Bollettino_Salesiano_201304

Bollettino_Salesiano_201304

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IL
APRILE
2013
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
La lente
Successe poco a
poco. Don Bosco
cominciò a sbat-
tere le palpebre
sempre più spes-
so e a stropicciarsi
gli occhi sovente con un gesto
meccanico. Sin da giovane, soffri-
va di bruciore agli occhi a causa delle lunghe
veglie e del continuo leggere e scrivere al lume
della candela o della lampada ad olio.
Due volte, un fulmine lo sfiorò. Nel 1840, nel
Seminario di Chieri, mentre stava alla finestra
ad osservare il cielo minaccioso, cadde un ful-
mine sul parapetto e alcuni mattoni, divelti dal
muro, lo colpirono allo stomaco gettandolo a
terra svenuto. Anni dopo, a Sant’Ignazio sopra
Lanzo dove partecipava agli Esercizi Spiritua-
li, un fulmine si scaricò ai suoi piedi. Rimase
incolume, ma buscò un male agli occhi che si
rinnovò spesso, mentre l’occhio destro rimase
difettoso per sempre.
Un giorno scoprì che il suo occhio destro a
malapena distingueva le lettere che aveva scritto
con la sua rapida calligrafia nervosa. Cominciò
ad aumentare la dimensione della scrittura che
però divenne confusa ed incerta.
Il segreto che cercava di tenere nascosto finì
sulla bocca di tutti. E così don Bosco fu costret-
to a farsi visitare da un oculista. La diagnosi fu
esplicita: divieto assoluto di leggere e scrivere
dopo il tramonto.
Una sentenza terribile per don Bosco. Scrivere
era per lui un gran mezzo per diffondere il bene.
E aveva ancora tante cose da comunicare alla
La storia
Riportano le Memorie Biografiche (Volume XIII, 766):
«Nel 1878 sul finire dell’autunno, quando, accorciatesi
le giornate, lavorava lunghe ore al lume della lucerna,
questo male all’occhio destro crebbe talmente, che in
dicembre da quello non ci vedeva più nulla. Lo visitò
ripetutamente il Reimon, specialista di grido in
oftalmia, e dichiarò che anche l’occhio si-
nistro già indebolito rischiava di offu-
scarsi fra breve; quindi gli prescrisse
di non più leggere né scrivere dopo il
tramonto del sole».
gente e ai suoi ragazzi! Don Bosco
stesso dichiarava: «È vero. Con un
occhio vedo meno che con due. Tut-
tavia spero che il Signore mi conserverà
quest’uno perché altrimenti non potrei
più lavorare. Oh! Il Signore saprà bene
aggiustare in qualche modo le cose».
Difatti arrivai io. Sonnecchia-
vo nella vetrina di un ottico di
Torino. Ero una magnifica lente
d’ingrandimento. Il mio corpo
di cristallo era incastonato in
un’elegante cornice di legno
che terminava in un manico ben tornito. Il mio
mestiere consisteva nel trasformare le cose da
piccole in grandi. Quando don Bosco mi vide mi
acquistò subito.
Mi mise nella tasca della tonaca e, appena arriva-
to nella sua stanza, prese un libro dallo scaffale e
mi avvicinò alla pagina e… io feci uno splendido
lavoro. Restituii agli occhi di don Bosco la gioia
di leggere senza fatica. Da quel momento divenni
la compagna fedele del tavolo e dei viaggi di don
Bosco. Grazie a me don Bosco poté leggere fino
alla fine dei suoi giorni terreni.
Ricordo con nostalgia le pagine della Storia Sacra
o le tante lettere scritte con affetto ai ragazzi e
ai benefattori. Per dieci anni ho collaborato con
don Bosco a scrivere libri che aiutavano i giovani
a crescere. Era la vocazione di tutti e due: far
diventare grande ciò che era piccolo.
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Messaggio ai Salesiani
IL
APRILE
2013
e membri tutti della Famiglia Salesiana
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
In occasione della nomina di Papa Francesco, il
Rettor Maggiore dei Salesiani, Don Pascual Chávez
Villanueva, trasmette alla Congregazione e alla Fami-
glia Salesiana un nuovo messaggio, che conferma il
grande legame dei figli di Don Bosco con il Succes-
sore di Pietro.
Ho avuto la grazia di essere stato in Piazza San Pietro
gremita di migliaia e migliaia di persone, particolarmente
giovani, nel momento in cui abbiamo sentito il messaggio
tanto atteso:
“Annuntio vobis gaudium magnum;
habemus Papam:
Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum,
Dominum Georgium Marium
Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalem Bergoglio
qui sibi nomen imposuit FRANCISCUM”.
Anche se non era menzionato tra i “papabili”, e questo
in un primo tempo ha causato una certa perplessità in
coloro che non lo conoscevano, l’accoglienza del Nuovo
Successore di Pietro non si fece attendere e la risposta fu
un lungo applauso, espressione di una grande gioia, ac-
compagnata dalle prime acclamazioni: Francesco, Fran-
cesco, Francesco...
Ancora una volta, è stato lo Spirito Santo a guidare i Car-
dinali nell’elezione dell’Uomo che Dio stesso aveva scelto
come Vicario di Cristo.
Assieme a tutti voi, cari fratelli e sorelle, membri tutti della
Famiglia Salesiana, e giovani, rendo lode e grazie al Si-
gnore per il grandissimo dono che ci ha fatto nella perso-
na del Card. Jorge Mario Bergoglio, Gesuita, Arcivescovo
di Buenos Aires, che ho avuto
la grazia di conoscere e tratta-
re con lui personalmente nella
Conferenza Generale dell’Epi-
scopato Latinoamericano ad
Aparecida e, posteriormente,
in occasione della Beatifica-
zione di Zeffirino Namuncurà.
APA RANCESCO
La scelta del nome, France-
sco, è significativa perché in
certo modo raccoglie alcuni dei tratti più caratteristici APRILE 2013
della sua persona – la semplicità, la povertà, l’autenti- ANNO CXXXVII
cità – e, al tempo stesso, diventa programmatica perché
evidenzia degli elementi che oggi devono definire il volto
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della Chiesa e il suo rapporto con il Mondo.
Prima di impartire la sua prima benedizione come Pon-
tefice, Egli ha chiesto a noi di benedirLo. In un profondo
silenzio ciascuno dal fondo del proprio cuore lo ha fatto,
lasciandosi guidare dallo Spirito. Ora io vi invito ad invo-
care su di Lui l’abbondanza dei doni dello Spirito, affinché
abbia la Luce per discernere ciò che il Signore si attende
dalla Sua Chiesa oggi e trovi l’energia per attuarlo.
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
Con spirito di fede e grande stima e devozione accoglia-
mo Papa Francesco, come lo avrebbe fatto don Bosco,
e, mentre lo affidiamo alla cura e guida materna di Maria
Ausiliatrice, gli assicuriamo il nostro affetto, la nostra ob-
bedienza e la nostra più sincera e decisa collaborazione
in questo tempo di nuova evangelizzazione.
don Pascual Chávez V., SDB - Rettor Maggiore
Il BOLLETTINO SALESIANO si
stampa nel mondo in 57 edizioni,
29 lingue diverse e raggiunge 131
Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
Tel./Fax 06.65612643
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web: http://biesseonline.sdb.org
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Mauro Anselmo,
Francis Alencherry, Pierluigi Cameroni,
Roberto Desiderati, Cesare Lo Monaco,
Ettore Guerra, Natale Maffioli, Alessandra
Mastrodonato, O. Pori Mecoi, Jean François
Meurs, Francesco Motto, Marianna Pacucci,
José J. Gomez Palacios, Pino Pellegrino,
Luigi Zonta, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Luciano Alloisio (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
Via della Pisana 1111 - 00163 Roma
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del 16.2.1949
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Periodica Italiana

