontava dalla piccola cattedra la storia
sacra in modo così familiare e interessante che, alla
fine, alcuni sapevano ripetere le sue parole e ri-
spondere alle sue curiose ma importanti domande.
Nelle feste più solenni,
dopo le funzioni, regalava ai
giovani pane e salame, o altro
companatico.
Nel pomeriggio c’era un’i-
struzione popolare, fatta qua-
si sempre a dialogo tra don
Bosco e il teologo Borei.
«Fui il primo scelto
da don Bosco per
la Congregazione
salesiana»
Don Bosco sentiva il biso-
gno di aiutanti nella sua santa
impresa, aiutanti che fossero
animati dal suo medesimo
spirito. Egli avviava agli stu-
di solo quelli dai quali spera-
va con il tempo un aiuto. Ma
se avveniva che dopo qualche
32
MARZO 2023

4.3 Page 33

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tempo i giovani non avessero quel desiderio, tutta-
via dimostrassero vocazione sacerdotale, don Bo-
sco lasciava loro pienissima libertà, e si adoperava
con non minore premura per procurare loro i mezzi
per arrivare al sacerdozio, lieto di provvedere alla
Chiesa preti, di cui specialmente allora si sentiva
molto bisogno.
Egli si adoperava per gettare le fondamenta di una
società religiosa, i membri della quale gli professas-
sero ubbidienza. Io fui il primo scelto da lui a que-
sto fine. Sebbene non mi sia sentito di promettergli
l’obbedienza che chiedeva, fui ugualmente aiutato
da lui a proseguire gli studi, e lasciato da lui in per-
fetta libertà di consacrarmi alla diocesi. Anzi, per
una sua raccomandazione speciale ottenni dall’ar-
civescovo la nomina a un patrimonio ecclesiastico.
Ammiro i disegni della divina Provvidenza, la qua-
le dispose che io ricevessi il Battesimo e fossi par-
rocchiano della parrocchia di S. Agostino ove ora
sono parroco.
«Lo incontrai tante volte negli anni
che seguirono»
Ogni volta che don Bosco incontrava nelle strade o
durante i suoi viaggi dei figli che erano usciti dalla
sua casa, dopo essersi informato della loro condi-
zione, chiedeva notizie dell’anima loro. Diceva: «E
la Pasqua l’hai fatta? Sei sempre un buon cristiano?
Vienimi a trovare presto». In questo modo riusciva
a far ritornare alle pratiche religiose forse abban-
donate. Domande simili faceva agli stessi sacerdoti
e parroci, da lui avviati al sacerdozio, come pos-
so dichiarare d’aver fatto verso di me, dandomi in
pari tempo norme onde disimpegnare santamente
il mio ministero.
Aveva infuso in noi tanto amore verso la Chiesa
che ci sentivamo disposti a difenderla anche a costo
della vita, e io, se nutro tali sentimenti in me, lo
devo a don Bosco e posso attestare che i più potenti
impulsi di obbedienza e fedeltà alla Chiesa li rice-
vetti e ho impressi in me da don Bosco.
Una volta mi trovai, mentre ero già parroco in To-
rino, a far visita a don Bosco. Erano le cinque del
pomeriggio ed egli pranzava da solo. Mangiava
pochi fagioli, malamente conditi, in una scodella
di stagno, dopo aver lavorato molte ore al tavolino.
Tutto il suo vitto si riduceva a così poco. Ne sentii
una stretta al cuore. Don Bosco praticava per primo
la massima che frequentemente ci ripeteva: man-
giare per vivere e non vivere per mangiare. Questo
sistema lo praticò fino alla fine della sua vita.
«Vidi avverarsi le profezie
di don Bosco»
Quando si benedì la prima pietra della chiesa di
S. Francesco di Sales (nel 1851), la prima chiesa
dell’Oratorio, a noi sembrava che quella fosse l’o-
pera massima che avesse potuto fare don Bosco. In
quell’occasione, a me che facevo le meraviglie per la
nuova chiesa, don Bosco disse con sicurezza, come
avesse avuto i tesori a sua disposizione: «Questo è
nulla! Vedrai cosa si fabbricherà qui davanti e qui
attorno», e descrisse la casa colossale che adesso si
ammira. Sicché, di mano in mano che si ampliava
l’Oratorio, io notavo l’avveramento delle sue predi-
zioni, e lo raccontavo come cosa meravigliosa, poi-
ché quando don Bosco predisse tali cose, non c’era
alcuna possibilità di successo.
Rammento anche che, mentre eravamo attorno a
lui cinque chierici tra i quali io stesso, disse: «Tra
voi uno sarà vescovo». Devo confessare ingenua-
mente che, essendo il più anziano, orgogliosamente
credevo di essere il predestinato. Così, quando nel
1884 (trent’anni dopo) fu consacrato vescovo mon-
signor Giovanni Cagliero, uno dei cinque presenti,
io alla mensa (davanti al cardinale Alimonda e agli
altri vescovi consacranti e moltissime persone com-
preso don Bosco) ricordai la predizione, e feci pub-
blica confessione della mia presunzione. Il salesia-
no don Francesia, anche lui tra i cinque chierici che
sentirono la predizione, e ora presente alla mensa,
pubblicamente dichiarò che anche lui si era prepa-
rato a fare la stessa dichiarazione e a confessare che
anche lui aveva pensato di essere il predestinato.
MARZO 2023
33

