Bollettino_Salesiano_201302

Bollettino_Salesiano_201302

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IL
FEBBRAIO
2013
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
L'invitato
Carola
Carazzone
A tu per tu
Don
Lorini
Don Bosco racconta
Il demonio ha paura
della gente allegra

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
I tarocchi
La storia
Don Bosco sapeva fare giochi di prestigio ed era bravis-
simo con le carte da gioco, ma sempre e solo per intrat-
tenere i ragazzi.
Ne parlano le Memorie dell’Oratorio e le Memorie Bio-
grafiche.
In quel tempo, noi carte da gioco nascevamo
segnate dal marchio del disonore e dell’igno-
minia, chiaramente impresso nel nostro corpo
di cartone colorato. La nostra vita trascorreva
nella morsa di manacce unte, tavole macchiate
di vino, fumo e voci irose e volgari. Eravamo
rassegnate, sempre più logore e scolorite.
Passavamo di mano in mano, di tasca in tasca.
Le cose si mettevano sempre peggio. Finimmo
in mano ad un giovinastro e dalle taverne sudice
e vergognose passammo alle piazze e alle strade
della periferia. Mazzi di giovani giocavano a soldi
sui marciapiedi. Mentre le carte giravano, i soldi
(a volte fino a quindici, venti lire) erano raccolti al
centro, su un fazzoletto.
Ma proprio qui facemmo un incontro incredibile:
un giovane prete che tutti chiamavano don Bo-
sco. Don Bosco si avvicinava quatto quatto, stu-
diava bene la situazione, poi con una mossa rapida
afferrava il fazzoletto e se la dava a gambe. I gio-
vani, sbalorditi, balzavano in piedi e gli correvano
dietro gridando: «I soldi!
Ci restituisca i soldi!».
Don Bosco continuava a correre verso l’oratorio, e
intanto gridava: «Ve li do se mi prendete. Su, cor-
rete!».
Infilava il portone dell’oratorio, poi quello della
cappella, e i giovani dietro. A quell’ora, sul pulpi-
to, c’era un prete che predicava tra una massa fitta
di ragazzi. E cominciava la scena.
Don Bosco si fingeva un negoziante di passaggio,
alzava il fazzoletto che aveva ancora in mano e
gridava: «Torroni! Torroni! Chi compra torroni?».
Il predicatore fingeva di perdere le staffe: «Fuori
di qui, mascalzone! Non siamo in piazza!».
Il dialogo era in dialetto, i ragazzi ridevano a cre-
papelle, i nuovi arrivati a sentire quel battibecco
rimanevano interdetti: ma dove erano capitati?
Intanto i due «dialoganti» continuavano a battute
allegre, a frizzi vivaci, e portavano la disputa sul
gioco dei denari, sulla bestemmia, sulla gioia di
vivere nell’amicizia con il Signore. Finiva che an-
che quelli arrivati dietro don Bosco si mettevano
a ridere, a interessarsi degli argomenti.
Alla fine si attaccava il canto delle litanie. Quelli,
stringendo da vicino don Bosco: «Allora, i soldi
ce li dà?».
Quando uscivano in cortile, restituiva il
denaro, aggiungeva la merenda, e si fa-
ceva promettere che «a giocare sarebbero
venuti qui, d’ora innanzi». E molti ci stavano.
E noi? Vi dobbiamo confidare un segreto: finim-
mo nelle capaci tasche della veste di quel prete.
Ne uscivamo ogni tanto, in cortile, e diventa-
vamo protagonisti di una serie incredibile di
giochi di prestigio sotto gli occhi incantati di
generazioni di ragazzi.
Quel prete ne sapeva una più del diavolo!
Parola di tarocchi.
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Febbraio 2013

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IL
FEBBRAIO 2013
ANNO CXXXVII
Numero 2
IL
FEBBRAIO
2013
Salesiani
nel mondo
Mainz
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
L'invitato
Carola
Carazzone
A tu per tu
Don
Lorini
Don Bosco racconta
Il demonio ha paura
della gente allegra
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 DON BOSCO EDUCATORE
6 LETTERE
8 SALESIANI NEL MONDO
Don Bosco a Mainz
12 PROGETTO EUROPA
Il vento che viene da oriente
14 L'INVITATO
Carola Carazzone
18 FINO AI CONFINI DEL MONDO
20 ARTE SALESIANA
La consegna delle chiavi
a san Pietro
22 A TU PER TU
Don Lorini
25 RISPOSTA NON PROBLEMA
26 FMA
Quasi una scommessa
28 LE CASE DI DON BOSCO
Don Bosco e Vallecrosia
31 QUESTA È LA VITA
Storia di Myung Hun
32 COME DON BOSCO
34 NOI & LORO
36 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
38 TESTIMONI DELLA FEDE
Attilio Giordani
40 I NOSTRI SANTI
41 RELAX
42 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
43 LA BUONANOTTE
14
22
38
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina :
Un sorriso. La
felicità semplice
e pura dei più
piccoli è l’ideale
salesiano (Foto
Shutterstock).
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Giovanna
Bovino, Pierluigi Cameroni, Maria
Antonia Chinello, Luca Crivellari,
Roberto Desiderati, Erzsebet
Lengyel, Cesare Lo Monaco, Natale
Maffioli, Alessandra Mastrodonato,
O. Pori Mecoi, Francesco Motto,
Marianna Pacucci, José J. Gomez
Palacios, Pino Pellegrino, Linda
Perino, Silvio Roggia, Alessandra
Tarquini, Ludovica Maria Zanet,
Luigi Zonta, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Luciano Alloisio (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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DON BOSCO EDUCATORE
PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA
Don Bosco racconta
Il demonio
ha paura
della gente
allegra
«Sono conosciuto in tutto il mon-
do come un santo che ha semi-
nato a piene mani tanta gioia.
Anzi, come ha scritto qualcuno
che mi conosceva personalmen-
te, ho fatto dell’allegria cristiana
“l’undicesimo comandamento”. L’esperienza mi ha
convinto che non è possibile un lavoro educativo
senza questa meravigliosa spinta, questa stupenda
marcia in più che è la gioia. E perché i miei ragazzi
ne fossero intimamente persuasi aggiungevo: “Se
volete che la vostra vita sia allegra e tranquilla, dovete
procurare di starvene in grazia di Dio, poiché il cuore
del giovane che è in peccato è come il mare in continua
agitazione. Ecco perché ricordavo sempre che “la
gioia nasce dalla pace del cuore”. Insistevo: “Io non vo-
glio altro dai giovani se non che si facciano buoni e che
siano sempre allegri”.
Qualcuno, a volte, mi presenta come l’eterno sal-
timbanco dei Becchi e pensa di farmi un grosso
favore. Ma è un’immagine molto riduttiva del mio
ideale. I giochi, le passeggiate, la banda di musica,
le rappresentazioni teatrali, le feste erano un mez-
zo, non un fine. Io avevo in mente ciò che aper-
tamente scrivevo ai miei ragazzi: “Uno solo è il mio
desiderio: quello di vedervi felici nel tempo e nell’eter-
nità”.
Fin da ragazzo, il gioco e l’allegria erano stati per
me una forma di apostolato serio, di cui ero in-
timamente convinto. Per me la gioia era un ele-
mento inseparabile dallo studio, dal lavoro e dalla
pietà. Un ragazzo di quei primi anni, ricordando
gli anni “eroici”, li descriveva così: “Pensando come
si mangiava e come si dormiva, adesso ci meravigliamo
d’aver allora potuto spassarcela, senza talvolta patir-
ne e senza lamentarci. Ma eravamo felici, vivevamo
d’affetto.
Vivere e trasmettere la gioia era una forma di vita,
una scelta cosciente di pedagogia in atto. Per me,
il ragazzo era sempre un ragazzo, la sua esigenza
profonda era la gioia, la libertà, il gioco. Trovavo
naturale che io, prete per i giovani, trasmettessi
loro la buona e allegra notizia contenuta nel Van-
gelo. E non l’avrei potuto fare con il volto arcigno
e i modi scostanti e bruschi. I giovani avevano
bisogno di capire che per me l’allegria era una
cosa tremendamente seria! Che il cortile era la
mia biblioteca, la mia cattedra dove ero al tempo
stesso insegnante e allievo. Che la gioia è legge
fondamentale della giovinezza.
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Febbraio 2013