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DON BOSCO EDUCATORE
PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA
Don Bosco racconta
Tocca ai CATTIVI
tremare dinanzi
ai BUONI e non
ai buoni tremare
dinanzi ai cattivi
E ro un ragazzino vivace e attento che, con
il permesso della mamma, andavo nelle
varie sagre paesane ove si presentavano
i saltimbanchi e i prestigiatori. Mi met-
tevo sempre in prima fila, gli occhi fissi
sui loro movimenti con cui cercavano di
distrarre gli spettatori. A poco a poco riuscivo a
scoprire i loro trucchi; arrivato a casa li ripete-
vo per ore e ore. Ma spesso le mosse non pro-
ducevano l’effetto desiderato. Non è stato facile
camminare su quella benedetta corda sottesa tra
due alberi? Quanti capitomboli, quante ginoc-
chia sbucciate! E quante volte mi veniva voglia
di buttare tutto all’aria… Poi riprendevo, sudato,
stanco, a volte anche deluso. Poi, un po’ alla volta,
riuscivo a equilibrarmi; sentivo la pianta dei piedi
scalzi aderire alla corda; diventava un tutt’uno con
i passi e allora mi sbizzarrivo contento a ripetere e
a inventare altri movimenti. Ecco perché, quando
parlavo ai ragazzi, dicevo loro: “Teniamoci alle cose
facili, ma facciamole con perseveranza”. Ecco: la mia
pedagogia terra-terra, frutto di tante vittorie e al-
trettante sconfitte, con quella testardaggine che
era una mia caratteristica più marcata.
Così è nato il mio stile di educare, senza parolo-
ni difficili, senza grandi schemi ideologici, senza
rimandi a tanti autori illustri. Così è nata la mia
pedagogia: imparata sui prati dei Becchi, più tar-
di per le strade di Chieri, più tardi ancora nelle
carceri, nelle piazze, nei vicoli di Valdocco. Una
pedagogia costruita in un cortile.
Coraggio lo dimostrai alcuni anni dopo quando,
giunto a Chieri per continuare gli studi, fui accol-
to dall’insegnante, davanti a tutta la scolaresca,
con una frase per nulla entusiasmante: “Questo ra-
gazzo o è una grossa talpa o un gran talento”. C’era
da sentirsi impacciati all’estremo; ricordo che me
la cavai con queste parole: “Qualcosa di mezzo, si-
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gnore: sono un povero giovane che desidera fare il suo
dovere e progredire negli studi”.
Poi c’era quel benedetto sogno fatto quando avevo
9-10 anni (sogno che si era ripetuto altre volte an-
cora!) che mi martellava e il desiderio di diventare
prete per i ragazzi diventava sempre più forte…
E allora feci una cosa che non mi andava proprio
a genio, anzi ottenni dal mio carattere una stu-
penda vittoria, una vera conquista; cioè, tendere
la mano per chiedere un aiuto, un qualcosa pur
di realizzare il mio sogno. Confesserò più tardi a
qualche salesiano: “Tu non sai quanto mi sia costa-
to chiedere l’elemosina”. Con il mio temperamento
orgoglioso, non era certo facile arrivare all’umiltà
di dover chiedere. Il mio coraggio era alimentato
da una grande fiducia nella Provvidenza; e anche
questo l’avevo imparato da mia madre. Alla sua
scuola avevo imparato una regola che mi guida-
va ovunque: “Quando incontro una difficoltà, faccio
come chi trova la strada sbarrata da un grosso maci-
gno; se non posso toglierlo, ci giro attorno”.
E ti assicuro: di grossi macigni ne trovai molti sul
mio cammino. Te ne accenno brevemente alcuni.
Il 1860, per esempio, fu un anno tipicamente
difficile. Era morto don Cafasso, il mio amico,
confessore e direttore spirituale: quanto mi
mancavano la sua presenza, il suo consiglio e
anche il suo aiuto economico.
Poi, da parte del governo, sopraggiunse-
ro gravi difficoltà, autentici “macigni”:
perquisizioni mirate e devastanti a
Valdocco, come se fossi un delin-
quente! I miei ragazzi vivevano nel
terrore, mentre guardie armate en-
travano in ogni dove. Le perquisi-
zioni continuavano creando un cli-
ma di paura e di incertezza. Chiesi
per iscritto udienza al ministro degli
Interni Luigi Farini. Ebbi il fegato
di dirgli con umile fermezza: “Per
i miei ragazzi esigo giustizia e ripara-
zione di onore affinché loro non venga
a mancare il pane della vita”. So che rischiavo grosso
perché questi uomini di governo erano anticlerica-
li, ma non mi mancò il coraggio necessario. E così
a poco a poco le perquisizioni cessarono.
Non mi diedi mai per vinto! Dicevo ai ragazzi: “Il
coraggio dei cattivi non è fatto che dalla paura degli
altri. Siate coraggiosi e vedrete abbassare le ali”. Una
benefattrice francese mi aveva inviato da Lione
un’immaginetta con una frase che non avevo mai
scordato perché mi serviva da guida: “Sii con Dio
come il passerotto che sente tremare il ramo eppure
continua a cantare, sapendo di aver le ali”. Non era
solo un’espressione poetica, ma un atto di corag-
giosa fiducia nella Provvidenza del Signore, per-
ché solo Lui “è il padrone dei nostri cuori”.
Al momento di partire per le vacanze, ero solito
parlare così ai miei ragazzi: “Date gloria a Dio con
la vostra condotta, consolazione ai vostri parenti e
ai vostri superiori. Altrimenti un giovane poltrone,
indisciplinato, sarà un giovane disgraziato, sarà un
giovane di peso ai suoi genitori, di peso ai suoi supe-
riori, sarà di peso a se stesso”.
Da Valdocco sarebbero usciti i futuri “buoni cit-
tadini e onesti cristiani” di cui il mondo
aveva tanto bisogno.
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LA POSTA
I NOSTRI ESPERTI RISPONDONO
Inferno con fiamme,
diavoli e forconi?
Sono un exallievo che ha ormai
passato “gli anta” ma portati bril-
lantemente bene. Il quesito che vo-
glio proporvi è questo: nelle nostre
preghiere quotidiane si dice sempre
“Liberaci dal fuoco dell’inferno,
ecc.”. Ho potuto constatare da parte
di molte persone, anche in famiglia,
che le “fiamme” vengono parago-
nate a quelle autentiche di “fratello
fuoco” che ci è stato vicino fin dalla
creazione del mondo da quello che
è bene (cottura cibi, riscaldamento,
uso sul lavoro, ecc.) a quello che ha
distrutto case, boschi, ed altro. A
mio parere il purgatorio e l’inferno
non sono fatti di questi elementi
naturali, ma di quel “fuoco” che a
volte desideriamo perché sia il Si-
gnore vicino a noi su questa terra
per liberarci dai mali che quotidia-
namente ci affIiggono. E sono tanti.
Specie in questi momenti di crisi,
soprattutto spirituali.
Da una notissima Radio Cattolica
si è parlato diverse volte, che tre
veggenti, scoperchiatosi improv-
visamente il tetto, sono stati rapiti
dalla Madonna anima e corpo e
portati personalmente a vedere
questi luoghi. Paradiso: persone
che vestivano abiti bianchi, che in
mezzo a dolci musiche passeggia-
no su nuvole viaggianti. Purgato-
rio: persone che si lamentano con
urla indescrivibili con la cupa di-
sperazione che non si è mai vista
su questa terra. Inferno: diavoli
pelosi, cornuti, con forconi, luogo
terrificante, i dannati urlano sa-
pendo ormai di non avere più vie
d’uscita. Nemmeno Dante ebbe ad
esprimersi così.
Da trentun anni si diffondono cose
così. Non lo nascondo, io rimango
sempre ancorato al Vangelo e a don
Bosco. Dato che tra noi e “loro” non
c’è comunicazione e, a quanto risul-
ta, nessuno ha visto di persona que-
sti tre luoghi. Gesù ha detto: «Che il
vostro cuore non sia turbato». Tutto
il Vangelo è un messaggio di pace.
Qual è la vostra risposta?
Marcello Pettinato
Exallievo, Milano
Quando Gesù cominciò
a predicare, l’originalità
del suo messaggio con-
sisteva nel fatto che nei
suoi discorsi egli parlava
esclusivamente di sal-
vezza, non di “salvezza e dannazio-
ne”. Per questo motivo egli chiamò
il suo messaggio con l’espressio-
ne “Buona Novella”.
Per rendercene conto è sufficiente
confrontare una frase sua con una di
Giovanni Battista. Mentre Giovanni
annunciava: “Convertitevi perché il
regno dei cieli è vicino!” e poi: “Già
la scure è posta alla radice degli al-
beri: ogni albero che non produce
frutti buoni viene tagliato e gettato
nel fuoco” (Mt 3,2.10), Gesù dice-
va semplicemente: “Convertitevi
perché il regno dei cieli è vicino!”
(Mt 4,17).
Notiamo la stessa cosa allorquando
Gesù si recò a predicare nella sina-
goga di Nazaret: egli lesse un lungo
OGNI MESE
DON BOSCO
A CASA TUA
Il Bollettino Salesiano vie-
ne inviato gratuitamente a
chi ne fa richiesta.
Dal 1877 è un dono di don
Bosco a chi segue con sim-
patia il lavoro salesiano tra
i giovani e le missioni.
Diffondetelo tra i parenti e
gli amici. Comunicate su-
bito il cambio di indirizzo.
brano tratto dal Profeta Isaia ma,
giunto all’ultima parte dove l’Autore
sacro annuncia “un giorno di ven-
detta” contro il popolo malvagio,
Gesù si fermò e non proseguì nella
lettura del rotolo. L’evangelista Luca
commenta che tutti rimasero ammi-
rati per le parole piene “di grazia che
uscivano dalla sua bocca”.
Le parabole di Gesù, proposte per
una riflessione seria ed approfondi-
ta sul perdono (ad esempio quella
del figlio prodigo, quella del fariseo
e del pubblicano, oppure ancora
quella della pecora smarrita), e il
suo atteggiamento di misericordia
verso i peccatori più disprezzati
dalla gente che si riteneva “per-
bene” (vedi l’adultera, la prostituta,
l‘esattore delle tasse, ecc.) dimo-
strano fino a qual punto la salvezza
fosse l’unico oggetto della sua pre-
dicazione e l’unico obiettivo del suo
ministero. Gesù dice chiaramente a
Nicodemo: “Dio non ha mandato
il Figlio nel mondo per giudicare il
mondo, ma perché il mondo si salvi
per mezzo di lui” (Gv 3,17) e anche
ai capi di Israele: “Non sono venuto
per condannare il mondo, ma per
salvare il mondo” (Gv 12,47).
Tuttavia, in taluni suoi insegnamen-
ti Gesù ammette la possibilità che
esista effettivamente una condan-
na eterna. Egli lo fa, per esempio,
quando parla di “perdere la vita”
(Mc 8,35), di “far perire l’anima e il
corpo” (Mt 10,28), di “non essere
conosciuti” (Mt 7,23), di “essere al-
lontanati” (Mt 7,23), di “essere cac-
ciati fuori” (Lc 13,28). Con queste
espressioni Gesù presenta la cosid-
detta condanna eterna, in poche pa-
role l’inferno, come esclusione dal-
l’ambito di Dio, dalla sua comunione
e, soprattutto, dalla sua presenza:
un po’ come un non consentire
all’uomo di unirsi a Dio nell’aldi-
là. In verità, oltre ad usare queste
espressioni, in altre circostanze
Gesù adotta alcune immagini che in
qualche modo descrivono l’inferno.
Si tratta di quattro rappresentazioni:
a) il fuoco che non si spegne; b) i
vermi che non muoiono; c) le tenebre
eterne e, infine, d) il pianto e lo stri-
dore di denti.
Per mettere fine all’abuso di molta
gente di descrivere in dettaglio il
fuoco dell’inferno, Giovanni Paolo
II, nell’udienza del 28 luglio 1999,
dal tema “L’inferno come rifiuto de-
finitivo di Dio”, ha chiarito che “Le
immagini con cui la Sacra Scrittura
ci presenta l’inferno devono es-
sere rettamente interpretate. Esse
indicano la completa frustrazione e
vacuità di una vita senza Dio. L’infer-
no sta ad indicare più che un luogo,
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la situazione in cui viene a trovarsi
chi liberamente e definitivamen-
te si allontana da Dio, sorgente di
vita e di gioia”. Allo stesso modo,
la salvezza eterna viene descritta in
una maniera altrettanto simbolica,
proprio come quella della grande
festa, ove il banchetto abbonda di
cibi deliziosi e di vini pregiati. La
Sacra Scrittura, dunque, sebbene
insegni l’esistenza dell’inferno, in
realtà non ha mai spiegato in che
cosa esso consista.
Nessuna ipotesi presentata finora
dai teologi può spiegare pienamen-
te l’inferno. Ciò che è chiaro è che
nell’aldilà c’è un “qualcosa”: una
realtà, una condizione che non sap-
piamo bene in che cosa consista,
ma che chiamiamo “inferno” per
ciò che attiene al prezzo pagato al
Male, una situazione che fa la diffe-
renza tra il Bene e il Male, tra i buoni
e i cattivi.
Non tutti infatti avranno lo stesso
destino dopo la morte: dipenderà
da come saranno vissuti. Una cosa è
certa: non è indifferente essere giu-
sti o ingiusti, usare misericordia o
meno, ricercare la pace o alimentare
la violenza e la distruzione.
Ogni atto di amore, ogni gesto di
servizio e di carità, anche senza il
frastuono della vana pubblicità dei
nostri tentativi di metterci in primo
piano per ricevere un premio, sca-
tena nell’intimo dell’anima e della
coscienza un richiamo di Risurre-
zione, un grido di Vita piena, uno
squarcio di cielo affascinante.
Ogni violenza ingenera una diminu-
zione e una perdita, un inutile spreco
di possibilità di accedere ad una
Vita futura di gioia.
Non c’è dubbio che, prima di
quell’appuntamento cui nessuno
può rinunciare, il nostro compito
è quello di annunciare che Gesù si
è incarnato per portare la salvezza
a tutta l’umanità. Dio non chiude a
priori le porte del paradiso ad alcu-
no: nella Sacra Scrittura leggiamo
infatti che il piano e la volontà di
Dio sono “(...) che tutti gli uomini
siano salvati” (1 Tm 2,4), e noi non
abbiamo motivo per credere diver-
samente.
Americo Bejca
eremita
Io la penso così!
In questi giorni segnati da notizie
negative legate alla crisi economi-
ca, mi trovo a pensare (sarà l’età) a
quando io sono nato. Era il penul-
timo inverno di guerra, 1944, primi
di gennaio. Mio padre era appena
ritornato dopo 2 anni di servizio
militare nei Balcani. Che cosa rap-
presentavo per i miei genitori? Il
coraggio di mettermi al mondo con
un futuro ben più nero dell’attuale;
chissà quante trepidazioni, quante
rinunce con gli alimenti razionati
ed introvabili. Eppure i miei geni-
tori accettarono questa scommes-
sa come segno di speranza per un
domani meno tragico affidando a
me la speranza per un domani più
sereno. Ripeto, ci voleva coraggio.
Mia madre mi raccontava che ero
stato fatto nascere in cucina (allora
non si usava partorire in ospedale)
5 × 1000
È il tuo dono per i ragazzi più sfortunati,
poveri, abbandonati
in tutte le parti del mondo
la Fondazione Don Bosco nel Mondo
ONLUS continuerà ad occuparsene
a nome tuo se firmerai nel riquadro CUD;
730/1 - bis redditi UNICO persone fisiche
indicando il Codice Fiscale:
97210180580
Non è
una scelta
alternativa
a quella
dell’8 × 1000
sul divano dalla levatrice. Il loca-
le era grande, il centro della vita
familiare ma l’unico posto caldo
dell’appartamento e così rimase
fino a quando a 27 anni traslocam-
mo. Servizi igienici (?) in fondo
al ballatoio del cortile. Mio padre
lavorava a Melzo e quando riusciva
portava a casa qualche cibo acqui-
stato alla borsa nera per tutti noi.
Guardo qualche fotografia dell’e-
poca e penso che non c’era biso-
gno di diete: la linea era assicurata
per forza! Mi rivedo magrolino in
braccio a mio padre e al mio nonno
paterno, che viveva con noi. Lui si
era subito preoccupato per il peso.
Sui loro volti c’era preoccupazione,
ma anche fiducia. I miei genitori
erano incoscenti, credevano di più
nella Provvidenza oppure sapeva-
no nel grigiore dei tempi sognare
a colori?
Luciano Pescali
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SALESIANI NEL MONDO
FRANCIS ALENCHERRY
TRADUZIONE DI MARISA PATARINO
Don Bosco
in Bangladesh
La realtà e i sogni
Le due case salesiane in Bangladesh sono nuove:
partono da zero. Hanno molte necessità e nutrono sogni
ancora più grandi. Noi Salesiani osiamo sognare per i
nostri bambini e giovani poveri e per le persone che sono
imprigionate dalla miseria.
Lezioni all’aperto.
Come ai primi
tempi dell’oratorio
di don Bosco,
basta un prato.
ISalesiani di don Bosco arrivarono nel territo-
rio oggi denominato Bangladesh tra il 1928 e
il 1952. Dopo la suddivisione dell’India negli
Stati dell’India e del Pakistan avvenuta nel
1947, queste zone furono inserite nell’attuale
Pakistan orientale. Poiché era difficile spo-
starsi liberamente da un Paese all’altro, i Salesiani
lasciarono questi territori dopo la creazione del-
la diocesi di Khulna, che fu affidata dalla Santa
Sede ai Missionari Saveriani.
Nel 1971 la popolazione del Pakistan orientale
proclamò l’indipendenza dal Pakistan e scelse la
denominazione di Bangladesh. I Salesiani furono
allora invitati a tornare in Bangladesh e a svolger-
vi le loro attività educative. Questi inviti non fu-
rono presi sul serio fino al 2009, quando, dopo il
26° Capitolo Generale, il Rettor Maggiore decise
di garantire la presenza salesiana in Bangladesh
per concretizzare l’impegno delle nuove frontiere
trattato dal Capitolo.
Don Francis Alencherry, che era stato consigliere
generale per le Missioni Salesiane, fu nomina-
to responsabile di questo impegno pionieristico.
Dopo aver analizzato le varie possibilità offerte ai
Salesiani in quattro diocesi, su invito del Vescovo
di Mymensingh fu deciso di avviare la presenza
salesiana a Utrail, un paese dell’interno nella re-
gione di Netrokona, una tra le più svantaggiate
del Bangladesh.
In sette, con tanto coraggio
Don Alencherry si è stabilito a Utrail nel mese di
aprile del 2009. Nel febbraio 2010 sono arrivati
altri due Salesiani, dopo aver espletato le lunghe
procedure per il rilascio dei visti. La prima casa
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salesiana in questo paese è stata ufficialmente
inaugurata il 18 dicembre 2009, data del 150° an-
niversario della fondazione della Congregazione
Salesiana. Da allora, l’opera dei Salesiani si è no-
tevolmente ampliata.
Oggi si trovano in Bangladesh cinque Missiona-
ri salesiani, provenienti da tre Paesi: don Fran-
cis Alancherry e don Emil Ekka dell’India, don
Pawel Kociolek, polacco, e due Salesiani laici
vietnamiti, Joseph Pham e Joseph Cosma Lam.
Don Andre Belo di Timor Est e il Salesiano lai-
co Joseph Kunle Olundana, nigeriano, sono in
attesa del visto necessario per andare a vivere in
Bangladesh. Con il loro arrivo, il numero com-
plessivo dei Salesiani salirà a sette. La missione
salesiana in Bangladesh è sicuramente un’espe-
rienza positiva di vita e lavoro di una comunità
internazionale.
Quando i Salesiani si sono assunti l’impegno
dell’opera di Utrail, che era una succursale del-
la grande parrocchia missionaria di Ranikhong,
esisteva già la scuola St. Xavier, che però non di-
sponeva di un edificio scolastico specifico. C’e-
ra anche un convitto per le ragazze, intitolato a
Madre Teresa, sebbene in questa struttura non
operassero religiose. Dopo un esame della situa-
zione delle attività che erano state loro affidate,
i Salesiani hanno compreso che le necessità più
urgenti erano: aiutare i battezzati a consolidare la
loro fede con progetti di nuova evangelizzazione
e con la realizzazione delle strutture necessarie
a una parrocchia; migliorare le strutture educa-
tive già esistenti e garantire nuove opportunità
per un’istruzione di qualità; favorire lo sviluppo
economico e sociale degli abitanti della zona, in
particolare dei residenti nei piccoli paesi, per ga-
rantire loro un tenore di vita più dignitoso.
Abbiamo già il terreno
La maggior parte dei cristiani (il 95%) presen-
ti nella diocesi di Mymensingh appartiene alla
tribù denominata Garo o Mandi. Ovviamente,
anche molti cristiani della parrocchia di Utrail
sono Garo. Anni fa i Garo erano relativamente
benestanti, perché possedevano molte terre. Con
il passare del tempo, per varie ragioni, come l’in-
debitamento, la mancanza di istruzione, la scarsa
preparazione e l’alcoolismo, molti Garo hanno
perso le loro terre e attualmente si trovano in una
condizione di grave povertà ed emarginazione.
Oggi molti Garo devono svolgere quotidiana-
mente lavori manuali per sopravvivere. Quando
trovano un lavoro, guadagnano circa 1,5-3 euro
al giorno.
Dato che i Garo sono poveri ed emarginati, pur
impegnandoci al servizio di tutti i gruppi etnici
e religiosi nel vero spirito cattolico, dedichiamo
maggiore attenzione a loro, per aiutarli a miglio-
rare la loro situazione sociale e a integrarsi me-
glio con la maggioranza della popolazione locale,
nell’ottica della dignità e dell’uguaglianza.
Abbiamo molti sogni per la crescita globale delle
persone alle quali prestiamo il nostro servizio.
Nel maggio di quest’anno speriamo di avviare
la realizzazione di una chiesa che sarà una par-
rocchia e nello stesso tempo un santuario dedi-
cato a Maria Ausiliatrice. Abbiamo acquistato
un appezzamento di terreno di una certa esten-
I salesiani
sono tornati
nel Bangladesh
solo nel 2009.
E scelsero una
delle regioni più
svantaggiate del
paese (segnalata
dal cerchietto).
Aprile 2013
9

1.10 Page 10

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SALESIANI NEL MONDO
Una lezione di
catechismo.
I cattolici in
Bangladesh sono
circa 350 mila,
organizzati in sette
diocesi.
sione, che speriamo possa diventare un centro
d’istruzione con vari istituti formativi a diversi
livelli. Il primo sarà un centro giovanile vero e
proprio, che speriamo sia inaugurato dal Ret-
tor Maggiore, don Pascual Chavez, in occasione
della sua visita in Bangladesh, nel novembre di
quest’anno.
Il 5 febbraio 2011, dopo opportuno discerni-
mento, i Salesiani hanno aperto la loro seconda
casa a Lokhikul, nella diocesi di Rajshahi, nella
regione di Nagaon. È un tipico paese dell’inter-
no, con abitanti in prevalenza locali (adivasi).
Don Emil Ekka e don Pawel Kociolek attual-
mente operano qui.
La parrocchia è composta da paesi grandi e pic-
coli, alcuni dei quali distano anche 30 km da
Lokhikul. Gli abitanti di questi paesi appar-
tengono a diverse tribù. Molti fanno parte degli
Oraon, ma vi sono anche Santal, Mahali e una o
due altre tribù più piccole. Si calcola che nel ter-
ritorio della parrocchia di Lokhikul vivano circa
30 000 persone appartenenti alle varie tribù.
Le condizioni di queste persone sono simili a
quelle in cui vivono i Garo a Utrail. Molti sono
braccianti che non possiedono terra e lavorano
duramente per guadagnare il necessario per vive-
re ogni giorno. L’istruzione è l’unico mezzo per la
loro piena promozione. Tenendo presente questo
aspetto, intendiamo dedicare un impegno consi-
stente per l’istruzione di queste persone.
Nel breve tempo che abbiamo trascorso finora a
Lokhikul, abbiamo già avviato un oratorio-cen-
tro giovanile. Circa 200 bambini frequentano
regolarmente questo centro giovanile, che con
il passare dei mesi incrementerà gradualmente
le sue attività. La mancanza di una sede speci-
fica per radunare i bambini e i giovani non ha
scoraggiato i Salesiani. Sarebbe necessario de-
stinare una parte di terreno alla realizzazione di
una struttura per l’accoglienza dei giovani. Ne
esisteva già una con sette bambini, non adeguata
alle necessità. Ci proponiamo ora di costruire un
edificio adatto e di portare il numero dei bam-
bini a ottanta. Si potrebbero così offrire ottime
opportunità per fruire di una buona istruzione
a molti bambini che abitano nei vari paesi cir-
costanti.
Fare molto in breve tempo
Le due case salesiane in Bangladesh sono nuove;
partono da zero. Hanno molte necessità e nutro-
no sogni ancora più grandi. Noi Salesiani osiamo
albergare sogni per i nostri bambini e giovani po-
veri e per le persone che sono imprigionate dalla
miseria. Le difficoltà che dobbiamo affrontare
sono rese più complicate dal fatto che operiamo
in un contesto multietnico e multireligioso, con
un 87% di musulmani. La percentuale restante
è composta da appartenenti a vari gruppi etnici e
religioni. I cristiani costituiscono circa lo 0,35%
della popolazione globale. Il numero complessivo
di cattolici, organizzati in sette diocesi, è pari a
circa 350 000.
Nell’arco di tre anni abbiamo aperto due centri
in due zone diverse del Paese. Entrambi sono
soprattutto al servizio delle popolazioni triba-
10
Aprile 2013

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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li svantaggiate, senza trascurare le persone che
vivono in condizioni che rientrano nella media.
Dato che l’istruzione è il mezzo migliore per
aiutare questa fascia di popolazione, in sintonia
con il nostro carisma specifico, dedichiamo par-
ticolare attenzione all’istruzione, nel contesto di
istituzioni ufficiali e non.
A Utrail siamo riusciti a fare molto, nel poco
tempo che abbiamo trascorso qui finora, grazie
al sostegno spirituale ed economico che ricevia-
mo da tanti individui e varie istituzioni. Speria-
mo sinceramente di riuscire a fare molto in breve
tempo per i poveri anche a Lokhikul. Crediamo
che, com’è accaduto finora, anche negli anni a ve-
nire, con l’aiuto di benefattori privati e istituzioni,
riusciremo a realizzare i nostri progetti e i nostri
sogni per aiutare i poveri, in particolare i giovani,
ad avere un futuro più sicuro e felice e la pienezza
della vita promessa da Gesù.
Per eventuali contatti:
falencherry@gmail.com,
emil_ekka@rediffmail.com,
pawelsdb@tlen.pl
Un tipico mercato
delle zone rurali
del Bangladesh.
In alto: I cristiani
piccoli e grandi del
Centro salesiano.
Aprile 2013
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2.2 Page 12

