Bollettino_Salesiano_201307

Bollettino_Salesiano_201307

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IL
LUGLIO
AGOSTO
2013
L'invitato
Don Maria
Arokiam
Kanaga
Salesiani
nel mondo
Romania
Avvenimenti
Il miracolo
dell'urna
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Testimoni
Padre
Carlo
Crespi
Guide
salesiane
Invito a
Chieri 2
Le case di
don Bosco
Livorno

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
cL’aulbcecrao gdenllaa
Mi spostavo di villaggio in villaggio e
di fiera in fiera. Questa era la mia
vita da albero della cuccagna. Mi
ha sempre dato fastidio il fatto che
mi riempissero di grasso di maia-
le ma… a pensarci bene… era il
prezzo da pagare se non volevo diventare preda
dell’ascia di qualche contadino e poi bruciato nel
focolare domestico.
Il mio proprietario, un uomo con sopracciglia fol-
te, quella volta mi preparò per la fiera di Monta-
fia, un paesino dove le strade non erano
nemmeno pietrificate e ovunque
c’era odore di mucca.
Albeggiava quando
il mio padrone mi
portò sulla piazza
principale del paese.
Mi conficcò ben bene
nel terreno e, per far
sì che il mio corpo
fosse ben dritto,
aggiunse una fila di
pietre in verticale…
in cima c’erano i
premi: una borsa con
venti lire, un salame, un faz-
zoletto, una bottiglia di grappa…
Dopo la messa solenne, piano
piano, la piazza si riempì. Il mio
padrone urlava a gran voce: “Cin-
quanta centesimi… forza… provate
gente provate…”. In men che
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
Giovanni Bosco, giovane studente a Chieri, doveva tro-
vare i soldi per pagarsi gli studi. Proprio per questo si
adattò a fare diversi lavoretti… e partecipò anche all’al-
bero della cuccagna in una fiera di paese (Memorie Bio-
grafiche, volume 1).
non si dica si trovò intorno tanti giovani conta-
dini, desiderosi di mettere alla prova le proprie
abilità fisiche. Osservavano attentamente i premi
e, anche se un poco a malincuore, pagavano i
cinquanta centesimi. Iniziavano quindi ad ar-
rampicarsi sul mio corpo con grande impeto ma,
ben presto, le forze venivano meno e, uno dopo
l’altro, cadevano al suolo, tra le beffe e le risate di
quelli che li stavano a guardare.
A un certo punto, però, incrociai lo sguardo di
un ragazzino e, da com’era vestito, non era certo
un contadino…. Chissà magari era uno studen-
te… i suoi occhi intelligenti stavano osservando
con attenzione le varie cicatrici sul mio corpo,
segni dei vari rami che mi erano stati tagliati.
Arrivò il suo turno… per alcuni secondi chiuse
gli occhi, per concentrarsi… appoggiò le mani su
di me e, lentamente, iniziò la salita. Si appog-
giava sui talloni per recuperare le forze… non
aveva il benché minimo senso di ansia. A mano
a mano che saliva sempre più anche la gente che
lo osservava era sempre più silenziosa e attonita.
Quando si trovò vicinissimo ai premi, si fermò un
momento… non aveva quasi più forza in corpo…
il silenzio era totale… come si dice? Ah sì… non
si sentiva volare una mosca… davvero… fece un
bel respiro, allungò la mano e… oplà! Riuscì a
prendere la borsa con le 20 lire ed il salame…
scese tra le urla festanti di tutti gli spettatori e,
velocemente, se ne andò… non ho mai avuto la
fortuna di poterlo di nuovo incontrare.
Ogni volta che, però, mi prende quella sensa-
zione di paura di dovermi spostare da una fiera
all’altra, penso a quel ragazzino, a quel giovane
studente. Sono sicuro che quei soldi li abbia
utilizzati per comprarsi libri per la scuola e che
sia diventato una persona saggia e buona.
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Luglio/Agosto 2013

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IL
LUGLIO/AGOSTO 2013
ANNO CXXXVII
Numero 7
IL
LUGLIO
AGOSTO
2013
L'invitato
Don Maria
Arokiam
Kanaga
Salesiani
nel mondo
Romania
Avvenimenti
Il miracolo
dell'urna
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 DON BOSCO EDUCATORE
6 LETTERE
8 AVVENIMENTI
Il miracolo dell’urna
10 L'INVITATO
Don Maria Arokiam Kanaga
14 SALESIANI NEL MONDO
Romania
16 A TU PER TU
Daniele,
missionario in Moldavia
18 FINO AI CONFINI DEL MONDO
20 INVITO A CHIERI 2
24 LE CASE DI DON BOSCO
Livorno
27 IL CORTILE DI VALDOCCO
28 FMA
Suor Maria Pia Giudici
32 COME DON BOSCO
34 NOI & LORO
36 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Le missioni in Argentina
38 TESTIMONI
Padre Carlo Crespi
40 I NOSTRI SANTI
41 RELAX
42 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
43 LA BUONANOTTE
Mensile di
informazione e
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
cultura religiosa
edito dalla
Testimoni
Padre
Congregazione
Carlo
Crespi
Salesiana di San
Giovanni Bosco
Guide
salesiane
Invito a
Chieri 2
Le case di
don Bosco
Livorno
In copertina :
Il sorriso e la
gioia schietta e
incontaminata
dei bambini sono
i più bei frutti
dell’estate (Foto
Shutterstock).
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16
28
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
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Hanno collaborato a questo
numero: Benedetta Agretti,
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Pierluigi Cameroni, Roberto
Desiderati, Guido Dutto,
Cesare Lo Monaco, Alessandra
Mastrodonato, O.Pori Mecoi,
Francesco Motto, Marianna
Pacucci, José J. Gomez Palacios,
Pino Pellegrino, Linda Perino,
Luigi Zonta, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Luciano Alloisio (Roma)
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DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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DON BOSCO EDUCATORE
PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA
Don Bosco racconta
Dio ci vuole in
un mondo migliore
di questo
Stavamo entrando nell’era industriale.
Dovevo adattarmi ai nuovi tempi, alle
nuove tendenze, senza rifugiarmi in
pericolose nostalgie di epoche che or-
mai erano tramontate per sempre. Tan-
te cose non andavano per il verso
giusto. Ma invece di perdermi in sterili
lamentele, preferivo rimboccarmi le ma-
niche e lavorare con un altro stile: nel
mio piccolo, senza voglia di strafare,
desideravo costruire un mondo
migliore offrendo a tanti giova-
ni un pane guadagnato one-
stamente mediante un lavoro
degno come persone libere e
non schiavi da sfruttare. Sa-
pevo che “il demonio ha dei
servitori dappertutto”, anche
se avevo la certezza che “chi
ha Dio ha tutto. E allora mi
aggrappavo alla saggia norma
del “Nulla ti turbi!”, consiglio
e monito che raccomandavo
ai miei salesiani.
Per formazione e per carattere
non mi lasciavo facilmente ab-
battere. D’altronde la vita non
mi aveva risparmiato difficoltà
e sfide. Perciò dicevo: “Che vale lamentarsi per i
mali che ci affliggono? Molto meglio fare di tutto
per superarli. Questa gente che ci governa ha molto
bisogno della nostra compassione: sono troppo seri i
conti che aprono con Dio!. Suggerivo di reagire
con una tattica nuova, coraggiosa: “Al mondo ma-
lizioso non possiamo opporre solo dei ‘Pater noster’.
Ci vogliono opere!. Tentavo così di arginare tan-
to male, con un po’ di bene.
Ero convinto che “i nostri paesi sono ormai
diventati terra di missione”. Per questo in-
sistevo con i miei salesiani: “Se non lavo-
rate voi, lavora il demonio.
Sorretto da ideali coraggiosi mi lascia-
vo guidare da questo programma:
Nelle cose che tornano a vantag-
gio della pericolante gioventù o
servono a guadagnare anime a
Dio, io corro avanti fino alla
temerarietà”. Perciò avevo
sempre cercato di dare ri-
sposte concrete, come le
circostanze richiedevano.
Scrivevo a don Cagliero
che da un anno sgobbava
in terre argentine: “Abbiamo
in corso una serie di progetti
che sembrano favole o cose da
matti in faccia al mondo, ma
appena esternati, Dio li be-
nedice in modo che tutto va a
gonfie vele. Motivo di prega-
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re, ringraziare, sperare e vegliare. L’ottimismo che
sempre mi sorreggeva a volte sembrava sul pun-
to di svanire nel nulla. Erano le pareti di nuovi
edifici costruiti a Valdocco con sudore e sangue
che crollavano nel cuor della notte; erano i preti
che avevano studiato da me e che, da un giorno
all’altro, mi lasciavano senza nemmeno dirmi un
grazie; era un’improvvisa folata di vento che spa-
lancava misteriosamente la finestra e rovesciava il
calamaio sui fogli ove erano stati diligentemente
scritti gli articoli delle Costituzioni che l’indo-
mani mattina dovevano essere spediti con urgen-
za in Vaticano; e c’era quel clima di incompren-
sione, di false dicerie, di animi infiammati, di
libercoli anonimi contro l’arcivescovo di Torino
che avvelenavano gli animi.
Nel 1854 avevo scritto al conte Clemente Solaro
della Margherita, un politico serio e coraggioso,
un cattolico tutto d’un pezzo: “Qui non si tratta
di soccorrere un individuo singolo, ma di porgere un
tozzo di pane a giovani cui la fame pone al più gran
pericolo di perdere la moralità e la religione. Sullo
stesso tema, ma con accenti ben più urgenti e
drammatici, avevo insistito nel 1886 parlando
alla nobiltà di Barcellona: “Il giovane che cresce
per le vostre strade, vi chiederà da prima una ele-
mosina, poi la pretenderà e infine se la farà dare con
la rivoltella in pugno.
Chiedere e ringraziare, ecco l’eterno movimento
di diastole e sistole di tutta la mia vita. Coinvol-
gevo in questo i miei benefattori con un affetto
umano, caldo, delicato e sempre personalizzato.
Un amore che accomunava benefattori e benefi-
cati in un rapporto filiale e sincero. Con alcune
benefattrici mi riservavo la gioia di chiamarle
(Dio sa con quanta riconoscenza!) “Mia carissima
e buona Mamma”.
Ho lottato per tutta la vita per ridare a tanti
giovani la gioia di vivere, rivestendoli con una
dignità troppo spesso calpestata. Ho vissuto con
loro per capirne meglio i bisogni, le speranze e
i sogni, per costruire con loro una vita degna
di figli di Dio. Ho adottato con loro e per loro
un sistema educativo in cui è presente un Dio
buono e provvidente, misericordioso e paziente.
Ho messo Dio nel cuore dei miei giovani perché
li conoscevo assetati di verità e di giustizia. Ho
fatto scoprire a migliaia di ragazzi sbandati, vio-
lenti e ribelli la nostalgia di Dio. Mi son fatto il
prete della gioia e della speranza, del perdono
trasmesso nel nome di Gesù salvatore trafitto e
risorto. Ho preso per mano ragazzi difficili e li
ho portati ad assaporare la felicità di un cuore
nuovo. Ho proposto loro un nuovo cammino di
santità, alla loro portata, una santità simpatica
perché affascinante ed esigente al tempo stesso.
Ho fatto della gioia la mia bandiera.
Non ho cambiato il mondo, tutt’altro! Ma pur
con gli inevitabili sbagli che sempre accompa-
gnano l’agire umano, ho coscienza di aver fatto
la mia parte. Ho aperto nuovi cammini per edu-
care, amare e servire la gioventù. I miei sogni
hanno lasciato i segni.
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LA POSTA
I NOSTRI ESPERTI RISPONDONO
Mio figlio
non fa niente
Caro Bollettino,
abbiamo un figlio quindicenne
che ci dà qualche preoccupazio-
ne. Per molti aspetti è un bravo
ragazzo, senza problemi a scuola
o con i compagni. La sua gran-
de passione, come quella di altri
adolescenti in tutto il mondo,
sono i giochi elettronici. Frequen-
ta l’oratorio, gioca a calcio e va
volentieri in bicicletta.
Il problema è che non ha assoluta-
mente voglia di prestare il minimo
aiuto in casa. Essendo il nostro
unico figlio, non ci siamo mai pre-
occupati di insegnargli a sbrigare
ogni tanto piccole mansioni do-
mestiche. Oggi, però, me ne pento,
perché mi rendo conto che con-
sidera scontato tutto quello che
faccio per lui, dal fargli il bucato a
preparargli da mangiare.
Non sopporto vedere che non è
nemmeno in grado di gettare nel
cesto la biancheria sporca e che
non ci offre mai una mano per fare
la spesa, lavare i piatti ecc.
A questo punto ci chiediamo se
non lo abbiamo viziato troppo e,
allo stesso tempo, vorremmo sa-
pere cosa si può pretendere da un
quindicenne.
Una mamma “stufa”
OGNI MESE
DON BOSCO
A CASA TUA
Il Bollettino Salesiano vie-
ne inviato gratuitamente a
chi ne fa richiesta.
Dal 1877 è un dono di don
Bosco a chi segue con sim-
patia il lavoro salesiano tra
i giovani e le missioni.
Diffondetelo tra i parenti e
gli amici. Comunicate su-
bito il cambio di indirizzo.
L ettere come questa ne
arrivano tante. Il ritor-
nello è sempre lo stes-
so: «Si comporta come
se questa casa fosse un
albergo». Una mamma
esasperata chiede alla figlia do-
dicenne che sta per uscire con
le amichette: «Ma perché non
ci dai una mano in casa?» La
figlia risponde serafica: «Finora
ve la siete cavata benissimo da
soli. Perché dovrei mettermici
anch’io?»
Il problema è serio. I ragaz-
zi che considerano i genitori
come “personale” al loro ser-
vizio hanno poi molta difficoltà
su due qualità non secondarie:
il senso di responsabilità e la
capacità di partecipazione nella
comunità. Può anche darsi che
per i genitori servire sembri un
gesto d’amore, e in parte lo è,
ma molti genitori si fermano al
primo stadio dell’educazione
e finiscono con il fare tutto al
posto del bambino, anche quel-
le cose che è perfettamente in
grado di fare da solo. Magari
fanno la voce grossa, minaccia-
no castighi inverosimili, dicono
che non le faranno più, ma poi
finiscono per farle. Adottano la
scusa che è più semplice, che
evitano seccature, che fanno
prima, che non ne vale la pena.
Rinunciano, cedono.
La maggior parte dei bambi-
ni viziati è davvero brava nel
reclutare servitori e preferisce
essere assistita nei momenti che
richiedono anche il più piccolo
impegno.
Così si sforna una generazione
di adolescenti che sanno sma-
nettare su ogni sorta di apparec-
chio elettronico, ma non sanno
fare assolutamente nient’altro.
Si deve dare un messaggio mol-
to chiaro, come questo: «Siamo
il tuo papà e la tua mamma, non
il tuo maggiordomo e la tua ca-
meriera. È esasperante che tu
non senta di avere degli obblighi
nei confronti della casa in cui
vivi e della tua famiglia. Te lo
vogliamo dire: ci stai sfruttando
in modo ignobile. Il telefono non
è una tua appendice personale.
Perché non appendi in camera
tua una bolletta telefonica in-
grandita come poster? Perché
butti via i soldi (i nostri soldi)?
Perché non spegni mai la luce o
chiudi la porta quando lasci una
stanza? Perché non rimetti mai
a posto qualcosa che hai usato?
Perché non sostituisci mai un
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rotolo di carta finito, infischian-
doti di chi entrerà in bagno dopo
di te? Perché non la pianti di
gridare “mamma!” quando non
trovi quello che ti serve?
Devi studiare e dovrai lavorare.
Tu lo dovrai fare. E non potrai
più dare la colpa a nessuno. Tu
scappi, rimandi, procrastini, ti
nascondi, sparisci, fai finta di
niente. Non decidi, non risolvi
neppure i problemi più sempli-
ci: li accantoni o li lasci a noi.
Quando ti deciderai a finire di
crescere?».
Da un ragazzo di quindici anni si
può sicuramente pretendere che
si assuma la responsabilità di se
stesso e si occupi delle sue cose
personali, come abbigliamento
(lavare, stendere, stirare), lavo-
ro o scuola, pulizia della propria
camera e mobilità personale.
Nessuno è un passeggero clan-
destino. Né in famiglia, né nella
comunità umana.
Nora Rubino
Madre di tre figli
Alla RAI ci
prendono in giro
Ascolto per abitudine un program-
ma radiofonico della Rai, di matti-
no presto. Mescola notizie, musica
e dibattiti. È abbastanza gradevole,
ma i conduttori spesso fanno bat-
tute ironiche sul papa, la Chiesa,
Padre Pio e i cattolici in genere. A
volte sono pesanti, ma ridono feli-
ci. Perché succede questo? Perché
nessuno protesta?
Mariangela S. - Roma
In quello definito “mondo me-
diatico” i cristiani godono di
solito di cattiva pubblicità. Non
solo. Ci sono giornalisti o umo-
risti di mezza tacca che prendo-
no la Chiesa e i vescovi come
bersaglio. Le assicuro che non
sentirà mai battute con la medesima
cattiveria sugli omosessuali o sui
musulmani. Perché? Perché noi non
facciamo paura, non minacciamo,
non smuoviamo gruppi di pressio-
ne. Siamo troppo miti e riservati o
forse troppo poco coraggiosi.
IO LA PENSO COSÌ
Basta questa fotografia
Io faccio parte di coloro che pen-
sano che Internet non sia del
tutto cattivo. Certi messaggi ar-
rivano al cuore e fanno pensare.
Questa fotografia mi ha scosso.
È papa Francesco che lava i pie-
di di una donna e poi (credo) al
bambino che ha in braccio. Que-
sta immagine è di una ricchezza
infinita. Non è solo una cerimonia
in ricordo della lavanda dei piedi
fatta da Gesù. È l’incontro reale tra
due persone. Ci vuole confiden-
za e fiducia. I piedi si presentano
come siamo noi, rugosi, stan-
chi, spesso tesi. Non possiamo
barare con chi ci lava i piedi. La
fede allora non è più un progetto,
un’idea, una cosa intellettuale, ma
uno slancio di vita tra due esseri
incarnati.
E condivido quello che ha scritto
un commentatore: «Non si tratta
di cambiare parole d’ordine, ag-
giungere qualche citazione sulla
“povertà” o sulle “periferie”, o
magari cambiare la scaletta degli
argomenti nei frequenti interven-
ti pubblici. Non basta il copia-
incolla per risultare in sintonia. È
come se il Papa chiedesse a tutti
una rivoluzione copernicana, o
meglio e più semplicemente, una
vera “conversione”. Sono quasi
tre mesi che il vescovo di Roma
pescato “dalla fine del mondo”
sta mostrando con il suo esem-
pio come intenda il compito di un
pastore. Nessuna formalità, nes-
sun distacco, prediche semplici e
profonde, che la gente capisce e
apprezza. E quando vedi France-
sco farsi inghiottire ogni merco-
ledì dai gorghi della folla in piazza
San Pietro, rimanendovi volentieri
immerso per ore come se non
avesse null’altro da fare, capisci
che cosa significa per lui essere
“vicino” alle persone».
Giovanni Semeria - Torino
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AVVENIMENTI
UNA GIORNALISTA CILENA
Soflataqnutoesdtoi nmBiorsacocoli
Sono giornalista. Mentre lavoravo, mi chiedevo
come sarebbe stato il mio incontro personale con l’urna
delle reliquie di don Bosco, che stava peregrinando
per il Paese. Ma quello che avevo immaginato,
don Bosco I’ha superato di gran lunga.
Ho visto miracoli al passaggio di don Bosco nel Cile
L’ho incontrato nella Catte-
drale di Santiago. Non c’era
più posto per nessuno. Per il
mio lavoro sono arrivata in
ritardo. Ho visto un giovane
che diceva non essere cri-
stiano mettersi in ginocchio quando è
entrata l’urna di don Bosco, e piange-
re per l’emozione.
Alla cattedrale sono andata per ve-
dere don Bosco ma anche per lavo-
rare; dovevo scrivere come i giovani
percepivano l’arrivo di don Bosco.
Dovevo scrivere che i giovani oggi
se ne infischiano della religione, del-
la Chiesa, dei preti, che non vanno a
Messa e che l’urna di don Bosco era
soltanto uno stratagemma della Chie-
sa per riconquistare i giovani.
Ma ho visto tutto l’opposto e l’ho
scritto.
Ho visto la faccia di molti giovani
piangere e cercare di toccare l’urna,
Qualcuno voleva arrivare fino al suo
viso, ma non si poteva. Meno male
che c’era il vetro, altrimenti don Bo-
sco sarebbe rimasto nel Cile.
La banda degli allievi salesiani di Santiago
del Cile accoglie l’urna di don Bosco.
C’erano molti giovani, exallievi, ma
anche persone che non conosceva-
no molto don Bosco. La signora che
aveva letto il giornale ed è arrivata
alla cattedrale in fretta; i seminari-
sti diocesani di san Bernardo, tutti
con veste talare: la linea pastorale di
questa diocesi non è certo quella di
don Bosco.
Ho visto due giovani non ben vestiti.
Mi hanno detto che loro sfacchinano
nel parcheggio delle automobili vici-
no alla Cattedrale ma che erano en-
trati più di tre volte per pregare don
Bosco perché lui era un prete che ha
lavorato molto per i giovani lavora-
tori.
Ho parlato con la signora che vende
i fiori alle porte della cattedrale e mi
ha detto: non ho mai visto tanti gio-
vani pregare ed entrare in questa cat-
tedrale. E mi ha detto: “Soltanto don
Bosco fa questi miracoli”.
Ho parlato con tre giovani universi-
tari che studiano nell’università “La
Repubblica” che è laica e appartiene
ai massoni: «Siamo venuti a pregare. I
massoni ci danno buoni studi ma sol-
tanto Gesù ci dà la forza per vivere.
Don Bosco è un bellissimo esempio
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Il giorno della partenza dell’urna da Valdocco.
Girerà tutto il mondo suscitando un imprevisto
e incredibile entusiasmo.
con molti giovani. Come molti anni
fa l’ha fatto con il giovane Raul Silva
Henriquez, che divenne il primo car-
dinale salesiano cileno. Quando un
mio collega gli ha chiesto perché si è
fatto salesiano e non gesuita ha detto:
«Don Bosco mi ha affascinato».
per dare la nostra vita per i più pove-
ri. Tutti e tre studiamo diritto e vo-
gliamo lavorare dopo per difendere i
giovani poveri del Cile”. Uno di loro è
exallievo salesiano della Gratitud Na-
cional; gli altri due hanno studiato in
un collegio laico.
Forse il miracolo
più grande don Bosco
l’ha fatto anche a me
Mi stavo rendendo conto che don
Bosco non soltanto ha fatto miraco-
li nella sua vita, ma la cosa più im-
portante è che adesso fa miracoli più
grandi ancora: dà un senso alla vita
dei giovani di oggi che forse hanno
tutto meno che un senso per vivere.
Ho visto giovani, non soltanto canta-
re e applaudire, ma ho visto giovani
con lo sguardo fisso nel volto di don
Bosco, in silenzio, pregare, piangere e
ancora pregare, in silenzio; il loro vol-
to manifestava le emozioni del cuore.
Ho visto molti giovani piangere con
la faccia coperta dalle mani e ho visto
giovani che volevano assolutamente
toccarlo. Ho chiesto a una giovane
perché voleva toccare l’urna di don
Bosco: «Mia madre lavora tutto il
giorno, per lei i soldi sono molto im-
portanti ma io non conto per lei; sono
soltanto un problema e volevo toccare
don Bosco per ricevere una sua carez-
za perché quelle sono carezze vere,
fatte con il cuore».
Il mio capo mi ha dato un libro per
leggere qualcosa su don Bosco, per
preparare meglio il mio articolo. L’au-
tore è Teresio Bosco. Quella sera sono
andata a casa. Ho parlato con i miei
due figli; ho dato loro il bacio della
buona notte – che non facevo da mol-
to tempo – e ho cominciato a leggere
la vita di don Bosco. Nemmeno me
ne sono accorta quando mi sono ad-
dormentata. Ho sognato don Bosco e
mi sorrideva.
Forse il miracolo più grande don Bo-
sco l’ha fatto anche a me. I giovani vo-
gliono la vita, amano la vita, ma quella
vera, quella che nasce dal cuore.
È vero che oggi molti giovani si per-
dono nella droga, nel consumismo,
ma don Bosco fa miracoli anche oggi
Ti prego di fare I’ultimo
miracolo: resta sempre
in mezzo a noi
Don Bosco in questi giorni ha con-
quistato molti giovani del nostro pae-
se. Che ritorni don Bosco, che siano
molti i salesiani oggi nel Cile che si
lasciano conquistare da don Bosco,
che amino con lo stesso cuore di don
Bosco. Che il nostro paese abbia più
collegi, più oratori affinché i giovani
siano ascoltati, dal profondo del loro
cuore. Due di questi allievi saranno
anche i miei due figli.
Grazie don Bosco, grazie per visitarci,
grazie per dare un senso alla vita di
molti giovani.
Ti prego di fare l’ultimo miracolo: re-
sta sempre in mezzo a noi.
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L’INVITATO
O. PORI MECOI
Qui i giovani
si innamorano
di don Bosco
Nel Consiglio Generale
della Congregazione,
Lei è Consigliere Regionale
per India, Bangladesh,
Nepal e Sri Lanka.
È corretto dire che è la
regione in cui i Salesiani si
stanno sviluppando di più?
Non posso dire che i Salesiani nell’A-
sia Meridionale si stiano sviluppando
più che in altre regioni. Anche nella
regione Africa-Madagascar si assiste
a una notevole evoluzione. La rispo-
sta a questa domanda dipende anche
dal significato che attribuiamo alla
parola “sviluppo”! È però vero che
nell’Asia Meridionale si verifica una
crescita in termini del numero dei Sa-
lesiani, degli istituti e delle tipologie
di attività. Il Rettor Maggiore affer-
ma spesso che questa è la regione più
fiorente della congregazione.
Il sorriso di don Arokiam: «La fede dei cattolici
indiani è ancora molto profonda».
Incontro con don Maria Arokiam Kanaga,
Consigliere Regionale per l’Asia meridionale
Quanti confratelli
e quante opere ci sono
nella sua Regione?
Alla fine del 2012 si contavano 2551
confratelli professi, tra cui 11 vescovi,
distribuiti in 12 ispettorie. A ecce-
zione di circa 50 confratelli originari
dello Sri Lanka, tutti gli altri sono
indiani. Ogni anno nella Regione en-
trano a far parte della congregazione
circa 50 nuovi confratelli. Questo tas-
so di incremento è modesto, rispetto
a una media di 135 novizi che si ag-
giungono ogni anno. Ci sono qui 310
case canonicamente costituite e altre
70 presenze. Non vorrei però mani-
festare orgoglio semplicemente per i
dati numerici. Dobbiamo considerare
la vita salesiana nella sua globalità.
Da questo punto di vista non è possi-
bile azzardare paragoni.
Quali sono i problemi
più acuti?
Tra gli altri, ne citerei tre: la forma-
zione, la nostra visibilità come reli-
giosi e la collaborazione con i laici.
Abbiamo molte case per la formazio-
ne, in cui lavorano persone qualifica-
te per la preparazione degli studenti.
Garantire una formazione efficace e
solida, a livello iniziale e nel prosie-
guo, non è però facile. Molti escono
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Luglio/Agosto 2013

