Bollettino_Salesiano_202302

Bollettino_Salesiano_202302

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In prima linea
Don Ramón
Darío Perera
Le case
di don Bosco
Palermo
NO
ai discorsi d’odio!
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
FEBBRAIO 2023
Don Bosco
nel mondo
San Salvador

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I FIORETTI DI DON BOSCO
B.F.
Il duello per don Bosco
D on Bosco camminava verso
Porta Palazzo, a Torino. Un
lustrascarpe vedendolo:
«Oh, don Bosco, esclamò, venga qui
da me: voglio lustrarle le scarpe». «Ti
ringrazio, mio caro, ma ora non ho
tempo». «Le pulisco in un momento,
sa!» «Un’altra volta; ho premura».
«Ma io gliele lustro e lei non mi darà
niente. È solamente per avere il
piacere e l’onore di farle questo,
servizio».
A questo punto uno spazzacamino
bruscamente l’interruppe: «Lascia un
po’ andare la gente per la sua strada».
«Oh bella! parlo con chi voglio».
«Ma non vedi che ha premura?»
«Che cosa c’entri tu? io conosco don
Bosco, sai?» «Anch’io lo conosco!»
«Ma io sono suo amico». «Ed io
pure». «Ma io gli voglio più bene di
te». «No; sono io che gli voglio più
bene». «Sono io!» «Sono io!» «Vuoi
tacere sì o no?» «No, no! Io voglio
parlare». «Guarda che ti pesto il
grugno!» «Tu? fa la prova!» «Sei una
bestia!» «Lo sei tu!»
Ed uno si slanciò sull’altro e inco-
minciarono una tempesta, di pugni
e calci. Si presero per i capelli, si
gettarono per terra, si rovesciò la
cassetta del lustrascarpe e spazzole
e lucido andarono qua e là.
Don Bosco si mise in mezzo: «Pace,
pace, amici miei, non fate così!»
A stento furono divisi, ma si guar-
davano sempre inviperiti uno contro
dell’altro: «Ti dico e lo sostengo che
gli voglio più bene io! Io sono andato
a confessarmi». «Io pure». «A me
ha dato una medaglia». «A me un
libretto!»
«Dica Lei, don Bosco, non è vero
che vuol più bene a me?» «No, ti
dico! A me!» «Ma dica Lei, a chi
vuol più bene fra noi due?»
«Sentite» esclamò don Bosco «Voi
mi proponete una questione molto
difficile. Vedete voi la mia mano?»
e mostrava la destra. «Vedete voi il
mio dito pollice e l’indice? A quale
dei due credete voi che io voglia più
bene? Lascerei tagliarmi più uno che
l’altro?»
«Vuol bene a tutti e due!»
«Così io voglio bene a voi due; siete
come due dita della mia stessa mano.
Nello stesso modo amo tutti gli altri
miei giovani... E quindi non voglio
che vi battiate; venite con me: non
facciamo brutta figura». E s’incam-
minò tenendosi vicini i due conten-
denti. Intorno a lui camminavano
gli altri spazzacamini e lustrascarpe,
e dietro una piccola folla che si era
radunata a quella baruffa.
Lo spazzacamino fu poi ospitato
all’Oratorio, e divenne un giovane
buonissimo e delle più belle spe-
ranze. Era della Valle d’Aosta. La
madre venne a visitarlo, ma quando
sentì che il figlio voleva continuare
a studiare, non ne fu per niente con-
tenta: «Uno spazzacamino prete? No,
non va!».
(MB III, 171-172)
2
FEBBRAIO 2023

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In prima linea
Don Ramón
Darío Perera
Le case
di don Bosco
Palermo
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
FEBBRAIO 2023
Don Bosco
nel mondo
San Salvador
NO
ai discorsi d’odio!
FEBBRAIO 2023
ANNO CXLVII
NUMERO 2
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
La copertina: È tempo di rinascere,
dice Qoelet. Ce la possiamo fare
(Foto Max Topchii / Shutterstock).
2 I FIORETTI DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 DON BOSCO NEL MONDO
San Salvador
10 IN PRIMA LINEA
Don Ramón Darío Perera
14 TEMPO DELLO SPIRITO
No ai discorsi d’odio
16 LE CASE DI DON BOSCO
Palermo - Villa Ranchibile
20 QUELLI CHE LO HANNO CONOSCIUTO
Pietro Enria
24 FMA
Gilda
26 L’INVITATO
Maria Rita Scrimieri
30 LA NOSTRA STORIA
La cartiera di Mathi
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 IL CRUCIPUZZLE
43 LA BUONANOTTE
6
10
26
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 64
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Roberto Desiderati,
Emilia Di Massimo, Ángel Fernández
Artime, Carmen Laval, Sarah Laporta,
Cesare Lo Monaco, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto,
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livello internazionale che tutelano le foreste, l’ambiente
e i lavoratori.

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Ángel Fernández Artime
C’è molta più “sete di Dio”
di quanto si possa pensare
Oggi c’è tanto bisogno di ascolto, di dialogo libero e gratuito,
di incontri personali che non giudicano e non condannano,
e tanto bisogno di silenzio e di intimità con Dio.
C ari amici del Bollettino Sale-
siano, appena un’ora fa, ho
partecipato ai funerali
del Papa Emerito Be-
nedetto XVI. Fu lui stesso che,
un anno dopo l’inizio del suo
servizio come Pontefice, scrisse la
magnifica Enciclica “Deus Caritas
est”, e in essa questa affermazione che
mi sembra l’essenza della magnifica fragranza
del pensiero cristiano: “Non si comincia a essere
cristiani con una decisione etica o una grande idea,
ma con l’incontro con un evento, con una Persona,
che dà un nuovo orizzonte alla vita e, con esso, un
orientamento decisivo” (Deus Caritas est, 1). Cer-
tamente quella Persona è Gesù Cristo. E partendo
da questa affermazione Benedetto XVI
ci lascia affermazioni come queste:
«Gesù Cristo è la Verità fatta Per-
sona, che attira il mondo a sé.
La luce irradiata da Gesù è la luce
della verità. Ogni altra verità è un
frammento della Verità che è lui e
a cui si riferisce.
Gesù è la stella polare della libertà uma-
na: senza di lui essa perde il suo orientamento,
perché senza la conoscenza della verità, la libertà si
denatura, si isola e si riduce a sterile arbitrio.
Con lui si riscopre la libertà, la si riconosce come
creata per il bene e la si esprime attraverso azioni e
comportamenti caritatevoli.
Per questo Gesù dà all’uomo la piena familiarità con
la verità e lo invita continuamente a vivere in essa.
E niente più dell’amore per la verità può spingere
l’intelligenza umana verso orizzonti inesplorati.
Gesù Cristo, che è la pienezza della verità, attira a
sé il cuore di ogni uomo, lo dilata e lo riempie di
gioia».
In poche frasi, solide e dense, c’è tutto un insegna-
mento cristiano che è ben lontano dall’essere una
“morale” o un insieme di regole fredde e rigide pri-
ve di vita. La vita cristiana è innanzitutto un vero
incontro con Dio.
Ed è questo che ho affermato nel titolo di questo
messaggio. Secondo la mia opinione e profonda
convinzione, c’è molta più “sete di Dio” di quanto
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immaginiamo, di quanto sembra. Non è che voglio
cambiare le statistiche degli studi sociologici o dise-
gnare una realtà fittizia. Non intendo certo farlo, ma
desidero far capire che nel “vis a vis”, nell’incontro
“faccia a faccia” con la vita reale di tante persone, di
tanti padri e madri, di tante famiglie, di tanti ado-
lescenti e giovani, quello che si trova, molto spesso,
è una vita non facile, una vita che deve essere “gua-
rita” ogni giorno, relazioni umane in cui l’amore è
desiderato e necessario e che devono essere curate in
ogni piccolo gesto, in ogni piccolo dettaglio, in ogni
azione. E in questo “faccia a faccia” c’è tanto bisogno
di ascolto, di dialogo libero e gratuito, di incontri
personali che non giudicano e non condannano, e
tanto bisogno di silenzio e di intimità con Dio.
Lo dico con grande convinzione. Proprio qui, a
Valdocco-Torino, dove mi trovo, mi sorprende e mi
riempie di gioia quando un gruppo di giovani pren-
de l’iniziativa di invitare altri giovani per un’ora di
presenza, di silenzio e di preghiera davanti a Gesù
Eucaristia, cioè un’ora di adorazione eucaristica, e un
centinaio di persone – tanti sono i giovani – rispon-
dono all’appuntamento. Oppure a Roma, nel Sacro
Cuore ci riunivamo il giovedì sera, e giovani e giova-
ni coppie, alcuni con i loro bambini, e anche coppie
di fidanzati erano presenti a questo momento perché
sentivano che la loro vita aveva bisogno di questo in-
contro con una Persona che dà senso alla nostra vita.
E l’ho sperimentato come esempio in tante nazioni
e luoghi. Ecco perché con questa pagina vi invito a
fare come farebbe don Bosco. Non ha esitato un at-
timo a proporre ai suoi ragazzi l’esperienza dell’in-
contro con Gesù. E quel Dio che è presenza, che
è Dio-con-noi, come abbiamo celebrato a Natale,
è ancora lo stesso Dio che chiama, che invita, che
rassicura in ogni incontro personale, in ogni mo-
mento di riposo in Lui.
Ricordo una delle tante “sorprese” di don Bosco.
Racconta nelle Memorie: «Entravo in chiesa dalla
sacrestia e vidi un giovane innalzato all’altezza del
santo Tabernacolo dietro del coro, in atto di adorare
il Santissimo Sacramento, inginocchiato nell’aria,
colla testa inclinata ed appoggiata contro la porta
del Tabernacolo, in dolce estasi d’amore come un
Serafino del Cielo. Lo chiamai per nome ed egli
tosto si riscosse e discese per terra tutto turbato,
pregandomi di non palesarlo ad alcuno. Ripeto che
potrei contare molti altri fatti simili per far cono-
scere che tutto il bene che fa don Bosco, lo deve
specialmente ai suoi figli».
È possibile che Gesù sia ancora lo stesso Dio che
vuole incontrare tutti noi oggi e molti altri, oppure
ci vergogniamo e abbiamo paura di percorrere que-
sta strada? È possibile che molti di noi non osino
invitare gli altri a sperimentare ciò che stiamo vi-
vendo e che ci è stato gratuitamente donato e offer-
to? È possibile che, poiché ci viene detto che tutto
questo non è di moda e poco attuale, crediamo ai
troppi messaggi negativi e perdiamo la forza di te-
stimoniare che molti di noi, continuano a godere di
ogni incontro personale con Colui che è il Signore
della vita?
Papa Benedetto era convinto che la sua vita e la sua
fede fossero “giuste” e questo è grande, un incontro
con il suo Signore, ed è così che papa Francesco lo
ha congedato nelle ultime parole della sua omelia:
“Benedetto, fedele amico dello Sposo, sia perfet-
ta la tua gioia nell’ascoltare definitivamente e per
sempre la sua voce”.
Continuiamo quindi a promuovere, amici miei,
quegli incontri di Vita che ci danno vita profonda,
perché c’è più “sete di Dio” di quanto si dica, di
quanto si faccia credere.
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DON BOSCO NEL MONDO
Marcella Orsini
Il Poligono Industrial
Don Bosco di San Salvador
Fondato al posto di una discarica, è la risposta salesiana
a marginalità e insicurezza.
Un porto
sicuro per
bambini e
ragazzi soli,
abbandonati
alla vita
nelle strade,
vittime di
sfruttamento
e di ogni
forma di
abuso.
L’Ispettoria salesiana del Centramerica
(cam) raccoglie ben sei Paesi: Guatemala,
Honduras, Costa Rica, Panama, Nicaragua
e El Salvador, dove i Figli di Don Bosco
hanno fondato la prima missione nel lontano 1889.
Nel Paese è presente una varietà di opere tale da
dare una risposta completa e integrale a tutti i biso-
gni delle ragazze e dei ragazzi in difficoltà. Esem-
pio per tutte è il Poligono Industrial Don Bosco,
un insieme di strutture educative, formative, asso-
ciative e imprenditoriali per l’educazione integrale,
l’istruzione, la formazione tecnico-professionale e
il lavoro dei ragazzi salvadoregni in difficoltà. Il
Poligono Industrial Don Bosco è stato fondato
al posto di una discarica, alla periferia della
capitale San Salvador, dal salesiano di ori-
gine spagnola don José María Moratal-
la Escudero, per tutti padre Pepe, che
troviamo alla guida di questa grande
opera ancora oggi, insieme a tutta la
comunità salesiana Don Rua di El
Salvador.
Il Poligono Industrial Don Bosco,
con il supporto della Fundación
Salvadoreña Educación y Tra-
bajo (edytra) offre istru-
zione primaria, secondaria
e formazione tecnico-pro-
fessionale a 437 bambini
e ragazzi provenienti dai
contesti più difficili della
periferia della città, in cui dominano la violenza, la
disgregazione familiare e sociale, l’insicurezza eco-
nomica data dalla mancanza di accesso a opportu-
nità lavorative continuative e formali e l’assenza di
servizi pubblici di base per l’istruzione e la salute.
Sebbene disponga di otto laboratori per l’acquisi-
zione di competenze tecniche, il Poligono Indu-
strial Don Bosco è caratterizzato da un approccio
integrale che non tende a rendere i ragazzi meri
contenitori di competenze per l’inserimento nel
mondo del lavoro, ma veri e propri protagonisti
nelle catene di valore locali, non solo per lo svilup-
po economico dei territori di appartenenza, ma per
la realizzazione di percorsi orientati all’autonomia
personale e di intere comunità.
L’educazione e la formazione presso questa vivace
opera salesiana a San Salvador sono una questione
di fiducia in se stessi e di empowerment di una ge-
nerazione in cui nessuno ritiene di investire sia eco-
nomicamente sia umanamente. Si tratta di bambini
e ragazzi i cui diritti umani vengono costantemente
violati. Sono soli, abbandonati alla vita nelle stra-
de, vittime di sfruttamento e di ogni forma di abu-
so, esposti a un facile “arruolamento” nelle bande
criminali della città, senza alcuna prospettiva se
non quella del degrado e della violenza che, troppo
spesso, li porta alla morte.
In quasi tutte le municipalità di El Salvador sono
affiliate alle cosiddette pandillas più di 62 mila per-
sone, tra cui bambini e ragazzi, privi di un sostegno
familiare e educativo, che vengono sfruttati per le
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estorsioni e lo spaccio di droghe di cui loro stessi
diventano consumatori.
Nell’affiliazione alle famigerate maras, le gangs cri-
minali salvadoregne, si utilizza il linguaggio della
familiarità, dell’amicizia, del patto di fiducia in-
dissolubile che stravolge il paradigma positivo che
questi concetti portano con sé. In un bambino e
in un ragazzo che vive per strada viene innescata,
così, la falsa convinzione che non esistano alterna-
tive e che la vita sia solo prevaricazione, conflitto e
violenza.
Piccolo, ma turbolento
El Salvador è il più piccolo Paese dell’America
Centrale. Ricco di bellezze naturali e di risorse,
segnato da un lungo e sanguinoso conflitto armato
tra l’esercito governativo e le forze ribelli del Fron-
te Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale
(fmln) ufficialmente terminato nel 1992, El Sal-
vador viene troppo spesso ricordato per le vicende
sanguinose e per le guerriglie tra le pericolosissime
maras della criminalità organizzata che si diramano
anche a livello internazionale e che hanno spinto e
spingono le persone vittime delle loro azioni crimi-
nali a migrare negli Stati Uniti.
Particolarmente drammatica è stata la giornata del
26 Marzo 2022, quando si sono registrati su tutto
il territorio nazionale 62 omicidi, il più alto numero
di morti in un solo giorno dalla fine della guerra,
provocato dal conflitto tra le due gang in lotta tra
loro, la Mara Salvatrucha, in breve la MS-13 e il
Barrio 18.
Il giovane e popolare presidente Nayib Bukele ha
proclamato lo “stato di emergenza”, attraverso le
sue piattaforme social, al fine di raggiungere il con-
senso di quante più persone possibile, spaventate e
dominate da un vero e proprio clima di terrore.
Immediatamente all’indomani del proclama del
Presidente, il Parlamento ha eseguito l’ordine pre-
sidenziale, dando inizio a una serie di provvedi-
menti fortemente limitanti per le libertà individuali
e lesivi dei diritti umani, dal prolungamento dello
stato di detenzione al divieto di difesa legale per gli
accusati di appartenenza alle gangs criminali.
Molte organizzazioni internazionali hanno denun-
ciato il governo salvadoregno di essere una dittatura
celata da democrazia protettiva per la popolazione
civile che, invece, attua un estremismo securitario
attraverso i militari per le strade e l’abolizione di
ogni forma di ricorso legale per gli accusati di af-
filiazione criminale, anche quando le accuse sono
rivolte nei confronti di minori in completo stato di
abbandono e di costrizione.
Oltreché dall’insicurezza e dalla violenza, quasi gli
ultimi tre anni sono stati segnati da un aumento si-
L’opera
salesiana
prevede
un’accoglienza
residenziale
e semi-
residenziale e
alcune borse
di studio per
i ragazzi più
svantaggiati
che permetta
loro di
frequentare
i programmi
formativi e
professionali.
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DON BOSCO NEL MONDO
I Figli di
Don Bosco
anche in
questa realtà
rendono vivo
e tangibile
il carisma
salesiano,
attraverso
iniziative
portatrici
di valori
fondamentali
quali la
speranza e la
bellezza.
gnificativo delle disuguaglianze dovuto all’impatto
della pandemia di Covid-19 sulla popolazione, so-
prattutto più fragile, con un aumento della povertà
del 4,6% tra il 2019 e il 2020, soprattutto nelle aree
rurali rispetto a quelle urbane e la riduzione del
Prodotto Interno Lordo (pil) dell’8,1% nel 2020,
nonostante l’immediata riposta del Governo al
contenimento della pandemia.
In questa tensione e nell’impoverimento delle fa-
miglie i Salesiani di Don Bosco di San Salvador,
insieme a un’associazione di imprese e alla Fun-
dación edytra, operano nel Poligono Industrial
Don Bosco, affinché sia offerto ai giovani più
marginalizzati un progetto di una vita libera dal-
la criminalità organizzata e dal rischio costante di
venire uccisi o detenuti in giovanissima età, privati
della possibilità di intraprendere un percorso di ria­
bilitazione e di formazione umana.
Speranza e bellezza
La comunità salesiana Don Rua di San Salvador, at-
traverso il Poligono Industrial Don Bosco, al contra-
rio, interviene percorrendo due linee metodologiche:
la prevenzione e lo sconto della pena per i ragazzi
in conflitto con la legge per cui è attivo un procedi-
mento penale e che vengono inseriti in programmi
di recupero e di formazione alla cittadinanza e alla
legalità, alternativi alla detenzione e guidati da ope-
ratrici e operatori esperti, attenti e specializzati.
Molti ragazzi provengono da località rurali e distanti
dalla Capitale oppure da famiglie di San Salvador
che non hanno risorse economiche per la scuola e
l’apprendimento di un mestiere. Per loro, l’opera sa-
lesiana Don Rua prevede un’accoglienza residenziale
e semi-residenziale e alcune borse di studio per i ra-
gazzi più svantaggiati che permetta loro di frequen-
tare i programmi formativi dell’“Instituto Técnico
Obrero Empresiarial Don Bosco”.
La Fundación edytra, oltre ad essere referente per
la formazione formale e informale degli studenti
dell’istituto tecnico-professionale salesiano, si occupa
di finanziare l’accoglienza dei ragazzi più svantaggia-
ti in strutture e spazi adeguati e ben equipaggiati e di
erogare loro le borse di studio utili alla frequenza dei
tirocini formativi, denominati “Programas de Inter-
nado Miguel Magone y Laura Vicuña”.
Obiettivo dei programmi di tirocinio è dare accesso
all’istruzione e alla formazione di qualità delle ra-
gazze e dei ragazzi più vulnerabili e a rischio delle
aree marginali di San Salvador e delle aree rurali
limitrofe, al fine di ridurre l’esposizione alla vio-
lenza e alla povertà materiale, educativa, emotiva
e spirituale.
Una delle priorità oggi per il Poligono Industrial
Don Bosco è migliorare gli spazi di vita e di studio
dei ragazzi, poiché la crescita e il protagonismo si
realizzano anche attraverso la cura dell’ambiente a
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loro dedicato e in cui loro stessi
vengono coinvolti dalla comuni-
tà educante degli adulti.
Nella prospettiva dell’accompa-
gnamento preventivo e riabilita-
tivo dei ragazzi a rischio, i Figli di
Don Bosco anche in questa realtà rendo-
no vivo e tangibile il carisma salesiano, attraverso
iniziative portatrici di valori fondamentali quali la
speranza e la bellezza.
L’orchestra sinfonica
Una delle caratteristiche più originali del Poligo-
no Industrial Don Bosco è la funzione educativa
dell’arte in tutte le sue espressioni: pittura, scultu-
ra, musica, danza e canto e quello che fino al 2003
era un luogo per la raccolta dei rifiuti è diventato
uno spazio per condividere e generare esperienze
virtuose note anche a livello internazionale, come
l’Orquesta Sinfónica Juvenil y Coro.
L’orchestra Poligono Don Bosco riunisce 275 musi-
cisti e 300 coristi, ragazze e ragazzi provenienti dai
contesti più marginali della città di San Salvador.
L’evento che più si ricorda è l’esibizione dello scorso
anno di 150 ragazze e ragazzi, tra cui 97 minorenni,
negli Stati Uniti, presso il Kennedy Center di Wa-
shington, alla presenza di un pubblico per la mag-
gior parte composto da immigrati salvadoregni.
Dopo il volo su un ae-
reo dedicato solo ed
esclusivamente a loro,
i giovani artisti si sono
esibiti davanti a tantissi-
mi connazionali, alcuni loro
famigliari, costretti dalla povertà
e dalle difficoltà di una vita insicura, a
vivere lontani da casa, in una cultura diversa.
I ragazzi hanno portato loro tutte le emozioni del
Paese d’origine, ricordando la dignità di ogni esse-
re umano che si trovi nella condizione di migran-
te e sollecitando, attraverso l’arte, una riflessione
pubblica riguardo alle problematiche legate alla
migrazione, fin dalla spinta migratoria.
Ogni anno l’Orchestra Sinfonica del Poligono Don
Bosco riceve la visita del Direttore e di un gruppo
di musicisti del Teatro Real di Madrid e, per due
settimane, insieme gli artisti si esercitano, suona-
no, e, sicuri e protetti, apprendono competenze ar-
tistiche sempre più di qualità.
La programmazione sia tecnica sia artistica al Po-
ligono Don Bosco è attenta e puntuale per quan-
to riguarda la formazione e il riconoscimento da
parte delle istituzioni pubbliche salvadoregne, ma,
soprattutto, rappresenta la centralità del bambino e
del ragazzo e il suo protagonismo come opportuni-
tà di cambiamento.
Una delle
caratteristiche
più originali del
Poligono Industrial
Don Bosco è la
funzione educativa
dell‘arte in tutte le
sue espressioni:
pittura, scultura,
musica, danza
e canto e quello
che fino al 2003
era un luogo per
la raccolta dei
rifiuti è diventato
uno spazio per
condividere
e generare
esperienze note
anche a livello
internazionale,
come l’Orquesta
Sinfónica Juvenil
y Coro.
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IN PRIMA LINEA
O. Pori Mecoi
Dall’Atlantico alle Ande
Incontro con don Ramón Darío Perera
superiore dell’Ispettoria Argentina Sur.
La missione
salesiana è bellissima
e le nostre case sono
piene di vita.
to bella e fiorente. Questa immensa missione che
abbiamo nel sud dell’Argentina è portata avanti
da salesiani e laici molto impegnati nel carisma di
Don Bosco. La missione salesiana è bellissima e le
nostre case sono piene di vita. È una missione varia,
con proposte molto creative e audaci. Quindi, se te-
niamo conto di questo, posso dire che il compito
dell’animazione è molto più semplice.
Don Darío
Perera. Tra
la casa più
settentrionale
(Zarate) e
quella più
meridionale
(Usuhaia) della
sua Ispettoria
ci sono più
di 3100
chilometri.
Può presentarsi?
Mi chiamo Ramón Darío Perera, sono salesiano
dal 1985, quando ho fatto la mia prima professione
religiosa. Sono nato in una piccola città della pro-
vincia di La Pampa, chiamata Victorica, dove noi
salesiani abbiamo una presenza missionaria e una
scuola da molto tempo. Nel corso della mia vita sa-
lesiana, ho svolto diversi incarichi. Ho trascorso la
maggior parte dei miei anni alla scuola agrotecnica
Del Valle, in tempi diversi, e ho avuto anche vari
ruoli nell’ispettorato.
È difficile coordinare una realtà
complessa come l’Argentina Sur?
È una domanda difficile a cui rispondere. Per
certi aspetti, la complessità, l’estensione, il numero
di case, significa che non è un compito semplice.
Per darvi un’idea, il nostro Ispettorato ha 64 case.
Tra la casa più settentrionale (Zarate) e quella più
meridionale (Usuhaia) dell’isola della Terra del
Fuoco ci sono più di 3100 chilometri, che vanno
dall’Atlantico alle Ande. La visita a una casa di
riposo comporta sempre un viaggio di molti chi-
lometri. Ma d’altra parte, c’è una comunità mol-
L’Argentina salesiana è ricca
di magnifiche realtà.
Quali sono le più significative?
Ci sono tante belle realtà nell’Argentina salesiana.
Siamo due province con molte cose in comune. An-
che il Nord dell’Argentina è ricco di realtà signifi-
cative e bellissime, con una missione salesiana im-
pegnativa e uno straordinario impegno di salesiani
e laici. Ma per essere più precisi, farò riferimento
a ciò che conosco meglio, ovvero l’Argentina me-
ridionale.
1. La presenza tra le popolazioni indigene: tutti
sappiamo che don Bosco inviò la prima spedi-
zione missionaria della congregazione in Pata-
gonia. Il coraggio e l’audacia di quei primi sa-
lesiani è ancora oggi impressionante. Da allora,
siamo sempre rimasti vicini al popolo Mapuche.
2. La nostra presenza tra i più poveri: in un lungo
processo di ridefinizione della nostra presenza,
noi consacrati siamo andati progressivamente
verso le periferie, verso i settori più vulnerabili.
In molti luoghi diversi, nelle montagne come nei
sobborghi di Buenos Aires, nelle città e nei paesi
della Patagonia, abbiamo una presenza molto si-
gnificativa tra i più poveri.
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FEBBRAIO 2023

