Bollettino_Salesiano_201301

Bollettino_Salesiano_201301

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IL
GENNAIO
2013
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
L'invitato
Olga
Krizova

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
La lacrima
La storia
Il 5 aprile 1846, don Bosco deve abbandonare il prato dei
fratelli Filippi. Quella sera, don Bosco pianse e pregò. Il
12 aprile 1846, festa di Pasqua, si trasferisce a Valdocco,
nella tettoia Pinardi. Lì si trova ancora oggi.
Erano giorni che lotta-
vo per venire alla luce.
Desideravo con tutte le
mie forze abbandonare
la mia prigione forzata e
sentirmi libera: final-
mente sfogarmi. La pena di don
Bosco attanagliava il mio corpo
trasparente.
Lui però celava accuratamente
il suo dolore e si mostrava con
tutti di buon umore e li riem-
piva di speranza raccontando
mille meraviglie intorno al
futuro Oratorio, che per allora
esisteva soltanto nella sua mente
e nei decreti del Signore.
Perciò venivo sempre respinta
indietro.
I fratelli Filippi allontanarono
don Bosco e i suoi ragazzi da
quello che era il germe del loro
Oratorio, un prato in affitto. La
voce si sparse subito. Gli amici
del giovane prete cominciarono
subito a tentare di persuaderlo
ad abbandonare l’inutile impre-
sa, così detta da loro.
Io ero sempre pronta, nell’an-
golo dell’occhio che ora aveva
perso un po’ della sua luce piena
di speranza mentre guardava
tutti quei ragazzi che correvano,
cantavano e pregavano spensie-
rati.
Un giorno, uno dei più cari
amici di don Bosco, il
teologo Borrelli, davanti
a tutti prese a dire così:
«Per non esporci a perdere
tutto è meglio salvare
qualche cosa. Lasciamo
in libertà tutti gli attuali
giovanetti, riteniamone
soltanto una ventina dei
più piccoli».
Don Bosco rispose: «Non oc-
corre aspettare altra opportunità,
il sito è preparato, vi è un cortile
spazioso, una casa con molti
fanciulli, porticato, chiesa, preti,
chierici, tutto ai nostri cenni».
«Ma dove sono queste cose?»
interruppe il teologo Borrelli.
«Io non so dire dove siano, ma
esistono certamente e sono per
noi».
Il teologo Borrelli si commosse:
«Povero don Bosco, esclamò,
gli ha davvero dato di volta il
cervello».
Venne l’ultima sera sul prato
dei fratelli Filippi. Don Bosco
era sfinito di forze, incompreso,
osteggiato e perfino deriso, non
aveva più un palmo di terra
dove radunare i suoi amici.
Guardò i ragazzi che giocavano,
poi si accasciò in un angolo e mi
lasciò sgorgare con tutto il mio
peso di dolore, di sollievo e di
consolazione: la missione che il
Creatore ci ha affidato.
«Mio Dio» pregava don
Bosco, «perché non mi
fai capire chiaramente
quello che devo fare?»
In quel preciso momento
arrivò non un angelo, ma un
ometto balbuziente che gli
propose una tettoia malandata
che il proprietario, un certo
Pinardi, voleva affittare. Don
Bosco accettò, tornò di corsa
dai suoi giovani e gridò: «Al-
legri, figlioli! Abbiamo trovato
l’oratorio! Avremo chiesa, scuola
e cortile per saltare e giocare.
Domenica ci andremo. È là, in
casa Pinardi!»
Era domenica delle Palme. La
domenica seguente era Pasqua
di Risurrezione.
Io ero ancora ferma sulla talare
e se non fosse un controsenso
devo confessare che, per la
prima volta in vita mia, sorrisi.•
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Gennaio 2013

