Bollettino_Salesiano_201303

Bollettino_Salesiano_201303

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IL
MARZO
2013
Speciale
Invito a Valdocco
L'invitato
Albert Vanbuel
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
La coperta
La storia
I Salesiani hanno affettuosamente visto in questo ser-
moncino di mamma Margherita la prima «buona notte»
(una breve parola del capo della casa) con cui si è soliti
chiudere la giornata nelle case salesiane, e che don Bo-
sco giudicava «chiave della moralità, del buon andamen-
to e del successo».
Sono una coperta ruvida e senza ambi-
zioni di grandezza, però so dare calore e
conforto a chi mi usa, soprattutto nelle
notti fredde e umide.
Ero stata acquistata da uno strano prete
e da sua madre al mercato del Balôn di
Torino. Ero stato portata in una casupola non
molto distante, umida e fredda quanto bastava.
Dalle parole dei due capii che ero stata comprata
in sostituzione di altre coperte che il buon don
Bosco aveva fornito ad alcuni giovinastri che
aveva ospitato in casa e che la mattina dopo
erano spariti portandosi via le coperte.
Don Bosco aveva ritentato l’esperimento pochi
giorni dopo, ed era andata peggio: gli avevano
portato via anche il fieno e la paglia.
Tremavo per il mio futuro: quei due non avevano
l’aria di chi si scoraggia.
Difatti.
Una sera di maggio. Pioveva a catinelle. Don
Bosco e sua madre avevano appena terminato la
cena, quando qualcuno bussò al portone. Era un
ragazzo bagnato e intirizzito, sui 15 anni.
«Sono orfano. Vengo dalla Valsesia. Faccio il
muratore, ma non ho ancora trovato lavoro. Ho
freddo e non so dove andare...»
«Entra» gli disse don Bosco. «Mettiti vicino al
fuoco, che così bagnato ti prenderai un accidente».
Mamma Margherita gli preparò un po’ di cena.
Poi gli domandò: «E adesso, dove andrai?»
«Non lo so. Avevo tre lire quando sono arrivato a
Torino, ma le ho spese tutte». Silenziosamente si
mise a piangere. «Per favore, non mandatemi via».
Margherita pensò alle coperte che avevano preso
il volo e mi guardò riluttante.
«Potrei anche tenerti, ma chi mi garantisce che
non mi porterai via le pentole?»
«Oh no, signora. Sono povero, ma non ho mai
rubato».
Don Bosco era già uscito sotto la pioggia a rac-
cogliere alcuni mattoni. Li portò dentro e fece
quattro colonnine su cui distese alcune assi. Poi
andò a togliere dal suo letto il pagliericcio e lo
mise sopra le assi.
«Dormirai qui, caro. E rimarrai finché ne avrai
bisogno. Don Bosco non ti manderà mai via».
La buona madre mi distese sul ragazzo e mi
rimboccò ben bene, poi lo invitò a recitare le
preghiere.
«Non le so» rispose.
«Le reciterai con noi» gli disse. E così fu. Subito
dopo, con dolcezza materna, gli fece un discor-
sino affettuoso sulla necessità del lavoro, della
fedeltà e della religione.
Piacque anche a me, anche se ero solo una
povera coperta ignorante. Ma quella notte
vigilai attentamente sul ragazzino, custodii i
suoi sogni, che contenevano di tutto ma non la
voglia di scappare. E da quella volta ne riscaldai
di ragazzi!
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Marzo 2013

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IL
MARZO 2013
ANNO CXXXVII
Numero 3
IL
MARZO
2013
Speciale
Invito a Valdocco
Salesiani
nel mondo
Niteroi
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 DON BOSCO EDUCATORE
6 LETTERE
8 SALESIANI NEL MONDO
Niteroi
12 GIORNATE DI SPIRITUALITÀ
DELLA FAMIGLIA SALESIANA
La meglio gioventù
14 L'INVITATO
Monsignor Albert Vanbuel
18 LE CASE DI DON BOSCO
Napoli
21 INVITO A VALDOCCO
La Torino di don Bosco
25 BUONE NOTIZIE
26 FINO AI CONFINI DEL MONDO
28 A TU PER TU
Don Roberto Dal Molin
30 FMA
Life community
32 COME DON BOSCO
34 NOI & LORO
36 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
38 TESTIMONI DELLA FEDE
Don Arribat
40 I NOSTRI SANTI
41 RELAX
42 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
43 LA BUONANOTTE
Mensile di
informazione e
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
L'invitato
Albert Vanbuel
Spiritualità salesiana
La meglio gioventù
In copertina :
Giovani brasiliani
delle scuole
salesiane:
attendono i loro
coetanei da tutto
il mondo
(Foto ANS ).
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Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
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Il Bollettino Salesiano
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Hanno collaborato a questo
numero: Alfonso Alfano, Agenzia
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Cameroni, Maria Antonia Chinello,
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Desiderati, Cesare Lo Monaco,
Natale Maffioli, Alessandra
Mastrodonato, O. Pori Mecoi,
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Pacucci, José J. Gomez Palacios,
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Luigi Zonta, Morand Wirth,
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DON BOSCO EDUCATORE
PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA
Don Bosco racconta
Quando vi dò
TUTTO, vuol dire
che NULLA riserbo per me
E ra il giorno di Pasqua quando finalmen-
te potevo dire ai miei ragazzi: “Abbiamo
una casa”. In verità, era una tettoia bassa e
insufficiente, ma era nostra! Avevamo fi-
nito di girovagare per Torino, in un “pre-
cariato” spossante, carico di incompren-
sioni e diffidenze. La data è troppo importante
per poterla dimenticare: 12 aprile 1846! Avevo
trent’anni, da cinque ero prete. Vedevo le cose
in una prospettiva illuminata dalla fiducia nella
Provvidenza. Mi buttai a capofitto nel lavoro: mi
arrampicavo sulle impalcature traballanti degli
edifici in costruzione per andare a trovare i miei
ragazzi, entravo nelle officine, nei negozi: a tutti
rivolgevo una parola di amicizia, scherzavo con
loro. Mi preoccupavo della loro salute fisica; par-
lavo con i loro padroni, spesso troppo disumani.
Era un rapporto di amicizia e di reciproca fiducia
che instauravo con tutti. L’educazione non è cosa
di un giorno solo, esige pazienza e tanta speranza.
Come sai, luglio è un mese molto caldo a Tori-
no. Ma a Valdocco è soffocante. Tutto si svolse
in maniera inaspettata. Stava per concludersi una
domenica densa di tante attività. All’improvviso,
stramazzai a terra. Un fiotto di sangue inzuppò la
polvere e l’erba del prato. Poi persi i sensi. Quan-
do rinvenni, mi accorsi di trovarmi a letto: c’era
tanta gente attorno, poi giunse un dottore. Vista
la gravità del caso mi obbligò al riposo assoluto.
Trascorsi una settimana mentre le mie forze fisi-
che diminuivano sempre più. Mi sentivo spossa-
to, in un continuo dormiveglia.
Ricordo di aver visto il dottore che scuoteva
il capo, impotente e diceva: “Forse non passerà
la notte”. Il giorno dopo, quasi per incanto, mi
svegliai. Poi, a poco a poco, ricuperai le forze. Il
mio pensiero era sempre rivolto ai miei ragazzi.
Dove si trovavano? Sarebbero ancora ritornati a
Valdocco? Un’altra settimana. Poi fu domenica.
Appoggiandomi a un bastone, scesi alla tettoia.
Udivo voci, grida di gioia, la testa ciondolava per
la spossatezza. Mi si fece incontro un prete che
mi dava una mano. Mi raccontò dei tanti sacri-
fici che i ragazzi avevano fatto perché, dicevano,
“Don Bosco non può morire”. Compresi che essi
avevano strappato un vero miracolo. Poi i più
grandi mi presero, mi obbligarono a sedermi su
un seggiolone e mi portarono in trionfo. Molti
piangevano di contentezza. Mi si stringevano at-
torno. Quando si fece silenzio, dissi loro: “Miei
cari: avete pregato e fatto tanti sacrifici perché ricupe-
rassi la salute. Grazie. Io vi debbo la vita. Ebbene: vi
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prometto che la vivrò tutta per voi”. Non potei dire
altro perché anch’io ero commosso. Ma da quel
giorno mi sentii consacrato alla causa dei giovani
per sempre. La lezione più bella e più convincente
me l’avevano data i ragazzi!
“Voi siete tutti ladri:
mi avete rubato tutto”
Seduto su quel rustico seggiolone, attorniato da
tanti ragazzi avevo votato la mia vita ai giovani.
E così continuai. Ma c’è una risposta che diedi
loro in forma ancora più chiara e convinta. Era il
31 dicembre 1859: festa di fine d’anno. Pur nella
cronica povertà di Valdocco, ci si scambiavano
piccoli regali, come si fa in famiglia: un’imma-
ginetta, un pezzo di matita, una gomma, una
caramella, un quaderno… Piccole cose, ma date
con il cuore. Dopo le preghiere della sera, die-
di la buona-notte, rivolgendo loro qualche breve
parola. Anch’io volevo regalare qualcosa a que-
sti giovani. Dissi: «Miei cari figlioli: voi sapete
quanto vi amo nel Signore, e come io mi sia tut-
to consacrato a farvi quel bene maggiore che potrò.
Quel poco di scienza, quel poco di esperienza che ho
acquistato, quanto sono e quanto posseggo desidero
impiegare a vostro servizio. In qualunque giorno e
per qualunque cosa fate pure capitale su di me, ma
specialmente nelle cose dell’anima. Per parte mia,
per strenna vi dò tutto me stesso; sarà cosa me-
schina, ma quando vi dò tutto, vuol dire che
nulla riserbo per me». Da quella domenica
di fine luglio quando avevo fatto quella solenne
promessa di donare tutta la mia vita per i giova-
ni, erano ormai trascorsi 13 anni; Valdocco era
una famiglia ingrandita. C’erano già varie cen-
tinaia di ragazzi che studiavano o imparavano
un mestiere. Volevo che essi capissero che il mio
stare con loro era frutto di una scelta irrevocabi-
le. Non avrei mai tradito la fiducia che i giovani
riponevano in me, e più tardi nei miei salesia-
ni. Quando dicevo loro: “Nulla riserbo per me”
era come se dicessi: non penso più a me stesso,
mi dono totalmente a ciascuno di voi, non mi
appartengo più, appartengo solo a voi, sono vo-
stro per sempre, non ho più nulla di mio. Ecco
rivelato il mio segreto. Con i ragazzi sono sem-
pre stato guidato da queste decisioni, da queste
scelte. Non son mai tornato indietro. I giovani,
io non li ho mai traditi!
Di lettere ne ho scritte migliaia. Ma se dovessi
sceglierne una che mi è nata dal cuore, ecco sce-
glierei quella che ho scritto ai miei Salesiani, e
con loro ai professori e allievi di Lanzo Torinese.
«Lasciate che ve lo dica e nessuno si offenda: voi siete
tutti ladri; lo dico e lo ripeto, voi mi avete rubato
tutto.»
Da buon contadino avevo imparato a onorare la
parola data. E la mia parola era questa: «Ho pro-
messo a Dio che fin l’ultimo mio respiro sarebbe stato
per i miei poveri giovani».
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LA POSTA
I NOSTRI ESPERTI RISPONDONO
Non ho più voglia
di pregare e andare
in chiesa mi annoia
Ho appena superato la sessantina e
sono andata in pensione. Sono mo-
glie, madre e nonna tutto sommato
felice. Mi sento ancora attiva e pro-
duttiva per la società. Sono sempre
stata religiosa e speravo di potermi
dedicare anche ad una maggiore
intensità spirituale, godendo di
una maggiore tranquillità. Invece
è tutto il contrario. Sono diventata
religiosamente “gelida”. Non ho più
voglia di andare in chiesa, le ome-
lie mi provocano una noia mortale,
guardo la tv e non prego più. Dio
mi sembra un pensiero così lonta-
no, nebuloso, assente. Ho superato
con fede tante croci nella mia vita:
malattie, fallimenti, paura, scorag-
giamento, isolamento, rimorsi, per-
dite… Adesso però non so proprio
cosa fare. Mi dispiace, ma tutto ciò
che è religioso mi sembra così te-
dioso e fuori dalla realtà. E mi sem-
bra sempre peggio.
Livia F.
L’aridità spirituale, cara si-
gnora, la colloca in buo-
na compagnia. Ci sono
passati tanti grandi santi.
Compresa Madre Tere-
sa. E Gesù sulla croce,
anche lui ghermito dalle tenebre,
che grida: «Dio mio, Dio mio, per-
ché mi hai abbandonato»? La vita
interiore è fragile, presa com’è nella
morsa di tutto ciò che è materiale.
I mistici usano diverse immagini per
descrivere l’aridità dell’anima che
assomiglia più ad una desolazione
spirituale che ad una depressione
psichica, anche se quest’ultima può
essere in agguato. San Giovanni
della Croce parla di deserto e di
notte, Teresa di Lisieux di nebbia e
di tunnel, Madre Teresa di vuoto e di
oscurità.
Le suggerisco dieci piste da segui-
re per attraversare questo territorio
così arido e desolato in cui sente di
trovarsi il suo spirito.
Attraversare il deserto. Il de-
serto nella Bibbia non è un luo-
go dove ci si ferma. Come per il
Popolo Ebraico e Gesù è il luogo
della tentazione e della prova. Ma è
anche il luogo in cui Dio si rivela e
dona la manna. Al profeta Osea, Dio
assicura, parlando del suo popolo:
«La porterò nel deserto e là parlerò
al suo cuore».
Unirsi alla sofferenza del mon-
do. Siamo chiamati a vivere di Dio
in un mondo senza Dio. È proprio
perché pensiamo di aver perduto Dio
che ci mettiamo a cercarlo e quindi
possiamo trovarlo. Così siamo vicini
a tanti nostri contemporanei. La no-
stra mancanza di Dio è anche la loro.
Accettare la notte. Significa
accettare che Dio sia “oscuro” per
la nostra intelligenza, che sia molto
al di là di quello che possiamo im-
maginare, rappresentare, credere.
Non possiamo “afferrare” Dio: è im-
menso, sacro, sorpassa ogni nostra
conoscenza. E soprattutto ci accor-
giamo, nella notte, che Dio è “altro”
da noi, non è una nostra invenzione.
E trovarlo è una conquista faticosa.
OGNI MESE
DON BOSCO
A CASA TUA
Il Bollettino Salesiano vie-
ne inviato gratuitamente a
chi ne fa richiesta.
Dal 1877 è un dono di don
Bosco a chi segue con sim-
patia il lavoro salesiano tra
i giovani e le missioni.
Diffondetelo tra i parenti e
gli amici. Comunicate su-
bito il cambio di indirizzo.
Resistere nella preghiera. Si
tratta di continuare con quelle pic-
cole preghiere che abbiamo imparato
da bambini e dirle come loro. Santa
Teresina racconta così la sua espe-
rienza: «Quando il mio spirito è in
una tale aridità da rendermi impossi-
bile di pensare al Buon Dio, io recito
lentamente un Padre Nostro e un’Ave
Maria e queste preghiere semplici mi
danno la forza di continuare».
Lasciar fare a Dio. Dio può sem-
brare lontano e muto. Ma è presente.
L’esperienza dell’aridità e del tedio
spirituale sono una sorta di depres-
sione. Questa prova lascia l’anima
senza forze. Da attiva diventa passi-
va. Patisce in silenzio, senza sapere
bene che cosa le accade, ma Dio c’è e
noi dobbiamo solo essere disponibili
a incontrarlo. Egli si rivela a ciascu-
no quando e come vuole, secondo il
carattere e la personalità di ciascuno.
Noi vorremmo sempre avere il con-
trollo della nostra vita, qui si tratta
solo di abbandonarsi alla misericor-
dia di Dio.
Ascoltare la Parola. Dobbiamo
ricordare sempre che lo Spirito di
Dio soffia nella Sacra Scrittura. L’e-
tà, la fatica, la noia, la routine sono
forse pesanti, ma che cosa sarebbe
un amore che non viene messo alla
prova di tanto in tanto? Continuare
ad amare malgrado tutto, anche nel-
la vita familiare, è una forma quasi
ordinaria di eroismo. Quando si pro-
va solo più desolazione nella propria
vita spirituale, può essere sufficiente
meditare il semplice versetto di un
salmo che diventi una specie si sal-
vagente della giornata, come «È in
te la sorgente della vita; alla tua luce
vediamo la luce» (Salmo 35).
Ripetere il nome di Gesù. La
potenza del Nome di Gesù è un
aiuto prezioso per attraversare il
deserto spirituale. Questo nome
calma lo spirito, conduce al silen-
zio, apre al mistero della presenza
divina. Ci porta al raccoglimento,
a percepire un contatto diretto con
Colui che è il punto essenziale della
nostra fede. Si può trasformare in
una invocazione: «Vieni, Signore
Gesù» o nella piccola frase che si
trova nel Vangelo e nei racconti
di un pellegrino russo: «Signore
Gesù, Figlio del Dio vivente, abbi
pietà di me peccatore». Il nome di
Gesù salva, guarisce e libera. Per-
ché come afferma Atti 4, 11-12: «In
nessun altro c’è salvezza; non vi è
infatti altro nome dato agli uomini
sotto il cielo nel quale sia stabilito
che possiamo essere salvati»
Rimanere nel “sepolcro” sen-
za disperare. Il tempo di Dio non
è il nostro, le sue vie non sono le
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nostre vie. Ci lascia cadere nel vuo-
to e nell’aridità perché impariamo a
discernere ciò che è ombra da ciò
che è luce. Si scopre così di esse-
re deboli e fragili. È come vivere il
Sabato Santo, il giorno del nulla
che è anche il giorno dell’attesa. Le
lacrime, l’umiltà, la compassione e
la speranza ci portano al mattino di
Pasqua.
Restare tranquilla ma vigilan-
te. Tutta la vita spirituale è un com-
battimento. Bisogna combattere
anche per non lasciarsi vincere dal
peso di ciò che riguarda lo spirito,
la pigrizia, la noia, il male. Bisogna
lottare per vincere la vaga impres-
sione che pregare significa perdere
tempo, che non si sa che cosa dire
o fare quando si è assediati dalle
distrazioni. Lottare contro la tenta-
zione che tanto Dio non ascolta le
nostre preghiere e soprattutto non
le esaudisce mai. L’importante è
non abbandonare il campo. Questo
significa anche trovare degli amici
in un gruppo parrocchiale, in un
monastero, in una conferenza. Non
c’è niente di meglio che una spalla
amica per conservare il fuoco del
cuore.
Imboccare la strada della
santità. E ci sono anche i santi, le
cui vite e scritti sono oasi nel de-
serto senza stelle. I santi sono degli
amici che possono guidarci lungo i
sentieri sinuosi dell’aridità spiritua-
le, che anche loro hanno vissuto.
Le loro vite sono dei mini-vangeli
che ci accompagnano con profonda
umanità nella perseveranza nono-
stante tutto. L’aridità spirituale è il
Il Rettor Maggiore alla Famiglia Salesiana:
Benedetto XVI uomo umile e libero
(ANS - Roma) Appe-
na venuto a conoscenza
che papa Benedetto XVI
ha annunciato la sua
rinuncia al ministero di
Vescovo di Roma e Suc-
cessore di san Pietro, il
Rettor Maggiore dei Sa-
lesiani ha voluto rivolge-
re un messaggio a tutta
la Famiglia Salesiana.
Carissimi Confratelli, Sorelle, membri tutti della Famiglia Salesiana, Amici di don Bosco:
Vi saluto con il cuore di don Bosco, dal Messico dove sono venuto per la celebrazione del Giubileo d’Oro
dell’Ispettoria di Guadalajara, mia Ispettoria di origine.
Anche se profondamente sorpresi della notizia appena ricevuta circa la decisione del Santo Padre, Bene-
detto XVI, di presentare la sua dimissione dal continuare a guidare la “Barca di Pietro” e a confermare i
suoi fratelli nella fede attraverso l’annuncio del Vangelo, la sua testimonianza di vita, la sua sofferenza e
la preghiera, restiamo edificati da questo esemplare e profetico gesto.
Nel presentare la sua dimissione, motivata dalle ragioni dell’età e della stanchezza, conseguenza della
sua sollecitudine nell’accompagnare la Chiesa in un periodo caratterizzato da profondi e rapidissimi mu-
tamenti sociali, che hanno a che vedere con la fede e la vita cristiana, che richiedono grande energia fisica
e spirituale, il Santo Padre confessa di essersi messo in atteggiamento di discernimento davanti a Dio.
La sua decisione è frutto dunque della preghiera ed è un segno esemplare di obbedienza a Dio! Un tale
atteggiamento non può che destare la nostra più grande ammirazione e stima. Si tratta, ancora una volta,
di un tratto spirituale tipicamente suo: l’umiltà, che lo rende libero davanti a Dio e agli uomini e rende
palese il suo senso di responsabilità.
Mentre esprimiamo al Santo Padre, come avrebbe fatto don Bosco, tutta la nostra gratitudine per la ge-
nerosità con cui ha servito la Chiesa e ha fatto sentire la sua paternità nei confronti della nostra Famiglia,
lo accompagniamo in questa fase della sua vita con il nostro grande affetto e la nostra preghiera.
Sin d’ora preghiamo per la Chiesa, invocando lo Spirito Santo, affinché sia Lui a guidare questo momento
di conclusione di un pontificato e di convocazione e celebrazione del Conclave.
Affidiamo a Maria Immacolata Ausiliatrice, in questa memoria della Madonna di Lourdes, il Santo Padre
e tutta la Chiesa. Ella continuerà a manifestarsi, come sempre lungo la storia, madre e maestra.
In comunione di cuori e preghiere.
Don Pascual Chávez V., SDB
Rettor Maggiore
carburante del desiderio di Dio per-
ché ci rende piccoli, poveri e umili
davanti a Lui. Ci “svuota” perché lo
Spirito possa riempirci. Santità non
significa canonizzazione, eroismo,
equilibrio psicologico, perfezione
morale, ma scoperta della vita in-
teriore, accettazione dell’oscurità
della fede, discesa nella preghiera,
accoglienza delle ferite, abbandono
alla misericordia divina. È così che
“gli ultimi diventano i primi” (Mat-
teo 19,30).
Americo Bejca
eremita
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SALESIANI NEL MONDO
DENISE TARACIUK
Appuntamento a Niteroi,
paradiso
brasiliano
L’opera salesiana
Santa Rosa di Niteroi,
prima casa salesiana
del Brasile, celebra
quest’anno i suoi
primi 130 anni.
Lo farà in un modo
del tutto speciale,
accogliendo i
giovani dei salesiani
di tutto il mondo
che parteciperanno
dal 23 al 28 luglio
alle giornate mondiali
della gioventù
Il 14 luglio 1883, sette salesiani, guidati da don
Lasagna, sbarcavano nella Baia di Guanaba-
ra. Oggi è conosciuta come la baia di Rio, uno
dei “paradisi” della Terra. Pochi anni prima
Charles Darwin aveva dichiarato: “La baia di
Guanabara supera in splendore tutto ciò che
gli europei possono vedere nel proprio paese”. Li
aveva voluti il vescovo di Rio de Janeiro, Pedro
Maria de Lacerda, che fu grande benefattore
dell’opera salesiana. «I tuoi figli saranno i miei
figli» disse a don Lasagna.
Lo sparuto gruppetto di salesiani era finito nel
cratere di un vulcano in eruzione. Il Brasile di
fine xix secolo era in piena trasformazione po-
litica, sociale e religiosa e torturato da epidemie
che mietevano vittime a centinaia, come la febbre
gialla e la tubercolosi.
A Rio come se non bastasse imperava un anticle-
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ricalismo feroce. Era questa la terra in cui i pri-
mi salesiani portavano il nome di don Bosco. Li
aspettavano difficoltà innumerevoli, finanziarie,
persecuzioni, diffamazioni, calunnie avvilenti.
Non si scoraggiarono e nello stesso anno comin-
ciarono a costruire un piccolo collegio per trenta
studenti interni. Era un seme che avrebbe dato
origine ad un albero gigantesco.
Cominciarono con le scuole professionali, labo-
ratori di tipografia, legatoria, sartoria, calzole-
ria e falegnameria. I laboratori del Colégio Santa
Rosa saranno presto conosciuti e stimati in tutto
il Brasile che ammira le splendide realizzazioni
degli allievi. Sono innumerevoli i professionisti
dei grandi giornali di Rio e di San Paolo formati
nelle scuole professionali salesiane.
Nel secolo scorso, la società brasiliana cominciò
rapidamente a trasformarsi e l’economia a cresce-
re in modo tumultuoso. Le scuole professionali
passarono in secondo piano a vantaggio dell’inse-
gnamento secondario. Nel 1965 la gloriosa scuola
professionale fu chiusa, ma è quanto mai viva nel-
la memoria dei suoi exallievi.
Gilberto Freyre, il notissimo sociologo brasilia-
no, ha scritto: «Dobbiamo sottolineare il rilevante
contributo impresso allo sviluppo dell’educazione
in Brasile dalle scuole salesiane aperte nel pae-
se alla fine del secolo xix. Collegi tipo il Santa
Rosa, a Niteroi, dove convivevano con gli studi
secondari, quelli delle arti e dei mestieri secondo
le tecniche più moderne».
Naturalmente, appena possibile, fu inaugurato
un Oratorio Festivo. A Niteroi, il Centro Giova-
nile Mamma Margherita attualmente offre sale
di informatica, un auditorio, un campo coperto,
sale per le diverse attività ed educatori preparati
per orientare i ragazzi che lo frequentano. Acco-
glie anche i bambini delle comunità povere dei
dintorni alla domenica, offrendo loro gli spazi
della scuola, come piscina, campo da calcio e tut-
to il resto.
All’Oratorio furono organizzati anche corsi di
alfabetizzazione per gli adulti e corsi “della civet-
ta”, cioè tenuti in ore notturne, per tutti i giovani
lavoratori che volevano entrare all’Università.
La casetta
dell’inizio. È
stata un seme
dal prodigioso
sviluppo. In basso:
Il monumento a
Maria Ausiliatrice
e il manifesto della
GMG.
Il marchio dei buoni
La storia del Santa Rosa è segnata anche da
avvenimenti drammatici. Nel 1893, un
gruppo di resistenza che combatteva per
l’abolizione della monarchia innestò un fe-
roce conflitto. Il quel periodo, l’istituto fu
trasformato in ospedale e centro di distribu-
zione di viveri per la popolazione. Questo
episodio impresse un marchio di generosità
e beneficenza nell’opera di don Bosco, che
da quel momento ebbe la stima incondi-
zionata delle autorità pubbliche.
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SALESIANI NEL MONDO
Lo splendido
santuario di Maria
Ausiliatrice, culla
della devozione
della Madonna
di don Bosco,
conosciuta in tutto
il Brasile.
Dove vanno i salesiani, però, arriva Maria Au-
siliatrice. Nel 1896, il direttore dell’Opera, don
Luis Zanchetta, lanciò l’idea di un monumento a
Nostra Signora Ausiliatrice in uno dei punti più
belli e panoramici della città. L’idea fu approva-
ta e, grazie ai benefattori, l’8 dicembre del 1900
fu inaugurato il maestoso monumento naziona-
le mariano, opera prima dell’architetto salesiano
Domenico Delpiano.
Nel 2000, per il centenario, il monumento è stato
al centro di una festa solenne con la partecipazione
di tutte le massime autorità della città e dello stato.
Non basta. Nel 1901 fu posta la prima pietra del
Santuario di Maria Ausiliatrice. Fu così che Nite-
roi divenne la culla della devozione della Madonna
di don Bosco. Il santuario fu aperto al culto nel
1918, la torre campanaria fu costruita nel 1938 e
la cupola nel 1953. Il magnifico santuario ha rice-
vuto il titolo di Basilica Minore nel 1951, quando
il cardinale di Rio incoronò l’effigie di Maria. In
uno degli altari laterali riposano le spoglie morta-
li del capo della prima spedizione dei salesiani in
Brasile, don Luigi Lasagna, e dei suoi compagni.
La grande trasformazione
Per i settant’anni dell’opera, nel 1953, fu costrui-
to un nuovo grande edificio. Aule, refettori e
dormitori furono riuniti insieme. Cominciò il
grande ammodernamento del Santa Rosa. Ma-
ria Ausiliatrice, con l’aiuto dei buoni benefattori,
continuava a costruire la sua casa, dalla quale si
spandevano in tutto il Brasile il suo nome e la
sua devozione.
«Confidando nel potere dell’Ausiliatrice costruia-
mo il nuovo edificio» dichiarò don Antonio de
Almeida Agra, il direttore. «Quindi vedremo tra
breve, il nostro vecchio “ragazzo” con un vesti-
to moderno, su misura per le esigenze attuali,
ma sempre ben attaccato alle proprie tradizioni
di amore per l’Eucaristia, Maria Ausiliatrice, il
Papa, la trasparenza e l’onestà per educare gli uo-
mini di domani».
Quando il Rettor Maggiore don Renato Ziggiot-
ti, quinto successore di don Bosco, visitò l’opera,
il presidente della Repubblica brasiliana, Jusceli-
no Kubitschek, lo insignì con l’Ordine della Cro-
ce del Sud.
Intanto continuava il grande aggiornamento delle
strutture. Scomparve l’internato e nel 1972 fu-
rono accettate anche le ragazze. Il Santa Rosa
fu la prima opera salesiana ad accogliere le fan-
ciulle. Furono costruiti gli edifici amministrativi
e un parco acquatico con una piscina olimpica.
10
Marzo 2013