4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
Pedagogia controcorrente 3
I guard-rail della vita
La pedagogia
dei genitori
controcorrente
è una pedagogia
positiva. Per noi,
un sorriso fa fare
più strada che
non un rimprovero.
Una verità fondamentale
della sana sapienza: la
vita umana è decisa da due monosi l labi:
‘sì’ e ‘no’. Tutti e due necessari! Però i ‘sì’
devono prevalere sui ‘no’. Sosteniamo i ‘si’ perché i
‘no’ aiutano semplicemente a sgombrare il terreno,
mentre i ‘sì’ danno la spinta; i ‘no’ formano il muro,
i ‘sì’ fanno crescere! Ecco: sia chiaro una volta per
tutte: la pedagogia dei genitori controcorrente è
una pedagogia positiva. Per noi, un sorriso fa fare
più strada che non un brontolio.
Per noi, è più saggio chi, insegnando al bambino
ad andare in bicicletta, gli dice: “Guarda avanti!”,
che non quello che gli dice: “Attento a non cadere!”.
L’effetto del fattore rp
II fattore rp è l’equilibrio tra ricompense e punizioni
nel controllo del comportamento del bambino. Ka-
oru Yamamoto della Arizona State University, emi-
nente studioso in questo campo, ha calcolato che un
fattore rp di 5:1 è il più efficace. Ciò significa che il
bambino riceve cinque ricompense contro una sola
punizione. Gli esperimenti di Yama-
moto hanno dimostrato che
se il fattore rp è meno di
5:1 (in altre parole, quan-
do il bambino è punito
con maggior frequenza)
la sua immagine di sé viene
quasi inevitabilmente danneg-
giata. Non solo, ma la condotta per cui
la punizione viene inflitta cessa molto
raramente e non fa che trasformarsi in
qualche altro tipo di comportamento al-
trettanto indesiderabile. Il bambino, per
esempio, può mostrare segni di ostilità
camuffata quali ostinazione, resistenza
passiva, muta insolenza, indifferenza o scontrosità.
E se viene punito anche per questi comportamenti,
può tendere a ritirarsi in un mondo di intensa fan-
tasia. Il bambino così trattato abbandona presto la
speranza di esser capace di conquistarsi l’amore e
l’approvazione dei genitori e, vedendosi inadatto a
soddisfare le loro esigenze, abbandona l’impresa.
Non vi sto suggerendo di rinunciare ad ogni forma
di punizione: è necessario stabilire netti confini al
comportamento del bambino, sia per il suo bene
sia per il bene altrui, e le violazioni a queste regole
familiari possono venire legittimamente penalizza-
te. La ricerca ha solo messo in chiaro che, per ogni
punizione inflitta in seguito ad un comportamento
sgradito, dovrebbero almeno esserci altre cinque oc-
casioni in cui la buona condotta venga ricompensata.
Il primo passo per migliorare in vostro figlio una
negativa immagine di sé è, perciò, il riportare il
fattore rp al livello giusto. Nel caso di gran parte
delle famiglie ciò richiese poca o nessuna riduzione
34
MARZO 2023

4.5 Page 35

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numerica delle punizioni, ma comportò che i ge-
nitori diventassero consapevoli e reattivi alle occa-
sioni di ricompensare il buon comportamento da
parte dei figli.
I NO per amare
È importante però non sottovalutare la grande va-
lenza pedagogica dei ‘no’: i ‘no’ irrobustiscono l’io;
i ‘no’ ricordano che vi è un’autorità; i ‘no’ danno
sicurezza.
I ‘no’ di oggi preparano i ‘sì’ di domani: ‘sì’ allo
studio, al lavoro, al dovere, anche quando la vita
mostra i denti e il sole picchia forte.
I ‘no’ rendono più socievole e simpatico il figlio.
“Un bambino abbandonato a se stesso, diventa un
rompiscatole, un adulto instabile, nevrotico”.
A noi importa insegnare ai figli che, se vogliono
impaginare bene la vita e non pasticciarla, devono
fin da oggi, andare tutti i giorni a scuola dai ‘no’
per attrezzarsi a combattere e vincere le quattro
peggiori malattie che hanno tutte, alla radice, la
mancanza di grinta che solo i ‘no’ fanno crescere.
Queste le quattro poco simpatiche malattie che in-
sidiano l’io privo di volontà: il conformismo dell’in-
truppato, dell’imbranato che non ha la forza per
andare contro corrente; il ‘minimismo’ di chi si ac-
contenta di restare bonsai; l’animalismo di chi vede
l’altro e l’altra solo come preda; il pilatismo di chi
non ha il coraggio di compromettersi, di impe-
gnarsi: preferisce lavarsi le mani e lasciare che de-
cidano e vivano gli altri.
Il noto esperto danese Jesper Juul scrive: «Quando
nel corso della mia pratica per diventare terapeuta
familiare mi capitò di sentire per la prima volta la
frase: “Il no è la più amorevole di tutte le risposte”,
non la capii. Solo gradualmente, dopo numerosi
colloqui con le famiglie più disparate, afferrai il
senso più profondo di tale affermazione. Se oggi
guardo indietro alla mia vita privata e professio-
nale, mi rendo conto che la maggior parte delle
difficoltà e dei conflitti in famiglia nasce anche
perché i componenti non sono in grado di dire
no, pur desiderando farlo. Perché non si definisco-
no i propri confini personali e non si esprimono
con sufficiente chiarezza, forse perché la cultura
della famiglia non lo permette, o perché uno o più
componenti non trovano lo slancio sufficiente per
farlo.
Con questo non intendo dire che dovremmo “re-
spingerci” di più l’un l’altro, ma semplicemente che
spesso ci preoccupiamo troppo poco dei nostri con-
fini e bisogni individuali, e tendiamo ad attribuire
la colpa di ciò ad altri. L’arte di dire no signifi-
ca anche assumersi la responsabilità delle proprie
azioni, nell’interesse di tutti».
Trasformare i No in Sì
L’unico pericolo è esagerare. Una madre si sfoga:
«“Dici sempre no!” Vi suona familiare questa pro-
testa? Quando ho ammesso davanti ad altri genito-
ri che la mia prima risposta alle richieste dei miei
figli era solitamente negativa, molti di loro hanno
riconosciuto di avere lo stesso comportamento. Se
rispondete spesso alle richieste dei vostri figli con
rifiuti automatici, provate un piccolo esperimento:
contate quante volte dite no in un giorno. Questo
esercizio può essere immensamente illuminante
(e talvolta imbarazzante). Se rispondete negativa-
mente troppe volte, forse avete già notato che i vo-
stri figli non accettano il vostro no come risposta e
continuano a provare a farvi dire di sì, il che, anche
se non cedete, vi tiene
in perenne stato di
conf littualità».
MARZO 2023
35