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2.1 Page 11

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3. La missione condivisa con i laici: più della metà
delle nostre case è gestita da laici. Formiamo un
grande movimento di consacrati e laici a favo-
re dei giovani più poveri. Lavoriamo fianco a
fianco, spalla a spalla, e questa è una ricchezza
straor­dinaria.
4. La diversità delle proposte pastorali: esiste una
grande varietà di proposte a favore dei giovani
più poveri. Mi colpisce la creatività e l’audacia
delle proposte che sono molto belle. È una ca-
ratteristica che abbiamo ereditato dai primi mis-
sionari, che avevano una straordinaria capacità
di iniziativa.
5. Il movimento giovanile salesiano: è una realtà
molto forte e vivace. Le nostre case sono piene
di giovani e questo è un segno di buona salute
pastorale.
6. La scuola di santità in Patagonia: come a Val-
docco c’era una scuola di santità dove gli edu-
catori erano santi (don Bosco, don Rua ecc.) e
gli alunni erano santi (Domingo Savio), anche
in Patagonia c’era una scuola di santità. Santi gli
educatori (don Zatti) e santi gli alunni (Ceferino,
Laura). Questa è una grande sfida per l’ispetto-
rato.
I Salesiani in Argentina hanno
una magnifica esperienza
nel campo delle scuole agricole:
che cosa sono oggi?
È vero che in Argentina esiste una grande tradi-
zione di scuole agrotecniche. L’istruzione agricola
è un’opzione che abbiamo mantenuto per molto
tempo. E abbiamo dato un grande contributo al
Paese. In questo senso siamo molto conosciuti. In
Argentina, la produzione agricola è molto diver-
sificata, a seconda della zona in cui si trova. E le
nostre scuole sono state inserite in questi contesti
produttivi. Ad esempio, l’ispettorato del nord ha
una magnifica scuola a Rodeo del Medio con un
corpo docente che ha formato un gran numero di
professionisti nel campo della viticoltura e ha avu-
to un grande impatto sulla zona. Nel sud abbiamo
la scuola di agricoltura più a sud del pianeta, a
Rio Grande, e in questa zona siamo pionieri nella
produzione di alimenti freschi in condizioni mol-
to complesse a causa del clima. Quindi le nostre
scuole sono diverse e molto inserite nel contesto
produttivo. E certamente una sfida in cui voglia-
mo essere leader è quella di produrre rispettando
l’ambiente. Questo è l’unico modo per rendere la
produzione sostenibile. Il nostro ruolo di educa-
tori è molto importante in questo campo. Non
solo dobbiamo sensibilizzare l’opinione pubblica
In Argentina
esiste una
grande varietà
di proposte
a favore dei
giovani più
poveri. Colpisce
la creatività e
l‘audacia delle
proposte che
sono molto
belle. È una
caratteristica
ereditata
dai primi
missionari, che
avevano una
straordinaria
capacità di
iniziativa.
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2.2 Page 12

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IN PRIMA LINEA
sull’importanza di prendersi cura dell’ambiente,
ma dobbiamo anche dimostrare che produrre cibo
e prendersi cura del pianeta non sono termini an-
tagonisti.
L’Argentina
salesiana ha
una grande
tradizione
di scuole
agrotecniche:
non si tratta
solo di
trasmettere
determinate
competenze,
ma anche di
accompagnare
e sviluppare
tutti i valori
legati alla
terra, nostra
casa comune.
Qual è la sua esperienza in questo
campo?
Come ho già detto, ho trascorso molti anni alla
scuola agrotecnica Del Valle. Questo mi ha per-
messo di impegnarmi nell’istruzione tecnica
agricola. È una prospettiva educativa molto inte-
ressante, perché produrre cibo è un compito vitale
per l’umanità. Allo stesso tempo, esiste un legame
molto profondo tra l’uomo e la terra, con il lavoro.
Non si tratta solo di trasmettere determinate com-
petenze, ma anche di accompagnare e sviluppare
tutti i valori legati alla terra, il che implica anche
l’impegno etico di prendersi cura della nostra casa
comune.
Può descrivere la Scuola Agrotecnica
Del Valle?
È una scuola bellissima. Soprattutto, ha un’espe-
rienza molto forte, che è la residenza. Dal lunedì al
venerdì ci sono circa 300 ragazzi e ragazze. Metà
ragazzi e metà ragazze. Nella mia esperienza di sa-
lesiano, non c’è esperienza educativa più forte che
vivere con i ragazzi. È Valdocco. È l’esperienza di
don Bosco. Ho capito il sistema preventivo molto
più profondamente nell’esperienza di convivenza
con i ragazzi e le ragazze. Nella valle ho percepi-
to chiaramente il potere educativo dell’ambiente, il
valore della presenza vicina dell’adulto, l’immenso
potere educativo del legame nella relazione educa-
tiva. Ci impegniamo a fondo per garantire che la
formazione tecnica in agricoltura e allevamento sia
della massima qualità. Ma sappiamo che il valore
più profondo della scuola sta nella proposta di ac-
compagnarli a maturare come credenti. Li aiuta a
crescere come buoni cristiani e onesti cittadini.
L’altro aspetto della scuola è la formazione agri-
cola. La scuola prepara gli studenti ad accedere
all’università o al mondo del lavoro. Cerchiamo di
lavorare molto sulla formazione di base e sull’orien-
tamento tecnico. In quest’ultimo aspetto abbiamo
una grande varietà di sezioni didattiche produttive.
Le principali sono su una scala, in una dimensione,
che ci permette di incorporare le pratiche degli stu-
denti in processi produttivi reali. Abbiamo anche
fatto un grande sforzo per incorporare il concetto
di sostenibilità e di attenzione all’ambiente in que-
sti processi. Con l’aiuto degli appalti Bon e del go-
verno tedesco, abbiamo costruito un biodigestore
che ci permette di produrre gas e biofertilizzante.
Questo ci aiuta non solo a trasmettere un’idea, ma
anche a mostrare un’esperienza concreta e questo
ha un potere educativo molto forte.
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FEBBRAIO 2023

2.3 Page 13

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Una gita
sdoa gno
Visitare Valdocco
è un tuffo nei
sogni di don Bosco
VENITE! Sarete accolti
da una comunità
di amici e da un luogo
che vi racconta la vita
del santo dei giovani
Il Museo Casa Don Bosco è la
storia di una grande avventura
educativa, a partire da quei
primi ragazzi a cui don Giovanni
Bosco ha offerto una casa,
una scuola, un’educazione,
un futuro. Quell’anima
profonda è custodita e resa viva
nel racconto di quella storia
e nella proposta di percorsi
educativi che, attraverso
l’esperienza museale interattiva,
possono offrire opportunità
di crescita e di apprendimento.
PER INFORMAZIONI
www.basilicamariaausiliatrice.it
FEBBRAIO 2023
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2.4 Page 14