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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LA CITTÀ DI NITEROI
Dell’antica opera rimase qualche frammento.
Nel 1988, fu la volta del centenario della banda
sinfonica. La banda del Colégio Salesiano Santa
Rosa è certamente la banda scolastica più antica
del paese, con un’attività ininterrotta fino ad oggi.
Fu fondata nel dicembre del 1888, data della sua
prima esecuzione pubblica, da don Pedro Rota,
secondo direttore e primo maestro di banda.
Nel 1992, la banda partecipò al Festival Interna-
zionale della Musica Giovanile di Zurigo e otten-
ne il primo posto.
Così il Santa Rosa è entrato nel nuovo secolo
attento alle trasformazioni del mondo e alle esi-
genze di una realtà che cambia senza perdere la
ragione principale della sua esistenza, che è l’edu-
cazione dei giovani con l’applicazione del sistema
preventivo di don Bosco basato su ragione, reli-
gione e amore, con un’attenzione tutta particolare
ai giovani dei ceti popolari e meno favoriti.
I salesiani del Brasile
in cammino nel nuovo secolo
I salesiani brasiliani hanno imboccato il nuovo
secolo con audacia e creatività, mettendo in atto
una ristrutturazione manageriale e organizzativa,
che ha coinvolto l’ammodernamento delle strut-
ture e delle risorse didattico-pedagogiche, una
qualità superiore nella comunicazione interna ed
Niteroi è una città del Brasile, nello Stato di Rio de Janeiro. La popolazione è
di circa 480 000 abitanti. La municipalità si estende su oltre 130 km². La città
venne fondata il 22 novembre 1573 da un indio Tupi chiamato Araribóia (che
in seguito ricevette il nome cristiano di Martim Alfonso de Souza). Niteroi è
l’unica città brasiliana ad essere stata fondata da un indio.
Si trova a 5 km dalla città di Rio de Janeiro, alla quale è collegata dal Ponte
Rio-Niteroi e da un servizio di traghetto. La qualità della vita a Niteroi è una
delle migliori tra le città brasiliane secondo gli standard delle Nazioni Unite.
esterna, il collegamento con gli agenti e le istitu-
zioni pubbliche e private, la formazione continua
degli educatori (SDB, FMA e laici) e l’adatta-
mento a nuovi paradigmi di insegnamento.
L’Ispettoria S. Giovanni Bosco (ISJB), in accordo
con le altre province del Brasile (SDB e FMA), ha
deciso di formare una “rete” (CSR), al fine di uni-
formare il materiale didattico, il carico di lavoro e
la pedagogia. Così, le scuole salesiane, in linea con
la filosofia di responsabilità sociale delle imprese,
si distinguono per un insegnamento di qualità,
permeato dai valori evangelici, con lo spirito e la
pedagogia salesiana, in cui si chiede ai giovani di
contribuire allo sviluppo di una società partecipa-
tiva, in modo etico e solidale. Un logo unico iden-
tifica tutte le scuole salesiane in Brasile, a partire
dal 2005. L’idea di creare un’identità visiva espri-
me il senso di unità dei
Salesiani del Brasile e
rafforza l’idea che aveva
don Bosco quando, nel
1883, inviò i primi sette
coraggiosi a fondare una
casa in Brasile.
Uno scorcio del complesso
di edifici del Santa Rosa.
Coniuga il massimo della
modernità con una straordinaria
fedeltà al sistema salesiano.
Marzo 2013
11

2.2 Page 12

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GIORNATE DI SPIRITUALITÀ SALESIANA
ALESSANDRO D'AVENIA
La meglio gioventù
Alle Giornate di Spiritualità della Famiglia
Salesiana non mancano mai le sorprese.
Quest’anno si sono udite le voci di stupendi
testimoni che hanno dialogato con gli
entusiasmanti interventi del Rettor Maggiore.
Pubblichiamo l’intervento dello scrittore
Alessandro D’Avenia
Lo scrittore
Alessandro
D’Avenia: «Io non
semino certezze,
ma voglia di
vivere per
la verità, il bene
e la bellezza».
Per parlare dei ragazzi bisogna guardarli e
ascoltarli. Non in televisione, ma in car-
ne e ossa. Da quando insegno ho sempre
avvertito una certa distanza tra i ragazzi
che incontravo in classe e quelli raccon-
tati dai media. Il ragazzo che emerge
dai media non è reale: come il
marziano che, cercando di
decodificare i segnali usati
dagli uomini senza cono-
scerli, pensa che il semaforo
rosso obblighi a fermarsi e
mettersi le dita nel naso. La
distanza tra realtà e
rappresentazione ha
lentamente scava-
to dentro di me il
desiderio di rac-
contare il volto
dei giovani che
le telecamere non
inquadrano. I ra-
gazzi mi sembrava-
no molto migliori di come ce li raccontano, ma
non volevo cadere nell’errore opposto: una rap-
presentazione ideologica nell’altro senso.
La prigione interiore
Questi ragazzi hanno bisogno di persone che
manifestino di non avere paura di vivere, anche
se la vita fa tremare e non bisogna nasconderlo,
solo così cominciano a generare la vita e si sen-
tono spronati a farlo, nell’età in cui il loro corpo
scopre di essere fatto per generarla. Ma abbiamo
talmente anestetizzato la verità e virtualizzato
la realtà che le verità più evidenti come il cor-
po, l’amore, il sesso, il dolore, la morte, la felicità,
Dio... diventano allegorie ideologiche, ingabbiate
in interpretazioni preconfezionate prima ancora
di essere vissute, e questo vale anche in ambito
cattolico.
Ecco che cosa mi ha scritto sul blog (profdue-
puntozero.it) una sedicenne: “Prova un giorno a
travestirti da insegnante precario e ad insegna-
re a una terza aziendale, dove sono tutti ragazzi
che spacciano a cui non importa nulla di avere
un diploma… O semplicemente nella mia classe,
ghetto di ragazze popolari che arrivano la mat-
tina strafatte di canne e dormono tutto il tempo
con la testa sul banco… Prova a insegnare Dante,
Boccaccio e Petrarca a dei ragazzi che non san-
no cosa vuol dire amare la vita... E i professori si
lasciano trasportare, un po’ come quei ragazzi, a
quella stessa condizione, pensando che non ci sia
più nulla da fare. Il più delle volte troviamo inse-
gnanti con poca voglia di vivere, quindi di lavo-
rare, quindi di insegnare. Allora la domanda che
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Marzo 2013