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IL
GENNAIO 2013
ANNO CXXXVII
Numero 1
IL
GENNAIO
2013
Don Bosco
educatore
Impariamo
da tutto ciò
che accade
Storie di vita
Dalla strada
all'università
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
L'invitato
Olga
Krizova
Le case di
don Bosco
Chiari
Salesiani
nel mondo
Una piroga
sul Chary
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 DON BOSCO EDUCATORE
Impariamo da tutto ciò che accade
6 LETTERE
8 SALESIANI NEL MONDO
Una piroga sul Chary
12 STORIE DI VITA
Dalla strada all'università
14 L'INVITATO
8
Olga Krizova
17 FAMIGLIA SALESIANA
Noemi Bertola
18 FINO AI CONFINI DEL MONDO
20 ARTE SALESIANA
La basilica di Roma
24 A TU PER TU
26 ESPERIENZE
14
CGS life
28 LE CASE DI DON BOSCO
Chiari
31 RELAX
32 COME DON BOSCO
34 NOI & LORO
36 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
38 TESTIMONI DELLA FEDE
Monsignor Ferrando
38
40 I NOSTRI SANTI
42 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
43 LA BUONANOTTE
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina :
Finché esisteranno
i Salesiani don
Bosco sarà sempre
giovane. (Disegno
di Stefano Pachì)
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
Tel./Fax 06.65612643
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web: http://biesseonline.sdb.org
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Chiara
Bertato, Pierluigi Cameroni,
Roberto Desiderati, Cesare
Lo Monaco, Natale Maffioli,
Alessandra Mastrodonato, O. Pori
Mecoi, Francesco Motto, Marianna
Pacucci, José J. Gomez Palacios,
Pino Pellegrino, Linda Perino,
Luigi Zonta, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Luciano Alloisio (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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- Torino
Stampa: Mediagraf s.p.a. - Padova
Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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DON BOSCO EDUCATORE
PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA
Impariamo
da tutto ciò che
accade Don Bosco racconta
«Parlando della mia persona e del-
la mia storia, devo incomincia-
re dai primi anni di vita. Anni
belli e difficili, anni in cui ho
imparato a essere ragazzo e a
diventare uomo.
Posso dirti con molta semplicità: quel don Bosco
che tu forse già conosci in parte, il don Bosco che
un giorno diverrà prete e sarà educatore e amico
dei giovani, ha preso lezione da tante cose che gli
accaddero proprio in quei primi anni.
Ti presento i valori che ho respirato, che ho im-
parato a vivere e, in seguito, ho trasmesso come
eredità ai miei salesiani. Con il passar degli anni
diventeranno le basi della mia pedagogia.
Per questo, con i miei ragazzi sono stato un vero
papà, con gesti concreti d’amore sereno, allegro
e contagiante. Li amavo i miei ragazzi e davo
loro prove concrete di questo affetto, donando-
mi completamente alla loro causa. Questo amore,
forte e virile, non l’ho imparato sui libri; l’ho ere-
ditato da mia madre e gliene sono riconoscente.
Il lavoro. Mia madre era la prima a darci l’e-
sempio. Insistevo sempre: “Chi non si abitua al la-
voro in tempo di gioventù, per lo più sarà sempre un
poltrone sino alla vecchiaia”. In quella chiacchie-
rata familiare che tenevo loro dopo cena e dopo
le preghiere della sera (la celebre “buonanotte”)
insistevo che “Il paradiso non è fatto per i poltroni”.
La presenza di una madre. Mamma Mar-
gherita aveva appena 29 anni quando mio padre
morì, stroncato in pochi giorni da una terribile
polmonite. Donna energica e coraggiosa, non ri-
mase a compiangersi; si rimboccò le maniche, e
assunse il suo doppio impegno. Dolce e decisa,
svolse la funzione di padre e madre. Molti anni
dopo, divenuto prete per i giovani, potrò affer-
mare come frutto di esperienza sul campo: “La
prima felicità di un ragazzo è sapere di essere amato”.
Il senso di Dio. Mia mamma aveva condensa-
to tutto il catechismo in una frase che ci ripeteva
a ogni istante: “Dio ti vede!”. Io no: alla scuola di
una catechista a tutto campo come era mia ma-
dre, sono cresciuto sotto l’occhio di Dio. Non un
Dio-poliziotto, freddo e implacabile che mi ‘bec-
cava’ in flagrante; ma un Dio buono e provviden-
te che scorgevo nel succedersi delle stagioni, che
imparavo a conoscere e ringraziare al momento
della mietitura del grano o dopo la vendemmia,
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Gennaio 2013