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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dalla congregazione. È una realtà
preoccupante.
In secondo luogo, dobbiamo essere
visibili e riconosciuti come religiosi.
Molti confratelli e molte comunità
sono fedeli ai principi fondamenta-
li della vita religiosa, ma in generale
all’esterno siamo considerati essen-
zialmente educatori buoni e umani e
operatori nell’ambito sociale, più che
persone guidate dallo Spirito Santo
e segni del Regno di Dio. Questa si-
tuazione può essere dovuta alla gran-
de mole di lavoro che svolgiamo e al
nostro stile di vita attivo, ma potrebbe
anche indicare che dobbiamo testi-
moniare in modo più radicale i valori
fondamentali del Vangelo, come la po-
vertà, la giustizia e il primato di Dio.
È poi probabile che dobbiamo diven-
tare animatori legati a un carisma, più
che amministratori delle nostre atti-
vità.
Quali sono le prospettive
e le speranze?
Il Signore ci presenta molti campi d’a-
zione con buone speranze per la nostra
missione. Solo per citarne alcuni: sia-
mo una tra le organizzazioni educative
con maggiori riconoscimenti della re-
gione e siamo richiesti da tutti. Questo
fatto ci dà la possibilità di diventare un
gruppo ampio e influente di giovani
operatori, che potrebbero determinare
una direzione alle politiche governa-
tive nell’ambito dell’istruzione e della
crescita dei giovani.
In secondo luogo, da parte della
Chiesa i Salesiani sono sempre più
considerati guide valide e affidabili.
In questo momento le possibilità di
compiere un’opera di evangelizza-
zione diretta sono limitate, ma nel
senso più ampio del termine questa
regione è ancora molto aperta, per-
ché la nostra gente è tendenzialmente
disponibile nei confronti di tutte le
religioni, malgrado i pochi elementi
fondamentalisti. Relativamente alla
Congregazione, l’Asia Meridionale
può diventare una grande forza mis-
sionaria. Oggi i missionari indiani
sono presenti in 168 Paesi. Potete im-
maginare che cosa significhi questo
per un Paese in cui i cattolici costitui-
scono meno del 2% della popolazione.
La fede dei cattolici indiani è ancora
molto profonda. Questa è probabil-
mente la risorsa più importante della
Chiesa indiana.
Com’è nata
la sua vocazione?
Provengo da Varadarajanpet, un pic-
colo paese agricolo molto povero ubi-
cato nel Tamil Nadu centrale, uno
Stato nell’India meridionale. Questa
regione è però ricca di fede, perché ol-
tre trecento anni fa è stata interessata
Don Arokiam durante una visita nel famoso centro
di pellegrinaggi Parasuram Kund.
dall’opera di santi e famosi evangeliz-
zatori, come il portoghese san Gio-
vanni de Britto e l’italiano Costantino
Beschi. Nel contesto di popolazioni a
prevalenza indù, questo paese è un’oasi
di vita e tradizione cristiana. Abbiamo
appreso la fede insieme al latte mater-
no. Su una presenza di circa 9000 cat-
tolici, si contano quasi 75 sacerdoti e
oltre 220 suore. Questo clima di fede
è stato all’origine della mia vocazione.
Perché proprio salesiano?
Quando frequentavo le classi elemen-
tari, sono arrivati nel nostro paese al-
cuni Salesiani, che hanno aperto una
scuola. Quei primi Salesiani erano
persone meravigliose, molto diverse
dai sacerdoti diocesani che conosceva-
mo. Hanno portato Valdocco a Vara-
darajanpet! Eravamo affascinati dalla
loro presenza costante in mezzo a noi,
dall’attenzione amorevole che dedica-
vano ai poveri e dal loro spirito pieno
di gioia. Nell’arco di pochi anni hanno
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2.2 Page 12

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L’INVITATO
contribuito a far sorgere circa 30 vo-
cazioni dai paesi circostanti. In segui-
to, quando studiavo presso una scuola
superiore tenuta da Gesuiti, sono sta-
to invitato anche da questi religiosi a
considerare l’idea di entrare a far parte
del loro ordine. L’interesse che suscita-
vano in me i Salesiani era però troppo
forte. Penso ancora con gratitudine ad
alcuni di quei Salesiani, che sono stati
come padri e fratelli per me.
È molto difficile
il suo compito?
Devo ammettere che al contrario è
stato abbastanza gradevole e sem-
plice, innanzitutto grazie alla dispo-
nibilità dei miei confratelli. Questo
non significa che io abbia sempre
svolto alla perfezione il mio compi-
to. Nel Consiglio Generale, guidato
dal Rettor Maggiore, regna un clima
di grande fraternità. Nella regione
dell’Asia Meridionale gli ispettori
svolgono bene i loro incarichi e po-
chissimi problemi arrivano all’at-
tenzione del Consigliere Regionale.
Personalmente amo ascoltare le per-
sone e parlare con loro. Devo dire che
apprezzo questo lavoro. Spero che lo
apprezzino anche i miei confratelli!
Come sono
i giovani indiani?
La “gioventù indiana” è una realtà
molto eterogenea. La stessa India non
è “una nazione” nel senso classico di
questa espressione, ma una federazio-
ne di varie nazioni, che non hanno
praticamente nulla in comune, né la
religione, né la cultura, né l’etnia o la
lingua. È un coacervo di stirpi e lin-
gue caucasiche, mongole e dravidiche.
Potete immaginare quanto siano varie
le situazioni dei giovani. Un elemento
che unisce ancora la maggior parte
delle popolazioni indiane e dunque
i giovani indiani è una situazione
di generale povertà e la carenza di
opportunità. L’immagine diffusa in
questi ultimi tempi di una nazione in
rapido sviluppo è lo specchio soltanto
di una parte dell’India. La maggior
parte dei giovani indiani, infatti, deve
ancora lottare per raggiungere una
certa posizione nella società. In una
società afflitta dalla corruzione, da si-
stemi economici e sociali all’insegna
della discriminazione e da valori reli-
giosi conflittuali, il carisma salesiano
diventa molto importante per i gio-
vani. I giovani indiani si innamorano
ancora di don Bosco!
Don Bosco può avere
un “volto indiano”?
Sì, e di fatto lo ha! Lo stesso Rettor
Maggiore afferma spesso che la con-
gregazione comincia ad avere un volto
indiano. Dico questo non solo perché
vi sono molti Salesiani dell’India, ma
anche perché il carisma salesiano è
ben radicato nella terra indiana. Gli
educatori e i responsabili governativi
riconoscono che il sistema preventivo
è perfettamente in sintonia con i gio-
vani indiani. Oggi i giovani indiani
hanno bisogno di un’equilibrata com-
binazione di intelligenza, religione
e rapporti interpersonali improntati
all’amore, tre elementi che sono alla
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Luglio/Agosto 2013
Don Arokiam con i ragazzi di una scuola
salesiana.