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TEMPO DELLO SPIRITO
Carmen Laval
Riscoprire la benevolenza:
no ai discorsi d’odio
In tutto il mondo sta emergendo una preoccupante
ondata di xenofobia, razzismo e intolleranza,
tra cui l’aumento dell’antisemitismo, dell’odio
antimusulmano e della persecuzione dei
cristiani. I social media e le altre forme
di comunicazione vengono sfruttati
come piattaforme per la discriminazione.
I Salesiani prendono posizione con
un documento.
shutterstock.com
Il serpente e la lucciola
Un serpente inseguiva una lucciola per di-
vorarla. Il piccolo insetto faceva l’impossibile per
fuggire dal serpente, che lo inseguì per giorni. A un certo
punto la lucciola, stanca ed esausta, si fermò e chiese al
serpente: «Posso farti una domanda, anzi tre?» «Non
sono abituato a rispondere a nessuno, ma dato che ti
devo mangiare, chiedi pure». «Faccio parte della tua die-
ta?» «No». «Ti ho fatto qualcosa di male?» «No». «Allora
perché vuoi mangiarmi?» «Perché non sopporto vederti
brillare».
Il rancore e la rabbia sono in mezzo a noi, sui nostri
telefonini, nei nostri occhi. E lentamente avvelena-
no i nostri rapporti umani.
Una ragazzina dodicenne ha brillantemente sinte-
tizzato in una lettera il clima umano che si respira:
«La nostra vita di tutti i giorni è caratterizzata da
atti violenti e irrispettosi. A scuola vedo bulli che
insultano, disturbano e stuzzicano ragazzi più pic-
coli e deboli di loro troppo spaventati per difender-
si. Camminando per le strade del mio paese, sento
barzellette offensive su ebrei, africani, cinesi e sulle
donne. Ai telegiornali raccontano di incendi appic-
cati nei campi del popolo rom, di venditori ambulan-
ti picchiati e di ragazze straniere violentate. Perfino
i politici non hanno rispetto per gli altri popoli. Un
ministro francese ha proposto di sterilizzare le don-
ne rom, in modo che non possano più avere figli.
La nostra intolleranza nei confronti di chi è diverso
ha raggiunto livelli estremi: anche gli animali
vengono trattati con maggior rispetto! Perché, nel-
le aziende, le donne vengono pagate meno degli
uomini? E perché gli africani sono tutti conside-
rati dei ladri e dei saccheggiatori? Il razzismo è in
ognuno di noi, confinato in un angolino della nostra
mente: siamo talmente condizionati da programmi
televisivi e da racconti sentiti a scuola o negli
ambienti di lavoro che sobbalziamo se vediamo un
mendicante che ci chiede qualche soldo o pensiamo
male se un venditore straniero ci passa accanto.
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FEBBRAIO 2023

2.5 Page 15

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Abbiamo costantemente paura del diverso perché
non lo conosciamo. È come un vuoto buio e ignoto,
di cui non sappiamo nulla. Tutto ciò che non pro-
cede secondo la normalità viene considerato come
un pericolo da eliminare. Invece dovremmo con-
siderarci fratelli di tutti e “cittadini del mondo”.
Anche se abbiamo la pelle, la religione e i costumi
diversi, avremo sempre qualcosa che ci accomunerà
tutti: la stessa forza generatrice che ci ha creati e
l’amore per la libertà. Se noi ragionassimo avendo
questa ottica, forse le guerre e i conflitti che imper-
versano nel pianeta cesserebbero e renderemmo il
nostro mondo un posto più felice per tutti».
No ai discorsi d’odio
Questo incremento della violenza è anche una conse-
guenza della perdita della nostra capacità di esprimer-
ci, della nostra capacità di dialogare fra di noi. Meno
sappiamo esprimerci, più diventiamo aggressivi. Ciò
è particolarmente vero nel quadro di un mercato glo-
bale basato su una concorrenza in corso. Insieme alla
esasperata concorrenza si fa strada l’invidia.
L’invidia è una costellazione di emozioni compren-
dente rabbia, rancore, astio, ostilità, che nasce nell’in-
dividuo nel vedere qualcuno che è felice, sta bene, è
soddisfatto, è riuscito in una certa cosa, un sentimen-
to che a volte ha un’intensità tale da far desiderare che
il benessere altrui si trasformi in male: nel guardare
l’altra persona stabiliamo, senza neanche volerlo, un
confronto e questo confronto ci rimprovera per ciò
che non abbiamo e ciò che non siamo.
Un suggerimento salesiano
Un documento salesiano intitolato “No ai discorsi
d’odio” suggerisce alcune strategie:
Applicare il Sistema Preventivo anche al mondo di-
gitale: fornire a tutti gli animatori una formazio-
ne su come prevenire atteggiamenti diseducativi
su Internet.
Far partecipare i giovani alla creazione di narrazioni
diverse e positive. I giovani non sono solo le vittime
o gli autori dei discorsi d’odio. Possono essere e
IL MANIFESTO DELLA GENTILEZZA
1. Noi crediamo che in un mondo che tende alla disumanizza-
zione, abbiamo più che mai bisogno di gentilezza. Verso noi
stessi, gli altri, il pianeta.
2. Noi crediamo che essere gentili voglia dire essere rispet-
tosi nei confronti di tutto quello che ci circonda: persone,
animali ambiente.
3. Noi siamo convinti che l’era dell’aggressività e del “cia-
scuno per sé” sia tramontata.
4. Noi crediamo che sia arrivato il momento di affrontare la
vita con più dolcezza, più comprensione, più attenzione.
5. Noi crediamo che essere gentili significhi essere parte attiva
di un processo di miglioramento dell’esistenza di tutti.
6. Noi crediamo che la gentilezza sia una forza interiore
e una forma alta di intelligenza.
7. Noi crediamo che la gentilezza sia una capacità e che
come tale si possa apprendere.
8. Noi crediamo che la gentilezza sia contagiosa e, di conse-
guenza, trasmissibile.
9. Noi siamo convinti che la gentilezza debba concretizzarsi
in piccole azioni.
10. Noi crediamo che tanti piccoli atti di gentilezza cambie-
ranno il mondo.
spesso sono agenti di cambiamento tra coetanei
e anche con gli adulti. La loro considerazione, la
loro prospettiva, i loro sogni, le loro aspirazioni e
le loro convinzioni, compresa la loro fede, possono
guidarli verso approcci innovativi per la creazione
di narrazioni nuove e positive.
Coinvolgere i genitori e le famiglie in questo sforzo:
le famiglie e i genitori non sono solo i destinata-
ri dell’istruzione. Possono essere e talvolta sono
partner di un’educazione di qualità.
Sviluppare formazioni sul pensiero critico: tali for-
mazioni possono anche includere lo smaschera-
mento delle fake news e la verifica delle fonti di
informazione.
Vivere la “ fraternità» e la «coesistenza attiva», che
è più del concetto passivo di semplice tolleranza,
e portarle anche nel mondo digitale.
Con questi suggerimenti, tutti gli amici di don
Bosco sono invitati a unire le forze in questa sfida
comune, costruendo insieme una cultura dei diritti
umani.
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LE CASE DI DON BOSCO
La comunità
Don Bosco
Villa Ranchibile
A Palermo, da ottantacinque anni i salesiani accompagnano
generazioni di studenti attraverso una gestione della scuola
“circolare” fondata sulla responsabilità “condivisa”
della comunità educativa, formata anche da una squadra
di Salesiani, Figlie di Maria Ausiliatrice, Laici e Laiche.
Una storia senza fine
La storia di Villa Ranchibile ha radici in quel 24
maggio del 1937, quando i Salesiani acquistarono
l’immobile dai Monroy Samonà, una delle famiglie
più altolocate della città.
«Fin dal Settecento l’edificio nobiliare – racconta il
preside Nicola Filippone – assieme ad altre prestigiose
costruzioni, adornava il sobborgo che l’aristocrazia
palermitana aveva eletto come propria residenza,
inglobato successivamente nel tessuto urbano, dal
prolungamento del Viale della Libertà, aperto
durante i moti del 1848 e impreziosito dalle eleganti
abitazioni in stile liberty dei primi del Novecento.
Gli ambienti in cui si erano svolti stravaganti sollazzi
Un grande
momento è
stato la visita
del Rettor
Maggiore,
don Ángel
Fernández
Artime, il 12
e 13 ottobre
2022, invitato
dall’Università
e dal Comune
di Palermo
a ricevere
la laurea
honoris causa
in Scienze
pedagogiche e
la cittadinanza
onoraria.
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FEBBRAIO 2023

2.7 Page 17

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di un casato ormai in decadenza, sarebbero diventati
scuola ed oratorio e gli alberi secolari, che svettavano
nel parco retrostante, avrebbero visto frotte di ragazzi
rincorrersi e schiamazzare nei cortili per loro creati».
La Seconda Guerra Mondiale aveva devastato la
città – continua il preside – «ma la nuova casa di
don Bosco sopravvisse ai bombardamenti. Nel 1943
tredici bombe vi caddero addosso senza esplodere.
E, non ultimo, venne pure occupata dagli Alleati,
anche se per pochi giorni, che la restituirono ai le-
gittimi proprietari, grazie ad un efficiente connubio
di diplomazia vaticana e intraprendenza salesiana».
Risale al 1944 l’inaugurazione della superficie sulla
quale si affaccia il prospetto della villa Ranchibile,
che diventò un’elegante piazza, dedicata a don Bo-
sco. Da allora – sottolinea il prof. Filippone – «una
miriade di allievi ha arricchito con un impegno se-
rio e responsabile l’articolata offerta formativa. Nel
1988, per la prima volta, vennero ammesse anche le
ragazze, la scuola aprì i battenti, oltre alla media, a
tre licei sperimentali: classico, scientifico ed econo-
mico. La costruzione di un importante laboratorio
di informatica permise a questa disciplina di essere
annoverata tra le materie curriculari».
Se questi sono stati gli splendidi inizi di un rino-
mato liceo classico e scientifico, l’opera, aggiunge il
direttore don Domenico Saraniti, è stata comple-
tata inserendo dapprima il tecnico economico e, da
cinque anni, il liceo di scienze umane ad indirizzo
economico sociale, che, al piano di studi ministe-
riale, inserisce l’economia aziendale e tre lingue
straniere: inglese, spagnolo ed arabo.
Intuizione questa che ha dato una risposta alle
istanze di allievi e genitori in una società sempre
più dominata da logiche di profitto in cui, secon-
do le attese del direttore, «è irrinunciabile lo studio
dell’economia, contemperato da una visione antro-
pocentrica della vita». La scelta dell’arabo, inoltre, è
maturata «dalla convinzione che sia più vantaggio-
so gestire e concludere rapporti lavorativi in questa
lingua, considerato l’exploit nel mercato internazio-
nale di comunità e aziende arabe».
La Scuola Secondaria
di Primo Grado
Il Don Bosco è, a tutti gli effetti, una scuola in-
novativa. Perché? Proprio per la scelta appropriata
della gamma dei servizi offerti al preadolescente.
La secondaria di primo grado accompagna i ragazzi
e le ragazze nella scoperta dei propri talenti, attra-
verso il dialogo e la proficua relazione tra educatori
e giovani. In tal senso, ogni sfumatura che emer-
ge, dall’impegno culturale alla partecipazione, a
concorsi regionali e nazionali, sino ai laboratori di
musica, teatro, giornalismo, sport, lingue straniere,
potenzia la costruzione sociale dell’identità perso-
nale di ciascun allievo. In questa linea s’inserisce
la frequenza assidua all’oratorio, cuore pulsante di
ogni casa salesiana. La scelta poi del semiconvitto,
oltre alla mensa e al doposcuola, sono la messa in
atto di una pedagogia alternativa per “stare bene” a
scuola ed in classe.
Il rapporto con le famiglie, le attività integrative e
l’approccio metodologico nella scuola di primo gra-
do hanno un ruolo fondamentale per la competen-
za relazionale. Particolarmente i laboratori, aspetto
imprescindibile del lavoro scolastico, migliorano
il rapporto e la competenza linguistica, come nel
caso della full immersion nella lingua araba, inglese
e spagnola.
Sempre per educare ad interagire con il pensiero al-
trui e maturare convinzioni solide, di tanto in tan-
La scuola
gode di una
grandissima
stima e
accompagna
i ragazzi e le
ragazze nella
scoperta dei
propri talenti,
attraverso
il dialogo e
la proficua
relazione tra
educatori e
giovani.
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2.8 Page 18

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LE CASE DI DON BOSCO
to, la Secondaria di I Grado si riunisce in un “Caffè
Letterario” (durante il lockdown si è tenuto online),
dove ci s’interfaccia con i docenti per discutere,
riflettere e comprendere che cosa significhi oggi
“Libertà di pensiero”.
La Scuola Secondaria
di Secondo Grado
Una stimolante esperienza di scambio linguistico
e culturale, presente nell’offerta formativa, ha an-
che coinvolto i licei, accogliendo una delegazione
di allievi e docenti del Liceo Presidenziale di Car-
tagine.
Gli studenti del primo Liceo Economico Sociale
con una vocazione internazionale, trilingue (in-
glese, spagnolo, arabo) insieme agli allievi tunisini
si sono confrontati sulla necessità di formarsi per
essere giovani intellettuali, capaci di mediazione
linguistica ed aperti ad una professionalità globale.
Così multiculturalità, apertura e dialogo con Paesi
vicini e lontani è il filo rosso che unisce la diversità.
Prima della pandemia, il laboratorio è stato anche
condotto da suor Mary Farid, figlia di Maria Au-
siliatrice e preside della scuola media “Maria Ausi-
liatrice” del Cairo, invitata dalla direzione proprio
per l’acquisizione corretta della pronuncia.
Sempre sul piano delle soft skills, ossia delle com-
petenze trasversali favorevolmente spendibili in
qualsiasi ambito di lavoro, è stata inaugurata dal
Magnifico Rettore dell’Università di Palermo la
Sala Robotica e Comunicazione con un attivo Uf-
ficio Stampa, dove gli stessi studenti confezionano
il “telegiornale” delle attività educative e didattiche.
A partire da quest’anno il curriculo del biennio
classico è stato arricchito da un Laboratorio di co-
municazione sociale 3.0. Consapevoli della necessità
delle competenze digitali non solo per i lavoratori
del presente ma ancora di più per quelli del futu-
ro, per due ore a settimana il mercoledì gli alunni
sperimentano in prima persona che cosa significhi
creare contenuti digitali. All’interno del laboratorio
di Social networks i ragazzi imparano a gestire le pa-
gine social della scuola, creando contenuti di qualità
sotto il profilo grafico e contenutistico. Il labora-
torio di sceneggiatura introduce i ragazzi al mondo
del cinema, dalla scrittura dei testi fino alla ripresa
delle scene. Sul versante informatico, il laboratorio
di scrittura app fornisce i rudimenti della program-
mazione, infine quello di video editing li rende ca-
paci di editare i video di breve e lunga durata.
Robot, teatro e Wall Street
La Sala Robotica è dotata dei migliori sistemi per la
didattica 4.0, ciò rientra – afferma il direttore – nel
piano di investimenti, che l’Istituto ha avviato per
rendere «il nostro servizio educativo all’avanguar-
dia a misura delle esigenze culturali delle giovani
generazioni». In tal senso la scuola si confronta e
collabora con istituzioni accademiche, per favorire
la scelta professionale degli allievi. A quello di ro-
botica si è aggiunto anche il laboratorio di scienze
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FEBBRAIO 2023