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Valorizzavo il teatro, la musica, il canto. Orga-
nizzavo nei minimi dettagli le celebri passeggiate
autunnali.
Nel 1847 stampai un libro di formazione cristia-
na, Il Giovane Provveduto. L’avevo scritto ruban-
do tante ore al sonno. Le prime parole che i miei
ragazzi leggevano erano queste: “Il primo e prin-
cipale inganno con cui il demonio suole allontanare
i giovani dalla virtù è far loro venire in mente che
il servire il Signore consista in una vita malinconi-
ca e lontana da ogni divertimento e piacere. Non è
così, cari giovani. Io voglio insegnarvi un metodo di
vita cristiana, che vi possa nel tempo stesso rendere
allegri e contenti, additandovi quali siano i veri di-
vertimenti e i veri piaceri… Tale appunto è lo scopo
di questo libretto, servire al Signore e stare allegri”.
Come vedi, per me la gioia assumeva un profondo
significato religioso. Nel mio stile educativo c’era
un’equilibrata combinazione di sacro e di profano,
di natura e di grazia. I risultati non tardavano ad
apparire, tanto che in alcune note autobiografiche
che fui quasi obbligato a scrivere potevo asseri-
re: “Affezionati a questa mescolanza di divozione, di
trastulli, di passeggiate, ognuno mi diveniva affe-
zionatissimo a segno, che non solamente erano ubbi-
dientissimi ai miei comandi, ma erano ansiosi che loro
affidassi qualche incombenza da compiere”.
Non mi accontentavo che i giovani fossero allegri;
volevo che essi diffondessero intorno a sé questo
clima di festa, di entusiasmo, di amore alla vita, li
volevo costruttori di speranza e di gioia. Missio-
nari di altri giovani mediante l’apostolato dell’al-
legria. Un apostolato contagiante».
Febbraio 2013
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LA POSTA
I NOSTRI ESPERTI RISPONDONO
Grazie
ad una copertina
Mio carissimo Bollettino,
è con grande piacere che ti scrivo
per ringraziarti del bene che fai a
tanti ragazzi.
Amico Mio, tu non mi sei mai
mancato. Io ti conosco da tanto
tempo e solo ora ho il coraggio di
dirti “GRAZIE”.
Adesso ho finalmente capito perché
don Bosco ha insistito così tanto
per darti alla luce. Forse lui aveva
capito che anche tu sei strumento
utile e dono di tante vocazioni.
Non ci credi? Guarda un po’ che ti
racconto…
Durante gli anni ’70 una giovane
catechista frequentava il gruppo
giovanile parrocchiale San Dome-
IL
GENNAIO
2012
Salesiani
nel mondo
India
nico Savio, fondato dall’allora par-
roco don Gabriele Laudiero, nella
chiesa di San Marco di Afragola
nei pressi di Napoli.
L’allegro e simpatico prete pensò
bene di iscrivere tutti i suoi cate-
chisti a ricevere il Bollettino Sale-
siano come fonte d’informazione
sulla realtà giovanile.
Dopo poco più di vent’anni, la gio-
vane catechista si sposò e diventò
madre di tre bei maschietti. Io sono
l’ultimo di questi tre e mi chiamo
Alessandro.
All’inizio di quest’anno avevo par-
lato un po’ con i miei genitori sulla
scelta di donarmi al Signore.
Mentre mi interrogavo in che modo
potessi rendere maggior gloria a
Dio, decisi di affidarmi completa-
mente a Maria chiedendole la gra-
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Conoscere don Bosco
La chiamata di Dio
Progetto Europa
Il nostro cuore
è aperto
L’invitato
Monsignor
Mario Toso
I WANT YOU!
Ho bisogno di te!
OGNI MESE
DON BOSCO
A CASA TUA
Il Bollettino Salesiano vie-
ne inviato gratuitamente a
chi ne fa richiesta.
Dal 1877 è un dono di don
Bosco a chi segue con sim-
patia il lavoro salesiano tra
i giovani e le missioni.
Diffondetelo tra i parenti e
gli amici. Comunicate su-
bito il cambio di indirizzo.
zia di accompagnarmi nel mio di-
scernimento e di accettarmi come
figlio nella sua Santa Casa.
Non molto tempo dopo sei arriva-
to tu, mio caro Bollettino, questa
volta con una copertina tutta da
interpretare. Era il numero di Gen-
naio 2012 e in copertina c’è un
don Bosco che chiama e dice “Ho
bisogno di te”.
Sembra proprio che questa volta
il bollettino parli a me. Chissà se
Maria e don Bosco vogliono farmi
salesiano, pensai.
Dopo qualche giorno ne parlai
con il mio parroco che accettò con
grande affetto ed entusiasmo que-
sta mia decisione, raccomandan-
domi di fare buon uso di questo
tempo di grazia.
Oggi, mio caro Bollettino, sono in
comunità proposta a Salerno insie-
me ad altri quattro ragazzi aspiranti
salesiani (Domenico, Davide, Vito
e Marco), tutti e cinque viviamo
ogni giorno in fraternità e allegria
lo spirito salesiano, sotto la prote-
zione di Maria Ausiliatrice, di don
Bosco e don Rua.
Ti ringrazio e penso sovente a te
mio Bollettino, per il bene che hai
fatto a me e alla mia anima, per i
giorni gaudiosi che mi ritrovo a
vivere insieme agli altri aspiranti e
salesiani che cooperano per il mio
bene, ma soprattutto ti ringrazio per
avermi donato Maria Ausiliatrice e
don Bosco come luce e guida del
mio cammino vocazionale. Grazie.
Con tanta allegria e affetto.
il tuo Alessandro
Chi ha scritto
la Bibbia?
Ho da poco terminato di leggere il
libro di Simone Paganini «Qumran
– Le rovine della Luna», testo che
ha messo in crisi le mie convin-
zioni. Ero convinto che la Bibbia
provenisse da antichi papiri ritro-
vati. Mi sembra di capire che non è
così. E allora chi ha scritto la Bibbia
e l’Antico Testamento? Sono cre-
dibili i profeti citati negli stessi? Il
Nuovo Testamento mi appare più
semplice da inquadrare, perché
i Vangeli sono stati scritti dopo la
morte di Cristo, anche se molto
dopo. Si conosce dove sono stati
rinvenuti? Del Nuovo Testamento
fanno parte anche le Lettere, il libro
profetico dell’Apocalisse e gli Atti
degli Apostoli. Che origine hanno
questi? Gradirei una risposta, la più
comprensibile possibile in modo da
ricomporre le mie convinzioni.
Pier Francesco Roccato
Padova
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IL LIBRO
Carissimo signor Pier
Francesco, le sue do-
mande richiederebbero
uno spazio ben più am-
pio della mia breve ri-
sposta. Non conosco il
libro di cui lei parla. Dal titolo, sup-
pongo che l’autore non sia di certo
un biblista. La posso rassicurare
sul fatto che non è la Bibbia che ha
copiato, ma sono gli scrittori dei
rotoli di Qumran che citano scrit-
ti biblici. Non c’è assolutamente
nessun motivo di allarmarsi al ri-
guardo. Piuttosto vorrei far notare
che pur essendo la Bibbia, di gran
lunga, il libro più diffuso al mon-
do, se ne vendono più di quaranta
milioni di copie all’anno, rimane un
libro misterioso e sconosciuto per
molti credenti. Non si tratta di un
unico volume, ma dell’insieme di
66 testi scritti in un arco di tem-
po che abbraccia diversi secoli.
Anche gli autori sono numerosi e,
sovente, sconosciuti. Nella Bibbia
è contenuto il messaggio che il
Dio rivelato da Gesù Cristo ha vo-
luto dare al mondo sul senso del-
la vita. Si tratta di un messaggio
provvisorio e preparatorio nei libri
che appartengono all’Antico Testa-
mento e scritti prima dell’avvento
di Gesù, ma che diventa definitivo
nei testi del Nuovo Testamento re-
datti dopo la morte di Cristo. Per
quanto riguarda il numero dei libri
che danno vita all’AT c’è una di-
screpanza tra ebrei e cristiani. Gli
ebrei ne contano 24, i cristiani 39.
Come mai? Questo è dovuto al fat-
to che gli ebrei considerano come
un unico libro gli scritti dei dodici
profeti minori ed, inoltre, i cristiani
sdoppiano i testi di Samuele, dei
Re, delle Cronache e di Esdra-
Neemia che sono invece consi-
derati un tutt’uno dalla religione
ebraica. L’AT è condiviso da en-
trambe le fedi, mentre il Nuovo
Testamento appartiene solamente
ai cristiani che incentrano il loro
credere sulla morte e risurrezione
di Gesù. Gli scritti neotestamenta-
ri sono 27: i 4 vangeli di Matteo,
Marco, Luca e Giovanni; gli Atti
degli Apostoli raccolti da Luca; le
13 lettere di Paolo (Romani, 1 e 2
Corinzi, Galati, Efesini, Filippesi,
Colossi, 1 e 2 Tessalonicesi, 1 e 2
Timoteo, Tito, Filemone); la lettera
agli ebrei di autore sconosciuto;
lettera di Giacomo; 1 e 2 di Pie-
tro; 1, 2 e 3 di Giovanni; lettera di
Giuda; Apocalisse di Giovanni. Il
più antico scritto del NT è la pri-
ma lettera ai Tessalonicesi redatta
nell’inverno tra il 50-51 d.C., non
molti anni dopo la morte di Gesù
avvenuta nell’anno 30. I vangeli
sono stati elaborati durante il I se-
colo d.C. Il primo a veder la luce
è stato quello di Marco negli anni
precedenti alla distruzione di Ge-
rusalemme del 70 d.C. Questa da-
tazione, secondo il papirologo J.
Callaghan, ha avuto una clamoro-
sa conferma proprio dagli studi dei
frammenti dei rotoli di Qumran che
riporterebbero dei versetti tratti
appunto dal vangelo di Marco. I
vangeli sono credibili? Senza il
minimo dubbio! Non sono il frutto
di menti esaltate, ma il puntuale e
Senza aggredire,
senza indietreggiare
Don Bosco e il mondo del lavoro.
La difesa dei giovani
ELLEDICI
Un don Bosco da “riscoprire”:
quello che operò sul versante
della difesa degli apprendi-
sti e dei giovani lavoratori.
Davanti a situazioni che
offendevano la loro digni-
tà e libertà, il santo reagì
in prima persona. Lo fece
con decisione, equilibrio e
chiarezza, arrivando anche
a firmare contratti di tutela
a favore di chi era inserito
nei laboratori e nelle offi-
cine. Il libro rilegge questo
aspetto “sociale” dell’ope-
ra di don Bosco, studiando le fonti ma anche
il contesto storico, la dinamica relazionale, gli aspetti nodali e le
prospettive per l’oggi.
L’autore è il prof. Pier Luigi Guiducci che insegna storia della Chiesa
presso il Centro Diocesano di Teologia per Laici (Istituto “Ecclesia
Mater”- Pontificia Università Lateranense) e presso l’Università Pon-
tificia Salesiana.
corretto racconto di quanto veniva
tramandato oralmente dai primi di-
scepoli di Gesù. La vigilanza sulla
fedeltà del racconto era feroce da
parte delle primitive comunità cri-
stiane. Gli scritti opera di esaltati,
o di mitomani, venivano banditi.
Solo i quattro vangeli canonici ve-
nivano letti, senza suscitare obie-
zioni, in tutte le comunità raccolte
in preghiera. Solo essi superarono
indenni i tre rigorosi criteri fissati
per riconoscerne l’autenticità: es-
sere accettati da tutte le comunità,
nessuna esclusa; essere sostenuti
direttamente dall’autorità, ricono-
sciuta da tutti, di un apostolo che
si rendeva garante dell’autenticità;
il loro messaggio doveva essere
conforme alla predicazione orale
degli apostoli. I vangeli apocrifi
vennero inevitabilmente scartati,
anche se influenzarono, nel tem-
po, la tradizione popolare. Qualora
lei volesse approfondire queste
problematiche mi permetto di sug-
gerirle un testo che reputo molto
importante per fondare cultural-
mente il nostro credere. Si tratta
di: Piero Ottaviano, I fondamenti
del cristianesimo, Elledici.
Ermete Tessore
Docente di filosofia e
religione
Febbraio 2013
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SALESIANI NEL MONDO
LA COMUNITÀ
Don Bosco a Mainz
L uciano Loreggian, salesiano
coadiutore, è missionario in
Germania da 37 anni: «Parlo
poco il tedesco, in compenso
capisco il siciliano, il cala-
brese, il pugliese» dichiara.
La missione oggi è un pezzo di
patria per gli italiani, un punto di
riferimento prezioso per ritrovare la
realtà delle proprie origini e la ma-
trice della propria identità.
ni in città e dintorni. I nostri fedeli non vivono
vicini. Talora le distanze sono notevoli: anche
20 km e più. Le attività sono quelle tipiche della
parrocchia: messe, sacramenti, catechismo per i
bambini (complessivamente 6 anni). Le comuni-
tà tedesche fanno pochi mesi per la preparazione
alla Comunione e una mini-serie di incontri per
la Cresima.
Inoltre facciamo visita agli ospedali, incontri rego-
lari ai carcerati italiani, attività per gli anziani, ser-
vizi di assistenza sociale, servizi per i passaporti.
In alto: La
bella Chiesa
parrocchiale
di S. Emmeran,
completamente
restaurata.
A destra: Il
parroco don Pio
Visentin celebra
un battesimo.
Secondo le
indicazioni dei
vescovi, viene
amministrato per
immersione. Viene
molto richiesto.
È una grande
festa per tutta la
comunità, che
esprime la gioia
sempre con un
grande applauso.
Tutto ebbe inizio nel lontano 1972
con il vulcanico don Carlo Vitac-
chio inviato dal Capitolo Ispetto-
riale di Verona in Germania per
assumere la Pastorale Giovanile per
i ragazzi italiani della Diocesi di Colonia. L’espe-
rienza si dimostrò positiva e nel 1987 tre salesiani
iniziarono una comunità missionaria a Mainz.
Mainz (Magonza), a pochi km da Francoforte,
è una città del centro-ovest della Germania. Un
tempo, dal punto di vista politico, era una delle
più importanti località. L’Arcivescovo era il can-
celliere dell’impero, a lui spettava l’organizzazio-
ne dell’elezione del nuovo imperatore. La sua im-
portanza decadde con Napoleone, ma la sua fama
rimane ancora oggi legata a Gutenberg, inventore
della stampa e a san Bonifacio, vescovo di Mainz,
evangelizzatore della Germania.
La presenza salesiana a Mainz ha subito un cam-
biamento rispetto alle intenzioni delle origini:
non più pastorale giovanile ma pastorale parroc-
chiale in una missione territoriale.
Alla nostra cura sono affidati circa 7000 italia-
Non è un’isola
Uno dei primi tre salesiani era don Pio Visentin,
che oggi è il superiore della comunità, ed è anche
parroco della chiesa di S. Emmeran, che fa parte
dell’opera salesiana.
Padovano di origine, don Pio ha compiuto in
Germania i suoi studi di teologia. E in Germa-
nia è tornato quindi come missionario, nel 1976.
«Sono venuto in Germania con l’intenzione di
vivere da emigrato fra gli emigrati, di penetrare
nel loro mondo culturale e soprattutto nel vivo
dei loro problemi», dichiara.
La missione oggi è un pezzo di patria per gli ita-
liani, un punto di riferimento prezioso per ritro-
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vare la realtà delle proprie origini e la matrice
della propria identità.
«Ma non è un’isola – afferma don Pio –, poiché il
nostro lavoro deve favorire anche l’integrazione.
C’è il rischio, infatti, che nella ricerca di una pro-
pria società regionale o nazionale, nella ricerca e
nell’adesione alla propria chiesa, l’italiano finisca
per rifiutare la società in cui vive e la chiesa della
quale fa parte. Perciò, se da una parte noi dob-
biamo favorire il recupero della nostra cultura e
della nostra tradizione, dobbiamo anche facilitare
ai nostri fratelli l’accesso a questa società, a questa
chiesa».
Naturalmente non mancano i problemi. Gli anzia-
ni, ovvero gli immigrati italiani (meridionali nella
quasi totalità) degli inizi conservano cultura e lin-
gua propria (il dialetto locale della loro regione di
origine); i giovani invece parlano tedesco (questa è
la loro lingua madre), ma non si sentono tedeschi
e non crescono nemmeno in una cultura italiana
eppure si qualificano come italiani. Rischiano di
non avere alcuna identità... I matrimoni misti sono
sempre più frequenti, anche se facilmente possono
sorgere dei conflitti culturali. In missione garan-
tiamo la lingua italiana. Anche il catechismo ai
bambini viene fatto prevalentemente in italiano. È
un modo per aiutare l’apprendimento della lingua
e favorire anche una migliore convivenza familia-
re. In molte famiglie, infatti, il dialogo è difficile e
limitato ad un ridotto numero di parole dialettali
del paese di origine dei genitori. Si pensi che don
Pio è stato chiamato a fare da interprete in un pro-
cesso tra padre e figlio!
I tedeschi vengono
volentieri a Messa
In Germania esiste già una comunità cattolica,
che vive il vangelo, magari alla maniera tedesca
ma sempre secondo l’insegnamento del magiste-
ro. Qual è il ruolo di una missione cattolica italia-
na in questa realtà religiosa preesistente?
«Gli italiani vengono più volentieri nella missione
italiana che nella parrocchia tedesca; e non pos-
siamo non tenerne conto. Ma, a parte questo, la
missione è il principale punto di riferimento an-
che per l’utilizzo del tempo libero, per la rispo-
sta alla domanda di cultura. Un ruolo insostitui-
bile. Per i nostri connazionali, infatti, non esiste
in Germania un ente, un’associazione o altro che
abbia maggiore potere di attrazione».
Di fronte all’alternativa di una fede vissuta «alla
maniera tedesca» o «alla maniera italiana»: e
perciò anche del confronto fra una pastorale di
emigrazione e una pastorale locale, don Pio ha
risposto con particolare efficacia.
«Per molti anni abbiamo parlato dei pericoli, mi
correggo, dei diversi esempi che ci derivano dalla
realtà tedesca, anche da quella ecclesiale. Qui, per
esempio, non è molto forte il senso della famiglia;
non esiste quell’attaccamento alle tradizioni devote
come esiste da noi; non si portano i bambini alle
feste religiose... A lungo, perciò, abbiamo messo
in guardia i nostri fedeli da questi esempi. Oggi,
però, abbiamo imboccato una strada diversa. Alle
nostre comunità diciamo infatti: possiamo anche
noi proporre agli altri i nostri valori. Possiamo pro-
porre il modello della famiglia italiana, innanzi-
tutto. Io ho sentito molti tedeschi elogiare l’unità
e il dialogo che esistono nelle nostre famiglie; ho
sentito la loro ammirazione per le nostre feste, ral-
La Settimana
Santa è molto
sentita e
partecipata.
I giovani portano
la croce luminosa.
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SALESIANI NEL MONDO
La solenne
processione del
Venerdì Santo.
legrate dalla presenza dei bambini. Dobbiamo di-
scostarci insomma da una condizione di inferiorità
e riproporci come comunità capace di esprimere
solidi valori: sociali, culturali e religiosi».
I tedeschi vengono più volentieri alla nostra mes-
sa, perché è vivace, familiare. E si intrattengono
volentieri a chiacchierare sul piazzale della chiesa
a messa conclusa.
Un inconfondibile tratto salesiano
Dicono che nel vostro modo di interpretare la
missione avete un inconfondibile tratto salesiano.
«Don Bosco! Sì, perché non possiamo dimenti-
care che sempre salesiani siamo. E tutto il nostro
lavoro è sempre fatto con particolare attenzione
al mondo giovanile. L’organizzazione anche reli-
giosa della Germania non consiste nel realizzare
iniziative tradizionalmente possibili in Italia. Per
esempio in Germania non esiste l’idea dell’oratorio
parrocchiale. Credo che in tutte le altre 40 opere in
Germania non ci siano più di 6 o 7 oratori.
Quando 18 anni fa siamo arrivati a Mainz abbia-
mo trovato all’ingresso della Missione un grande
quadro di don Bosco che ci ha accolti e una bella
statua di Maria Ausiliatrice. C’era stato in passato
un folto gruppo “Giovani don Bosco”. Purtroppo
ci siamo accorti che lo spazio era limitato solo alla
chiesa, sale e uffici. Abbiamo chiesto in Curia se
era possibile avere un piccolo cortile. L’ingegne-
re preposto ci ha presi per matti e ci ha chiesto
se sapevamo quanto costava un metro quadrato
di terra al centro di Mainz. Sinceramente non è
che riusciamo a realizzare grandi cose per i gio-
vani anche per la nostra età avanzata...! Io per-
sonalmente spero molto nel dinamismo giovanile
di don Salvatore che è venuto a dare speranza e
continuità alla nostra presenza a Mainz. Posso
comunque dire che abbiamo favorito un clima di
famiglia con giovani e adulti. Molti apprezzano
l’accoglienza della nostra comunità. È un impe-
gno primario che ci siamo prefissi noi e tutte le
persone che collaborano con noi».
Com’è la realtà giovanile cattolica in Germania?
Nel passato non c’è stato un grande impegno per i
giovani e le parrocchie sono frequentate in genere
da anziani. Non esistono “movimenti” di anima-
zione giovanile. Le attuali organizzazioni sono
ferme a modelli del passato.
La scolarizzazione dei giovani è limitata. Il tasso
di studenti che frequentano scuole superiori è il più
basso tra tutti gli stranieri residenti in Germania,
anche se oggi ci sembra che la situazione stia mi-
gliorando. Notiamo che tra i nostri giovani molti
frequentano scuole superiori o una qualifica pro-
fessionale di prestigio. Il problema grave oggi è la
conservazione del posto di lavoro. Non c’è più sicu-
rezza. Gli americani comperano le grandi fabbri-
che e dopo qualche tempo riducono la produzione
o le chiudono e trasferiscono il tutto all’estero.
Nella casa, c’è un viavai di giovani e giovanissi-
mi. Un viavai che non è spiegabile soltanto con
la domanda di carattere religioso. «Certamen-
te. Poiché ci è parso logico che i giovani avessero
bisogno di qualcuno pronto a riceverli, abbiamo
impostato la nostra missione come spazio aperto
al tempo libero. L’istituzione di una sala giochi,
con tanti giochi e tutti gratuiti, è una novità. È
l’indice del nostro atteggiamento nei confronti
dei giovani, per fare capire che abbiamo creato
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Febbraio 2013

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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uno spazio tutto per loro ma che in questo spa-
zio, tra un gioco e l’altro, ci siamo anche noi. E
noi siamo disponibili ad ascoltare i loro problemi
e le loro confidenze; ma anche a dire qualche pa-
rola utile per le loro scelte e la loro vita».
L’Europa che nasce
La missione di Magonza collabora in particola-
re con due organismi a carattere sociale: la Cari-
tas tedesca e il patronato Acli. Di assistenza, in
emigrazione, c’è bisogno in molti casi: dall’aiuto
pratico, all’intervento nelle situazioni familiari
difficili, ai problemi scolastici per i ragazzi che
purtroppo finiscono spesso, non solo per man-
canza di capacità, nelle classi differenziali.
«In questo campo il Caritasverband è molto attivo
– dichiara il nostro interlocutore –. Le Acli ope-
rano invece in ambito previdenziale, soprattutto.
Settimanalmente viene da Francoforte un funzio-
nario, che si dà molto da fare per i nostri lavoratori».
In altri tempi, negli anni delle prime migrazio-
ni, le missioni hanno lavorato moltissimo in cam-
po sociale, e anche in campo culturale, supplen-
do alle strutture assenti. Oggi questa necessità
non esiste più, o si è fortemente ridotta, poiché
dai consolati, alle associazioni, ai sindacati molti
sono gli organismi che si occupano dei veri pro-
blemi previdenziali, dell’addestramento profes-
sionale, del rapporto con le istituzioni.
Quello dell’Europa è un tema di grande attualità,
ma oberato di uno sterminato fardello di chiac-
chiere. «In Germania, invece – ci tiene a preci-
sare don Pio –, l’Europa è quella che sta facendo
la gente: tedeschi, italiani, croati, turchi, tunisini
che lavorano fianco a fianco. Recentemente ab-
biamo avuto in duomo una celebrazione, cui han-
no partecipato numerosi gruppi etnici, vietnamiti
e filippini compresi. Ci abituiamo così a vivere
insieme: alle catene di montaggio, nei bar e natu-
ralmente anche in chiesa».
Meeting dei
giovani. Si
organizza ogni
anno, a Mainz,
e vi partecipano
giovani da altre
comunità italiane.
Il Rettor Maggiore
e don Adriano
Bregolin, durante
una recente visita
a Mainz, posano
volentieri con il
nostro gruppo
giovani, dopo
un incontro
amichevole e
la celebrazione
eucaristica animata
dai giovani.
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2.2 Page 12