4.6 Page 36

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LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
Una stra-ordinaria
normalità
Soprattutto tra i giovani prevale
una diffusa avversione per tutto
ciò che è percepito come banale,
ordinario e, dunque, mediocre,
che si traduce nella tendenza a
inseguire, e talvolta a inventare
ex novo, modelli di vita quanto
più è possibile alternativi e fuori
dagli schemi.
Cosa è normale per te?
Oggi forse le offese,
ordinare un caffè,
aspettar fine mese.
Da un po’ io negli occhi tuoi vedo un falò
che brucia da sé, brucia da mesi.
Poi mi chiedi perché non ho voglia di dire
ciò che tengo per me: è solo un'opinione!
Da qua sembra inutile pregare,
ma spero di essere me stessa per sempre,
per sempre...
Vorrei dirti vieni da me,
non ne sono capace!
È sbagliato per te annullar le difese;
da qua mi sembrava quasi un anno fa
quando fuori si guardava la neve,
la neve...
Il concetto di “normalità” è spesso associato
all’idea di una vita ordinaria, monotona, ripe-
titiva, priva di “colpi di testa” che rischino di
sconvolgere una quotidianità vissuta all’insegna
dell’abitudine e della medietà. Un’esistenza indub-
biamente rassicurante e senza scossoni, ma che, nel
realizzare una vagheggiata conformità alle aspet-
tative sociali e culturali di un dato momento stori-
co, condanna chi la sceglie all’omologazione e alla
banalità, finendo di fatto con il soffocare ogni au-
tentico desiderio e le aspirazioni più profonde, che
rimangono sopite e inconfessate.
Nella percezione comune, “normalità” diventa così
sinonimo di “mediocrità” e si contrappone total-
mente alla ricerca di una felicità più piena, fatta di
gesti rivoluzionari e di emozioni intense, che soli
sembrano garantire – attraverso la rottura di ogni
schema e il superamento di ogni stereotipo – la
possibilità di un’esistenza all’altezza delle proprie
aspettative. Anche a costo di infrangere le regole e
di trasgredire ogni limite...
In questa visione un po’ manichea che pretende di
tracciare una linea di demarcazione netta tra ciò
che è normale e ciò che non lo è, tra l’ordinario e lo
stra-ordinario, i giovani adulti del terzo millennio
si trovano spesso ad un bivio: piegarsi alle conven-
zioni sociali e adattarsi a condurre una vita tutto
sommato ragionevole, ma incolore e senza azzardi,
oppure fare una scelta controcorrente, inseguendo
l’imprevisto e l’eccentricità, anche se questo signi-
fica imparare a convivere con una permanente in-
certezza e portare il peso della propria diversità.
Ad un’analisi più attenta, tuttavia, una prospettiva
di tal genere risulta un po’ troppo schematica. Chi
stabilisce, infatti, che cosa vuol dire essere “norma-
li”? In base a quali criteri di giudizio alcune opzioni
esistenziali appaiono socialmente più accettabili di
36
MARZO 2023