2.9 Page 19

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naturali, fornito di attrezzature avanzate, per avvi-
cinare gli studenti non solo alla didattica, ma so-
prattutto alla ricerca laboratoriale. Per questo, ven-
gono spesso programmate lezioni in concerto con
alcuni dipartimenti dell’Università, dove i ragazzi
si recano accompagnati dai loro insegnanti.
Sulla stessa linea è il Laboratorio di Teatro Clas-
sico. Ogni messa in scena appassiona ed impegna
decine di alunni. Si tratta di interpretare una tra-
gedia classica contaminata da un’opera moderna.
Intreccio che stabilisce un corto circuito fra passato
e presente. Le rappresentazioni, interamente rea-
lizzate da allievi e docenti, a partire dalla tradu-
zione dei testi alle scene, alle musiche, alla coreo-
grafia, si sono affermate come momento sociale in
cui la comunità scolastica ed il pubblico riflettono
su temi che scuotono le coscienze. Nel corso degli
anni, il laboratorio si è imposto nei salotti culturali
di Palermo ed ha ricevuto più volte riconoscimenti
nazionali ai festival di Cesena e Gravina di Puglia,
solo per citarne alcuni. La compagnia si è esibita
anche nei teatri di Tindari e Palazzolo Acreide e
nel decumano dell’Expo 2015 a Milano, oltre a de-
buttare al teatro Politeama del capoluogo e al pre-
stigioso Teatro Massimo di Palermo.
Un’attenzione particolare è riservata alle iniziative
di educazione alla legalità, tanto cara a don Bosco,
che vede la scuola impegnata in una fruttuosa col-
laborazione con le principali istituzioni cittadine.
A completare la tavolozza delle attività educative
sono i pcto (ex alternanza scuola-lavoro), i viaggi
d’istruzione e le visite culturali tematiche. L’alter-
nanza scuola lavoro è un’opportunità formativa in
più per i giovani di “Villa Ranchibile”. Ad acco-
glierli sono importanti organismi della città come
cnr, Agenzia delle Entrate, gallerie d’arte e musei,
istituti finanziari, radio web, volontariato, sport,
attività di orientamento, oltre agli stage naturalisti-
ci, linguistici e aziendali ed a progetti di economia.
Da quest’anno, inoltre, grande importanza è stata
concessa alla comunicazione sociale 2.0: si tratta di
un laboratorio indirizzato in primis agli alunni del
liceo classico in cui i ragazzi, attraverso esperien-
za diretta, si cimentano e fanno pratica del nuovo
modo di fare comunicazione: imparano a gestire in
modo professionale i social network, a scrivere e pro-
gettare app, apprendere le basi del video editing e
della sceneggiatura.
Un’attenzione speciale – sottolinea il preside – è ri-
servata ai viaggi d’istruzione e agli stage all’estero
per il miglioramento delle lingue e l’acquisizione
delle certificazioni, condizione necessaria, quest’ul-
tima, per parteciparvi. In tal modo, i ragazzi che
aderiscono devono frequentare un corso propedeu-
tico, con il quale vengono adeguatamente preparati
all’esperienza che si accingono a vivere.
«Storica la visita alla borsa di Wall Street con i ra-
gazzi dell’economico». Anche i soggiorni all’estero
sono occasioni «di crescita e di arricchimento cul-
turale». Negli ultimi tempi – racconta il prof. Filip-
pone – si è permesso ad alcuni studenti meritevoli
di trascorrere un intero anno scolastico, o parte di
esso, in un Paese straniero, dove affinare la lingua ed
acquisire una mentalità cosmopolita, indispensabile
nel mondo globalizzato. Significative – aggiunge –
le esperienze alle Nazioni Unite o a Montecitorio
con la partecipazione alle riunioni simulate.
Non di meno le visite culturali ad alcuni luoghi della
città, come il museo “Antonio Salinas”, sede di colle-
zioni d’arte greca, meta annuale per gli insegnanti di
latino e greco, i monumenti normanni, patrimonio
dell’Unesco e il percorso barocco, che testimonia la
lunga dominazione spagnola in Sicilia.
Il laboratorio di
sceneggiatura
introduce
i ragazzi al
mondo del
cinema, dalla
scrittura dei
testi fino alla
ripresa delle
scene.
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2.10 Page 20

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QUELLI CHE LO HANNO CONOSCIUTO
Testimonianze giurate al processo di Santità di don Bosco
Il piccolo orfano del colera
Pietro Enria, coadiutore salesiano
«Ho conosciuto don Bosco nel settembre 1854 nel convento
dei Domenicani, ove si raccoglievano i fanciulli rimasti orfani
a causa del colera che imperversava ovunque».
Pietro Enria, nato a S. Benigno Canavese (Torino) e trasferitosi
con la sua famiglia a Torino, rimase orfano a 13 anni nel co-
lera che spopolò Torino nel 1854. Fu accettato da don Bosco
nell’Oratorio insieme al fratellino di 11 anni e a una cinquan-
tina di altri orfani. Visse i tempi d’oro dell’Oratorio accanto a
Giuseppe Buzzetti, Michele Rua, Giovanni Cagliero, Domenico
Savio, sotto gli occhi di Mamma Margherita.
Fu il delicatissimo infermiere di don Bosco nel 1871 nel grave
malore che lo colpì a Varazze, e anche nel 1887-88 durante
l’ultima malattia.
Testimoniò nel «processo di santità» di don Bosco dal 27
gennaio all’8 febbraio 1893, davanti ai giudici ecclesiastici ca-
nonico Molinari, canonico Ramello e canonico Pechenino. Le
sue testimonianze sono contenute nel manoscritto del proces-
so ordinario, copia pubblica, nei fogli 982-1043.
non per timore ma per affetto che sentivo verso di
lui. Mi domandò nome e cognome e poi mi disse:
«Vuoi venire con me? Saremo sempre buoni amici
finché possiamo andare in Paradiso. Sei conten-
to?». E io risposi: «Oh, sì, signore». Poi soggiunse:
«E questo che hai insieme è tuo fratello?». «Sì, si-
gnore», risposi. «Ebbene, verrà anche lui».
«La mia mamma e quella
di don Bosco»
Pochi giorni dopo fummo condotti tutti e due
all’Oratorio. Io avevo 13 anni e mio fratello 11.
Mia madre era morta di colera e mio padre era
Sono Enria Pietro Giuseppe, nativo di S.
Benigno Canavese (Torino) d’anni 52.
Appartengo alla Congregazione salesiana
come laico professo.
Ho conosciuto don Bosco nel settembre 1854 nel
convento dei Domenicani, ove si raccoglievano i
fanciulli rimasti orfani a causa del colera che im-
perversava (in Torino e in Italia). Ivi un giorno ven-
ne don Bosco a visitarci (eravamo un centinaio) ac-
compagnato dal direttore dell’Orfanotrofio. Io non
l’avevo mai visto, aveva un’aria ridente e piena di
bontà che si faceva amare prima ancora di parlargli.
Fece un sorriso a tutti, e poi domandava nome e
cognome, se sapevamo il catechismo... Passò final-
mente vicino a me e io mi sentii battere il cuore
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FEBBRAIO 2023

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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tutt’ora aggravato dal male. In quell’occasione don
Bosco ricevette nell’Oratorio una cinquantina di
poveri orfani. Da quel momento io restai sempre
nell’Oratorio di don Bosco, dove egli e sua madre
ci accolsero con amore.
Noi guardavamo la madre di don Bosco come la
nostra, e le portavamo un grande amore. Era una
donna di grande amor di Dio e di una carità arden-
te più che materna.
Nel 1854, quand’io entrai all’Oratorio, i giovani
erano in numero di circa quaranta, e in quell’anno
arrivarono a cento.
Don Bosco portava un grande amore verso sua ma-
dre, ne parlava con venerazione, e alla sua morte
si mostrò afflittissimo. Ci disse in quell’occasione:
«Abbiamo perduto la madre, ma sono certo che
essa ci aiuterà dal Paradiso. Era una santa!». Don
Bosco non esagerò nel chiamarla santa, perché essa
si sacrificò per noi, e fu per tutti una vera madre.
Un ragazzo povero e insolente
Ricordo che nel 1857 accettò nell’Oratorio un gio-
vane che le guardie della città trovarono abbandona-
to in un angolo di piazza Castello, tutto intirizzito
dal freddo. Dopo qualche giorno don Bosco stesso
lo condusse presso un falegname onesto cristiano in
Torino, raccomandandolo alla sua cura. Il giovane
per due settimane si conservò buono e docile, ma poi
per la sua indisciplinatezza quel padrone fu costret-
to a congedarlo. Don Bosco pazientò, e lo condusse
a un altro padrone, ma anche questi dopo appena
una settimana dovette congedarlo, e ciò continuò
per circa due anni. Si può dire che ha fatto perdere
la pazienza a tutti i padroni della città. Quando fu
congedato dall’ultimo padrone, tornò all’Oratorio e
andò difilato in refettorio dove don Bosco si trova-
va a pranzare, e gli disse che il padrone l’aveva con-
gedato, e quindi gli cercasse un altro padrone. Don
Bosco gli rispose: «Abbi pazienza, aspetta che abbia
finito di pranzare. E tu hai già pranzato?»
«Sì» rispose il giovane.
«Allora aspettami» soggiunse don Bosco. Ma il
giovane così rispose: «Voglio che venga subito».
Allora Don Bosco si volse verso di lui e gli disse:
«Non vedi che non c’è più nessuno che ti voglia
accettare nel suo laboratorio, perché sei la dispe-
razione di tutti? Non vedi quanti padroni hai già
stancato? Se continui su questo passo non verrai
capace di guadagnarti un pezzo di pane».
Il giovane uscì dal refettorio, e poco dopo senza
dire parole ad alcuno se ne andò. Fece il commesso
da caffè, il soldato, esercitò altri mestieri.
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QUELLI CHE LO HANNO CONOSCIUTO
Un giorno cadde ammalato, e durante la convale-
scenza si recò all’Oratorio e si presentò a don Bo-
sco. Gli domandò perdono dei dispiaceri che gli
aveva dato. Don Bosco lo confortò, gli disse che
gli voleva sempre bene e che aveva sempre pregato
per lui. Gli soggiunse ancora: «Guarda, l’Oratorio
è sempre casa tua. Quando starai meglio, se vuoi
venire don Bosco è sempre il tuo buon amico, che
altro non cerca che la salvezza dell’anima tua». Ho
udito questo fatto dal giovane stesso.
La gravissima malattia di Varazze
6 dicembre 1871. Mentre si trova alla stazione di Va-
razze, don Bosco cade a terra svenuto. I presenti lo
portano alla casa salesiana diretta da don Francesia.
La malattia si rivela gravissima. Don Rua invia da
Valdocco ad assisterlo Pietro Enria. Questa la sua te-
stimonianza giurata riguardante questo avvenimento.
Io partii subito, pronto a dare la mia vita purché
don Bosco riavesse la salute. Don Bosco era rico-
noscente al più piccolo servizio che gli facevo, e mi
ringraziava con gran cuore. Alcune volte, doven-
dogli fare dei servizi un poco ributtanti, mi diceva:
«Vedi, Enria, a che stato sono ridotto. Fa’ questo
per amor di Dio!»
E io gli rispondevo: «Ma che cosa dice, signor don
Bosco? È nulla quello che io faccio per contraccam-
biarlo di quello che egli ha fatto per me e per i miei
compagni. Eh! lei ha fatto per noi dei servizi ben
più bassi. Ci ha lavato, pettinato, ha cucito i nostri
abiti, ha fatto per noi quello che potevano fare solo
le nostre mamme, e ancor più di esse. E non vuole
che le faccia questi servizi? Quanti dei miei compa-
gni si chiamerebbero fortunati se potessero essere
al mio posto!»
Ricevevo da Torino lettere piene di tenerezza fi-
liale. Giuseppe Buzzetti, mio compagno, mi dice-
va: «Guarda, Enria, nostro padre è nelle tue mani,
guai a te se non lo assisti bene, ne avrai da rendere
conto a Dio! Digli che noi preghiamo di gran cuore
il Signore e Maria Ausiliatrice che presto torni tra
noi in salute».
«Il giorno in
cui don Bosco
scese di letto,
io telegrafai
a Torino
all‘amico
Buzzetti,
e si fece
gran festa
all‘Oratorio,
e si suonò
la banda
musicale».
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FEBBRAIO 2023