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PROGETTO EUROPA
LENGYEL ERZSÉBET
TRADUZIONE DI MARISA PATARINO
Il vento cdhaeovrieineente
Dominic Savio e James con il busto di don Bosco
in Ungheria.
Nel 2006, per ampliare l’I-
spettoria salesiana ungherese
e offrire il loro apostolato,
sono arrivati i primi missio-
nari. Proponiamo l’esperien-
za degli ultimi due giovani
salesiani vietnamiti arrivati qui, Pham
Quoc Thai Hung Dominic Savio e
Nguyen Hai Ly James.
Quale pensate che sia
il vostro compito
più importante?
Dominic Savio: Quando è comin-
ciato il Progetto Europa, di fatto la
prima difficoltà che abbiamo dovuto
affrontare è consistita nell’arrivare in
Ungheria. In questo momento, l’im-
Intervista a due giovani
salesiani vietnamiti
missionari in Ungheria
pegno più importante della mia vita
è imparare; questa è l’attività prin-
cipale, tutto il resto viene dopo. Mi
pare che si veda già qualche risultato.
Quando sono arrivato, mi sono detto:
Gesù e don Bosco erano già qui pri-
ma di noi, erano ben conosciuti e io
non devo presentarli. Dobbiamo solo
vivere insieme ai giovani con l’aiu-
to di don Bosco e di Gesù Cristo.
Quali difficoltà avete
incontrato?
James: A volte ho l’impressione che
l’unica difficoltà consista nel parlare di
Dio ai bambini. Non è facile invitarli
a pregare insieme. Non è un problema
invece invitarli a svolgere altre attività,
come i campeggi: vi partecipano sem-
pre. Invitarli a venire in chiesa, invece,
è un altro discorso… Quando abbiamo
intrapreso questa missione, sapevamo
che ci aspettavano una nuova cultura e
una nuova vita, in cui dovevamo trova-
re il nostro spazio.
Quali aspetti si sono rivelati
più insoliti e sorprendenti,
per voi?
Dominic Savio: Una differenza
consiste nel fatto che in Vietnam è più
facile invitare la gente in chiesa, men-
tre qui c’è qualche difficoltà a questo
proposito. Non importa da dove pro-
veniamo; l’unico aspetto fondamentale
è che siamo salesiani. C’è un solo don
Bosco e il carisma salesiano è lo stes-
so ovunque: vogliamo prenderci cura
dei giovani. La nostra lingua è diver-
sa, la nostra cultura è diversa, ma un
elemento è comune: le Costituzioni.
Rimangono le stesse in ogni Paese del
mondo. Quando sono tornato a casa,
ho detto ai miei amici e ai miei paren-
ti come siamo fortunati a far parte di
questa congregazione. All’interno di
questa famiglia viviamo insieme come
salesiani ovunque andiamo. Se con-
quistiamo il cuore dei bambini, il cri-
stianesimo tornerà a diffondersi.
Quali analogie riscontrate
tra il Vietnam e l’Ungheria?
James: In passato le famiglie ave-
vano molti figli, mentre adesso la
situazione è cambiata e ogni nucleo
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Febbraio 2013

2.3 Page 13

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familiare ne ha due o tre, come qui.
Ci sono molte famiglie più numerose
a Budapest-Óbuda e dunque da que-
sto punto di vista non ci sono grandi
differenze rispetto al Vietnam.
Ci sono differenze
tra le missioni del passato
e quelle di oggi?
Dominic Savio: C’è una differen-
za tra le missioni dei nostri giorni e
quelle del passato. Quando i missio-
nari partivano dall’Europa, portava-
no con sé aiuti materiali consistenti.
Adesso dobbiamo portare qualcos’al-
tro. La ricchezza non è importante,
dobbiamo trovare il “qualcos’altro”
che i giovani hanno bisogno di rice-
vere da noi. Questo “qualcosa” risiede
nel nostro cuore; è il carisma di don
Bosco, la cosa più importante!
Che cosa pensate
della situazione dei giovani
in Ungheria?
Dominic Savio: Quando sono arri-
vato qui per la prima volta era sorpren-
dente il fatto che la gente in generale
fosse più ricca rispetto a quanto acca-
deva in Vietnam. Ho però capito ra-
pidamente che i bambini hanno biso-
gno di incoraggiamento e di lodi come
quelli del Vietnam. L’importante è
questo! Non dobbiamo dare loro cose,
perché hanno già tutto; dobbiamo solo
prenderci cura di loro e stare insieme a
loro. Se i bambini entrano nell’oratorio
e non c’è nessuno che li saluti o giochi
con loro, se ne andranno. Se invece c’è
qualcuno che li saluta con gioia e parla
con loro, sono contenti di starci. Han-
no cellulari moderni, alcuni ne possie-
dono addirittura due, e poi computer e
altro, ma manca ancora loro “qualco-
sa”… Penso che questa sia la differenza
più grande tra l’Europa e l’Asia.
Siete stati ben accolti
in Ungheria?
James: Due signore anziane mi si
sono avvicinate e mi hanno invitato a
perseverare. Io sono ancora giovane e
ho molto tempo davanti a me, mentre
a loro ne è rimasto poco, ma vorrebbe-
ro vedermi diventare sacerdote. Penso
che contino su di me e mi circondino
con il loro amore. So che tutto ciò che
riesco a fare è anche il risultato di tutto
l’amore e di tutte le preghiere che ri-
cevo. Ho sperimentato questo da parte
di persone anziane e giovani ed è una
sensazione molto bella.
Dominic Savio: Tutte le volte in
cui devo sostenere un esame, ricevo
molti messaggi che mi dicono: «Con-
tinua così, Domonkos, puoi farcela!».
Penso che molte persone tengano a
noi. Io chiedo sempre di avere pazien-
za con me, perché per noi la situazione
è diversa, rispetto a quanto accadrebbe
per un Ungherese. Una persona ori-
ginaria di qua riesce a fare tutto con
facilità, ma a noi non tutto riesce bene
fin dalla prima volta. Dobbiamo pen-
sare a come le varie attività debbano
essere svolte, perché dobbiamo com-
pierle secondo la cultura ungherese,
non in base alla nostra. Io chiedo a
tutti di avere pazienza. La pazienza
porta sempre i suoi frutti.
«Ci hanno accolti bene e ci circondano con il loro
amore».
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L’INVITATO
ALESSANDRA TARQUINI
Carola Carazzone
Lottare per un CarolaCarazzone
è la presidente
del VIS-Volontariato
mondo possibile Internazionale per lo
Sviluppo, organizzazione
non governativa della
Famiglia Salesiana.
Il VIS è una delle prime
10 ONG in Italia su un
panorama di 248 ONG
riconosciute ufficialmente.
Nata a Torino nel 1973, è
Avvocato specializzato in
diritti umani presso l’Isti-
tuto Internazionale Dirit-
ti Umani Renée Cassin
di Strasburgo. Ha un
Master internazionale in Coo-
perazione e Sviluppo, ottenuto
presso la European School of
Advanced Studies in Coopera-
tion and Development dell’U-
niversità di Pavia. Ha vissuto
alcuni anni lavorando in pro-
getti di promozione e prote-
Carola Carazzone con il Rettor
Maggiore il giorno della sua elezione
a Presidente del VIS.
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Febbraio 2013

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zione dei diritti dei bambini in Perù e
in Albania. Ha effettuato missioni di
fattibilità, monitoraggio e valutazione
di progetti in 16 Paesi. Da aprile 2011
è Presidente del VIS-Volontariato In-
ternazionale per lo Sviluppo di cui dal
2002 era responsabile dell’Ufficio Di-
ritti Umani. Dal 2006 è portavoce del
Comitato per la promozione e prote-
zione dei diritti umani, una rete di 82
organizzazioni non governative italia-
ne impegnata in attività di advocacy
presso le Nazioni Unite, il Consiglio
d’Europa e l’Unione Europea. Inse-
gna corsi di specializzazione su diritti
umani e sviluppo presso le Università
di Torino, Siena, Pavia e presso il cen-
tro di Alta Formazione Internazionale
dell’ILO-ITCILO. Ha pubblicato tre
libri e numerosi articoli su vari temi di
diritti umani e sviluppo umano, dirit-
to allo sviluppo e approccio basato sui
diritti umani alle politiche e alla pro-
gettazione per lo sviluppo. Di partico-
lare rilievo il ruolo di coordinamento
del primo rapporto supplementare
delle organizzazioni non governative
italiane al Comitato ONU sui diritti
economici, sociali e culturali nel 2004
(follow up nel 2008 e prossimo esame
2012-2014) e il coordinamento della
partecipazione delle organizzazioni
non governative italiane alla prima
Revisione Periodica Universale dell’I-
talia da parte del Consiglio diritti
umani nel 2010.
Per la prima volta una
donna al vertice del VIS:
lei. Che segno è?
Qualcuno all’indomani della mia
carica mi definiva come una “mo-
sca bianca” nel mondo del no profit.
Credo che il mio incarico al VIS
debba essere letto secondo una len-
te più ampia, considerando in primo
luogo il lungo percorso compiuto
all’interno di questo organismo.
La scelta di affidarmi la presiden-
za dell’organismo è stata frutto di
un processo molto naturale essendo
io cresciuta in questa ONG, che ha
forgiato anche i miei studi e le mie
scelte professionali. È innegabile,
d’altro canto, come anche questa vol-
ta il VIS abbia tracciato un segno di
cambiamento nel panorama italiano
e ne trovo conferma ad ogni tavolo di
lavoro nel quale mi ritrovo ad esse-
re l’unica donna presidente. Ci sono
però segnali incoraggianti dell’empo-
werment delle donne nel sistema del
non profit italiano: qualche settima-
na fa VITA ha raccontato la storia di
50 donne del no profit che ricoprono
ruoli dirigenziali e hanno il carisma
per cambiare il nostro Paese.
Volontari in azione. Il VIS è una delle prime dieci
organizzazioni di volontariato d’Italia.
Qual è il compito
del Presidente di questa
formidabile ONG?
Il Presidente del VIS garantisce l’uni-
tarietà funzionale e strutturale dell’or-
ganismo, ne è legale rappresentante e
primo portavoce, presiede l’Assemblea
dei Soci, il Consiglio Direttivo ed il
Comitato Esecutivo. In questo anno
e mezzo ho cercato di interpretare il
mio incarico con un profondo spirito
di “servizio”, ispirandomi sempre al
carisma di don Bosco e, rifuggendo lo
stereotipo del presidente “taglianastri
inaugurali”, sono entrata nel vivo del-
le mie funzioni ponendo alle basi del
mio operato tre pilastri: visione, lavoro
in rete ed efficacia dell’organismo. C’è
molto lavoro da fare insieme allo staff,
ai soci, ai volontari nel mondo, ma un
primo solco utile a portare frutti nel
primo anno e mezzo del mio mandato
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2.6 Page 16

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L’INVITATO
nostro sito www.volint.it è possibile
trovare il racconto di tutte le nostre
attività in Italia e nel mondo.
Carola Carazzone (al centro), con (a sinistra)
don Claudio Cacioli, Ispettore della Lombardo-
emiliana, don Adriano Bregolin, Vicario del
Rettor Maggiore e (all’estrema destra) il signor
Jean Paul Muller, Economo generale, all’incontro
per Milano 2015.
è stato fatto e ho tutte le intenzioni di
“coltivare” questo terreno con passione
e dedizione.
Come concilia questo
impegno e quello di moglie
e mamma?
Non è facile conciliare i due ambiti.
Alle volte è davvero faticoso, ma la
scelta di questo nuovo incarico è stata
condivisa sin da principio e maturata
insieme a mio marito, i miei figli e la
mia famiglia. Questo supporto è rin-
novato ogni giorno. Sono molto for-
tunata e non finirò mai di ringraziare
i miei cari per questo segno di amore
nei miei confronti.
Com’è nata la sua
vocazione “vissina”?
Nel mio portafogli conservo ormai
da 20 anni la VISCARD n. 0003.
Nel 1993, a 19 anni, al primo anno
di giurisprudenza, sono stata uno dei
10mila giovani che hanno vissuto l’e-
sperienza estiva missionaria salesia-
na. Da lì è cominciato tutto. Il VIS
è il mio stesso vissuto e la mia stessa
esperienza di vita.
Qual è la risposta
al “Chi siamo” del VIS?
Di che tipo è il legame
con la Famiglia Salesiana?
Il VIS-Volontariato Internazionale
per lo Sviluppo è una ONG, cioè una
Organizzazione Non Governativa,
nata nel 1986 e oggi presente con vo-
lontari internazionali in oltre 40 paesi
del mondo per promuovere lo svilup-
po umano e i diritti umani di tutti,
in particolare dei bambini e dei gio-
vani in condizioni di povertà. Il VIS
è parte integrante della Famiglia
Salesiana e fa capo al Cen-
tro Nazionale Opere Sa-
lesiane. Ha ottenuto lo
“Special Consultative
Status” presso il Con-
siglio Economico e
Sociale (ECOSOC)
delle Nazioni Uni-
te nel 2009. Nel
Qual è la missione del VIS?
“Insieme, per un mondo possibile” è
il nostro slogan ed esprime la mission
della nostra ONG. Il mondo possibile
che vogliamo è fatto di sviluppo uma-
no, volontariato internazionale, educa-
zione integrale e comunitaria per e con
i bambini e i giovani in condizioni di
vulnerabilità e povertà. Lo spirito con
cui operiamo è profondamente educa-
tivo, ispirato al carisma salesiano, al
Sistema Preventivo di don Bosco.
Fin dall’origine il VIS non ha mai
avuto una visione meramente assisten-
zialista, di solo dare, inviare, costrui-
re. Ricordo di aver letto nella rivista
dell’organismo già nel lontano 1993
che i giovani in situazioni di povertà
estrema non erano “tubi digerenti”,
ma persone, soggetti di diritti umani.
Erano gli anni Novanta: mancavano
ancora quindici anni perché si ini-
ziasse a parlare di povertà come viola-
zione dei diritti umani. Il VIS ancora
una volta anticipava i tempi.
Quali sono state
le realizzazioni
più importanti
e memorabili?
Tantissime realizzazioni in
questi anni. Ricordo l’emo-
zione e la soddisfazione di
quando come volontaria in-
ternazionale, tra il 2000
e il 2002, ho avuto l’op-
portunità di essere la
prima internazionale
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Febbraio 2013

2.7 Page 17

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a studiare nella pratica dei tribunali
albanesi l’applicazione del vecchio
codice di famiglia rimasto in vigore
dall’epoca della dittatura comunista
di Hoxha e a tirarne fuori le gravi la-
cune in termini di protezione dei di-
ritti e di prevenzione dell’emigrazione
irregolare e della tratta. Grazie anche
a quell’esperienza abbiamo potuto
aprire il primo ufficio diritti umani
e il VIS è diventato la prima ONG
italiana di cooperazione allo sviluppo
con un ufficio dedicato a integrare la
promozione e protezione dei diritti
dei bambini e degli adolescenti nei
progetti nei paesi poveri, a promuo-
vere attività di advocacy presso le Na-
zioni Unite e il Consiglio d’Europa,
a proporre percorsi partecipativi di
educazione sui, attraverso e per i diritti
umani come parte integrante dell’e-
ducazione alla mondialità e alla cit-
tadinanza attiva e responsabile. Non
posso non pensare a quanto ho im-
parato lavorando con i bambini e gli
adolescenti lavoratori di “Muchachos
Y Muchachas con Don Bosco” nella
Repubblica Dominicana con cui ab-
«A 19 anni, sono stata uno dei dieci mila giovani
che hanno vissuto l’esperienza estiva missionaria
salesiana. Da lì è cominciato tutto».
biamo costruito una rete che ha mes-
so insieme 12 centri in un approccio
di cooperazione davvero basato sui
diritti umani. Questi sono solo alcuni
esempi, potrei continuare con tantis-
simi altri.
Chi sono i vostri
“stakeholder”,
cioè i sostenitori e
finanziatori, effettivi?
Il VIS è parte della Famiglia Salesia-
na con la quale condivide l’impegno
in oltre 40 Paesi del mondo. La rete
del VIS è una rete molto ampia fatta
da persone, istituzioni e organizza-
zioni che seguono e partecipano alle
nostre attività in Italia e nel mondo:
sono cittadini privati, giovani e meno
giovani, migliaia di ragazzi e ragazze
che vogliono formarsi per diventare
competenti nella cooperazione allo
sviluppo e nella promozione e pro-
tezione dei diritti umani, istituzioni
pubbliche e private.
Quali sono i progetti futuri?
Lavoriamo sodo da anni perché il fu-
turo abbia radici solide nel presente.
Una cooperazione che sia di sviluppo
umano e di ampliamento delle capa-
cità e non di mera emergenza è quella
che portiamo avanti sin dalla nostra
nascita. Nel futuro quindi vediamo
la realizzazione dei progetti e la loro
sostenibilità nel tempo. Scorrendo il
calendario, invece, un appuntamento
importante per il VIS e per tutta la fa-
miglia salesiana sarà la partecipazione
insieme al Don Bosco Network, la rete
di tutte le ONG salesiane nel mondo,
all’Esposizione Universale “Nutrire il
Pianeta, Energia per la Vita” che si ter-
rà a Milano nel 2015.
«Il VIS è diventato la prima ONG italiana con
un ufficio dedicato a integrare la promozione
e protezione dei diritti dei bambini e degli
adolescenti nei progetti dei paesi poveri e a
promuovere attività di advocacy presso le Nazioni
Unite e il Consiglio d’Europa».
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2.8 Page 18