4.7 Page 37

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altre? E, soprattutto, ha ancora senso oggi parlare
di “normalità”, associando a tale categoria l’utopia
di una vita regolare e senza inciampi?
In una società sempre più fluida ed inquieta, in
cui si moltiplicano a dismisura le possibilità tra
cui scegliere, mentre di pari passo sembra sfuma-
re ogni confine troppo rigido tra convenzionale
e anti-convenzionale, inseguire una vagheggiata
normalità appare come una scelta profondamente
inattuale. Soprattutto tra i giovani prevale, invece,
una diffusa avversione per tutto ciò che è perce-
pito come banale, ordinario e, dunque, mediocre,
che si traduce nella tendenza a inseguire, e talvolta
a inventare ex novo, modelli di vita quanto più è
possibile alternativi e fuori dagli schemi, sostenu-
ti dall’incrollabile convinzione – che poi spesso si
rivela illusoria – che ciò possa salvarci dal rischio
dell’anonimato e dell’insignificanza.
In questa affannosa ricerca di originalità e auten-
ticità, che in molti casi altro non è che il tentativo
di dare un senso alla propria esistenza, dimenti-
chiamo tuttavia che ciò che può renderla davvero
stra-ordinaria non è il continuo rincorrere la novità,
Forse troverò un altro senso,
guardo il vetro, ma poi ripenso
a tutte le volte che mi dicevi:
“Fai da te, che sennò poi ti freghi”.
Ti amavo quando non mi volevi;
noia sopra queste riviste,
esco per non essere triste,
correrò sotto ’sto temporale,
anche un abbraccio può farmi male.
Dimmi che cosa vuol dire normale
per te...
È normale anche quando
vedi la mia rabbia crescere.
Prova a dirlo un po' più piano
che siamo stanchi di fingere.
Vorrei capire se vorresti pure te
capire che normale non è un limite!
Dimmi che cosa vuol dire normale...
(Giorgia, Normale, 2022)
bensì la capacità di dare valore e un significato nuo-
vo a ogni singolo gesto o azione quotidiana.
Ciò che conta, insomma, forse non è tanto cercare
a tutti i costi di “essere differenti”, quanto piuttosto
impegnarsi, anche dal basso della propria normali-
tà, a “fare la differenza”.
MARZO 2023
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
Si parte per le missioni…
confidando nei sogni
I sogni missionari di don Bosco,
pur senza anticipare il corso
degli eventi futuri, hanno avuto
per l’ambiente salesiano il sapore
delle previsioni.
(Continua dal numero precedente)
A richiamare l’attenzione di don Bosco al
problema missionario contribuirono non
poco pure il sogno missionario del 1870-
1871 e soprattutto quelli degli anni Ot-
tanta. Se nel 1885 invitava monsignor Giovanni
Cagliero alla prudenza: “non si dia gran retta ai
sogni” ma “solo se servono moralmente”, lo stesso
Cagliero partito alla testa della prima spedizione
missionaria (1875) e futuro cardinale, li giudicava
come semplici ideali da perseguire. Altri salesia-
ni invece e soprattutto don Giacomo Costamagna,
missionario della terza spedizione (1877) e futuro
ispettore e vescovo, li intendeva come un itinera-
rio da seguire quasi obbligatoriamente, tanto da
chiedere al segretario di don Bosco, don Giovanni
Battista Lemoyne, di mandargli i “necessari” ag-
giornamenti. A sua volta don Giuseppe Fagnano,
sempre missionario della prima ora e futuro Pre-
fetto apostolico, li considerava come espressione di
un desiderio di tutta la Congregazione, che doveva
sentirsi responsabile di realizzarli cercando i mezzi
ed il personale. Don Luigi Lasagna infine, missio-
nario partito con la seconda spedizione nel 1876, e
pure futuro vescovo, li considerava come una chiave
per conoscere il futuro salesiano in missione. Don
Alberto Maria De Agostini poi nella prima metà
del secolo xx si sarebbe lanciato personalmente in
pericolose e innumerevoli escursioni in America
australe sulla scia dei sogni di don Bosco.
Comunque si possano intendere oggigiorno, resta il
fatto che i sogni missionari di don Bosco, pur senza
anticipare il corso degli eventi futuri, hanno avuto
per l’ambiente salesiano il sapore delle previsioni.
Visto poi che erano privi di significati simbolici e
allegorici ed invece erano ricchi di riferimenti an-
tropologici, geografici, economici, ambientali (si
parla di tunnel, di treno, di aereo…) hanno costitui­
to un incentivo per i missionari salesiani ad agire,
tanto più che si sarebbe potuto verificarne l’effetti-
va realizzazione. In altre parole i sogni missionari
hanno orientato la storia e tracciato un programma
di lavoro missionario per la società salesiana.
La chiamata (1875): un progetto
immediatamente rielaborato
Negli anni Settanta in America Latina era in corso
un notevole tentativo di evangelizzazione, grazie
soprattutto ai religiosi, nonostante le forti tensioni
presenti fra la Chiesa e i singoli Stati liberali. At-
traverso contatti con il console argentino in Savona,
Giovanni Battista Gazzolo, don Bosco nel dicem-
bre 1874 si offrì di provvedere preti per la Chiesa
della misericordia (la chiesa degli italiani) in Buenos
Aires, come richiesto dal Vicario generale di Bue-
nos Aires monsignor Mariano Antonio Espinosa
ed accettò l’invito di una Commissione interessa-
ta ad un collegio a San Nicolás de los Arroyos, a
240 km a nord ovest della Capitale argentina. In
effetti la società salesiana – che all’epoca compren-
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MARZO 2023