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L’INVITATO
JEAN-FRANÇOIS MEURS
Il nostro Oscar
Il cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga
salesiano
In un ipotetico «Guinnes ecclesiastico» il salesiano Oscar Andrés
Rodriguez Maradiaga, settantenne, honduregno, poliglotta, potrebbe
vantare un singolare primato: è stato fatto vescovo da tre Papi.
Nel 1978, fu nominato ausiliare dellarcivescovo di Tegucigalpa
da Paolo VI, che però morì il 6 agosto. Giovanni Paolo I
confermò la nomina ma scomparve dopo appena trentatré
giorni di pontificato. Toccò così a Giovanni Paolo II
confermare per la terza volta la nomina del giovane
sacerdote salesiano della capitale dellHonduras,
il quale, con i suoi
trentacinque anni, diventava
uno dei più giovani vescovi
della famiglia di don Bosco e
della Chiesa Universale.
Il 29 dicembre 1942, mentre in
Europa infuriava la guerra, a Te-
gucigalpa, capitale dell’Honduras,
nella famiglia Rodriguez nasceva
un maschietto cui venne impo-
sto il nome di Oscar Andrés, per
volere del fratello maggiore. Il padre,
amministratore di una compagnia di
autobus, avrebbe voluto chiamarlo
Renè. Oscarito, come fu sempre chia-
mato, era mingherlino e soffriva di
problemi agli occhi. Questa sua debo-
lezza ebbe due conseguenze provvi-
denziali. La sua mamma, preoccupa-
ta, lo raccomandò alla Vergine Maria,
offrendo al Signore la vita di suo fi-
glio se fosse sopravvissuto. Il cardina-
le, oggi, afferma: «Credo che la mia
vita sia un dono di Dio, che fin dai
primi giorni della mia esistenza mi ha
aiutato a vincere la battaglia contro la
morte, sovvertendo tutti i pronostici».
Per la cura degli occhi dovette affron-
tare lunghi soggiorni in un ospedale
degli Stati Uniti e così imparò perfet-
tamente l’inglese.
Incontrò don Bosco molto presto.
«Da quando ho memoria, diciamo dai
cinque anni, ricordo che andavamo
sempre al collegio San Miguel perché
il confessore di mio padre era un sale-
siano. A me piaceva moltissimo vedere
i ragazzi giocare e così un giorno mio
padre mi disse: «Quando sarai gran-
de, verrai in questa scuola». Per me
quella dei salesiani fu una scelta na-
turale, non avrei mai potuto pensare
a un’altra scuola. Vi entrai a sei anni,
in prima elementare. Ebbi una grande
fortuna, perché in quegli anni c’era-
no professori salesiani che seguivano
i bambini per l’intero corso di studi.
12
Aprile 2013

2.3 Page 13

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Io avevo un coadiutore del Costarica
che fu un uomo esemplare e mi gui-
dò almeno per i primi quattro anni.
Era un modo di studiare e di educare
molto «personalizzato» per quei tem-
pi. Lavoravamo in piccoli gruppi e lui
curava personalmente, per ognuno di
noi, l’ortografia, la calligrafia, tutto.
Grazie a questo metodo e al mio inse-
gnante non ebbi mai problemi. Ricor-
do che dovette lasciarci quando ero in
quarta elementare, perché era molto
stanco e ammalato. Avemmo altri
professori, ma sempre buoni».
altro desiderio: diventare pilota
d’aereo. Era una passione di fa-
miglia. Oltre al padre, che aveva
l’hobby del volo, due zii di Oscar
erano piloti d’aereo professionisti.
Ancora oggi, un po’ di nascosto, il
cardinale Rodriguez ama pilotare ae-
rei superleggeri ed elicotteri.
Alla fine, però, iniziò un altro
genere di volo. «Un giorno, il pre-
dicatore ci disse: se Dio vi chia-
ma, non siate codardi. Dovete
rispondere di sì. Io concordai
dentro di me con quelle parole:
è vero, non posso essere codar-
do. Devo dare il mio sì».
A 19 anni entrò in noviziato. Durante
gli studi, fece contemporaneamente
l’allievo e il professore: «Dai salesiani,
quando avete imparato, siete invitati
a condividere le vostre conoscenze».
Tenne lezioni di chimica e di fisica e
riprese la sua attività musicale, un’al-
tra delle sue magnifiche doti. Mise in
piedi un’orchestra e un coro, per non
parlare poi della compagnia teatrale.
La passione musicale non lo ha mai
abbandonato e oggi è il cardinale del
Sacro Collegio musicalmente più do-
tato. Suona da virtuoso il pianoforte,
il sassofono, l’organo e la fisarmonica.
«Se non avessi deciso di diventare sa-
cerdote, probabilmente avrei suonato
in una jazz band».
Fu ordinato sacerdote in Guatemala,
il 28 giugno 1970. «Per me celebrare
la Santa Messa è salire verso il cielo e,
in quanto sacerdote, penso di essere
in quel momento un ponte fra il cielo
e la terra».
Fu inviato a Roma per continuare gli
studi teologici. Il suo professore di
morale lo invitò a seguire una forma-
zione in psicologia clinica. Si perfe-
zionò poi in Austria. Divenne profes-
sore di diverse materie in Guatemala
e infine insegnante e poi direttore al
teologato salesiano. Qui lo raggiun-
se la chiamata a vescovo ausiliare di
Tegucigalpa. «Cominciò per me una
vita ben diversa. Mai, mai avevo so-
gnato questo. Io dico sempre: sono
Voglia di volare
Piano piano si fa strada in lui la vo-
cazione al sacerdozio. Ha anche un
In alto: Il cardinal Rodriguez è dotatissimo per
la musica: «Se non avessi deciso di diventare
sacerdote, probabilmente avrei suonato in una jazz
band». A destra: Il cardinale con il Rettor Maggiore.
Aprile 2013
13

2.4 Page 14

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L’INVITATO
salesiano per vocazione e vescovo per
ubbidienza».
L’ordinazione avvenne nel santuario
della Madonna di Suyapa, la protet-
trice dell’Honduras.
«Due cose uniscono il popolo hon-
duregno: la squadra di calcio e No-
stra Signora di Suyapa. È una piccola
immagine, alta solo sei centimetri. È
un’immagine di legno che è stata tro-
vata nel 1747 quando la nostra gente
si stava “dissolvendo”. Si calcola che
quando sono venuti gli spagnoli, nel
1502, c’erano solo 200 000 hondure-
gni. Perché? Perché nell’viii secolo
i maya sono migrati in Guatemala e
poi nello Yucatan, lasciando queste
terre quasi abbandonate e vuote. Al-
cuni dicono che vi è stata una guerra
fra tribù, altri che vi è stata un’epide-
mia, altri sostengono che “El Niño”
abbia rovinato le terre rendendole im-
possibili da coltivare. In ogni caso, il
fatto è che ne erano rimasti pochi e
quindi la nostra nazionalità si stava
dissolvendo. In questo contesto è stata
trovata l’immagine di Nostra Signo-
ra. È un’immagine molto miracolo-
sa. È stata trovata sulla montagna da
due contadini che dormivano all’aria
aperta. Un giovane ha sentito qual-
cosa sotto la sua schiena. L’ha gettata
via tre volte, ma continuava a sentirla
sotto la schiena. La terza volta l’altro
uomo gli ha detto: “Mettila nella bor-
sa che domani vediamo cos’è”. Quan-
do sono arrivati al loro villaggio chia-
mato Suyapa – che nella lingua nativa
significa “luogo delle palme” – hanno
visto che era un’immagine e hanno
iniziato a pregare, e sono iniziati i
miracoli, finché non è stata costruita
una piccola chiesa e poi un’altra e ora
abbiamo un grande santuario».
Fu eletto delegato al Celam, il Con-
siglio episcopale latino americano, di
cui fu poi anche presidente. Da buon
salesiano, per monsignor Rodriguez
l’insegnamento e l’educazione sono il
cuore dello sviluppo. Così, con enor-
me coraggio, fondò un’Università
Cattolica ispirata a don Bosco. Oggi
la frequentano 15 000 studenti divisi
in undici Campus. «Abbiamo perduto
il senso della dignità umana, l’unico
obiettivo è guadagnare soldi, poco
importa come. Perciò la cosa più ur-
gente è educare i giovani e ridare loro
fiducia in se stessi e nel proprio Paese.
Io sono convinto che senza educazio-
ne in America Latina non possiamo
uscire dalla povertà. In questo senso
la missione salesiana è di un’attualità
grandissima».
Cominciò la battaglia contro la cor-
ruzione, la povertà e la promozione
dei diritti delle donne. «Il problema
si pone in maniera diversa da come si
presenta in Europa, negli Stati Uniti
o in Canada. In America Latina non
si pone la questione di un sacerdo-
zio o di un diaconato femminile. Le
donne hanno sempre partecipato alla
vita della Chiesa, tanto che sino al
Concilio Vaticano II la Chiesa veniva
considerata quasi qualcosa che riguar-
dava unicamente donne e bambini. E
donne componevano in maggioranza
le associazioni tradizionali. Il Con-
cilio ha dato un grande impulso alla
valorizzazione della donna nella chie-
sa anche nei paesi dell’America Cen-
trale dove la cultura contadina aveva
relegato la donna in una condizione
d’inferiorità confinandola nell’ambi-
to della famiglia, spesso numerosa, e
affidandole spesso compiti quasi da
14
Aprile 2013
Il Cardinale con il Rettor Maggiore in mezzo ai
ragazzi: «La cosa più urgente è educare i giovani
e ridare loro fiducia in se stessi e nel proprio
Paese».

2.5 Page 15

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«Se incontrassi il Signore Onnipotente gli direi
semplicemente che lo amo, che ho consegnato
la mia vita a lui per amore, che voglio continuare,
fino alla morte, a servire per amore».
schiava. Dopo il Vaticano II, la don-
na ha cominciato ad avere compiti
di celebrazione della parola nelle co-
munità di base. Soprattutto la donna
latino-americana si è molto realizzata
attraverso il ministero della cateche-
si. Molto spesso sono state le donne
a preservare la fede di comunità prive
del sacerdote. Tutto ciò ha prodotto
una grande crescita della donna lati-
no-americana sotto il profilo educati-
vo, compresa la fecondità, rifiutando
le politiche di controllo della natalità
imposte dall’estero e applicando i me-
todi naturali di pianificazione fami-
liare».
Dove sta Maria?
Si occupa poi dell’immigrazione. Se-
condo lui, l’Honduras non è un paese
povero, ma un paese mantenuto nel-
la povertà. «Tra noi latinoamericani
circola una barzelletta: “Sai qual è la
prima frase che impara un bambino
di una ricca famiglia texana? ‘Donde
està Maria?’”. Sarebbe carino se qual-
cuno si chiedesse anche dove sono i
bambini di Maria, la domestica. O
dove sono i suoi fratelli, le sue sorel-
le, i suoi genitori, suo marito... Maria
e quelli come lei vivono stretti tra la
realtà dello sfruttamento e la pau-
ra dell’espulsione. Quanto possiamo
dirci spiritualmente vicini alla fami-
glia di Maria? Le vere armi di di-
struzione di massa sono la povertà e
l’ingiustizia sociale! Ai giovani resta
un’unica possibilità: tentare la fortuna
in America del Nord. Tutti i giorni,
dei pullman partono da Tegucigalpa
in direzione degli Stati Uniti, attra-
verso il Messico. Ipocritamente, l’am-
ministrazione americana condanna
questi flussi migratori e rispedisce i
clandestini per aereo ogni giorno, ma
ai ricchi conviene sfruttare una mano
d’opera docile e senza pretese».
Per questo il cardinale avviò un pro-
gramma di aiuti ai contadini per fre-
nare il fenomeno, denunciando con
forza questa mondializzazione che
lascia circolare le merci, ma proibisce
la libera circolazione delle persone dal
Sud verso il Nord.
Un’altra battaglia fu quella sul debi-
to estero. Insieme ad altri cardinali
dei paesi in via di sviluppo si impe-
gnò per l’annullamento parziale del
debito di 18 paesi poveri. Spiegando
a tutto il mondo quanto sia ingiusto
questo meccanismo. «Agli inizi degli
anni Settanta, per esempio, l’Hondu-
ras chiese un prestito di 90 milioni di
dollari americani per la costruzione di
una diga idroelettrica. Dopo ventiset-
te anni erano stati pagati 250 milioni
di dollari e tuttavia si era ancora debi-
tori di 90 milioni. Qui sta il nocciolo
dell’ingiustizia e qui sta il problema
da risolvere».
Per le sue battaglie su giustizia e po-
vertà, il 5 giugno 2007, fu nominato
presidente di Caritas Internationalis,
la confederazione delle 164 organiz-
zazioni “Caritas” che operano in più
di 200 stati del mondo in soccorso dei
poveri e degli oppressi. La più gran-
de multinazionale dell’amore pratico
e reale che esiste al mondo, sempre
presente dove la gente soffre.
Perché, quando chiedono al cardinale
Oscar Andrés Rodriguez quale sia la
più nobile delle virtù cristiane non ha
dubbi: «Senz’altro l’amore! Se imparia-
mo ad amare, impariamo la cosa più
importante. Noi dobbiamo “crescere”
nell’amore affinché il Signore “venga”
a tutti noi. E se incontrassi il Signore
Onnipotente gli direi semplicemente
che lo amo, che ho “consegnato” la mia
vita a lui per amore, che voglio conti-
nuare, fino alla mia morte, a “servire”
per amore».
Aprile 2013
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2.6 Page 16

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FINO AI CONFINI DEL MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
BRASILE
Le colonie
estive
salesiane
KENYA
Venite
e celebrate
la vostra fede
(ANS - Recife) – Dal 2005, nel periodo
delle vacanze estive – dell’emisfero austra-
le – la Pastorale giovanile dell’Ispettoria di
Brasile-Recife propone le “Colonie estive
salesiane”. Le attività prendono ispirazione
da un opuscolo-guida, precedentemente ela-
borato, che contiene consigli per sviluppare il
tema di ogni giorno, riflessioni, preghiere e
indicazioni per i laboratori pratici. In me-
dia sono circa 30 le opere che aderiscono al
progetto, per un totale di migliaia di bambini
e adolescenti coinvolti e oltre 1000 animatori
volontari. Alle attività partecipano sempre
anche i salesiani in formazione che, così,
hanno modo di sperimentare il lavoro tra i
ragazzi e verificare la loro vocazione salesia-
na. Il tema per il 2013, ispirato alla Strenna e
all’anno di riflessione sulla pedagogia di don
Bosco, è stato “Imparare ad essere felici”.
BULGARIA
20 anni
di presenza
salesiana
(ANS - Kazanlak) – La
presenza salesiana in Bul-
garia ha avuto inizio nel
1993 grazie ai missionari
della Repubblica Ceca. La
prima casa venne eretta
a Kazanlak cui seguì,
nel 2007, quella di Stara
Zagora; recentemente è
stata avviata anche una
presenza a Jambol. In
Bulgaria i salesiani sono
7, tutti bi-ritualisti, cioè
di rito cattolico bizantino
e latino.
L’attività quotidiana si
svolge nelle parrocchie.
A Kazanlak recentemente
è sorto un internato per
i giovani cattolici della
zona. A Stara Zagora,
nel quartiere Lozenec,
con 25 000 abitanti quasi
esclusivamente Rom, i
salesiani animano le atti-
vità extrascolastiche nella
scuola pubblica, l’oratorio
quotidiano per circa 60
giovani, l’assistenza
sociale, la catechesi e i
campi estivi.
(ANS - Nairobi) –
Nell’ambito dell’An-
no della Fede i responsabili del Don Bosco
Youth Educational Services (DBYES) di
Nairobi hanno lanciato un programma di
riscoperta della fede cristiana per gli adole-
scenti di varie scuole secondarie e tecniche
della città. Il primo appuntamento si è svolto
il 3 febbraio con l’evento “C’mon & Cele-
brate” (Venite e celebrate). I giovani, accolti
presso la struttura salesiana, hanno recitato
le Lodi e ascoltato una relazione di padre
Christopher Musyoka, cappuccino, sul tema
“La Fede e/nella Bibbia”. Hanno proseguito
con un dibattito, una liturgia penitenziale, la
messa e, nel pomeriggio, varie attività cul-
turali e musicali. L’itinerario prevede altre 6
tappe fino al prossimo novembre, sulla fede
in rapporto alla Chiesa, alla Preghiera, al
Credo, alla Scienza e ai Media, alla Carità
e alla Speranza.
16
Aprile 2013

2.7 Page 17

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REPUBBLICA
DOMINICANA
Lo sviluppo
degli exallievi
di don Bosco
nelle Antille
(ANS - Santo Domingo) – Gli exallievi di
don Bosco nell’Ispettoria delle Antille, spe-
cialmente nella Repubblica Dominicana e a
Porto Rico, vivono attualmente un momen-
to di gioiosa rinascita e di consolidamento.
A soli 2 anni dalla creazione della Federa-
zione ispettoriale gli exallievi tesserati sono
circa 1740.
Sono state organizzate 9 Unioni Locali
appartenenti a varie case salesiane; ad esse
partecipano exallievi di più generazioni.
Tutte le Unioni hanno eletto la loro presi-
denza e stanno elaborando i Regolamenti;
grande impegno viene posto affinché le
Unioni collaborino con le diocesi o l’Ispet-
toria nei progetti educativi o di evange-
lizzazione, animando gli oratori, organiz-
zando attività giovanili o di promozione
sociale.
AUSTRIA
Don Bosco
celebrato
dai giovani
KUWAIT
Formazione
e crescita
delle Piccole
Comunità
Cristiane
(ANS - Salmiya) – Nel
piccolo emirato del Kuwait
i cattolici sono solo il
4% della popolazione,
circa 140 000 persone.
Per questo, per animare
e sostenere la comunità
cattolica a loro affidata, i
missionari salesiani della
casa San Giovanni Bosco
di Salmiya hanno realiz-
zato nel mese di febbraio
un corso in tre tappe per
la formazione di Piccole
Comunità Cristiane (PCC)
– delle comunità ecclesiali
di base. Durante il corso
don Francisco Pereira,
uno dei pionieri salesiani
missionari in Kuwait, ha
indicato le “pietre miliari”
per avviare e sviluppare
delle PCC. I circa 50 cri-
stiani che vi hanno preso
parte, tutti appartenenti
alla comunità parrocchiale,
si sono detti entusiasti
di iniziare questo nuovo
percorso.
(ANS - Vienna) – Dal 13 al 22 febbraio an-
che l’Austria ha potuto accogliere la reliquia
insigne di don Bosco che sta peregrinando
per tutto il mondo in vista del Bicentena-
rio della nascita del Santo (1815-2015). La
cerimonia d’accoglienza si è avuta nella
cattedrale di Linz, dove il vescovo salesiano,
monsignor Ludwig Schwarz, ha presieduto
la messa, affiancato dall’Ispettore, don Ru-
dolf Osanger, e da altri salesiani. Nei giorni
seguenti, a Unterwaltersdorf, gli allievi del
liceo salesiano hanno celebrato don Bosco
con acrobazie, preghiere, musica e un festo-
so “flashmob”; mentre a Graz al mattino del
18 febbraio, la statua è stata portata per due
ore nella moderna stazione dedicata pro-
prio a don Bosco. Qui, salesiani e giovani
hanno distribuito alle persone di passaggio
informazioni su don Bosco e il suo carisma,
insieme a qualche castagna, così da ricor-
dare il celebre miracolo compiuto dal Santo
torinese.
Aprile 2013
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2.8 Page 18