2.3 Page 13

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sorge è se non bisogna cambiare il mondo adulto
prima di voler cambiare il mondo adolescenziale,
prima di lavorare sull’insegnamento lavoriamo
sugli insegnanti”.
Accolta la provocazione le ho risposto che sono
stato precario sino all’anno scorso (33 anni), che
ho cambiato due volte città (Palermo, Roma, Mi-
lano), che ho cominciato a insegnare alle medie e
in un doposcuola di un quartiere disastrato della
mia città natale. Ho incontrato ragazzi del liceo,
ma anche di istituti professionali, tecnici, nautici
e chi più ne ha più ne metta e non li ho trovati
meno motivati e reattivi dei primi, anzi gli incon-
tri più interessanti li ho avuti proprio in questo
tipo di realtà.
Le ho poi chiesto spiegazione su alcune delle di-
namiche autodistruttive descritte e mi ha rispo-
sto: «Ai ragazzi forse importa avere un diploma,
il problema è che se non hanno le basi affettive
indispensabili per affrontare la crescita con le sue
difficoltà, non avranno le energie necessarie per
arrivare a guadagnarselo. Se però sono stanchi a
16 anni e la vita ti annoia, probabilmente l’apa-
tia affettiva li ha già svuotati e non sanno come
andare avanti, con che forza e per quale scopo. I
genitori sono lontani anni luce sensibilmente par-
lando. Allora ci provano con gli insegnanti, in-
somma con qualcuno che ricordi loro, e chiedono
aiuto attraverso i loro comportamenti. Abbiamo
pochi professori che se ne accorgono, pochi quelli
che ci tengono davvero. Per questo sei l’eccezio-
ne che conferma la regola. C’è bisogno di adulti:
chi c’è? Se fossi un’insegnante mi rimboccherei le
maniche per fare la mia parte, non emarginando
nessuno. Se fossi un’insegnante cercherei di sfrut-
tare al meglio gli attrezzi che ho a disposizione”.
Io meglio non avrei saputo dirlo.
«La meglio gioventù c’è»
La meglio gioventù c’è, non c’è però speranza,
perché le utopie si sono rivelate tali. La meglio
gioventù c’è: c’è quella forte, con alle spalle fa-
miglie forti, che stanno già costruendo il loro
futuro e non aspettano altro che il tempo faccia
il suo corso con chi li ha preceduti (la società
italiana è una piramide rovesciata, pochi giovani
portano il peso di un’Italia che invecchia). C’è
la gioventù fragile, che soccombe sotto i colpi
del cinismo e del disfattismo di chi spesso non
vuole fare i conti con i propri fallimenti, ma an-
che questi cercano interlocutori per sopravvivere
e a volte la loro fragilità esplode in richiami che
non si possono ignorare: dipendenze, distur-
bi alimentari, suicidi. Sono i frutti più maturi
della dittatura del relativismo. Ho sentito una
professoressa dire, dopo un mio incontro: “A
scuola dobbiamo seminare dubbi, non certezze”.
Io non semino certezze, ma voglia di vivere per
la verità, il bene e la bellezza. L’alternativa non
è tra dubbi e certezze, ma tra senso e non senso
della vita. Non si genera vita perché si ha paura
di vivere e si ha paura perché non c’è verità da
seguire.
Valgano le parole del rabbino di un romanzo di S.
Zweig: “È più forte chi si aggrappa all’invisibile di
chi confida nel percepibile, perché questo è effi-
mero, quello permanente”. Avremo il coraggio di
tornare ad aggrapparci all’invisibile?
Carola Carazzone,
presidente del
VIS e Alessandro
D’Avenia alle
giornate della
Spiritualità della
Famiglia salesiana.
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2.4 Page 14

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L’INVITATO
O. PORI MECOI
Nel cuore dell’Africa
in nome di Dio Incontro
con monsignor
e di don Bosco AlbertVanbuel,
vescovo di Kaga
Bandoro - AFC
Salesiano, con una diocesi immensa e pochissimi preti,
in una terra avvelenata da crudeli contrasti,
lotta per tenere viva la speranza
Quando ha saputo di essere
stato eletto vescovo?
Quanti anni aveva e
quale incarico nella
Congregazione Salesiana?
L’8 luglio 2005, dopo 11 anni di lavoro
come missionario salesiano a Bangui
nella Repubblica Centrafricana ebbi
una sorpresa: il Nunzio Apostolico mi
comunicò semplicemente: il santo
Padre ha nominato lei vescovo
di Kaga Bandoro. Accetta?
Quando Dio chiama si può
solamente accettare. Anche
a 65 anni. Ero direttore del
Don Bosco Damala a Ban-
gui e presidente dei Superiori
Maggiori del Centro Africa.
Qual è la storia
della sua vocazione?
Sono nato in piena Guerra mondiale.
Frequentai Hechtel, la prima casa sa-
lesiana nel Belgio del Nord (donò alla
Chiesa 5 vescovi: io, Luc Van Looy
e tre nel Congo). La mia vocazione
è nata nella mia famiglia. Ringrazio
Dio per i miei genitori e i miei fratel-
li e sorelle. La scuola al Don Bosco
Hechtel ha rinforzato il desiderio di
divenire salesiano. Nel 1958 ho fatto
la domanda di poter essere salesiano e
ho incominciato il noviziato a Groot
Bijgaarden, mi sono poi laurea-
to a Lovanio e, dopo l’ordi-
nazione sacerdotale, ho fatto
diverse esperienze pastorali
e accademiche.
Nel 1994, su proposta del
Monsignor Albert Vanbuel:
«Tutte le notti, il nostro centro
pastorale si riempie di rifugiati e
spesso le famiglie restano qui».
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Marzo 2013

2.5 Page 15

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Rettor Maggiore, sono partito per il
progetto Africa della Congregazione
come fondatore della comunità di Ban-
gui, nella Repubblica Centrafricana.
La pastorale giovanile (ritiri, forma-
zione degli animatori e dei giovani
salesiani) è il filo rosso che collega
tutta la mia vita.
Quali sono i ricordi più belli
della sua infanzia?
Sono nato durante la Seconda guer-
ra mondiale, il 5 dicembre 1940. Ho
vissuto la povertà di quel periodo, ma
anche la gioia di essere in una grande
famiglia. Vivevamo in un piccolo vil-
laggio e mio padre lavorava nelle mi-
niere di carbone. Ci aiutavamo tutti.
Anche durante i miei studi a Hechtel
le mie sorelle lavoravano per darmi la
possibilità di studiare. Al momento
dell’ordinazione le ho ringraziate con
tutto il cuore.
Ho dei bei ricordi di Hechtel. Nel
1954, per la canonizzazione di Dome-
nico Savio fu allestita una rappresen-
tazione teatrale e io interpretavo pro-
prio Domenico Savio. E poi una folla
di giovani partì per Bruxelles per una
festa grandiosa con il Cardinal Cardijn
della JOC che ci ispirò sempre.
Un altro bel momento fu durante un
pellegrinaggio, dove in quattro an-
nunciammo la volontà di diventare
salesiani. Sono rimasto solo io, ma
siamo ancora tutti in contatto.
Da quanti anni i Salesiani
sono nella Repubblica
Centrafricana? Che cosa
significa questa presenza?
Sono arrivato con due confratelli bel-
gi nel 1994, l’anno del
centenario della Chiesa
in Centrafrica. Dopo
l’anno necessario per
imparare la lingua san-
go, sono diventato par-
roco a Galabadja. Poi
anche direttore nell’o-
pera di Damala. Ab-
biamo potuto realizzare
un dispensario e quattro
scuole, una delle quali, il
Centro professionale di
Damala dal 1997, pre-
ziosa perché è la prima
scuola cattolica in Cen-
trafrica per i giovani che
vogliono apprendere un mestiere. Qui
la pastorale giovanile era quasi inesi-
stente. Ora ogni parrocchia si impe-
gna per i giovani e dal 2006 sono il
vescovo incaricato della pastorale gio-
vanile. A Damala è cominciato anche
un Liceo Don Bosco che si è già con-
quistato una grande stima.
Io insisto dal 2005 per avere una pre-
senza salesiana a Kaga Bandoro, dove
ho avviato un centro agro-pastorale.
È l’unica scuola cattolica di tutta la
regione (la mia diocesi è di 95 000
chilometri quadrati) dove poter im-
parare un mestiere per guadagnarsi
da vivere. Una presenza salesiana sa-
rebbe una grazia per la regione.
È possibile dare un volto
africano a don Bosco?
Ma certo! In un continente in cui il
60% della popolazione ha meno di 25
anni don Bosco è nel posto giusto. In
Centrafrica dove la scuola e gli ospe-
dali sono il problema maggiore (non
c’è aiuto dallo Stato e gli insegnanti
non sono motivati) i Salesiani sono
benvenuti per dare spazio ai giovani,
per lavorare con e per loro. Lo spirito
di don Bosco che ama i giovani, ma li
chiama ad impegnarsi per i loro com-
pagni, può cambiare questo paese e il
continente.
Nelle scuole mancano corsi di morale
e di convivenza civica e i giovani ve-
dono gli adulti che si battono per la
supremazia e cacciare quelli che sono
di etnia diversa.
Qui ci vuole proprio don Bosco.
Com’è composta la
conferenza episcopale
centrafricana? La sua
voce, nella Conferenza
episcopale è ascoltata?
Siamo in perfetto equilibrio: 10 ve-
scovi, 5 africani e 5 missionari. Da
tre anni, sono vice presidente della
Conferenza e delegato per i giovani e
Justitia et Pax.
Marzo 2013
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2.6 Page 16

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L’INVITATO
Quali sono le necessità più
urgenti della Repubblica
Centrafricana?
Il paese è chiuso tra Camerun, i due
Congo, Chad e Sudan. È ricco di terre
e minerali, ma siamo i più poveri del
mondo. La corruzione e l’insicurezza
mettono un freno a tutto. Questa è la
causa delle frequenti ribellioni. Nel
2008 c’è stata la gioia di un accordo
di pace con i gruppi ribelli. Ma l’at-
tuazione di questo accordo si trascina.
Solo nel 2012 è iniziata la fase “di-
sarmo, smobilitazione e reintegro” dei
ribelli. A Kaga Bandoro è stata una
gioia vederne 1700 tornare cittadini.
Ma gli altri due passi del programma
non sono partiti.
Così dopo qualche mese c’è stata la
minaccia di marciare verso Bangui –
la capitale. Durante la Messa di Na-
tale un gruppo di ribelli proveniente
dal nord ha occupato Kaga Bandoro,
senza trovare resistenze. Le autorità e
i soldati lealisti erano già andati via. I
ribelli hanno cercato gli edifici istitu-
zionali, le autorità e i singoli funzio-
nari, senza fare molto male alla po-
polazione. Purtroppo alcune persone
hanno saccheggiato gli edifici, gli
archivi e un deposito di carburante,
causando morti e feriti per le ustio-
ni. Tutte le ONG, ad eccezione della
Croce Rossa, non ci sono più, come
anche il personale medico. La suora
che gestisce il nostro dispensario è
sempre occupata ad aiutare.
Dopo alcuni giorni i ribelli hanno pre-
so la strada per Bangui e hanno lasciato
la città libera, ma adesso c’è il pericolo
delle “piccole bande” che approfittano
per rubare ed eseguire vendette perso-
nali. Da Natale tutte le notti il nostro
Centro Pastorale si riempie di rifugiati
e alcune famiglie restano permanen-
temente. Abbiamo fatto grandi cele-
brazioni a Natale, per la festa della Sa-
cra Famiglia e per il Capodanno, per
esprimere il nostro desiderio di pace e
dare serenità ai cristiani che si sentono
abbandonati. Il 31 dicembre, abbiamo
organizzato una marcia della pace con
una messa di fine anno.
Come sono i giovani
africani?
Fantastici, ma hanno bisogno di gui-
de. Perché decine di giovani di Kaga
Bandoro hanno scelto di seguire i
«In un continente in cui il 60 per cento
della popolazione ha meno di 25 anni,
don Bosco è nel posto giusto».
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Marzo 2013

2.7 Page 17

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ribelli? Li hanno ingannati, hanno
promesso denaro e vittoria. Ora sof-
frono la fame e devono depredare i
loro fratelli. La pastorale giovanile
che don Bosco propone può fare mi-
racoli in questo paese. Ma bisogna
farla partire.
Quali sono le sfide più
rilevanti della sua diocesi?
Qui tutto è una sfida. Nel 2005 ave-
vo 11 preti, 4 seminaristi e 13 suore
per 8 parrocchie. Ora ho 21 preti, 19
suore, 7 diaconi e 5 stagisti per 11
parrocchie. Ci sono 9 seminaristi e
altri candidati che si preparano. Ma
mancano scuole e insegnanti prepara-
ti. Manca la formazione di leader per
il movimento laicale di cristiani che
prendano in carico la Chiesa e siano
responsabili di un avvenire migliore.
Attualmente tutto è fermo. Non c’è
alcuna autorità, gli archivi saccheg-
giati e le ONG partite. Quale futuro
per il nostro povero paese? La povertà
fa sì che venga ancora saccheggiato
quanto non hanno preso i ribelli. La
scuola non può riprendere, le posta-
zioni sanitarie sono vuote e la gente
non va nei campi. L’unico sostegno è
la Chiesa che consola il popolo, ma
dal punto di vista economico non può
aiutare molto. La Caritas stava facen-
do un buon lavoro, ma ora è priva di
ONG con cui avviare i progetti.
Che cosa pensa della
Congregazione Salesiana?
Il mio motto vescovile è quello di don
Bosco: “Da mihi animas, coetera tol-
le”. Dobbiamo viverlo ogni giorno,
fino alla fine e chiamare altri a con-
«Qui tutto è una sfida. Non c’è più alcuna autorità,
le ONG sono partite, la scuola non può riprendere
e la gente non va nei campi. Quale futuro per il
nostro povero paese?».
tinuare. Don Bosco “passeggia” per
tutto il mondo per ricordarcelo, per
arrivare al ricordo dei 200 anni dalla
sua nascita nel 2015 come una nuova
chiamata del Signore a vivere il suo
carisma.
Ha qualche progetto
che le sta particolarmente
a cuore?
Il più grande problema sono i giovani
che non sono né aiutati né preparati a
prendere in mano la loro vita, la loro
famiglia, la Chiesa. Ho trovato giova-
ni entusiasti ma lasciati soli. A Kaga
Bandoro, per esempio, solo il 3% dei
giovani terminano le scuole seconda-
rie e spesso devono “comprare” il loro
diploma. Ci sono quindi migliaia di
giovani che bighellonano per le stra-
de, rischiano di diventare piccoli ban-
diti o capibanda come Michele Ma-
gone. A Bangui, la capitale, abbiamo
lanciato Don Bosco Damala, perché
ci fosse un centro professionale per
coloro che non frequentano le altre
scuole. A Kaga Bandoro, il problema
è ancora più grave.
Nel 2008, ho iniziato il Centro agro-
pastorale Ndowara, per offrire la pos-
sibilità ai giovani non scolarizzati di
imparare un mestiere: agricoltura (la
ricchezza della nostra regione), edi-
lizia, falegnameria, sartoria… Una
fatica immensa per trovare istruttori
qualificati che siano anche educatori.
Due anni dopo, abbiamo aggiunto
due edifici di internato per quelli che
vengono da più di 50 chilometri di
distanza (questa è l’unica scuola della
diocesi). Ma la scuola è un problema
per gli orfani abbandonati, i bambi-
ni soldato che vogliono riprendersi la
vita… Lo Stato non ci aiuta.
Ma il mio sogno più grande, il proget-
to che amo di più, è far sopravvivere
questa scuola. Forse qualche scuola
europea può proporre un gemellaggio
o qualche benefattore generoso può
aiutarmi a sostenere questa scuola
così importante per i nostri giovani.
Ho incominciato un secondo centro
nella zona dei ribelli, sulla strada ver-
so il Chad: il centro Zando. Finora
la Provvidenza mi ha aiutato. Don
Bosco e Maria Ausiliatrice saranno
sempre qui vicino. E anche la grande
famiglia salesiana, religiosi, religiose
e laici.
Marzo 2013
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2.8 Page 18

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LE CASE DI DON BOSCO
ALFONSO ALFANO
A Napoli i figli di Dio hanno
Le
Ali
Nel Centro Sociale Don Bosco
c’è una scuola speciale
dall’autentico profumo salesiano
«Gli educatori di strada potranno
comprendere più di tutti il rischio di questo
lavoro. Ogni volta che si tenta di spezzare
una catena di coinvolgimento nella criminalità
organizzata di minori, ti trovi di fronte allo
strapotere d’individui senza scrupoli.
Di mafiosi, camorristi, criminali, ne ho
conosciuti nel corso di questi anni. Vestiti
a tutto punto d’onestà e onorabilità, creano
leggi e codici a proprio uso e consumo,
attraverso una rete sempre più impenetrabile
d’omertà. Quante esperienze amare! »
«Di famiglia numerosa, espulso
dalla scuola in quarta elemen-
tare, si arrangia facendo vari
lavori in nero: barista, venditore
ambulante, muratore. Conosce
quelli che contano nella zona:
gentile e servizievole, sveglio e accattivante, vede
crescere la mazzetta del signore in doppio pet-
to giorno dopo giorno. Piccoli favori, strizzata
d’occhio, qualche innocente commissione, e il via
all’affiliazione è dato» chi racconta è don Alfonso
Alfano, per tutti Zifonso, salesiano, oggi vicario
del Don Bosco di Napoli, in passato ispettore e
direttore. Qui è anima e fondatore del centro po-
lifunzionale “Le Ali” una scuola speciale in pieno
stile “Valdocco dei tempi eroici”.
«I suoi racconti sapevano di cronaca quotidiana,
prima letti sui giornali, ma sentirli dalla sua viva
voce avevano il sapore del pane fresco di giornata.
Gli educatori di strada potranno comprendere più
di tutti il rischio di questo lavoro.
Ogni volta che si tenta di spezzare una catena di
coinvolgimento nella criminalità organizzata di
minori, ti trovi di fronte allo strapotere d’indivi-
dui senza scrupoli.
18
Marzo 2013
I ragazzi del Centro “Le Ali” del Don Bosco di Napoli.
È fondato sulla gratuità, la competenza e il sistema educativo
di don Bosco.