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Intanto il male peggiorava e la febbre aumentava
sempre. L’eruzione dei migliari (vescichette dure a
forma di grani di miglio che si formavano sulla pelle)
era copiosissima e gli dava molto tormento. Ma egli
non si lamentava mai. I suoi affanni erano sem-
pre per noi che temevamo di perderlo, e ci diceva
con gran fede: «Dio provvede agli uccelli dell’aria,
perciò penserà pure ai poveri figli dell’Oratorio».
Intanto da Torino volevano notizie, e io non po-
tevo darle buone perché il male era sempre grave.
Molti giovani dell’Oratorio, come seppi poi, erano
andati in chiesa all’altare di Maria Ausiliatrice e
avevano offerto a Dio la vita per la conservazio-
ne di don Bosco. Sentendo leggere queste e altre
lettere, don Bosco pianse di consolazione e disse:
«Poveri giovani, quanto amano questo povero don
Bosco!» e m’incaricò di ringraziarli.
Don Bosco volle confessarsi dal parroco, e don
Francesia, direttore della casa, gli portò l’Eucari-
stia nel giorno seguente. Don Bosco passò quella
giornata in ringraziamento.
Il giorno dopo il male si calmò alquanto. Non si
lamentava, e a chi gli diceva: «Quanto deve sof-
frire!», rispondeva ridendo: «Io sono un pigro e sto
godendomi questo letto, e chi soffre sono quelli che
mi devono assistere».
Un ragazzo che piangeva
La malattia fece il suo corso. Don Bosco dovette
stare a letto più di due mesi senza muoversi. Aveva
la pelle della schiena rotta in più luoghi e cambiò
tutta la pelle. Eppure non mosse un lamento e di-
ceva sempre d’essere nelle mani di Dio, pronto a
fare la sua volontà.
Mentre era gravemente ammalato, sentì un ragazzo
piangere. Non poté resistere e mi disse subito: «Fa’
il piacere, Enria, va’ a vedere che cos’ha quel ragaz-
zo». Corsi, e seppi che era un giovinetto che pian-
geva perché era partita sua madre che era venuta a
trovarlo. Il cuore di don Bosco non poteva resistere
che i suoi giovani soffrissero.
Godeva quando qualcuno gli parlava dei primi
anni dell’Oratorio. Io sovente, mentre era amma-
lato, gliene parlavo: «Si ricorda, don Bosco, quando
sua madre lo sgridava perché accettava sempre nuo-
vi ragazzi? Essa gli diceva: “Tu ne accetti sempre,
ma come si fa a mantenerli, a vestirli? In casa non
vi è nulla, e comincia a far freddo!”. Capitò a me
di dover dormire parecchie notti sopra poche fo-
glie con addosso non altro che una piccola coperta.
E alla sera, quando noi eravamo a letto, lei, don
Bosco, e sua madre ci aggiustavate i pantaloni e la
giacca logora, perché ne avevamo una sola». Don
Bosco sorrideva al sentir questo, e diceva: «Quanto
ha faticato la mia buona mamma!... santa donna!...
Ma la Provvidenza non ci è mai mancata!».
Il giorno in cui don Bosco scese di letto, io telegra-
fai a Torino all’amico Buzzetti, e si fece gran festa
all’Oratorio, e si suonò la banda musicale.
«Mentre era
gravemente
ammalato,
sentì un
ragazzo
piangere.
Non poté
resistere e mi
disse subito:
Fa’ il piacere,
Enria, va‘ a
vedere che
cos‘ha quel
ragazzo».
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FMA
Emilia Di Massimo
“Tranquilla, qualunque
cosa accada
Gilda si svegliava spesso di notte
e pregava per chi era nel dolore;
il giorno accoglieva il bello in
tutto, sentendolo come un dono
di Dio. Durante la malattia è
stata attenta a tutto, ha sofferto
sorridendo, senza far preoccupare
nessuno.
Gilda nasce a Torino il 13 aprile del 2004.
Trascorre una vita normale crescendo in
intelligenza e forza con un carattere mar-
cato sin da piccola da una forza e una de-
terminazione straordinaria che le hanno consentito
di farsi sempre spazio senza chiedere aiuto a nessu-
no. La sua straordinaria voglia di vivere in mezzo
agli altri ha fatto sì che lei fosse sempre circonda-
ta da amiche e amici che hanno riconosciuto in lei
una persona che sapeva come affrontare i problemi
e risolverli.
Ha sempre preso le difese dei più deboli e soprat-
tutto di chi subiva un torto. Nello sport è sempre
stata determinata come nella vita: in piscina da pic-
cola del gruppo nuotava come un delfino. Ultima
arrivata nella squadra di pallavolo e senza esperien-
za, dopo un duro lavoro di allenamento, con capar-
bietà è entrata tra le titolari. Negli scout ha sempre
affrontato le sfide con tenacia, forza e intelligenza.
Per la sua forza di carattere e la vivacità nell’affron-
tare tutte le attività, veniva considerata la “bulla”
del gruppo.
Educata alla fede cristiana, è stata affidata ogni
giorno a Maria perché proprio a Lei i genitori si
sono rivolti per averla in quanto tanto ricercata ma
che tardava ad arrivare. Ha avuto la sua educazione
cristiana sin dai tempi della scuola materna, per poi
lasciarla, dopo aver ricevuto i Sacramenti del Bat-
tesimo, della Comunione e della Cresima, alla sua
ricerca personale del Signore. Lo ha fatto tramite
la parrocchia ma soprattutto attraverso la Turris
Eburnea1 perché rispecchiava in lei quel senso del-
la bellezza femminile che il Signore ricerca nelle
ragazze. Lo ha fatto soprattutto a modo suo, con
tanta determinazione e offrendo ogni giorno la sof-
ferenza a Dio.
Durante questo periodo di fine inverno e inizio
primavera, l’Oratorio salesiano della parrocchia e
la Turris Eburnea organizzano delle interviste per
condividere la testimonianza forte di Gilda con tutti
i ragazzi e le ragazze della sua età, ma anche per le
persone adulte. La prima intervista, breve nella du-
rata, viene trasmessa su un canale interno all’Ora-
torio mentre la seconda, considerato il “mondo” di
1. La Turris Eburnea è nata a Torino nel 1941. Oggi è presente anche a
Milano, Genova e Roma. È un’originalissima forma di apostolato. Che
coniuga Parola di Dio, preghiera ed eleganza, organizzando sfilate di
moda e incontri spirituali.
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preghiera che Gilda aveva mosso per la sua malattia
e guarigione, viene trasmessa su un canale social con
una punta di più di 400 collegati. Più che un’intervi-
sta, un fiume in piena di un racconto di circa 1 ora e
40 minuti dove Gilda ha raccontato come ha vissuto
il periodo della malattia e delle cure.
Nel febbraio 2020, dopo aver fatto una risonanza
magnetica per un dolore alla schiena che persisteva
da mesi, le viene scoperta una massa sospetta sulla
cresta iliaca dell’anca destra; il 12 marzo la diagno-
si: un Sarcoma di Ewing.
“Adesso sono felice!”
I genitori di Gilda, Pasquale e Paola, ci dicono che
la forza del suo carattere le ha consentito di affron-
tare 9 ricoveri: infusioni di chemioterapia, un auto-
trapianto, 36 interventi di radioterapia. Al termine
delle cure, Gilda effettua i controlli strumentali: si
confermano esisti positivi, tanto da iniziare una cura
di mantenimento. Continua gli studi concludendo
l’anno scolastico con una media altissima; l’8 luglio
2021, con l’ultima compressa del farmaco chemiote-
rapico di mantenimento, festeggia con famigliari e
amici la fine di un incubo. In realtà la malattia stava
ritornando più aggressiva di prima. Inizia un secon-
do percorso: 4 ricoveri di 5 giorni per somministrare
il farmaco chemioterapico ad alte dosi.
Gilda non ha mai perso la speranza della guarigione;
scrive: “Essere in bilico tra la morte e la vita può spa-
ventare ma arrivare al punto di dire come va va, deve
aiutarti ancora di più a voler fare tante e tutte le cose
perché quella piccola speranza che è ancora rimasta
duri per sempre. Ma se non fosse così non importa,
l’importante è fare!”. Gilda “veicola messaggi di spe-
ranza, di conforto e di amore per la vita, indirizzati
a tutti ma in particolare ai deboli di ogni genere”,
afferma Antonio, l’altro fratello. Lei stessa ha scritto:
“Stamattina camminando nel corridoio della degen-
za, vedo una mamma distrutta, stremata, che parla
con un medico. Passo e sento purtroppo che queste
sono le ore decisive per il figlio. Mi affaccio nella
stanza, leggermente, vedo un bambino di 10 anni,
sereno e tranquillo, gli dico: ‘Giovanni sei fortissi-
mo e io sono positiva ce la farai perché noi siamo
più forti di questo brutto mostro e ci goderemo la
vita al doppio di tutti’”. “Gilda era così”, ci dicono i
famigliari, “si preoccupava degli altri e aveva a cuore
chi soffriva. La frase che aveva fatto sua, consapevole
che non sarebbe guarita: “Tranquilla qualunque cosa
accada, perché così deve essere”; ripetendo continua-
mente: “Sto bene!”.
Gilda si svegliava spesso di notte e pregava per chi
era nel dolore; il giorno accoglieva il bello in tutto,
sentendolo come un dono di Dio. Durante la ma-
lattia è stata attenta a tutto, ha sofferto sorridendo,
senza far preoccupare nessuno. Con dignità entrava
nel reparto dell’ospedale, faceva le terapie, cadeva e
si risollevava; quando usciva, tra le varie sofferenze
delle aplasie, si collegava con i suoi compagni di
scuola e con i professori per non perdere il contat-
to con loro. Sempre attenta al trucco e all’aspetto
fisico: per non far preoccupare chi stava dell’altra
parte del monitor. Studia nelle stanze del reparto
dell’ospedale, unisce il desiderio di conoscere
alla percezione della bellezza che aveva in
tutto, dal trucco all’amore per la magni-
ficenza della natura: amava tanto il mare
come la montagna, le piaceva tanto
sciare quanto nuotare. Per lei tutto era
bello, sempre e comunque.
Quando i dottori le comunicano
l’irreversibilità della malattia,
Gilda risponde loro: “Sono
pronta”; le stesse parole che
ripeterà la sera a tutti i suoi
famigliari. Ha 17 anni ma il
coraggio l’ha sempre carat-
terizzata, d’altro canto il suo
nome significa valente.
Il 17 gennaio dopo aver
ricevuto la sua ultima
Comunione, Gilda dice
alla mamma: “Adesso
sono felice!”.
Una ragazza
adamantina
di fuori e di
dentro. Tutti
le volevano
bene. Dio di
più.
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L’INVITATO
Sarah Laporta
La Dottoressa
Maria Rita Scrimieri
«La beata Alexandrina Maria da Costa
è la perla preziosa della mia vita»
«Mi lasciai interpellare da questa
storia che mi apriva le porte verso
una realtà fino a quel momento a
me completamente sconosciuta:
l’esperienza mistica». Incontro con
la dottoressa Maria Rita Scrimieri,
psicologa e psicoterapeuta,
responsabile del Centro
Internazionale Salesiano
di Spiritualità di Balasar.
Come hai conosciuto
la storia di Alexandrina?
Attraverso il libro di padre Amorth
“Dietro un sorriso” agli inizi degli anni
’90. Avevo 40 anni. In quel periodo
io mi dedicavo completamente al
mio lavoro nel campo clinico come
psicologa e psicoterapeuta.
Da quando avevo iniziato
gli studi universitari avevo
abbandonato ogni interesse
religioso. Da venti anni circa,
ero quindi lontana da tutto
ciò che riguardava la fede e la frequentazione della
Chiesa. Ero sposata, mio marito era medico psi-
chiatra, entrambi ci occupavamo della sofferenza
mentale.
Che cosa ti colpì?
Quando in libreria vidi il libro di padre Amorth,
mi colpirono due dati biografici di Alexandrina,
riportati nella copertina del libro: il primo riguar-
dava il fatto che aveva vissuto gli ultimi 13 anni
della sua vita solo di Eucaristia, senza più assumere
né cibo né bevande.
Il secondo dato biografico era legato al fatto
che lei, paralizzata dall’età di 21 anni (1925),
dall’ottobre del 1938 fino alla primavera del
1942, ogni venerdì, recuperando i movimenti
del corpo, aveva rivissuto la Passione di Gesù
dalle 12 alle 15 del pomeriggio. Terminata l’es-
perienza della Passione, ritornava poi a letto
paralizzata.
Questi due fatti mi colpirono ed attirarono
il mio interesse clinico: come era possibile
che una persona vivesse 13 anni senza ali-
mentarsi, e come era possibile che potesse
recuperare i movimenti del corpo giacché
era paralizzata? Si trattava di un caso di
isteria e quindi appartenente alla clinica
psichiatrica? Comprai quindi il libro per
poter dare una risposta ai miei interroga-
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Cooperatori
Salesiani
nella chiesa di
Balasar. Nel
testamento
spirituale,
Alexandrina
ha chiesto di
essere sepolta
con il viso
rivolto verso
il Tabernacolo
della sua
Chiesa per
dimostrare
l’amore che in
vita ha avuto
per l’Eucaristia.
tivi: se si fosse trattato di patologia clinica, lo avrei
compreso data la mia formazione in questo campo,
se invece si fosse trattato d’altro, allora questa storia
poteva avere qualcosa da dirmi.
Hai cercato le prove scientifiche?
Letto il libro di padre Amorth che riguardava un
primo approccio biografico della vita di Alexan-
drina, approfondii la mia ricerca attraverso altri li-
bri citati dall’autore, scritti dai coniugi Signorile di
Milano. In queste prime letture non trovavo nulla
che potesse essere riferito ad una patologia, ma nel-
lo stesso tempo andavo alla ricerca dei documenti
clinici che erano stati stilati dai medici lungo l’ar-
co della vita di Alexandrina, compresi quelli relativi
all’osservazione avvenuta in un reparto per distur-
bi dell’alimentazione nell’Ospedale della Foce di
Oporto, dove Alexandrina era stata ricoverata per
40 giorni, dopo 2 anni di digiuno totale. Trovai la
risposta nel libro “Cristo Gesù in Alexandrina”, una
edizione extracommerciale pubblicata dal Salesiano
don Umberto Maria Pasquale che aveva conosciuto e
seguito personalmente Alexandrina come padre spi-
rituale: nell’appendice del libro erano pubblicati tutti
i documenti clinici che mi interessavano riguardanti
sia la diagnosi della paralisi dovuta alla mielite alla
spina dorsale e sia la relazione clinica redatta dopo
l’osservazione di 40 giorni, alla fine della quale veni-
va appurato che Alexandrina, sotto rigido controllo
infermieristico sia di giorno sia di notte, non aveva
assunto né cibo né bevande: aveva ricevuto solo la
Comunione eucaristica come aveva chiesto prima di
essere ricoverata. Inoltre il suo stato psichico era nor-
male e non presentava nessuna alterazione psicopa-
tologia. Per la scienza medica il caso di Alexandrina
era inspiegabile ed apparteneva più alla mistica che
doveva quindi pronunciarsi in merito.
Come cambiò il tuo pensiero?
Arrivata a questo punto mi arresi, nel senso che fi-
niva la mia ricerca come psicologa, in quanto sia
dalla mia lettura sia dai documenti clinici stilati
quando Alexandrina era viva, non emergeva nul-
la di patologico, per cui, come cristiana, mi lasciai
interpellare da questa storia che mi apriva le porte
verso una realtà fino a quel momento a me com-
pletamente sconosciuta: l’esperienza mistica per la
quale l’autorità competente per valutarne l’autenti-
cità era la Chiesa e non la scienza medica. Pertanto
la teologia spirituale e mistica fornivano quelle ca-
tegorie di pensiero per poter comprendere l’espe-
rienza mistica di Alexandrina, i suoi dialoghi con
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L’INVITATO
Sta nascendo
il Centro
Internazionale
salesiano di
spiritualità,
che vuole
essere un
punto di
accoglienza
per chiunque
si rechi a
Balasar.
Gesù e la Vergine Maria, le sue lotte contro il de-
monio che l’attaccava, non come allucinazioni ma
come facenti parti di un’esperienza autentica spi-
rituale che nella mistica cristiana ha il suo centro
nella Persona di Gesù Cristo crocifisso e risorto.
A questo punto la storia di Alexandrina mi ar-
ricchiva anche da un punto di vista professionale
poiché grazie alle mie conoscenze scientifiche nel
campo della psicologia, la “scoperta” della realtà
mistica, mi permetteva di poter effettuare una dia-
gnosi differenziale per non scambiare un Santo con
una persona “malata” solo perché non avevo una
chiave di lettura adeguata della sua esperienza.
Ma non è un “inno” di dolore?
Le lettere che Alexandrina aveva scritto al suo
primo direttore spirituale, padre mariano Pinho,
gesuita, mi misero in contatto diretto con i dialo-
ghi che avvenivano tra lei e Gesù, dialoghi sempre
orientati ad esprimere l’amore infinito di Gesù ver-
so tutte le anime per le quali desiderava ardente-
mente la salvezza e la felicità e sulle quali voleva
riversare la sua infinita misericordia.
Mi mettevano inoltre in contatto con il dolore che
Gesù comunicava ad Alexandrina per quanti re-
spingevano il suo amore e per quanti rischiavano
l’infelicità eterna respingendo le sue grazie.
Alexandrina, era stata scelta e chiamata ad esse-
re, con Gesù crocifisso, un canale per diffondere
la misericordia di Dio sulle anime cooperando con
Lui per la loro salvezza e felicità.
Scoprii pertanto, attraverso gli scritti di Alexandri-
na, una terza dimensione del dolore a me sconosciu-
ta fino a quel momento: conoscevo infatti il dolore
fisico e la sofferenza fisica per malattia o per altre
cause fisiche, conoscevo la sofferenza umana legata
a vicende dolorose della vita, e la sofferenza mentale
alla quale avevo dedicato la maggior parte della mia
vita fino a quel momento. Ma attraverso l’esperienza
mistica di Alexandrina, scoprii un ulteriore livello
di sofferenza umana, quella cioè che deriva dalla
separazione da Dio e che Gesù sperimentò per pri-
mo durante l’agonia nell’orto degli ulivi fino alla sua
crocifissione e morte espressa nel grido. “Dio mio,
Dio mio perché mi hai abbandonato?”
L’esperienza mistica di Alexandrina gettava un fa-
scio di luce profonda sull’opera redentrice di Cristo,
opera nata e sostenuta dall’amore infinito della Tri-
nità verso l’essere umano. Proprio alla luce di questo
amore divino che ora raggiungeva anche me, com-
presi la grandezza di Alexandrina e la sua generosità
incondizionata nel cooperare con Dio per la felicità
delle anime condividendo con Lui l’opera redentrice.
Come nacque l’idea del centro
di Balasar?
In quel periodo avevo 40 anni, e con Alexandri-
na avevo trovato la “Perla preziosa” della mia vita
il “tesoro del campo” senza il quale non avrei più
potuto vivere perché avevo trovato la risposta agli
interrogativi profondi che ogni essere umano porta
in sé e che ruotano intorno al senso della vita e al
mistero della morte.
Nel 1996 per la prima volta mi sono recata a Balasar
per restare qualche giorno nei luoghi dove Alexan-
drina era vissuta. Da quel momento vi ritornai ogni
anno stringendo amicizia con alcune persone del
luogo che mi ospitavano e con il Parroco di Balasar.
Piano piano nacque in me il desiderio di aprire a Ba-
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lasar una Casa per accogliere i pel-
legrini poiché a Balasar non c’era
nulla di ciò e quando portavo con
me qualche amico o cooperatore
italiano dovevo sempre chiedere
ospitalità alle amiche portoghesi.
Il sogno di una Casa salesiana a
Balasar è rimasto alcuni anni nel
mio cuore; nel frattempo avevo pub-
blicato in Italia un libro su Alexandrina
“Come l’ape di fiore in fiore...”, avevo par-
tecipato in Mexico al Congresso eucaristico interna-
zionale nel 2004 presentando la figura di Alexan-
drina che aveva vissuto gli ultimi 13 anni della sua
vita in digiuno totale e ricevendo solo l’Eucaristia.
C’è un miracolo di Alexandrina?
Per la sua Beatificazione nel 2004 avevo scritto per
l’Osservatore Romano un articolo sulla guarigione di
una donna affetta dal morbo di Parkinson, guarigio-
ne riconosciuta come miracolo per la Beatificazione,
e nel 2011 al Congresso internazionale dell’adma su
Maria Ausiliatrice, svoltosi in Polonia, ho presentato
una relazione sul ruolo della Beata Alexandrina nella
Consacrazione del mondo al Cuore Immacolato di
Maria avvenuta nell’ottobre 1942.
Il sogno di una Casa a Balasar mi accompagnava
sempre e così nel giugno 2009, aiutata da alcuni
cooperatori italiani, ho preso in affitto la casa che
pochi anni dopo è stata comprata. Nel luglio 2009
infatti, veniva a mancare improvvisamente mio
marito a causa di un linfoma; anche lui si era af-
fezionato ad Alexandrina e condivideva i progetti
che desideravo realizzare. Noi non abbiamo avuto
figli, ero sola e così ho venduto la nostra casa ed
il mio studio ed ho messo a disposizione dei Sale-
siani del Portogallo la somma necessaria per com-
prare la casa di Balasar per dare così vita insieme
al Centro internazionale salesiano di spiritualità.
Poco dopo i Salesiani hanno completato l’acqui-
sto dell’immobile che comprendeva una ulteriore
parte, ex fabbrica di tessuti, ora ristrutturata e che
è diventato un unico immobile di
circa 1000 m2.
Sta nascendo così il Centro In-
ternazionale salesiano di spi-
ritualità, che vuole essere un
punto di accoglienza per chiun-
que si rechi a Balasar e che ha lo
scopo di approfondire e diffondere
il messaggio della Beata Alexandri-
na, ed il carisma di don Bosco alla luce
dell’esperienza mistica sia di Alexandrina
sia dell’italiana Vera Grita, salesiana cooperatri-
ce portavoce dell’Opera dei Tabernacoli Viventi,
Opera alla quale sono personalmente consacrata.
Che cosa dicono al nostro tempo
i santi “mistici”?
Credo che l’esperienza di Alexandrina, insieme a
quella di altre mistiche del nostro tempo, come la
francese Marta Robin, vissute entrambe per molti
anni solo di Eucaristia, 50 la prima e 30 la secon-
da, siano di grande attualità per i nostri tempi mo-
derni poiché richiamano la nostra attenzione come
cristiani in una società fortemente secolarizzata,
sull’importanza della vita sacramentale, la Co-
munione eucaristica e la Confessione, fondamento
della pedagogia di don Bosco. Mettere in contat-
to i giovani e non solo, con il Cristo vivo presente
nell’Eucaristia che può agire nelle
anime prendendone possesso è
oggi di fondamentale impor-
tanza per contrastare l’onda
distruttrice di una mentalità
che svuota la vita dei giova-
ni, e degli adulti, proponendo
una pseudo felicità facile, a
portata di mano come la
droga, l’alcool, in una
visione della vita
solo immanente,
senza prospettive
di eternità.
«Credo che
l’esperienza di
Alexandrina,
insieme a
quella di altre
mistiche del
nostro tempo,
sia di grande
attualità per
i nostri tempi
poiché richiama
la nostra
attenzione
sull’importanza
della vita
sacramentale,
la Comunione
eucaristica e la
Confessione,
fondamento
della pedagogia
di don Bosco».
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LA NOSTRA STORIA
Federico Valle
La Santa Impresa di Don Bosco
La cartiera di Mathi
Don Bosco aveva il raro e
magnifico dono della «visione»:
sapeva prevedere l’evoluzione del
suo tempo. E scese in campo con
la sua dinamicità e il suo coraggio:
a poco a poco da autore si
trasformò in tipografo ed editore.
Ma c’era ancora una cosa da
fare per completare la filiera
produttiva. E la fece.
Il primo libro scritto da don Bosco è una sorpre-
sa. Si tratta di una guida pratica di enologia sul-
la coltivazione della vite, il metodo per la pro-
duzione e la conservazione del vino. Giovanni
Bosco lo scrisse in seminario e fu solo l’inizio di
un’attività vulcanica, che continuò negli anni Qua-
ranta con la stesura di opere devozionali ed educa-
tive. Ma dagli anni Cinquanta in poi lo scrivere per
lui prese il volto di un vero e pro­prio “apostolato
della stampa”, sentito e portato avanti come una
“vocazione”.
Don Bosco aveva un’antenna speciale per capire
i “segni dei tempi”. La diffusione dell’educazione
di massa promossa dalle riforme scolasti­che portò
come risultato un aumento dell’alfabetismo, quindi
un incremento della domanda di letture. Ciò com-
portò l’aumento delle iniziative editoriali, incluse
quelle religiose, che gareggiavano per raggiungere
le masse.
Don Bosco aveva il raro e magnifico dono della «vi-
sione»: sapeva prevedere l’evoluzione della situazione
in cui viveva. E scese in campo con la sua dinamici-
tà: a poco a poco da autore si trasformò in tipografo
ed editore. Tutto per lanciare collane e biblioteche
popolari, pubblicazioni periodiche, testi scolastici.
La «Santa» impresa
La nascita della prima legatoria salesiana è un mo-
mento epico. Tutto nasceva nella leggerezza e nella
gioia. Così è nata la prima legatoria salesiana. «Don
Bosco mentre sperava di avere in tempo non lonta-
no una tipografia a sua disposizione, nei primi mesi
dell’anno apriva, scherzando, come era solito a fare,
in molte sue imprese, un terzo laboratorio nell’O-
spizio: Legatoria di libri. Ma fra i giovani che aveva
nella casa non ve n’era alcuno che s’intendesse di
questo mestiere: pagare un capo d’arte esterno non
era ancora il tempo. Tuttavia un giorno, avendo in-
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torno a sé i suoi alunni, depose sopra un tavolino i
fogli stampati dì un libro che aveva per titolo: Gli
Angeli Custodi, e chiamato un giovane gli disse: «Tu
farai il legatore!»
«Io legatore? Ma come farò se non so nulla di que-
sto mestiere?»
«Vieni qua! Vedi questi fogli? siediti al tavolino bi-
sogna incominciare dal piegarli».
Don Bosco pure si assise, e fra lui ed il giovane
piegarono tutti quei fogli. Il libro era formato ma
bisognava cucirlo. Qui venne in suo aiuto Mamma
Margherita e fra tre riuscirono a cucirlo. Subito con
farina si fece un po’ di pasta ed al libro si attaccò
anche la copertina. Quindi si trattò di eguagliare i
fogli, ossia raffilarli. Come fare? Tutti gli altri gio-
vanetti circondavano il tavolino, come testimoni di
quella inaugurazione. Ciascuno dava il suo parere
per rendere eguali que’ quinterni. Chi proponeva
il coltello, chi le forbici. In casa all’uopo non vi era
ancora nulla, assolutamente nulla. La necessità rese
don Bosco industrioso. Va in cucina, prende con
sussiego la mezzaluna d’acciaio che serviva a ta-
gliuzzare le cipolle, gli agli, le erbette, e con questo
strumento si pone a tagliare le carte. I giovani in-
tanto si rompevano lo stomaco dal ridere».
Ma l’obiettivo di don Bosco era ben più ampio:
progettava di gestire in proprio l’intero ciclo della
produzione editoriale, proponendosi come editore
cattolico a tutto tondo nel momento in cui, all’in-
domani dell’Unità d’Italia, la battaglia della carta
stampata sembrava essere entrata nel vivo. Non a
caso Pio XII proclamerà san Giovanni Bosco pa-
trono degli editori cattolici.
Agli inizi del 1862 don Bosco riuscì finalmente ad
avviare il proprio progetto: nel giro di pochi anni
la tipografia dell’Oratorio immise sul mercato una
grande quantità di libri.
Nel 1876, don Bosco affiancò all’iniziativa torinese
la tipografia di Genova Sampierdarena e aprì libre-
rie in varie parti d’Italia.
Il santo imprenditore rischiava però di dover ridurre
il proprio sviluppo a causa della mancanza di carta e,
venuto a conoscenza di una piccola cartiera in ven-
dita a Mathi, a 25 chilometri da Torino, si decise ad
acquistarla. L’azienda era stata fondata da Michele
Varetto nel 1841 per la produzione di carta partendo
dagli stracci, sfruttando lo storico canale di Nole che
permetteva la creazione di energia attraverso l’acqua
derivata dal torrente Stura di Lanzo. Dopo la morte
del titolare nel 1871 la vedova, signora Clotilde Ber-
ta, non volendo dedicarsi alla gestione di un’impresa
così impegnativa con ben cinquanta dipendenti, de-
cise di metterla in vendita. L’atto rogato nel 1877 dal
regio notaio Pavesio sancì l’acquisto della struttura
composta da «fabbricati civili e locali costituenti la
cartiera stessa con giardino inglese, giardino da frut-
ta… diritti d’acque, meccanismi e utensili».
I primi due anni diedero parecchi grattacapi a don
Bosco per via della disonesta gestione dell’ammi-
nistratore laico Domenico Varetti, commerciante
genovese, con cui dovette entrare in causa per risol-
vere alcune controversie. Vista l’esperienza negativa
dal dicembre 1878, decise di affidare l’impresa ad
un gruppo dirigente di sua fiducia composto da re-
ligiosi salesiani.
Il 31 agosto 1877 don Bosco, in veste di «commer-
ciale» della sua «santa impresa», scriveva al missio-
La comunità
salesiana
della Casa
Madre in
visita alla
Cartiera di
don Bosco.
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LA NOSTRA STORIA
fana di come viene composto il libro, vedeva come
veniva fabbricata la carta, l’allestimento della stes-
sa, la preparazione del quaderno ad uso scuola, la
stampa del libro, la legatura e il buon uso che tutti
dovrebbero fare della carta, cioè la diffusione della
buona e utile stampa per il bene morale e intellet-
tuale dell’umanità».
La giuria dell’Esposizione, di orientamento anti-
clericale, assegnò alla Società Salesiana la medaglia
d’argento e don Bosco la rifiutò, considerando il
giudizio del pubblico il miglior riscontro per l’im-
pegno profuso nell’arte tipografica.
Le strutture
industriali e
produttive della
Cartiera sono
imponenti. Su
molte delle
grandi macchine
è scritto il nome
di don Bosco.
nario don Lasagna: «Mi sono messo a
fare il negoziante e ho comprato una
cartiera ad unico fine per giovare alla
buona stampa. Se pertanto i tipografi di
Montevideo (che non stampino cose ir-
religiose) vogliono della nostra carta, io
credo di poter offrire il venti per cento
di riduzione. Chi ne desidera mi mandi il prezzo e
la forma della carta e cominceremo a mandare un
saggio».
Una cartiera all’Esposizione
del 1884
L’Esposizione Generale del 1884, svoltasi a Tori-
no, diede l’opportunità a don Bosco di mostrare a
tutti l’alto livello raggiunto in campo tipografico
ed editoriale. Proprio in quei mesi era prevista la
consegna a Mathi di una nuova macchina conti-
nua ordinata alla ditta Escher-Wyss di Zurigo. Si
decise pertanto di installare temporaneamente i
macchinari presso un’apposita galleria, dove poter
esporre al pubblico l’intero processo. Il padiglione
era lungo 55 metri e largo 20 e portava la scritta:
«Don Bosco. Fabbrica di carta, Tipografia, Fonde-
ria, Legatoria e Libreria Salesiana».
Ecco il racconto del signor Crosazzo, salesiano coa­
diutore, dello spettacolo offerto ai visitatori: «En-
trando in questa galleria una persona affatto pro-
«Ndova ’t travaji? Da don Bosc»
La cartiera di Mathi fu gestita con grande capacità
dal santo e negli anni fu ingrandita e totalmente
rinnovata attraverso importanti investimenti nei
macchinari da stampa.
La mattina del 2 febbraio 1882 un tragico evento
provocò distruzione e morte all’interno dello stabi-
limento: scoppiò la caldaia a vapore per la bollitura
degli stracci e persero la vita due operai. Don Bo-
sco, che in quei giorni viaggiava nel sud della Fran-
cia, informato del fatto, aiutò le famiglie coinvolte
e sostenne gli orfani ricoverandoli presso le sue case
salesiane.
La Direzione delle Opere Salesiane stabilì subi-
to, non solo di ricostruire i fabbricati danneggiati,
ma anche di investire risorse per un ampliamento
dell’azienda.
I salesiani coadiutori che amministravano l’impre-
sa scelsero i migliori impianti dell’epoca, di produ-
zione svizzera. Come primo direttore don Bosco
scelse don Antonio Varaia, cui seguì don Carlo
Ghivarello.
Tra tutti emerge la figura del salesiano Luigi Cro-
sazzo, direttore tecnico-amministrativo della car-
tiera per oltre 35 anni; a lui si deve anche la prima
storia della cartiera salesiana, pubblicata postuma
nel 1953.
Nel 1896 i Salesiani aprirono a Balangero un im-
pianto di produzione di pasta meccanica, dal legno
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di pioppo, trasportata a Mathi con una teleferica.
Anche nel 1911 la cartiera partecipò all’Esposizio-
ne Internazionale di Torino in occasione del cin-
quantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, con
eccellenti risultati.
All’epoca si potevano distinguere due strutture: la
cartiera più antica, detta «salesiana» e quella «in-
feriore».
Nel 1905 il senatore Giacomo Bosso acquistò
la «inferiore» per la produzione di carte speciali
mentre la cartiera salesiana si consolidò nella
Società Anonima Agricola Industriale Torine-
se. La cessione totale dell’impresa alla famiglia
Bosso avvenne nel 1919 e la cartiera conseguì
negli anni una continua crescita sotto la guida
di Valentino e Giacomo, rispettivamente figlio
e nipote del senatore, anche se i Salesiani rima-
sero presenti fino agli anni Trenta. In dialetto
piemontese è rimasta l’espressione «Ndova ’t
travaji? Da don Bosc», a testimonianza di quan-
to ha inciso la presenza del santo imprenditore in
questa piccola realtà di provincia.
Nel 1963 la società finlandese Ahlstrom decise di
investire in Italia acquisendo prima il 51% delle
quote e nel giro di pochi anni l’intera proprietà.
Gli impianti vennero continuamente ampliati e
nel 2006 la macchina n. 8 arrivò a produrre fino a
120 000 tonnellate annue di carta. Due macchinari
(PM4 e PM8) attualmente in produzione sono in-
titolati a san Giovanni Bosco.
Recentemente, nel 2013, parte della Ahlstrom è
MATHI SALESIANA
“Io penso che in tutto il mondo, all’infuori di Valdocco e
Castelnuovo, non ci sia paese che abbia una parentela così
stretta con i Salesiani come la nostra” affermava il parroco
di Mathi don Secondo Burzio. “Infatti per ben 50 anni sono
state presenti contemporaneamente in Mathi tre case dei
Figli di don Bosco: la cartiera, la casa di Prima formazio-
ne per le vocazioni adulte e la casa per i salesiani; quattro
case delle Figlie di Maria Ausiliatrice: l’asilo Varetto, il con-
vitto della cartiera, il pensionato Chan-
tal, il convitto del Cotonificio Valle Susa.
Questa parentela risale in linea retta fino
al Fondatore e quindi è di primo grado!”.
Le vocazioni adulte, dirette dal giova-
ne Filippo Rinaldi rimasero dal 1883 al
1884, nella casa Chantal e poi Le prime
Figlie di Maria Ausiliatrice arrivarono a
Mathi nel 1885 per volontà dello stesso
don Bosco che, dopo aver spostato le “vo-
cazioni adulte” a Torino, nel medesimo
fabbricato rimasto libero fondò un’opera
particolare detta “Casa Chantal”, esisten-
te fino al 1967: “Non po­tendo accettare donne nelle nostre
case − racconta don Giulio Barberis, mathiese doc − don
Bosco aprì espressamente una casa a Mathi, do­ve sono
accolte e caritatevolmente trattate dalle suore di Maria Au-
siliatrice le madri rimaste sole e anche qualche sorella dei
nostri salesiani”.
Un’altra religiosa della comunità, suor Orsola Marocco, ri-
copriva il ruolo di maestra elementare del paese. Le suore
tennero inoltre una scuola di cucito e un oratorio festivo
per le fanc­ iulle.
Oggi l’Istituto Chantal è casa di riposo parrocchiale.
stata ceduta al Gruppo svedese Munksjo, leader
mondiale nel settore delle carte speciali. Ad oggi la
cartiera di Mathi impiega circa 600 persone.
La camera di don Bosco
Nella casa edificata all’interno della cartiera ancora
oggi sono custoditi gli am­bienti utilizzati dal san-
to. Un quadretto ottocentesco appeso al muro della
camera da letto così recita: “Nel venir a visitare la
Cartiera, provò la necessità di offrire ri­poso talvolta
alle stanche sue membra in questa stanza che perciò
chiamasi: camera di D. Bosco”.
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COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
Pedagogia controcorrente 2
Coraggio, parlate di Dio
Un bambino stava disegnando e l’insegnante gli disse: “È un disegno
interessante. Che cosa rappresenta?” “È un ritratto di Dio”. “Ma nessuno
sa com’è fatto Dio”. “Quando avrò finito il disegno lo sapranno tutti!”
I bambini sanno com’è fatto Dio.
Quanto tempo impieghiamo a farglielo dimenticare?
«O ggi i genitori non parlano espli-
citamente di Dio ai figli per-
ché hanno paura di passare per
matti» sostiene uno scrittore. In
real­tà più che ‘matti’, sono ‘incoscienti’. Perché non
sanno quello che perdono.
L’apprendimento religioso passa attraverso tre sta-
di. Il primo è quello che passa attraverso l’osserva-
zione e l’imitazione. Dal punto di vista teologico
e psicologico possiamo ricordare che l’immagine di
Dio rimane, nella sua pienezza e come totalità, in-
comprensibile e inafferrabile per gli uomini. Per la
nascita e lo sviluppo dell’immagine di Dio infantile
tuttavia l’influenza dei genitori è decisiva. Il rap-
porto genitori-figlio viene innanzitutto trasferito al
rapporto con Dio. Anche l’autostima del bambino
e dell’adolescente ha le proprie radici nella famiglia
e si ripercuote essenzialmente sul rapporto con Dio.
La cosa più importante per i genitori è chiarire la
propria immagine di Dio. Abbiamo la responsabi-
lità di non ingannare i nostri figli a proposito di
Dio, rivelando loro un’immagine di Dio nemica
della vita e dell’amore, danneggiandoli in questo
modo dal punto di vista psichico. I bambini hanno
bisogno di un rapporto con Dio, non di una “ideo-
logia” su Dio.
“Nascondere la conoscenza di Dio ad un ragazzo,
privarlo di questa verità, è il più grave reato che un
educatore possa commettere” (monsignor Antonio
Riboldi).
Parole che spingono i genitori controcorrente ad
impegnarsi al meglio per preparare nel figlio il ter-
reno adatto alla germinazione di Dio.
I cinque ingredienti
I genitori contro corrente sanno che Dio non na-
sce ovunque, ma ha bisogno di un terreno adatto
per germogliare. Ebbene tale terreno è buono se ha
almeno cinque ingredienti, senza i quali, parlare di
Dio, è come seminare nel marmo.
Primo ingrediente: il silenzio
Dio parla a voce bassa. Il rumore lo disturba sem-
pre. La Bibbia non lascia dubbi: Dio è il primo
alleato del silenzio. Il rumore è dispersione,
il silenzio è concentrazione. Il rumore fa
superficiali, il silenzio rende profondi!
Maria Montessori, una delle nostre mi-
gliori pedagogiste, era decisa: “È im-
possibile che in una scuola fracassona
circolino grandi idee!”.
Secondo ingrediente:
la meraviglia
“Un uomo senza stupore non è un uomo:
è un fungo!» parola di Saint-Exupéry.
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Un ragazzo senza la capacità di meravigliarsi è
un ragazzo freddo, insensibile, indifferente. Un
ragazzo decisamente incompleto!
Terzo ingrediente: la grinta
Dio è buono, misericordioso, paziente...: è tutto,
tranne che stupido. Non accetta di essere preso in
giro! Ci ha dato una vita e vuole che gliela restituia­­
mo ripiena di Bene. La cosa non sempre è facile:
sovente richiede impegno e fatica. Educare a tener
duro anche quando la vita mostra i denti è mettere
nei figli una condizione necessaria per accoglie-
re Dio, non solo, ma anche per vivere da persone
umane.
Quarto ingrediente: la gioia
È impossibile parlare di Dio, se non si tiene in
conto la felicità. Vogliamo dire che le facce da
funerale sono le meno adatte per parlare di Dio.
L’esperienza della gioia è sempre un’esperienza che
prepara ad accogliere Dio e, nello stesso tempo, è
anche sempre la premessa per partire con il piede
giusto per la vita (è il solito intreccio che ritorna!):
senza gioia non si vive, né si fa vivere.
Quinto ingrediente: l’amore
Tra tutti l’amore è l’ingrediente vertice che predi-
spone il figlio all’accoglienza di Dio.
“Dio è amore» (Prima lettera di Giovanni 4,8), dun-
que ogni gesto d’amore parla di Dio e rimanda a
Dio. Il figlio che si sente amato dai genitori, si sen-
te sfiorato da Dio; non solo, ma esperimenta anche
quella fiducia di fondo che lo fa ringraziare d’esser
nato uomo e gli permette di gustare la vita.
Un bambino chiese alla mamma: «Secondo te, Dio
esiste?».
«Sì».
«Com’è?».
La donna attirò il figlio a sé. Lo abbracciò forte e
disse: «Dio è così».
«Ho capito».
Dio è datore di senso
Ammesso Dio, si viene a sapere che vi è un filo
conduttore che lega e guida tutte le cose: c’è Uno
che scrive diritto anche su righe che a noi sembra-
no storte. Ebbene, l’uomo può vivere con il mistero
(la nostra intelligenza è come un grattacielo a cui
manca sempre l’ultimo piano), ma non può vivere
con l’assurdo: il non senso lo angoscia!
Dunque Dio, come datore di senso, diventa un
ansiolitico, uno psicofarmaco. Lo psichiatra Gia-
como Daquino non ha dubbi: “La religiosità matura
rappresenta la miglior medicina, il miglior psicofarma-
co. È infatti fonte di serenità, di equilibrio, di armonia
emotiva”. Chiarissimo: la fede in Dio sconfigge la
paura, sconfigge il mal di vivere.
Dio ci indica il giusto rapporto
che dobbiamo avere con il creato
Intanto, ammesso Dio, non si può più parlare di
‘natura’, ma di ‘creato’. Il cambio di parola non è
solo verbale, ma sostanziale. Il ‘creato’ non appar-
tiene a noi, ma al Creatore. Il ‘creato’ è un dono che
ci è stato fatto. Non possiamo ferirlo. Non possiamo
rubargli l’incanto: non ci è permesso fare del mare
un immondezzaio, non è lecito sfregiare i monti...
Se Dio ne è il Creatore, l’universo è da contemplare,
non da depredare. Se Dio è l’autore, a noi spetta il
compito di salvaguardare la creazione.
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LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
Venire alla luce
Già Platone, più di due millenni fa, diceva: «Possiamo anche
perdonare un bambino quando ha paura del buio, ma la vera
tragedia della vita è quando un uomo ha paura della luce».
Quanto può essere difficile “venire alla
luce”? Quanta fatica ci può costare usci-
re dal bozzolo forse un po’ angusto, ma
tutto sommato rassicurante della nostra
routine per “rinascere a nuova vita”?
Lo sanno bene i bambini, per i quali il travaglio ed
il parto, con l’abbandono forzato del grembo ma-
terno, rappresentano un momento di stress partico-
larmente intenso. Ma lo sanno bene anche i giovani
adulti, che spesso sperimentano con dolore la paura
della libertà e devono fare i conti con la difficoltà di
L’uomo che rimane al buio troppo a lungo
finisce per parlare con l’oscurità,
ha una mano sempre pronta per coprirsi gli occhi
quando la luce tornerà.
Da sotto le lenzuola il giorno fa paura,
ci si abitua ad ogni condizione,
anche alla prigionia.
Come il lupo chiuso in gabbia teme la sua libertà,
se la gabbia si aprirà,
e il re nel suo castello, spaventato
dal pensiero di un amore folle,
chiude fuori a chiavistello la sua prateria,
perché innamorarsi è un po’ cadere da cavallo,
e sì, che lui lo sa...
Io dico: mai più
ai miei occhi spenti,
mai più
questi gesti finti,
mai più
questa mia obbedienza.
tirarsi fuori dal buio dell’abitudine e dalla prigio-
nia del fatalismo. Tuttavia, mentre per il neonato
si tratta di un “passaggio” naturale e inevitabile, la
stessa cosa non può dirsi per l’adulto, per il quale
“venire alla luce” è sempre frutto di una scelta.
Venire alla luce significa, infatti, abbandonare la
propria comfort zone, aprirsi al mondo e lasciare
che la vita irrompa nei nostri polmoni, nei nostri
muscoli, nei nostri occhi, finanche nei pori della
nostra pelle. Significa emergere dalla penombra in
cui ci siamo rintanati per curare le ferite del cuore
e correre il rischio di lanciarci di nuovo alla scoper-
ta di quel cielo sconfinato che sinora abbiamo ap-
pena osato immaginare, limitandoci ad osservarlo
da lontano attraverso quelle poche fessure rimaste,
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quasi inavvertitamente, aperte nel muro delle no-
stre paure. Significa attraversare il nostro dolore,
accettare che ci trasformi nel profondo, per riuscire
a innamorarci ancora della vita e dare un senso rin-
novato alla nostra esistenza.
Non c’è dubbio che tutto questo rappresenti una
“rinascita”, un decisivo passo in avanti nel cammino
verso l’adultità, che ci permette di superare gli inevi-
tabili momenti di oscurità con cui ci ritroviamo spes-
so a fare i conti. Ciò nondimeno, talvolta, ci sembra
più facile adattarci a questa condizione di sospen-
sione esistenziale, abitarla a tempo indeterminato,
al punto di dimenticarci quanto fosse bello lasciarci
accarezzare dai caldi raggi del sole e assaporare il gu-
sto intrepido della libertà. È quello che accade ogni
volta che ci lasciamo sopraffare dalle delusioni, dalla
sofferenza, dalla malinconia e che, di fronte all’inca-
pacità di scorgere nel buio impenetrabile della nostra
notte interiore i tanti segni di luce che ci vengono
quotidianamente offerti da chi ci sta accanto, giun-
giamo alla conclusione paradossale che gli altri siano
un ostacolo, anziché una condizione fondamentale
per vivere un’esperienza autentica di libertà.
Ma, per quanto possa essere doloroso riabituar-
si a vivere nella luce – come quando, dopo essere
Io dico: mai più
tutti i pori aperti,
mai più
luci sempre accese,
mai più
questa confidenza...
La mano sotto il gesso sogna
il movimento delle dita
ed immagina la pelle su cui poi si poserà,
ma si sa che una frattura resta nella testa
come una ferita,
anche se il gesso se ne va.
Il prigioniero guarda in alto una fessura
per cercare il cielo
e, protetto dalle mura, sente il suono
delle bombe pochi metri in là,
e si chiede se alla fine non sia più sicuro
rimanere dentro,
quando la pace tornerà,
se ritornerà...
Mai più
ai miei occhi spenti,
mai più
questi gesti finti,
mai più
questa mia obbedienza.
Io dico: mai più
tutti i pori aperti,
mai più
luci sempre accese,
mai più
questa confidenza...
(Niccolò Fabi, L’uomo che rimane al buio, 2022)
rimasti a lungo nell’oscurità, i nostri occhi fanno
fatica ad adattarsi ad un’improvvisa situazione di
luminosità intensa – se vogliamo diventare ciò che
siamo chiamati ad essere, dobbiamo abbandonare
ogni paura e lasciare che anche le ferite che portia-
mo incise nell’anima si trasformino in altrettante
feritoie da cui il chiarore del giorno possa tornare a
fare capolino nella nostra vita. Perché, come aveva
compreso già Platone più di due millenni fa, «pos-
siamo anche perdonare un bambino quando ha paura
del buio, ma la vera tragedia della vita è quando un
uomo ha paura della luce».
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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
La nascita di un’epopea
mondiale I precedenti delle
missioni salesiane
È appena iniziato il conto alla rovescia del triennio preparatorio
al 150° delle missioni salesiane (11 novembre 2025).
Crediamo possa essere interessante raccontare ai nostri lettori
una breve storia dei precedenti e delle prime fasi di quella
che sarebbe diventata una sorta di epopea missionaria
salesiana in Patagonia. Lo facciamo in cinque puntate,
con l’aiuto di inedite fonti che ci permettono di correggere
le tante imprecisioni passate alla storia.
Sgombriamo subito il campo: si dice e si scrive
che don Bosco volesse partire per le missio-
ni tanto da seminarista, che da giovane sa-
cerdote. Non è documentato. Se studente di
17 anni (1834) fece la domanda di entrare tra i frati
Francescani Riformati del convento degli Angeli a
Chieri che avevano missioni, la richiesta, a quan-
to pare, era stata avanzata soprattutto per motivi
economici. Se dieci anni dopo (1844), al momento
di lasciar il “Convitto Ecclesiastico” in Torino, fu
tentato di entrare nella Congregazione degli Oblati
di Maria Vergine, cui erano appena state affidate
missioni in Birmania (Myanmar), è però vero che
quella missionaria, per la quale aveva forse anche
intrapreso qualche studio di lingue estere, era solo
per il giovane sacerdote Bosco una delle possibilità
di apostolato che gli si aprivano davanti. In entram-
bi i casi don Bosco seguì immediatamente il consi-
glio, prima, di don Comollo di entrare in seminario
diocesano e, dopo, di don Cafasso, di continuare a
dedicarsi ai giovani di Torino. Anche nel ventennio
1850-1870, impegnato com’era nel progettare una
continuità della sua “opera degli Oratori”, nel dare
un fondamento giuridico alla società salesiana che
stava avviando e nella formazione spirituale e pe-
dagogica dei primi salesiani, tutti giovani del suo
Oratorio, non era certo in condizione di poter dar
seguito ad eventuali aspirazioni missionarie perso-
nali o degli stessi suoi “figli”. Dell’andata sua o dei
salesiani in Patagonia neanche l’ombra, benché lo si
trovi scritto su carta o sul web.
Acuirsi della sensibilità
missionaria
Ciò non toglie che la sensibilità missionaria in don
Bosco, ridotta probabilmente a deboli spunti e vaghe
aspirazioni negli anni di formazione sacerdotale e
del primo sacerdozio, si acuì notevolmente lungo gli
anni. La lettura degli Annali della Propagazione della
Fede gli offriva infatti una buona informazione sul
mondo missionario, tanto da ricavarne episodi per
alcuni suoi libri e da lodare papa Gregorio XVI che
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incentivava l’espandersi del vangelo nei remoti ango-
li della terra ed approvava nuovi Ordini religiosi con
finalità missionarie. Notevole influenza don Bosco
poté ricevere dal canonico G. Ortalda, direttore del
Consiglio diocesano dell’Associazione di Propaganda
Fide per 30 anni (1851-1880) ed anche promotore di
“Scuole Apostoliche” (una sorta di seminario minore
per vocazioni missionarie). Nel dicembre 1857 ave-
va pure lanciato il progetto di un’Esposizione a favore
delle Missioni Cattoliche affidate ai seicento Missionari
Sardi. Don Bosco ne era informatissimo.
L’interesse missionario poté crescere in lui nel 1862
al momento della solennissima canonizzazione in
Roma dei 26 protomartiri di giapponesi e nel 1867
in occasione della beatificazione di oltre duecento
martiri giapponesi, celebrata questa con solennità
pure a Valdocco. Sempre nella città papale nel corso
dei lunghi soggiorni degli anni 1867, 1869 e 1870
poté rendersi conto di altre iniziative missionarie lo-
cali, come la fondazione del Pontificio seminario dei
santi apostoli Pietro e Paolo per le missioni straniere.
Il Piemonte con quasi il 50% dei missionari italiani
(1500 con 39 vescovi) si poneva all’avanguardia in
tale ambito e a Torino venne in visita nel novembre
1859 il francescano monsignor Luigi Ce-
lestino Spelta, Vicario Apostolico di Hu-
pei. Non visitò l’Oratorio, lo fece invece
nel dicembre 1864 don Daniele Comboni
che proprio in Torino diede alle stampe il
Piano di rigenerazione per l’Africa con l’in-
trigante progetto di evangelizzare l’Africa
attraverso gli africani.
Don Bosco ebbe uno scambio di idee con
lui, che nel 1869 tentò, senza esito, di as-
sociarlo al suo progetto e l’anno dopo lo
invitò a mandargli qualche prete e lai-
co per dirigere un istituto al Cairo e così
prepararlo alle missioni in Africa, al cui
centro contava di affidare ai Salesiani un
Vicariato apostolico. A Valdocco la richie-
sta, non accolta, fu sostituita dalla dispo-
nibilità ad accettare ragazzi da educare in
vista delle missioni. Colà però il drappello di alge-
rini raccomandati da monsignor Charles Martial
Lavigerie trovò difficoltà, per cui furono mandati a
Nizza Marittima, in Francia. La richiesta nel 1869
dello stesso arcivescovo di avere aiutanti salesiani in
un orfanotrofio di Algeri in momento di emergenza
non fu accolta. Così come dal 1868 era sospesa la pe-
tizione del missionario bresciano Giovanni Bettazzi
di mandare dei salesiani a dirigere un erigendo isti-
tuto di arti e mestieri, nonché un piccolo seminario
minore, nella diocesi di Savannah (Georgia, usa).
Le proposte altrui, tanto di direzione di opere edu-
cative in “territori di missione”, quanto di diretta
azione in partibus infidelium, potevano essere anche
appetibili, ma don Bosco non avrebbe mai rinun-
ciato né alla sua piena libertà di azione – che forse
vedeva compromessa nelle proposte altrui pervenu-
tegli – né soprattutto al suo peculiare lavoro con i
giovani, per i quali al momento era impegnatissimo
a sviluppare la società salesiana appena approvata
(1869) oltre i confini torinesi e piemontesi. Insom-
ma fino al 1870 don Bosco, pur teoricamente sen-
sibile alle necessità missionarie, coltivava altri pro-
getti in sede nazionale.
(Continua)
FEBBRAIO 2023
39