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FINO AI CONFINI DEL MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
COLOMBIA
Il carbone
del futuro
si fabbrica a
Villa Don Bosco
MESSICO
L’Angolo:
uno spazio
culturale
per i giovani
(ANS - Santander de Quilichao) – Pres-
so l’opera salesiana “Villa Don Bosco” di
Santander de Quilichao, è in funzione un
impianto di produzione di biomasse – un
prodotto 100% naturale, privo di conser-
vanti e additivi, con un potere calorifico più
elevato rispetto al legno tradizionale.
Nel processo produttivo le biomasse ven-
gono compattate in piccoli cilindri, per poi
essere usate per generare calore nei camini,
nelle stufe o in diversi altri usi industriali.
I responsabili dell’intero processo, dalla
ricezione delle materie prime al taglio,
all’essiccazione e al funzionamento dei
macchinari, sono studenti ed exallievi del
centro salesiano.
Con la vendita dei cilindri l’impianto
consentirà il sostegno e la formazione di
circa 3000 persone di Villa Don Bosco e
del Centro di Formazione di Cali e favorirà
l’occupazione degli agricoltori della zona.
INDIA
Avviato
il Progetto
CREAM
(ANS - Bangalore) – A
dicembre 2012 a Banga-
lore è stato ufficialmente
avviato il Progetto
“CREAM” (Child Right
Education and Action
Movement – Movimento
di azione per l’educazio-
ne ai diritti del bambino),
rivolto ai minori più
svantaggiati dello stato
sud-occidentale
del Karnataka. Scopo
del progetto è inco-
raggiare e promuovere
la partecipazione dei
minori, sia dei centri ur-
bani sia delle aree rurali,
ai processi di sviluppo,
per promuoverne i diritti
e assicurare loro cure
e protezione. È prevista
la creazione di oltre
450 club per i diritti dei
bambini, la formazione
di 900 insegnanti e di
22 500 bambini sul di-
ritto all’Educazione, con
l’obiettivo di raggiungere,
entro i prossimi 3 anni,
75 000 minori.
(ANS - Ciudad Juárez) – Nell’ambito del
progetto “Percorso Culturale”, promosso
dagli Oratori Salesiani di Ciudad Juárez, è
stato inaugurato a inizio dicembre “L’Ango-
lo: spazio culturale”, un ambiente destinato
alla promozione culturale e all’incontro
degli adolescenti e giovani della città. Il
complesso, sorto dalla ristrutturazione
dell’oratorio “Lupita”, comprende un bar, le
cui pareti sono state decorate con murales
dai ragazzi; un cinema con programma-
zione indipendente; un cyber/digital club;
una sala con giochi da tavolo; un negozio di
abbigliamento di seconda mano e con prezzi
accessibili; una palestra multifunzionale.
In una città stigmatizzata come violenta e
caotica, l’opera salesiana scommette sui gio-
vani pieni di vita e di sogni, talento e grandi
speranze, che hanno solo bisogno di chi li
sostenga nella crescita.
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2.9 Page 19

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GUATEMALA
21 dicembre
2012: una
nuova era
per il villaggio
San Giacinto
(ANS - San Pedro Carchá) – A fine dicembre
mons. Rodolfo Valenzuela, vescovo di Vera-
paz, ha benedetto nel villaggio San Giacinto,
popolato da indigeni Maya-Q’eqchí, una
nuova, piccola chiesa, dedicata alla Vergine di
Guadalupe e realizzata grazie ad un benefat-
tore degli Stati Uniti e alla procura Missiona-
ria salesiana di New Rochelle. La costruzione
è durata circa un anno e ha visto impegnati
tutti gli abitanti del villaggio; anche le donne
hanno contribuito all’edificazione della chie-
sa, trasportando sabbia e cemento lungo la
foresta. La costruzione di una chiesa in questi
villaggi rappresenta un importante stimolo
allo sviluppo spirituale, sociale e civile. Spiega
don Vittorio Castagna, missionario da circa
due anni: “Pensavo di dover promuovere inter-
venti a carattere più sociale, ma la gente mi ha
detto: l’unica cosa che ti chiediamo è aiutarci
con la realizzazione di una chiesa”.
BRASILE
La storia
di Gesù,
formato manga
(ANS - Brasilia) – La
Rete Salesiana delle
Scuole (RSE) ha iniziato
a pubblicare nel 2012 la
serie di fumetti “Evangelis”,
del disegnatore Herbert
Barbosa. È la storia di Gesù
raccontata attraverso il
formato dei fumetti giap-
ponesi manga, linguaggio
originale e facilmente
comprensibile agli studenti
delle scuole e delle opere
sociali salesiane. Sono già
stati prodotti 2 dei 4 volumi
previsti: “Nasce la Speran-
za”, che narra gli episodi
della nascita di Giovanni il
Battista, l’Annunciazione, la
ricerca dei Magi, la Nascita
di Gesù e la fuga in Egitto;
e “La Buona Novella”,
dove sono riportati i primi
miracoli di Gesù e le tenta-
zioni di Satana nel deserto.
“Vogliamo presentare la
ricchezza del mondo bibli-
co in uno modo attraente
e accattivante” ha detto
Antonio Boeing, animatore
pastorale della RSE.
ARGENTINA
Una casa
per conoscere
la Patagonia
(ANS - Puerto Deseado) – La Fondazione
“Conoscendo la Nostra Casa” (FCNF) è
una ONG diretta da un exallievo salesiano,
Marcos Oliva Day, e da sua moglie, che da
30 anni persegue l’educazione informale dei
giovani. I coniugi Oliva Day hanno elabo-
rato vari programmi sociali, educativo-am-
bientali e sportivi per avvicinare i bambini
e i ragazzi al rispetto per la terra e per il
luogo in cui essi crescono.
In questo modo la Fondazione protegge il
patrimonio naturale e culturale del territorio
e ha sviluppato un programma riconosciuto
e adottato nel mondo.
12 000 i bambini formati in 30 anni, molti
dei quali oggi sono istruttori. Tra i pro-
grammi offerti si segnalano i corsi di canoa
per famiglie, i corsi da esploratori e moni-
tori della natura, i laboratori per la colti-
vazione organica e gli stage per studenti
esteri.
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19

2.10 Page 20

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ARTE SALESIANA
NATALE MAFFIOLI
La consegna delle
chiavi a san Pietro
di Filippo Carcano
Il dipinto con la Consegna delle chiavi a San Pietro
realizzato da Filippo Carcano è il meglio documentato
dei tanti quadri che furono esposti sugli altari
della Basilica torinese di Maria Ausiliatrice.
L a tela, prima delle trasforma-
zioni del 1935-45, si trovava
sull’altare dedicato a san Pietro,
nel transetto destro della chiesa.
L’altare fu demolito e sostitui-
to da quello monumentale di-
segnato da Mario Ceradini e dedica-
to a don Bosco; i resti del precedente
(mensa marmorea e pala) furono posti
nella cripta sotto la sacrestia della basi-
lica, ugualmente dedicata a san Pietro.
papa, successore di san Pietro, con la
costruzione di un altare espressamen-
te dedicato al ‘principe degli aposto-
li’. Desiderando una pala importante
che fosse in grado di esprimere i suoi
sentimenti, si rivolse al duca milanese
Tommaso Gallarati Scotti perché gli
suggerisse un pittore, in ambito mila-
nese, all’altezza dell’opera che voleva
per la sua chiesa. Il duca gli presentò
Filippo Carcano come il più capace
interprete delle sue idee. Il pittore
propose “Un dipinto solo per S. Pietro
che riceve le chiavi del Salvatore”.
Il quadro era già pronto il 21 aprile
1869; in quella occasione don Bosco
scrisse da Mornese a don Michele
Rua perché sollecitasse “la cornice del
quadro di S. Pietro” (Epistolario di
don Bosco, a cura di F. Motto, let-
tera 1302). Il 27 giugno successivo
informava il duca Gallarati Scotti
che “Il quadro di S. Pietro è a suo posto,
la cornice lo aggiustò benissimo”. Visti
la confidenza che si era stabilita tra
il nostro e il Gallarati Scotti e il suo
Per amore del Papa
Don Bosco, visto l’anticlericalismo
dilagante e le contestazioni alla poli-
tica di Pio IX, volle confermare nel-
la nuova basilica la sua devozione al
La mensa marmorea nella Cappella San Pietro.
Era stata collocata da don Bosco nella Basilica di
Maria Ausiliatrice.
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Febbraio 2013

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Questo quadro è l’unico a soggetto sacro
del celebre pittore.
coinvolgimento nella scelta del sog-
getto del dipinto, non è da eludere che
il quadro sia stato offerto proprio da
quest’ultimo.
Tre biglietti della lotteria
Il pittore Filippo Carcano era nato a
Milano il 25 settembre 1840; entra-
to all’Accademia di Brera, ebbe come
maestri Francesco Hayez e Giusep-
pe Bertini; fu a Parigi e Londra nel
1860. Ritornato in patria si distaccò
progressivamente dal mondo accade-
mico, al punto che i suoi dipinti ebbe-
ro quasi unicamente acquirenti inglesi
ed americani. Fin verso il 1880 il pit-
tore si dedicò quasi prevalentemente
alla composizione di scene di genere:
esemplari sono Una partita a bigliardo
e Scuola di ballo; dopo quella data le
sue ricerche si concentrarono con suc-
cesso sulla pittura di paesaggio. Par-
tecipò a numerose esposizioni nazio-
nali ed internazionali. Morì a Milano
il 19 gennaio 1914.
Il quadro torinese è dunque l’unica
opera a carattere sacro del pittore, è
impostata in conformità ai più rigidi
canoni dell’iconografia cristiana ed
è una lettura spirituale del brano del
vangelo di Matteo (16, 17-19) meglio
conosciuto come la confessione petrina
di Cesarea di Filippo: Gesù, avvolto
da nuvole ultraterrene e il corpo cir-
condato da una luce divina, si presenta
a Pietro inginocchiato, quasi in una
visione, e gli offre le ideali chiavi del
Regno dei Cieli. Un po’ discosti dalla
scena principale, un gruppetto di apo-
stoli (uno dei quali è certamente Gio-
vanni) guarda attonito la scena, facen-
do movenze a commento di quanto sta
accadendo. La composizione è lumi-
nosa; non solo i banchi di nubi, ma le
stesse vesti del Maestro emanano luce
riflettendo quella che proviene dietro
le spalle di Pietro e che coinvolge an-
che gli apostoli di contorno.
Eseguita nel 1869 la Consegna delle
chiavi è dunque un’opera giovanile;
il Carcano è ancora alla ricerca di un
suo personale linguaggio, ma si rivela
già orientato verso quello che si può
definire un protodivisionismo, anche
se è molto attento ai dati del reale. Il
dipinto è siglato.
Una curiosa notizia la apprendiamo
da una lettera del Carcano a don Bo-
sco del 20 aprile 1873: il nostro santo
aveva inviato al pittore tre biglietti di
una lotteria, quest’ultimo ne tratten-
ne uno rimandando gli altri due con
l’importo di Lire 10.
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3.2 Page 22

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A TU PER TU
O. PORI MECOI
Grazie a un tremendo
pugno nello stomaco
Nato a Berlingo, vicino Bre-
scia, nel 1939 e salesiano
dal 1956, ha dedicato la sua
vita all’educazione e alla so-
lidarietà verso gli ultimi, co-
struendo un ponte tra Mila-
no e il mondo.
Quando e come le è venuta
questa idea delle adozioni?
Tutto è partito da un pugno tremen-
do nello stomaco che ho ricevuto nel
1989 quando per la prima volta mi
sono recato in Etiopia e ho visto la
Don Arturo Lorini (terzo da sinistra) con don
Piergiorgio Placci, vicario ispettoriale, il sindaco
di Milano Pisapia e il Presidente del Consiglio
Comunale.
povertà riflessa sul volto scheletrito di
quei bambini. Natale 1989: mi fanno
distribuire il pranzo di Natale a 900
bambini, alcuni dei quali avevano fat-
to fino a 7/8 km a piedi per venire a
prendere la cosiddetta Ciotola della
sopravvivenza. Il loro pranzo di Na-
tale: prima portata, una patata. Se-
conda portata, un’altra patata. E non
sono bastate neanche per tutti. Così
Don Arturo Lorini ha
ricevuto, il 7 dicembre
scorso, la Medaglia d’Oro
di civica benemerenza
– popolarmente detta
“Ambrogino d’Oro” – da
parte del Comune
di Milano. L’onorificenza
è un riconoscimento al
grande lavoro compiuto
dal salesiano nell’ambito
del “Progetto Adozioni
a Distanza”.
alcuni hanno dovuto rifare a piedi e
a stomaco vuoto la via del ritorno. Mi
sono detto: “Come uomo, come prete
non posso far finta di non avere vi-
sto”. Amareggiato mi sono rivolto al
Signore e Gli ho detto: “Fai qualcosa
per questi bambini!”. Lui mi ha chiu-
so la bocca: “Ho già fatto qualcosa per
loro. Ho creato te!” E così mi ha rega-
lato l’ispirazione delle adozioni.
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Febbraio 2013

3.3 Page 23

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Come ha fatto per avviare
questo progetto?
Appena tornato in Italia mi sono rim-
boccato le maniche e mi sono messo
subito al lavoro, perché sono convin-
to che è meglio accendere la luce che
maledire le tenebre. È bastato lancia-
re questa nuova iniziativa, perché a
quei tempi nessuno parlava di adozio-
ni, per avere una risposta travolgente.
Ho utilizzato gli indirizzi dei 25 000
ragazzi che avevo accompagnato in
Inghilterra e in America per frequen-
tare i corsi di inglese per avere una
risposta travolgente.
Quante sono, oggi,
queste famiglie?
Sono quasi 15 000 che sono andate au-
mentando in questi 23 anni, un vero
esercito della salvezza che si allerta di
fronte alle varie emergenze del mondo.
Qual è la “geografia del
cuore”, cioè dei paesi
sottosviluppati che lei aiuta
con il suo progetto?
Abbiamo cominciato con l’Etiopia.
Infatti il mio progetto inizialmente si
chiamava Progetto Etiopia. Poi si è al-
largato fino ai bambini Indios dell’E-
cuador, ai ragazzi di strada del Brasile,
alla povertà estrema del Sudan-Darfur,
alle scuole del Congo, alla ricostruzio-
ne delle case di Haiti abbattute dal ter-
remoto, alla costruzione di tre orfano-
trofi dopo lo Tsunami dello Sri Lanka,
ai poveri del Perù, dell’India ecc.
In questo momento
qual è il progetto
che le sta più a cuore?
È la costruzione di un piccolo ospeda-
le nel nuovo stato di SUD-SUDAN,
a Juba che ne è la capitale. Siamo già
a metà costruzione con l’ospedale. Ci
sono stato personalmente e sono ri-
masto colpito dallo spettacolo scon-
volgente di 136 bambini costretti sulle
carrozzelle perché saltati sulle mine. Il
mio intento è di finire questo ospeda-
le che stiamo costruendo proprio per
questi bambini che hanno perso brac-
cia e gambe. Ho lanciato un’iniziativa
per comperare 136 protesi e applicarle
alle gambe mancanti in modo da per-
mettere loro di camminare come tutti
gli altri bambini del mondo.
«I primi beneficiari della solidarietà sono i
benefattori, perché sentono spuntare nel loro
cuore la stessa gioia che regalano agli altri».
Vi dedicate anche ad altre
opere di carattere sociale?
Sì. Oltre a mantenere 15 000 bambini
in questi paesi sottosviluppati abbia-
mo costruito già 22 pozzi d’acqua,
soprattutto nei villaggi principali
dell’Etiopia, nella zona di Gambel-
la, dove è vescovo monsignor Ange-
lo Moreschi, mio amico salesiano.
Gambella si trova nella parte sud
ovest dell’Etiopia, ai confini con il
Sudan. Questo evita che le donne fac-
ciano km e km per andare a prendere
l’acqua potabile che a volte dista 8/10
km e di portarla sulla testa dove met-
tono le grandi anfore per trasportarla.
I suoi benefattori
sono entusiasti
di questa iniziativa?
Lo sono veramente. Io ripeto sempre
loro: i bambini mangiano il vostro
pane, ma vi riempiono il cuore di gio-
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3.4 Page 24