2.9 Page 19

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Di mafiosi, camorristi, criminali, ne ho conosciuti
nel corso di questi anni. Vestiti a tutto punto d’o-
nestà e onorabilità, creano leggi e codici a proprio
uso e consumo, attraverso una rete sempre più im-
penetrabile d’omertà. Quante esperienze amare!
La storia di G. mi ha toccato profondamente: un
ragazzo della mia terra, finito nell’infernale spi-
rale della camorra. Esiste uno spietato uso della
criminalità organizzata, un’incosciente caccia a
ragazzi svegli per affiliarli. Si ricorre spesso a mi-
nori di 14 anni, perché coperti dall’impunibilità.
Sciacalli! Il facile arricchimento, la passione per
la carriera tra le file della malavita avevano creato
in G. il mito del boss; si vantava di appartenere a
un clan criminale.
Lo avevo conosciuto occasionalmente per strada.
Un ragazzo in fuga dalla famiglia che lo aveva
scaricato da tempo! In fuga dal quartiere, per-
ché considerato spione. In fuga dalla polizia. Lo
cercava per reati vari. In fuga dai capizona, per-
ché aveva varcato il mare da’ scienza: si era spinto
troppo. “O’ guaglione sape molte cose che non
deve sapere. Si deve purgare. Ha il sangue infet-
to. Deve uscire fuori”.
Una soffiata e capisce che la sua vita è in perico-
lo e scappa lontano. Aveva avuto un rapido ap-
prendistato tra la camorra. Scaltro e ben pagato,
corriere di messaggi e refurtiva di valore, sull’as-
se Napoli-Roma-Milano ha incarichi di fiducia
per tre anni, con responsabilità sempre maggiori.
Aveva ricevuto battesimo e cresima nella nuova
famiglia. Il nome d’arte? A’ freccia d’o Vesuvio.
Numero e lettera di codice: binario dieci».
Ali per quelli che nessuno vuole
Il direttore dell’opera, don Mario Delpiano, ha
recentemente scritto in una lettera aperta al sin-
daco di Napoli «Il Don Bosco di Napoli per de-
cenni ha accompagnato centinaia di giovani sulle
soglie dell’inserimento lavorativo con una quali-
ficazione professionale all’altezza dei tempi, con-
centrando il suo sforzo e la sua azione educativa
e preventiva verso i minori fortemente a rischio,
perché negati nel loro diritto ad una famiglia
normale, privati della presenza sicurizzante di
entrambi i genitori, esposti ai percorsi della de-
vianza, potenziale manovalanza della camorra e
dei professionisti dell’illegalità».
I Salesiani di don Bosco sono presenti sul territo-
rio da oltre settant’anni. Negli ultimi decenni si
è cercato sempre più di adeguare modalità, pro-
grammi, scelte operative alle nuove esigenze del
territorio alla luce di normative nazionali e inizia-
tive degli enti locali.
Il Centro polifunzionale “Le Ali” adotta il sistema
preventivo di don Bosco per ogni progetto forma-
tivo. Opera attraverso sinergia tra il pubblico e il
privato. Fa della gratuità e del volontariato e della
formazione degli operatori a qualsiasi titolo pre-
senti al Centro, la scelta prioritaria del progetto.
Il progetto si fa carico di una fascia trascurata sul
territorio. I ragazzi tra i 14 e i 18 anni vengono la-
sciati alla strada proprio nel momento di maggior
bisogno. È proprio per questo che il Centro, in fase
di riprogettazione, intende porre una maggiore at-
tenzione a questi destinatari affidati dai Servizi
Sociali territoriali, dal Tribunale per i Minorenni
o segnalati da insegnanti, parroci, operatori del so-
ciale o contattati direttamente “sulla strada”.
Il Centro “Le Ali” si pone pertanto come punto
di riferimento per strutture e istituzioni del ter-
Alcuni dei giovani
del Centro con
il sindaco di
Napoli e (a destra)
don Alfonso
Alfano, anima del
progetto.
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2.10 Page 20

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LE CASE DI DON BOSCO
Allievi del settore
della Ristorazione.
Il Centro ha
una struttura
accogliente
e una solida
organizzazione.
ritorio per proporre soluzioni, per offrire consu-
lenze, per integrare iniziative comuni, stabilire
orari, attività, modalità di interventi, diversificati
ed elastici, secondo i bisogni dei destinatari e le
richieste delle istituzioni.
Dopo alcuni anni di disagio oggi il Centro ha
una struttura accogliente e una solida organiz-
zazione formativa per rispondere concretamente
alle richieste degli accolti. È dotato in particolare
di un “Centro benessere”, il Servizio per l’edu-
cazione alla legalità e alla Sicurezza sul lavoro,
l’Aula informatica, la bottega dell’artigianato, il
laboratorio teatrale.
«Campano sulla nostra paura»
I disperati come A’ freccia d’o Vesuvio. «Ricordo la
voce tremante di Binario dieci quella sera alla sta-
zione» continua don Alfano; «insistevo per cono-
scere i nomi dei suoi persecutori. “Voi siete pazzo.
Sono infami. Prima i salamelecchi, poi i ‘paccheri’ e
adesso‚ o curtiello ... Sono tutti impastati di merda. E
se ti avvicini ci finisci dentro e... muori. Lassa sta!”
Dalla sua bocca non cavai un nome, ma solo tanto
veleno, tanti monosillabi bagnati da raffiche di
sputo.
La malavita ha una rigida gerarchia fatta di per-
sone insospettate, in collusione con il potere po-
litico. “Ti minacciano, ti ricattano; devi stare al loro
giuoco... Ma un giorno ho capito. Mi videro addosso
la fotografia di un mio caro amico scomparso miste-
riosamente qualche mese prima. La strapparono con
violenza dalla mia tasca e uno di loro la gettò, dopo
averla fatta a pezzi, nella spazzatura. Allora com-
presi: erano stati loro a farlo fuori. La stessa sorte po-
teva toccare anche me”.
Ci capita di ritrovarci di fronte a un mercato d’e-
storsioni, spaccio e traffici illeciti di ogni gene-
re, siamo a contatto con la sofferenza di ragazzi
coinvolti nella delinquenza organizzata. Chi si
accosta a questo mondo triste, scopre un clima
di costante intimidazione e d’illegalità, tra ideali
distorti. Il ragazzo dei bassi di Napoli aveva lotta-
to: aveva anche sognato una vita brillante. Dietro
quella porta di ferro aveva capito che altri erano
riusciti a blindare la sua adolescenza: aveva ritro-
vato il coraggio al tempo giusto. Ora si sentiva più
forte. Libero!
La lotta per sopravvivere alle difficoltà dell’ado-
lescenza fa le ali forti. Salutandomi dopo alcuni
mesi mi abbracciò. Era felice. “Avevi ragione. I
boss, i guappi, i prepotenti campano sulle nostre
paure.”
Con il cuore di don Bosco, proprio questo fa il
centro “Le Ali”: indicare il cielo libero e immenso
e ridare la capacità di volare a chi l’ha persa. «Noi,
i fortunati, abbiamo un debito da saldare. Ciò che
ci è stato dato, è per chi ha avuto di meno o nulla»
insegna Zifonso.
Centro polifunzionale multietnico diurno per minori
a grave rischio di devianza.
Via Don Bosco, 8 - 80141 Napoli
Tel. 081 7511340 - Fax 081 7514981
e-mail: napolidonbosco@donboscoinfosud.it
zifonso@libero.it
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INVITO A VALDOCCO
DISEGNI DI LUIGI ZONTA, FOTOGRAFIE DI GIOVANNI ULIANA, MARIO NOTARIO, NATALE MAFFIOLI
Questa è la prima puntata
di una serie utile a tutti coloro che
nei prossimi mesi si metteranno in
cammino per incontrare don Bosco
nei luoghi dov’è vissuto.
Non è mai una semplice “gita”,
ma una vera avventura spirituale.
Incominciamo con
don BToosrciono La
di
PIAZZA
7
DELLA
REPUBBLICA
6
VIA SANTA CHIARA
VIA SANTA CHIARA
VIA SAN DOMENICO
VIA DEL CARMINE
5
VIA CORTE D'APPELLO
PIAZZA
SAN
G I OVA N N I
VIA GARIBALDI
VIA GARIBALDI
PIAZZA
ARBARELLO
5
VIA GARIBALDI
VIA BARBAROUX
VIA JUVARRA
VIA BERTOLA
VIA S. MARIA
3 4 VIA BERTOLA
VIA PIETRO MICCA
VIA CERNAIA
VIA CERNAIA
PIAZZA VIA ALFIERI
SOLFERINO
2
VIA DELL'ARCIVESCOVADO
1
1. Chiesa
della Visitazione
2. Chiesa
dell’Arcivescovado
3. San Francesco
d’Assisi
4.Il Convitto
Ecclesiastico
5. Le prigioni
6. Chiesa
della Consolata
7. Il monumento
a don Cafasso
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Marzo 2013
Marzo 2013
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INVITO A VALDOCCO
Un giovane diventa prete
1. Chiesa della Visitazione
Via XX settembre, angolo via Arcivescovado
In questa chiesa piccola e graziosa,
che era stata la cappella dell’antico
monastero della Visitazione (le suo-
re fondate da san Francesco di Sales
e santa Giovanna Francesca Chan-
tal), il chierico Giovanni Bosco tra-
scorse ore di preghiera e di adorazione
nei giorni immediatamente precedenti
alla consacrazione sacerdotale.
Le suore visitandine avevano vissuto
qui fino alla soppressione degli ordini
religiosi attuata dal governo francese
nel 1802. La loro presenza a Torino
contribuì alla diffusione del culto e del-
la spiritualità di san Francesco di Sa-
les, uno dei santi più amati negli Stati
Sabaudi. Nella Restaurazione le suore
visitandine furono trasferite nel mona-
stero di santa Chiara e questo edificio
venne affidato ai preti della Missione
di san Vincenzo de’ Paoli (1830).
Qui Giovanni Bosco incontra Torino.
Arriva qui dal Seminario di Chie-
ri. In questa casa, fa per tre volte gli
esercizi spirituali: in preparazione del
suddiaconato (settembre 1840), del
diaconato (marzo 1841) e dell’ordina-
zione sacerdotale (dal 26 maggio al 5
giugno 1841).
Proprio qui il diacono Giovanni Bosco si prepara all’ordinazione sacerdotale. I pro-
positi fatti durante gli esercizi spirituali per il presbiterato rispecchiano tematiche care
alla spiritualità e al modello sacerdotale propugnato dai Lazzaristi e diffuso anche
da don Cafasso, con un significativo richiamo al metodo pastorale di san Francesco di
Sales: «Il prete non va da solo al cielo, non va da solo all’inferno. Se fa bene andrà al
cielo con le anime da lui salvate col suo buon esempio; se fa male, se dà scandalo andrà
alla perdizione colle anime dannate pel suo scandalo. Quindi metterò ogni impegni per
osservare le seguenti risoluzioni». Seguono nove propositi fondamentali per la sua vita.
Tre, in particolare, disegnano quello che sarà lo stile di don Bosco: «Occupare rigorosa-
mente bene il tempo; Patire, fare, umiliarsi in tutto e sempre, quando trattasi di salvare
anime; La carità e la dolcezza di S. Francesco di Sales mi guidino in ogni cosa».
2. Chiesa dell’Arcivescovado
Via Arsenale, 16
Nella cappella dell’Arcivesco-
vado, dedicata al mistero
dell’Immacolata Concezio-
ne ben prima che papa Pio
IX ne proclamasse il dogma
di fede l’8 dicembre 1854, il
5 giugno 1841, l’arcivescovo di Tori-
no pose le mani sul capo di Giovanni
Bosco e lo consacrò sacerdote. Aveva
26 anni, ed era diventato «Don Bo-
sco». La prima parte del suo «grande
sogno» era realizzata. E adesso?
La cappella dell’Arcivescovado è aperta tutti i giovedì e venerdì feriali, dalle 8.30 alle 12.30.
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3. San Francesco d’Assisi
Via san Francesco d’Assisi, 11
Il 6 giugno 1841, domenica della
SS. Trinità, don Bosco sacerdo-
te novello celebrò la sua prima
Messa in questa chiesa, all’altare
dell’Angelo Custode.
La chiesa aveva origini antiche e
si raccontava che l’avesse fondata san
Francesco stesso durante il suo viag-
gio in Francia nel 1215. Era poi stata
rifatta più volte e nel 1761 il celebre
architetto Bernardo Vittone ricostruì
la facciata e la cupola.
La prima cappella a sinistra è quella
dell’Angelo Custode, il bel quadro è
di Pietro Ayres (1794-1878).
Il primo confessionale nella navata
sinistra è quello in cui san Giuseppe
Cafasso trascorreva molte ore della
sua giornata. Attraverso il sacramen-
to della Penitenza egli era guida spi-
rituale di numerosi sacerdoti, di per-
sonaggi influenti della vita cittadina,
ma anche di molti popolani. Aveva
il dono di intuire le coscienze e con-
vertire anche i cuori più duri. A lui si
ricorreva nei casi disperati; in parti-
colare gli si affidavano i condannati a
morte più restii alla conversione.
«La mia prima Messa – scriverà don Bosco con semplicità – l’ho celebrata nella
chiesa di san Francesco d’Assisi, assistito da don Giuseppe Cafasso, mio insigne be-
nefattore e direttore. Mi aspettavano ansiosamente al mio paese, dove da molti anni
non si era avuta una prima Messa. Ma ho preferito celebrarla a Torino senza ru-
more, all’altare dell’Angelo Custode. Quello posso chiamarlo il più bel giorno della
mia vita. Nel momento in cui si ricordano i defunti, ho ricordato i miei cari, i miei
benefattori, specialmente don Calosso, che ho sempre considerato grande e insigne
benefattore. È pia credenza che il Signore conceda quella grazia che il nuovo sacer-
dote gli domanda celebrando la prima Messa. Io chiesi ardentemente l’efficacia della
parola, per poter fare del bene alle anime».
La sua seconda Messa, don Bosco volle
dirla all’altare della Consolata (6), nel
grande Santuario della Madonna in
Torino. Levando gli occhi la vide lassù,
la Signora splendente come il sole, che
diciassette anni prima gli aveva parlato
in sogno. «Renditi umile, forte e ro-
busto», aveva detto. Don Bosco aveva
cercato di farsi così. Ora cominciava il
tempo in cui «tutto avrebbe compreso».
Il giovedì seguente, festa del Corpus
Domini (allora festa di precetto), don
Bosco dice la Messa al suo paese.
Le campane hanno suonato e squil-
lato a lungo. Tutta la gente è ammuc-
chiata nella grande chiesa.
Quella sera, mamma Margherita tro-
va un momento per parlargli da solo a
solo, e gli dice: « Ora sei prete, sei più
vicino a Gesù. Io non ho letto i tuoi
libri, ma ricordati che cominciare a dir
Messa vuol dire cominciare a soffrire.
Non te ne accorgerai subito, ma a poco
a poco vedrai che tua madre ti ha detto
la verità. D’ora innanzi pensa soltanto
alla salvezza delle anime, e non pren-
derti nessuna preoccupazione di me».
Quella sera don Bosco scrive il suo
personale Magnificat: «La sera di quel
giorno tornai alla mia casa. Quando
fui vicino ai luoghi dove avevo vissuto
da ragazzo, e rividi il posto dove ave-
vo avuto il sogno dei nove anni, non
potei frenare la commozione. Dissi:
«Quanto sono meravigliose le strade
della Provvidenza! Dio ha veramente
sollevato da terra un povero fanciullo,
per collocarlo tra i suoi prediletti».
Che cosa doveva fare adesso il giovane
prete Giovanni Bosco? Naturalmente
gli piovvero addosso molte offerte, al-
cune parecchio allettanti.
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3.4 Page 24