4.9 Page 39

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deva pure il ramo femminile delle Figlie di Maria
Ausiliatrice – aveva come suo primo obiettivo la
cura della gioventù povera (con catechismi, scuole,
collegi, ospizi, oratori festivi), ma non escludeva di
estendere i suoi servizi a ogni tipo di sacro ministe-
ro. Dunque in quel fine 1874 don Bosco non offriva
altro di quello che già si faceva in Italia. Del resto
le Costituzioni salesiane, approvate definitivamen-
te nell’aprile precedente, proprio mentre da anni
erano in corso trattative per fondazioni salesiane in
“terre di missione” extraeuropee, non contenevano
alcun accenno ad eventuali missiones ad gentes.
Le cose cambiarono nel volgere di pochi mesi. Il 28
gennaio 1875 in un discorso ai direttori, e il giorno
dopo a tutta la comunità salesiana, ragazzi compre-
si, don Bosco annunciò che erano state accolte le
due suddette domande in Argentina, dopo che era-
no state rifiutate richieste in altri continenti. Riferì
anche che “le Missioni in Sud America” (cosa che
in questi termini invero nessuno aveva offerto) era-
no state accettate alle condizioni richieste, con la
sola riserva dell’approvazione del papa. Don Bosco
con un colpo da maestro presentava così a Salesiani
Don Bosco procedette con determinazione ad or-
ganizzare la spedizione. Il 31 agosto al Prefetto di
Propaganda Fide, cardinale Alessandro Franchi,
comunicava di avere accettato la gestione del col-
legio di S. Nicolás come “base per le missioni” e
dunque chiedeva le facoltà spirituali solitamente
concesse in tali casi. Ne ebbe alcune, ma non rice-
vette alcun sussidio economico pur sperato perché
l’Argentina non dipendeva dalla Congregazione di
Propaganda Fide, in quanto con un arcivescovo e
quattro vescovi non era considerata “terra di mis-
sione”. E la Patagonia? E la terra del Fuoco? E le
A Genova,
all’imbarco
a ciascuno
dei dieci
missionari
diede venti
particolari
ricordi, di
cui il primo
era quello
fondamentale:
“Cercate
anime, ma
non danari,
né onori né
dignità”.
e giovani un entusiasmante “progetto missionario” decine e decine di migliaia di indios viventi laggiù,
approvato da Pio IX.
a due, tremila chilometri di distanza, “alla fine del
Iniziava subito una febbrile preparazione della spe- mondo”, senza alcuna presenza missionaria?
dizione missionaria. Il 5 febbraio una sua circolare A Genova, all’imbarco a ciascuno dei dieci missio-
invitava i Salesiani ad offrirsi liberamente per tali nari – fra cui cinque sacerdoti – diede venti parti-
missioni, dove, a parte alcune aree civilizzate, essi colari ricordi, di cui il primo era quello fondamen-
avrebbero esercitato il loro ministero fra
“popoli selvaggi sparsi in immensi ter- DON ALBERTO MARIA DE AGOSTINI,
34
L’ULTIMO ESPLORATORE DELLA “FINE DEL MONDO”
Don Alberto Maria De Agostini (1883-1960) – o Don Patagonia, come è stato sopran-
ritori”. Se anche aveva individuato nella nominato – è una figura molto nota al grande pubblico inArgentina e Cile, mentre lo è mol-
to di meno nel Paese nativo, l’Italia. Eppure lo meriterebbe in quanto diligente cartografo
per nascita, provetto scalatore ed esperto fotografo per eredità territoriale, buon sacerdote
Patagonia la terra del suo primo sogno salesiano per vocazione, generoso missionario per scelta, intrepido esploratore della
Patagonia e Terra del Fuoco, valido promotore turistico, con eccellenti doti di naturalista,
etnologo, scrittore, cineasta.
La chiave di lettura della figura di don De Agostini, che ha attraversato l’oceano atlan-
missionario – dove selvaggi crudeli di tico dieci volte per esplorare in lungo e in largo un mondo che gli stessi geografi contem-
poranei conoscevano parzialmente e in modo impreciso, potrebbe essere individuata nel
noto verso dell’Ulisse dantesco: “Considerate la vostra semenza. Fatti non foste per viver
come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza” (Inf. C. XXVI, 199).
zone sconosciute uccidevano missiona- In quella terra della “fine del mondo” sognata da don Bosco, don DeAgostini ha portato
a termine spedizioni di grande valore scientifico scalando coraggiosamente decine di mon-
tagne per lo più coperte di neve e ghiaccio, attraversando foreste vergini inesplorate, navi-
gando in tumultuose acque, percorrendo a piedi, a cavallo, su carri, migliaia di chilometri
ri ed invece accoglievano benevolmente di impervi ed inesplorati terreni, il tutto affrontato con penuria di mezzi e tra incredibili
difficoltà climatiche.
Per 50 anni, equamente divisi fra Italia e Argentina-Cile, ha intrecciato lunghe escursioni
con giornate di lavoro a tavolino, ha alternato esplorazioni scientifiche e pubblicazioni con
quelli salesiani – tale piano di evangeliz- attività educative e sacerdotali, ha intercalato solitudini assolute con la vita comunitaria.
Attraverso libri, conferenze, fotografie e documentari ha messo sulla mappa del pianeta l’ul-
timo lembo di terra ignoto all’umanità – prima che gli aerei lo potessero facilmente
zazione di “selvaggi” andava ben oltre le sorvolare – e ha tramandato alle future generazioni vedute naturali e volti di popolazioni indi-
gene prima che scomparissero: le une per il surriscaldamento climatico, gli altri per
violenti contatti con la “civiltà ed il progresso” degli invasori occidentali. (Dall’Introduzione)
richieste pervenute dall’America. Di cer- Il volume raccoglie una serie di interventi di storici, geografi, letterati, fotografi, scala-
tori, direttori di archivi che dal proprio punto di vista presentano determinate sfaccettature
della poliedrica figura del missionario salesiano.
to non ne era consapevole, almeno in quel
momento, l’arcivescovo di Buenos Aires,
22,00
monsignor Federico Aneiros.
ISTITUTO STORICO SALESIANO – ROMA
STUDI – 34
a cura di Francesco Motto
Don Alberto Maria De Agostini
L’ultimo esploratore
della “Fine del mondo”
(1883-1960)
ARGENTINA
Patagonia
tale: “Cercate anime, ma non
danari, né onori né dignità”.
Ma non meno importante era
l’ultimo: “Nelle fatiche e nei
patimenti non si dimentichi
che abbiamo un gran premio
preparato nel cielo”.
(continua)
In quelle terre lontane della Patagonia sbarcheranno
centinaia di altri missionari salesiani, di cui uno dei più
“grandi” è don Alberto De Agostini, alla cui figura ben
diciotto docenti universitari italiani e argentini hanno
recentemente dedicato la loro attenzione.
MARZO 2023
39