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A TU PER TU
ia. I primi beneficiari di questo ge-
sto di solidarietà sono proprio i miei
benefattori, perché sentono spuntare
nel loro cuore la stessa gioia che loro
sanno regalare agli altri.
Lei ha conosciuto
tutti questi paesi dove
manda le sue donazioni?
Ho viaggiato in mezzo mondo per
visitare i 15 Paesi a cui mandiamo
le nostre offerte. Alcuni li ho visitati
più volte. Più di 10 volte sono stato in
Etiopia. Nei miei contatti con i mis-
sionari, molti dei quali li conosco per-
sonalmente, mi sono visto presentare
5/6 progetti diversi. Naturalmente li
ho studiati bene, li ho vagliati dando
la precedenza a quelli più urgenti e ne-
cessari. Poi ho steso una specie di con-
tratto con i vari Ispettori e relativi Eco-
nomi mentre io firmavo ufficialmente
a nome della mia Ispettoria Lombardo
Emiliana di Milano. Quindi i soldi li
mando direttamente ai missionari che
sono ancora le mani più affidabili.
Come vengono utilizzate
le sue offerte?
Anzitutto vengono gestite “in toto”
cioè i soldi non vengono dati ai sin-
goli bambini ma vengono consegnati
nelle mani dei missionari che li usa-
no anzitutto a favore dei ragazzi nel-
le forme più svariate: costruzione di
scuole, pagamento degli insegnanti,
refezione scolastica, divisa scolastica e
assistenza medica.
Adesso vedo che intitolate
la vostra rivista
Vis Lombardia-adozioni
salesiane.
È vero, da qualche anno ci siamo co-
stituiti onlus e l’Ispettoria ha fatto
una convenzione con il VIS Volonta-
riato Internazionale per lo Sviluppo,
che ha la sua sede centrale in Roma,
Via Appia Antica 126 e la sua sede
regionale della Lombardia in Via To-
nale 19 a Milano. Io ne sono il di-
rettore esecutivo, ma siamo stretta-
mente collegati con la sede centrale
di Roma. Questo permette ai be-
Per informazioni: Don Arturo Lorini -
Via Tonale 19, 20125 MI
tel. 02-67627288 - fax 02-67627219
e mail: alorini@salesiani.it
www.vislombardia-adozionisalesiani.it.
nefattori di godere degli sgravi fiscali
di quanto offrono.
Quali sono le motivazioni
dell’Ambrogino d’Oro?
Il Sindaco di Milano Pisapia, con il
suo Consiglio, me l’ha assegnato per
due motivi: anzitutto per le adozioni
a distanza di 15 000 bambini portata
avanti per 23 anni. In secondo luogo
me l’hanno assegnata come fondato-
re del TGS della nostra Ispettoria di
Milano, cioè del Turismo Giovanile
Salesiano. Questo progetto turistico
compie quest’anno i 40 anni di età, e
in 40 anni ho accompagnato all’estero
quasi 30 mila ragazzi in Inghilterra
e in America per frequentare i corsi
estivi. Li ho sempre accompagnati
senza mai mancare neppure una vol-
ta. È un’esperienza culturale ed edu-
cativa di cui le famiglie sono conten-
te perché permette ai loro ragazzi di
compiere questa esperienza di avan-
guardia all’estero con l’assistenza sti-
le salesiano del sottoscritto e di tanti
professori che mi aiutano come colla-
boratori e come assistenti.
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Febbraio 2013

3.5 Page 25

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RISPOSTA, NON PROBLEMA
LUCA & SILVIO
Una goccia di buona volontà e di
coraggio può far nascere un fiume
Alessandra aveva solo
la volontà di provare
a far qualcosa eppure…
L a risposta a un problema serio
come quello dell’acqua pota-
bile in villaggi rurali africani,
è tanto più preziosa quando
sgorga dalla semplicità di una
ragazza, Alessandra, che ha a
disposizione all’inizio solo la volontà
di provare a fare qualcosa. I pozzi in
Brong Ahafo (la regione del Ghana al
centro ovest del paese) sono costruiti
seguendo una tecnologia importata
dall’India, con cui la pompa a mano
può raggiungere fino a 30 metri di
profondità. Il costo di un pozzo varia
dai 4000 ai 6000 euro a seconda della
locazione e della configurazione geo-
logica del terreno.
«Ho impresso nella memoria il giorno
in cui ACQUA-BA è nato, anche se
non aveva ancora un nome: era uno de-
gli ultimi giorni della nostra esperien-
za estiva a Sunyani nell’agosto 2010.
Eravamo nell’ufficio di Brother Paolo
Vaschetto, economo della Casa. Parla-
vamo con lui di un grande problema
che accomuna tanti villaggi dell’Afri-
ca: l’acqua. Paolo ci raccontava del loro
impegno nel cercare di costruire pozzi,
invitandoci ad unirci alla cordata con
nuove idee per coinvolgere altri amici e
portare l’acqua ad altri villaggi ancora
sprovvisti. Con un po’ di incoscienza
gli abbiamo subito risposto di sì.
Realizzare un sogno
Quando siamo tornati a Torino ab-
biamo iniziato a pensare a come po-
tevamo fare diventare realtà questo
sogno. A dire il vero forse non siamo
mai completamente tornati, perché un
pezzo di cuore è rimasto in Ghana con
il sorriso di quei bambini, la semplicità
della gente, l’amicizia dei salesiani.
Il nome del progetto ci è venuto in
mente in modo molto spontaneo, fa-
cendo un mix tra le parole AKWAA-
BA e ACQUA, l’obiettivo da rag-
giungere. AKWAABA – si pronuncia
aquaba – è la prima parola che abbia-
mo imparato in Twi, la lingua locale.
Significa welcome/benvenuto: non
dimenticheremo mai l’accoglienza del
Ghana, ovunque e da parte di tutti.
Sono passati 2 anni da quel giorno e,
grazie all’aiuto di tante persone, ab-
biamo costruito 4 pozzi. Quando ci
ringraziano per il nostro impegno mi
stupisco: quello che facciamo mi sem-
bra una cosa naturale, normale. Sia-
mo stati fortunati perché abbiamo ri-
cevuto un grande dono: passare quasi
un mese in terra d’Africa, sentendo
il calore sincero e genuino di quelle
persone e avendo la possibilità di stare
con i nostri missionari nella loro quo-
tidianità».
Se vuoi unire la tua goccia
ad ACQUA-BA:
ale.guerrisi@tiscali.it
Se hai una “risposta,
non problema” da raccontare:
rispostanonproblema@gmail.com
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3.6 Page 26

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FMA
MARIA ANTONIA CHINELLO
Quasi una scommessa
Vent’anni di presenza
delle salesiane nel Campo
Nomadi di Villapizzone
L e prime a varcare l’ingresso,
cariche di entusiasmo e ge-
nerosità, sono state suor Ma-
risa Canobbio e suor Cristina
Merli. Erano gli inizi degli
anni Novanta e il Campo No-
madi di Villapizzone, parrocchia di
San Martino, alla periferia nord di
Milano, è un appezzamento di terra
fissato dal Comune e posto a ridos-
so della ferrovia in direzione Torino,
Varese e Novara, staccato dal centro
urbano dove per arrivarci c’è (ancora
oggi) una strada non asfaltata.
L’idea è di occuparsi dei bambini, av-
vicinarli, conoscerli, farli giocare. Al
Campo vivono circa 30 nuclei fami-
liari di Rom Harvati e Rom Kalde-
rasa. Il primo a preoccuparsi per loro
era stato Paolo VI, quando, arcive-
scovo di Milano, li “affidava” a don
Mario Riboldi, sacerdote diocesano,
e a padre Luigi Peraboni, Barnabita.
La realtà con cui si incontrano le due
giovani Figlie di Maria Ausiliatri-
ce è semplice e complessa allo stesso
tempo: pochissimi anziani, non molti
i giovani, ma tanti i preadolescenti e
i bambini. I capifamiglia hanno un
lavoro (sono arrotini, doratori, ramai,
ferramenta), ma con il passare degli
anni, segnati come “zingari”, vengono
sempre più messi ai margini, lasciati
soli, trascurati, dimenticati.
Suor Marisa e suor Cristina, affian-
cate da suor Angela Anzani, la dome-
nica pomeriggio partono con lo zai-
no pieno di giochi e con la chitarra.
I bimbi sbucavano felici da tutte le
parti. Il programma era preparato sia
per le domeniche “normali”, sia per le
grandi feste. Poi, arrivano suor Tere-
Suor Teresina Pesenti nel campo nomadi, dove ha
incominciato un laboratorio-scuola.
sina Pesenti e Paola Calò, una giova-
ne laureata abitante nella zona che,
quasi per caso, approda al Campo.
La sua presenza è determinante per-
ché è con lei che si ritessono i rapporti
con la Parrocchia. E il cammino dal
sapore di passione salesiana, coraggio
e tenerezza materne continua.
Uncinetto e firme
«Dando uno sguardo a come vivevano
le persone nel Campo – ricorda suor
Teresina – soprattutto le mamme, si è
pensato di dare un motivo serio al no-
stro lavoro: “Promozione della donna”».
Con l’aiuto di benefattrici suor Teresina
procura macchine da cucire, scampoli,
stoffa, lana, ferri, uncinetti e si mette
a insegnare come confezionare indu-
menti che potessero servire soprattutto
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Febbraio 2013

3.7 Page 27

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ai bimbi. Un piccolo laboratorio.
Suor Angela, intanto, inizia a inse-
gnare a leggere e a scrivere ad adul-
ti e ragazzi, a far copiare firme su
firme in corsivo. Si trattava di dare
l’opportunità di firmare e richiedere
documenti in modo consapevole. Una
scuola all’aperto.
A volte, al Campo arrivava anche
suor Mariapaola Siano, una giovane
infermiera, che aiutava e indirizzava
le famiglie a livello sociale ed assi-
stenziale. È lei che con Paola addobba
una roulotte libera e la fanno diventa-
re luogo di preghiera per i bambini e
gli adulti. Al Campo ora c’era la pre-
senza di Maria.
Don Mario Riboldi ogni tanto veni-
va per salutare adulti e bambini da lui
ben conosciuti e per mettere nel loro
cuore il desiderio dei sacramenti. Così
si è iniziata la catechesi individua-
le per la preparazione al Battesimo,
alla Cresima e all’Eucaristia. Alcune
bimbe, dopo averci pensato, scelgono
di avvicinarsi alla parrocchia e parte-
cipare alla catechesi parrocchiale con
le loro compagne di classe. Aiutate
dalle Assistenti Sociali e dalle Dire-
zioni Scolastiche, le suore riescono a
iscrivere tutti i bimbi alla scuola par-
tendo dalla Scuola per l’infanzia, alle
Elementari, alle Medie.
Giorno dopo giorno, anno dopo anno.
Gioie, dolori, realizzazioni, soddisfa-
zioni, delusioni, fatiche, freddo, caldo,
neve, pioggia.
Fino all’ultimo respiro
Suor Angela, suor Teresina e Paola
raccontano con commozione quan-
do, superato l’esame di licenza media,
due ragazzi si iscrivono alla Scuola
professionale, oppure di Barbara, 14
anni, che in poco tempo impara a leg-
gere e a scrivere con tanta gioia dei
suoi genitori; di cinque adulti che,
passata di molto l’età scolare, riescono
ad ottenere la Licenza Media: «Sono
momenti di grande consolazione e di
gioia. Siamo parte della vita di que-
ste famiglie: la nostra è vicinanza nel
dolore, nella difficoltà, nella morte.
Ci sentono di casa, ci ringraziano e ci
raccomandano di non abbandonarle,
di non lasciarle sole. La gioia del no-
stro dono al Signore per queste crea-
ture ha superato tutto e ciò vale per
don Lorenzo e don Erminio, i parroci
che ci hanno accompagnate e soste-
nute in questi anni».
Oggi, dopo vent’anni molte cose sono
cambiate: casette di legno hanno so-
stituito quasi del tutto le roulotte.
Oggi non esiste quasi più il “nomade”
che si sposta da una parte all’altra. La
condizione è divenuta “stanziale” con
i pregi di una vita meno vagabonda,
ma con alcuni aspetti da tutelare e
Suor Mariapaola Siano nell’oratorio del Campo.
denunciare, come l’esclusione sociale,
la microcriminalità e i contatti con la
malavita, e diritti da affermare come
l’occupazione: molte delle attività dei
nomadi oggi non vengono più valo-
rizzate, ma chi prenderebbe a lavorare
un nomade?
«Per questo puntiamo molto sui gio-
vani, sul far apprezzare loro l’oppor-
tunità che dà la scuola, che assicura
l’educazione come via d’uscita da un
mondo che li vuole perennemente se-
gnati con connotazioni negative».
«Fin quando il Signore ci darà vita
continueremo a fare tutto ciò che le
nostre forze ci permetteranno, fino
all’ultimo respiro, come voleva don
Bosco – concludono sorridendo suor
Angela e suor Teresina –. Insieme, sa-
cerdoti, religiosi e laici, collaboratori
della gioia e della speranza per questi
fratelli e sorelle Sinti e Rom, perché
il Campo divenga sempre più casa e
spazio di vita nuova. Superandone i
confini, per tutti».
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3.8 Page 28

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LE CASE DI DON BOSCO
GIOVANNA BOVINO
Don Bosco
e Vallecrosia Unamorechedurada136anni
Una foto storica
del glorioso
Istituto Magistrale
che ha formato
generazioni di
“maestre”.
Narra un’antica memoria che quando
papa Pio VII tornò dalla prigionia in
Francia, diretto a Savona, passò nella
zona del Torrione. Da Vallecrosia alta,
scese numerosa la popolazione ad acco-
glierlo. Stupito il Papa chiese da dove
venisse tanta gente, gli risposero da Vallecrosia,
una cittadina nell’interno della vallata. Allora il
Papa si volse verso quella direzione benedicendo.
I vecchi dicono che proprio nel luogo benedetto
dal Santo Padre, 60 anni dopo, don Bosco fece
erigere la sua chiesa di Maria Ausiliatrice.
La cittadina che conosciamo ora, affacciata sul
mare, proprio non c’era. Era poco più di una stra-
da che collegava le più famose Bordighera e Ven-
timiglia.
Sul finire dell’Ottocento la costruzione della fer-
rovia e l’introduzione della coltivazione dei fiori
importata dal botanico tedesco Lodovico Winter,
cominciarono a popolare la costa. E qui arriva-
rono i Valdesi a istituire una scuola elementare
gratuita che attirava fanciulli e famiglie.
“Ho bisogno che don Bosco
venga in mio aiuto”
Con queste parole, il vescovo monsignor Lorenzo
Biale si rivolse, piangendo, a don Cerruti, Diret-
tore di Alassio, dopo averlo invitato a Ventimiglia
– don Bosco era già noto in tutta Italia per la sua
opera educativa – e gli dipinse a tinte fosche la si-
tuazione della Diocesi per la scarsità del clero, del-
le vocazioni e per quest’ultimo grave pericolo per
i giovani. Don Cerruti ne fu impressionato, im-
mediatamente raggiunse don Bosco che si trovava
a Cuneo, lo trovò che stava pregando il Rosario
in località Beinette, lo fece chiamare e gli riferì a
calde parole l’ansia di quel pastore. Don Bosco ri-
fletté, concentrato nel pensiero della Madonna che
stava pregando, e rispose: «Ritorna a Ventimiglia e
dì al Vescovo che da questo momento siamo a sua
disposizione». Era il 1874.
Tavoli traballanti e sedili incerti
Di ritorno da Nizza Mare, don Bosco giunse nel
1875 a Vallecrosia e… fu amore a prima vista.
Visitò la Casa Lavagnino e il terreno acquistato
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3.9 Page 29

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e subito si delinearono i programmi. I salesiani
avrebbero tenuto le scuole maschili, le Figlie di
Maria Ausiliatrice le scuole femminili. Alle pri-
me spese avrebbe provveduto il Vescovo.
Nel corso del colloquio don Bosco vide il Vescovo
un po’ preoccupato.
«Eccellenza, avete qualche dubbio?»
«Nulla, nulla! Solo pensavo se volete la mobilia
tutta nuova, sarà una grave spesa».
Al che don Bosco rispose: «Purché i tavoli non
ballino la monferrina, le sedie tengano su quelli
seduti e sui banchi si possa scrivere, mi accon-
tento».
Arrivarono, il 9 febbraio del 1876, tre suore e tre
salesiani ad alloggiare in quella misera casetta.
Il 14 febbraio iniziarono scuole e l’oratorio. Il
successo superò ogni attesa, i locali si rivelarono
subito insufficienti.
L’oratorio si faceva all’aperto, itinerante tra la
spiaggia e le colline, per la scuola si adattarono la
sacrestia, il ballatoio, perfino un corridoio lungo
e stretto. Don Bosco, che seguì da vicino lo svi-
luppo dell’opera e il Progetto della Chiesa, tornò
a Vallecrosia ben 12 volte.
Si raccontano in merito epi-
sodi gustosi e fatti prodigiosi.
Una volta don Bosco veniva
in carrozza da Ventimiglia
a Vallecrosia, si voltò e vide
una folla ansimante che cor-
reva a piedi, dietro la carroz-
za per vederlo, allora
pregò il cocchiere
di procedere a passo
d’uomo perché non
si affaticassero trop-
po. Diversi miracoli
operati in questa zona sono raccolti nella Guida
turistica della città di Vallecrosia e testimoniati
da una lapide del Seminario vescovile Pio XI, già
Villa Moreno.
L’entusiasmo di don Bosco per Vallecrosia appare
in una lettera a don Cagliero in cui dice: «La casa
di Bordighera è avviata eccellentemente. Si sono già
sottratti ai protestanti un centinaio di giovani…».
Cittadella salesiana
Vallecrosia è cittadella salesiana. Ancora oggi tra
le “vecchie” famiglie non ce n’è una che non van-
ti (anche millantando un po’) qualche antenato
che ha servito messa a don Bosco o l’ha servi-
to a tavola o gli ha portato il caffè. Lo stuolo di
exallieve ed exallievi è davvero imponente. Se ne
trovano in tutte le funzioni
pubbliche, a tutti i livelli.
Scava scava, siamo un po’
tutti salesiani.
Il possente abbraccio dell’i-
stituto Don Bosco e dell’i-
stituto Maria Ausiliatrice
alla Chiesa, caratteriz-
za il paesaggio urbano
di Vallecrosia e ne te-
stimonia, in parte, la
storia.
Le Figlie di Maria
Ausiliatrice vi hanno dato vita ad uno storico
istituto Magistrale che ha formato generazioni
di “maestre”. “Va a scuola al Torrione”, si diceva
delle giovani di belle speranze, per indicare un
privilegio e una qualità distintiva.
Oggi, gli allievi
del CNOS dei
salesiani.
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3.10 Page 30