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A TU PER TU
O. PORI MECOI
Hubert dal paese
delle mille colline
Incontro con un giovane salesiano ruandese
che studia alla Crocetta di Torino per prepararsi
alla sua missione di educatore in patria
Mi chiamo Hubert Twagi-
rayezu e sono salesiano di
don Bosco dal 2005. Sono
nato in Ruanda nel 1982
nella provincia di Kigali,
in una famiglia di tre ra-
gazzi e una ragazza. Io sono il primo-
genito. Sono rimasto orfano a 9 anni e
con i miei fratelli sono andato a vivere
con mio nonno nel centro del Paese.
La nuova famiglia ci ha trasmesso
i valori della vita sociale e religiosa.
Durante la scuola secondaria, ho avu-
to l’opportunità di vivere per tre anni
nella mia parrocchia con un sacerdo-
te spagnolo che mi ha aiutato molto e
mi ha insegnato molte cose dal punto
di vista religioso cattolico. Durante
questo periodo, facevo parte del coro
parrocchiale e qualche volta suonavo
il tamburo durante la Messa. Quan-
do il prete è rientrato in Europa, mi
ha affidato alle suore di San Giuseppe
della mia parrocchia che mi hanno so-
stenuto fino al termine dei miei studi
secondari. Durante la mia infanzia, ho
avuto la fortuna di incontrare queste
persone religiose che mi hanno aiutato
spiritualmente e materialmente.
Com’è la tua patria?
La mia patria, il Ruanda, è un pic-
colo paese dell’Africa Orientale vasto
come il Piemonte denominato “il pae-
se delle mille colline”. Si parla una
sola lingua locale, il Kinyarwanda.
Scuola e amministrazione usano in-
vece l’inglese e il francese. Dopo il
periodo coloniale, il Ruanda è stato
segnato soprattutto dalla sanguino-
sa guerra del 1994, ricordata come il
“genocidio”. Oggi, il Paese si sta ra-
pidamente sviluppando. Dal punto
di vista religioso, l’evangelizzazione
del Ruanda è cominciata nel 1900.
Attualmente, su dieci milioni di abi-
tanti, oltre il 54 per cento è cattolico.
Molte congregazioni religiose sono
Hubert è uno
dei giovani
salesiani
coadiutori
che si
perfezionano
in teologia a
Valdocco.
venute e i salesiani sono arrivati nel
1954. La Chiesa cattolica, suddivisa
in nove diocesi, è fiorente e sono nate
anche molte congregazioni locali.
Voglio ricordare anche le miracolose
apparizioni della Madonna a Kibeho.
Dal 1981 al 1985, la Vergine Maria e
Gesù apparvero a sei adolescenti, con
molti segni straordinari, domandan-
do a tutti di convertirsi, avere fede e
pregare senza ipocrisia. Maria è ve-
nuta per tutto il mondo, per ricordare
ai suoi figli la via della salvezza. La
Madonna di Kibeho ha voluto essere
chiamata “Nyina Wa Jambo”, la Ma-
dre del Verbo.
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Aprile 2013

2.9 Page 19

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Che cosa significa per te,
studiare teologia?
È un momento importantissimo del-
la mia vita che la congregazione mi
dona per approfondire il mistero di
Dio e crescere nella fede, prima come
cristiano e poi come religioso salesia-
no per poter meglio adempiere alla
mia missione con i giovani, soprat-
tutto quelli che non conoscono Gesù.
ragazzi, quando io
avevo sette anni. Poi
mio nonno mi ha
istruito molto bene
e mi ha insegnato le
preghiere cristiane
e il rosario. Quando
avevo undici anni mi
ha spiegato come si
legge la Bibbia.
Com’è nata la tua vocazione?
Cominciai a pensare di diventare prete
alla scuola secondaria. Nella famiglia
vicina conobbi un giovane prete dio-
cesano che mi fece venire la voglia di
imitarlo e poi un compagno di classe
mi raccontò che partecipava ad incontri
organizzati dai salesiani durante le va-
canze. Mi diede tutte le informazioni
e, grazie a lui, trovai la mia vocazione e
oggi siamo Salesiani di don Bosco.
Quali sono i
momenti più
belli in famiglia
che ricordi?
Momenti indimenticabili sono state
le passeggiate con il mio papà duran-
te le vacanze o quando la mamma ci
portava a visitare i nonni. Non posso
dimenticare le feste di Natale e di Pa-
squa in famiglia: erano un momento
di gioia grandissima.
«La mia missione è impegnarmi per i giovani, per
formare buoni cristiani e onesti cittadini».
adeguata che mi permetterà di af-
frontare al meglio l’educazione dei
giovani nella mia ispettoria.
Che cosa ne pensa
la tua famiglia?
La mia famiglia è profondamente cat-
tolica e mio nonno è stato per parec-
chi anni il catechista della parrocchia.
Quando gli ho chiesto il permesso di
consacrarmi al Signore, è stato feli-
cissimo e mi ha promesso tutta la sua
preghiera perché da giovane voleva di-
ventare prete ma non ci era riuscito ed
aveva sempre avuto il desiderio di ave-
re un religioso nella sua famiglia. E la
famiglia era completamente d’accordo.
Chi per primo ti ha
raccontato la storia
di Gesù?
È stato un seminarista della congre-
gazione pallottina, durante l’estate
Quale sarà
la tua destinazione?
Rientrerò presto nella mia ispetto-
ria di origine, Africa Grandi Laghi
(AGL), estesa in tre Paesi: Ruanda,
Burundi e Uganda. Come ogni sale-
siano sono in attesa della nuova obbe-
dienza e sono pronto a lavorare in uno
di questi paesi.
Quali difficoltà ti aspetti
di dover affrontare?
Come ti sei preparato?
La mia missione è impegnarmi per i
giovani per formare dei buoni cristia-
ni e degli onesti cittadini. In questo
momento sto completando studi di
filosofia e teologia e facendo un ti-
rocinio pratico. È una preparazione
C’è molto coraggio in questa
scelta. Dove lo attingi?
Ho scelto con vera convinzione, fede e
speranza la vita salesiana e continuerò
a pregare il buon Dio perché mi aiuti
a perseverare nella mia vocazione. È
Gesù il mio forte punto d’appoggio.
Vale la pena dedicare
la vita agli altri in questo
mondo così radicale?
Sì, perché il mondo ha bisogno di
veri testimoni della parola di Gesù.
Io penso di non fare nulla di straordi-
nario. Voglio vivere l’amore di Gesù
che mi ha scelto per aiutare gli altri,
soprattutto quelli a cui sarò destinato,
a riconoscere la presenza di Gesù in
mezzo a loro.
Aprile 2013
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2.10 Page 20

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INVITO A VALDOCCO
DISEGNI DI LUIGI ZONTA, FOTOGRAFIE DI GIOVANNI ULIANA, MARIO NOTARIO
Non c’era
Nei primi mesi a Torino, mentre
continua a studiare e prepararsi,
don Bosco riflette sulla missione
posto per loro chesentesemprepiùchiaramente
affidatagli dal Signore. Ma la
realizzazione del sogno è molto
complicata e irta di ostacoli.
5
VIA ANDREIS
VIA MARIA AUSILIATRICE
8 34
7
VIA COTTOLENGO
CORSO REGINA MARGHERITA
6 VIA CARLO NOÈ
PIAZZA
DELLA
REPUBBLICA
PIAZZA STATUTO
VIA JUVARRA
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Aprile 2013
VIA SANTA CHIARA
VIA SANTA CHIARA
VIA SAN DOMENICO
VIA DEL CARMINE
VIA CORTE D'APPELLO
2
VIA GARIBALDI
PIAZZA
ARBARELLO
VIA GARIBALDI
VIA BARBAROUX
VIA BERTOLA
VIA S. MARIA
1 VIA BERTOLA
VIA PIETRO MICCA
1. San Francesco
d’Assisi
2. Palazzo Barolo
3. Rifugio
4. Ospedaletto
di santa
Filomena
5. Cimitero
degli impiccati
6. Molassi
7. Casa Moretta
8. Prato Filippi

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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1. 8 dicembre 1841
Via San Francesco d’Assisi, 11
Proprio qui, nella chiesa dove
ha celebrato la prima Messa,
nella festa dell’Immacolata
Concezione del 1841, incon-
tra il giovane Bartolomeo
Garelli. Dopo quel primo
incontro, ogni domenica, si raduna
al Convitto un gruppetto di ragazzi
che va crescendo: nel febbraio suc-
cessivo sono una ventina; trenta alla
fine di marzo; quasi un centinaio per
sant’Anna (26 luglio), festa patronale
dei muratori.
I ragazzi che in questi primi tempi
frequentano il nascente oratorio sono
in prevalenza operai e manovali che
trascorrono a Torino soltanto una
parte dell’anno, quella libera dalle
attività agricole (dal tardo autunno
alla fine di giugno). Si tratta di «Sa-
voiardi, Svizzeri, Valdostani, Biel-
lesi, Novaresi, Lombardi». Questo
tipo di giovani, migratori stagiona-
li, continuerà ad essere prevalente
nell’Oratorio di don Bosco fin verso
la metà degli anni Cinquanta, quan-
do l’immigrazione in Torino divenne
stabile.
I ragazzi si radunavano nella sacrestia
della chiesa di san Francesco d’Assisi
e nel cortiletto adiacente, per il cate-
chismo e per intrattenersi in allegria.
«Fu allora che io toccai con mano, che i giovanetti usciti dal luogo di punizione, se
trovano una mano benevola, che di loro si prenda cura, li assista nei giorni festivi,
studi di collocarli a lavorare presso di qualche onesto padrone, e andandoli qual-
che volta a visitare lungo la settimana, questi giovanetti si davano ad una vita
onorata, dimenticavano il passato, divenivano buoni cristiani ed onesti cittadini»
(MO 122-123).
2. Il Palazzo Barolo
Via delle Orfane, 7
Nella vita di don Bosco entra
un personaggio straordina-
rio. Abitava qui. In questo
palazzo, dalla splendida
facciata barocca, il povero
prete dei Becchi entrò molte
volte nell’elegante atrio del palazzo e
salì il solenne scalone a doppia rampa
per raggiungere i sontuosi ambienti del
primo piano dove la marchesa aveva lo
studio e le sale di ricevimento.
Qui abitavano la marchesa Giulia
Colbert e suo marito Carlo Tancredi
Falletti di Barolo. I due coniugi era-
no ricchissimi, più degli stessi Savoia,
e figure di primo piano
della nobiltà torinese.
Il loro salotto veniva
frequentato dai più im-
portanti personaggi del
tempo: nobili, politici
(tra cui il Cavour), di-
plomatici, alti ufficiali
ed artisti.
Molto religiosi (di entram-
bi è stato avviato recentemente
il processo di beatificazione), non
avendo figli avevano deciso di desti-
nare le loro consistenti sostanze a van-
taggio di opere sociali e caritative. A
questo scopo fondarono un’istituzione,
l’Opera Pia Barolo, tuttora esistente,
con sede in questo palazzo.
Sin dal 1832, insieme al marito, la
Marchesa istituì nel suo palazzo
una scuola gratuita e una mensa per
i poveri: si servivano 250 minestre al
giorno; alla domenica si aggiunge-
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3.2 Page 22

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INVITO A VALDOCCO
va un piatto di carne e legumi e, al
lunedì, dodici poveri venivano ser-
viti a mensa dalla stessa marchesa.
D’inverno, poi, ad ognuno veniva
distribuita legna sufficiente per tutta
la settimana. La nobildonna, inoltre,
si occupava personalmente dei mala-
ti dispensando medicinali, curandoli
come infermiera e visitando i più gra-
vi nelle loro povere case.
In questi ambienti don Bosco ebbe
modo di stringere amicizia con Silvio
Pellico che dal 1834, reduce da dieci
anni di carcere allo Spielberg, era bi-
bliotecario e segretario personale della
marchesa. Il noto patriota e scrittore
comporrà per i ragazzi dell’Oratorio
il testo di alcune canzoncine sacre.
3. Al Rifugio
Via Cottolengo, 26
Nel 1821, la Marchesa aveva
fatto costruire a Valdocco il
Rifugio, un centro che acco-
glieva 250 ragazze traviate e
offriva loro, in un ambiente
opportunamente attrezzato,
istruzione, avviamento al lavoro, for-
mazione religiosa e la possibilità di ria-
bilitarsi ed inserirsi onorevolmente nel-
la società. Il Cafasso presentò il giovane
don Bosco al teologo Borel direttore
spirituale del Rifugio, per affiancarlo.
La marchesa aveva messo a di-
sposizione qualche localino e in più
aveva adattato una stanza a cappella.
Subito i ragazzi avevano stipato quei
locali e tutte le adiacenze dando alla
sede il nome di Oratorio. Un Orato-
rio povero ma rumoroso.
Nel contempo don Bosco era diventa-
to «cappellano» del Rifugio stesso alle
dipendenze della marchesa.
4. All’Ospedaletto di santa Filomena
Via Cottolengo, 24
Gli ambienti concessi dalla marchesa si trovavano
nella parte già ultimata dell’Ospedaletto di santa
Filomena, al terzo piano, dove ella aveva intenzio-
ne di radunare in comunità i sacerdoti che assiste-
vano spiritualmente le sue varie opere. L’edificio
si trova a metà del vicolo che dal portone di via
Un nome che è un programma!
Proprio qui, l’8 dicembre 1844, avviene qualcosa di importante:
l’Oratorio viene battezzato. Si chiamerà Oratorio di san Francesco di Sales.
«Là era il sito scelto dalla Divina Provvidenza per la prima chiesa dell’Orato-
rio. Esso cominciò a chiamarsi di s. Francesco di Sales per due ragioni: 1° perché
la marchesa Barolo aveva in animo di fondare una Congregazione di preti sotto a
questo titolo, e con questa intenzione aveva fatto eseguire il dipinto di questo Santo
che tuttora si rimira all’entrata del medesimo locale; 2° perché la parte di quel no-
stro ministero esigendo grande calma e mansuetudine, ci eravamo messi sotto alla
protezione di questo Santo, affinché ci ottenesse da Dio la grazia di poterlo imitare
nella sua straordinaria mansuetudine» (MO 132-133).
Cottolengo n. 22 porta al monaste-
ro delle Maddalene. Una porticina,
oggi murata, ma ancora visibile,
serviva da accesso indipendente alla
scala che conduce al terzo piano.
Ma le stanze dell’Ospedaletto servi-
vano alle opere della Marchesa e don
Bosco dovette trasferire il suo Orato-
rio. Il problema era: dove andare?
22
Aprile 2013