4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni  postulatore generale
 Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulatore@sdb.org
 Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di marzo preghiamo per la beatificazione
del Servo di Dio Andrea Majcen, salesiano di don Bosco.
“Sono grato a Dio di avermi
chiamato e di avermi fatto
coraggio nel seguire la sua
chiamata. È molto significativa
l’avventura di vita, nella quale
Dio ci manda!”. Una frase che
riassume una storia lunga di
giorni, di avventure. Una vi-
cenda veramente da patriarca,
con diverse chiamate, parten-
ze, abbandoni e soprattutto
con la gioia e la grazia di avere
una grande discendenza di figli
spirituali frutto delle fatiche e
delle prove apostoliche. Nato
il 30 settembre 1904 a Maribor
(Slovenia), in famiglia riceve
una buona educazione cristia-
na. Matura un temperamento
laborioso, fermo, deciso a rea­
lizzare tutto quello che vuole
raggiungere, senza badare alle
difficoltà. Rimane affascinato
dalla vita di don Bosco e nel
1924 decide di entrare nel no-
viziato salesiano. I dieci anni
a Ljubljana–Rakovnik sono un
tempo di preparazione alla vo-
cazione missionaria. La notizia
del martirio del vescovo Luigi
Versiglia e del sacerdote Calli-
sto Caravario (Cina - 1930) sve-
gliano nel suo cuore il desiderio
per le missioni. L’incontro con
il missionario don Jožef Kerec
(1932) lo porta alla decisione
di partire per le missioni della
Cina. Nel 1933 viene ordinato
sacerdote e il 15 agosto 1935
nel santuario di Maria Ausilia-
trice a Rakovnik, ricevendo il
crocifisso missionario, conclu-
de un’alleanza a vita con l’Ausi-
liatrice. Inizia la sua avventura
sperimentando la fecondità del
sistema preventivo a Kunming
(Cina): “Annunzierò il Vangelo
ai Cinesi nella lingua cinese;
perciò, io sarò Cinese con i Ci-
nesi”, diventa il suo programma
e il suo stile di vita. Persino le
autorità del regime comunista
di Mao vedono in lui un uomo
che lavora per il bene dei Cine-
si e mentre gli altri missionari
sono già espulsi o patiscono
nelle carceri, lui per un anno è
insegnante di lingua russa nel-
la scuola media statale. Dopo
questo egli sperimenta la prima
espulsione, il primo esilio, ma
non si dà per vinto. Dopo il crol-
lo del Vietnam del Nord, trasfe-
risce verso il sud tutti gli orfani
e salva loro la vita. Dal nulla nei
venti anni trascorsi in Vietnam
fa fiorire un immenso albero
salesiano e con magnanimità
di vedute inizia e consolida la
presenza salesiana in Vietnam.
Direttore, vicario dell’Ispettore,
primo maestro di novizi, ma so-
prattutto suscitatore e formato-
re di vocazioni religiose, l’uomo
che trapianta il carisma di don
Bosco nell’anima vietnamita
secondo il suo principio: “con i
Vietnamiti Vietnamita, alla ma-
niera vietnamita”. Ritornato in
patria a Ljubljana forma intorno
a sé un vasto cerchio di gente
che raccoglie materiale e aiuti
finanziari, che poi spedisce in
Vietnam. Dopo la celebrazione
del giubileo d’oro di sacerdozio
(1983) don Andrea capisce che
non avrebbe potuto ritornare
tra i suoi in Vietnam, e così indi-
rizza tutte le sue energie verso
il cammino della santità. Tale
tensione quotidiana alla santi-
tà e l’impegno spirituale sono
documentati nei Diari spirituali,
nelle Meditazioni e in Appunti.
Accanto all’animazione missio-
naria tra i salesiani, dedica la
gran parte del suo tempo alla
direzione spirituale e al mini-
stero della riconciliazione. È una
guida spirituale molto ricercata,
anche da parte dei sacerdoti e
religiosi. Egli vive gli ultimi
mesi consumandosi come una
candela. Muore proprio a 95
anni, il 30 settembre 1999!
Nello stesso giorno dell’anno in
cui era nato nel lontano 1904,
nasceva anche per il cielo!
Preghiera
O Dio infinitamente santo, il tuo servo fedele Andrea Majcen,
missionario in Cina e in Vietnam, ardente salesiano e missionario,
con grande zelo ha annunciato il Vangelo a tutti,
specialmente ai giovani poveri ed abbandonati.
È salito al monte della santità
con generosa bontà ed amorevolezza,
diventando segno della tua misericordia
nel sacramento della riconciliazione.
Ti preghiamo di glorificarlo davanti al nostro sguardo
innalzandolo all’onore degli altari.
Aiutaci perché possiamo imitarlo
venerandoti con cuore sincero.
Per sua intercessione esaudisci le nostre preghiere
nelle necessità.
In modo speciale ti preghiamo per…
(mettere intenzione).
Fa’ che anche la nostra vita sia un inno a te
che sei lodato ora e sempre.
Amen.
CRONACA DELLA POSTULAZIONE
L’11 gennaio 2023 il Dicastero delle Cause dei Santi nel
suo Congresso ordinario ha dato la validità giuridica
all’inchiesta diocesana per la Causa di Beatificazione e
Canonizzazione del Servo di Dio monsignor Giuseppe
Cognata, (Agrigento 14 ottobre 1885 – Pellaro 22 luglio
1972) della Pia Società di san Francesco di Sales, Vescovo
Titolare di Farsalo, già Vescovo di Bova, Fondatore dell’Isti-
tuto delle Salesiane Oblate del Sacro Cuore.
40
MARZO 2023