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LE CASE DI DON BOSCO
L’Istituto Maria
Ausiliatrice, come
il ‘gemello’ Istituto
don Bosco, si
sta rapidamente
ristrutturando.
Vallecrosia
è cittadella
salesiana.
La scuola ricevette riconoscimenti pubblici tra cui
la medaglia d’oro del Presidente della Repubblica
per meriti educativi e didattici. Si distinguevano
le “alunne delle suore”
per la solidità delle co-
noscenze, per l’educa-
zione, per il tratto gen-
tile e per la creatività
che ne facevano mae-
stre ricercate e stimate.
Lo stesso dicasi degli
alunni del “Don Bo-
sco”, noti per la disciplina, la tenacia nel lavoro,
l’amore allo sport e alla musica.
“Dire e fare” don Bosco
oggi a Vallecrosia
Entrambi gli Istituti, la presenza salesiana nel suo
complesso, cercano oggi con pazienza e audacia
una risignificazione, attenta a tenere vivo il cari-
sma, più che a conservare le, sia pure belle, strut-
ture gigantesche.
Ci si orienta verso strutture più agili e verso forme
di presente più rispondenti alle esigenze di oggi.
Il Progetto di ristrutturazione è in corso già da
anni ed è in continua revisione.
Un recital sulla vita di Madre Mazzarello.
L’Istituto Don Bosco ospita oggi corsi CNOS-
FAP, molto apprezzati e ricercati sul territorio.
Iniziato nel 2002, in questi ultimi anni la sede
di Vallecrosia ha erogato servizi di formazione
professionale nei seguenti ambiti: attività rivolta
all’obbligo formativo (diritto-dovere alla forma-
zione e istruzione), svolgimento di corsi di prima
formazione nel settore amministrativo segreta-
riale; attività per disoccupati maggiorenni e di-
plomati; attività di aggiornamento in formazione
continua rivolta a soggetti lavoratori; attività di
orientamento e di prevenzione della dispersione
scolastica.
Analogo percorso sta seguendo l’istituto Maria
Ausiliatrice, chiuse le grandi scuole, si dedica ora
ai servizi alla prima infanzia e alle famiglie, ad
una rivisitazione dell’oratorio, interpretato come
centro diurno integrato dove si studia, si gioca,
si fa teatro, si canta, si apprende per la vita. Don
Bosco è qui, in questa umile e fiduciosa ricerca
di incarnare il carisma in questo tempo in questa
terra.
“Don Bosco ritorna”
Vallecrosia attende nel 2013 l’urna di don Bosco,
già la banda accorda gli strumenti e spolvera il re-
pertorio. Non possiamo immaginare quale onda
di commozione travolgerà gli abitanti di Valle-
crosia, che, a torto o a ragione, si ritengono pre-
diletti da don Bosco.
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4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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AQNUNESOTDAEÈLLA FVEITDAE GIOVANE
ANS
Storia di
Myung Hun
Gli amici cristiani di un giovane coreano gli hanno
annunciato Gesù, accompagnandolo ad ogni passo
nel suo cammino di fede, ma lasciando che fosse
lo Spirito ad agire nel suo cuore.
“Mi chiamo Myung
Hun.
Ero una persona
piuttosto negati-
va, senza grandi
sogni e con una
vita poco esemplare.
Una serie di eventi mostra la mano
di Dio nella mia vita: un mio amico
mi ha invitato molte volte a visita-
re la Chiesa cattolica, ma non ci ho
fatto caso. Un giorno nella caffette-
ria dell’università l’ho visto fare il
segno di croce prima di mangiare.
Sono rimasto molto impressionato da
quel gesto, tanto che dopo mi sentivo
come ‘attirato’ da qualcuno scono-
sciuto a visitare la Chiesa. Un giorno,
aspettando alla fermata del bus, ho
visto la pubblicità di un film che mi
ha raccomandato il mio amico ‘Don’t
cry for me Tonj’, su don John Lee, già
missionario in Sudan.
Dopo averlo visto ho sentito tante
cose nel mio cuore.
Mi chiedevo perché ha
dato tutta la vita e tutte
le energie per gli altri.
Mi ero reso anche conto
del fatto che al momento
della mia morte, nessuno
avrebbe pianto per me!
Allora ho deciso: “Voglio
ricevere il battesimo!”.
Così ho iniziato il cate-
cumenato nella Chiesa
vicina all’università, poi
sono entrato nel gruppo
che studia la Bibbia nel
campus. Tre giorni prima
della festa di don Bosco
Quadro dell’artista Michaela Kang
Hyunjoo che rappresenta don
John Lee.
ho ricevuto un invito a partecipare al
ritiro del Movimento Giovanile Sale-
siano. Ho accettato anche l’invito del
viceparroco a servire come aiutante
al catechismo dei bambini. Nell’uni-
versità ho accolto anche l’invito del
cappellano a fare da tutor ai giovani
migranti coreano-cinesi non accom-
pagnati. Ho fatto tutto questo per-
ché ho scoperto nel servizio agli altri
una gioia mai sentita prima. L’anno
scorso nel giorno di Pentecoste sono
stato battezzato. Ho scelto il nome
Giovanni Bosco. ‘Guardando il mio
cammino negli ultimi due anni vedo
come il buon Dio mi ha guidato alla
conoscenza di Gesù tramite gli amici
che mi hanno proclamato Gesù, con
rispetto e libertà, accompagnandomi
passo dopo passo. Grazie a loro la pic-
cola fiamma di fede è diventata una
grande luce. Ora voglio annunciare
Gesù agli altri giovani!’
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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Seminare Gibran (1883-1931): “La tempesta è
capace di disperdere i fiori, ma non è in
grado di sradicare i semi”.
Al poeta libanese fa eco il grande scrit-
tore russo Feodor Dostoevskij (1821-
81): “Occorre solo un piccolo seme, un mi-
nuscolo seme che gettiamo nell’animo di
un uomo semplice ed esso non morirà, ma
Seminare è la mossa-base dell’arte di educare vivrà nella sua anima per tutta la vita,
resterà nascosto in lui tra le tenebre, tra il
lezzo dei suoi peccati, come un punto lu-
minoso, come un sublime ammonimento”.
D’accordo al cento per cento!
Insomma il bravo genitore è un buon
seminatore! Seminare è il suo primo
dovere.
San Bonaventura (1217-1274) dice-
va: “Il merito non sta nel raccogliere mol-
to, ma nel seminare bene” (Grazie per
l’incoraggiamento!).
LA BOUTIQUE PEDAGOGICA
E ducare, infatti, è una lunga pa-
zienza: oggi si getta un seme…
domani si raccoglierà.
Hanno trovato in Egitto chic-
chi di grano risalenti ai tempi
dei faraoni; qualcuno li ha se-
minati: dopo pochi mesi ondeggiava-
no spighe ripiene di ottimo frumento!
Potenza del seme!
Per questo l’educatore crede nel seme.
Poco, tanto…, non importa: lui se-
mina.
Semina fin dai primi giorni della vita
del figlio.
Semina l’amore perché senza amore
non si vive.
Semina il coraggio perché la vita è
sempre in salita.
Semina la speranza perché la speran-
za è la spinta per continuare.
Semina l’ottimismo perché l’ottimismo
è il motorino d’avviamento di tutto.
Semina un buon ricordo perché un
buon ricordo può diventare la mani-
glia a cui aggrapparsi nei momenti di
sbandamento.
Semina Dio perché Dio è il basamen-
to di ogni cosa.
L’educatore semina!
Semina perché il seme è molto più
di una speranza: è una garanzia. Lo
diceva bene il poeta libanese Kahil
I bambini d’oggi sembra sappiano tante
cose, e le sanno, ma sotto il bambino tec-
nologico c’è quello eterno che non può vi-
vere senza l’affetto e l’amore di qualcuno
(Mario Lodi, maestro scrittore).
Il bambino non è un animaletto da ad-
domesticare. Insegnargli a fare riveren-
ze, smorfie, salutini, è ridicolo ed inutile.
Non manchiamogli di rispetto. Anche se
piccolissimo ha la sua dignità” (Mar-
cello Bernardi, pediatra).
Nei grandi allevamenti dell’Ovest ame-
ricano non è permesso, nelle fattorie,
adoperare nessuna espressione volgare.
Se una ‘pedagogia animale’ ha simili esi-
genze nelle regioni selvagge del Far West,
può la ‘pedagogia umana’ rimanere indie-
tro? ” (F.W. Foerster, pedagogista).
Alla larga dalla saggezza che non piange,
dalla filosofia che non ride, dalla grandez-
za che non si inchina davanti ai bambi-
ni! ” (Kahil Gibran, poeta libanese).
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LE 13 STRATEGIE PER ESSERE GENITORI QUASI PERFETTI PREZIOSA È LA SERA
Educare è arte da imparare. L’istinto non basta: è meglio documentarsi.
Ha ragione l’ideatore del ‘Telefono azzurroErnesto Caffo a sostenere che “un adulto non
diventa genitore automaticamente: è un processo mentale che richiede tempo”.
Sì, come non basta avere un piano per essere un buon pianista, così non basta aver figli per
essere buoni genitori.
Marcello Bernardi (1922-2001), il nostro più famoso pediatra del secolo scorso, ci man-
da a dire che “diventare genitori non è obbligatorio. Ma quando uno lo diventa deve darsi una
bella regolata e stare attento a quello che fa! ”.
Insomma, fare il genitore non è un lavoro per gente pigra!
L’educatore e attore statunitense Bill Cosby (1937) era convinto che “essere genitori è, a
volte, più stressante che essere presidente degli Stati Uniti”.
Senza arrivare a tanto, una cosa è certissima: il genitore patentato deve saper compiere alcune
mosse che sono come i plinti dell’educazione. Dunque, a partire da questo numero del nostro
bollettino presenteremo quelle che ci sembrano le più fondamentali strategie dell’arte di educare.
Perché il lettore non smarrisca il filo conduttore, ecco quello che sarà l’ordine di comparsa:
1: Seminare. 2: Tifare. 3: Aspettare. 4: Amare. 5: Parlare. 6: Risplendere. 7: Comandare.
8: Rallegrare. 9: Far faticare. 10: Sbagliare. 11: Pregare. 12: Tagliare il cordone ombelicale.
13: Lasciare un buon ricordo.
Seminare è la sua prima responsabilità.
Il proverbio recita: “Chi semina chio-
di, non vada in giro scalzo!”.
I cinesi hanno questa bella immagi-
ne: il bambino è come un foglio bian-
co, tutti quelli che gli passano vicino
gli lasciano un segno, gli gettano un
seme.
Dio voglia sempre un seme di grano
buono, mai di zizzania!
Il momento più propizio per seminare è la
sera!
Di sera è più facile avere pensieri miti,
pensieri di pace. La sera è benigna, è te-
nera, è discreta.
Per questo è l’occasione magica dell’in-
contro e dell’intimità.
Di sera sentono anche i sordi, perché di
sera si parla con il cuore.
Non sprechiamo la sera!
Don Bosco (1815-1888), che di educa-
zione si intendeva, ha capito che le ore
della sera sono importanti. Per questo ha
voluto la ‘Buona notte’: quel discorsetto
affettuoso che nelle case salesiane il diret-
tore rivolge alla sua ‘famiglia’ per chiudere
la giornata.
Non sprechiamo la sera!
Lo scrittore tedesco Johann P. Richter
(1763-1825) era convinto che “le parole
che un padre dice ai figli, di sera, nell’inti-
mità della casa, nessun estraneo le sente
al momento, ma alla fine la loro eco rag-
giungerà i posteri”.
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NOI & LORO
ALESSANDRA MASTRODONATO
LA FIGLIA
Custodire
la bellezza
Nella frenesia spasmodica
delle nostre giornate non troviamo
più il tempo di guardarci intorno e
di fermarci per un momento
a contemplare
Attesa, trepidazione, capacità di meravi-
gliarsi e di provare stupore anche per le
piccole cose: quale formula più semplice
per riconoscere la bellezza che ci circon-
da e imparare a goderne in maniera au-
tentica? Eppure sembra che, soprattutto
per i più giovani, sia tutt’altro che scontato.
Sarà che nella frenesia spasmodica delle nostre
giornate non troviamo più il tempo di guardarci
intorno e di fermarci per un momento a contem-
plare un nuovo fiore che sboccia, il cielo stellato,
il sorriso luminoso delle persone che ci sono ac-
canto. Sarà che siamo continuamente sottoposti
ad una sovra-esposizione di immagini e di rap-
presentazioni più o meno mirabolanti ed artifi-
ciali, che occupano interamente i nostri sensi e ci
privano della capacità di provare meraviglia per la
bellezza semplice ed austera del creato. Sarà che
le brutture del mondo spesso offuscano “il bel-
lo” che ci circonda, spingendoci ad andare avanti
per la nostra strada ad occhi bassi, per non per-
mettere a quelle immagini di morte e di sfacelo
di turbare i nostri sonni. Fatto sta che facciamo
sempre più fatica a riconoscere la bellezza intorno
a noi, l’intima armonia del creato, che è specchio
e riflesso della perfezione del Creatore e del suo
amore per noi.
Eppure i ragazzi non sono affatto insensibili a
tutto questo. Spesso, anzi, più degli adulti, con-
servano quella capacità di provare stupore e cu-
riosità per ciò che li circonda che è propria dei
bambini, allorché si avventurano per la prima
volta alla scoperta del mondo. Semplicemente
non sono preparati ad assecondare quel desi-
derio di contemplazione che si portano dentro,
ad esercitare uno sguardo profondo sulla realtà
circostante, a ricercare dietro ogni apparenza
effimera e passeggera quel senso nascosto che
sottrae ogni oggetto al rischio dell’anonimato,
all’usura del tempo, alla condanna dell’insigni-
ficanza.
Per questo hanno solo bisogno di qualcuno che
risvegli in loro la nostalgia del bello, che gli offra
un paio di lenti utili a riconoscere nel mondo
quella bellezza che spesso essi guardano in modo
superficiale e distratto, che ricordi loro quel che
il Piccolo Principe impara a sue spese: che la vera
bellezza richiede cura e attenzione e che tocca a
noi proteggerla e custodirla. Ma ancor più devono
essere guidati a scoprire la bellezza che è dentro
di loro, anche se appena abbozzata, perché solo
chi sa vedere la propria luce interiore è capace di
riconoscerne il riflesso nell’opacità della realtà
esterna.
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MARIANNA PACUCCI
Non si deve aspettare il momento in cui
i ragazzi arrivano all’età in cui pensano
di sé che sono brutti, sporchi e cattivi,
per proporre la bellezza come un valore
portante della vita e, soprattutto, come
un elemento propulsivo nella ricerca di
equilibrio e armonia che caratterizza il cammino
verso la maturità.
La bellezza è un valore da coltivare sempre, a cui
educarsi incessantemente. Occorre innanzitutto
imparare a camminare piano e guardare intorno a
sé ogni cosa con curiosità e stupore; ma serve ancor
più comprendere che il bello da solo non sarebbe
niente se non si avesse la capacità di risalire dal-
la sua manifestazione al suo artefice. Quando un
bambino esclama “che bello!”, sta invocando gli
adulti a spiegargli da dove nasce quel che sta ammi-
rando, perché la meraviglia verso ciò che è straordi-
nario possa trasformarsi in contemplazione, cioè in
un atteggiamento spirituale che sta a monte di ogni
possibile esperienza autenticamente umana.
Vi è poi, oggi, un’altra esigenza importante: che i
ragazzi possano uscire da un luogo comune tanto
diffuso quanto fuorviante che suona all’incirca
così: “non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò
che piace”. Questo è un momento storico terribi-
le, non soltanto perché la bellezza rischia di resta-
re sepolta sotto cumuli di immondizia sociale, ma
anche per la sua frammentazione nei mille rivoli
della soggettività e dell’individualismo.
I genitori hanno allora il dovere di continuare a
credere – in controtendenza rispetto alla cultu-
ra corrente ma anche nonostante il disincanto e
scetticismo dei loro stessi figli – che la bellezza è
un dono universale, che viene dall’alto e può esse-
re accolto da chiunque sia disponibile a costruire
la bellezza esteriore perché ha cura di quella inte-
riore: il bene e il bello sono di fatto inseparabili.
Le famiglie sono chiamate ad essere vigilanti e
profetiche: se davvero vogliono che la bellezza
possa contagiare i giovani e orientarli a metter-
si al servizio del bene, devono promuovere con
Educati
alla bellezza
La bellezza è un valore
da coltivare sempre,
a cui educarsi incessantemente
decisione l’amore per il bello e viverlo con un
senso autentico di solidarietà con il prossimo: pri-
vatizzare la bellezza è stato uno dei peccati più
gravi della contemporaneità, il modo più brutto
di infangarla. Devono anche dimostrare concre-
tamente la speranza che il brutto non sia eterno
quanto ciò che è bello.
I ragazzi non sono affatto insensibili a tutto que-
sto; ma hanno bisogno che qualcuno li ami tanto
da essere pronto anche ad aiutarli a riscoprire e
valorizzare la bellezza dovunque essa si esprime
(a partire da quel che è dentro di loro) e che abbia
la saggezza e la pazienza necessarie perché tutti
insieme si abbia la forza di transitare dalla sfigu-
razione alla trasfigurazione della realtà.
LA MADRE
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4.6 Page 36