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INVITO A VALDOCCO
CI VUOLE UN AMICO! Nei momenti delle grandi decisioni, il tesoro più prezio-
so è un amico vero. E don Bosco ce l’ha. È don Cafasso. Per tagliar corto, don Bosco
7
si reca a Torino da don Cafasso. «Cosa devo fare?» chiede. «Non accettate niente.
Venite qui nel Convitto ecclesiastico. Completerete la vostra formazione sacerdotale».
Don Cafasso vede lungo. Ha capito che la « carica » umana e spirituale di don Bosco
non può esaurirsi in una famiglia o in un paese. Torino invece è una città che può
esaurire lui. Quartieri nuovi, tempi nuovi, problemi nuovi. Don Cafasso dovrà
solo stare attento a frenarlo.
4. Il Convitto Ecclesiastico
Accanto alla chiesa sorgeva il
Convitto Ecclesiastico, di-
retto dal Cafasso. Invitato
da lui, don Bosco si trasferi-
sce nel Convitto. Vi rimarrà
per tre anni, arricchendosi
culturalmente e spiritualmente. Don
Cafasso lo coinvolse in molte espe-
rienze pastorali, con i piccoli muratori,
gli spazzacamini, lo porta con sé nelle
carceri, lo mette a contatto con altri sa-
cerdoti che in quegli anni stanno ini-
ziando l’esperienza degli oratori.
Una cosa salta subito agli occhi di
tutti: il giovane don Bosco esercita un
fascino straordinario sui ragazzi. Ri-
corda lui stesso: «Appena entrato nel
Convitto di san Francesco, subito mi
trovai una schiera di giovanetti, che
mi seguivano per viali, per le piazze
e nella stessa sacristia della chiesa
dell’Istituto. Ma non poteva prender-
mi diretta cura di loro per mancanza
di locale» (MO 120-121).
5. Le prigioni
Via san Domenico, 13 e Via Stampatori, 3
Il suo amico don Cafasso, che l’ave-
va preso sotto le sue ali protettive,
era conosciuto come «il prete della
forca», perché faceva il cappellano
delle prigioni e se qualcuno veni-
va condannato a morte, saliva sul
carro accanto a lui e lo confortava fino
al luogo del supplizio, che era il Ron-
dò della forca. Questo è il nome che ha
ancora la fermata dei bus all’incrocio
di Corso Valdocco e Corso Regina
Margherita, dove un tempo finiva (e
cominciava) la città di Torino e veniva-
no giustiziati i condannati a morte. Qui
sorge il monumento a don Cafasso, che
è stato dichiarato santo nel 1947 ed è
venerato nella Chiesa della Consolata,
dove il suo corpo è esposto in un’urna.
Una volta, anche don Bosco provò ad
assistere all’esecuzione di un suo gio-
vane assistito, ma quando vide il pal-
co con le forche impallidì e svenne.
Don Cafasso, conosciuta la spiccata
propensione al lavoro tra i giovani,
mette don Bosco a contatto con le fa-
sce giovanili più povere e abbandonate
della città. Lo coinvolge nei catechi-
smi ai piccoli muratori e agli spaz-
zacamini; lo impegna
nell’assistenza spiritua-
le presso i nuovi istituti
di carità e di istruzione
che stanno sorgendo
nella capitale (Cotto-
lengo, Opera Pia Ba-
rolo, scuole della Regia
Opera della Mendicità Istruita dirette
dai Fratelli delle Scuole Cristiane); lo
porta con sé nelle carceri. Le prigioni
di Torino in quel tempo erano quattro:
due per le donne e due per gli uomini.
Queste ultime erano il correzionale e
le prigioni senatorie.
Per don Bosco è un’esperienza che lo
fa riflettere: «Nelle carceri imparai tosto
a conoscere quanto sia grande la malizia
e la miseria degli uomini.»
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Marzo 2013

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BUONE NOTIZIE
L’exallievo ing. Nicola
Barone “Cavaliere
dell’Ordine equestre
di san Gregorio Magno”
Un meritato riconoscimento quello di
cui è stato insignito l’ing. Nicola Ba-
rone con il conferimento del titolo di
“Cavaliere dell’Ordine di san Gregorio
Magno”. La sera del 19 luglio una
schiera numerosa di Amici e di Sale-
siani si sono ritrovati a Roma presso il Seminario
minore S. Apollinare per condividere il conferi-
mento del titolo che il Santo Padre rilascia come
pegno visibile di gratitudine a chi si è dedicato
alla diffusione dei valori cristiani attraverso la
propria attività.
L’ing. Barone da anni è nel gruppo dirigenziale
di Telecom Italia. Da questo orizzonte ha potuto
svolgere attività sempre in ambito della comuni-
cazione tali da tradurre in realtà il perenne invito
di don Bosco: essere buoni cristiani e onesti cit-
tadini. Nel connubio di queste due realtà il cav.
Barone ha avuto modo di distinguersi nell’at-
tuazione di numerosi progetti a livello regionale
(Calabria in particolare!), a livello nazionale e
internazionale.
La lettura della pergamena in latino – firmata
dal Segretario di Stato card. Tarcisio Bertone – è
stata fatta dal prof. Manlio Sodi, sdb, Presidente
della Pontificia Accademia di Teologia; la con-
segna della Croce è stata fatta dall’arcivescovo
di Benevento mons. Andrea Mugione; mentre il
distintivo è stato consegnato dall’Eparca mons.
Donato Oliverio.
Se il titolo prestigioso è un riconoscimento per
quanto realizzato finora dall’ing. Barone, per al-
tro verso costituisce un invito a continuare nella
“missione” intrapresa, sempre secondo lo spirito
di don Bosco!
Il Bollettino Salesiano sul tuo telefonino
Un’applicazione per avere sott’occhio tutto il mondo sa-
lesiano. Dalla Rivista Maria Ausiliatrice, a Il Bollettino
Salesiano (ed. italiana), alle notizie della Congregazione.
Uno strumento indispensabile per tutta la Famiglia Sa-
lesiana e gli amici di don Bosco.
Puoi scaricare dal collegamento a lato la versione più
consona al tuo strumento mobile.
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FINO AI CONFINI DEL MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
FILIPPINE
Grande
Adorazione
Eucaristica
(ANS - Manda-
luyong) – Per celebrare la festa di don Bosco
e i 60 anni dell’istituto, lo scorso 21 gennaio
il “Don Bosco Technical College” di Man-
daluyong, Manila, ha organizzato la Grande
Adorazione Eucaristica.
Il rito è iniziato con la processione gui-
data da don Martin Macasaet, direttore,
poi, nel campo da calcio è stato esposto il
Santissimo, davanti a oltre 2500 persone:
studenti, exallievi, salesiani e membri della
comunità educativo pastorale. Dopo un
breve intervento da parte di don Edwin
Soliva, per circa 2 ore ha regnato un clima di
silenzio orante, rotto solo di tanto in tanto
dai canti del coro. L’evento è stato promosso
dal “Don Bosco Days with the Lord Mo-
vement”, un gruppo di giovani impegnati a
portare i loro coetanei ad una relazione più
profonda e autentica con Dio.
SPAGNA
Una raccolta
di canzoni
su Don Bosco
(ANS - Madrid) – Da gen-
naio è disponibile in rete
la raccolta “Don Bosco,
tu sueño”, una raccolta di
8 brani originali su don
Bosco e la vocazione sale-
siana. L’iniziativa, prodotta
dall’Ispettoria salesiana
di Madrid, rientra nel
cammino di preparazione
al Bicentenario della nasci-
ta di don Bosco. I brani,
opera di salesiani, religiosi
o giovani animatori, sono
disponibili – in versione
originale o con solo la
base musicale – nella
sezione “Multimedia
y Musicales” del sito
www.conoceadonbosco.
com, che la Famiglia
Salesiana della Spagna
ha lanciato un anno fa per
far conoscere la figura di
don Bosco. Nella stessa
sezione sono disponibili
anche altri materiali per
lavorare su ogni canzone
nei gruppi giovanili, negli
incontri o nei momenti di
formazione.
SIERRA LEONE
I ragazzi
di Fambul
in festa
per Don Bosco
(ANS - Freetown) – Il 31 gennaio 2013
l’opera salesiana “Don Bosco Fambul” di
Freetown, in Sierra Leone, ha celebrato
solennemente la festa di don Bosco invitando
presso le sue strutture un gran numero di
ragazzi e ragazze di strada e parrocchiani.
Le celebrazioni hanno avuto inizio con l’Eu-
caristia presieduta da mons. Edward Tamba
Charles, arcivescovo.
Al termine della messa ha avuto luogo un
pranzo di festa per oltre 300 bambini e
ragazzi di strada e un centinaio di operatori
e personale dell’opera.
È stato messo in scena anche un fitto pro-
gramma culturale, della durata di 4 ore, con
giochi di prestigio, scenette ed esibizioni
artistiche, teatrali e musicali.
Varie anche le celebrità giunte per rallegrare i
minori ospiti del centro, tra le quali il calcia-
tore, ex Inter, Mohamed Kallon.
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ALBANIA
20 anni
a Tirana,
dai bunker
al campus
TURCHIA
Le attività
educative
dei salesiani
di Istanbul
(ANS - Tirana) - Il 31 gennaio, festa
di don Bosco, ha segnato il 20° anniversario
di esistenza del Centro Sociale Don Bosco
di Tirana.
Per l’occasione sono intervenute varie
autorità civili e religiose, tra le quali anche
il Primo Ministro, on. Sali Berisha, che ha
ricordato come quello che vent’anni fa era
un campo pieno di bunker militari oggi
è un campus di educazione e formazione,
che ospita una scuola elementare e media,
una scuola tecnica, il ginnasio, un centro di
formazione professionale con vari corsi, un
oratorio centro giovanile, un centro diurno
che accoglie in particolare bambini Rom, la
“Casa degli Amici”, un centro per aiutare i
giovani con disabilità, e una parrocchia.
Don Marek Gryn, direttore dell’opera, ha
infine ringraziato il popolo albanese per aver
ospitato e dato fiducia ai salesiani.
SUDAN
Una giornata nel
campo profughi
di Mayo
(ANS - Karthoum) – Nel
2012 l’ONG salesiana
“Volontariato Internazio-
nale per lo Sviluppo” (VIS)
ha avviato a Karthoum un
progetto per il sostegno
ai profughi del campo di
Mayo, cofinanziato insieme
all’associazione Cerveteri
Solidale Onlus e all’UNI-
CEF. Scopo dell’iniziativa è
provvedere all’educazione
di 600 bambini, profughi
del Sud Sudan o origi-
nari delle aree soggette a
combattimenti. “Il pranzo
– racconta un volontario
– per i bambini del centro
è costituito da un piatto di
lenticchie e una pagnotta;
le classi mangiano 2 alla
volta perché non ci sono
piatti per tutti; e per dare
fogli a tutti i quaderni sono
stati divisi a metà. Eppure
i bambini non smettono
di sognare un futuro lumi-
noso, chi da medico, chi
da pilota di aereo, chi da
insegnante… e tutti usano
solo i colori più vivaci”.
(ANS - Istanbul) – Presso l’opera salesiana
“San Bartolomeo” ad Istanbul, nell’Ispetto-
ria del Medio Oriente (MOR), si organizza-
no corsi scolastici e attività educative, spor-
tive, sociali e di catechesi rivolte a gruppi di
giovani provenienti da realtà sociali sfavore-
voli e da altri paesi.
130 ragazzi frequentano la scuola Don Bosco
guidata da don Rodolfo Antoniazzi, con cor-
si di lingue, matematica, scienze, religione e
sport. 90 giovani iracheni partecipano ai cor-
si di lingua inglese – turco, attività sportive,
sociali e di catechesi guidati da don Jacky
Doyen.
70 giovani immigrati africani seguono un
programma serale con corsi di lingua inglese
– turco, informatica, catechesi, e attività di
dialogo.
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3.8 Page 28

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A TU PER TU
CHIARA BERTATO
Un nuovo ispettore
per il Triveneto Iltimonepassaa
don Roberto Dal Molin
Il Superiore dell’Ispettoria “San
Marco” dell’Italia Nord Est (INE)
per il sessennio 2012-2018
è don Roberto Dal Molin che
succede a don Eugenio Riva.
L’insediamento è avvenuto
il 1° settembre a Mestre.
Dal Molin rientra nella sua
ispettoria dopo sei anni trascorsi
come direttore dell’istituto
filosofico salesiano a Nave (BS).
Quale bagaglio ti porti
appresso dopo questi
anni a servizio dei giovani
confratelli?
In questo tempo il Signore mi ha dato
la grazia di conoscere e accompagnare
un centinaio di confratelli, i “figli di
don Bosco” più giovani che sono en-
trati a far parte della Congregazione.
Ho scorto nel loro entusiasmo e nella
loro generosità pur segnata da fragili-
tà, un riflesso dell’azione di Dio che
ama e vuole salvare i giovani. Nella
mia valigia c’è un amore rinnovato per
don Bosco e per la Congregazione, un
grande senso di gratitudine a Dio per
la tenacia della sua provvidenza.
Hai mai pensato
a un’immagine
o un motto per il tuo
servizio da ispettore INE...
“Rimanete in me”, questa è l’espres-
sione evangelica che mi accompagna
alla vigilia del mio nuovo servizio. Il
desiderio è quello di rimanere unito a
Cristo come il tralcio alla vite, è Lui
che porta frutti di salvezza. Da qui il
mio impegno a rimanere in Lui me-
more che il distacco rende infruttuosi,
infelici, perduti.
Sta crescendo la “prima
generazione incredula”,
giovani e ragazzi senza
alcun approccio alla fede.
Quali sono i primi e più
urgenti compiti di un
educatore cristiano?
Ogni educatore cristiano sa che il
primo da evangelizzare è proprio lui
stesso in un rapporto con Gesù da
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Don Roberto Dal Molin (primo a sinistra) con il
Regionale d’Italia e Medio Oriente, don Fausto
Frisoli e (ultimo a destra) il suo predecessore
don Eugenio Riva, nel giorno della presentazione
ufficiale all’Ispettoria.
non dare per scontato e da coltivare
quotidianamente con l’aiuto materno
della Vergine Maria. La vita offrirà
occasioni per condividere il rapporto
con il Signore che motiva e dà gioia.
Trovo prezioso per l’educatore saper-
si poi avvicinare alla vita dei giovani
con capacità di ascolto e desiderio di
comprensione perché si sentano ca-
piti in profondità. L’educazione sarà
poi una proposta ferma e convinta;
i giovani hanno bisogno di proposte
convincenti, capaci di intercettare le
esigenze del loro cuore, suggerite da
figure autorevoli che sono per loro
punti di riferimento.
Che cosa significa essere
Ispettore, oggi?
Essere ispettore è accostare da padre
le storie di vita di tanti salesiani che si
sono donati a Dio e spesi per i giovani.
Essere ispettore è essere un richiamo
per confratelli, famiglia salesiana e
giovani ad essere uniti nello spirito di
don Bosco e con il suo Successore.
Essere ispettore è cogliere “la vita”
presente in ogni opera, farla crescere,
guidarla assieme ai confratelli che ne
hanno la responsabilità.
Essere ispettore è costruire comunio-
ne con la Chiesa locale e con gli enti
del territorio perché i giovani abbiano
“una vita piena e abbondante”.
Essere ispettore è avere a cuore che
anche i giovani di domani possano in-
contrare don Bosco.
Essere ispettore è mettersi in ascolto
ogni giorno dello Spirito Santo “che
ha suscitato, con l’intervento materno
di Maria, San Giovanni Bosco” per
cercare di fare la volontà di Dio.
Com’è la tua Ispettoria?
Fanno parte dell’Ispettoria Nord Est
d’Italia 35 comunità salesiane, da Bol-
zano a Trieste, da Belluno a Porto Viro
(RO). Due sono in Romania, a Bacau
e Costanza, una nella capitale moldava
di Chisinau. Complessivamente i con-
fratelli sono 380 impegnati in 26 scuo-
le (8 primarie, 10 secondarie di primo
grado, 8 secondarie di secondo grado),
7 Centri di formazione professionale,
12 parrocchie con oratorio, 2 oratori in
zona pastorale, 6 Convitti per Univer-
sitari, 6 Centri di accoglienza per Mi-
nori, 5 Centri di accoglienza e ospitali-
tà, 2 case di cura e riposo per salesiani,
1 università.
Il Movimento Giovanile Salesiano
è animato dal servizio di Pastorale
Giovanile in comunione con le Figlie
di Maria Ausiliatrice e con tanti gio-
vani che sono coinvolti a vari livelli.
È viva la collaborazione con i diversi
gruppi della Famiglia Salesiana per
innumerevoli iniziative e percorsi
educativi.
Complessivamente sto incontrando
un’ispettoria ricca di giovani, vivace
e intraprendente. Il Capitolo Ispet-
toriale appena concluso ha rafforzato
i vincoli di fraternità e coesione con
uno sguardo fiducioso al futuro per
essere sempre più con don Bosco se-
gno dell’amore di Dio per i giovani.
A chi devi la tua vocazione?
La mia vocazione la devo al Signore
che mi ha chiamato in modo ina-
spettato e rispettoso. Tanti mi hanno
aiutato a seguirLo nonostante le mie
iniziali resistenze; qualcuno in modo
più esplicito come la mia guida spiri-
tuale, qualche altro attraverso la testi-
monianza che mi ha dato, in primis i
miei genitori.
Marzo 2013
29