4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni  postulatore generale
 Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulatore@sdb.org
 Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di febbraio preghiamo per la canonizzazione
del Beato Luigi Variara, salesiano di Don Bosco, di cui ricorre
il centenario della morte.
Luigi Variara (Viarigi, Asti, 15
gennaio 1875 – Cúcuta, Colom-
bia, 1° febbraio 1923), entrò
nell’oratorio di Valdocco (Tori-
no), quattro mesi prima della
morte di don Bosco. Nel 1891
iniziò il noviziato, che conclu-
se con la professione religiosa
emessa nelle mani del beato
Michele Rua. Nel 1894 don
Michele Unia, missionario dei
lebbrosi ad Agua de Dios, in
Colombia, lo invitò a seguirlo.
Venne ordinato sacerdote a
Bogotà nel 1898. Animato da
profonda compassione evange-
lica, trasformò Agua de Dios da
luogo di sofferenza a città della
gioia. Fondò la Congregazione
delle Figlie dei Sacri Cuori di
Gesù e di Maria, dove accolse
come religiose anche giovani
lebbrose. Quando, a causa di
incomprensioni, fu allontanato
dalla sua opera, accettò la pro-
va con esemplare obbedienza.
San Giovanni Paolo II lo beatifi-
cò il 14 aprile 2002.
Preghiera al Beato Luigi Variara
O Signore, che nel Beato Luigi Variara,
ci hai donato un mirabile esempio di dedizione ai sofferenti
e di silenziosa sottomissione al tuo volere,
dona anche a noi amabilità nel servire,
coraggio nel preferire i più bisognosi
e fortezza nel vincere le difficoltà.
Per sua intercessione
donaci la grazia che con fede noi ti chiediamo.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
CRONACA DELLA POSTULAZIONE
Il 14 dicembre 2022 il Dicastero delle Cause dei Santi
nel suo Congresso ordinario ha dato la validità giuridica
all’inchiesta diocesana per la Causa di Beatificazione e
Canonizzazione della Serva di Dio Vera Grita (1923-1969),
Laica, Salesiana cooperatrice.
Ringraziano
Lo scorso anno, in questo pe-
riodo, ho ordinato l’abitino
di san Domenico Savio per
chiedere la grazia di un bam-
bino. La mia situazione non
era favorevole: 44 anni, avevo
già perso due bambini, i me-
dici mi consigliavano solo la
fecondazione eterologa come
possibilità di diventare madre.
Appena ho ricevuto l’abitino
l’ho tenuto sempre addosso,
e ho fatto ogni giorno la pre-
ghiera per ottenere la grazia di
una gravidanza con la certezza
che se Dio avesse voluto nulla
sarebbe stato impossibile. Due
mesi dopo circa, nel febbraio di
quest’anno rimango incinta e
il 3 novembre è nata Clarissa.
Una vera e propria grazia anche
a detta dei medici.
Giulia Boschi
Sento il dovere di ringraziare
la beata Laura Vicuña per la
sua intercessione in favore di
mia sorella Sara. Era incinta di
sette mesi e malata di piastri-
nopenia autoimmune (ITP),
una malattia caratterizzata
dalla drastica riduzione del
numero di piastrine circolanti
a causa della loro distruzione
e della soppressione della pro-
duzione. La sua malattia peg-
giorava giorno dopo giorno.
Eravamo molto preoccupati
perché era ormai sul punto di
morte. I dottori non sapevano
che cosa fare. Eravamo di-
sperati. In comunità il nostro
direttore suggerì di iniziare
a pregare con l’intercessione
della bea­ta Laura Vicuña. Ini-
ziammo una semplice novena.
Nel frattempo, avevo chiama-
to il parroco perché le portasse
l’Eucarestia e le somministras-
se il sacramento degli infermi.
Sara cominciò subito a miglio-
rare. L’emorragia si fermò e lei
cominciò a stare sempre me-
glio. Un’immaginetta di Laura
Vicuña le era stata portata e
messa sotto il suo cuscino. Io
e mia sorella siamo convinti
che il miracolo è avvenuto
grazie all’intercessione della
beata Laura Vicuña, che perciò
vogliamo ringraziare di tutto
cuore. Sara adesso è a casa e
sta bene.
Desta Yohannes, Salesiano
coadiutore dell’Etiopia
Dopo due aborti spontanei an-
che la terza gravidanza di mia
figlia stava presentando seri
problemi. Alla vigilia di Natale,
durante i consueti scambi di
auguri, un’amica suora salesia-
na ci parlò di san Domenico
Savio, il Santo delle mamme e
delle culle. Ci procurò l’abitino
e le preghiere con cui affidarci
alla sua protezione. La gravi-
danza continuava, ma sempre
con nuovi problemi. Due visite
importanti furono fissate, dal
centro gravidanze a rischio, il 9
marzo e il 6 maggio giorni di fe-
sta del Santo. Questo contribuì
a farci sentire vicina la presenza
di san Domenico. Edoardo è
nato perfettamente sano do-
menica 11 luglio 2021. Ringra-
ziamo san Domenico Savio per
esserci stato vicino e aver pre-
gato con noi il Signore che ci ha
donato una gioia immensa.
Edoardo Alessandra Vianelli
(Padova)
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FEBBRAIO 2023