2.3 Page 13

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base del nostro sistema. I Salesiani
hanno anche contestualizzato istinti-
vamente il nostro sistema in un am-
bito ampiamente non cristiano, senza
sacrificare le nostre caratteristiche
fondamentali di discepoli di Cristo.
In molte zone del Paese, in partico-
lare al nord est, don Bosco è un nome
che si dà ai bambini.
So che le piace
molto raccontare,
pensa che sia una forma
efficace di comunicare?
Certo! Raccontare storie e seguire il
metodo narrativo è molto più efficace
delle modalità tradizionali di predi-
care. Gesù non faceva quasi mai pre-
diche. Raccontava soprattutto storie,
invitando gli ascoltatori a pensare. Lo
stesso Discorso della Montagna è solo
una raccolta dei suoi detti, pronuncia-
ti alla fine delle sue storie. Dobbiamo
passare alla teologia narrativa, invece
Don Arokiam durante una visita del Rettor
Maggiore nell’Ispettoria di Dimapur, nel Nord Est
dell’India.
di proporre prediche moraliste. La
stessa Bibbia è essenzialmente una
storia!
Luglio/Agosto 2013
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2.4 Page 14

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SALESIANI NEL MONDO
CHIARA BERTATO
Don Bosco in Romania
Alcuni seminaristi, terminato il corso della
scuola superiore ed arrivati alla teologia, si
sono rivolti al Vescovo ed hanno detto:
“Noi vogliamo farci salesiani!”.
Chi aveva parlato loro di don Bosco?
In Romania i salesiani sono presenti dal 1996.
La prima casa salesiana, a Costanza, è sta-
ta inaugurata nel 1997; poi Bacău nel 2000
e infine nel 2005 Chisinău, nella Repubblica
di Moldavia. Sono parte dell’Ispettoria Ita-
lia Nord-Est perché fin dall’inizio sono stati
considerati come una nuova presenza del Trive-
neto impegnata a 1800 chilometri di distanza,
in un contesto sociale differente (ex-comunista e
a maggioranza ortodossa). Ma si può dire che, a
parte la lingua, è un po’ la stessa cosa: i giovani
vanno amati ovunque!
La cosa più bella sono proprio loro: ragazzi che
L’Ora delle Stelle
durante un campo
scuola in Romania:
i giovani vanno
amati ovunque.
frequentano gli oratori, i gruppi formativi, i corsi
professionali, le case famiglia. “In questi anni è
stato bello – racconta don Tiziano Baracco, di-
rettore di Costanza – crescere assieme lanciati
con passione nell’animazione di tanti ragazzi che
hanno bisogno di don Bosco, della sua proposta,
della sua allegria. Non è stato facile, qualche vol-
ta mi sono scoraggiato. Ma ho imparato a vedere
quel crocifisso che proprio don Bosco aveva mo-
strato alla sua mamma una sera che era avvilita!
E poi è sempre riesplosa la voglia di ricominciare,
come una sfida! Perciò continuo a vivere con loro
e per loro, sentendo mia’ ogni giorno di più que-
sta terra”.
«Noi vogliamo farci salesiani!»
Era il 23 settembre 1996 quando don Sergio
Dall’Antonia è giunto in terra romena. Così rac-
contava il suo arrivo diciassette anni fa: «Piazza
Ovidio, Costanza. Sto guardando la statua, c’è
scritto qualcosa. Latino e romeno. Il primo è più
comprensibile: “Augura a me un riposo sereno,
tu che passi di qui. Un riposo sereno per me a
cui l’ingegno sottrasse la vita”. Ovidio è morto
a Costanza, nella Dacia Romana, esiliato perché
l’imperatore Ottaviano Augusto fu offeso da un
suo verso. Anch’io mi trovo a Costanza, sul Mar
Nero. Non esiliato ma inviato e per capire que-
sta mia venuta, lasciate che vi racconti un po’ di
storia…
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Luglio/Agosto 2013

2.5 Page 15

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MISCAREA TINERETULUI SALEZIAN – MTS
12-14 aprile 2013,
meeting del Movimento giovanile salesiano.
Alcuni animatori di Costanza, vestiti da marinai, pi-
rati, clown e sirene hanno cominciato ad accogliere
alla stazione ferroviaria i cinque rappresentanti da
Baia Mare arrivati dopo un viaggio di più di 20 ore
di treno: stanchissimi ma felici di essere accolti con
tanto entusiasmo. Poi, un po’ per volta, sono arriva-
ti anche i giovani di Tulcea, Pantelimon, Medgidia,
Na˘vodari, Tortoman, Baca˘u, Chi¸sina˘u e Triveneto: tut-
ti calorosamente accolti dagli animatori di Costanza.
Obiettivo dell’incontro di quest’anno è stato quello di
continuare il messaggio del 2012: “Io dò la vita.” Come
persone, cerchiamo di offrire la nostra vita per il bene
di quelli che ci stanno accanto. Non solo, vogliamo
“Donare con gioia!”.
La Romania è divisa in regioni: la Transilvania,
la Moldavia, la Valacchia, l’Oltenia, la Muntenia,
la Dobrogia e parte della Rutenia, della Bucovina,
del Banato e della Pannonia. È di religione orto-
dossa, ma un 10% della popolazione è cattolico. Su
23 000 000 di abitanti, ci sono 2 400 000 cattolici.
Ora i cattolici sono più numerosi ad est della Ro-
mania, a sud ovest della Repubblica Moldova.
Lì, nella Moldova rumena, è scoccata la scintilla
che ha causato la nostra presenza qui a Costanza.
Alcuni seminaristi, terminato il corso della scuo-
la superiore ed arrivati alla teologia, si sono rivolti
al Vescovo ed hanno detto: “Noi vogliamo farci
salesiani!”. Chi aveva parlato loro di don Bosco?
Quei giovani avevano letto la vita del santo scritta
a macchina, su dei fogli di carta riso, da non si sa
chi. Si sono mossi alcuni confratelli dall’ispetto-
ria veneta, don Bosco li chiamava!
Il vescovo di Bucarest ci ha invitati a scendere a
Costanza. Lì c’era una sola parrocchia cattolica
per tutta la città che conta oltre 400 000 persone.
La città rivela un gran numero di famiglie povere
e si arricchisce di un gran numero di popolazione
giovane, di ragazzi; non le mancano molti pro-
blemi umani e morali. Al porto o alla stazione ci
sono ragazzi che vivono la notte nei canali del-
le condutture del riscaldamento o dove possono,
mentre durante il giorno vivono di espedienti.
Qui a Costanza i palazzi, le strade, gli ambienti
parlano di povertà e di trascuratezza in genere. Ci
sono anche settori della città belli, curati, quasi
splendenti».
Anche questo stato è oggi parte dell’Europa uni-
ta. Progresso, migliorie economiche, speranze e
prospettive lo stanno facendo decollare. Anche la
vita salesiana, ormai ben radicata, è in fermento:
ad aprile si sono radunati tutti gli animatori della
regione, è stata accolta la reliquia di don Bosco,
si traducono opere salesiane in rumeno ed è nato
un blog per raccontare tutto quello che di nuovo
accadrà.
Contatti: www.donbosco.ro
In Romania la
popolazione è ben
disposta verso
la religione. La
maggioranza è
di confessione
ortodossa.
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2.6 Page 16

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A TU PER TU
LINDA PERINO
Daniele
missionario
in Moldavia
Hanno sete di Dio. Questo è il primo pensiero che mi viene
guardando, ascoltando, vivendo con i giovani che frequentano
il Centro don Bosco. La maggior parte di loro crescono
con genitori separati, sono figli di genitori lontani.
Sentono il bisogno che qualcuno parli loro di Speranza.
Come ti autopresenteresti?
Sono Daniele Beghini, 42 anni, vero-
nese della Valpolicella dove nascono
i noti vini Amarone e Recioto; sale-
siano coadiutore dell’ispettoria INE,
attualmente mi trovo nella casa di
Chisinău in Moldavia.
Perché hai deciso
di “partire”?
Da quando sono entrato nella con-
gregazione salesiana ho dato la mia
disponibilità per andare in missione.
Avendo fatto diverse esperienze mis-
sionarie in Albania, Cile, Brasile, e
vedendo come tanti missionari spen-
devano la loro vita con gioia nell’an-
nunciare il vangelo mi son detto:
“Perché io no?”.
Attualmente
qual è il tuo compito?
Attualmente mi trovo a svolgere il
compito di incaricato dell’oratorio,
sembra strano vedere un coadiutore
incaricato dell’oratorio, ma dietro a
tutto c’è una comunità che mi aiuta
e mi offre la sua esperienza per por-
tare avanti questo incarico. Poi oltre
a questo incarico non manco, durante
il giorno, di fare manutenzione nella
nostra opera che è abbastanza grande;
oratorio, parrocchia, casa famiglia,
CFP (elettricisti e termoidraulici).
Come hai sentito
la vocazione?
Credo che i momenti nei quali ho
sentito la vocazione siano stati tanti,
Il salesiano Daniele Beghini nel suo oratorio a
Chisina˘u in Moldavia.
e più di qualche volta non ho voluto
sentire. Ho lavorato 15 anni come
elettricista, fino al 2002. Dal 1997 ho
iniziato a fare esperienze missionarie,
stanco delle solite vacanze al mare o
in montagna. In una di queste espe-
rienze in Cile con i padri Stimmatini
di Verona, un sacerdote missionario
di Santiago del Cile mi ha fatto la
proposta di essere missionario per il
Signore. Non mi ha detto di essere
missionario Stimmatino, ma per il
Signore. Questa è una delle tante voci
con la quale il Signore mi ha fatto ca-
pire e comprendere la mia vocazione.
Che cosa ne pensa
la tua famiglia?
Quando ho fatto questa scelta di es-
sere Salesiano, mio papà era già sa-
lito in cielo, mia mamma ha sempre
accettato con gioia e serenità la mia
scelta. Noi siamo tre figli: uno è sa-
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Luglio/Agosto 2013

2.7 Page 17

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cerdote diocesano, uno sposato e io.
Nella nostra famiglia ci sono tutte le
vocazioni: quella sacerdotale, quella
matrimoniale e religiosa. Mamma e
papà ci hanno sempre detto: se siete
contenti voi per la vostra scelta, noi lo
siamo ancora di più. Questo è il dono
che il Signore ci ha fatto.
Quali sono i momenti
più belli in famiglia
che ricordi?
Uno dei momenti più belli è stato
quello dell’ordinazione sacerdotale di
mio fratello. È stato un dono grande
per la nostra famiglia, credo che que-
sto dono ci abbia uniti ancora di più,
soprattutto nella preghiera.
Com’è la Moldavia? Quali
sono i problemi più grossi
che deve affrontare?
Questo è il mio quarto anno che sono
qui, e ancora si fa fatica a capire come
sia realmente questa nazione. Si può
dire che è un paese povero ma con
molta dignità. È un paese da amare
e da servire, perché la povertà va ser-
vita, non deve essere un “business” la
povertà. Negli ultimi 10 anni la po-
vertà ha imposto alle donne moldave,
vera forza lavoro locale, una massiccia
emigrazione: dura è la realtà di chi
lascia la propria famiglia per cercare
occupazione in Paesi come l’Italia o
la Spagna in veste di badanti o dome-
stiche. Questo fenomeno, se da una
parte garantisce alla Moldavia un so-
stegno all’economia reale non indif-
ferente e una stabilizzazione sociale,
grazie ai ricongiungimenti familiari,
dall’altro è la causa della piaga so-
ciale più dilagante: il crollo della fa-
miglia. Il vuoto lasciato dall’assenza
della figura materna è lacerante: nel
Paese non tutti i bambini hanno la
mamma e non perché siano orfani. In
Moldavia non esistono, a differenza
della Romania, ragazzi di strada, ma,
semmai, “su strada”; l’orfano sociale
spesso abita con i nonni, categorie
altrettanto deboli, non va a scuola e
rischia di vivere allo sbando perché
non sottostà ad un’autorità che di fat-
to non riconosce.
Come sono
i giovani moldavi?
Hanno sete di Dio. Questo è il pri-
mo pensiero che mi viene guardando,
ascoltando, vivendo con i giovani che
frequentano il Centro don Bosco. La
maggior parte di loro crescono con
genitori separati, sono figli di genitori
lontani. Sentono il bisogno che qual-
cuno parli loro di Speranza, quella
Speranza che noi salesiani, nonostan-
te le nostre debolezze, abbiamo il do-
vere di donare. I giovani che frequen-
tano la nostra opera sono al 100%
ortodossi, ma questo non ci impedisce
di portare a loro il lieto annuncio del
Vangelo, attraverso la figura di don
Bosco e dei suoi ragazzi: Domenico
Savio, Michele Magone, Francesco
Besucco, esempi di vita vissuta che
danno ai giovani moldavi il coraggio
di volare in alto.
C’è molto coraggio in questa
tua scelta. Dove lo attingi?
La nostra chiesa parrocchiale di
Chisinău è dedicata a Maria Ausi-
liatrice, ed è stata costruita su due
colonne, la colonna dell’Eucarestia e
la colonna di Maria. Il sogno profe-
tico di don Bosco è per noi suoi fi-
gli una fonte di grazia dove poter
attuare la passione apostolica del
“Da mihi animas coetera tolle”. Es-
sere saldamente ancorati alle due co-
lonne mi dà il coraggio di rispondere
ogni giorno “eccomi” ai tanti ragazzi
che vogliono sentire parlare di Spe-
ranza.
Vale la pena dedicare
la vita agli altri in questo
modo così radicale?
Sono sempre più sicuro che sono i
poveri che mi fanno comprendere che
l’amore dell’uomo è limitato e solo
Dio può amare in modo assoluto, per
poter così dire che ne vale la pena.
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2.8 Page 18

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FINO AI CONFINI DEL MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
HAITI
III edizione del
“Bosco-Culture”
(ANS - Port-au-
Prince) – I salesiani
e le Figlie di Maria
Ausiliatrice di Haiti hanno organizzato dal
17 al 19 maggio la III edizione della manife-
stazione educativa “Bosco-Culture”. Vi han-
no preso parte oltre 300 giovani provenienti
dai vari ambienti salesiani del paese. L’evento
propone attività culturali quali concorsi di
canto, danza e poesia, con lo scopo sia di
promuovere la cultura haitiana e ampliare
le conoscenze artistiche dei ragazzi e sia di
sviluppare il senso di appartenenza, lo spirito
di squadra, la creatività e la conoscenza dei
valori del Vangelo. Tema di quest’edizione è
stato “I giovani, nella fede e nella gioia, come
don Bosco, lavorando per un’altra Haiti”.
L’appuntamento della Bosco-Culture viene
organizzato a cadenza biennale in alternanza
con le competizioni sportive dei “Giochi Na-
zionali don Bosco”. Per il 2015 in occasione
del bicentenario della nascita di don Bosco
è prevista un’edizione speciale, la “Grand
Bosco-Culture”.
INDIA
139 giovani
salesiani
(ANS - Roma) – Lo scorso
24 maggio, in occasione
della Festa di Maria Ausi-
liatrice, 116 giovani hanno
emesso la prima profes-
sione come Salesiani di
don Bosco. Sono giovani
di varie età, provenienti
da diversi stati dell’India
e dal Bangladesh, che
hanno frequentato i 7
noviziati dell’India. Nel
giorno in cui la Chiesa
ha celebrato Maria con
l’appellativo – tanto caro a
don Bosco – di “Aiuto dei
Cristiani”, questi ragazzi
hanno concluso la prima
tappa di un cammino di
formazione che li porterà
a diventare sacerdoti o
coadiutori per la Congre-
gazione di don Bosco,
impegnati nell’educazione
e nell’evangelizzazione
dei giovani nel rispetto
del carisma salesiano.
A questi si aggiungono
23 giovani salesiani che
in altre date del mese di
maggio hanno emesso la
prima professione.
POLONIA
Savionalia
2013:
“L’educazione
è cosa di cuore”
(ANS - Cracovia) – Dal 10 al 12 maggio,
nello studentato teologico salesiano di
Cracovia, circa 1000 ragazzi delle opere
salesiane della Polonia e dell’Ucraina hanno
partecipato alla XXI edizione di “Savio-
nalia”, appuntamento annuale promosso
dall’Ispettoria di Cracovia per commemora-
re san Domenico Savio. Il motto di questa
edizione, ispirata al II anno di preparazione
al bicentenario della nascita di don Bo-
sco, è stato: “L’educazione è cosa di cuore”.
Le attività hanno previsto gare sportive,
festival di cinema e di teatro, laboratori,
mostre, concerti, concorsi su don Bosco,
danze, lavori di gruppo... Non sono mancati
gli appuntamenti spirituali, con le messe,
l’adorazione eucaristica, le confessioni, la
veglia di preghiera, le “buone notti” salesia-
ne... Nell’Eucaristia conclusiva, don Adam
Paszek, Vicario ispettoriale, ha indicato
Domenico Savio come modello per raggiun-
gere il cielo ed ha consegnato il mandato
missionario ai giovani volontari in partenza.
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Luglio/Agosto 2013