3.3 Page 23

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5. Al Cimitero degli impiccati
Via san Pietro in Vincoli
In altre parole, era un Oratorio
vagabondo. Quel continuo tra-
smigrare era senza meno un fasti-
dio. Ma nessuno se ne faceva un
dramma. Al contrario era vissuto
con allegria e sovente si traduceva
persino in commedia e farsa. I gio-
vani e don Bosco prendevano in giro
qualche poco se stessi e qualche al-
tro poco coloro che li cacciavano via.
Così inventarono un genere nuovo di
«gioco teatrale» creativo e spontaneo,
radicato nelle cronache quotidiane.
Fu l’inizio di una tradizione scenica
felice che si sarebbe man mano svi-
luppata negli anni. Il bandolo risale al
25 maggio 1845.
Don Bosco e la sua truppa vennero a
giocare presso il loggiato cimiteriale
di san Pietro in Vincoli, detto anche
il “Cimitero degli Impiccati”, perché
anticamente qui venivano sepolti i
condannati a morte, a nord degli edi-
fici recentemente fondati dal canoni-
co Giuseppe B. Cottolengo. La chie-
sina annessa era officiata da un certo
teologo Tesio, la cui perpetua reagì
in malo modo allo schiamazzo che
tra l’altro disturbava le sue galline. Il
Tesio sopraggiunse di rincalzo e con
spiacevole scenata cacciò via don Bo-
sco. La ragioneria o giunta municipa-
le sancì quello sfratto e don Bosco do-
vette andarsi a cercare un’altra sede.
6. Ai Molassi
Via Andrea Pisano, 6
La trovò nel rione Balón a sud
del Cottolengo dove c’erano
certi «Mulini Dora» di pro-
prietà municipale, popolar-
mente detti «I Molassi». Dal
marchese Michele di Cavour
(padre del conte Camillo), che allora
era «vicario di città» ossia sindaco, fu
autorizzato a «servirsi della cappella
dei mulini per catechizzare i ragazzi
dal mezzodì sino alle ore tre, con che
non sia lecito ai medesimi ragazzi di
introdursi nel secondo cortile del fab-
bricato né recare impedimento alla
celebrazione della messa per il per-
sonale ne’ giorni festivi».
Tra la brusca cacciata dal sito di pri-
ma e la diffidente accoglienza nel sito
di poi c’era di che irritarsi. Ma don
Bosco non si irritò. Don Borel la pre-
se con humour e, riferendosi al gros-
solano equivoco dialettale per cui san
Pietro in Vincoli (in piemontese san
Pe’d’ij Vincoj) veniva chiamato san
Pe’d’ij Coj (san Pietro dei cavoli), fece
un famoso discorsetto sui «cavoli che
solo quando vengono trapiantati fan-
no buona testa». E non finì lì. Don
Bosco combinò insieme con i giova-
notti più grandicelli una satira sceni-
ca molto sentita e gustosa che a sera
«venne rappresentata nel cortile de’
mulini al cospetto di tutti i ragazzi
che di cuore – dicono le Memorie – ri-
devano ai frizzi di colui che sosteneva
la parte buffa...».
Il ragazzino pallido
Presso i Molini di città, in settembre, don Bosco fece uno degli incontri fondamentali della sua vita. I ragazzi
si spingevano davanti a lui per ricevere una medaglia. In disparte c’era un ragazzetto pallido, 8 anni e una
larga fascia nera al braccio sinistro. Da due mesi gli era morto il papà. Non gli andava di ficcarsi nel mucchio,
di spingere per farsi largo. Le medaglie finirono, e lui rimase senza. Allora don Bosco si avvicinò, e sorridendo
gli disse: «Prendi, Michelino, prendi». Prendere che cosa? Quel prete strano, che vedeva quel giorno per la
prima volta, non gli dava niente. Soltanto gli tendeva la mano sinistra, e con la destra faceva finta di ta-
gliarla in due. Il ragazzetto alzò gli occhi interrogativi. E il prete gli disse: «Noi due faremo tutto a metà».
Che cosa vide don Bosco in quel momento? Non lo disse mai, ma quel ragazzo diventerà il suo braccio destro, il suo primo successore
a capo della Congregazione Salesiana.
Non durò a lungo però nemmeno l’Oratorio dei «Molassi».
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3.4 Page 24

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INVITO A VALDOCCO
7. A casa Moretta
Piazza Maria Ausiliatrice, 15/A (Chiesa succursale)
Così don Bosco si ritrovò in
mezzo alla strada con i suoi
trecento e più ragazzi. Prov-
visoriamente un amico pre-
te, di cognome Moretta, gli
mise a disposizione la sua
casa. Qui, in tre stanzette «in quello
stesso inverno abbiamo cominciato
le scuole serali. Era la prima volta
che nei nostri paesi parlavasi di tal
genere di scuole; perciò se ne fece
gran rumore, alcuni in favore, altri
in avverso».
Ma anche qui la permanenza durò
solo da dicembre 1845 ad aprile 1846.
Le lamentele dei coinquilini dello
stabile «storditi dagli schiamazzi, dal
continuo rumore dell’andare e venire
dei miei ragazzi, dichiaravano che se
ne sarebbero andati tutti se non cessa-
vamo immediatamente le nostre riu-
nioni» ricorda don Bosco.
Bisognò sloggiare anche da quella
casa.
8. Solo un prato
Via Cigna, angolo Via Maria Ausiliatrice
A don Bosco rimaneva il pra-
to affittato dai fratelli Fi-
lippi, lontano solo cinquan-
ta passi. Ogni domenica si
rincorrevano e si sbizzar-
rivano trecento ragazzi. In
un angolo, seduto su una panca, don
Bosco confessava.
Ma anche qui durò poco. I fratel-
li Filippi chiedono a don Bosco di
andarsene: «I suoi ragazzi, mi dice-
vano, calpestando ripetutamente il
nostro prato faranno perdere fino la
radice dell’erba. Noi siamo conten-
ti di condonarle la pigione scaduta
purché entro a quindici giorni ci
dia libero il nostro prato. Maggior
dilazione non le possiamo conce-
dere».
E adesso?
Don Bosco è matto!
Don Borel e gli altri: «Per non esporci a perdere tutto è meglio salvare qualche cosa. Lasciamo in libertà tutti gli attuali giovanet-
ti, riteniamone soltanto una ventina dei più piccoli. Mentre continueremo ad istruire costoro nel Catechismo, Dio ci aprirà la via
e l’opportunità di fare di più». Loro risposi: «Non occorre aspettare altra opportunità, il sito è preparato, vi è un cortile spazioso,
una casa con molti fanciulli, porticato, Chiesa, preti, chierici, tutto ai nostri cenni».
«Ma dove sono queste cose?» chiede don Borel.
«Io non so dire dove siano, ma esistono certamente e sono per noi».
Allora don Borel dando in copioso pianto, povero D. Bosco, esclamò, gli è dato la volta al cervello.
Dal cuore di don Bosco si alzò solo una preghiera:
«Mio Dio, perché non mi fate palese il luogo in cui volete che io raccolga questi fanciulli?»
Naturalmente Dio ci pensò.
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Aprile 2013

3.5 Page 25

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AQNUNESOTDAEÈLLA FVEITDAE GIOVANE
TDONINAOLBLEARSTCKOANBI UGE - CONGOLESE, MISSIONARIO IN BURKINA FASO
Un africano...
missionario
in Africa
Avevo deciso di scommettere la mia
vita per servire i bambini del mondo
che soffrono. Così ha avuto inizio la
mia vocazione missionaria
«Originario della Re-
pubblica Democra-
tica del Congo, so-
no nato in una fa-
miglia cattolica. Ho
incontrato Gesù per
l’iniziativa di mia madre. Un giorno,
mentre stavo camminando di fronte a
una chiesa, mia madre mi disse: “Fi-
glio mio, andiamo a salutare Gesù in
Chiesa”. Non capivo niente; entrato in
chiesa, l’ho vista inginocchiarsi e fare
il segno della croce. Questo gesto mi
ha molto marcato, ed è da quel mo-
mento che cominciai a sentire la pre-
senza di Dio nella mia vita.
Il periodo tra il 1990 e il 1992 è stato
un momento molto difficile. Nel mio
Paese molti bambini sono stati tro-
vati abbandonati. Incontrando questi
bambini per la strada, nel mio cuore
son cominciate a sorgere alcune do-
mande: «Perché questi bambini sof-
frono? Sono forse stati abbandonati
da Gesù?» La parola di Gesù tornò
nel profondo del mio cuore: “Tutto
quello che fate ad uno di questi picco-
li che sono i miei fratelli, l’avete fatto
a me” (Matteo 25,40).
Avevo deciso di scommettere la mia
vita per servire i bambini del mondo
che soffrono. Così ha avuto inizio la
mia vocazione missionaria.
Durante gli studi di filosofia ho scrit-
to al Rettor Maggiore: don Vecchi ha
accettato la mia domanda e mi ha in-
viato all’Ispettoria Africa francofona
occidentale (AFO), che è costituita da
7 Paesi. Ho lavorato in Togo per due
anni durante il mio tirocinio. Dopo
l’ordinazione sacerdotale sono stato
responsabile della casa dei bambini in
difficoltà e di pastorale giovanile ad
Abidjan, Costa d’Avorio. Dal 2010
mi trovo a Ouagadougou, Burkina
Faso, tra i bambini di Belleville, dove
stiamo avviando una nuova presenza
salesiana.
Lungo questo cammino missiona-
rio, ho incontrato varie difficoltà
che fanno parte di questa gioia di
annunciare Gesù: ho avuto difficol-
tà nell’adattarmi sia per la lingua sia
per il clima.
Ma la mia più grande gioia è sta-
ta incontrare i fratelli e le sorelle
dell’Africa occidentale, che sono mol-
to sensibili ad un africano che è un
missionario in Africa. Sono rimasto
colpito dalla testimonianza di alcuni
che si esprimevano con parole simili:
«Tu sei africano e tu lasci il tuo Paese,
i tuoi genitori, i tuoi amici e vieni per
rimanere, per vivere con noi. Facendo
questo tu sei davvero nostro fratello e
figlio. Non avere paura noi siamo con
te in questa missione che Dio ti affida
in mezzo a noi».
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3.6 Page 26

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ARTE SALESIANA
NATALE MAFFIOLI
Il pittore amico
di don Bosco
Enrico Reffo e la basilica
di Maria Ausiliatrice
Certamente il pittore Enrico
Reffo ebbe tutto l’agio di co-
noscere don Bosco; era nato
nel 1831 e la familiarità con
il nostro è testimoniata da
un bel ritratto (realizzato con
l’ausilio della memoria perché datato
1909), che fu preceduto da un disegno
preparatorio. Nel 1880-81 don Bosco
gli aveva commissionato la parte più
significativa delle pitture per la nuova
chiesa di San Giovanni Evangelista,
allora posta ai margini della città e
prospiciente via del Re (l’attuale cor-
so Vittorio Emanuele II). Per il suo
coinvolgimento nella basilica di Ma-
ria Ausiliatrice bisognerà aspettare i
primi anni novanta dell’Ottocento.
All’indomani della morte di don
Bosco, don Michele Rua, suo primo
successore, si diede d’impegno a de-
corare la basilica (allora non ancora
insignita di questo titolo) di Maria
Ausiliatrice. Le pareti interne della
chiesa erano come l’aveva lasciata don
Bosco, povere di decorazioni impor-
tanti e gli altari erano corredati dalle
pale circondate da una semplice cor-
nice in stucco e da decorazioni dipinte
sul muro. Per renderla più decorosa e
idonea all’accresciuta devozione, don
Rua, e i salesiani con lui decisero di
investire in opere di abbellimento.
Si cominciò con il commissionare al
pittore Giuseppe Rollini la decorazio-
ne della superficie interna della cupo-
la della basilica. Per don Rua si tratta-
va di tener fede ad un voto formulato
in occasione della ricerca di una sepol-
tura in casa salesiana del corpo di don
Bosco. Con questa impresa decise an-
che di ampliare il cantiere e di abbel-
lire tutto l’interno della chiesa: si de-
corarono le grandi lesene con stucchi
e si creò una nuova cornice marmorea
all’altare di san Giuseppe e si rifece,
per intero, l’altare maggiore.
Il progetto della macchina marmorea
che doveva ospitare la pala dell’Au-
siliatrice fu affidato all’architetto
Crescentino Caselli (1849-1931) (lo
stesso che preparerà i disegni dell’I-
stituto di Riposo per la Vecchiaia,
usualmente denominato i Poveri Vec-
chi, e del municipio di Cagliari). Per
realizzare la volontà di don Rua furo-
no chiamati scultori, come Giacomo
Ginotti (1845-1897), e pittori come
Enrico Reffo.
Al Reffo i Salesiani commissionarono
i cartoni con raffigurato l’Eterno Pa-
dre, per il timpano al culmine dell’al-
tare del Caselli e i due angioletti da
mettere nel triangolo di risulta della
pala, opere queste da tradursi in mo-
saico. Questi stessi elementi furono
A sinistra: Ritratto di don Bosco. Enrico Reffo
lo conosceva bene. Sotto: Mosaico del timpano
dell’altare maggiore. Il disegno è del Reffo.
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Aprile 2013

3.7 Page 27

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ARTISTA DEL SACRO
Enrico Reffo era nato a Torino nel 1831; iniziò a lavorare come gioielliere ma, nel poco
tempo libero, seguiva le lezioni di pittura da Gaetano Ferri (1822-1896) all’Accademia Al-
bertina. Uscito per miracolo da una malattia gravissima, fece voto che avrebbe dedicato la
sua attività di artista per dipingere quadri a soggetto sacro. A soli 25 anni terminò gli studi
all’Accademia e aprì un primo studio in città, in via dei Mercanti, passò poi ad un secondo,
più ampio ambiente in via Carlo Alberto. Infine, grazie anche al fratello Eugenio, braccio
destro di san Leonardo Murialdo, si installò in un locale del Collegio degli Artigianelli di
via Palestro, sempre a Torino. Nel collegio vi rimase per oltre sessant’anni insegnando
disegno, pittura e scultura e approntando tele per numerose chiese piemontesi e cartoni
per cicli di affreschi.
Per i salesiani, oltre le opere per il san Giovanni Evangelista e per Maria Ausiliatrice realizzò
alcune tele per la chiesa del Collegio di Valsalice. L’opera sua più completa e impegnativa è la
decorazione della chiesa di San Dalmazzo in via Garibaldi a Torino. Morì il 16 luglio del 1917.
Pala dei martiri Avventore, Solutore e Ottavio.
La composizione è inconsueta, i tre martiri sono
ritti sulle nubi, i due ai lati reggono le palme
del martirio, quello di centro tiene spiegata una
bandiera bianca con una croce rossa, segno della
loro fede e dello stemma sabaudo.
successivamente staccati e riutilizzati
nel successivo nuovo altare su disegni
di Giulio Valotti.
In quell’occasione si mutarono an-
che i titolari di due altari: quello
un tempo dedicato ai Sacri Cuori
di Gesù e di Maria ospitò la devo-
zione a san Francesco di Sales, e il
primo a destra, entrando in basilica,
da don Bosco intitolato a sant’Anna
(attualmente è dedicato a santa Ma-
ria Domenica Mazzarello), ospitò i
santi torinesi Avventore, Solutore e
Ottavio. Fu per questo che il Reffo
approntò, nel 1893, una nuova pala:
la composizione è inconsueta, i tre
martiri, rivestiti come soldati roma-
ni, sono affiancati e ritti sulle nubi,
i due estremi reggono le palme del
martirio, mentre quello centrale tiene
spiegata una bandiera bianca con una
croce rossa, certamente segno della
loro fede, ma pure memoria dello
stemma sabaudo. Nello squarcio tra
le nubi, dominato da una luminosa
croce bianca, si può intravedere una
visione della città di Torino, lì posta
a richiamare la protezione dei marti-
ri sulla loro città; in basso a destra si
intravedono una parte della facciata
e la cupola di Maria Ausiliatrice. È
curioso che i volti dei tre martiri non
siano per nulla idealizzati ma abbia-
no dei tratti realistici, quasi fossero
modelli utilizzati dal Reffo.
Il pittore dipinse pure, sulle pareti la-
terali, in alto, quasi a livello dell’im-
posta della volta, due scene (attual-
mente non visibili perché occultate
dalle due tele del Crida e portate
alla luce durante gli ultimi restauri)
che narrano le estreme vicende dei
tre santi: la prima raffigura il mar-
tirio di Avventore e Ottavio mentre
Solutore sta sfuggendo ai carnefici.
È interessante notare come il pitto-
re, per rendere più veridica la scena,
abbia raffigurato come fondale l’im-
bocco della valle di Susa: si ricono-
scono il monte Musinè, la becca su
cui sorgerà la Sacra di San Michele
e, in lontananza, il Rocciamelone.
La seconda rappresenta il funerale di
Solutore, ucciso nel Canavese dove si
era rifugiato: il feretro, trasportato
su un carro, è seguito dalla matrona
Giuliana.
Progetti e realizzazioni di angeli: un soggetto che piaceva molto al pittore.
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3.8 Page 28

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LE CASE DI DON BOSCO
ETTORE GUERRA
Don Bosco a Treviglio
120 anni di storia e di
educazione... e siamo all’inizio
Treviglio è una cittadina di circa 30 000
abitanti in Lombardia, nella provincia di
Bergamo, vicino al fiume Adda.
La città vanta una lunga tradizione per
la produzione agricola e per l’industria.
E anche per una magnifica scuola salesiana.
T utto cominciò da una viva preoccupa-
zione e da una lettera. Fu il canonico
don Francesco Rainoni, grande devoto
di san Francesco di Sales, rettore del
Santuario della Madonna delle Lacri-
me, che condusse le trattative sin dal
1887 prima con don Bosco stesso e, in seguito,
con il suo primo successore don Michele Rua.
Nella lettera del 1887 indirizzata al Santo, e che
può essere considerata la magna charta della casa
salesiana, don Rainoni così si esprime: uno de’
miei voti più ardenti per bene di questa Parrocchia
è l’apertura di una Casa di Salesiani a vantaggio
della gioventù (…) i bisogni di questa popolatissima
parrocchia specialmente per ciò che riguarda la gio-
ventù maschile.
Da parte di don Bosco non vi fu subito una presa
di posizione, si cercava di prendere tempo a mo-
tivo della mancanza di personale salesiano, ma
si lasciava anche aperto uno spiraglio di speran-
za. Così nell’anno scolastico 1888/1889 si diede
inizio alle due classi elementari che avrebbero
dovuto essere appunto consegnate ai salesia-
ni ma che, nell’attesa, venivano poste sotto la
responsabilità diretta di don Rainoni e di due
maestri incaricati. Successivamente alla scuola
venne affiancata la gestione di un oratorio festivo
della città di Treviglio e formalizzata a don Rua
una convenzione che venne accettata. Don Rua
decide così di inviare: un sacerdote come direttore
e due maestri, uno dei quali è munito di patente di
grado superiore.
Finalmente il 14 ottobre 1892, dopo cinque anni
di trattative serrate, don Rua invia a Treviglio
don Felice Cottrino accompagnato da due chieri-
ci: Felice Razzoli e Francesco Martini.
La piccola comitiva, accompagnata dall’Econo-
mo Generale don Antonio Sala, venne accolta
con entusiamo dai trevigliesi presso il santuario
della Madonna delle Lacrime appunto il 14 ot-
tobre 1892: Mons Prevosto diede loro il benvenuto
e raccomandò alla popolazione la nuova opera della
Scuola Parrocchiale, esortando i genitori a mandare
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Aprile 2013