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO E` BENEDIZIONE
Noticias Canção Nova
Monsignor Jonas Abib
Fondatore di Canção Nova, morto a Cachoeira
Paulista, a 85 anni
La Comunità di Canção Nova,
il 25° gruppo della Famiglia
Salesiana, ha annunciato la
scomparsa del suo fondatore,
monsignor Jonas Abib, di 85
anni, deceduto nella sua casa
di Cachoeira Paulista, nello
Stato di San Paolo, lunedì 12
dicembre, festa della Madonna
di Guadalupe, alle 22:14 locali.
Monsignor Abib è stato uno dei
religiosi che più si sono distin-
ti nell’azione evangelizzatrice
della Chiesa Cattolica in Ame-
rica Latina, utilizzando i media
e organizzando grandi eventi di
evangelizzazione.
Monsignor Abib da maggio
2021 era sottoposto a un trat-
tamento chemioterapico per un
mieloma multiplo ed è spirato
per un’insufficienza respiratoria.
Oltre ad essere stato il fondatore
della Comunità di Canção Nova,
monsignor Abib è stato Presi-
dente della Fondazione Giovan-
ni Paolo II, ente capogruppo
del Sistema di Comunicazione
Canção Nova e della Rete di
Sviluppo Sociale Canção Nova,
nonché Rettore del Santuario
del Padre delle Misericordie a
Cachoeira Paulista.
Predicatore, musicista, scrit-
tore e redattore per il portale
e la rivista “Canção Nova”, ha
ricoperto la carica di Vicepresi-
dente del Direttorio esecutivo
della Fraternità Cattolica Inter-
nazionale, organo collegato al
Pontificio Consiglio per i Laici
della Santa Sede, a Roma, ed
è stato uno dei membri del
Consiglio Nazionale del Rinno-
vamento Carismatico Cattolico
in Brasile (RCC).
Noto omelista e punto di rife-
rimento per la musica catto-
lica, Jonas Abib era nato il 21
dicembre 1936, nella città di
Elias Fausto, Stato di San Paolo,
da Sérgio Abib, di origine siro-
libanese, e Josepha Pacheco
Abib, di origine italiana.
All’età di 12 anni si trasferì a
Lavrinhas per iniziare gli studi
nella Congregazione Salesiana.
Studiò Filosofia presso l’Istituto
Salesiano di Filosofia e Pedago-
gia di Lorena e Teologia presso
l’Istituto Teologico Salesiano
“Pio XI” di San Paolo. Venne
ordinato sacerdote nel 1964,
scegliendo come suo motto
“Ho fatto tutto per tutti”.
Iniziò il suo lavoro con i giovani
promuovendo incontri e ritiri
per ragazzi e ragazze di San Pao-
lo; e dopo aver aderito al Rinno-
vamento Carismatico Cattolico,
nel 1971, si impegnò ancora di
più nel lavoro con i giovani.
Il 2 febbraio 1978 fondò la Co-
munità Canção Nova, con la
missione di evangelizzare co-
municando Gesù e la vita nuova
che è venuto a portare, attraver-
so incontri e mezzi di comuni-
cazione sociale. Due anni dopo
inaugurò “Rádio Canção Nova”,
a Cachoeira Paulista (SP), e nel
1989 “TV Canção Nova”.
Nel 2002, monsignor Jonas
Abib ebbe modo di incontrare
papa Giovanni Paolo II, un in-
contro che rappresentò per lui
la conferma della sua missione.
Nel 2006 ricevette dalla Confe-
renza Episcopale Cattolica Bra-
siliana il “Premio Santa Clara”
per il documentario sul Conci-
lio Vaticano II, prodotto da TV
Canção Nova.
All’età di 70 anni fece regi-
strare il DVD “Como é linda a
nossa família” (Com’è bella la
nostra famiglia), contenente
lo spettacolo tenutosi presso il
teatro dell’Academia Militare
“Agulhas Negras”, a Resende,
ed uscito il 2 febbraio 2008 in
occasione dei 30 anni della Co-
munità. Era un’opera che racco-
glieva alcuni dei brani simbolo
del percorso della comunità
nella musica cattolica.
Il 17 ottobre 2007 ricevette dal
Vaticano il titolo di “monsigno-
re”, su richiesta di monsignor
Benedito Beni dos Santos,
allora vescovo della diocesi di
Lorena (SP), nel cui territorio
Canção Nova ha la sua sede. Si
trattò di un riconoscimento ai
rilevanti servizi da lui resi alla
Chiesa e al popolo di Dio.
Nel gennaio 2010 poté celebra-
re l’ammissione di Canção Nova
nella Famiglia Salesiana, appro-
vata dal Consiglio Generale dei
Salesiani a Roma. Il riconosci-
mento pontificio definitivo del-
la comunità cattolica ha avuto
luogo il 29 giugno 2014, nella
solennità di San Pietro e San
Paolo. Nello stesso anno, nella
sede di Canção Nova si è tenuta
la cerimonia di dedicazione del
Santuario del Padre delle Mise-
ricordie e si è celebrato anche il
50° anniversario di sacerdozio
di monsignor Jonas Abib.
Un altro titolo che ricevette fu
quello di Dottore Honoris Cau-
sa in Comunicazione Pastorale,
conferitogli dal Centro Uni-
versitario Cattolico Salesiano
Auxilium – Uni Salesiano, il 31
marzo 2017.
Con tutta la sua vita monsignor
Jonas Abib ha insegnato che la
santità è un’urgenza e si è speso
fino all’ultimo istante per vivere
nell’ottica “O santi o niente”;
e durante l’esercizio del suo
ministero sacerdotale ha dato
“sangue, sudore e lacrime” per
la salvezza delle anime.
È scritto nella conclusione del
comunicato inviato per questa
circostanza da Canção Nova:
“L’intero corpo di Canção Nova
si stringe in questo momento
di dolore per la perdita del suo
padre spirituale, il grande cre-
atore di quest’Opera che oggi
conta più di 1300 membri spar-
si in tutto il Brasile e all’estero.
Allo stesso tempo, con cuore
contrito e addolorato, la Co-
munità e tutti coloro che fanno
parte della famiglia di Canção
Nova riaffermano la loro spe-
ranza nella Risurrezione (…).
Canção Nova è grata per l’af-
fetto e le condoglianze per la
perdita del caro monsignor Jo-
nas Abib e si impegnerà ancora
di più affinché i suoi preziosi
e innumerevoli insegnamenti
possano raggiungere sempre
più persone, affinché possa-
no sperimentare un incontro
personale con Gesù, così come
egli fece e non si stancò mai di
testimoniare”.
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41