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO E` BENEDIZIONE
La comunità
Don Augustine Baek
Responsabile di “Salesian Missions”, morto a New
Rochelle, il 30 dicembre 2022, a 64 anni.
Don Gus, come era conosciuto,
combatteva contro un cancro
allo stomaco che gli era stato
diagnosticato nel 2020. Dopo
l’aggravarsi delle sue condizioni,
aveva ricevuto l’Unzione degli
Infermi lo scorso 26 dicembre,
circondato dall’affetto dei con-
fratelli della comunità. Anche
la comunità coreana dell’area
metropolitana di New York, che
aveva fedelmente servito per la
maggior parte della sua vita sa-
cerdotale, gli è stata vicino negli
ultimi tempi.
Woon Taek Baek era nato a
Kwangju, in Corea del Sud, il 19
settembre 1958. I suoi genitori
erano Nam-Sik Baek e Kwi-Ja
Lee. La famiglia comprende-
va due figli e quattro figlie.
Woon Taek divenne cristiano
da adolescente, battezzato
con il nome di Augustine il 29
maggio 1971, a Kwangju. Don
Henry Bonetti, missionario sa-
lesiano americano in servizio
a Kwangju, racconta che il gio-
vane Augustine, al liceo, era a
capo del movimento degli stu-
denti cattolici della sua scuola.
Il 29 agosto 1984 è entrato nel
programma “Figlio di Maria” al
“Don Bosco College Seminary”
di Newton, nel New Jersey,
dove è stato guidato in due
anni di discernimento vocazio-
nale da don Tom Ruekert. Il 24
agosto 1986 è stato ammesso
al Noviziato di San Giuseppe
a Newton e un anno dopo ha
emesso la prima professione
salesiana (25 agosto 1987). Ha
conseguito la laurea in filosofia
presso il Don Bosco College nel
maggio 1989.
Dopo due anni di formazione
pratica, ha seguito gli studi teo-
logici presso il Pontificio Colle-
gio “Josephinum” di Worthing-
ton, Ohio (1991-1995), dove
ha conseguito un master con
lode in studi biblici. Ha emes-
so la professione perpetua il
21 agosto 1993, presso il “Don
Bosco Retreat Center” di Haver-
SOSTIENICI
Da oggi è possibile effettuare donazioni per la Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO e sostenere Il Bollettino Salesiano,
le missioni e le opere salesiane attraverso l’attivazione della domiciliazione
bancaria (mandato per addebito diretto SEPA “CORE” – ex RID).
Puoi trovare il modulo da presentare al tuo istituto
di credito e tutte le altre informazioni alla pagina
Rivista fondata da
https://www.donbosconelmondo.org/sostienici/
S. Giovanni Bosco
nel 1877
MARZO 2023
In prima linea
Padre Nguyen
Thinh Phuoc
Le case
di don Bosco
Ivrea
Quelli che
lo hanno
conosciuto
Don Felice
Reviglio
SALVIAMO
i BAMBINI
del BENIN!