3.9 Page 29

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DON ELIA COMINI
i figliuoli all’Oratorio Festivo. I tre si stabilirono,
in situazione di piena povertà, in via Zanda 6 e
poterono dare inizio al loro apostolato. L’Opera
Salesiana poteva radicarsi nella più genuina sa-
lesianità.
Si comincia a crescere
Un exallievo salesiano dell’epoca testimonia come,
sin dagli inizi, l’attività dei salesiani in via Zanda
incontra una grande accoglienza da parte della
gioventù trevigliese: Fin dalle prime feste affluiro-
no numerosi uomini, giovani, ragazzi attirati dalla
bontà squisita di Don Cottrino che aveva per tutti
una dolce parola, un sorriso; dalle giovani energie di
Razzoli e Martini, che giocavano a palla avvelenata
coi ragazzi….
La sede di via Zanda tuttavia rivelava ogni giorno
di più la sua insufficienza. Maturò così in don
Rainoni l’idea di fondare: un collegio che, oltre le
elementari, avesse anche il ginnasio perché coloro che
avevano finito le elementari non dovessero andar
fuori Treviglio a fare il ginnasio. La realizzazione
di questa intuizione trovò un’accelerazione deci-
siva grazie alla visita di mons. Giovanni Cagliero,
primo vescovo e poi cardinale salesiano, che in
modo diretto e senza giri di parole invitava tutti
a rompere gli indugi, ad individuare una nuova
e più ampia sede così da poter proseguire nello
sviluppo del progetto.
Venne così individuata, nelle immediate vicinan-
ze, la chiesa di san Carlo dove i fratelli Rainoni
possedevano un cascinale di proprietà.
In questa nuova sede si progetta e si realizza un
edificio ampio e funzionale. Scriverà don Rai-
noni a don Rua nel 1895: Questa casa è evidente-
mente benedetta da Dio e noi tutti e Prevosto e Clero
e Cooperatori siamo mille volte grati a Vossignoria
dell’insigne favore della preferenza data a Treviglio
cedendo alle nostre istanze per avere tra noi i figli
di Don Bosco. L’opera è progredita sopra le speranze,
le domande al Collegio si succedono, il numero degli
esterni è stragrande.
Salesiano e martire
Don Elia Comini fu sacerdote ed inse-
gnante, apostolo ed educatore di gio-
vani, nelle scuole salesiane di Chiari e
di Treviglio. Incarnò particolarmente la
carità pastorale di don Bosco e i tratti
dell’amorevolezza salesiana, che tra-
smetteva ai giovani attraverso il caratte-
re affabile, la bontà e il sorriso.
Nell’estate del 1944 si recò a Salva-
ro per assistere l’anziana madre e per
aiutare monsignor Mellini. La zona era
diventata epicentro di guerra tra alleati,
partigiani e tedeschi, fra il terrore del-
la popolazione e la devastazione pressoché totale. I salvaresi e gli sfollati di
quelle località si videro sempre don Elia accanto, pronto per le confessioni,
zelante nella predicazione, abile a sfruttare le sue doti di buon musicista per
rendere più liete le funzioni sacre.
Assieme al dehoniano padre Martino Capelli visita e soccorre i rastrellati e i
rifugiati, medica i feriti, seppellisce i morti, mette pace fra la popolazione, i
tedeschi e i partigiani, spesso anche a rischio della propria vita. Nella parroc-
chia di Salvaro, piena di clandestini rifugiati, giunse la notizia che, in seguito
a uno scontro con i partigiani, le terribili SS avevano catturato 69 persone, tra
le quali c’erano ormai dei moribondi bisognosi di conforto.
Don Elia e padre Martino sotto il fuoco nemico prendono gli Olii Santi e si
incamminano. Vengono catturati, perché considerati spie dei partigiani, e co-
stretti a lavorare duramente. Furono messi insieme con altri ostaggi in una
scuderia. Don Elia, con eroica carità pastorale, rifiutò la libertà che gli venne
proposta per stare vicino agli altri prigionieri.
Disse: “O ci liberano tutti o nessuno!”. Vennero processati ed accusati in-
giustamente. Prima della fucilazione don Elia e padre Martino, come già
monsignor Versiglia e don Caravario, si confessarono a vicenda. Poi don Elia
pronunciò a voce alta l’assoluzione per gli altri ostaggi, che risposero con un
segno di croce. La sua salma venne poi dispersa nel fiume Reno.
Aprile 2013
29

3.10 Page 30

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LE CASE DI DON BOSCO
Il “Centro don
Bosco” di Treviglio
racchiude 120
anni di carisma
educativo
salesiano di alta
qualità didattica e
professionale.
La frontiera scuola
e un nuovo grande edificio
Dalle origini ad oggi si sono sviluppate 120
tappe di un cammino che ha visto sempre al
centro la fedeltà al carisma educativo salesia-
no tradotto soprattutto con la dimensione dei
percorsi scolastici. I salesiani a Treviglio hanno
testimoniato grazie e attraverso la scuola l’ori-
ginalità e la continua novità dello stile educa-
tivo di don Bosco. La grammatica del Sistema
Preventivo è stata tradotta dalla vita di molti
salesiani e laici che hanno fatto dell’insegna-
mento e, soprattutto, dell’accompagnamento
della vita dei giovani loro affidati, la frontiera e
il campo della dedizione del loro lavoro. L’Ora-
torio cittadino ha visto esaurirsi il suo percorso,
a motivo dei cambiamenti della realtà ecclesiale
cittadina ed anche a motivo della forte diminu-
zione delle vocazioni alla vita religiosa. Oggi è
la frontiera della scuola la missione dei salesiani
di Treviglio.
Oggi 1255 giovani sono il presente di un flusso
di storia di educazione, di scuola, di formazione.
La storia dei percorsi scolastici per il Centro Sa-
lesiano di Treviglio è soprattutto storia di investi-
mento educativo. In questi 120 anni è soprattutto
il flusso vitale del carisma educativo salesiano che
ha dato qualità a tutta la dimensione didattica e
professionale. Nella vita spesa e dedita di molti
salesiani e laici, nel loro fare scuola si è tradotto
ciò che don Bosco ha vissuto, insegnato e soprat-
tutto consegnato ai salesiani con la sua vita e la
sua storia.
Oggi Treviglio è la Scuola Primaria, la Scuola
Secondaria di Primo Grado, il Liceo Classico, il
Liceo Scientifico, l’Istituto Tecnico Costruzioni
Ambiente e Territorio, l’Istituto Professionale
per i Servizi Commerciali. Tutto questo è vita
vissuta di educazione quotidiana, frontiera es-
senziale per la nostra cultura e la nostra società
civile.
Come ha affermato in modo molto incisivo il
Santo Padre nell’ultimo messaggio per la Gior-
nata Mondiale della Pace 2012: L’educazione è
l’avventura più affascinante e difficile della vita. Per
questo sono più che mai necessari autentici testimoni,
e non meri dispensatori di regole e di informazioni;
testimoni che sappiano vedere più lontano degli al-
tri, perché la loro vita abbraccia spazi più ampi. Il
testimone è colui che vive per primo il cammino che
propone.
Per noi tutto questo si traduce in una nuova ri-
partenza significata anche da un investimen-
to economico rilevante e innovativo, non senza
presenza di rischio, di temerarietà e soprattutto
di fiducia nella Provvidenza. Abbiamo voluto
rispondere alle tante sfide di questo tempo con
l’inaugurazione del nuovo grande edificio che
ospiterà circa 700 allievi della Scuola Secondaria
di Secondo Grado.
Un nuovo edificio che è una nuova scommessa di
futuro in un momento, come il nostro, in cui la
direzione delle scelte non si orienta sull’investi-
mento nei giovani, dove la precarietà e la difficol-
tà a praticare la progettualità sembrano definire i
passi del vivere quotidiano.
30
Aprile 2013

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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Il sito del Bollettino
tutto nuovo!
Anche per
smartphone
e Ipad
In una grafica chiara
ed elegante potete trovare tutti
i Bollettini Salesiani dal primo
numero a quello del mese
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riguardano il mondo salesiano che giungeranno
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degli appartenenti alla Famiglia Salesiana che
giungeranno in redazione)
• Recensioni (NOVITÀ: libri che parlano della
Congregazione salesiana o che sono scritti da
appartenenti alla Famiglia Salesiana [exallievi,
cooperatori, sacerdoti, fma, ecc. ecc.)
I BS nel mondo
NOVITÀ: Sono elencate tutte le redazioni con
indirizzi e le lingue di pubblicazione
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4.2 Page 32

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Le tredici mosse dell’arte di educare
Aspettare
Siamo alla terza mossa dell’ar-
te di educare: ‘seminare’ è la
mossa di partenza; ‘tifare’
è la mossa che incoraggia a
crescere; ‘aspettare’ è la di-
sposizione all’attesa dei frutti
nel figlio per non scardinare tutto in
partenza.
Ecco perché il verbo ‘aspettare’ entra
di diritto nel vocabolario pedagogico.
Eppure, oggi, ‘aspettare’ è un verbo
che proprio non piace.
La velocità, la corsa ci sono entrate
nelle vene.
Lavoriamo, mangiamo, guadagnia-
mo e spendiamo talmente di corsa
che tutto ci scorre addosso senza sa-
pore, senza lasciare traccia.
Il guaio è che l’ossessione della ve-
locità la riversiamo anche sui nostri
bambini.
A tre anni devono leggere, a quattro
ballare, a cinque suonare, a sei can-
tare, e poi vi è il corso di inglese, di
judo, di karatè…
Per favore, diamoci una calmata!
Basta con i piccoli che soffrono di in-
gorgo psichico!
Acceleriamo il servizio postale ed i
treni, non i bambini!
Il pedagogista si domanda: che cosa
vi è dietro a tanta voglia di accelerare?
Ecco: alla base di tanta accelerazione
stanno almeno due ragioni.
La prima: l’idea che l’infanzia sia
un periodo inutile della vita e quindi
un’età da scavalcare il più presto pos-
sibile.
Non c’è sbaglio più grave!
Essere (non diciamo ‘restare’!) bambi-
no non è tempo perso!
Anzi, proprio l’infanzia è il periodo
più decisivo della vita.
Ormai questo è un principio accettato
da tutti: il bambino è il padre dell’uo-
mo!
Se hai piantato un cardo, non aspettarti
che nasca un gelsomino, recita il pro-
verbio.
La seconda: idea sbagliata che sta
alla base della mania di accelerare il
bambino è pensare che ‘partire’ prima
significhi ‘arrivare’ prima.
Il che è tutto da dimostrare.
Anche nelle corse chi parte per primo
non necessariamente arriva primo al
traguardo.
Se il piccolo inizia a tre anni a suona-
re il pianoforte, non è per nulla scon-
tato che sarà un grande pianista!
Dunque stracciamo quello che viene
chiamato il ‘complesso di Mozart’.
Mozart (1756-1791) era un bambino
prodigio, che a cinque anni già com-
poneva sinfonie.
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Aprile 2013

4.3 Page 33

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CITAZIONI D’AUTORE
Diamoci una calmata! Ritorniamo
intelligenti: troppi corsi non servono!
Dunque smettiamo di scorazzare tut-
to il giorno di qua e di là per portare
e per riprendere il figlio a scuola di
danza, di nuoto, di calcio…
I genitori taxi sono una sventura per i
figli come i ‘genitori-turbo’ che hanno
il ‘complesso dell’acceleratore’.
Lo scrittore cecoslovacco Franz Kaf-
ka (1883-1924) ci ha regalato un’im-
magine bellissima: “Lasciate dormire il
futuro. Se lo svegliate, prima del tempo,
otterrete un presente assonnato!.
Otterrete un bambino triste oggi e un
adulto povero domani.
I fiori artificiali si fanno in un giorno,
ma restano sempre senza profumo.
“Se amassimo davvero i nostri figli, non li costringeremmo a passare le giornate tra scuo-
la, piscina, lezioni di piano o di violino, palestre, corsi di computer con il solo scopo di
annichilirli” (Paolo Crepet, psichiatra).
“Il periodo che va da zero a sei anni è fatto di settanta mesi in confronto dei settanta anni
che generalmente costituiscono un’esistenza.
Ebbene, un’ora di quei mesi vale quanto un giorno dell’altro periodo della vita.
Durante quei settanta mesi scorre, praticamente, tutta l’acqua dell’esistenza” (Arnold Ge-
sel, psicologo statunitense, 1880-1951).
“Badate bene che i vostri figli stanno combattendo una battaglia quasi disperata… Non
c’è niente o quasi niente che vada bene per un bambino nel mondo d’oggi” (Marcello
Bernardi, pediatra, 1922-2001).
Roberto Ossicini, docente universita-
rio, nota che oggi abbiamo “bambini
fin troppo sviluppati sul piano intellet-
tivo, relazionale e straordinariamente
immaturi su quello affettivo… Bambini
a forte rischio di manie ossessive, depres-
sioni, malattie psicosomatiche che una
volta non intaccavano l’infanzia.
Non la intaccavano perché il bambi-
no poteva essere bambino, vivere da
bambino.
Vien da non credere (eppure il fatto
è reale): un piccolo di nove anni alla
domanda della Maestra: “Cosa farai da
grande?, ha risposto: “Da grande mi
riposo!.
È lecito?
Oggi al bambino succede tutto trop-
po presto.
Troppo presto assistono a scene di
violenza, troppo presto vedono scene
erotiche.
Hanno tre anni o poco più, e davanti ai
loro occhi è già passato di tutto. Nella loro
mente si è depositato di tutto: le siringhe
nei parchi, gli incidenti per la strada, le
piaghe dell’AIDS sul viso di un ragaz-
zo. Hanno visto la vita. Hanno visto la
morte, chi si sfoga in questi termini
è la psicologa Anna Maria Battistin.
Che ne dite?
È lecito sbattere tutto in faccia ai pic-
coli in modo così brutale?
È vero che oggi vi sono alcuni che
pensano che non si deve nascondere
nulla, né il proprio corpo, né la pro-
pria anima. Ma è un dato di fatto che
i bambini si sentono feriti nella loro
sensibilità, nei loro sentimenti.
I primi sei anni
da mamma e da papà
Libro importante come è importante l’argomento trattato.
Tutti concordano: la maturità psicologica raggiunta nei primi sei anni
è prodigiosa! Il bambino impara l’80% di quanto gli servirà nella vita.
Libro necessario: diventare genitori
non è obbligatorio, ma se uno lo di-
venta deve darsi una bella regolata! Il
fiuto non basta. È meglio documen-
tarsi!
Libro targato futuro: pensare di
cambiare il mondo senza innaffiare
bambini, è fantasia di cervelli in pie-
no delirio lunare!
Libro accattivante: è introvabile
una pagina sola che culli la sonno-
lenza del lettore!
Aprile 2013
33

4.4 Page 34

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NOI & LORO
ALESSANDRA MASTRODONATO
LA FIGLIA
Sulle tracce
della memoria
In nessun altro momento della vita come
nella fase delladolescenza la memoria riveste
un ruolo così decisivo per la costruzione
dellidentità personale e familiare.
È durante l’adolescenza che ogni individuo,
nella difficile transizione tra il “già” di
un’infanzia che va sgretolandosi e il “non
ancora” di una giovinezza che appena si in-
travede, si accorge di avere una memoria.
La memoria, infatti, non è solo ricordo di
eventi ed esperienze vissute; prima di ogni altra
cosa, è scoperta di un passato che esiste, è coscien-
za di esistere. È tra passato e avvenire che si gioca
il presente e l’adolescenza stessa prende forma nel
momento in cui si comincia ad avere consapevo-
Foto Shtutterstock
lezza del passato e, soprattutto, matura la capacità
di estendere al presente un pezzo di quel passato
– con tutti i sentimenti, le emozioni e i valori che
ad esso sono legati – con la speranza che esso possa
anche alimentare il senso del futuro, il desiderio
dell’avvenire come risposta ai propri progetti.
Ma c’è di più. La memoria non è una facoltà passi-
va. Come ha detto qualcuno, «ricordarsi non signi-
fica soltanto accogliere, ricevere un’immagine dal
passato, ma anche cercarla, “fare” qualche cosa».
Fare memoria è molto più che ricordare. È capaci-
tà di richiamare alla mente, e al cuore, il percorso
di vita finora compiuto; di mettere insieme, come
in un mosaico, i pezzi apparentemente sconnessi e
discordanti di un passato in cui a volte si fatica ad
individuare un senso unitario; di recuperare espe-
rienze positive e legami affettivi, per rinnovarne
nel presente gli aspetti più gratificanti; di istituire
nessi significativi tra presente e passato, in funzio-
ne della costruzione di un’identità armoniosa; di
riconciliarsi con eventuali ricordi sgradevoli, per
evitare che le cicatrici del passato vadano ad incep-
pare il cammino verso la maturità.
Certo, non si tratta di un’impresa di poco con-
to, soprattutto quando i ragazzi portano il peso
di un’infanzia problematica, segnata da situa-
zioni dolorose e magari da gravi inadempienze
da parte degli adulti, che rischiano di rivelarsi
pregiudiziali per la loro crescita. Ma anche in
quest’eventualità, anzi a maggior ragione quan-
do il rapporto con il proprio passato si rivela dif-
ficile e profondamente conflittuale, è essenziale
che gli adolescenti maturino una consapevole
capacità di fare memoria, sfuggendo al rischio
di una rimozione indiscriminata e imparando,
piuttosto, ad isolare i corto-circuiti da bypassare
e a recuperare, invece, al di là di ogni rimpian-
to o nostalgia, quei ricordi positivi che contri-
buiscono a fare della memoria un serbatoio di
energie e di riferimenti significativi, per andare
avanti nel proprio percorso di vita senza replica-
re le povertà e gli errori del passato.
34
Aprile 2013