2.9 Page 19

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REPUBBLICA
DOMINICANA
Riconoscimenti
parlamentari
ai Salesiani
UCRAINA
Don Bosco
per le scuole
di Leopoli
(ANS - Santo Do-
mingo) – Martedì 14 maggio, alla presenza
del Presidente del Senato della Repubbli-
ca Dominicana, Reynaldo Pared Pérez, i
Salesiani dell’Ispettoria delle Antille hanno
ricevuto un riconoscimento per il contributo
offerto allo sviluppo integrale dei bambini,
dei ragazzi e dei giovani del paese. Il premio
è stato assegnato in occasione della celebra-
zione del 75° anniversario della parrocchia
“San Giovanni Bosco” e dell’Istituto Tecnico
Salesiano della capitale, con spirito di rico-
noscenza per la visita dell’urna di don Bosco
e in vista del Bicentenario della sua nascita.
Con un altro atto, la Camera dei Deputati ha
premiato anche don Julio Alberto Soto – pri-
mo salesiano domenicano ad aver raggiunto i
50 anni di ordinazione – per il suo contributo
all’evangelizzazione della popolazione do-
minicana e per aver celebrato per molti anni
la messa domenicale per il canale televisivo
statale.
ARGENTINA
L’ostello
dell’oratorio
si apre
ai senzatetto
(ANS - Mendoza) – Per il
secondo anno consecuti-
vo, con l’arrivo dell’inver-
no nell’emisfero australe,
l’ostello dell’oratorio
“Ceferino Namuncurá” di
Mendoza ha aperto le por-
te agli adulti che vivono
per strada. Alcune decine
di persone lo frequentano
quotidianamente per
dormire e fare colazione.
Oltre ai benefici pratici
dell’accoglienza, agli
ospiti si cerca di offrire un
clima armonioso, disteso
e di dialogo, fornendo – a
chi lo desidera – opportu-
nità di svago e fraterniz-
zazione. Per i volontari
che animano l’ostello, il
lavoro e la vita in comune
sono una forte esperien-
za di Dio incarnato, un
Dio presente nei fratelli
bisognosi.
Valgono le parole pronun-
ciate da uno di loro: “Que-
sto è l’unico posto dove ci
trattano da persone”.
(ANS - Leopoli) – In seguito alla peregri-
nazione dell’urna di don Bosco in Ucraina,
il Sindaco di Leopoli, Andrii Sadovyi, ha
richiesto a don Onorino Pistellato, superiore
salesiano della Circoscrizione dell’Ucrai-
na Greco-Cattolica, una piccola statua del
santo allo scopo di farla girare tra le scuole
statali della città. Ricevuta la statuetta, ai
primi di maggio, il Sindaco l’ha conse-
gnata al Ginnasio n. 85, dal quale l’effige
ha iniziato una peregrinazione che durerà
due anni e mezzo e toccherà le 139 scuole
della città. La statua sosterà per una setti-
mana in ciascun istituto. Don Bosco sarà
così conosciuto da 69mila studenti e oltre
6300 docenti. Ai salesiani è stato affidato
il compito di animare le visite, presentando
la vita e l’opera di don Bosco, e di curare la
formazione dei docenti di “etica” – la ma-
teria che sostituisce le ore di religione nelle
scuole ucraine.
Luglio/Agosto 2013
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2.10 Page 20

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INVITO A CHIERI 2
GUIDO DUTTO
Un adolescente,
la città, la vocazione
ITINERARIO
7. Scuole pubbliche
8. Chiesa di Sant'Antonio
e albergo del Muletto
9. Caffè Pianta
10. Sarto Cumino
11. Viale Porta Torino
12. Casa Bertinetti - Istituto Santa Teresa
13. Duomo
La città di Chieri è vitale per comprendere le tappe più significative della vita di don Bosco
11 Viale Porta Torino
10 Via Vittorio Emauele, 24
12 Via Palazzo di Città, 5
8 Via Vittorio Emanuele, 33
9 Via Palazzo di Città, 3
13 Piazza Duomo, 1
7 Via Vittorio Emanuele, 47
20
Luglio/Agosto 2013

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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7. Scuole pubbliche
(Via Vittorio Emanuele, 47)
Giovanni Bosco le frequenta
dal 1831 al 1835. Nell’anno
scolastico 1831-1832 è inse-
rito nella classe Sesta; dopo
due mesi viene promosso alla
classe Quinta e ancora nello
stesso anno passa alla classe Quar-
ta. Nei tre anni successivi frequenta,
con discreto successo, la Grammatica
(1832-1833), l’Umanità (1833-1834) e
la Retorica (1834-1835).
Con gli insegnanti egli instaura otti-
mi rapporti, in particolare con il padre
Giusiana, che ha su di lui una bene-
fica influenza anche a livello formati-
vo. Inoltre i quattro anni della scuola
pubblica sono ricchi di intense amici-
zie con i compagni, in particolare con
Guglielmo Garigliano, Vittorio Braja
e soprattutto con Luigi Comollo.
Nella classe Quarta era professore Vincenzo Cima, uomo severo per la disciplina.
Al vedersi comparire in scuola, a metà anno, un alunno grande e grosso come lui
disse scherzando: ‘Costui o è una grossa talpa o un grande ingegno’.
Un po’ spaventato da quell’uomo severo dissi: ‘Qualcosa di mezzo. Sono un povero
giovane che ha buona volontà di fare il suo dovere e progredire negli studi’.
Quelle parole gli piacquero, e con insolita amabilità soggiunse: ‘Se hai buona vo-
lontà sei in buone mani. Non ti lascerò perdere il tempo. Fatti coraggio. Quando
incontri qualche difficoltà, dimmelo immediatamente e ti aiuterò’.
Lo ringraziai di cuore”.
8. Chiesa di Sant’Antonio
(Via Vittorio Emanuele, 33)
e albergo del Muletto
(ang. Via Vittorio Emanuele-Via Palazzo di Città)
Questa chiesa era frequentata
da Giovanni Bosco e dagli
amici della “So-
cietà dell’Allegria”:
Tutte le feste, dopo
la congregazione del
collegio (= l’istruzione reli-
giosa nella cappella della
scuola, obbligatoria per tut-
ti gli studenti), andavamo
alla chiesa di sant’Antonio,
dove i Gesuiti facevano uno
stupendo catechismo, in cui
raccontavansi parecchi esempi
che tuttora ricordo”.
Una lapide sul lato della chiesa, verso
la piazza, ricorda la presenza a questi
catechismi di Giovanni con gli amici
della “Società dell’Allegria”, un club
di amici con un regolamento di tre
punti soltanto, ma molto importanti
e significativi:
Nessuna azione, nessun discorso
che possa disdire a un buon cri-
stiano.
Fare i propri doveri sco-
lastici e religiosi.
Essere allegri.
All’angolo tra via Vittorio
Emanuele e via Palazzo di
Città era aperto un albergo
detto del Muletto. In que-
sto albergo Giovanni Bo-
sco e i suoi ventidue com-
pagni del collegio hanno
fatto il lauto pranzo dopo
la vittoria contro il saltim-
banco.
Luglio/Agosto 2013
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3.2 Page 22

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INVITO A CHIERI 2
9. Caffè Pianta
(Via Palazzo di Città, 3)
Apochi passi da piazza Ca-
vour, in casa Vergnano, si
trovava il Caffè Pianta. Gio-
vanni Pianta, fratello di Lu-
cia, nell’autunno 1833 viene
a Chieri da Morialdo e apre
un caffè con annessa sala da biliardo.
Il Caffè Pianta è composto da due
sale, una aperta verso la pubblica via e
l’altra, adibita a locale per il biliardo e
il pianoforte, collocata verso il cortile
interno. I due ambienti sono collegati
da un vano di passaggio (lungo circa
metri 3,50), addossato a una scala, nel
quale si trova anche un piccolo forno
in mattoni per la preparazione di caf-
fè e di dolci. In questa specie di cor-
ridoio si apre un sottoscala di piccole
dimensioni, nel quale viene collocata
la brandina di Giovanni.
Il signor Pianta offre a Giovanni il
posto di garzone: dovrà pulire il loca-
le al mattino, prima di recarsi a lezio-
ne e passerà le ore serali nel salone di
biliardo. In compenso gli viene data
una minestra e offerto un giaciglio nel
sottoscala.
È mentre abita nel Caffè Pianta che
stringe amicizia e frequenta l’ebreo
Giona, conosciuto dal libraio Elia,
fino a portarlo alla conversione al cri-
stianesimo e al battesimo.
10. Sarto Cumino
(Via Vittorio Emanuele, 24)
Durante l’anno scolastico 1834-
1835 Giovanni Bosco viene
ospitato a pensione dal sarto
Cumino: per alcuni mesi al-
loggia in un seminterrato, che
era stato precedentemente usa-
to come stalla; in seguito, grazie all’in-
tervento di don Cafasso, il Cumino gli
darà una sistemazione più dignitosa.
Il sarto Cumino è un uomo allegro,
amante dello scherzo, ma un po’ in-
genuo e Giovanni si diverte spesso a
stupirlo con i suoi giochi di prestigio
e di destrezza.
11. Viale Porta Torino
In questo viale nell’anno scolastico 1834-1835 lo studen-
te Giovanni Bosco sfida un saltimbanco. La gara, voluta
dall’insistenza degli amici studenti, si svolge lungo il
viale di Porta Torino in quattro momenti: corsa, salto,
bacchetta magica e arrampicata sull’albero. Giovanni
supera il professionista in tutte le prove e si guadagna la
notevole cifra di 240 lire. Per non rovinare il poveretto, che
vede sfumare tutti i suoi risparmi, gli restituisce il denaro a
patto che questi gli offra un pranzo insieme agli amici della
“Società dell’Allegria”. Il saltimbanco accetta di buon grado
e invita Giovanni e i suoi compagni (ventidue persone in
tutto) all’albergo del Muletto dove paga il pranzo spenden-
do 25 lire.
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Luglio/Agosto 2013

3.3 Page 23

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12. Casa Bertinetti - Istituto Santa Teresa
(Via Palazzo di Città, 5)
Iconiugi Carlo e Vittoria Berti-
netti nel 1868 avevano lasciato in
eredità a don Bosco la loro casa
con il terreno circostante, perché
vi aprisse un’opera a favore dei
giovani chieresi. Ma una serie
di difficoltà impedirono per il mo-
mento la fondazione. L’Oratorio ma-
schile fu allora organizzato nei locali
della parrocchia di san Giorgio. Più
tardi, in casa Bertinetti, la damigel-
la Carlotta Braja con alcune amiche
l’ultima domenica di ottobre del
1876 avviò un piccolo Oratorio fem-
minile. Don Bosco stesso lo inaugu-
rò l’8 dicembre successivo e benedis-
se una statua di Maria Ausiliatrice
e presentandola disse: “Cominci ad
andare la Madonna, poi verranno le
sue figlie”. Due anni dopo, infatti,
nel 1878, le Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice vennero a
Chieri.
Più volte don Bosco fu in
questo edificio: sono con-
servati lo scrittoio, la sedia e
alcuni suoi scritti autografi.
Ma già durante il periodo
giovanile, Giovanni era en-
trato in questa stessa casa per due vol-
te: una prima volta fu convocato dal
can. Burzio per “chiarire” i segreti dei
suoi giochi di prestigio; in seguito so-
stenne qui l’esame prescritto per esse-
re ammesso alla vestizione chiericale.
Degli antichi edifici si può ancora
ammirare una vasta sala del sec. xv,
dal soffitto a cassettoni decorato con
gli stemmi (forse) dei crociati chie-
resi.
13. Duomo
(Piazza Duomo, 1)
Giovanni Bosco, studente della
scuola pubblica, ogni gior-
no, mattino e sera, viene a
pregare di fronte alla statua
della Madonna delle Grazie,
memore della raccomanda-
zione della madre: “Sii devoto della
Madonna”.
Pregando in questa cappella insieme
all’amico Comollo ottiene luce per
discernere la propria vocazione.
In sacrestia prepara il sacrestano
Carlo Palazzolo all’esame di Retto-
rica.
Da chierico seminarista Giovanni
Bosco continuò a frequentare il Duo-
mo per le funzioni e il catechismo do-
menicale ai giovani.
Il 9 giugno 1841, sacerdote novello,
all’altare della Madonna delle Grazie,
celebra la sua quarta Messa.
In questa chiesa era già stato battez-
zato il 18 settembre 1735 Filippo An-
tonio Bosco, nonno paterno di Gio-
vanni.
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3.4 Page 24

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LE CASE DI DON BOSCO
BENEDETTA AGRETTI
L’isola felice
del buon
samaritano
In alto: Don
Leonardo Mancini,
ispettore dell’Italia
Centrale, e don
Gino Berto,
direttore dell’opera
di Livorno.
Sotto: La facciata
della chiesa dei
salesiani e scorcio
dell’Istituto.
L’opera salesiana di Livorno
L La presenza dei salesiani ha sempre
rappresentato un punto di forza e una
presenza di qualità all’interno del quartiere
se non della città stessa: molti frequentanti
a storia dei Salesiani di Livorno affonda
le sue radici nel lontano 1878 quando una
zelante cooperatrice, Livia Bianchetti,
scrisse a don Bosco sollecitando un desi-
derio già espresso in precedenti occasioni:
da altri ambiti ecclesiali confermano i
costruire almeno in principio un oratorio
salesiani come parrocchia “di elezione”.
festivo, o al più, una modesta scuola esterna feria-
le per fanciulli di popolo. “I bisogni sono eccessivi
e pochissimi i mezzi per provvedervi”, la mag-
gior parte dei ragazzi, in assenza di un’educazio-
ne cristiana, imboccavano facilmente la via della
perdizione. Don Bosco sa che a Livorno bisogna
andare, è indispensabile arricchire la città della
presenza di una casa salesiana, quindi dà parere
positivo.
Ma Livorno, questa città battuta dal mare e dal
vento, viva, rumorosa, vociante e generosa, do-
vrà attendere altri anni prima di vedere realizza-
to questo progetto. L’inizio del xx secolo porta
finalmente con sé la concreta esecuzione di una
promessa: nel 1903 i Salesiani arrivano in città,
prendendo alloggio alla Palazzetta in via del Se-
minario. Nello stesso periodo arrivano anche le
Figlie di Maria Ausiliatrice, la cui collaborazione
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Luglio/Agosto 2013