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IL LORO RICORDO E` BENEDIZIONE
straw, N.Y., ed è stato ordinato
a Columbus, Ohio, il 28 maggio
1995. Nel 1988 è diventato cit-
tadino americano.
Il suo primo incarico sacerdotale
è stato al “Salesian Boys & Girls
Club” di East Boston, come as-
sistente del Direttore Esecutivo
(1995-1997). Successivamente
è stato inviato alla parrocchia
Corpus Christi di Port Chester,
N.Y. (1997-1999). Poi ha trascor-
so cinque anni nella comunità
di formazione di Orange, N.J.
(1999-2004), ricoprendo diversi
incarichi.
Nel 2004, a Stony Point, don
Gus ha fondato il Centro “Re-
born Young Christ” (RYC) per
la Pastorale Giovanile corea-
na, che ha coordinato per 15
anni. Durante questo periodo
ha viaggiato molto per servire
i giovani coreano-americani e
ha aiutato i salesiani coreani a
svolgere il loro servizio verso
i giovani sia nell’area di New
York sia in quella di Tampa Bay.
Nel 2019 è stato chiamato ad
assumere la guida di “Salesian
Missions”, la Procura Missiona-
ria salesiana con sede a New
Rochelle, negli Stati Uniti, suc-
cedendo a don Mark Hyde. Ha
iniziato con energia, facendo
diversi viaggi all’estero, come
richiesto dal lavoro. La pan-
demia da Covid ha rallentato
il tutto e poi è arrivata la dia-
gnosi di cancro allo stomaco.
Ha continuato comunque come
meglio ha potuto, viaggiando
anche nell’area di New York
per fare appelli missionari, fino
all’agosto 2022.
Il segretario esecutivo di Gus,
Joann Oliva, ha dichiarato: “Pos-
so solo aggiungere che è stato
un piacere lavorare per lui e con
lui ed essere presente, aveva
sempre il sorriso sulle labbra.
Amava l’ufficio missionario e ha
fatto tanto per tutti i missionari.
Ci mancherà davvero.
Il rappresentante dei Salesiani
presso le Nazioni Unite (ONU),
padre Thomas Pallithanam, che
era partito per una visita di fa-
miglia in India solo il 27 dicem-
bre, pianse l’improvvisa perdita
dell’amico: “Sebbene non fosse
inaspettato, avevo sperato che
al mio ritorno avrei potuto anco-
ra vederlo e dirgli che era stato
un così caro amico. Prima di
partire per l’India, sono entrato
nella sua stanza, gli ho sussur-
rato alcune parole di conforto e
l’ho salutato. Ma avevo anche
sperato che non sarebbe stato
l’ultimo addio. Era molto favo-
revole al mio lavoro alle Nazioni
Unite. E sapevo di poter contare
sui suoi consigli e sulla sua for-
za. Da lui ho sempre avuto un
orecchio disponibile e paziente.
Era soprattutto un amico, genti-
le. Mi conforto al pensiero che
da dove si trova ora continuerà
ad essere l’amico e il sostegno
che è stato nel breve periodo di
tre anni in cui sono stato asso-
ciato a lui.
Durante i due anni affrontando
la sua malattia, padre Gus a vol-
te si scoraggiava, ma altre volte
era ottimista e pieno di speran-
za. Ha riconosciuto il suo dolo-
re e la difficoltà dei trattamenti
contro il cancro, ma non si è
davvero lamentato. Era sempre
pronto per qualsiasi cosa Dio
gli chiedesse.
Dati dell’ente beneficiario
Fondazione DON BOSCO NEL MONDO
Via Marsala 42, 00185 Roma
BANCA POPOLARE DI SONDRIO
IBAN IT86 O056 9603 2020 0000 7100 X00
I miei dati anagrafici
Compilando la scheda si accetta
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compilando questo coupon e inviandolo a Fondazione DON BOSCO NEL MONDO.
Il primo prelievo dovrà cominciare a partire dal mese di ..........................................................
Il mio sostegno ammonterà a Euro
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ogni anno
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Località ....................................................................................... Provincia ..................... Paese ...........................................
IBAN ............................................................................................ Banca .......................................................................................
Causale ..............................................................................................................................................................................................
DATA ............./............../...................          Firma ...........................................................................................
Puoi compilare e inviare questo modulo attraverso le seguenti modalità:
Fondazione DON BOSCO NEL MONDO, Via Marsala 42, 00185 Roma
+393429984165
donbosconelmondo@sdb.org

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LA BUONANOTTE
B.F.Disegno di Fabrizio Zubani
Il canarino
N ancy Hamilton era nata con una grave
malattia ai piedi e alle mani. A nove anni
aveva già subito numerose operazioni
chirurgiche. Le erano stati amputati i piedi e due
dita della mano sinistra. A Nancy ogni operazione
costava sofferenze acutissime, ma il sorriso
rifioriva sempre sulle sue labbra.
La sua casa era sempre piena di piccoli amici.
Le piacevano i gelati, la Coca Cola, i dischi e le
canzoni che accompagnava con la sua esile vocina,
ridendo e battendo le mani.
La bambina crebbe sana di mente, intelligente,
incantata dallo splendore della natura. Inoltre,
diventava di giorno in giorno più bella, suscitando
allo stesso tempo ammirazione e pietà, a causa del
suo stato fisico.
Ad esempio, quando si trasferì a Santa Cruz, in
un villino vicino al fiume San Lorenzo, attirò la
curiosità di alcuni bambini che tornavano da scuo-
la, mentre stava con la mamma sotto il portico
dell’ingresso. «Perché hai quei piedi?», le chiese
uno di essi.
Nancy rispose: «I miei piedi non vanno svelti, ma
tutto il resto di me si diverte a fare amicizia e a
giocare». L’indomani il bambino tornò con alcuni
compagni e le portò in dono un mazzo di fiori.
La vigilia di Natale, venne portata in un grande
magazzino, per scegliere i regali che voleva. An-
data dal Babbo Natale del negozio, ebbe una sola
richiesta: un paio di scarpette rosse.
A dodici anni dovette affrontare una nuova prova:
l’amputazione della gamba sinistra. La mamma
cercò di prepararla, ma ricevette una risposta
sorprendente: «Bene, mi libererò di questa», disse
toccandosi la gamba malata «e poi avrò una gamba
di legno con una scarpa vera. Una scarpa rossa». E
decise di organizzare una sorta di festa d’addio per
la gamba, a cui furono invitati tutti i suoi amici.
Ciò che le piaceva di più era la gioia degli altri.
Donava tutto ciò che aveva per vedere felici le per-
sone che aveva intorno. Regalò il suo cagnolino, la
sua chitarra, i suoi libri preferiti, le sue statuette di
porcellana. Regalava con un gesto vivace, sponta-
neo, improvviso.
Un giorno Nancy pregò la mamma di portare il
suo amatissimo canarino ad una donna che era
molto triste per la morte di un suo uccellino.
Tornando, la mamma trovò la piccola che piange-
va presso la gabbia vuota.
«Ma perché l’hai voluto dar via se gli volevi così
bene?».
«Oh mamma, proprio perché gli volevo tanto
bene. Così ho regalato tutto il mio amore alla
vecchia signora».
MARZO 2023
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5.4 Page 44

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Con i l o occhi
vedrai il FUTURO.
Un lascito è un gesto d'am e
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+ 39 342 9984165 Cod. Fiscale 97210180580
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