4.5 Page 35

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MARIANNA PACUCCI
Iragazzi hanno sempre più fretta di vivere il
presente e passano le giornate ad allenarsi a
stare a galla nella modernità liquida o in bi-
lico fra un privato angusto e la paura di do-
ver stare nel mondo, in quel mondo che li
condanna alla solitudine e alla marginalità.
I genitori spesso sono proiettati nell’ansia del
domani (che è cosa diversa dal senso del futuro),
con la preoccupazione di non riuscire ad assicu-
rare ai propri figli uno standard di vita adeguato
alle loro esigenze e magari migliore di quel che
hanno potuto godere finora. I nonni sono ormai
confinati in una memoria silenziosa, resa insi-
gnificante dalla fuga in avanti del tempo, dalle
illusioni dell’innovazione, dalla mobilità che can-
cella i sentimenti dell’appartenenza e promuove il
nomadismo come stile di vita vincente.
Nel mercato delle azioni educative, ricordare non
è più moneta corrente; è un’azione destinata all’in-
curia collettiva o confinata a momenti particolari
di nostalgia. E invece è un verbo che varrebbe la
pena recuperare, perché rende visibile quel che la
famiglia davvero è e la sua forza autentica, insita
nella capacità e nella volontà di raccontarsi per
esprimere la propria verità più profonda, quella
che sfida la contingenza dell’attimo fuggente e
costruisce la speranza dell’eternità.
Il problema non è che cosa ricordare, ma perché
e come fare memoria della storia condivisa che
tiene insieme le generazioni all’interno del nucleo
familiare. Si ha bisogno di ricordare perché si è
convinti dell’assoluta necessità di custodire con
cura i gesti quotidiani dell’amore parentale; per-
ché le gioie e i dolori, i pensieri e i sentimenti,
le sconfitte e le vittorie di ciascun membro della
famiglia riguardano tutti per la loro potenziale
capacità di insegnare a vivere; perché i legami
fra le persone contano più delle singole esperien-
ze realizzate giorno per giorno. La memoria è il
segno che la mente e il cuore funzionano all’uni-
sono nel mettere ordine nel passato e nel salva-
guardare tutto ciò che può dare slancio alle scelte
Riportare
al cuore
Come è difficile per
le famiglie proporre
ai giovanissimi il
ricordo come una
parte fondamentale
della propria identità
e non semplicemente
come un’occhiata
superficiale e
distratta alla soffitta
o alla cantina della
casa!
future; è il luogo della riconciliazione e della pu-
rificazione di intenzioni e di gesti segnati, anche
involontariamente, dall’egoismo e dalle fragilità
individuali.
Nella vita della famiglia è altrettanto importan-
te comprendere e verificare come si formano e si
trasmettono i ricordi. Essi non sono un semplice
accumulo di fatti, ma eventi che formano, rinno-
vano e irrobustiscono le relazioni interpersonali;
territorio comune in cui incontrarsi e volersi bene
in un dialogo che può ormai fare a meno delle
parole; consapevolezza dell’impegno condiviso di
fare manutenzione del passato per rendere sensa-
to il presente.
Ricordare insieme piccoli e grandi cose significa
accogliersi l’un l’altro con rispetto e tenerezza re-
ciproca, sperimentando la gioia della gratitudine
verso chi ha partecipato cordialmente alla storia
della propria famiglia e ha lasciato un’impronta
indelebile nel cuore.
LA MADRE
Aprile 2013
35

4.6 Page 36

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Don Bosco fu salesiano?
Sì, dai 31 anni in poi!
È nota la battuta se don Bosco
sia stato salesiano a no, visto
che il 14 maggio 1862 non ha
fatto la professione religiosa
come i primi salesiani. Ma,
battuta a parte, sembra che si
possa storicamente affermare che don
Bosco in un certo qual modo si è fat-
to “salesiano” molto prima di quella
data, quando aveva cioè 31 anni!
La scelta salesiana
del 1846
Nella primavera avanzata del 1846
la marchesa Barolo, pur convinta
della santità personale del giovane
prete don Bosco – rilevava difatti in
lui “quell’aria di raccoglimento e di
semplicità propria delle anime sante”
– in vista della sua salute compro-
messa dall’eccessivo lavoro, lo mise
di fronte ad una precisa scelta: o sta-
va con lei, o se ne andava per i fat-
ti suoi, lasciando ad altri il posto di
cappellano dell’ospedaletto di Santa
Filomena.
È nota l’immediata risposta di don
Bosco: “Signora marchesa, Ella ha
danaro e con facilità troverà preti
In un nuovo libro la risposta di don Bosco
alle sfide della cultura moderna
quanti ne vuole pe’ suoi istituti. De’
poveri fanciulli non è così. In questo
momento se io mi ritiro, ogni cosa va
in fumo… La mia vita è consacrata
al bene della gioventù. La ringrazio
delle profferte che mi fa, ma non pos-
so allontanarmi dalla via che la divina
Provvidenza mi ha tracciato”.
Religioso salesiano
ante litteram
Dunque prima ancora del novembre
1846 – quando don Bosco si trasferì
definitivamente a casa Pinardi con la
mamma – ci troviamo di fronte ad un
sacerdote diocesano che praticamen-
te si è già fatto “religioso”, ossia uomo
tutto di Dio per una missione speciale.
È infatti un sacerdote di Dio che ac-
cetta anzitutto la povertà radicale. Ap-
pena ordinato prete e anche dopo il
triennio al Convitto, ha infatti rifiu-
tato varie offerte di lavoro pastorale,
legittimamente pagate, all’interno
delle strutture ecclesiastiche. Nel
1846 poi lascia l’impiego presso la
generosissima marchesa, rinunciando
ad un sicuro appoggio umano per se-
guire solo la voce di Dio che lo chia-
ma a servire i suoi giovani. Si fida di
Lui, cui vuole portare i giovani con-
sacrandosi tutto al loro servizio.
È un sacerdote di Dio che coltiva una
castità al di sopra di ogni sospetto, tenu-
to conto che lavora alla periferia della
città, con giovani difficili, vittime ta-
lora di esperienze ambigue o negative
tra compagni e con adulti approfitta-
tori dei più indifesi.
È un sacerdote di Dio che professa ob-
bedienza al suo vescovo mons. Luigi
Fransoni, da cui dipende in tutto e
per tutto, e senza il cui appoggio non
farà mai nulla.
È un sacerdote di Dio che vive un’ar-
dente carità verso i giovani, verso cui
si sente chiamato a spendere tutta la
vita.
È un sacerdote di Dio che intende
lavorare in gruppo-comunità con altri,
giovani e meno giovani, preti e laici.
36
Aprile 2013

4.7 Page 37

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Già salesiano
negli obiettivi
e nel metodo
Formare “onesti cittadini e
buoni cristiani” è da sempre la
sintetica formula delle finalità
dell’Opera Salesiana, tradotta
magari negli ultimi decenni
nella nuova formula “evange-
lizzare educando ed educare
evangelizzando”. Ebbene gli
stessi concetti li troviamo
già nel giovane don Bosco
del 1846. Basta leggere ciò
che scriveva il 13 marzo
di quell’anno al Vicario
di città, marchese Mi-
chele Benso di Cavour: lo scopo del
suo Catechismo era semplicemente
di “raccogliere nei giorni festivi quei
giovani che, abbandonati a se stessi,
non intervengono ad alcuna Chiesa
per l’istruzione, il che si fa prenden-
doli alle buone con parole, promesse,
regali, e simili”. Quanto all’insegna-
mento esso si riduceva a questo: “1º
Amore al lavoro. 2º Frequenza dei
Santi Sacramenti. 3º Rispetto ad
ogni superiorità. 4º Fuga dai cattivi
compagni”.
In trasparenza vi appare già anche
il suo metodo educativo, fondato su
“Ragione, Religione e Amorevolez-
za”. E se la presenza di quest’ultima
fosse debole, basta vedere ciò che scri-
ve a fine agosto 1846, in un momento
di riposo al paese natio, all’amico don
Borel rimasto in città: “ Va bene che
don Trivero si presti per l’Oratorio;
ma stia attento che egli tratta i figliuo-
li con molta energia, e so che alcuni
furono già disgustati. Egli
faccia che l’olio condisca ogni vivanda
del nostro Oratorio”.
Scelta radicale di vita
Già nei primi faticosi tempi dell’Ora-
torio itinerante, don Bosco vive una
forte unione con Dio, alla stregua cioè
di chi vive un’intensa vita interiore
con il suo Dio in mezzo ad un’atti-
vità instancabile (studio a tavolino e
azione, contemplativo dell’azione),
di chi si consacra al lavoro apostolico
generoso, di chi rifiuta il comfort, la
ricerca di consolazione, la gratifica-
zione del successo, di chi accetta tutte
le fatiche (lavoro e temperanza), di
chi sprizza amore all’Eucarestia, alla
Confessione, alla Vergine, al Papa,
insomma di chi vive in Dio la propria
vita.
Nel frammento quasi unico della sua
“storia dell’anima”, nel 1854 confes-
serà: “Quando [otto anni fa) mi diedi
a questa parte di sacro mi-
nistero intesi di consacrare
ogni mia fatica alla maggior
gloria di Dio ed a vantaggio
delle anime, intesi di adope-
rarmi per fare buoni cittadini
in questa terra, perché fossero
poi un giorno degni abitatori
del cielo. Dio mi aiuti di poter
continuare fino all’ultimo re-
spiro di mia vita. Così sia”.
Don Bosco modello
Don Bosco si presenta dunque
come modello di radicalità evan-
gelica, di lavoro e temperanza già
all’inizio della sua Opera (1846). Lo
sarà per oltre 40 anni, sino alla fine.
Ed allora, nel Testamento Spirituale,
offrirà la chiave interpretativa di tutta
la sua azione intesa come carità tota-
le usque ad effusionem sanguinis, fino
all’unione mistica con Dio in un amore
oblativo illimitato: “Quando avverrà
che un salesiano soccomba e cessi di
vivere lavorando per le anime, allora
direte che la nostra congregazione ha
riportato un gran trionfo e sopra di
essa discenderanno le benedizioni del
cielo”.
Il prossimo Capitolo Generale (2014)
si farà carico di approfondire questi
temi. In tale attesa, per la radicalità
evangelica vissuta (e promossa da don
Bosco per la Famiglia Salesiana) in ri-
sposta a dieci sfide lanciate dalla cul-
tura moderna, una valida e intrigante
meditazione può essere quella offerta
dal nostro volumetto: F. Motto, “Nel
mondo ma non del mondo. Chiamati a
scrivere insieme una nuova pagina di
storia salesiana (Elledici).
Aprile 2013
37

4.8 Page 38

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TESTIMONI DELLA FEDE
MAURO ANSELMO
Il beato Luigi Novarese
Nel nome di
Il mese prossimo,
l’11 maggio 2013,
la Chiesa proclamerà
Cristo sofferente beatomonsignorLuigi
Novarese, un sacerdote
la cui vita spirituale si
è formata a contatto con
A prile 1930. All’ospedale
Santa Corona di Pietra Li-
gure, un giovane sedicenne
scrive faticosamente una
lettera. Sa che i dottori non
gli danno speranza, eppure
non si arrende. La mamma gli ha in-
segnato a pregare Gesù e la Madon-
le decisioni precipitose. Ma davan-
ti a quelle parole, sa che la risposta
può essere solo una. Rapida e decisa.
“Caro Luigi, i Salesiani e i ragazzi
dell’oratorio di Valdocco pregheranno
per te. Iniziamo la novena oggi stesso.
Iniziane una anche tu, pregando con
coraggio e con fede”.
i Salesiani e nel segno
della devozione a don
Bosco. Giovanni Paolo II
lo definì “l’apostolo degli
ammalati”.
na, ed è proprio il pensiero rivolto alla
statua di Maria Ausiliatrice davanti
alla quale si inginocchiava fin da pic-
Il beato Luigi Novarese
ha dato inizio a opere
diffuse in tutto
A partire dalla risposta di don Rinal-
di, nella vita di Novarese si registra
colo nella chiesa del Sacro Cuore di
Gesù in corso Valentino a Casale, a
spingerlo a rivolgersi al rettore mag-
giore dei Salesiani.
Poche righe di testo. “Sono un giova-
il mondo come
i Volontari della
Sofferenza, la Lega
Sacerdotale Mariana,
i Silenziosi Operai
della Croce.
una svolta. È lui stesso a parlarne, in
un breve articolo pubblicato nel luglio
1931 sul bollettino dell’Opera di Don
Bosco, “Il Sacro Cuore di Gesù” di
Casale. “Da quel momento”, scri-
ne di Casale, mi chiamo Luigi Nova-
ve Luigi, “posi tutta la fiducia in
rese. Ho una grave malattia. I medici
don Bosco, trascurai persino le
dicono che devo morire, ma io non
prescrizioni mediche, per cui fui
voglio morire. Voglio guarire. So che
più volte rimproverato; ormai
don Bosco amava i giovani. Vuole,
avevo scelto per unico me-
per favore, don Rinaldi, pregare e far
dico don Bosco e le sue
pregare affinché anch’io ottenga la
cure furono veramente
guarigione?”
efficaci, perché a poco a
Il rettore maggiore dei Salesiani ha
poco gli ascessi si chiu-
fama di uomo prudente che non ama
sero, constatai sensibile e
38
Aprile 2013

4.9 Page 39

▲back to top
progressivo miglioramento, tanto che il
16 maggio del 1931 uscii dall’ospedale
completamente guarito. Ora cammino
e passeggio lungamente senza dolore
alcuno e ho potuto riprendere gli stu-
di. Riconoscentissimo a don Bosco,
depongo al suo altare le grucce usate
per sette anni, implorando continua la
sua protezione su me, sulla famiglia e
su quanti mi aiutarono”.
Non solo perché si oppose ai pregiu-
dizi che assegnavano all’infermo un
ruolo passivo ritenendolo degno solo
di pietà e compassione, ma perché
rivoluzionò la pastorale della salute,
rendendo gli ammalati protagonisti
di un apostolato di tipo nuovo.
Darà inizio a opere che sono diffuse
in tutto il mondo: Lega Sacerdotale
Mariana, Volontari della Sofferenza,
Silenziosi Operai della Croce. Con-
vegni, pellegrinaggi a Lourdes dei sa-
cerdoti ammalati, fondazione di una
ventina di Centri in Italia e all’estero.
Il suo nome vive in eterno, nel cuore
di chi soffrendo sa donare l’amore.
“È l’incontro con il Cristo risorto”,
scrive don Aufiero, postulatore nella
causa di beatificazione e sacerdote dei
Silenziosi Operai della Croce, l’asso-
ciazione fondata da Novarese nel 1950
“ad avere dato a Novarese la forza che
gli ha permesso di dedicare la vita
ai più deboli. E a realizzare imprese
straordinarie. Basti pensare alla Casa
Cuore Immacolato di Maria a Re, in
Piemonte, prima e unica residenza di
esercizi spirituali al mondo per disa-
bili e infermi, tuttora frequentata in
estate da migliaia di ospiti. O al ra-
duno dei settemila malati in barella
e carrozzella realizzato nel cortile
del Belvedere presso la Santa Sede,
davanti a papa Pio XII, il 7 ottobre
1957. L’amore a Cristo e a Maria è
stato il punto fermo che ha sostenu-
to Novarese in tutto il suo apostolato,
guidandolo dall’adolescenza all’ulti-
mo dei suoi giorni”.
La Casa Cuore Immacolato di Maria, sorta
accanto al santuario della “Madonna del Sangue”
a Re in provincia di Verbania. È una residenza per
Esercizi Spirituali per disabili e infermi, unica al
mondo.
La vita per i più deboli
Novarese sceglie la strada del sacerdo-
zio. Frequenta a Roma l’Almo Colle-
gio Capranica, si laurea in Diritto Ca-
nonico presso la Pontificia Università
Gregoriana, è ordinato sacerdote il 17
dicembre 1938 nella Basilica di san
Giovanni in Laterano. Da allora la sua
vita si svolge prevalentemente nella ca-
pitale. Il 1° maggio 1942, su invito di
monsignor Giovanni Battista Monti-
ni, Sostituto della Segreteria di Stato
Vaticana e futuro papa Paolo VI, inizia
a lavorare presso la Segreteria di Stato
della Santa Sede dove rimane fino al
12 maggio 1970. Ma la sua vera voca-
zione è per gli ammalati.
Aprile 2013
39