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risulterà nel tempo sempre più preziosa.
Nel 1904 inizia il rodaggio dell’opera salesiana
che, come è facilmente intuibile, è destinato a si-
curo successo. Il numero di ragazzi che frequen-
tano l’oratorio cresce sempre di più, mentre anche
le suore, con la scuola, il laboratorio, l’oratorio
festivo e i corsi di lettura e catechismo rivolti a
piccoli e adulti, cominciano a lamentare seri pro-
blemi di spazio.
Una presenza di qualità
Si rendeva necessaria una nuova e più vasta strut-
tura: nel 1915, grazie alla donazione del cavalier
Pannocchia, i Salesiani entrarono in possesso dei
terreni che si trovavano nel nuovo quartiere che
si stava costruendo nei pressi della stazione fer-
roviaria. Quattro anni dopo, la comunità di reli-
giosi poté trasferirsi nel nuovo edificio, anche se
ancora non esisteva una chiesa vera e propria. Si
decise così la costruzione di un tempio in sosti-
tuzione della piccola cappella annessa all’Istituto.
Il progetto, realizzato da Torello Macchia, vide
la luce nel 1928: il tempio della Vittoria e della
Pace, intitolato al Sacro Cuore di Gesù, fu bene-
detto il 3 novembre 1928, alla presenza del Rettor
Maggiore don Filippo Rinaldi e del Vescovo di
Livorno Monsignor Giovanni Piccioni.
Sempre nel 1928, anche le Figlie di Maria Ausi-
liatrice arrivarono a popolare il nuovo quartiere,
con la costruzione di un secondo edificio volto ad
ospitare la scuola e l’opera di apostolato.
Da allora, pur tra alti e bassi, la presenza dei Sa-
lesiani ha sempre rappresentato un punto di forza
e una presenza di qualità all’interno del quartiere
se non della città stessa: molti frequentanti da al-
tri ambiti ecclesiali confermano i Salesiani come
parrocchia “di elezione”.
Rappresentare una presenza di qualità significa
soprattutto accogliere e dar risposta alle sfide che
ogni tempo porta con sé e l’attuale situazione
economica politica e sociale, di sfide ne sta po-
nendo, soprattutto riguardo l’evangelizzazione.
Le difficoltà del vivere costituite da povertà, crisi
abitativa, malattia, mancanza di prospettive ren-
dono la realtà salesiana sempre più sensibile alle
esigenze dei ragazzi e non solo.
L’Oratorio rappresenta da sempre il fulcro dell’e-
sperienza salesiana, così come voleva don Bosco.
Molti giovani gravitano attorno al cortile, luogo
privilegiato di interazione. Educatori e animatori
sono chiamati ad una presenza attiva, che stimoli
i giovani a vivere i valori della persona, perciò è
necessaria una loro formazione personale. Oltre
a tale formazione, si richiedono anche la cura e
la valorizzazione degli ambienti come luogo di
appartenenza e condivisione. I percorsi formativi
si propongono tre obiettivi, volti allo sviluppo di
una forte identità credente: la fede e i sacramenti;
una sensibilizzazione verso i ragazzi più bisogno-
si; la formazione morale. Inoltre, come insegna
don Bosco, è necessario partire dagli interessi dei
giovani per poterli poi “agganciare” e coinvolgere
nell’esperienza cristiana: nascono così i gruppi di
interesse (teatro, musica, sport, cultura e nuove
tecnologie) e durante l’estate, attività come l’E-
state Ragazzi e i campeggi. La finalità è quella
di formare integralmente la persona del giovane,
sviluppando un confronto assiduo della Parola e
la partecipazione ai Sacramenti dell’Eucarestia e
della Riconciliazione, scoprendo gradualmente la
volontà di Dio in ogni contesto di vita.
Una Messa
giovanile
nel cortile
dell’Oratorio.
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LE CASE DI DON BOSCO
Scene dal
carnevale
dell’Oratorio
salesiano.
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L’attenzione di don Bosco, si sa, era rivolta so-
prattutto ai giovani più bisognosi e la realtà sale-
siana di Livorno in questo non è da meno: il li-
mite vissuto dai giovani (drop out, dipendenza da
gioco, droga, alcol, mancanza di prospettive per il
futuro) è motivo di grande attenzione educativa.
Il coraggio profetico di alcuni Salesiani ha fatto
nascere in tal senso, iniziative che si posizionano
su nuove frontiere:
Ceis Tre Ponti: nasce vent’anni fa da un’intui-
zione che ha contribuito a dare risposta a persone
in condizioni di grave disagio, come giovani, fa-
miglie con bimbi, persone con problemi di droga,
aids e immigrazione. Attualmente la parrocchia
si fa carico di garantire servizi a queste persone
bisognose, laddove l’ente pubblico non è in grado
di rispondere. Il Ceis non deve essere inteso come
una supplenza allo Stato, bensì come una testi-
monianza d’amore concreta ed evangelica che,
alla maniera della parabola del Buon Samaritano,
si prende cura del fratello bisognoso attraverso
l’assistenza, la cura, la professionalità, l’alloggio.
Cantiere giovani: nato per prevenire la disper-
sione scolastica e offrire un riferimento sereno ed
arricchente, questo servizio di accoglienza rivolto
ai minori si concretizza attraverso l’organizza-
zione di attività pomeridiane di tipo formativo
e ricreativo. Sta maturando la decisione di aprire
un centro diurno per poter raggiungere i ragazzi
usciti dal ciclo scolastico e poterli reintegrare o
accompagnarli verso attività lavorative.
Progetto Rom: nato dieci anni or sono, dall’in-
tuizione congiunta di un salesiano e di alcuni lai-
ci, si è sviluppato fino a diventare un lavoro in
rete con altre associazioni, come la Caritas dioce-
sana. Tra gli obiettivi che questo progetto propo-
ne, sottolineiamo l’insegnamento scolastico dei
bimbi rom, l’integrazione nel territorio attraverso
opportune iniziative e l’inserimento nell’oratorio
per favorire un dialogo positivo con gli altri bam-
bini.
La Ludo Messa
La situazione della famiglia, perno della società
e della chiesa, rappresenta un altro campo di in-
tervento da parte della parrocchia. Il Vangelo in
effetti, non è soltanto un insieme di insegnamen-
ti sterili, esclusivamente da leggere: il Vangelo si
deve vivere, si deve respirare, si deve trasmettere.
Ed ecco che, a quel punto, il Vangelo acquista for-
me e colori, suoni e sapori: il vociare dei ragazzi
in cortile, il suono delle loro risate, i sapori delle
grigliate all’aria aperta… e ancora, i colori delle
mani dei bambini della Ludo Messa (catechesi per
bambini dai 2 ai 6 anni), che amano impastroc-
chiarsi con i pennarelli per terminare i cartello-
ni che porteranno orgogliosi all’altare durante la
Messa domenicale, le riflessioni degli amichetti un
po’ più grandi della pre-catechesi, fino ad arrivare
all’impegno convinto e maturo dei ragazzi che, al
termine del percorso sacramentale, recitano la loro
solenne professione di fede.
Luglio/Agosto 2013

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insieme
facciamo nuovo
dacosì il cortile di
don Bosco
Una nuova base per il monumento a don Bosco e
comode panchine intorno agli alberi del cortile.
Perché la culla della
Congregazione Salesiana
torni ad essere simbolo
di accoglienza, di gioia
e di raccoglimento per tutti
i pellegrini.
La realizzazione è impegnativa
e il momento difficile. Per questo
ci permettiamo di chiedere l’aiuto
concreto di tutti.
Tutti possono partecipare:
scuole, Ispettorie, parrocchie,
famiglie.
Ricordando che ogni contributo
piccolo o grande
è ugualmente prezioso.
Per informazioni:
e-mail: biesse@sdb.org
Per i contributi:
Banca Intesa Sanpaolo
fil. 00505 - Torino
IBAN:
IT94 N030 6901 0051 0000 0016 221
BIC: BCITITMM
Intestato a Oratorio San Francesco
di Sales - Il cortile di don Bosco
Un’oasi di pace dove c’era l’orto di mamma
Margherita.
a così
Un anfiteatro e alcuni
gazebo per gli incontri giovanili.
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FMA
LINDA PERINO
Maria Pia Giudici
La preghiera
sul monte
«Una suora salesiana» scrive Mariapia Bonanate «ha trasformato
il Monastero di San Biagio, a lungo abbandonato, in una casa di
preghiera. Il luogo è diventato per molti una profezia e un annuncio.
Lo ha progettato la Provvidenza, servendosi di una donna che ha
risposto a una chiamata nella chiamata, ha capito come don Bosco,
il santo senza riposo, e san Benedetto, il santo contemplativo, siano
legati da profonde corrispondenze e consonanze. Lei si è messa a
loro disposizione, con la semplicità e il coraggio di chi si offre come
strumento, perché i disegni e la parola di Dio s’incarnino nella storia
degli uomini»
Com’è maturata in lei l’idea
di un eremo sul monte?
Quest’idea giaceva nella terra del mio
vissuto come un misterioso seme te-
nace. Anche da giovane (prima di ab-
bracciare la vita religiosa) ho sempre
amato i luoghi solitari. Non che ciò
mi facesse escludere la vita dinamica
di una città come Milano con le aule
dell’università, i luoghi di crescita e
di divertimento. Però trovavo sempre
modo di vivere momenti di solitudine
e silenzio, soprattutto in montagna,
nei boschi, in campagna. Ho sem-
pre avvertito il creato come un buon
trampolino di lancio in ordine alla
preghiera.
Per questo, nell’ottobre del 1978, ot-
tenni dalle Superiore il permesso di
avviare una Casa di Preghiera a Su-
biaco.
28
Luglio/Agosto 2013
La campana del Monastero e, accanto al titolo,
suor Maria Pia Giudici.

3.9 Page 29

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Com’era stata la sua vita
fino a quel momento?
Da giovane insegnai Lettere con par-
ticolare entusiasmo per la narrativa e
la poesia in cui l’uomo di ogni tem-
po esprime la sua fame d’infinito.
Quando il Concilio Vaticano II rese
avvertiti gli istituti educativi della
necessità di educare a un uso corretto
dei mass-media, madre Ersilia Canta,
allora Superiora Generale, mi chia-
mò in casa generalizia perché potes-
si iniziare un percorso educativo dal
cinema alla TV e agli altri mezzi di
comunicazione per immagine. Fre-
quentai dunque corsi specialistici per
la lettura e la valutazione critica dei
film, delle trasmissioni televisive ecc.
Poi, a mia volta, organizzai corsi per
le consorelle insegnanti nella scuola
media superiore.
Quali sono le caratteristiche
e lo stile della sua scelta?
Anzitutto devo dire che vedere certi
film di valore in ordine a una valu-
tazione critica educativa mi è stato di
grande interesse. Autori come Berg-
man, Bresson, Pasolini, Olmi e altri
mi hanno molto arricchito da ogni
punto di vista.
Anche per sperimentare l’effetto psi-
cospirituale di questi film sui giovani,
invitai un gruppetto di universitarie e
giovani insegnanti a vedere con me i
film e a discuterli insieme. Feci quest’e-
sperienza mentre io stessa frequentavo
corsi di approfondimento circa questo
ambito importante ma facile a essere
affrontato con superficialità.
Capii allora quanto è necessario alter-
nare all’esperienza mediatica quella
di una realtà che metta a diretto con-
tatto con il creato e con esperienze di
vita semplice, dentro una relazionalità
vera e gioiosa.
Chiesi allora il permesso di varare l’e-
sperienza dei campeggi della Parola di
Dio con lo stesso gruppetto dei giovani
che avevo invitato a vedere i film. Fu
un’esperienza molto positiva. Toccai
con mano quanto il più stretto contat-
to con la natura dove l’ambiente favo-
riva l’ascolto silenzioso della Parola di
Dio, facilitava questo stesso ascolto, e
creava le condizioni migliori per ap-
profondire la Parola e farla entrare nel
vissuto. Devo dire che questi campeg-
gi sono stati il nocciolo della proposta
alle Superiore di aprire – proprio noi
Figlie di Maria Ausiliatrice – una casa
per pregare la Parola di Dio, fuori da
ogni sollecitazione dispersiva.
Perché proprio San Biagio?
Pregai per lungo tempo perché il Si-
gnore mi facesse trovare il luogo adat-
to: immerso nella natura e nello stesso
tempo non lontano da un centro di
spiritualità.
Giovani a San Biagio. Qui trovano essenzialità,
familiarità, amicizia, ascolto affettuoso e paziente,
occasioni di vero ristoro.
Il provvido amore di Dio mi portò a
Subiaco dove san Benedetto, in una
spelonca del monte Taleo, iniziò la vita
cenobitica del mondo occidentale. Su
questo stesso monte, poco più in alto
del Sacro Speco, si trova San Biagio:
un antico eremo dove visse san Roma-
no che – narra san Gregorio Magno
– avviò il giovane Benedetto sulla stra-
da di totale consacrazione a Dio. Da
quando arrivai quassù con suor Maria
Letizia Gatti e con il cane Lessy rega-
lato da sua mamma, San Biagio è pas-
sato da una fisionomia un po’... “ispi-
da” a una realtà del tutto accogliente.
Secondo lei, la gente che
viene qui lo fa per curiosità
o cerca qualcosa? Che cosa?
Quelli che vengono per curiosità se ne
vanno quasi subito, trovando ben poco
da... “curiosare”. Insieme alle Sorelle
mi rendo conto che, oggi soprattutto,
la gente cerca spazi di vita semplice, di
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3.10 Page 30

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FMA
contatto con il creato, e di un’occasio-
ne (più o meno consapevole) per essere
aiutata a incontrare Dio.
Per trovare Dio
è necessario isolarsi?
No certamente! Dio lo possiamo in-
contrare ovunque: in un bel prato
dove la brezza convince anche l’erba
a lodarlo, in piazza San Pietro per
vedere papa Francesco o anche al
supermercato. Ci sono però esigenze
fisiopsicospirituali accentuate oggi
dallo stress tipico di una vita frenetica
nei tempi lavorativi e irta di preoccu-
pazioni in famiglia. Per questi e altri
motivi, prendersi qualche tempo e
qualche spazio all’aria, al sole, all’erba
verde, al canto degli uccelli distende
il sistema nervoso e facilita anche la
preghiera: soprattutto quell’esercizio
Suor Maria Pia durante una conversazione
con i giovani. L’attività primaria della comunità
insieme all’accoglienza è l’approfondimento
della Parola di Dio attraverso la Lectio Divina.
di rientro al cuore abitato da Dio che
poi diventa possibile anche in città.
Com’è accolta
questa esperienza
dalla Famiglia Salesiana?
All’inizio, come succede sempre di
fronte alle novità, ci furono perplessità
ben comprensibili. Ora invece avverto
una comprensione e a volte un inco-
raggiamento che rallegra il cuore. E
aiuta a migliorare sempre. Deo gratias!
Quanto c’è
dello spirito salesiano
nella sua esperienza?
Nell’esperienza che vivo con le sorelle e
gli ospiti qui a San Biagio mi pare che
si evidenzino due elementi tipici dello
Spirito Salesiano: uno Spirito di Fami-
glia e una gioia nutrita dalla Parola di
Dio contattata e pregata ogni giorno,
tenuta viva da relazioni semplici e fra-
terne, in cui la stima vicendevole, la fi-
ducia, la collaborazione a tutti i livelli
ci aiutano non solo a “portare il peso
gli uni degli altri”, ma a far consistere
la ricerca della santità nel vivere sere-
namente e in semplicità la scommessa
della gioia cristiana e salesiana.
I primi ad esserne coinvolti sono i
Giovani a cui dedichiamo particolar-
mente la prima e la terza domenica
di ogni mese. Un altro appuntamen-
to mensile importante è offerto alle
Coppie. Tanto per gli uni che per gli
altri l’incontro è centrato sulla Lectio
Divina che illumina particolari tema-
tiche adatte alla loro vita. Oltre a un
tempo di deserto risulta importante
sia la condivisione sia la disponibilità
all’ascolto di quanti (e sono numero-
si), hanno bisogno di aprire il cuore e
avvertire affetto, piena comprensione.
Abbiamo poi una particolare atten-
zione ai giovani che scelgono di ve-
nire qui per un ritiro nell’immediata
preparazione al matrimonio o alla
consacrazione a Dio.
Da chi è formata
la Comunità?
Il numero delle Sorelle è un po’ flut-
tuante. Attualmente siamo in cinque:
ciascuna intenta a dare il meglio di
30
Luglio/Agosto 2013