3.10 Page 30

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FMA
MARIA ANTONIA CHINELLO
Life-community
Una casa lungo la strada
«Tutto è cominciato quando una ragazza che frequentava
l’ultimo anno della scuola, a causa della situazione
familiare, non poteva più stare a casa. Ciò equivaleva
a lasciare gli studi. Ci siamo attivate, cercando per
lei una soluzione con i servizi sociali. Niente da fare:
la ragazza era maggiorenne. Abbiamo così deciso che
poteva vivere con noi, almeno fino al termine dell’anno
scolastico. Ma un sì porta a un altro sì...».
A raccontare è suor Marina
Rerren, Figlia di Maria Au-
siliatrice. Con la sua comu-
nità vive a Heverlee (Bel-
gio), alle porte di Leuven,
la città universitaria, famosa
per l’Università Cattolica. Una città
giovane, con un tenore di vita agia-
to, ma a percorrerla bene, si scoprono
povertà nascoste. Le Figlie di Maria
Ausiliatrice sono presenti dal 1988. La
porta della loro casa si apre sul cortile,
un mondo di educazione. Bambini e
giovani sbucano da tutte le parti: per
loro c’è l’asilo nido, la scuola materna
ed elementare, la scuola professionale
“Don Bosco”, il doposcuola, il Centro
giovanile. Una Figlia di Maria Ausi-
liatrice fa parte del Servizio Giovanile
Diocesano di Bruxelles, c’è il Vides, la
preparazione degli animatori del Cen-
tro Estivo, la collaborazione all’“Aiuto
alla chiesa che soffre” parrocchiale,
dove si cura anche la formazione dei
genitori dei bambini della catechesi.
Viene proprio da dire: chi più ne ha più
ne metta. Ma riprendiamo il racconto
con suor Marina.
Se qualcuno bussa
alla porta
Insieme alla prima ragazza ospita-
ta dalle suore, arrivano richieste per
trovare un luogo di accoglienza per
altre giovani in difficoltà: le istituzio-
Suor Marina Rerren FMA, con una delle ragazze
della Life-community.
ni, i centri cercano una struttura che
abbia il sapore della famiglia, dove si
possa vivere a misura di casa, crescere
circondate da madri e sorelle. In quel
tempo, diminuiva il numero delle
suore: le scuole e l’asilo-nido erano
ormai gestiti dai laici, che vi lavorano
nello spirito salesiano. Ricorda suor
Marina: «Ci chiedevamo che senso
aveva restare ad Heverlee. Che cosa
poteva dare una piccola comunità? Ed
ecco che qualcuno bussava alla nostra
porta. Abbiamo cominciato a discer-
nere insieme, mentre altre giovani
trovavano ospitalità da noi dopo che
il caso veniva vagliato da un’équipe
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Marzo 2013

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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adeguata. Presto si è sparsa la voce:
questa volta erano studenti di altre
nazioni oppure che frequentavano al-
tre scuole. Ora, a casa nostra, è quasi
sempre “tutto esaurito”».
L’esperienza è stata chiamata “life-
community”, da non confondersi con
“casa-famiglia”. La differenza sta nella
condivisione tra le suore e le 7 ragaz-
ze, che partecipano interamente alla
vita delle Figlie di Maria Ausiliatrice,
prendendosi cura anche dell’ordine
della casa. E allora c’è chi aiuta suor
Hendrika, 88 anni, oppure dà un’idea
a suor Lies, la più giovane. Il tempo
di permanenza delle giovani nella co-
munità varia, come pure le modalità:
c’è chi durante il weekend raggiunge la
famiglia, ma anche chi non può farlo.
La cena è il momento culmine della
giornata, ma anche la serata trascorre
a giocare, a vedere un film, a fare un
po’ di sport. Il resto è la “normalità”
straordinaria del quotidiano: l’ascolto
e l’aiuto, la comprensione e… il salva-
taggio in casi di necessità, come fareb-
be ogni mamma. Suor Marina sorride:
«Mi sono ritrovata a dare consigli per
il vestito e il trucco da mettere per una
festa… Oppure, per una settimana,
quattro suore si sono prestate come
“nonne” di altrettante giovani della
scuola professionale. Non tutti hanno
i nonni, e noi siamo state ben felici di
farlo. Un sovrappiù di saggezza e di
amore da donare, gratis!».
Piccole storie,
passi di cotone
A scorrere l’album di Life-community
si scopre un ventaglio di volti, nomi,
storie… ognuna con il suo peso e la
sua leggerezza. Le giovani arrivano
con un fardello sulle spalle e con passi
di cotone. È un mix che dice la ric-
chezza della vita impastata di soffe-
renza, la voglia di riscatto e l’impegno
di aprirsi agli altri e donare il meglio
che si è e si può: valori, idee, prospet-
tive, sogni per il presente e il futuro.
Rebecca è una giovane ghanese con
una figlia arrivata per due settimane
di vacanza: aveva deciso di lasciare gli
studi. La sosta tra le suore le ha ridato
forze fisiche e motivazioni per termi-
Suor Marina
con alcune
giovani.
In alto: La
comunità
delle suore
e le giovani
ospiti.
nare l’anno scolastico. Ha poi deciso
di restare insieme alla sua bambina,
così ha ottenuto il diploma. Oppure,
Shirley portata a scuola dalla mam-
ma con un messaggio: non poteva più
stare né con il padre né con lei. È stata
dalle suore per più di un anno. Anche
Lindsey ha negli occhi il dolore: chie-
de alle suore di stare un po’ con loro,
mentre a casa le acque si calmano.
«Le giovani crescono in un ambiente
sano che permette loro, senza molte
parole, di fare l’esperienza della fa-
miglia. Siamo molto chiare: ci sono
regole da rispettare, ma accogliamo
ogni giorno la sfida di dare loro una
struttura, tanto amore e familiarità.
Uno slogan ci accompagna da alcuni
anni: “Essere un cenacolo dalle por-
te spalancate, dove Dio e la gente ci
possano trovare”. Se passate di qui…
entrate: è aperto!».
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4.2 Page 32

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Le tredici mosse dell’arte di educare
Tifare
Sì, avete letto benissimo: la
seconda mossa strategica
dell’arte di educare è “tifare”.
Tifare per il figlio.
Ogni bambino nasce ricco.
Arriva sulla Terra con quei
preziosi trecento grammi di cervello
che gli danno possibilità pressoché
infinite.
Sì, se utilizzassimo a pieno il nostro
cervello, salterebbero tutte le scale
per misurare l’intelligenza,
tutti i test mentali.
Il cervello ha la capacità di imma-
gazzinare dieci fatti nuovi al minuto
secondo, può accogliere una quantità
di informazioni pari a centomila mi-
liardi!
Questo per il solo cervello.
E che dire della capacità di fantasti-
care, di immaginare, di creare, che ri-
siede nella mente di un bambino? Più
ancora, che dire della ricchezza del
cuore che saprà amare? E della bocca
che arriverà a parlare, a pregare?
Ecco il bambino: un orizzonte di
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Marzo 2013

4.3 Page 33

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L’AUTOSTIMA
QUESTO DICIAMO AL FIGLIO
L’autostima è una molla fondamentale per la crescita del figlio.
Hanno tutte le ragioni gli psicologi a sostenere che per vivere bene, ogni persona deve riu-
scire a dire di se stessa: “Io sono ok! ”.
I genitori patentati lo sanno bene.
Quindi non usano mai (assolutamente mai!) parole invalidanti (‘stupido’, ‘cretino’, ‘imbra-
nato’…), ma solo parole incoraggianti: ‘bravo’, ‘siamo orgogliosi di te’, ‘sei forte’…
Il figlio sente (quanto sente!) l’apprezzamento dei genitori!
Insomma, buttiamo nel cestino della carta straccia tutte le parole che rigano l’anima!
Quindi i genitori patentati accettano il loro figlio pienamente.
Un giorno il figlio del famoso pilota canadese Gilles Villeneuve sbuffò con i giornali-
sti: “Tutti pretendono da me prestazioni straordinarie come quelle di mio padre. Per favo-
re, lasciatemi essere semplicemente Jacques Villeneuve”.
Questa è saggezza!
Il pazzo dice: “Io sono Napoleone! ”.
Il nevrotico dice: “Io voglio essere Napoleone! ”.
Il saggio dice: “Io sono io e tu sei tu! ”.
Quindi i genitori che non vogliono ferire l’autostima del figlio, dosano le loro aspettative
nei suoi confronti.
Aspettative esagerate, infatti, possono produrre una stima eccessiva nel figlio, stima che
sovente viene frustrata dall’insuccesso per aver puntato troppo in alto.
Di qui la delusione e la depressione. In questi casi l’autostima subisce un colpo mortale.
possibilità incalcolabili!
Abbiamo, dunque, tutte le ragioni per
essere tifosi del nostro figlio.
Chi tifa per una squadra, desidera che
vinca, ma non può entrare in campo:
deve lasciare ai giocatori il compito di
condurre la partita.
Così nell’educazione: deve essere lui,
il figlio, a costruirsi la vita; non pos-
siamo sostituirlo, non possiamo pren-
dergli il posto.
Però possiamo stimolarlo, possiamo
incoraggiarlo. Possiamo tifare!
Tifiamo perché il tifo passa entu-
siasmo. E chi ha entusiasmo ha grinta
da vendere.
Tifiamo perché la correzione può
fare molto, ma l’incoraggiamento fa
di più.
Tifiamo perché il tifo gli rivela
energie nascoste. E questo è un dono
straordinario. Lo sosteneva giusta-
mente il filosofo francese Louis La-
velle (1883-1951): “Il maggior bene che
possiamo fare agli altri non è comunicare
loro la nostra ricchezza, bensì rivelargli
la loro”.
A proposito di ciò che stiamo dicendo,
i cinesi hanno uno stupendo proverbio:
“Credendo nei fiori, si fanno sbocciare”.
Gli psicologi, invece, parlano di ‘effet-
to Pigmalione’.
Secondo la leggenda, Pigmalione
era un mitico re di Cipro che
aveva il dono della scultura.
Un giorno scolpì, in bian-
chissimo avorio, una figura di
donna talmente bella
che desiderò diven-
tasse sua moglie.
Perle di autostima
Se fai ombra, è segno che ci sei!
Non rovinarti la vita per il giro vita!
Ama la tua pelle, è la sola che hai!
Non dare troppo peso al peso!
Non dare agli altri il potere di renderti in-
felice con i loro sorrisi da presa in giro.
Si può essere notevoli, senza essere no-
tati.
Non sempre si può essere belli, sempre
si può essere buoni.
Se ti accorgi di non poter crescere in
statura, cresci in simpatia!
Pregò allora gli dèi di trasformarla in
donna. Gli dèi lo esaudirono e Pig-
malione sposò la statua trasformata
in bellissima carne.
Ecco: il desiderio, l’occhio buono, l’a-
spettativa, riescono a dar vita anche
all’avorio, anche alle pietre.
È provato che gli insegnanti che cre-
dono nei loro ragazzi, che attendono
tanto da essi, hanno, come risposta,
prestazioni superiori a quelle date ad
insegnanti pessimisti, freddi, poco
fiduciosi.
È la triste prova del fatto che chi
stima corto l’ingegno di una
persona glielo accorcia ancor
più; ma è anche l’attesa con-
ferma del proverbio cinese:
“Credendo nei fio-
ri, si fanno sboc-
ciare”.
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4.4 Page 34

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NOI & LORO
ALESSANDRA MASTRODONATO
LA FIGLIA
Sorprendimi...
Sorprendimi ”, cantavano gli
Stadio in una famosa canzone di
qualche anno fa. Ma siamo davvero
disposti a lasciarci sorprendere
dagli eventi? In un momento
storico come quello presente,
caratterizzato più che mai dalla
precarietà e dall’incertezza,
c’è ancora spazio per l’inedito,
l’imprevedibile, l’inaspettato,
insomma per la sorpresa?
Ad un primo sguardo, potrebbe forse
sembrare un interrogativo banale. A chi
non fa piacere ricevere una sorpresa?
Eppure non sempre siamo disponibili a
lasciarci cogliere di sorpresa dagli eventi
della vita. Gli imprevisti ci fanno paura,
i cambiamenti di programma improvvisi e non
pianificati a tavolino ci mandano in tilt, le devia-
zioni inaspettate nel percorso abituale della no-
stra quotidianità ci disorientano e generano in noi
un’angustiante sensazione di smarrimento. Non
vogliamo rischiare di incappare in qualche “brut-
ta sorpresa”; ed ecco, allora, che alla dimensione
inedita dell’imprevisto, dell’inatteso, della novità
assoluta, che inevitabilmente comportano qual-
che rischio, preferiamo la prevedibilità di un’esi-
stenza programmata fin nei minimi dettagli, la
sicurezza delle strade già tracciate, la ripetitività
di una routine forse un po’ monotona, ma di certo
più rassicurante.
Pianifichiamo tutto con cura ossessiva e la cosa
forse più singolare è che questa strana paura
dell’imprevisto che ci induce a provare una cer-
ta diffidenza anche nei confronti delle sorprese
non è una malattia soltanto degli adulti, psico-
logicamente più predisposti a ricercare stabilità e
sicurezza nella propria esistenza, ma sembra di-
lagare anche tra gli adolescenti, in questo molto
più simili ai loro genitori di quel che si potrebbe
credere.
Probabilmente ciò deriva dal fatto di essere cre-
sciuti in un’epoca già di per sé fortemente domi-
nata dalla precarietà, dall’incertezza, dalla paura
del futuro, che, per reazione, li spinge a rifuggire
tutto ciò che rischia di compromettere anche solo
in minima parte quel fragile universo di certez-
ze che faticosamente hanno costruito intorno a
sé. Fatto sta che la novità li spaventa e persino le
sorprese hanno smesso di esercitare su di loro un
fascino autentico e genuino.
L’unica cura possibile? Forse quella di tornare un
po’ bambini e ricominciare a sorprendersi non solo
per la bellezza e l’ineffabilità del mondo che ci cir-
conda, ma anche – e anzi prima di tutto – per la
nostra innata capacità di metterci costantemente
in gioco e di inventare soluzioni sempre nuove ed
originali per affrontare e superare i tanti imprevisti
che la vita continuamente ci pone.
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Marzo 2013

4.5 Page 35

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MARIANNA PACUCCI
Un tempo ci piacevano tanto, perché erano
il segno tangibile della possibilità di sot-
trarre l’esistenza al peso monotono della
routine. Oggi le sorprese mettono ansia,
perché sempre più spesso, nelle maglie
della vita quotidiana di una famiglia,
sorpresa fa rima con parole problematiche: spe-
sa (a chi non è mai capitato di dover rimpiazzare
– magari con difficoltà – un oggetto importante
che è stato smarrito o distrutto o rubato?); pretesa
(in molte case c’è una lotta continua ed estenuan-
te per la contrattazione fra esigenze divergenti e
talvolta apertamente egoistiche); contesa (tutte le
volte in cui le relazioni domestiche si rivelano im-
provvisamente e ingiustamente conflittuali).
E poi ci sono tante situazioni in cui sorpresa non
fa più rima con attesa. Intrappolati nel presente o
nel passato, molti adulti e vecchi – ma talora anche
troppi giovani – non riescono ad elaborare desideri
e aspettative; i sogni stanno diventando un lusso
che ormai pochi possono permettersi, mentre di-
vampa una crisi antropologica di grave portata.
Urge una risposta concreta delle famiglie, se dav-
vero vogliono riappropriarsi e rinnovare il proprio
compito affettivo ed educativo: non c’è sorpresa se
manca chi sa sorprendere. Essere sorprendenti è,
dunque, una delle più interessanti qualità pedago-
giche dei genitori.
Il genitore sorprendente non è un improvvisatore,
uno cui fanno difetto la stabilità e la coerenza, né
cerca un consenso attraverso la capacità di stupire
in qualsiasi modo i suoi figli. È invece un adulto
consapevole che bisogna condividere con i ragazzi
la disponibilità allo stupore e alla meraviglia di
fronte ad un mondo che – al di là di ogni irra-
gionevole apparenza – è sempre sfidato dal senso
dell’inedito. È il testimone di una maturità e di
una sapienza di vita che non cede ad alcun de-
terminismo, ma è sempre pronto ad accogliere il
nuovo come esperienza di libertà e avvento del-
la grazia di Dio. È il generatore di una speranza
vera che rifiuta il conformismo sociale.
Viva le
sorprese
Oggi le sorprese mettono ansia,
perché sempre più spesso,
nelle maglie della vita quotidiana
di una famiglia, sorpresa fa rima
con parole problematiche
Nella vita familiare, i genitori sorprendenti sono
quelli che non si lamentano di ogni cosa e non
ripetono sempre la stessa predica, non vogliono
figli-fotocopia, non vanno in panne di fronte agli
imprevisti piccoli e grandi. Al contrario, creano
in casa un ambiente stimolante che consenta ai
ragazzi di sviluppare energie di creatività e fanta-
sia; propongono esperienze in cui la scoperta del
nuovo sia vissuta con gioia; sostengono il dina-
mismo giovanile come risorsa e valore; rinnovano
con le energie della comprensione e del perdono il
loro ruolo educativo.
LA MADRE
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4.6 Page 36