4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A CURA DI PIERLUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Poteva nascere cieca
o malformata
Ogni mese leggendo sul “Bollet-
tino Salesiano” la rubrica “I nostri
Santi” mi emoziono, venendo a
conoscenza dei fatti strepitosi
che avvengono per intercessione
dei santi. Ora desidero racconta-
re anch’io la vicenda straordina-
ria che ho vissuto. Io avevo già
un bambino di sette mesi ed ero
molto contenta. Il 30 ottobre 2010
scoprii di essere di nuovo incin-
ta. Questa seconda gravidanza
era difficile da portare avanti,
quindi dovevo stare a riposo,
come avevo fatto durante la pre-
cedente, e sottopormi ad analisi
prescritte dalla ginecologa. Al
secondo mese un test rivelò che
ero affetta da citomegalorovirus.
Fu per me una terribile sorpresa
che mi lasciò sgomenta. La gi-
necologa mi sottopose a diverse
analisi per accertare se si fosse
incorsi in errore, ma i vari test ri-
sultavano sempre positivi. Io ero
angosciata e piangevo sempre al
sentire le possibili conseguenze
che la ginecologa mi prospettava:
la bambina poteva nascere cieca
o malformata; oppure la gravidan-
za avrebbe potuto venire sospesa
spontaneamente negli ultimi mesi.
Io pregai tantissimo. Un giorno
mi fu proposto di sottopormi ad
un’amniocentesi, che mi avrebbe
dato un po’ di calma. Io avevo tan-
ta paura, ma decisi di uniformarmi
alla volontà del Signore: anche se
la bambina non fosse risultata
sana, io l’avrei voluta con me. Poi-
ché io non potevo uscire, tramite
una mia amica riuscii a parlare
con un sacerdote al quale spiegai
il mio stato d’animo. Lui mi dis-
se di affidarmi alla Madonna e a
san Domenico Savio. Venni a
conoscere san Domenico Savio e
ne richiesi l’abitino. Giunse intan-
to l’11 febbraio 2011 (giorno an-
niversario delle apparizioni della
Madonna di Lourdes) in cui mi fu
praticata l’amniocentesi. Questa
data rimane per me un segno della
protezione di Maria. Non nascon-
do che avevo paura, poiché aven-
do io il virus, sussisteva sempre
il pericolo di trasmetterlo, anche
al momento del parto. Dopo 15
giorni potei conoscere l’esito delle
analisi praticate: la bambina stava
bene e nel liquido amniotico non
c’era nessun virus. Ciò risultava
strano poiché non si erano nem-
meno formati degli anticorpi. Il 22
giugno 2011 è nata la mia bambi-
na Maria Francesca, al cui nome
ho aggiunto quello di Domenica,
in ringraziamento a san Domenico
Savio.
Scotto Rosato Antonella,
Bacoli (NA)
Sta’ tranquilla,
tutto andrà bene
Nella primavera del 2011 a mio
marito fu diagnosticato un tu-
more. La scoperta improvvisa ci
lasciò sgomenti. Il giorno in cui ci
recammo all’ospedale, dove ave-
vamo insieme deciso che avve-
nisse l’intervento chirurgico, mi
accorsi che in una borsa che por-
tavo con me c’era un’immagine,
che mi parve fosse uno dei tanti
volantini pubblicitari. Quando la
presi in mano per gettarla via, la
riconobbi per quello che era vera-
mente: una pagellina con l’imma-
gine della beata Alessandrina da
Costa. Da sempre io sono stata
devota della beata Alessan-
drina da Costa, essendo stato
mio zio, il sacerdote salesiano
don Umberto Pasquale, una delle
guide spirituali della beata. Guar-
dando quella sacra immaginetta
provai una grande serenità e
sentii dentro di me una voce che
mi diceva: “Sta tranquilla, tutto
andrà bene”. L’operazione di mio
marito fu superata nel migliore
dei modi e anche la convalescen-
za fu più breve del previsto.
Ratti Annamaria,
Vignole Barbera (AL)
Mi sono affidata a lui
Sono mamma di tre bambini:
Anna, Alessandro e Chiara. Prima
che fossi in attesa della nascita
di Chiara, la più giovane, leggevo
con commozione le testimonianze
delle mamme che hanno avuto
l’aiuto di san Domenico Savio. Ho
cercato informazioni sulla sua vita
e così ho conosciuto questo gio-
vane santo. Mi sono tanto com-
mossa nel leggere in quale modo
aveva salvato sua madre ammala-
ta e come da questo fatto è nato
l’abitino di san Domenico
Savio”. Mentre ero in aspettativa
di Chiara, ho chiesto anch’io l’abi-
tino e recitato le preghiere conte-
nute nel libriccino che lo accom-
pagnava. L’aiuto del giovane santo
non si è fatto attendere. Quando a
24 settimane circa ho iniziato ad
avere contrazioni ogni tre minuti,
sono stata ricoverata in ospedale
per tre giorni. Mi è stato applicata
la flebo giorno e notte, e se la cura
non avesse avuto effetto sarei sta-
ta trasferita in un altro ospedale.
Assieme a mio marito ho invocato
la protezione di san Domenico
Savio: mi sono affidata a lui e
sono rimasta tranquilla; la situa-
zione è tornata normale. Dimessa
dall’ospedale, sono sempre stata
a riposo e ho continuato a prega-
re con fiducia. Chiara è nata il 27
luglio 2012, con due settimane di
anticipo, piccina, ma piena di vita.
È stata battezzata l’8 dicembre, fe-
sta dell’Immacolata, giorno in cui,
l’anno precedente, avevamo sa-
puto della sua nascita. Per questo
motivo le abbiamo messo il nome
di Chiara Benedetta. Ci tenevo a
dare questa testimonianza, per
ringraziare questo santo che, in
modo affettuoso, considero come
un fratello minore.
Ballarin Patrizia, Mestre (VE)
Il Bollettino Salesiano sul tuo telefonino
App “Edicola Salesiana”
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
Un’applicazione per avere sott’occhio tutto il mon-
do salesiano. Dalla Rivista Maria Ausiliatrice, a Il
Bollettino Salesiano (ed. italiana), alle notizie della
Congregazione. Uno strumento indispensabile per
tutta la Famiglia Salesiana e gli amici di don Bosco.
Puoi scaricare dal collegamento a lato la versione più consona al tuo strumento mobile.
40
Aprile 2013

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
L‘ANGELO DALLA BREVE VITA
Nell’Ottocento l’aspettativa di vita era molto diversa da quella attuale, la durata
della vita era mediamente inferiore e la mortalità infantile molto elevata, soprat-
tutto per colpa di malattie dalle quali all’epoca non si guariva. Era il 1863 quando
un ragazzo, proveniente da una famiglia estremamente povera ma apprezzata
per l’onestà, fu ammesso all’Oratorio di don Bosco di Torino. Non aveva ancora
compiuto 14 anni quando XXX fu notato da don Bosco per il suo candore e
il suo sincero desiderio di migliorarsi. Si incontrarono la prima volta durante
un momento di ricreazione e don Bosco già dopo i primi scambi di parole vide
nel ragazzo una purezza fuori del comune. Questi gli rivelò che il suo paese,
Argentera, era situato in montagna, in provincia di Cuneo, e che gli aveva fatto
da padrino il parroco educandolo ai buoni principi e indirizzandolo sulla via della
bontà. Il ragazzo confessò, tra le lacrime, che era riconoscente al suo padrino per tutto quello che aveva
fatto e per essergli sempre stato vicino. Disse inoltre che era sua intenzione studiare per poter diventare
sacerdote e chiese come fare a diventare buono come i suoi compagni e come Domenico Savio che am-
mirava tanto. Don Bosco gli rivelò che bastava seguire solo tre cose: allegria, studio e pietà. Praticando
queste cose avrebbe potuto vivere felice e arricchire l’anima.
Questo era il grande programma e lo seguì con dedizione e
zelo finché potè. Infatti, per pochi mesi ancora il ragazzo, stu-
diò, apprese la diligenza e il sacrificio, manifestò umiltà, si di-
mostrò servizievole in ogni occasione e il suo amore crebbe a
dismisura. Poi durante un freddissimo inverno prese una pol-
monite che lo portò a morire nel giro di una settimana. Le sue
ultime parole commossero i presenti al capezzale: “Io muoio
col rincrescimento di non aver amato Dio come si meritava!”.
Fu lo stesso Don Bosco, in seguito, a scrivere la sua biografia.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Vi è nato Lino
Banfi - 6. Irritabile, collerico - 14. Città
romagnola nota per un autodromo - 16.
È capoluogo delle Marche - 17. Il sodio
per i chimici - 19. La domenica “in”
dopo Pasqua - 21. Prep. art. - 22. Ha
per capitale N’jamena - 25-28. XXX
- 30. Mitra senza capo né coda - 31.
Il singolare mammifero australiano che
depone uova - 33. La madre di Achille
- 34. Un luogo adibito alla rappresen-
tazione di commedie e altri spettacoli -
35. L’Alto Commissariato delle Nazioni
Unite per i Rifugiati (sigla) - 37. Le ha
pari Perseo - 38. Esercito Italiano - 39.
Centonovantanove... romani - 40. I
giganti mostruosi Oto ed Efialte, figli di
Poseidone - 41. L’Enzo cantautore e
cardiologo milanese (j=i) - 43. Vostro
in breve - 44. La Copia Conoscenza
Nascosta usata nella posta elettronica
(sigla) - 45. Riluttante - 46. Parte deli-
mitata di giardino - 47. Negazione.
VERTICALI. 1. La preghiera della
penitenza nella forma latina della S.
Messa - 2. Né sì ne no - 3. Un sul-
tanato della penisola arabica - 4. Lo
traccia l’aratro - 5. Lo Statuto su cui si
basò la monarchia sabauda - 7. Il dio
Sole degli egizi - 8. Una congiunzione
inglese - 9. Ruvido - 10. Quella - 11.
Dentro - 12. Persona decrepita, in
modo canzonatorio o spregiativo - 13.
Il sistema formato dall’insieme delle
ghiandole - 15. Dipartimento fran-
cese della Piccardia - 18. Le arti per
Cicerone - 20. Città di mare siciliana
nota per il suo storico carnevale - 23.
Figurativo - 24. Avanti Cristo - 26. Il
Sebastian che diede il suo nome alla
birra Stella - 27. Vendono occhiali e
affini - 29. Sindacato autonomo dei
lavoratori della scuola - 32. Panciuto
recipiente di terracotta - 36. Il partito
di Casini - 38. Il suo simbolo è un
cane a sei zampe - 36. L’indimenticata
Gardner - 42. Antico Testamento.
Aprile 2013
41

5.2 Page 42

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
Don PAUL COSSETTE
Morto a Sherbrooke, Canada, il 28 gennaio 2013,
a 71 anni.
Un exallievo ha scritto sulla sua
pagina Facebook: «L’anima di
questo grande uomo riposi in
pace! Era profondamente uma-
no, amichevole, cordiale, sereno,
sempre accogliente, con un fran-
cobollo in mano (ha animato un
club filatelico per molti anni), con
un sorriso discreto ma sincero.
Aveva uno sguardo attento per
i nostri lavori scolastici, sapeva
congratularsi e lodare e trovare
sempre una parola giusta per
incoraggiare. Era un vero uomo
di Dio, celebrava abitualmen-
te la Messa con meravigliosa
passione. Ho partecipato molte
volte alla sua Messa e, sia che
presiedesse o concelebrasse, mi
piaceva incrociare il suo sguardo
e sentire che era felice di poter
condividere la sua fede con noi
giovani. Alla scuola, agli exallievi,
agli insegnanti e a tutti coloro che
lo hanno conosciuto mancherà
molto. Grazie, Paul».
Paul era nato in Québec, aveva
solo cinque anni quando suo pa-
dre era morto. Grazie al felice in-
contro con un salesiano, a 13 anni
entrò nell’aspirantato di Haver-
straw, New York. Imparò l’inglese
e nel 1959 entrò nel noviziato di
Newton. Nel tirocinio seguente
dimostrò subito grandi capacità
comunicative e pedagogiche e un
non comune talento artistico per
animare i ragazzi. Nel 1971 fu or-
dinato sacerdote. Si laureò poi in
teologia e pedagogia.
Due grandi apostolati
Nella sua vita salesiana ebbe due
grandi apostolati. Il primo quello
educativo, quasi tutto vissuto
a Sherbrooke, la grande scuola
dove fu insegnante e direttore
dal 1971 al 1996. Poi, fino al
Duemila, fu responsabile della
pastorale universitaria. In questi
anni spese tutto se stesso per la
scuola, sempre vicino agli stu-
denti, pronto ad ascoltarli anche
quando avrebbe avuto il suo tur-
no di riposo. Aveva una memoria
prodigiosa per i nomi e ricordava
quelli di tutti e 700 gli allievi. Al
suo funerale erano presenti tutti.
«Si dice che don Bosco era l’a-
mico dei giovani. E i giovani sono
sempre stati al centro della vita
di Paul» ha testimoniato un altro
exallievo al funerale. «Gli rendia-
mo onore oggi, perché fino alla
fine, ha voluto essere amico dei
giovani in modo semplice e sin-
cero. In nome di tutti i giovani che
hanno avuto la fortuna di incro-
ciare la tua strada ti ringraziamo
di cuore per la tua pazienza, il tuo
affetto e la tua dedizione per noi.
Rimarrai nella memoria di miglia-
ia di studenti. Ora puoi riposare,
dopo tanti anni di servizio ai gio-
vani, hai meritato la gloria e la
felicità eterne».
Il suo secondo apostolato fu la
comunicazione. Dal 1976 è stato
direttore del Carrefour Salésien, il
Bollettino Salesiano del Canada,
che realizzò con gusto artistico
e intelligenza fino alla morte. Dal
1996 fu anche direttore del centro
salesiano audiovisivi del Canada.
Teneva una vasta raccolta di ri-
tagli di giornali che riguardava-
no gli exallievi della scuola che
riportava nelle bacheche della
casa, dove inseriva anche notizie,
materiale per feste, fotografie,
eventi artistici.
Nell’omelia funebre, don George
Harkins, direttore della comuni-
tà, ha detto: «Ieri era la festa del
nostro fondatore. Don Bosco ha
accolto Paul nel paradiso sale-
siano. Paul e don Bosco avevano
molto in comune. Entrambi han-
no perso i loro padri nell’infan-
zia, hanno lavorato tutta la vita
per rendere felici i giovani, en-
trambi erano educatori ed erano
religiosi. Paul aveva una grande
conoscenza del mondo salesiano
e un grande amore per le cose
salesiane. Più di cinquant’anni fa
si impegnò a seguire Cristo come
salesiano secondo l’esempio del
Buon Pastore, donando la sua
vita per gli altri. Sulla sua bara
ci sono tre libri, accanto al cro-
cifisso e ai fiori: sono la Bibbia,
le Costituzioni salesiane e una
copia del Carrefour Salésien. Ci
parlano della sua vita».
42
Aprile 2013

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
L‘albero brontolone
Aveva un tronco rugoso, dei
rami un po’ rachitici che
producevano delle meline
aspre che nessuno voleva.
Ma la cosa peggiore era
il carattere. Albero non
faceva che lamentarsi: il campo si
sarebbe riempito di fango, le mucche
e i conigli gli avrebbero rovinato la
corteccia, l’erba alta gli avrebbe fatto
il solletico e così via.
Siepe, che era cresciuta proprio ac-
canto ad Albero, decise perciò di far
qualcosa per impedire il continuo mu-
gugno di quel brontolone d’Albero.
Spiegò il problema al vecchio Corvo
che disse: «Albero non ha una vera
ragione di vita, ecco perché si lamen-
ta sempre».
«Ma dove si trova questa ragione?».
«Di solito, proprio sotto il naso».
In estate, Siepe si riempì di verde e,
come sempre, Caprifoglio le si attor-
cigliò alle foglie, adornandola con i
suoi fiori profumati.
«Albero», chiese Siepe un bel giorno,
«qual è la cosa più brutta della tua
vita?».
Albero ci pensò un po’ e poi sussurrò
con voce triste: «La cosa peggiore è
che non piaccio a nessuno. La mia
fioritura dura solo pochi giorni, le mie
foglie non sono belle e le mie mele
selvatiche hanno un sapore orribile».
«Ma a questo si può rimediare
facilmente!», esclamò Siepe. «Potrei
chiedere a Caprifoglio di crescere
lungo il tuo tronco e sui tuoi rami,
e così saresti ricoperto di fiori pro-
fumati e di foglie verdi per la maggior
parte dell’anno. L’unica difficoltà è
che... Caprifoglio non vuole: dice che
ti lamenti troppo».
Albero rimase in silenzio. Poi disse:
«Se io prometto di lamentarmi di
meno, potresti convincerlo a crescere
sopra di me? ».
«Certo», rispose Siepe.
Così, per un anno intero, Albero non
si lamentò neppure una volta.
E un bel giorno della primavera se-
guente, Caprifoglio mise fuori un
timido germoglio. Si attorcigliò al
tronco di Albero e si intrecciò ai suoi
rami, dischiuse i suoi fiori profumati
gialli e rosa, e Albero divenne il più
bello tra tutti gli alberi del campo.
Da quel giorno non si lamentò più.
Nemmeno una volta. Mai più. Un
pomeriggio d’inverno, Corvo andò
da Siepe. «Non ho più sentito Albero
lamentarsi. Deve aver trovato una ra-
gione di vita. Qual è?».
«Chiedilo a lui», rispose Siepe.
Corvo volò da Albero e gli chiese
che ragione di vita avesse trovato.
«Non posso parlare ora, Corvo, devo
proteggere Caprifoglio dal vento».
«Ma è tutto marrone e avvizzito, ora
che è inverno».
«Ora è così» rispose Albero. «Ma si ap-
poggia a me perché io lo protegga fino
a primavera. E allora sboccerà di nuovo
più folto e più bello dell’anno passato».
Il vecchio Corvo e Siepe furono molto
contenti nel sentirlo parlare così. Albe-
ro aveva trovato la sua ragione di vita e
non si sarebbe lamentato mai più.
Talvolta il cuore è presbite.
Tutti abbiamo una ragione di
vita… proprio sotto il naso.
Aprile 2013
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Don Bosco Educatore
I ragazzi mancano
più per vivacità
che per cattiveria
A tu per tu
Il dentista
di Betlemme
Un exallievo
straordinario
L'invitato
Eredi dei martiri
Incontro con Monsignor
Pierre Nguyen Van De
Arte salesiana
Il pittore della cupola
di Maria Ausiliatrice
Giuseppe Rollini
Speciale
Invito a Valdocco 3
Finalmente una tettoia!
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
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