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
FOTOGRAFIE DI GIOVANNI ULIANA
Don Bosco e quel genio
di Francesco
Faà di Bruno
Monsignor Gastaldi: un altro dissapore con un santo
La sincera amicizia e la reciproca
stima fra don Bosco e il nobile
cavaliere Francesco Faà di Bru-
no, figlio del marchese Ludo-
vico, sono note. Essi vivevano a
poca distanza fra loro, entrambi
avevano dato vita, negli stessi anni del-
la nascita del Regno d’Italia, ad opere
sociali di immediata rinomanza citta-
dina e regionale. Dopo aver lasciato la
carriera militare, il Faà si era dedicato
all’insegnamento universitario di ana-
lisi matematica e geometria superiore,
che lo rese celebre per scoperte e in-
venzioni scientifiche di grande valore.
Il suo nome in matematica è legato
soprattutto al trattato sulla teoria delle
forme binarie. Solo l’ostilità della mas-
soneria gli negò sempre la cattedra di
professore ordinario.
Compiuti i 50 anni, dietro suggeri-
mento anche dell’amico don Bosco,
chiese all’arcivescovo mons. Gastaldi
di entrare fra il clero, onde poter me-
glio seguire anche spiritualmente le
sue numerose opere socio-religiose,
soprattutto femminili. L’arcivescovo lo
concesse, gli chiese un anno di prepa-
razione e il 31 agosto 1876 il professore
ricevette la veste talare ed il permesso
di andare a Roma a ricevere gli ordini
minori e il suddiaconato. Auspicava
anche di ricevere nello stesso viaggio
il diaconato e il presbiterato, anche se
l’arcivescovo era contrario.
Non era facile ottenere queste ordi-
nazioni, per cui pensò bene di racco-
mandarsi a chi aveva delle conoscen-
ze in città, ossia a don Bosco. Poteva
questi negargli il suo appoggio, se solo
un mese prima, il 1° agosto 1876, gli
scriveva in confidenza di “mandargli
a casa promosso” lo studente salesiano
don Luigi Rocca?
La raccomandazione
di don Bosco
Don Bosco, appena saputo del proget-
tato viaggio a Roma del Faà, il 7 ago-
sto si rivolse al vicegerente di Roma,
mons. Giulio Lenti. Gli descrisse il
Chiesa e campanile di Santa Zita, opere del genio
architettonico e multiforme del Beato Francesco
Faà di Bruno.
Faà come “uno dei migliori cattolici
di questa nostra città”, dottore della
Sorbona in Francia, dottore in Lette-
re e Filosofia a Torino, Fondatore del
fiorente istituto di S. Zita, che vuole
dirigere “non solamente nelle parti
materiali, ma in modo diretto nella
parte materiale e religiosa”. Gli chiese
dunque di degnarsi “di coadiuvarlo ne’
suoi santi desideri, e tutto il bene che
farà a lui lo riputerò fatto a me stesso”.
Intanto il Faà, avuto l’invito per un’u-
dienza dal Papa il 23 agosto, doman-
dò a don Bosco una lettera di pre-
sentazione, ma la richiesta a Torino
arrivò solo la sera del 22. Don Bosco
però ne aveva già parlato precedente-
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mente e forse anche più volte perso-
nalmente al pontefice, il quale dun-
que gli concesse la richiesta dispensa
per gli ordini.
Qualche problema dovette incontrarlo
per l’ordinazione sacerdotale, se don
Bosco il 20 settembre gli comunicava
che non era facile ottenere quanto ri-
chiesto perché – scriveva – “tutti rifug-
gono di attaccar brighe con quel là...”,
vale a dire con mons. Gastaldi. La rac-
comandazione dovette avere effetto se
il 22 ottobre il Faà fu ordinato sacer-
dote dal card. Luigi Oreglia di Santo
Stefano. Il Papa gli fece anche dono di
un calice.
La legittima protesta
dell’arcivescovo
Avuta la notizia, lo stesso 22 ottobre
mons. Gastaldi in una lettera tuttora
inedita se ne lamentò formalmente
con il cardinale Patrizi, in quanto non
era stato avvertito in modo ufficiale
della promozione del suo diocesano
al presbiterato, non gli aveva dato le
dimissorie e neppure aveva mostrato il
suo assenso a tale ordinazione. Faceva
notare al vecchio ed ammalato porpo-
rato – sarebbe morto due mesi dopo
– che l’aver dato al Faà il sacerdozio
a meno di due mesi dalla vestizione
sacerdotale lo metteva in difficol-
tà, in quanto lui glielo aveva negato
nonostante la formale richiesta del
candidato, considerati due preceden-
ti: quello del cav. Buglione, ordinato
sacerdote ad un anno di distanza dalla
vestizione ecclesiastica e del prof. Mo-
sca che a 51 anni aveva solo la tonsu-
ra e frequentava i corsi di seminario.
“Evidentemente – aggiungeva mons.
Gastaldi – raccomandato da qualcu-
no, deve avere ottenuto dal Papa ciò
che l’arcivescovo gli aveva negato”.
Chi poteva essere “qualcuno”, se non
con ogni probabilità don Bosco?
Mons. Gastaldi aveva per altro anche
ulteriori ragioni per “diffidare” del Faà.
Scriveva ancora al card. Patrizi: “Esso
abbisogna di essere tenuto a freno nel-
le sue idee; altrimenti potrà venire del
male anche serio e gravissimo per la
religione. Tre anni fai io pubblicai una
nuova edizione del Catechismo, il qual
da oltre a cento anni prevale non solo
in questa Diocesi, ma in tutto il Pie-
monte, facendovi solo alcune aggiunte
sul Papa, sul Matrimonio ecc. Il cav.
Faà semplice secolare mi scrisse una
lunghissima lettera piena di appunti
contro quel Catechismo
da me pubblicato”. A
giudizio del Gastaldi,
dunque, andava deplo-
rato quel “filo di super-
bia sottile, il quale, ove
non represso” avrebbe
potuto “riuscire a qual-
che scoppio enorme e
altrettanto più dannoso
in quanto più coperto
dal manto del pietismo
e della religione”.
Comunque, l’arcivesco-
vo fu di parola e nella
festa di Ognissanti del
Un celebre dipinto del Crida
che rappresenta il Beato Faà
di Bruno in divisa da ufficiale
che serve la Messa a don
Bosco. Erano amici e
si aiutarono sempre.
1876 benedisse la nuova chiesa No-
stra Signora del Suffragio costruita dal
Faà, per la quale don Bosco, con altri,
aveva anche chiesto un sussidio allo
stesso Pio IX già nel 1873.
La storia continua
Il dado era tratto e il matematico, l’a-
stronomo, l’inventore, il musico, l’“ita-
liano serio” don Faà di Bruno per 12
anni avrebbe esercitato il suo ministero
sacerdotale a servizio della congrega-
zione femminile da lui fondata e di una
serie impressionante di opere in favore
del proletariato urbano, specialmente
femminile. Nel 1988, a 100 anni dalla
morte – avvenuta due mesi dopo quella
dell’amico don Bosco – sarebbe stato
proclamato “beato” da papa Giovanni
Paolo II.
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TESTIMONI DELLA FEDE
LUDOVICA MARIA ZANET
Attilio Giordani
credente ed educatore alla fede
In occasione del centenario della nascita del
Servo di Dio Attilio Giordani (1913-1972)
merita far memoria della sua testimonianza
di credente e di educatore alla fede come
marito, padre di famiglia, catechista e
animatore dell’oratorio.
Il cammino di fede di Attilio
da una vita cristiana ordina-
ria, ma impegnata, è andato
progressivamente miglioran-
do fino a raggiungere un pro-
fondo spirito di fede. Questa
maturazione cresce nelle diverse
fasi della sua vita: da adolescente,
da giovane militare, da soldato
sul fronte militare greco-albane-
se, come risulta dal suo “Diario
di guerra”: spiccato senso apostolico fra i commi-
litoni, atteggiamento di partecipazione al loro do-
lore quando ricevono notizie tristi dalla famiglia;
pietà per i caduti, bisogno del cappellano e del suo
ministero sacerdotale per la confessione e direzio-
ne spirituale. Anche la scelta della fidanzata Noe-
mi Davanzo è motivata da ragioni di fede come le
scrive in una lettera: “Il Signore, avvicinandomi a
voi, mi pose innanzi agli occhi il vostro amore e
spirito di dedizione verso i prediletti del Salvatore,
fu questa la molla superiore, che mi spinse a chie-
dervi per compagna”.
Educatore alla fede
Come Delegato Aspiranti di Azione Cattolica
si distingue a tal punto da ricevere nel 1963 il
premio “Carlo Matthey” come migliore Delega-
to Aspiranti d’Italia. L’essere tra i suoi ragazzi è
considerato un onore e un privilegio. Uno di quei
giovani testimonia: “Ci indicava, richiamandoceli
spesso, alcuni modelli: D. Bosco, Domenico Sa-
vio, Michele Magone, S. Tarcisio, S. Pancrazio,
Carlo Mattei, Aldo Marcozzi... Ci invitava ad
imitarli nell’amore a Cristo, alla Chiesa, nel co-
raggio apostolico, nelle virtù. Cercava di assegna-
re degli incarichi a tutti. Voleva tutti impegnati.
Faceva leva sulla fiducia ed era sempre ottimi-
sta. Ogni giorno dava appuntamento a qualcu-
no all’oratorio per quando, immancabilmente e
puntualmente vi arrivava al termine dell’orario
lavorativo, per riferire sull’impegno affidato o
condividere qualche problema.
Sa soprattutto interessare i ragazzi con le sue inizia-
tive di giochi, di concorsi a premi, di accademiole;
poi, con naturalezza, li conduce alla preghiera, al
catechismo e alla messa, sguinzaglia gli Aspiran-
ti Capi o i Vice Capi ad avvisare personalmente i
vari Aspiranti per certe cose che gli stanno a cuore.
Alla formazione umana e cristiana accompagna
un’educazione alla pratica concreta della carità.
Volendo che i ragazzi conoscessero e amassero i
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DECALOGO PER I CATECHISTI
più poveri e i bisognosi li porta a visitare gli anziani
e gli ammalati. Ai ricoverati vengono offerti dolci,
frutta e uno spettacolo teatrale, durante il quale,
ovviamente, Attilio è assai applaudito.
Catechista
Il ruolo di catechista si impone come ruolo di
primaria importanza nella multiforme attività
di Attilio Giordani. Infatti svolge la missione di
catechista dai sedici ai sessant’anni e la ritiene
fondamentale riguardo alla sua missione educa-
tiva. Attilio è anzitutto un catechista: è il suo ca-
risma. Non il teorico, ma il catechista completo
che presenta il modello Gesù Cristo e poi dice:
“Noi dobbiamo fare...”. I ragazzi sanno di essere
di fronte a uno che prima fa e poi dice: un vero
imitatore di Cristo!
Dalle sue parole trapelano il pieno convincimento
e la fede vissuta. Come è gioviale nelle ore libe-
re all’oratorio, così è seriamente convinto degli
argomenti che illustra a catechismo. I ragazzi
notano la serenità con cui distingue le lezioni di
catechismo da altre attività; le sue classi sono di
esempio anche alle altre e spiccano per ordine e
disciplina quasi.
Steso da Attilio Giordani già avanti negli anni come “succo delle sue convin-
zioni” e come “frutto delle sue esperienze” in risposta a quanti gli chiedevano
il segreto della sua riuscita come catechista:
1. Limitare la missione di catechista al solo insegnamento costruisce poco.
2. Il problema è formare i ragazzi e farli vivere cristianamente. Le attività di
classe e di gruppo devono tendere a questo.
3. È necessario vivere ciò che si vuol far vivere.
4. L’insegnare bene il catechismo, l’essere esperti in pedagogia sono ottime
qualità che vengono annullate se la presenza è rara e discontinua da parte
del catechista.
5. Per insegnare ai ragazzi la puntualità alla S. Messa festiva e al catechismo
è necessario che il catechista giunga prima del loro inizio.
6. La classe e il gruppo sono formati da singoli. Ogni ragazzo va conosciuto,
amato, seguito anche quando le cose non vanno bene.
7. Ci vuole costanza: raccoglieranno altri. Ragazzi che oggi promettono
poco, forse domani saranno apostoli. Cose del genere si ripetono.
8. Le realtà “classe” e “gruppo” non sono realtà isolate; pur avendo una di-
namica propria, vivono le attività comunitarie dell’oratorio e si aprono alla
parrocchia e al mondo.
9. Per stimolare la presenza dei ragazzi, ottima cosa è rendere la vita co-
munitaria di classe interessante. I concorsi, le gare possono servire allo
scopo. Fallimento di queste attività: fare ingiustizie, non esporre periodi-
camente le classifiche, non dare ai meritevoli il premio promesso.
10. Quando la classe è vitale, i ragazzi fanno da ponte tra oratorio e famiglia.
Attilio parte dai fatti, specialmente della Storia
Sacra o della vita di don Bosco, per passare alla
parte dottrinale e puntare poi alla vita dei ragaz-
zi. C’è qualcosa da memorizzare, sempre; ma so-
prattutto è richiamato il comportamento coerente.
Insiste molto sulla carità fraterna, la favorisce in
tutti i modi e vigila perché non sia infranta. La
carità deve farsi carico del bene spirituale dell’altro.
Organizza le “campagne” per la promozione della
fede, della carità, della purezza, lanciando alcuni
“motti” che spronano all’impegno: “pensar bene
di tutti, parlar bene di tutti, far del bene a tutti”;
“Servite Domino in laetitia”; “Frangar non flectar”.
In tale cammino coinvolge anche le famiglie dei
ragazzi convinto che solo attraverso una cateche-
si familiare sia possibile sperare, con l’aiuto dello
Spirito Santo, di veder germogliare quei semi che
a piene mani semina nel cuore dei ragazzi. Ripete
spesso in famiglia e fuori “che non c’è bisogno
di parole, ma la nostra vita deve essere la parola
più grossa che diciamo” e che “Il vangelo non lo
si recita, lo si vive; la vita non la si racconta, la si
dona”.
Febbraio 2013
39