5.2 Page 42

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IL CRUCIPUZZLE
Roberto Desiderati
Scoprendo don Bosco
Parole di 3 lettere: Ade, Est, Nei.
Parole di 4 lettere: Graz, Teda,
Vago.
Parole di 5 lettere: Carta, Colto,
Ecciù, Ionia, Label, Malot, Notte,
Pinup, Radar, Totip, Tucul.
Parole di 6 lettere: Alacre, Bipede,
Iridio, Ninfei, Orrido, Oscuro, Patton.
Parole di 7 lettere: Macadam,
Ostello.
Parole di 8 lettere: Canonica.
Inserite nello schema le parole elencate a fianco, scrivendole da sinistra a destra e/o dall’alto
in basso, compatibilmente con le lunghezze e gli incroci. A gioco ultimato risulteranno nelle
caselle gialle le parole contrassegnate dalle tre X nel testo. La soluzione nel prossimo numero.
? Parole di 9 lettere: Anacoreta,
Barilotti.
Parole di 10 lettere: Ecosistema,
Salottiero.
?
La soluzione nel prossimo numero.
Parole di 11 lettere: Sebastopoli.
MISSIONE SOLIDARIETÀ
La Congregazione salesiana, attraverso le sue organizzazioni benefiche, ha creato una grande cate-
na di solidarietà per accogliere l’appello della XXX e dei confratelli rimasti nel Paese e sta gestendo
gli aiuti a sostegno dei rifugiati nelle case salesiane. In questa grave emergenza tutti e cinque gli
enti salesiani attivi nella solidarietà internazionale hanno deciso di fare rete e unire le forze: Mis-
sioni Don Bosco insieme alla Fondazione Don Bosco nel Mondo di Roma, la Fondazione Opera Don
Bosco onlus di Milano, la Fondazione Opera Don Bosco nel Mondo di Lugano e la ong VIS di Roma si stanno
coordinando per canalizzare gli aiuti alle comunità salesiane presenti a Kiev, Leopoli, Zhytomyr, Dnipro, Odes-
sa, Przemyślanya, Bóbrka e Korosteszów; oltre che in tutti i Paesi confinanti, dove i salesiani sono presenti da
anni con decine di missioni, come la Polonia, la Moldavia, l’Ungheria, la Romania e la Slovacchia. Padre Daniel
Antúnez, presidente di Missioni Don Bosco, appena entrato in quella regione devastata, così ha riportato: “Ho
visto con i miei occhi code interminabili di auto. Tutte in fila alla frontiera, tutte in fuga, tutte dirette verso la
pace, mentre io percorrevo una strada vuota verso la guerra. Intere famiglie che cercano in tutti i modi di oltre-
passare il confine, anche se gli uomini poi tornano indietro”. Don Ángel
Soluzione del numero precedente
Fernández Artime, il Rettor Maggiore dei salesiani, in una lettera aperta
rivolta a tutti, confratelli e non, rimarca il bisogno di medicine, in parti-
colare per curare le ferite e per fermare le emorragie, lacci emostatici,
antidolorifici, stecche, bende. È un grido di aiuto dei salesiani in Ucraina,
tutti rimasti nel Paese accanto alla popolazione civile per soccorrere, di-
stribuire cibo e trasportare gli sfollati e le persone più fragili in zone del
Paese meno esposte ai bombardamenti o all’estero.
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5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.Disegno di Fabrizio Zubani
Il falco pigro
U n grande re ricevette in omaggio due
pulcini di falco e si affrettò a conse-
gnarli al Maestro di Falconeria perché
li addestrasse. Dopo qualche mese, il maestro
comunicò al re che uno dei due falchi era
perfettamente addestrato.
«E l’altro?» chiese il re.
«Mi dispiace, sire, ma l’altro falco si comporta
stranamente; forse è stato colpito da una
malattia rara, che non siamo in grado di
curare. Nessuno riesce a smuoverlo dal ramo
dell’albero su cui è stato posato il primo giorno.
?
Un inserviente deve arrampicarsi ogni giorno
per portargli il cibo».
Il re convocò veterinari e guaritori ed esperti di
ogni tipo, ma nessuno riuscì a far volare il falco.
Incaricò del compito i membri della corte, i
generali, i consiglieri più saggi, ma nessuno
poté schiodare il falco dal suo ramo.
Dalla finestra del suo appartamento, il monar-
ca poteva vedere il falco immobile sull’albero,
giorno e notte.
Un giorno fece proclamare un editto in cui chie-
deva ai suoi sudditi un aiuto per il problema.
Il mattino seguente, il re spalancò la finestra
e, con grande stupore, vide il falco che volava
superbamente tra gli alberi del giardino.
«Portatemi l’autore di questo miracolo» ordinò.
Poco dopo gli presentarono un giovane conta-
dino.
«Tu hai fatto volare il falco? Come hai fatto?
Sei un mago, per caso?» gli chiese il re.
Intimidito e felice, il giovane spiegò:
«Non è stato difficile, maestà. Io ho
semplicemente tagliato il ramo. Il falco si è
reso conto di avere le ali ed ha incominciato a
volare».
Talvolta, Dio permette a qualcuno
di tagliare il ramo a cui siamo
tenacemente attaccati, affinché ci
rendiamo conto di avere le ali.
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5.4 Page 44

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Poligono Industrial
Don Bosco
di San Salvador
Fondato al posto di una
discarica, offre strutture
per l’educazione integrale,
l’istruzione, la formazione
tecnico-professionale e il
lavoro di bambini e ragazzi
i cui diritti umani vengono
costantemente violati
Scopri di più a pagina 6
di questo numero oppure
su www.donbosconelmondo.org