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
L’amicizia provvisoria di
un prete apostata,
nemico dichiarato
Un’intrigante corrispondenza epistolare
tra don Bosco e un protestante
È nota la strenua lotta, intrisa
di polemica – per altro ben
ricambiata – condotta da don
Bosco contro i Valdesi, par-
ticolarmente con le sue Let-
ture Cattoliche di inizio anni
Cinquanta del secolo scorso. Ora nel
1852 era arrivato a Torino Luigi De
Sanctis, romano, ex camilliano, pro-
fessore di teologia e zelante parroco
a Roma negli anni Trenta, ma che
aveva abbandonato la chiesa cattolica
alla vigilia del 1848, recandosi a Mal-
ta dove si era fatto evangelico e pre-
se moglie. A Torino divenne vicario
del locale pastore valdese Meille, ma
le controversie interne ai Riformati,
che diedero origine fra l’altro al pe-
riodico La Luce Evangelica, in aperta
concorrenza con La Buona Novella
dei Valdesi, fecero sì che il De Sanctis
si iscrivesse alla Società Evangelica.
Perse così il suo ruolo nella chiesa
valdese ed entrò in profonda crisi in-
teriore. Don Bosco lo vide come un
“segno del tempo” e giocò le sue carte.
L’immediato contatto
da “amico” dell’anima
Il 17 novembre 1854 si mise in con-
tatto con lui. Gli scrisse che da “sin-
cero amico” voleva già da tempo
venire in suo soccorso, avendo intui-
to “dall’attenta lettura fatta de’ suoi
libri” la presenza in lui di “una vera
inquietudine del cuore e dello spirito”.
Ora però saputo della sua rottura con
i Valdesi, “unicamente spinto dallo
spirito di affetto e di carità cristiana”,
lo invitava a venire a Valdocco a fare
“quello che il Signore le inspirerà”.
Gli offriva una camera, una “mo-
desta mensa”, onde dividere con lui
gratuitamente “il pane e lo studio” e
gli garantiva la sincerità dei suoi “sen-
timenti amichevoli”, tanto più che,
accettando la sua proposta, si sareb-
be reso conto di persona quanto fosse
“leale e giusta l’amicizia” sua verso
di lui. E concludeva: “Secondi Iddio
buono questi miei desiderii e faccia di
noi un cuor solo ed un’anima sola per
quel Signore che darà il giusto com-
penso a chi lo serve in vita”.
Ci voleva un bel coraggio, da parte di
don Bosco, a parlare di amico, amici-
zia, amichevoli sentimenti verso una
persona mai vista, di cui aveva sentito
solo parlare, certamente prete apo-
stata, che aveva scritto molto contro
la dottrina cattolica, in particolare il
sacramento della Confessione. Ma a
don Bosco, convinto che extra ecclesia
nulla salus, interessava solo la salvezza
delle anime delle persone e conside-
rava l’amicizia la via maestra per rag-
giungere l’obiettivo.
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4.7 Page 37

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Il tempio valdese di Torino accanto al quale
don Bosco costruì la chiesa di San Giovanni
Evangelista. Sotto: L’interno del tempio.
Accanto al titolo: Ritratto di Luigi De Sanctis.
Sta di fatto che l’amico-nemico gli
rispose immediatamente in termini
altrettanto amichevoli, sia pure senza
nascondersi la verità: “V. S. non po-
trebbe mai immaginare l’effetto che
ha prodotto in me la sua gentilissima
lettera di ieri. Io non credeva mai di
trovare tanta generosità e tanta gen-
tilezza in un uomo, che mi è aperta-
mente nemico. Non ci dissimuliamo:
V. S. combatte i miei principii come
io combatto i suoi; ma mentre mi
combatte mostra di amarmi since-
ramente, porgendomi una mano be-
nefica nel momento dell’afflizione; e
così mostra di conoscere la pratica di
quella carità cristiana, che in teoria è
predicata così bene da tanti. Dio vo-
lesse che imitassero la sua carità i suoi
confratelli del [periodico] Campano-
ne, i quali non sanno parlare senza
insultare, o senza gettare lo spregio
ed il ridicolo sulle cose più serie”.
Veniva poi al dunque: “Le dico che
accetto come un prezioso dono l’of-
ferta di sua amicizia, e mi auguro che
possa presto presentarmisi occasione,
senza offendere la mia coscienza, di
dimostrarle che La amo non di parola
né di lingua, ma d’opera ed in veri-
tà. Per moltissime ragioni non sono
ora in grado di poter accettare la sua
generosa esibizione; ma la profonda
impressione, che essa ha fatto nel mio
cuore, non sarà cancellata così facil-
mente”.
Don Bosco, 6 mesi dopo, il 26 mag-
gio lo contattò nuovamente, non po-
tendo concepire serenità di coscienza
in un prete, in un teologo rinnegato.
Gli scrisse che non gli bastava un’“a-
micizia di sole parole,” per cui aspet-
tava l’occasione di manifestargliela.
La ripresa della polemica
Ma tutto fu inutile, tanto che pochi
anni dopo il De Sanctis si sarebbe
trasferito a Firenze, dove, ritornato
alla confessione valdese, sarebbe mor-
to nel 1869. Don Bosco dovette rasse-
gnarsi; aveva fatto la sua parte, anche
se inutilmente. E nel mese successivo
in appendice all’opuscolo apologetico
Conversione tra un avvocato e un cu-
rato di campagna sul sacramento della
confessione, confutava direttamente
un saggio storico-teologico dell’ami-
co apostata, cui però non faceva più
alcuno sconto. Il profilo biografico
che ne tracciava era impietoso e la sua
opera era giudicata frutto di “intel-
letto oscurato”, di “cuore indurito”, di
“uomo in delirio che parla”… La po-
lemica, tutta ottocentesca, riprendeva
vigore. Il dialogo ecumenico era di là
da venire…
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4.8 Page 38

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TESTIMONI DELLA FEDE
MORAND WIRTH
A cinquant’anni dalla morte
don Giuseppe
Augusto
Arribat
Testimone della fede
e della gioia del Vangelo
Giusto tra le nazioni
Uomo del dovere quotidiano, nulla
per lui era secondario, e tutti sape-
vano che si alzava il primo molto
presto al mattino per pulire il bagno
degli allievi e il cortile di ricreazione.
Fatto direttore della casa salesiana, e
volendo fare il suo dovere fino alla
fine e alla perfezione, per rispetto e
amore agli altri, spesso finiva le sue
giornate molto tardi, abbreviando le
sue ore di riposo. D’altra parte, era
sempre disponibile, accogliente verso
tutti, sapendo adattarsi a tutti, sia ai
benefattori e grandi proprietari ter-
rieri, sia ai servitori
di casa, mantenendo
una preoccupazione
permanente per i novizi e i confra-
telli, e soprattutto per i giovani a lui
affidati.
Questo dono totale di sé si manifestò
fino all’eroismo. Durante la Seconda
guerra mondiale egli non esitò a ospi-
tare famiglie e giovani ebrei. Eppure
era esposto del grave rischio di un’in-
discrezione o di una denuncia. Tren-
tatré anni dopo la sua morte, coloro
che erano stati testimoni diretti del
suo eroismo, fecero riconoscere il va-
lore del suo coraggio e del sacrificio
della sua vita. Il suo nome è iscritto a
Gerusalemme, dove è stato ufficial-
mente riconosciuto come un «Giusto
tra le Nazioni».
Profondamente
uomo di Dio
Fu riconosciuto da tutti come un vero
uomo di Dio, che faceva «tutto per
amore, e nulla per forza», come di-
ceva san Francesco di Sales. Ecco il
segreto di un’irradiazione, di cui forse
lui stesso non intuiva tutta la portata.
Tutti i testimoni hanno rilevato la
fede viva di questo Servo di Dio,
uomo di preghiera, senza ostentazio-
ne. La sua fede era la fede irradiante
di un uomo sempre unito a Dio, un
vero uomo di Dio, e in particolare un
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4.9 Page 39

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BREVE PROFILO BIOGRAFICO
uomo dell’Eucaristia. Nel celebrare
la Messa o quando pregava, emanava
dalla sua persona una sorta di fervore
che non poteva passare inosservata.
Un confratello ha dichiarato che «ve-
dendolo tracciare su di sé il suo gran
segno della croce, ognuno sentiva un
opportuno richiamo alla presenza di
Dio. Il suo raccoglimento all’altare
era impressionante». Un altro sale-
siano ricorda che «s’imponeva di fare
alla perfezione le sue genuflessioni
con un coraggio, un’espressione di
adorazione che mi portavano alla de-
vozione». Lo stesso aggiunge: «Egli
ha rafforzato la mia fede».
La sua visione di fede traspariva in
confessionale e nelle conversazio-
ni spirituali. Egli comunicava la sua
fede. Uomo della speranza, contava in
ogni momento su Dio e la sua prov-
videnza, mantenendo la calma nella
tempesta e diffondendo ovunque un
senso di pace.
Questa profonda fede si è ulterior-
mente perfezionata in lui durante gli
ultimi dieci anni della sua vita. Non
aveva più alcuna responsabilità e non
poteva più leggere facilmente. Vive-
va soltanto dell’essenziale e lo testi-
moniava con semplicità accogliendo
tutti quelli che sapevano bene che la
sua semi-cecità non gli impediva di
vedere chiaro nei loro cuori. In fondo
alla cappella, il suo confessionale era
un luogo assediato dai giovani e dai
vicini della valle.
«Non sono venuto per essere servito…»
L’immagine che i testimoni hanno
conservato di don Augusto è quella
del servitore del Vangelo, ma nel sen-
so più umile. Spazzare il cortile, puli-
Il Servo di Dio don Giuseppe Augusto Arribat nacque il 17 dicembre 1879 a Trédou (Rouer-
gue - Francia). La povertà della famiglia costrinse il giovane Augusto ad iniziare la scuola
media presso l’oratorio salesiano di Marsiglia solamente all’età di 18 anni. Per la situazione
politica di inizio secolo, egli diede inizio alla vita salesiana in Italia e ricevette la veste talare
dalle mani del beato don Michele Rua. Tornato in Francia cominciò, come tutti i suoi confra-
telli, la vita salesiana attiva in una condizione di semiclandestinità, prima a Marsiglia e poi
a La Navarre.
Venne ordinato sacerdote nel 1912. Fu chia-
mato alle armi durante la Prima guerra mon-
diale e fece l’infermiere barelliere. Terminata
la guerra, don Arribat continuò a lavorare in-
tensamente a La Navarre fino al 1926, dopo
di che andò a Nizza dove stette fino al 1931.
Ritornò a La Navarre come direttore e con-
temporaneamente incaricato della parroc-
chia Sant’Isidoro nella valle di Sauvebonne.
I suoi parrocchiani lo chiameranno “Il Santo
della Valle”.
Al termine del terzo anno fu mandato a Mor-
ges, nel cantone di Vaud, in Svizzera. Rice-
vette poi tre mandati successivi di sei anni
ciascuno, prima a Millau, poi a Villemur e
infine a Thonon nella diocesi di Annecy. Il
periodo più carico di pericoli e di grazie fu
probabilmente quello del suo incarico a Vil-
lemur durante la Seconda guerra mondiale.
Tornato a La Navarre nel 1953, don Arribat
vi resterà sino alla sua morte avvenuta il 19
marzo 1963.
re i bagni degli allievi, lavare i piatti,
curare e vegliare i malati, vangare il
giardino, rastrellare il parco, decora-
re la cappella, allacciare le scarpe dei
piccoli, pettinare i loro capelli, niente
gli ripugnava ed era impossibile di-
stoglierlo da questi umili esercizi di
carità. Il “buon Padre” Arribat, che è
stato più generoso con le azioni con-
crete che con le parole: dava volentieri
la sua stanza al visitatore occasiona-
le che rischiava di essere alloggiato
meno comodamente di lui. La sua
disponibilità era permanente, di ogni
momento. La sua preoccupazione per
la pulizia e la dignitosa povertà non
lo lasciava in pace, perché la casa do-
veva essere accogliente. Come uomo
dal contatto facile, approfittava delle
sue lunghe marce per salutare tutti e
avviare un dialogo, anche con i «man-
gia preti».
Don Arribat è vissuto oltre trent’anni
alla Navarre, nella casa che don Bosco
stesso volle mettere sotto la protezio-
ne di san Giuseppe, capo e servitore
della Sacra Famiglia, modello di fede
nel nascondimento e nella discrezio-
ne. Nella sua sollecitudine per i biso-
gni materiali della casa e attraverso la
sua vicinanza a tutte le persone dedite
ai lavori manuali, contadini, giardi-
nieri, operai, impiegati, uomini tutto-
fare, persone di cucina o di lavande-
ria, questo sacerdote faceva pensare a
san Giuseppe, di cui portava anche il
nome. E poi non è forse morto il 19
marzo, festa di san Giuseppe?
Marzo 2013
39

4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A CURA DI PIERLUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Suor Maria Troncatti
madre dei poveri
e bisognosi
Nel villaggio di Sin Lan, pres-
so Pyin Oo Lwin (Myanmar) nel
tardo pomeriggio del 20 aprile
2012 l’undicenne Robert Alay
Pha era andato a pescare con la
mamma, nella speranza di procu-
rarsi qualcosa da mangiare come
cena. Dopo aver pescato, mentre
giocava, lanciò la lenza con l’a-
mo; ma questo, dopo aver colpito
una roccia, rimbalzò andando a
conficcarsi molto profondamen-
te nella narice del piccolo. Il ra-
gazzo, sebbene molto sofferente,
tentò di estrarre l’amo da solo,
aggravando ulteriormente la si-
tuazione. La mamma lo condusse
dal dottore. Questi, dopo aver vi-
sto che il caso era complicato, la
consigliò di ricoverare il ragazzo
in ospedale. Fatta la radiografia, i
dottori dell’ospedale suggerirono
di trasferire il ragazzo a Manda-
lay, a 65 km di distanza, in un
ospedale più attrezzato, poiché il
caso era molto difficile. La mam-
ma, molto povera, trovandosi
impossibilitata anche economi-
camente a intraprendere questo
viaggio, giunse alla comunità
delle Figlie di Maria Ausiliatrice
di Pyin Oo Lwin, chiedendo aiu-
to. Praticamente nessuno voleva
prendersi la responsabilità di
fare qualcosa, perché veramente
l’amo era conficcato in un modo
tale che non si sapeva come fare
ad estrarlo. Suor Rita Zar Chi
Lwin pensò subito di pregare la
venerabile suor Maria Tron-
catti. Dopo aver esaminato il
ragazzo, pur sentendosi anche lei
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
impotente, provò delicatamente
ad estrarre l’amo dalla narice.
Con sua grande sorpresa l’amo
uscì senza difficoltà dalla cavità,
senza che neppure lei sapesse
come. La povera mamma e tutte
le suore piene di gioia ringrazia-
no Dio e suor Maria Troncatti, che
si è dimostrata ancora una volta
madre dei poveri e bisognosi.
Comunità delle FMA di Pyin Oo Lwin
(Myanmar)
Ricondotto sulla retta via
Desidero ringraziare pubblicamen-
te don Bosco e il beato Michele
Rua: hanno esaudito le mie pre-
ghiere che con fiducia e costanza
ho loro rivolto a beneficio di mio
figlio, liberatosi da una situazione
che poteva riuscirgli complicata e
rovinosa per il suo futuro.
Gremmo Sandra, Biella
Maria protegge sempre
Una mattina, nel dicembre 2012,
viaggiavo in auto sulla tangenzia-
le di Torino con due colleghi di
lavoro, quando improvvisamente
un autotreno ha urtato violen-
temente la nostra auto, che si è
girata più volte, terminando la
corsa al centro della carreggiata.
Nonostante la violenza dell’urto,
il traffico sostenuto e l’auto pres-
soché distrutta, io e i colleghi
siamo usciti incolumi. Per questo
rendiamo grazie a Maria Ausilia-
trice per la protezione che non ci
fa mai mancare.
Damiani Andrea, Torino
Dopo tanta angoscia
è nata una bella bimba
Dopo otto anni dalla nascita della
mia primogenita Federica, desi-
deravo una seconda gravidanza.
Tardando questa ad arrivare ed
avendo nel frattempo conosciuto
il Bollettino Salesiano e l’abitino
di san Domenico Savio, lo
richiesi e cominciai a recitare la
novena. Trascorsi alcuni mesi,
scoprii con grande gioia di esse-
re incinta. La gravidanza si pre-
sentò fin dall’inizio assai difficile,
tanto che con il passare dei mesi
si acuivano i problemi e cresce-
va la mia preoccupazione per la
salute della creatura che portavo
in grembo. Per questo continuai
a pregare san Domenico Savio
e anche Padre Pio. All’ottavo
mese una nuova complicazione
costrinse i medici a far nascere
prematuramente la bambina. La
mia angoscia fu grande, ma il 9
febbraio 2010 nacque una bella
bimba di tre Kg e in buone condi-
zioni di salute. Io e la mia famiglia
saremo sempre grati a san Do-
menico Savio, di cui custodisco
gelosamente l’abitino.
Calabrese Maria, Troina EN
Mamma fiduciosa
partorisce tre gemelli
Nell’aprile 2012 rimasi incinta di
tre gemelli. La gravidanza si pre-
sentò subito molto difficile. Molti
medici consigliarono l’aborto se-
lettivo, ma io e mio marito ci
siamo affidati a san Domeni-
co Savio che da poco avevo
conosciuto. Abbiamo richiesto
l’abitino, che ho portato sempre
con me per tutti i mesi della gra-
vidanza. Tra un controllo e l’altro
Cronaca
della Postulazione
Nella sessione ordinaria del
Cardinale Vescovi membri
della Congregazione dei Santi
è stato espresso parere po-
sitivo in merito alla causa di
martirio del salesiano coa-
diutore, il servo di Dio Ste-
fano Sandor (1914-1953),
confratello ungherese che ha
dato la vita per i giovani del
suo paese.
Nel corso del Congresso pe-
culiare dei Consultori teologi
è stato dato parere positivo in
merito alla fama di santità e
all’esercizio delle virtù eroiche
del servo di Dio Attilio Gior-
dani (1913-1972), sposato e
padre di famiglia, salesiano
cooperatore e di cui ricorre
quest’anno il centenario della
nascita.
trascorsero mesi, mentre la gra-
vidanza si andava complicando,
poiché due sorelline condivide-
vano la stessa placenta, mentre
il maschietto era da solo. Davano
più preoccupazioni le due sorel-
line, poiché si era instaurata tra
loro una trasfusione feto fetale.
Ogni sera durante il santo Rosa-
rio io e mio marito ci affidavamo
a san Domenico Savio, certi che
lui avrebbe interceduto per noi.
Dopo 31 settimane sono nati
d’urgenza tutti i miei tre bimbi:
Emanuele, Michelle e Bernadet-
te. Sono stati giorni duri e diffi-
cili di terapia intensiva; il peso
dei piccoli era esiguo e il cuore
gravemente sofferente. Abbiamo
adagiato l’abitino di san Domeni-
co Savio anche nelle termoculle.
Trascorsi 50 giorni i nostri tre
bimbi sono tornati a casa e oggi
stanno bene.
Padalino Angela
40
Marzo 2013