4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A CURA DI PIERLUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Parto difficile e rischioso
Quando nel febbraio 2011 scoprii
di essere incinta feci subito richie-
sta dell’abitino di san Domenico
Savio, poiché desideravo anch’io,
come avevano fatto tante altre
mamme, sperimentare la prote-
zione di questo piccolo santo. I
problemi più seri sono iniziati alla
trentottesima settimana di gesta-
zione, quando la mia bambina,
dopo la rottura della membrana, è
entrata in uno stato di sofferenza
fetale acuta. L’improvviso ral-
lentamento dell’attività cardiaca,
rilevato dai medici, rese necessa-
rio l’intervento con taglio cesareo
d’urgenza, poiché la piccola, oltre
il rischio di morte, correva anche
quello di serie conseguenze a
livello cerebrale. Io in quei mo-
menti di profonda angoscia presi
in mano l’abitino di san Domenico
Savio e lo portai con me nella sala
operatoria: solo lui poteva salva-
re la mia bambina, come di fatto
avvenne. La piccola Sofia Rosaria
venne alla luce senza riportare
nessuna lesione e con tanta voglia
di vivere. Inoltre ringrazio il picco-
lo santo anche per avermi salvato
da una pericolosa complicanza
(eclampsia) sopraggiuntami 48
ore dopo il parto.
Catania Alessandra, Vibo Valentia
Convinta d’aver
perso il bambino
Sposata in età già avanzata, nu-
trivo il desiderio di maternità, ma
mio marito, data la precarietà del
suo lavoro e l’alloggio non idoneo
per un figlio, tendeva a rimandare
a tempi migliori la realizzazione
di questo mio desiderio. Anche
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
quando giunse il tempo in cui tutto
sembrava propizio per avere un fi-
glio, lui tentennava ancora. Ciò mi
rese assai depressa, finché un mio
collega devoto di san Domenico
Savio, intuendo il mio desiderio,
mi parlò dell’abitino, che subito
richiesi con tanta fiducia. Da al-
lora mio marito si dichiarò pronto
a diventare padre. Dopo qualche
tempo, mentre ero in stato di atte-
sa di un bimbo, ricevetti per posta
l’abitino: giungeva propizio, poi-
ché a motivo della mia gravidan-
za ero a riposo assoluto. Al terzo
mese ebbi una minaccia di aborto.
Mentre ero portata in ospedale
stringevo l’abitino e invocavo il
santo. Per le abbondanti perdite di
sangue ero convinta d’aver perso
il bambino; ciò nonostante il suo
cuoricino batteva ancora e non
risultava avere nessuna lesione.
La gravidanza ebbe il suo corso
fino alla nascita del bambino av-
venuta nel settembre 2011. Come
mamma ho avuto anche la grazia
di uscire da una forte depressio-
ne, di superare un profondo ma-
lessere psico-fisico e aver risolto
positivamente disturbi epatici. Per
questo ringrazio Dio di averci dato
in san Domenico Savio un segno
tangibile della sua Provvidenza.
S.T. Melissano (LE)
Gioia e riconoscenza
di due giovani sposi
Novembre 2007. Una giovane
coppia di sposi riceve la tanto
attesa notizia: finalmente diven-
teranno genitori. Nel corso delle
prime settimane si alternano in
loro speranze e qualche preoc-
cupazione, finché alla tredice-
sima apprendono la novità: il
bimbo non è solo, ma sono due
gemellini: essendo il secondo
concepito più piccino, si teme
una sofferenza fetale. La delicata
situazione obbliga a intensificare
controlli e visite e induce a prega-
re. Alla ventinovesima settimana,
quando dopo un ultimo controllo
sembra che i due gemelli siano
pronti per venire alla luce, ecco
un’improvvisa corsa all’ospedale
per una rottura involontaria. Se-
guono controlli. Dopo un paio di
giorni cambia di nuovo la situa-
zione. Ma proprio la mattina in
cui si decide di dimettere dall’o-
spedale la mamma, cominciano
per lei le doglie. Giunge di corsa
all’ospedale anche il padre. Tra-
scorse poche ore, nascono con
l’anticipo di due mesi, due ge-
mellini: Federico e Alessandro.
Sono subito portati nel reparto
dei neonati. Seguono per i due
genitori giornate di intenso e fa-
ticoso andirivieni dall’ospedale,
per accudire i due neonati. Dopo
oltre un mese, finalmente i due
gemelli, piccoli e delicati, sono
portati a casa. Ora hanno quasi
quattro anni, ridono, giocano
e colmano di gioia soprattutto
mamma e papà. Ma ecco il pun-
to più importante di questa sto-
ria. Quando i due giovani sposi
seppero che sarebbero diventati
genitori, sono andati a sentire
una parola di valido sostegno e
conforto dall’unica persona ami-
ca, che fin dalla loro infanzia li
ha personalmente conosciuti e
amorosamente formati alla vita:
suor Marcella. Colei che fu inse-
gnante d’asilo ai tempi dell’infan-
zia del papà e che aveva affidato
alla beata Laura Vicuña la salute
della mamma, colpita in quegli
anni da una grave malattia. Solo
lei poteva accompagnare ancora
questi aspiranti genitori, donan-
do loro l’abitino di san Domenico
Savio e soprattutto affiancandoli
con la preghiera. Così san Do-
menico Savio ha accompagnato
i due piccoli per tutta la gravi-
danza e anche nella loro infanzia,
proteggendoli, e confortando i
genitori nei momenti più difficili.
Suor Marcella ha pregato prima
per salvare la mamma del papà,
poi per la moglie che portava in
grembo due doni così preziosi.
Caleffi Mario e Guida Marcella,
Cinisello Balsamo - MI
Cronaca
della Postulazione
Chiusura Inchiesta
diocesana del Servo
di Dio Tito Zeman
Venerdì 7 dicembre 2012
presso il Seminario Arcivesco-
vile di Bratislava (Slovacchia)
l’arcivescovo mons. Stanislav
Zvolenský ha presieduto la
solenne sessione di chiusura
dell’Inchiesta diocesana del
Processo di Beatificazione e
di Canonizzazione del Ser-
vo di Dio don Titus Zeman
(1915-1969), martire per le
vocazioni. Alla sessione di
chiusura hanno anche parte-
cipato i membri del Tribunale
diocesano (giudice delegato,
promotore di giustizia, notaio);
il postulatore, don Pierluigi
Cameroni; il vice postulatore,
don Josef Slivon; numerosi
Salesiani, guidati dall’Ispettore
don Karol Manik, membri della
Famiglia Salesiana, parenti e
devoti di don Tito. La storia
del Servo di Dio è un ottimo
esempio di fedeltà alla causa
di don Bosco, in particolare
attraverso lo zelo e l’amore per
salvare la vocazione dei gio-
vani salesiani con l’avvento e
sotto il regime comunista.
Consegnata la Positio
di mons. Ferrando,
vescovo e fondatore
Mercoledì 5 dicembre 2012
è stata consegnata alla Can-
celleria della Congregazione
delle Cause dei Santi la “Po-
sitio super vita, virtutibus et
fama sanctitatis” del Servo di
Dio mons. Stefano Ferrando,
vescovo salesiano di Shillong
(India) e fondatore delle Suore
Missionarie di Maria Aiuto dei
Cristiani (MSMHC).
40
Febbraio 2013

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
Una città con radici salesiane
L’uomo che più ispirò e formò il carattere e lo spirito di don
Bosco visse circa due secoli prima di lui, ma i suoi inse-
gnamenti sono ancora vivi. La società dei Salesiani deriva
il nome proprio da quell’uomo: san Francesco di Sales,
il santo delle buone maniere, colui che con la calma e la
mansuetudine conquistava i cuori. La frase a lui attribuita
“Da mihi animas cetera tolle” (Dammi le anime, prenditi il
resto) fu usata da don Bosco come incitamento per tutta
la vita e la calma serafica di san Francesco di Sales fu il modello per plasmare il proprio carattere
(da impulsivo qual era da giovane a riflessivo) e fu d’esempio per i giovani che ne conobbero le virtù.
Nacque nel 1567 nel castello di Sales, in Francia, in un famiglia di antica nobiltà, educato tra rigore e
affetto, ma fu nella cittadina di XXX che maturò interiormente. Paragonata a Venezia per via di alcuni
scorci molto suggestivi e romantici e per la presenza delle acque del lago omonimo e del fiume Thiou,
emissario di origine glaciale lungo appena 5 chilometri, possiede monumenti pregevoli di architettura
tipica dell’Alta Savoia. Spiccano, tra gli altri, il castello medievale e il palazzo delle antiche prigioni che
come la prua di una nave, si protende nelle acque del fiume
spartendole in due canali. Nella cittadina, volendo seguire
un itinerario salesiano, sono fondamentali alcune tappe: la
chiesa di San Francesco di Sales, chiamata anche “degli ita-
liani” perché la sua costruzione fu affidata a maestranze della
comunità italiana; la basilica mariana di Nostra Signora della
Gioia, frequentata dalla madre di Francesco; la Cattedrale di
Saint-Pierre, inizialmente dedicata a san Francesco d’Assisi
ed oggi a san Pietro; infine la Basilica della Visitazione dove
riposano le spoglie di san Francesco di Sales.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Trapani (sigla) -
3. Non possono essere vinti - 13. Mi-
ster - 15. Nelle barche a vela è tenuta
tesa dal boma - 17. Le linee percorse
dai treni - 19. Donne non credenti -
20. XXX - 21. La terra di cui erano
servi i contadini medioevali - 22. Un
formaggio emiliano apprezzato anche
all’estero - 24. Altro nome del Tevero-
ne, affluente del Tevere - 25. Il figlio
di Ercole che amò Cibele - 26. Ogni
bel... dura poco - 27. Benedetto, gene-
rale e ingegnere che progettò le prime
corazzate italiane - 28. Iniziali di Ma-
chiavelli - 29. Un po’ negligente! - 30.
Lo era Giunone - 31. Rivendite di latte
e latticini - 33. I giardinieri lo tosano
all’inglese - 35. Fiction televisiva - 36.
Invano senza pari - 37. Difficile da tro-
vare - 39. Regnarono a Napoli prima
degli Aragonesi - 41. Una delle più an-
tiche case editrici italiane - 42. Inventò
la favola come forma letteraria - 43. Il
condottiero male in arnese diretto da
Monicelli.
VERTICALI. 1. Perforare un dente -
2. Tuberi importanti per l’alimentazione
- 3. Come detto prima - 4. Obiezio-
ne - 5. È contenuto nello zirconio - 6.
Forti... come colle - 7. È composto da
vagoni - 8. Anche detto caprone - 9.
Il cow... mandriano americano - 10.
Quattro romani - 11. Il carbon fossile
originato da antiche foreste - 12. Simi-
li al vetro - 13. Indice azionario della
Borsa - 14. Davvero, effettivamente -
16. Il nome dell’attore Marcoré - 18.
Colpevole - 20. Lo è una famiglia be-
nestante - 23. La dea della salute - 24.
Regione... al nord del mondo - 27. Si
servono caffé e cappuccini - 28. L’indi-
menticato David di Tavole separate che
gli valse l’Oscar - 30. Specifica alcune
taglie degli abiti - 31. Famoso film di
Luc Besson - 32. Cerimonia religiosa
- 33. A favore - 34. Opera Nazionale
Balilla - 35. Alla fine delle preghiere -
38. Arsenico (sigla) - 40. Sono dispari
in gara - 41. Unione Europea.
Febbraio 2013
41

5.2 Page 42

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
Don LUIGI ZUPPINI
Morto a Verona il 30 ottobre 2002, a 77 anni.
È un’oasi di pace adagiata su una
verde collina, Ankofafa, uno dei
quartieri più poveri e popolosi
di Fianarantsoa, comune urbano
nel Madagascar centrale. In una
mattina a fine settembre, quan-
do in Italia inizia a far capolino
l’autunno e nell’“isola rossa” la
primavera, sembra di essere in
Valpadana, con la nebbiolina
a coprire i colori di una natura
ancora addormentata ma già in-
gentilita da meravigliose piante di
Stelle di Natale. Qui sorge la più
giovane missione salesiana in
Madagascar. Gli archivi riportano
il 24 settembre del 1993 quale
data dell’inaugurazione ufficiale
come casa di formazione per i
post novizi, con lo studentato di
filosofia.
Proprio accanto agli edifici che
ospitano gli alloggi e le aule dove
i giovani confratelli salesiani
malgasci si preparano a diventa-
re sacerdoti, è stata realizzata la
“grande salle”, che lo scorso 23
settembre è stata dedicata a don
Luigi Zuppini, il primo ispetto-
re della Provincia salesiana del
Madagascar, in occasione del
decennale della sua scomparsa
(30 ottobre del 2002). Si tratta di
un’ampia struttura – adibita a in-
contri culturali e spirituali, feste,
convivi e celebrazioni – parte di
un grande e lungimirante pro-
getto per fare della missione di
Fianarantsoa un polo culturale
principalmente per le giovani
vocazioni, ma anche per realtà
ecclesiali e non della regione.
Un progetto su cui don Zuppi-
ni ha lavorato fin dal suo arrivo
nell’isola africana come dele-
gato del Rettor Maggiore per il
Madagascar (3 gennaio 1989),
facendo della formazione delle
nuove generazioni di salesiani
malgasci “l’oggetto di una parti-
colare ed intelligente predilezio-
ne nella sua azione missionaria,
apostolica e salesiana”, come è
stato sottolineato, durante la ce-
rimonia di dedicazione della sala.
Proprio ai giovani confratelli,
don Luigi, che era stato a capo
dell’Ispettoria Veneta San Marco
dal 1982 al 1988, ha dedicato la
parte conclusiva della sua vita
in Madagascar. Era infatti da tre
anni direttore della Comunità di
Fianarantsoa quando la malattia
l’ha costretto a ritornare in Italia.
La semplice e coinvolgente ce-
rimonia di dedicazione è stata
presieduta da don Claudio Ciolli,
attuale ispettore della provincia
malgascia, e dal direttore della
Comunità, don Graziano De Laz-
zari, alla presenza di alcuni fami-
liari del sacerdote veronese e da
una folta rappresentanza locale
di tutti coloro che hanno cono-
sciuto don Luigi e hanno potuto
apprezzare le sue doti di uomo e
di sacerdote.
Don De Lazzari ha ricordato che
“la presenza in Madagascar di
don Luigi Zuppini, pur fra inne-
gabili difficoltà e limiti, è stata
significativa, vissuta come un
servizio missionario alla nascen-
te Provincia Salesiana dell’isola,
soprattutto dal punto di vista or-
ganizzativo e formativo”.
I Salesiani sono giunti in Mada-
gascar nel 1981 con il “Progetto
Africa”, ma ogni realtà era cre-
sciuta come espressione missio-
naria ed indipendente delle Ispet-
torie italiane di appartenenza.
Con la nomina a delegato del Ret-
tor Maggiore, don Egidio Vigano,
don Luigi ebbe “il compito prin-
cipale di curare il coordinamento
delle comunità e dei confratelli,
di assicurare il collegamento co-
stante con la Chiesa locale e con
il Centro della Congregazione e di
preparare strutture adeguate per
il futuro” (lettera del R.M. del 14
settembre del 1988). Un obiettivo
ambizioso realizzato da don Luigi
esercitando l’ascolto e il dialogo,
per mantenere il giusto equilibrio
tra le necessità imposte dal nuo-
vo corso e il rispetto per quanto
di importante era stato realizzato
fino ad allora, come testimoniano
molti confratelli che hanno vissu-
to con lui quella stagione e che
operano ancora in Madagascar.
“È fondamentale che il ricordo di
don Luigi sia mantenuto nel tem-
po – ha concluso don Ciolli –.
Per noi che l’abbiamo conosciuto
e a cui siamo grati per quanto ha
fatto per la Congregazione e per
la sua amicizia. Ma anche per le
nuove generazioni di confratelli
malgasci che devono conoscere
da quali radici di amore e dedi-
zione per i giovani e il Madaga-
scar ha avuto origine il testimone
che si preparano ad accogliere”.
42
Febbraio 2013

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Elezioni ilgufo,nell’emozionegenerale,gridò:
«Il primo voto, fratelli, è per il nostro
amico asino!».
Calò il silenzio, seguito da alcuni ti-
midi applausi.
«Secondo voto: l’asino!»
Un giorno, quando la Crea-
zione era ancora nuova nuo-
va, gli abitanti del luogo or-
ganizzarono un concorso di
canto al quale si iscrissero
rapidamente quasi tutti i
Sconcerto generale.
«Terzo: l’asino!»
I concorrenti iniziarono a guardarsi
sorpresi, poi si scambiarono occhiate
accusatorie e alla fine, visto che con-
tinuavano a uscire voti per l’asino,
presenti, dal cardellino
al rinoceronte.
Sotto la guida del gufo,
venne decretato che la
votazione per il concor-
so sarebbe stata a scru-
tinio segreto e univer-
sale; avrebbero quindi
votato tutti i parteci-
panti, componendo essi
stessi la giuria.
Così fu. Tutti gli ani-
mali, compreso l’uo-
mo, salirono sul palco
a cantare e ricevettero
maggiori o minori ap-
plausi da parte del pub-
blico. Poi scrissero il
voto sopra un foglietto
e lo infilarono, piegato,
dentro una grande urna
sotto il diretto controllo
del gufo.
Quando giunse il mo-
mento del conteggio,
il gufo salì sul pal-
Disegno di Fabrizio Zubani
coscenico improvvisato e, con a fian- erano sempre più vergognosi sen-
co due anziane scimmie, aprì l’urna tendosi in colpa per come avevano
per iniziare il computo dei voti. Uno votato. Tutti sapevano che non c’è
degli anziani estrasse il primo voto e canto peggiore del disastroso raglio
dell’equino. Eppure, uno dopo l’al-
tro, i voti lo designavano come il mi-
glior cantante.
E così avvenne che al termine dello
scrutinio, per «libera scelta della giu-
ria imparziale» venne deciso che lo
stonato e stridente raglio dell’asino
fosse il vincitore. E venne dichiarato
la «miglior voce del bosco e dintorni».
In seguito il gufo spiegò l’accaduto:
ogni concorrente, certo di essere lui il
vincitore, aveva dato il proprio voto al
partecipante meno pro-
babile, a colui che non
avrebbe rappresentato
nessuna minaccia.
La votazione fu qua-
si unanime. Soltanto
due voti non andarono
all’asino: quello dell’asi-
no, che riteneva di non
avere nulla da perdere
e aveva votato in tutta
sincerità per l’allodola,
e quello dell’uomo che,
ovviamente, aveva vota-
to per se stesso.
«La gente da nulla,
i disonesti vanno
in giro seminando
bugie.
Strizzano l’occhio,
fanno segni con le
dita, e altri gesti per
trarre in inganno.
Sono pieni di ma-
lizia, non pensano
che a far del male.
La loro rovina sarà completa,
improvvisa e senza rimedi»
(Libro dei Proverbi 6, 12-15).
Febbraio 2013
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Don Bosco Educatore
Quando vi do tutto,
vuol dire che nulla
riserbo per me
Salesiani nel mondo
Niteroi Brasile
Appuntamento per la GMG
L'invitato
Monsignor
Albert Vanbuel
Nell'occhio del ciclone
A tu per tu
Don Roberto Dal Molin
Ispettore dell'INE
Testimoni della fede
Don Auguste Arribat
La gioia del Vangelo
Speciale
Invito a Valdocco 1
La Torino
del giovane don Bosco
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612658
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.