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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sé perché San Biagio sia veramente
quello che la gente oggi cerca: essen-
zialità, familiarità, atmosfera di ami-
cizia, ascolto affettuoso e paziente,
occasione di vero ristoro.
tori valorizziamo dunque anche il la-
voro manuale, non solo lo studio e la
lettura di appositi testi spirituali. La
manualità infatti oggi è consigliata
perfino dai medici e dagli psicologi.
Cesare Lo Monaco
chettiridi?
Le vignette di César
Quali sono le attività
della Comunità?
L’approfondimento della Parola di
Dio attraverso la Lectio Divina. Le
nostre giornate poi trascorrono in
fretta, impegnandoci nell’attività pri-
maria di accogliere bene quanti ven-
gono da noi.
Si tratta d’incontrare l’ospite, metter-
lo subito a suo agio, assegnargli una
cameretta o un luogo silenzioso, ospi-
tale. C’è poi chi si rende disponibile
all’ascolto, e chi è chiamato a coin-
volgere lietamente l’ospite in attività
casalinghe o di semplice artigianato.
Infatti l’ora et labora, che è motto be-
nedettino ma tanto caro a don Bosco,
ritma davvero la nostra vita quassù,
per aiutare noi e gli altri a sperimen-
tare un’armonia esistenziale, di cre-
scita serena, di gioia per tutti. È evi-
dente che l’artigianato serve anche al
nostro sostentamento, insieme all’of-
ferta liberamente lasciata dagli ospiti in
una piccola cassetta.
Ricordando la validità dell’esempio
degli antichi Padri e dei nostri fonda-
Lei ha scritto un bellissimo
libro sugli Angeli. Perché?
Li possiamo incontrare
quassù?
Ho scritto un libro sugli Angeli sem-
plicemente perché una superiora del
consiglio generalizio me l’aveva chie-
sto. “L’appetito vien mangiando” dice
un proverbio. Infatti l’amore per gli
Angeli mi è venuto dal conoscere il
senso e il valore del loro ministero per
la gloria di Dio e per l’aiuto a ciascu-
no di noi. Non sono certo gli Angeli
a salvarci, ma da fratelli più forti e
grandi di noi nel consentire a Dio,
possono aiutarci a lasciarci salvare da
Lui. E allora perché non pregarli?
Non ho mai incontrato visibilmente
gli Angeli: né a San Biagio né altrove.
Però ho avvertito la loro consolante
presenza là dove tutto è più sempli-
ce, più vero, più fraterno e più bello:
nell’abbraccio di Dio che guida i no-
stri passi in luce di Vangelo e in bel-
lezza di creature-dono.
Dal fiore di prato al cane scodinzo-
lante all’uccello in volo, dal fratel-
lo alla sorella all’ospite, tutto e tutti
costituiscono un caro mondo che gli
Angeli mettono in sintonia con me,
per aiutarmi a respirare la grande Pre-
senza, vivere insieme con Lui, cercan-
do di diventare come a Lui piace.
Contatti: www.sanbiagio.org
E-mail: info@sanbiagio.org
Libro carinissimo. Tutto
di vignette di un umorismo
sottile, arguto, elegante.
Si legge subito, una vignetta
tira l’altra come le ciliegie!
Carinissimo sia nel tratto
quanto nelle scritte, una
combinazione magica che
mette in evidenza una forma
di satira dei nostri tempi,
del nostro costume,
dei nostri vizi e delle nostre
abitudini. Può essere non
solo un libro di svago,
ma anche d’insegnamento.
www.cesarlomonaco.it
Luglio/Agosto 2013
31

4.2 Page 32

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Le tredici mosse dell’arte di educare
6. Risplendere
L’arte di educare non è per gente pigra!
Impiantare un uomo nuovo richiede un insieme di mosse
magnifiche, ma impegnative! Le stiamo snocciolando,
di mese in mese. Ormai siamo alla sesta: risplendere!
‘Risplendere’, sì, perché
educare non è salire in
cattedra, ma è tracciare
un sentiero.
Educare è essere ciò che
si vuole trasmettere!
Insomma, educare è risplendere!
Aveva ragione lo scrittore Ippolito
Nievo (1831-1861) a dire che “La pa-
rola è suono, l’esempio è tuono”.
L’esempio ha una valenza pedagogica
straordinaria almeno per quattro ra-
gioni.
1. Intanto perché i figli imparano
molto di più spiandoci che ascoltan-
doci. I genitori forse non se ne accor-
gono neppure, intanto i figli fotogra-
fano e registrano: “Vorrei avere la tua
buona volontà di lavorare, mamma, ma
non vorrei assomigliare a te per la tua
nervosità” (Simona, nove anni).
“Papà vorrei che quando mangi, non
sputi nel piatto” (Marco, otto anni).
“Bisticciano sempre, ma sono innamora-
ti, difatti a tavola papà dice sempre alla
mamma: ‘versami il vino, così è più buo-
no’” (Anna Lisa, dieci anni).
2. L’esempio ha valenza pedagogica,
poi, perché ciò che vien visto compie-
re dagli altri è un invito ad essere imi-
tato, è un eccitante per l’azione.
I ricercatori ci dicono che quando,
ad esempio, vediamo una persona
muovere un braccio, camminare, sal-
tare… nel nostro cervello vengono,
istintivamente, messi in moto gruppi
di cellule (i mirror neurons: i ‘neuroni
specchio’) che spingono a ripetere ciò
che si è visto.
3. La terza ragione della forza peda-
gogica dell’esempio sta in quella ve-
rità che i bravi insegnanti conoscono
bene: “Se sento, dimentico. Se vedo, ri-
cordo. Se faccio capisco”.
“Se vedo, ricordo”. Dentro ognuno di
noi sono memorizzati mille gesti dei
nostri genitori. È bastato vedere il
loro comportamento, per non poterli
più dimenticare.
L’attrice Monica Vitti confessa: “Il
rapporto con mia madre è stato determi-
nante. A lei devo tutta la mia forza e il
mio coraggio, la serietà e il rigore che ho
sempre applicato nel mio lavoro”.
A sua volta Enzo Biagi confida: “Di
mio padre ricordo la grandissima gene-
rosità, la sua apertura e la sua disponi-
bilità verso tutti. Non è mai passato un
Natale, e il nostro era un Natale mode-
sto, senza che alla nostra tavola sedes-
se qualcuno che se la passava peggio di
noi… Non è mai arrivato in ritardo allo
stabilimento. E io ho imparato che biso-
gna fare ogni giorno la propria parte”.
Anche il papa Paolo VI ha i suoi ricordi:
“A mio padre devo gli esempi di coraggio. A
mia madre devo il senso del raccoglimento,
della vita interiore, della meditazione”.
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Luglio/Agosto 2013

4.3 Page 33

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PRENDO NOTA
IL MUSICISTA
LA PIETRA MILIARE
L’educazione inizia dagli occhi, non dal-
le orecchie.
Oggi i ragazzi ascoltano con gli occhi.
Roberto Benigni, alludendo alla sua
esperienza con Federico Fellini, dice:
Quando si sta sotto una quercia, forse
rimane in mano qualche ghianda”.
I fatti contano più delle parole. La rosa
avrebbe lo stesso profumo, anche se si
chiamasse in un altro modo.
Per imporsi non serve la costrizione, ma
l’ammirazione.
Spesso si raddrizzano gli altri semplice-
mente camminando diritti.
L’educazione più che una tecnica è una
respirazione. Se i figli vivono in un’at-
mosfera elettrica, diventano elettrici…
Chi parla di dieta con la bocca piena, si
auto esclude in partenza.
Quando nel deserto non vi sono le stelle
e la notte è buia come la pece, restano le
orme. Gli esempi sono le orme!
Quattro proverbi per terminare: “Come
canta l’abate, così risponde il frate”.
“La ciliegia verde matura guardando la
ciliegia rossa” (Palestina). “Educatori
storti, non avranno mai prodotti dritti
(Olanda). “Se la pernice prende il volo, il
piccolo non sta a terra” (Africa).
Le testimonianze riportate ci lancia-
no la domanda più seria tra tutte: “I
figli ci ‘guardano’. Che cosa vedono?”.
4. Finalmente l’esempio è decisivo
perché è proprio l’esempio a dare se-
rietà alle parole.
Si può dubitare di quello che uno
dice, ma si crede a quello che uno fa.
A questo punto è facile concludere:
educare è non offendere mai gli occhi
di nessuno!
Il grande scrittore russo Feodor Do-
stoevskij (1821-1881) ha lasciato un
messaggio pedagogico straordinario:
“Io mi sento responsabile non appena
uno posa il suo sguardo su di me”.
Magnifico!
Beati i figli che hanno più esempi che
rimproveri!
Beati i figli che hanno genitori che
C’era una volta un musicista che suo-
nava da vero artista uno strumento.
La musica rapiva la gente a tal punto
che si metteva a danzare.
Per caso un sordo, che non sapeva
nulla della musica, passò di là e, ve-
dendo tutta quella gente che ballava
con entusiasmo, si mise, lui pure, a
danzare!
La vista persuade più dell’udito.
La pedagogia è stata stampata su
carta milioni di volte, in milioni di co-
pie. La trovi in tutte le lingue. Eppure
l’umanità è ancora ferma. Che cosa
aspetta? Aspetta testimoni in carne
ed ossa, uomini di fatti e non di fiato!
Poi si muoverà.
L’educazione non ama essere raccon-
tata. Vuole essere vissuta: allora si
diffonderà da sé.
GANDHI E LA RAGAZZA GOLOSA
Una volta una madre preoccupata per la figlia che aveva preso la brutta abitudine di abbuf-
farsi di dolci, si recò da Gandhi.
Lo scongiurò: “Per favore, Mahatma (‘grande anima’) parla tu con mia figlia in modo da per-
suaderla a smetterla con questo vizio! ”.
Gandhi rimase un attimo in silenzio un po’ imbarazzato, poi disse: “Riporta qui tua figlia tra
tre settimane, allora parlerò con lei, non prima! ”.
La donna se ne andò perplessa, ma senza replicare.
Tornò, come le era stato proposto, tre settimane dopo, rimorchiandosi dietro la figlia, golosa
insaziabile.
Stavolta Gandhi prese in disparte la figlia e le parlò dolcemente con parole semplici e assai
persuasive. Le prospettò gli effetti dannosi che possono causare i troppi dolci. Quindi le
raccomandò una maggiore sobrietà.
La madre, allora, dopo averlo ringraziato, nell’accomiatarsi, gli domandò: “Toglimi una cu-
riosità, Mahatma: mi piacerebbe sapere perché non hai detto queste cose a mia figlia tre
settimane fa…”.
Gandhi tranquillamente rispose: “Perché tre settimane fa il vizio di mangiare dolci l’avevo
anch’io! ”.
prima di parlare chiedono il permesso di piombo!
all’esempio!
Prima di parlare occorre
Beati i figli che hanno genitori le cui chiedere il permesso
parole d’oro non sono seguite da fatti all’esempio!
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4.4 Page 34

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NOI & LORO
ALESSANDRA MASTRODONATO
LA FIGLIA
La ricerca
della felicità
Sembra che ormai siano pochissimi
gli educatori disposti a mettere
al primo posto, nel cammino
che condividono con i ragazzi,
la ricerca della felicità
«Q uid animo satis?». Che cosa ba-
sta all’animo umano? In altre
parole, che cosa occorre per
essere felici? Se lo chiedeva
1600 anni fa sant’Agostino,
inquieto e appassionato cerca-
tore della verità, che sola può dare ristoro all’in-
sopprimibile aspirazione alla felicità dell’uomo.
Se lo sono chiesto – con esiti diversi,
ma animati dal medesimo desiderio
– filosofi e pensatori di ogni epo-
ca e scuola, accomunati dalla con-
vinzione che una simile questione
non può mai essere elusa, poiché
ad essa è indissolubilmente legata
quella del senso e del fine dell’e-
sistenza umana. Continuiamo a
chiedercelo noi oggi, agli albori
di questo terzo millennio che
tante nuove possibilità di-
schiude alla nostra vita quo-
tidiana, ma ancora non rie-
sce ad offrire una risposta
soddisfacente alle nostre atte-
se più profonde e, anzi, sem-
bra depistarci e confonderci
sempre più, distogliendoci dal-
la ricerca di una felicità autentica e duratura.
E se lo chiedono, forse con ancor più vigore e in-
sistenza, le nuove generazioni, oggi più che mai
in bilico tra le tante attese, aspirazioni e speranze
proprie della loro età, che istintivamente le proiet-
tano verso la ricerca di un senso più alto per il loro
agire, e la tentazione di rinunciare in partenza ad
inseguire i propri sogni, accontentandosi di vivere
alla giornata, immerse in un benessere effimero e
meno gratificante, ma più sicuro e meno evane-
scente di una felicità sempre più spesso avvertita
come utopica e irraggiungibile.
Eppure sembra che ormai siano pochissimi gli
educatori disposti a mettere al primo posto, nel
cammino che condividono con i ragazzi, la ricerca
della felicità: vuoi perché oggi quest’attesa è stata
quasi del tutto rimossa dall’orizzonte delle spe-
ranze umane, vuoi perché spesso perdono di vista
che fine ultimo del loro servizio è quello di aiuta-
re i più giovani ad orientarsi in una realtà sempre
più “liquida” e “complessa”, a costruire un progetto
di vita che funga da guida per le loro scelte pre-
senti e future.
Ma che cosa significa essere felici? Dare una ri-
sposta univoca a questo interrogativo è pressoché
impossibile, ma almeno su una cosa si può forse
concordare senza troppa difficoltà: la felicità è un
qualcosa che coinvolge tutta la persona, permet-
tendole di attingere ad un’armonia più alta e di
sperimentare un senso di pienezza e di serenità
interiore. È insieme “dono” e “conquista”; inizial-
mente, incontro tra la libertà e la responsabilità
personale e, nel tempo, progressiva apertura verso
la consapevolezza di poter contribuire anche alla
felicità degli altri, mentre si ricerca la propria.
Poter contare su educatori che abbiano il corag-
gio di condividere tutto questo con i ragazzi non
dà la garanzia che essi riusciranno a vivere in-
tensamente la propria vita, orientandola verso la
ricerca della vera felicità; può, però, quantomeno
incoraggiarli a non essere rinunciatari, a guarda-
re con fiducia e speranza al futuro.
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Luglio/Agosto 2013

4.5 Page 35

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MARIANNA PACUCCI
E’ rimasta purtroppo confinata agli ad-
detti ai lavori la riflessione sulla feli-
cità, che sollecitava a considerarla una
indicazione importante dello stato di
salute di una società, di uno Stato.
Peccato: sarebbe stato proprio utile,
di questi tempi, tornare a ragionare su questo va-
lore sottraendolo alla collocazione esclusiva nella
vita individuale, nella sfera del privato.
Recuperando la dimensione sociale della feli-
cità, è possibile rilanciare un bisogno, un’attesa
che oggi è completamente travolta dalla cultura
del disincanto: essere felici non è impossibile, né
tanto meno un fatto occasionale, né certamente
qualcosa di cui vergognarsi, a meno che la felicità
del singolo si costruisca a scapito del prossimo.
Voler essere felici è il trampolino di lancio di
un’esistenza esigente ma allo stesso tempo reali-
stica; il nastro di partenza di un cammino che vo-
glia avere una meta non negoziabile; la decisione
irrevocabile per uno stile di vita in cui sia chiaro
che cosa è essenziale e che cosa invece è acces-
sorio. È una vera e propria vocazione: regalarsi e
regalare la possibilità di diventare gioiosamente
figli di Dio, santi capaci di letizia anche in mezzo
a fatiche, difficoltà, problemi di ogni tipo.
Le famiglie sono impastate di questa consapevo-
lezza e decise ad orientare su questo traguardo il
loro lavoro educativo? Sono testimoni credibili di
una ricerca di senso della vita in cui quel che conta
è riuscire a stare in pace con se stessi e con gli al-
tri, essere generosi nei confronti delle invocazioni
della storia, pronti a condividere la costruzione di
una civiltà dell’amore in cui a tutti siano date la
possibilità e la certezza di un effettivo ben-essere?
Se ci si guarda intorno nei vari ambienti della
quotidianità non si può proprio stare tranquilli:
la gente è triste, delusa, stanca. Non ha più voglia
di mettersi in gioco e cerca di defilarsi da tutto
ciò che appare impegnativo. Si accontenta di un
piatto di lenticchie piuttosto che rivendicare il di-
ritto alla primogenitura, all’interno di una società
FIL (Felicità
Interna Lorda)
Voler essere felici è il trampolino
di lancio di un’esistenza esigente
ma allo stesso tempo realistica;
il nastro di partenza di un
cammino che voglia avere una
meta non negoziabile; la decisione
irrevocabile per uno stile di vita in
cui sia chiaro che cosa è essenziale
e che cosa invece è accessorio.
in cui tutto è diventato monetizzabile e
vale se consente un successo imme-
diato, anche se effimero.
Occorre che le fa-
miglie si riappro-
prino della loro
capacità profetica,
contestando con forza
una società che confonde la
felicità con lo sballo e con l’e-
goismo. La scommessa è quella
di divenire esemplari nella testi-
monianza di un’esistenza giocata
sulla generosità, sulla gratuità,
sulla condivisione, sulla solida-
rietà, sulla giustizia, sulla bellezza,
sulla pace, che sono gli ingredien-
ti principali di quel mix di sentimenti,
speranze, idee, esperienze che rendono
appetibile la ricerca della felicità.
LA MADRE
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4.6 Page 36