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
Il santo che faceva e taceva
A Torino, nel 1828, nasce Leonardo, ottavo figlio di una famiglia bene-
stante. A soli quattro anni perde il padre, ma riceve tuttavia un’ottima
educazione cristiana frequentando il collegio degli Scolopi a Savona.
Dopo aver attraversato durante l’adolescenza una profonda crisi spiri-
tuale, decide di dedicarsi agli studi filosofici e teologici che lo porteranno
alla scoperta della vocazione sacerdotale. In quel periodo lavora all’Ora-
torio dell’Angelo e si avvicina alla realtà giovanile torinese. Quando, nel
1851, diventa sacerdote e conosce don Bosco, ne riconosce subito le
grandi qualità e lo prende a modello di virtù. Ma allo stesso tempo anche
don Bosco apprezza le sue capacità e vede in lui la persona adatta per
dirigere l’oratorio San Luigi, dove intuisce e applica il sistema preventivo
per l’educazione dei giovani. La perdita del padre in tenera età ispirò anche Leonardo ad essere per
loro come un padre. Una decina d’anni dopo accetta la direzione di un collegio di Torino il cui scopo
primario era l’accoglienza e la formazione cristiana dei ragazzi poveri e abbandonati. Per ampliare le
sue conoscenze nel settore educativo compie numerosi viaggi all’estero visitando istituzioni assisten-
ziali per confrontare i suoi metodi e perfezionarli. Gli anni
seguenti sono densi di febbrile attività: apre oratori, scuole
professionali, case famiglia per ragazzi lavoratori, promuove
le prime biblioteche popolari, fonda la Congregazione di San
Giuseppe. La sua opera fu sempre silenziosa, ma costante e
decisa, e il motto a cui si attenne sempre era “Fare e tacere”
in cui si rispecchia la sua ammirazione verso l’azione con-
templativa di don Bosco. Ammalatosi di broncopolmonite,
spirò nel 1900. Fu canonizzato da papa Paolo VI ed ora è per
tutti, dal 1970, XXX.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Soppressa - 8.
Isola portoghese - 14. Ha condotto per
molti anni Zelig - 15. Città lombarda a
vocazione artigiana e mobiliera - 16. I
coniugi che ricevettero il Nobel per la
fisica nel 1903 - 17. La maggiore meta
turistica dell’Indonesia - 18. Avanti Cri-
sto - 19. Ravenna (sigla) - 21. Si oc-
cupava al principio di trasmissioni radio-
foniche - 22. Personaggio “mutaforma”
della serie tv Star Trek - 23. Lo scrittore
di Metello - 27. Sono dispari nel sacco
- 28. Poco rapido - 29. XXX - 31.
Iniziali di Presley - 32. Una danza che si
diffuse nel XIX sec. - 33. Scavano gal-
lerie nel legno - 35. La città spagnola di
una Santa Teresa - 37. Dissodati - 40.
Resina fossile - 42. Difficile da trovare
- 43. Sono rigidamente in equilibrio -
45. Dal 1989 la sua Guida Suprema è
l’Ayatollah Khamenei - 46. Ente Nazio-
nale Idrocarburi - 47. Trova da ridire su
tutto e tutti - 48. Lo nasconde l’esca.
VERTICALI. 1. Un verbo da pirati -
2. Foraggio - 3. Fino al 1924 era chia-
mata Kristiania - 4. 52 per i latini - 5.
Il pensiero fisso dell’egoista - 6. Siste-
mati in tende - 7. Portati a conoscen-
za - 8. Un acido corrosivo - 9. District
of Columbia - 10. Pari in tenute - 11.
Giaggiolo - 12. Vi sono conservati due
bronzi greci ritrovati in mare - 13. I fra-
telli Wright costruirono e perfezionarono
il primo - 18. Inondò Firenze nel ’66 -
20. Associazione Nazionale Lavoratori
Anziani - 23. La usa il pizzaiolo per
infornare - 24. Si dà tra amici - 25. In
chimica è il Litio - 26. Quella di Lerna
aveva 9 teste di serpente - 29. La Re-
pubblica Sociale Italiana tenne lì alcuni
ministeri - 30. L’Ermanno de L’albero
degli zoccoli - 32. Si effettuano in pista
- 34. Nomignolo dato a Ibrahimovic -
36. Furgonetta - 38. Il... musqué dal-
la pelliccia pregiata - 39. Contrazione
involontaria di un muscolo - 41. Una
“memoria” del pc - 43. Senior (abbr.) -
44. Dentro.
Marzo 2013
41

5.2 Page 42

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
Un vulcano in eruzione
DON FRANCO SOLARINO
Morto a Roma il 10 luglio 1998, a 80 anni.
C’era una volta all’oratorio
Salesiano di Ragusa…
Erano gli anni ’80 e ’90, una gene-
razione, la mia, che era cresciuta
per strada fra calci ad un pallone
e chiacchiere con gli amici, con
niente in mano, passando le gior-
nate in armonia, ma alla ricerca di
qualcosa. Dunque scuola la mat-
tina, casa e poi il “campetto”, un
piazzale da noi ragazzi adibito a
campo di calcio dove si giocava a
calcio e scherzava pensando che
in fondo eravamo felici, le compa-
gnie, le risate, nulla ci mancava.
Poi si cominciò ad andare alla vi-
cina chiesa del quartiere di “San-
ta Maria Ausiliatrice” dell’oratorio
Salesiano di Ragusa per la Santa
Messa domenicale, si comin-
ciò ad incontrare amici e nuovi
ragazzi mai visti prima d’allora,
certo un ambiente nuovo per noi,
accogliente, che cominciammo
a frequentare, incuriositi. Cono-
scemmo l’oratorio, un cortile pul-
sante di giovani allegri impegnati
in varie attività, grida festose,
giochi di gruppo, riunioni, ani-
mazioni, un via vai di iniziative di
carità, il tutto fra strane figure con
lunghe “tonache nere”. Chi erano
queste persone mai prima viste e
perché indossavano quegli abiti?
Cosa ci facevano?... capimmo
presto, senza alcuna parola, ma
con la forza che un gesto, un sor-
riso, una carezza soltanto posso-
no dare, avevamo capito seppur
senza alcuna spiegazione che si
doveva trattare di persone spe-
ciali, che non si incontravano per
strada e che si davano per realiz-
zare tutto questo, i preti Salesiani.
Di colpo, improvvisamente, in un
istante, le nostre certezze erano
svanite, nebbia intorno, la strada,
che per noi era stata una seconda
casa, ormai appariva solo una ge-
lida distesa di sabbia e cemento.
Nei giorni a seguire tornammo
all’oratorio e così ancora, comin-
ciavamo a conoscere gli altri ra-
gazzi e a praticare le varie attività
sportive e ludiche. Tutto cominciò
per caso e coinvolgeva sempre
di più ed un giorno, mentre tutto
questo accadeva, da lontano ve-
diamo la sagoma di una persona
distinta che camminava per l’ora-
torio e seguiva con attenzione; un
po’ intimoriti continuiamo quello
che stavamo facendo e quello
che avevamo ormai capito essere
un prete Salesiano, si avvicinava
sempre di più; facendo un po’ fin-
ta di niente ed ormai dirimpetto,
alziamo lo sguardo e ci salutia-
mo a vicenda, quel prete era don
Franco Solarino; così si presenta,
ci chiede di noi, poi con sempre
il sorriso sulle labbra ci spiega
tutto, le attività, gli incontri, e ci
invita a far parte di un gruppo di
ragazzi, il gruppo “Primavera”,
fu una folgorazione. Chi avrebbe
detto che da quel momento la no-
stra giovane vita sarebbe cambia-
ta, in meglio. Da quel momento
saremmo poi andati in oratorio
assiduamente con un affiatamen-
to sempre maggiore, quasi magi-
co. Ma chi era dunque questo di-
stinto sacerdote non più nel fiore
degli anni che calpestava instan-
cabilmente le mattonelle dell’o-
ratorio?... tanto tempo è passato
eppure ricordo il fermento di que-
gli anni, le grida nelle prove tea-
trali, le infinite e instancabili riu-
nioni, le urla di gioia. Certo un Sa-
lesiano, ma non solo, don Franco
era una persona rara, carismati-
ca, quelle che non si dimenticano
con il tempo, che aveva scelto di
donare se stesso ai giovani con
umiltà, carità e allegria. Ricordo il
tripudio di cori festanti, i momenti
di riflessione e di preghiera, ra-
gazzi giocare e discutere, i prepa-
rativi delle feste, i balletti siciliani,
i canti, i ritiri spirituali. Un turbine
di emozioni e sentimenti riempi-
vano le giornate fatte di momenti
unici, mitici. Chi non ricorda le
canzoni con la sua fisarmonica
“se voi sentite fracasso indiavo-
lato oppur la terra tremare con
violenza, non v’allarmate non è un
carrarmato né bomba atomica né
qualche trimotor, sono pattuglie
di baldi cavalieri più valorosi di
mille battaglioni…” recitava una,
oppure “ti voglio ben ti voglio ben
ti voglio ben così un bene da un
bene da un bene da morir, lo dico
a tutto il mondo ti voglio ti voglio
un bene da morir” o ancora la
canzone-poesia “Mamma” dedi-
cata alla mamma. Il suo ufficio era
nel corridoio a destra, fra la radio
ed il cortile, una stanza piccola
e sempre affollata ed accoglien-
te dove tutti entravamo per un
consiglio, un problema, un po’ di
compagnia. Quanta nostalgia per
i ritiri spirituali nel bosco di San-
to Pietro, a Caltagirone, e le gite
a Torino e Roma, e poi l’incontro
unico e indimenticabile, l’incon-
tro con papa Giovanni Pao-
lo II che assistette ad una nostra
breve esibizione di canti sicilia-
ni e che, fra tanti gruppi che in
Sala Nervi commossi, in lacri-
me di gioia, lo abbracciavamo,
chiamavamo e salutavamo da
lontano, scelse, proprio noi, per
una foto insieme. Quanti, non più
ragazzi, ricorderanno il “Grest”, il
“gruppo estivo” da lui inventato,
un campo estivo in cui tantissi-
mi ragazzi si riunivano e guidati
dagli “animatori” venivano divisi
in squadre che si affrontavano
in gare e giochi, prove di abilità
e dove non mancavano momenti
di condivisione, di riflessione, di
goliardìa in un clima di fraternità
e socialità.
Don Franco era tutto questo, una
vita dedicata agli altri senza riser-
ve, un vulcano in eruzione, una
fucina di idee e voglia di fare, ed è
stato molte cose assieme per noi,
padre, maestro e guida, ma le pa-
role non possono esprimere i fatti,
i sentimenti, le emozioni.
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Marzo 2013

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Alla fine dei tempi
Alla fine dei tempi, miliardi
di persone furono portate
su di una grande pianura da-
vanti al trono di Dio. Molti
indietreggiarono davanti a
quel bagliore. Ma alcuni in
prima fila parlarono in modo concita-
to. Non con timore reverenziale, ma
con fare provocatorio.
«Può Dio giudicarci? Ma che cosa ne
sa lui della sofferenza?», sbottò una
giovane donna. Si tirò su una manica
per mostrare il numero tatuato di un
campo di concentramento nazista.
«Abbiamo subìto il terrore, le basto-
nature, la tortura e la morte!».
In un altro gruppo un giovane nero
fece vedere il collo. «E che mi dici di
questo?», domandò mostrando i segni
di una fune. «Linciato. Per nessun
altro crimine se non per quello di
essere un nero».
In un altro schieramento c’era una
studentessa in stato di gravidanza
con gli occhi consumati. «Perché
dovrei soffrire?», mormorò. «Non fu
colpa mia».
Più in là nella pianura c’erano centi-
naia di questi gruppi. Ciascuno di essi
aveva dei rimproveri da fare a Dio per
il male e la sofferenza che Egli aveva
permesso in questo mondo.
Come era fortunato Dio a vivere in
un luogo dove tutto era dolcezza e
splendore, dove non c’era pianto né
dolore, fame o odio. Che ne sapeva
Dio di tutto ciò che l’uomo aveva
dovuto sopportare in questo mondo?
Dio conduce una vita molto comoda,
dicevano.
Ciascun gruppo mandò avanti il
proprio rappresentante, scelto per
aver sofferto in misura maggiore.
Un ebreo, un nero, una vittima di
Hiroshima, un artritico orribilmente
deformato, un bimbo cerebroleso. Si
radunarono al centro della pianura
per consultarsi tra loro. Alla fine
erano pronti a presentare il loro caso.
Era una mossa intelligente.
Prima di poter essere in grado di
giudicarli, Dio avrebbe dovuto sop-
portare tutto quello che essi avevano
sopportato. Dio doveva essere con-
dannato a vivere sulla terra.
«Fatelo nascere ebreo.
Fate che la legittimità
della sua nascita venga
posta in dubbio. Da-
tegli un lavoro tanto
difficile che, quan-
do lo intraprende-
rà, persino la sua
famiglia pensi
che debba
essere impaz-
zito. Fate che
venga tradito
dai suoi amici
più intimi.
Fate che debba
affrontare
accuse, che
venga giudica-
to da una giuria fasulla e che venga
condannato da un giudice codardo.
Fate che sia torturato. Infine, fategli
capire che cosa significa sentirsi
terribilmente soli. Poi fatelo morire.
Fatelo morire in un modo che non
possa esserci dubbio sulla sua morte.
Fate che ci siano dei testimoni a veri-
fica di ciò».
Mentre ogni singolo rappresentante
annunciava la sua parte di discorso,
mormorii di approvazione si levava-
no dalla moltitudine delle persone
riunite.
Quando l’ultimo ebbe finito ci fu un
lungo silenzio. Nessuno osò dire una
sola parola. Perché improvvisamente
tutti si resero conto che Dio aveva
già rispettato tutte le condizioni.
Nessuno, mai, potrà dire:
«Il mio Dio non sa che cosa
soffro io». Lo sa.
Disegno di Fabrizio Zubani
Marzo 2013
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Don Bosco Educatore
Tocca ai cattivi tremare
dinanzi ai buoni
e non ai buoni tremare
dinanzi ai cattivi
Salesiani nel mondo
Il sogno si realizza
Don Bosco in Bangladesh
L'invitato
Il nostro Oscar
color porpora
Incontro con il cardinal
Oscar Rodriguez Maradiaga
Le case di don Bosco
Il Cospes di Arese
compie 50 anni
Storia di un'esperienza
eccezionale
Speciale
Invito a Valdocco 2
“Non c'era posto per loro”
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612658
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.