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Le missioni in Argentina:
una casualità o una scelta strategica?
L’Argentina è stata la matrice della rapida espansione salesiana
oltreoceano ed un secolo dopo un autorevole arcivescovo
sudamericano ha detto che se l’America Latina ha una popolazione
cattolica lo deve in buona parte all’azione dei missionari salesiani.
Perché Salesiani
missionari in Argentina?
Qualcuno potrebbe obiettare che
l’opzione missionaria non era improv-
visata, dal momento che da anni don
Bosco stava trattando con vescovi di
“terre di missione”, quale Mangalore
in India, Hong Kong, l’Australia, la
Cina, l’Africa (in particolare il Cairo),
gli Stati Uniti. Proposte per questi ul-
timi gli erano addirittura pervenute
prima del Concilio Vaticano I (1869-
1870), vale a dire l’occasione in cui
don Bosco ebbe modo di avvicinare
vari vescovi missionari dai quali rice-
vette la richiesta di inviare personale
missionario per le loro diocesi.
Ma allora perché don Bosco in pochi
mesi (seconda parte del 1874) ha de-
ciso in favore dell’Argentina, che non
rientrava fra i paesi per i quali era da
tempo in trattative?
L’allora cardinale di Buenos Aires Jorge Mario
Bergoglio benedice la statua del beato Zeffirino
Namuncurá nella chiesa dei Salesiani.
Cerchiamo di rispondere
Ovviamente non occorre qui ribadire
che don Bosco aveva personalmen-
te avuto il desiderio di partire per le
missioni, che leggeva da anni riviste
missionarie, che coltivava amicizie
con singoli missionari e che Torino
era un centro di irradiazione missio-
naria. Una volta poi approvate le co-
stituzioni salesiane, la spinta missio-
naria della chiesa del dopo Concilio
era logico che esercitasse il suo peso
sulla giovane società salesiana. Dun-
que la decisione di inviare salesiani
all’estero, anche oltreoceano, poteva
addirittura darsi come scontata.
Quanto alla scelta per l’Argentina, a
preferenza di altri “paesi di missione”
per lo più di lingua inglese, si può
sostenere che ha certamente giocato
un ruolo importantissimo la lingua.
Tentativi di avere vocazioni di lingua
madre inglese don Bosco ne fece più
di uno, grazie alla grande amicizia
con mons. Thomas Kirby – viceret-
tore, rettore (futuro vescovo) del col-
legio irlandese a Roma – ma il “pro-
getto irlandese”, pur coltivato per
anni, andò fallito per ragioni varie
(carismatiche, culturali, giuridiche,
alimentari…).
L’America Latina invece, e l’Argentina
in specie, rientrava fra quelli di ampia
immigrazione italiana (e ligure-pie-
36
Luglio/Agosto 2013

4.7 Page 37

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montese in particolare) e comunque di
cultura e lingua neolatina, dalla qua-
le provenivano i potenziali salesiani.
Del resto don Bosco era stato iscritto
per 5 anni (1865-1870) alla società di
mutuo soccorso Unione e Benevolenza
di Rosario e conosceva l’Argentina
come terra di emigrazione di parenti
stretti di salesiani della prima ora ed
anche di exallievi. Poteva poi contare
sul fatto che i giovani salesiani edu-
cati a Valdocco, ma totalmente privi
di esperienza missionaria, si sarebbe-
ro trovati a loro agio in un contesto
loro familiare fra i 50 mila italiani di
Buenos Aires. Colà i suoi “figli” lon-
tani, ma con collegi, scuole, oratori e
attività pastorali simili a quelle gesti-
te in Italia, potevano farsi le ossa per
missioni più impegnative in altri con-
testi culturali, comprese le missioni in
partibus infidelium.
Inoltre le proposte giunte dall’Ar-
gentina, condivise tanto dal clero
interessato che dai laici promotori e
finanziatori, sembravano oltremodo
favorevoli. Considerato anche che si
poteva fare affidamento sul diretto
appoggio del superdecorato console
argentino a Savona, il ligure Giovan-
ni Battista Gazzolo, in relazione con i
salesiani da alcuni anni e ovviamente
ottimo conoscitore della situazione
locale.
Vi si aggiunga la possibilità di avvici-
nare in Argentina popolazioni indi-
gene (per lo più sconosciute nella loro
precisa identità e quantità anche alla
Santa Sede), nelle quali don Bosco
poteva identificare i personaggi del
sogno missionario premonitore del
1872.
Scelta indovinata
Resta il fatto che don Bosco rispose
con estrema rapidità alle sollecitazioni
che gli provenivano dall’Argentina e
lanciò quella che sarebbe diventata nel
giro di pochi anni l’epopea patagonica
e nel volgere di un trentennio una pre-
senza significativa in tutta l’America.
L’Argentina sarebbe stata appunto la
matrice della rapida espansione sale-
siana oltreoceano ed un secolo dopo
un autorevole arcivescovo sudameri-
cano avrebbe detto che se l’America
Latina aveva una popolazione cattoli-
ca lo doveva in buona parte all’azione
dei missionari salesiani.
Nella Patagonia argentina e cilena
avrebbero lavorato mons. Giuseppe
Fagnano, colui che avrebbe portato
per la prima volta a fine secolo xix
i mattoni nella più grande città sul-
lo stretto di Magellano, Punta Are-
nas; don Alberto De Agostini, colui
che nei primi decenni del secolo xx
avrebbe messo territori sconosciuti e
popoli nuovi sulle cartine geografiche
L’imponente facciata della Basilica di Maria
Ausiliatrice nel quartiere Almagro di Buenos Aires.
del pianeta terra, e tanti altri pionieri
salesiani che con le loro opere avreb-
bero dato origine a paesi e città d’Ar-
gentina (ma non solo) oggi cresciuti
e noti in tutto il mondo. Rio Grande
nella Terra del Fuoco è solo uno dei
tantissimi esempi che si potrebbero
citare e l’antica missione salesiana è
colà un monumento nazionale.
Dall’Argentina poi sarebbe venuto a
fine secolo xx il primo Rettor Mag-
giore non italiano (don Juan Edmun-
do Vecchi, eletto nel 1995). Dulcis in
fundo, in Argentina, “quasi alla fine
del mondo” i cardinali sarebbero
“andati a cercare” i mesi scorsi il pri-
mo papa sudamericano (Francesco,
2013): gesuita, ma anche exallievo
salesiano, battezzato nella chiesa di
Maria Ausiliatrice del quartiere di
Almagro in Buenos Aires, diretto
spiritualmente nella sua adolescenza
da un sacerdote salesiano della co-
munità colà residente.
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4.8 Page 38

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TESTIMONI DELLA FEDE
PIERLUIGI CAMERONI
postulazione@sdb.org
L’apostolo dei poveri
il Servo di Dio padre Carlo Crespi
“Eccellenza, rispose quando venne insignito del titolo di Canonico
onorario, il padre Crespi non cerca medaglie, ma pane, riso,
zucchero per i suoi bambini poveri”.
Amò il popolo di Cuenca e fu da lui amato e venerato come un
santo: amò le persone importanti per la loro cultura, i ragazzi per
la loro innocenza e bontà, i poveri per essere gli amici di Cristo.
Carlo Crespi nasce a Legna-
no (Milano) il 29 maggio
del 1891 da Daniele e Luisa
Croci. È il terzo di tredici
figli. Come Giovannino Bo-
sco, fin da piccolo fu ricol-
mato dal Signore di grandi doni: in-
telligenza, generosità e volontà. Dopo
aver frequentato una scuola locale, a
dodici anni incontra i salesiani presso
il collegio sant’Ambrogio di Milano,
dove completa gli studi ginnasiali.
“Quando studiavo al collegio, raccon-
tò egli stesso, la Vergine mi mostrò
un sogno rivelatore: mi vidi vestito da
sacerdote con una lunga barba sopra
un vecchio pulpito, mentre predicavo
di fronte a tanta gente. Il pulpito però
non sembrava una chiesa, ma una ca-
panna...”.
Nel 1903 va a completare gli studi al
liceo salesiano di Valsalice (Torino)
e si sente chiamato alla vita salesia-
na. Fa il noviziato a Foglizzo. L’8
settembre del 1907 emette la prima
professione religiosa e nel 1910 quella
perpetua. Inizia a studiare filosofia
e teologia a Valsalice; contempora-
neamente insegna scienze naturali,
matematica e musica. Nel 1917 viene
ordinato sacerdote. All’università di
Padova scopre l’esistenza di un mi-
croorganismo fino allora sconosciuto,
destando per questo l’interesse degli
scienziati. Nel 1921 riceve il dottorato
in scienze naturali, a cui segue il di-
ploma di musica. Nel 1923, seguendo
la via mostratagli dalla Vergine, parte
in missione per l’Ecuador.
Sbarca a Guayaquil e si dirige a Qui-
to; subito dopo si trasferisce a Cuenca
dove rimarrà per tutta la vita. Inizia
il suo enorme lavoro per i poveri: fa
installare a Macas, in piena foresta
amazzonica, la luce elettrica, apre
una scuola agricola a Cuenca, facendo
arrivare dall’Italia macchinari e per-
sonale specializzato. In poco tempo,
come per incanto, attuò quella che
venne definita la revolución blanca: il
Normal Orientalista, l’Istituto Cor-
nelio Merchán, il Collegio Tecnico,
la Quinta Agronomica, il Teatro sale-
siano, la Gran Casa della comunità. Il
padre Crespi si moltiplica: è un uomo
che non riposa mai! Mentre durante
il giorno dirige e finanzia le sue ope-
re, di notte continua l’opera lasciata
incompiuta. Giorno e notte la gen-
te senza risorse accorre a lui in code
interminabili: ed egli mette la mano
nella larga tasca della veste nera e il
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Luglio/Agosto 2013

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denaro esce come per incanto. Gene-
razioni di persone si susseguono nel
tempo beneficiando del cuore gene-
roso e tenero di questo sacerdote se-
minatore di scuole, campi sportivi,
refettori per bambini poveri.
Divulga con tutte le sue forze la de-
vozione a Maria Ausiliatrice, trascor-
rendo parte del suo tempo nell’omo-
nimo santuario. Il suo confessionale,
specie negli ultimi anni di vita, è af-
follato e la gente comincia a chiamarlo
spontaneamente “san Carlo Crespi”.
È sempre in mezzo ai poveri: la do-
menica pomeriggio fa catechismo ai
ragazzi di strada, dando loro, oltre al
divertimento, il pane quotidiano. Or-
ganizza laboratori di taglio e cucito
per le ragazze povere della città. Ri-
ceve numerose onorificenze. Muore
a Cuenca il 30 aprile del 1982. Tutto
l’Ecuador piange la morte di un santo
figlio di don Bosco.
Il segreto
del padre Crespi
Era soggiacente al suo immenso lavo-
ro e alla molteplice attività, la volontà
di imitare Cristo nel suo amore pre-
ferenziale per i poveri, nel suo avvici-
narsi ai piccoli, nella sua sollecitudine
per i peccatori, dimenticando di se
stesso e con una grande umiltà, rifles-
sa nella semplicità dei suoi gesti. Con
il passare degli anni si diraderanno
gli interessi scientifici ed accademici,
diventando sempre più preponderan-
te la dedizione ai poveri e ai ragazzi
abbandonati. L’umiltà la si vede an-
che nella veste logora che porta, nelle
scarpe rotte e nel pasto frugale, nel-
la sobria cameretta arredata dal solo
letto di legno. I moltissimi ricono-
scimenti che ebbe per la sua opera in
campo scientifico, artistico e cultu-
rale, avevano come destinatari i suoi
poveri: “Eccellenza, rispose quando
venne insignito del titolo di Canoni-
co onorario, il padre Crespi non cer-
ca medaglie, ma pane, riso, zucchero
per i suoi bambini poveri”. Fu uomo
di alta cultura in campo scientifico
come storico e archeologo, in campo
culturale come musico e pianista. Si
distinse come confessore per uno stile
sobrio, ma carico di umanità, bontà e
tenerezza: vero volto dell’amore mise-
ricordioso di Dio. Arrivò a confessare
anche 16 ore al giorno senza mangia-
re nulla. Lasciò come testamento di
amare molto Maria Ausiliatrice e i
bambini poveri.
È ricordato nei suoi quotidiani e frene-
tici spostamenti tra il confessionale e
l’altare, tra il santuario e la scuola, con
il sorriso di bimbo sulle labbra, con gli
occhi vivacissimi che ballano allegra-
mente, con le dita della mano destra
che sgranano un vecchio rosario.
Cuencano di elezione
A motivo dei moltissimi anni vissuti a
Cuenca ricevette parecchi riconosci-
menti. Il “miracolo del padre Crespi”
è frutto della sua sconfinata fiducia
nella Provvidenza, anche nell’ora del-
la prova, come quando, nel 1962, le
fiamme divorarono in poco tempo il
grande istituto che con tanti sacrifici
aveva costruito.
Giunge al termine della sua lunga e
laboriosa vita amato e venerato come
un patriarca biblico.
La città di Cuenca lo venera e lo am-
mira come una reliquia di santità e di
sapienza. Per il popolo di questa città
dell’Ecuador fu guida, padre, consi-
gliere, confessore, figlio illustre, di
cui nel 2006 è stata avviata la causa di
beatificazione e canonizzazione.
Alcune immagini del Servo di Dio don Carlo
Crespi, amato e venerato come un patriarca
biblico dalla città di Cuenca (Ecuador).
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A CURA DI PIERLUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Quanta trepidazione
e angoscia
Nel luglio 2012 mia nuora si tro-
vava in ospedale a Sondrio in at-
tesa di partorire due gemelle. Una
notte ebbe una crisi respiratoria,
perciò fu trasferita d’urgenza
all’ospedale “Manzoni” di Lec-
co, dove subì immediatamente
il taglio cesareo. Ciò permise,
pur con difficoltà, di salvare le
due bimbe neonate, del peso ri-
spettivamente di kg 1,60 e 1,30.
Intanto la loro mamma veniva ri-
coverata in sala rianimazione con
prognosi riservata, trattandosi di
polmonite con edema polmonare.
Quanta trepidazione e angoscia
per un paio di giorni in tutti noi,
oltre al vedere mio figlio prostrato
dal dolore; ma io ho pregato san
Giovanni Bosco e soprattutto
san Domenico Savio. Il terzo
giorno le condizioni della mam-
ma cominciarono a migliorare e il
12 agosto, dopo tre settimane di
ospedale, poté tornare a casa con
le sue due bellissime bimbe, che
ora sono la gioia dei loro cari.
Cantoni Silvia, Livigno (SO)
Grande sorpresa
Ogni mese sono desiderosa di
leggere sul Bollettino Salesiano
le grazie ottenute per l’inter-
cessione dei santi. Avendo solo
una bambina, desideravo tanto
un altro figlio, ma non arriva-
va. Nel luglio 2003 con grande
gioia sono rimasta incinta, ma
dopo nove settimane ho avuto
un aborto spontaneo. Fu un col-
po durissimo per me, tanto più
che, a parere dei dottori, sarebbe
stato quasi impossibile per me
avere una nuova gravidanza. Per
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
questo cominciai a recitare la no-
vena a san Domenico Savio.
Nella primavera del 2008 con
grande sorpresa rimasi incinta,
e nel gennaio 2009 nacque uno
splendido bambino. Devo proprio
ringraziare la Madonna e il picco-
lo grande santo per avermi fatto
questo dono tanto desiderato.
Vetro Maria, Favara (AG)
Tanti motivi
di riconoscenza
Trent’anni fa, quando nacque la
mia terzogenita, temetti di per-
derla al momento del parto; ma
mentre invocavo il piccolo santo
sentii che era salva. Fin dal primo
momento ho affidato alla pro-
tezione dei santi della Famiglia
Salesiana mia figlia e ho potuto
farla crescere bene. Essa stessa
in varie circostanze si è rivolta a
san Giovanni Bosco e a san
Domenico Savio. Due anni fa
in attesa di un bambino si è ri-
volta al giovane santo, superando
varie difficoltà della gravidanza.
Sempre fiduciosa, poté arrivare a
vedere il suo bimbo, che è nato
sano e bello nel novembre 2011
e costituisce la gioia di tutti noi.
Ora mentre è in attesa di un altro,
si sono ripresentati i soliti pro-
blemi. Ma proprio di recente ha
saputo che il suo bimbo è sano e
noi tutti ringraziamo di cuore san
Domenico Savio al quale ci era-
vamo rivolti, e nel quale abbiamo
riposto tutta la nostra fiducia.
Romano Maria, Laurenzana (PT)
Dolori ai piedi
Mentre leggevo sul Bollettino Sa-
lesiano che è in corso la Causa
di canonizzazione del venerabile
sacerdote Giuseppe Quadrio, mi
son detto: “Se mi passano i dolo-
ri ai piedi, pieni di calli, scriverò
al Bollettino Salesiano, annun-
ciando la grazia ricevuta”. Devo
proprio dare atto che da diversi
giorni cammino speditamente;
perciò ne dò notizia.
Vitta Leonardo, Gibellina (TP)
Cronaca della Postulazione
Beatificazione
Stefano Sándor,
salesiano
coadiutore,
martire
Il sommo pontefice, papa France-
sco, ha concesso che la celebra-
zione del Rito di Beatificazione del
Servo di Dio, laico professo della
Società di San Francesco di Sa-
les, nato a Szolnok (Ungheria) il
26 ottobre 1914 ed ucciso in odio
alla Fede a Budapest (Ungheria) l’8
giugno 1953, abbia luogo nella città di Budapest sabato 19 ottobre
2013. Rappresentante del Santo Padre sarà il card. Angelo Amato,
sdb, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Il martire
Stefano Sándor, salesiano coadiutore, vegliò e custodì fino al dono
di sé i giovani in mezzo ai quali lo Spirito Santo lo aveva chiamato
a testimoniare il Vangelo secondo lo spirito di don Bosco, offrendo
la sua vita per la salvezza della gioventù ungherese e per difendere
i diritti della Chiesa. Rendiamo grazie al Signore per questo dono
speciale alla Chiesa e alla Famiglia Salesiana in questo Anno della
fede e nel cammino verso il bicentenario della nascita di don Bosco.
In particolare, tale evento è motivo di gioia per la Congregazione
salesiana in Ungheria che celebra quest’anno il centenario della
presenza salesiana.
Frattura perfettamente
consolidata
L’anno scorso in seguito ad una
caduta mi sono fratturata la
gamba: un frammento della ti-
bia era fuori posto; inoltre si era
formata una ferita di dieci centi-
metri. All’ospedale i medici pro-
spettarono come unica soluzio-
ne per la guarigione l’intervento
chirurgico con l’applicazione di
una placca di acciaio. Appena
rientrata a casa dall’ospedale,
trovai il Bollettino Salesiano del
maggio 2012, che aveva sulla
copertina l’immagine di Maria
SS. Ausiliatrice. Vedendola
pensai subito che dovevo ri-
svegliare la mia fede cristiana
e affidarmi a Lei. Angosciata e
scoraggiata, quella sera prima
dell’intervento invocai ad alta
voce la Madonna, affinché la
mia gamba fosse salva. La mat-
tina seguente l’ortopedico mi
telefonò per comunicarmi che
il primario dell’ospedale ave-
va deciso che era meglio non
operarmi. Ebbi la gamba intera-
mente ingessata per 40 giorni e
per tutto questo periodo io tenni
l’immagine di Maria Ausiliatrice
sempre appoggiata alla gamba.
Da maggio a settembre portai
cinque ingessature e per più di
tre mesi ebbi un tutore. Dovetti
soffrire tanto, ma pregavo tutto il
giorno, recitando in continuazio-
ne il santo Rosario. Oggi, dopo
aver fatto radiografie alla gamba,
posso dire di essere guarita: la
frattura si è consolidata perfet-
tamente e cammino bene. Perciò
ringrazio Dio perché mediante
l’intercessione di Maria Ausilia-
trice e di san Giovanni Bosco mi
è stato risparmiato l’intervento.
Maria Concetta, Bergamo
40
Luglio/Agosto 2013

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
UN MOVIMENTO SEMPRE VIVO E UN SERVIZIO DA CAFFÈ
Tra i giovani frequentatori dell’oratorio, della scuola e dei
laboratori artigianali di Valdocco si formavano forti legami
di amicizia, solidarietà e spirito di gruppo. Accadeva allora,
nei primi anni di vita della Società fondata da don Bosco e
accade tutt’ora in ogni istituto salesiano. Questi sentimenti
si protraggono oltre l’adolescenza e permangono forti per
tutta la vita. L’idea di creare una Federazione di XXX nac-
que casualmente da un piccolo episodio verificatosi il 24
giugno 1870, giorno dell’onomastico di don Bosco. Alcuni
dei “vecchi” studenti artigiani, spinti dal capo rilegatore Carlo Gastini e dal parroco don Felice Reviglio,
vollero porgere personalmente gli auguri e per dimostrare riconoscenza e affetto portarono in dono un
servizio da caffè. L’iniziativa si ripeté anche successivamente e si fece più numeroso il gruppo di coloro
che si rincontravano nell’occasione dell’onomastico del Santo. Gastini colse il suggerimento dello stes-
so don Bosco di realizzare una società che aiutasse i giovani una volta usciti dall’oratorio qualora ne
avessero bisogno, vuoi per problemi di salute e vuoi per problemi economici. Nacque il primo gruppo
di questi giovani segnati positivamente dall’esperienza sale-
siana e uno statuto appositamente predisposto ne regolava
la struttura e ne esprimeva gli ideali e le finalità. Gli obiettivi
posti sono di testimonianza dei valori ricevuti e di diffusione
dell’educazione salesiana, di difesa della famiglia e di ele-
vazione culturale. Ogni aderente si propone inoltre di con-
servare e approfondire l’educazione ricevuta e di praticare il
volontariato anche con prospettive missionarie. Attualmente
il movimento, cresciuto enormemente, conta circa 500 mila
aderenti organizzati in federazioni in 95 paesi diversi.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. I militi “nei
secoli fedeli” - 11. Mantello... sui for-
nelli! - 16. Fanti più alti della media
appartenenti a un corpo scelto dell’e-
sercito - 18. Tirar fuori - 19. Così
inizia e finisce la noia - 21. Era al più
basso gradino della società spartana -
22. Un formaggio bucherellato - 24.
Offerta Pubblica di Acquisto - 26.
XXX - 28. Mezzo ciuffo! - 29. Un
gas nobile - 31. Insieme a Elia è uno
dei più importanti profeti della Bibbia
- 32. Inciso... solo un po’ - 33. Nel
1980 fu colpita da un grave terremoto
- 36. Dispari a Tolosa - 37. Il conti-
nente più vasto - 38. I percorsi nello
spazio compiuti da corpi in movimen-
to - 40. Il ... Martino campanaro della
nota canzoncina - 41. Simbolo dell’o-
smio - 42. Mister (abbr.) - 43. Parità
nelle ricette - 44. Abili, svelti - 46.
Terreno per coltivazione allagato in de-
terminati periodi - 47. Si acquisisce
con lo studio.
VERTICALI. 1. Simile alla piroga -
2. Al centro dei borghi - 3. Gigari - 4.
Sono imbarcati su navi che cacciano
grandi cetacei - 5. Può esserlo l’ac-
ciaio - 6. La quantità delle nascite per
la statistica - 7. Istituto di Tutela ed As-
sistenza Lavoratori - 8. Gli estremi de-
gli esempi! - 9. Direttori come Spiel-
berg o Avati - 10. Immaginario - 12.
Figlio di Ercole - 13. Specificato - 14.
È ricordato soprattutto per aver scritto
Il Giorno - 15. Belle conifere usate
per ornare parchi e giardini - 17. Villa
imperiale romana a Capri (j=i) - 20.
Schiudersi - 23. Strada - 25. Aspra
- 27. Livorno (sigla) - 30. Grassa,
fertile - 34. Nuovo Testamento - 35.
Antico popolo della Grecia - 37. Bru-
ciati - 38. C’è la Vajanica o la Vergata
- 39. Dignitari abissini inferiori solo al
Negus - 40. Copricapo, spesso rosso,
col fiocco - 44. Cambiano il geloso in
deluso - 45. Iniziali di Nixon.
Luglio/Agosto 2013
41

5.2 Page 42

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
«SIAMO DON BOSCO CHE CAMMINA SOGNANDO»
DON FERNANDO PERAZA LEAL (EL ABUELO)
Morto a Quito (Ecuador) il 10 febbraio 2013, a 86 anni.
Era colombiano e tutta l’America
salesiana lo chiamava «El abuelo»
(il nonno). Attraverso una lettera
don Marcelo Farfán, Ispettore
dell’Ecuador, ha informato il Ret-
tor Maggiore della morte di don
Peraza e di quanto egli abbia
significato per la regione Inter-
americana: “Come lei ben sa, per
molti salesiani, Figlie di Maria
Ausiliatrice, membri dei gruppi
la Famiglia Salesiana, giovani,
laici e soprattutto Figlie dei Sacri
Cuori di Gesù e Maria, don Fer-
nando è stato un padre spirituale,
una guida sicura e un punto di
riferimento salesiano. In maniera
specialissima, fu un salesiano
che conosceva e amava pro-
fondamente don Bosco ed ebbe
l’intuizione di trasformare questo
amore in una proposta formativa
per i Salesiani dell’America, attra-
verso la fondazione e l’animazione
del Centro Salesiano Regionale di
Formazione Permanente”.
Somos don Bosco que camina è
il titolo di una lettera che ha scrit-
to e che è stata trasformata in un
inno salesiano di tutta l’America.
In risposta a questa comunicazio-
ne, il Rettor Maggiore ha scritto
da Guadalajara, Messico, dove si
trovava in occasione del 50° an-
niversario dell’erezione dell’Ispet-
toria: “Domenica sono stato sve-
gliato con un annuncio ‘pasquale’,
relativo alla morte e resurrezione
del nostro amatissimo don Fer-
nando Peraza. Il Signore – al qua-
le don Fernando ha totalmente de-
dicato la sua vita e che ha servito
con gioia, entusiasmo, dedizione
e quella convinzione che lo con-
traddistinsero – oggi lo rende par-
tecipe della Gloria della sua Risur-
rezione. Oggi è un giorno di gloria
per la Congregazione, che offre al
Padre, nel Figlio, per opera dello
Spirito Santo, un’offerta gradita e
matura, fatta di santità salesiana.
È vero, la Congregazione si sente
anche addolorata nel cuore per la
partenza di don Fernando e per ciò
che umanamente significa la sua
perdita, in particolare per il Cen-
tro Salesiano Regionale, che ha
fondato; ma allo stesso tempo ci
resta un’eredità molto preziosa: la
testimonianza di una vita integra,
dedicata totalmente, con immensa
generosità e non pochi sacrifici, a
studiare don Bosco, con la mente
dello studioso e il cuore di figlio,
per farlo conoscere ed amare”.
Don Fernando Peraza Leal era
nato a Tunja, Boyacá, Colom-
bia. Fu catturato da don Bosco
quando, molto giovane, durante
una grave malattia, i suoi fratel-
li gli lessero la biografia di san
Giovanni Bosco di don Joseph
Aubry. Aveva già optato per la
famiglia francescana, ma l’espe-
rienza oratoriana di don Bosco gli
cambiò la vita.
Entrò nel noviziato di Usaquén,
Colombia, e fu ordinato sacerdo-
te il 7 dicembre 1954, a Roma. Il
23 settembre 1974, dopo essere
stato, a partire dal 1968, Ispettore
di Colombia-Bogotá, fu trasferito
all’Ispettoria dell’Ecuador (ECU).
Tra il 1985 e il 1997 fu incarica-
to della Formazione Permanente
del Pacifico-Caribe, e dal 1997
al 2002 fu animatore del Cen-
tro Regionale per la Formazione
Permanente. Il 23 luglio 2010
l’Università Don Bosco di San
Salvador gli concesse il dottorato
“Honoris Causa” in Lettere.
Fu fondatore e instancabile ani-
matore della Escuela de Sale-
sianidad del Centro Salesiano
Regional per la Famiglia Sale-
siana americana. Un programma
di quattro livelli, che è stato fre-
quentato da centinaia di persone.
La loro testimonianza è commo-
vente: «Non ho mai incontrato un
uomo che mi rivelasse più chia-
ramente quello che immaginavo
come volto e fisionomia umana
e spirituale di don Bosco, come
il “nonno”. Era come incontrare
don Bosco. Per questo adesso
piango come un figlio che ha per-
duto il padre».
La vita di don Fernando Peraza fu
sempre un annuncio del Vangelo
della gioia. Era sempre allegro,
sereno e ottimista. Diffondeva
umorismo e vitalità in quelli che
lo avvicinavano. Dove c’era lui,
c’era l’Oratorio. «L’Oratorio sei
tu!» ripeteva spesso.
Per sua espressa volontà, i suoi
resti sono stati cremati e sepolti
ad Agua de Dios, Colombia, dove
riposano accanto a quelli del bea-
to Luigi Variara e di don José
Mármol. A questo proposito, il
Rettor Maggiore ha aggiunto: “In
modo particolare, la sua passio-
ne per l’Istituto delle Figlie dei
Sacri Cuori di Gesù e Maria lo ha
portato a donare il suo servizio in
una maniera tale che ha assicura-
to all’Istituto la fedeltà al carisma
e alla sua missione. Per questa
ragione, mi pare giusto e signifi-
cativo il suo desiderio di essere
sepolto ad Agua de Dios”.
Conclude, infine, il Rettor Mag-
giore: “Mi unisco all’inno di rin-
graziamento e di lode al Signo-
re per il dono prezioso di don
Fernando Peraza, chiedendo al
Signore che continui a donarci
Salesiani di tale statura”.
42
Luglio/Agosto 2013

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
L’albero generoso
C’era una volta un albero
che amava un bambino.
Il bambino amava
l’albero con tutto il suo
piccolo cuore. E l’albero
era felice.
Ma il tempo passò e il bambino
crebbe.
Ora che il bambino era grande, l’al-
bero rimaneva spesso solo.
Un giorno il bambino venne a vedere
l’albero e l’albero gli disse: «Avvici-
nati, bambino mio, arrampicati sul
mio tronco e fai l’altalena con i miei
rami, mangia i miei frutti, gioca alla
mia ombra e sii felice».
«Sono troppo grande ormai per ar-
rampicarmi sugli alberi e per giocare»,
disse il bambino. «Io voglio comprar-
mi delle cose e divertirmi. Voglio dei
soldi. Puoi darmi dei soldi?».
«Mi dispiace», rispose l’albero «ma
io non ho dei soldi. Ho solo foglie e
frutti. Prendi i miei frutti, bambino
mio, e va’ a venderli in città. Così
avrai dei soldi e sarai felice».
Allora il bambino si arrampicò
sull’albero, raccolse tutti i frutti
e li portò via. E l’albero fu felice.
Ma il bambino rimase molto tempo
senza ritornare... E l’albero divenne
triste.
Poi un giorno il bambino tornò;
l’albero tremò di gioia e disse:
«Avvicinati, bambino mio, arrampi-
cati sul mio tronco e fai l’altalena con
i miei rami e sii felice».
«Ho troppo da fare e non ho tempo
di arrampicarmi sugli alberi», rispose
il bambino. «Voglio una casa che mi
ripari», continuò. «Voglio una moglie
e voglio dei bambini, ho dunque
bisogno di una casa. Puoi darmi una
casa?».
«Io non ho una casa», disse l’albero.
«La mia casa è il bosco, ma tu puoi
tagliare i miei rami e costruirti una
casa. Allora sarai felice».
Il bambino tagliò tutti i rami e li
portò via per costruirsi una casa.
E l’albero fu felice.
Per molto tempo il bambino non ven-
ne. Quando ritornò, l’albero era così
felice che riusciva a malapena a parlare.
«Avvicinati, bambino mio», mormo-
rò, «vieni a giocare».
«Sono troppo vecchio e troppo triste
per giocare», disse il bambino. «Vo-
glio una barca per fuggire lontano di
qui. Tu puoi darmi una barca?».
«Taglia il mio tronco e fatti una
barca», disse l’albero. «Così potrai
andartene ed essere felice».
Allora il bambino tagliò il tronco e si
fece una barca per fuggire. E l’albero
fu felice... ma non del tutto.
Molto molto tempo dopo, il bambino
tornò ancora.
«Mi dispiace, bambino mio», disse
l’albero «ma non resta più niente da
donarti... Non ho più frutti».
«I miei denti sono troppo deboli per
dei frutti», disse il bambino.
«Non ho più rami», continuò l’albero
«non puoi più dondolarti».
«Sono troppo vecchio per dondolar-
mi ai rami», disse il bambino.
«Non ho più il tronco», disse l’albero.
«Non puoi più arrampicarti».
«Sono troppo stanco per arrampicar-
mi», disse il bambino.
«Sono desolato», sospirò l’albero.
«Vorrei tanto donarti qualcosa... ma
non ho più niente. Sono solo un vec-
chio ceppo. Mi rincresce tanto...».
«Non ho più bisogno di molto,
ormai», disse il bambino. «Solo un
posticino tranquillo per sedermi e
riposarmi. Mi sento molto stanco».
«Ebbene», disse l’albero, raddriz-
zandosi quanto poteva «ebbene, un
vecchio ceppo è quel che ci vuole per
sedersi e riposarsi. Avvicinati, bam-
bino mio, siediti. Siediti e riposati».
Così fece il bambino. E l’albero fu
felice.
Questa sera siediti in un angolo
tranquillo e aiuta il tuo cuore
a ringraziare tutti gli «alberi»
della tua vita.
Luglio/Agosto 2013
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Don Bosco Educatore
Ciò che santifica
non è la sofferenza,
ma la pazienza
Come don Bosco
Le tredici mosse
dell'arte di educare
7. Castigare
Salesiani nel mondo
«La nostra scuola
è un circo»
L'esperienza
dei Salesiani di Bamberg
L'invitato
«La mia diocesi è grande
più di metà Italia»
Monsignor Flavio Giovenale
vescovo di Santarem
Le case di don Bosco
Voluti a tutti i costi
San Marino
Speciale
Invito a Colle don Bosco
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612658
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.