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un Dio grande che ammiravo fissando di sera le
stelle.
“Ragioniamo!” Lo pronunciavano in pie-
montese questo verbo i nostri vecchi; e quanta
saggezza scoprivo in questa parola. Veniva usa-
ta per dialogare, per spiegarsi, per arrivare a una
decisione in comune, presa senza che uno voles-
se imporre il proprio punto di vista. In seguito
farò del termine “ragione” una delle colonne
portanti del mio metodo educativo. La
parola “ragione” sarà per me sinoni-
mo di dialogo, accoglienza, fiducia,
comprensione; si trasformerà in un
atteggiamento di ricerca perché
tra educatore e ragazzo non ci
può essere rivalità, ma solo ami-
cizia e stima reciproca. Per me il
giovane non sarà mai un sogget-
to passivo, un semplice esecutore
di ordini. Nei miei contatti con
i ragazzi, non farò mai finta di
ascoltare, li ascolterò veramente,
discuterò il loro punto di vista, le
loro ragioni.
piere bene i propri doveri, evitare tutto ciò che
non era degno di un buon cristiano. Più tardi,
nasceranno le Compagnie, gruppi giovanili, veri
laboratori di apostolato e santità alla portata di
tutti. Dicevo che esse erano “cose di giovani” per
favorire le loro iniziative, e dare spazio alla loro
naturale creatività.
Il gusto di lavorare assie-
me. Per molti anni sono stato
protagonista assoluto tra i miei
compagni: penso alle mie prime espe-
rienze come saltimbanco ai Becchi, in
quegli splendidi pomeriggi di dome-
nica; penso alla popolarità conquistata
tra i miei compagni di scuola a Chieri, a
tal punto che in una pagina autobiogra-
fica potevo affermare che “ero venerato dai miei
colleghi come capitano di un piccolo esercito”. Ma in
seguito compresi che il protagonismo era di tut-
ti. Sorse allora la Società dell’Allegria, un gruppo
simpatico di studenti ove tutti erano impegnati
alla pari. Il Regolamento era composto da tre
brevissimi articoli: essere sempre allegri, com-
Il piacere di stare assieme. Volevo gli edu-
catori, giovani o anziani che fossero, sempre in
mezzo ai giovani, come “padri amorosi”. Non per
atto di sfiducia nei loro riguardi, ma proprio per
camminare assieme, costruire e partecipare assie-
me. Arriverò a dire con intima gioia: “Con voi mi
trovo bene. È proprio la mia vita stare con voi”».
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LA POSTA
I NOSTRI ESPERTI RISPONDONO
Si può educare
la spiritualità?
Ho portato a Roma per un fine
settimana il mio figlio più piccolo
di 12 anni. Era naturalmente en-
tusiasta di una gita, solo lui e la
mamma. Ma mi lasciò interdetta
quando, conoscendomi bene, im-
pose una sola condizione: «Però
non andiamo a vedere chiese!».
Da un po’ di tempo in effetti è sem-
pre più ‘refrattario’ a tutto ciò che
è religioso. È sempre lui, monello
quanto basta, ma affettuoso e ge-
neroso, soltanto non ha più voglia
di preghiere e funzioni in chiesa.
Eppure mi sembrava che ci venisse
volentieri con noi e i suoi fratelli.
È sempre più difficile farlo prega-
re anche solo per qualche minuto.
Che cosa devo fare? Devo impor-
mi e obbligarlo? Devo aspettare e
lasciare che decida da solo quan-
do sarà più grande? Ho sbagliato
qualche cosa? Per me e mio marito
è un grosso dispiacere.
Cristina P.
Un bambino stava dise-
gnando e l’insegnante
gli disse:“È un disegno
interessante. Che cosa
rappresenta? ”.
“È un ritratto di Dio.”
“Ma nessuno sa com’è fatto Dio.”
“Quando avrò finito il disegno lo
sapranno tutti!”.
I bambini sanno com’è fatto Dio.
Quanto tempo impieghiamo a far-
glielo dimenticare? Il più delle volte
è questione di settimane. I bambini
hanno il diritto all’educazione reli-
giosa.
La famiglia è la matrice (una spe-
cie di stampo indelebile) di tutti i
significati spirituali dell’esistenza.
In famiglia i bambini apprendono il
significato e il “sapore” di concetti
e atteggiamenti profondamente spi-
rituali come accoglienza, ascolto,
perdono, consolazione, comunio-
ne, benedizione, gratitudine, dono,
sacrificio…
Lo psicologo Abraham Maslow ha
individuato una specie di scaletta
per crescere bene, che riguarda i
bisogni fondamentali dei bambini.
Bisogni fisici. I “bambini d’appar-
tamento” sono ben nutriti e ben
vestiti, ma spesso sono irrequieti
e nervosi. Hanno bisogno di movi-
mento, di sfogo fisico, di esplorare
il mondo.
Bisogno d’amore e senso d’apparte-
nenza. Il bisogno di dare e ricevere
amore è fondamentale per tutti i
bambini del mondo. I bambini devo-
no riceverlo per crescere, per matu-
rare, per sentire un senso d’apparte-
nenza, in primo luogo a se stessi, poi
alle loro famiglie e comunità e, infine,
al mondo e all’universo.
Bisogno di autostima e di stima.
Quando i bambini sono pieni dell’a-
more ricevuto, cominceranno a
sentirsi degni di esser amati e tra-
sformeranno tutto questo in amore
di sé. La costruzione di una forte
immagine di sé, basata sull’autosti-
ma, è, per ogni individuo, una ne-
cessità assoluta. In sua mancanza
una persona si rivolgerà a sé e agli
altri in modo distruttivo.
OGNI MESE
DON BOSCO
A CASA TUA
Il Bollettino Salesiano vie-
ne inviato gratuitamente a
chi ne fa richiesta.
Dal 1877 è un dono di don
Bosco a chi segue con sim-
patia il lavoro salesiano tra
i giovani e le missioni.
Diffondetelo tra i parenti e
gli amici. Comunicate su-
bito il cambio di indirizzo.
Bisogni di crescita (libertà, giusti-
zia, ordine, individualità, impor-
tanza, autosufficienza, semplicità,
allegria, vitalità). I bambini hanno
bisogno di “mete”. Hanno sempre
bisogno di essere trattati con giu-
stizia, di sentirsi allegri, di prendere
la vita in maniera divertente. E so-
prattutto hanno bisogno di sentir-
si creativamente vivi, di avere un
bruciante senso di desiderio e di
apprezzamento per ogni cosa della
vita: di bandire la noia e l’apatia, di
provare ogni giorno entusiasmo.
Bisogni superiori (verità, bellez-
za, bontà, risveglio spirituale). Se
hanno attraversato le varie fasi, i
ragazzi cominciano a sentire un
forte senso di scopo e di significato
della vita.
E poi? C’è ancora un gradino. È
possibile portare i figli al vertice
della scala e oltre... Essere e sen-
tirsi “figli prediletti di Dio” come
Gesù, nello Spirito Santo. Perché
accontentarsi di meno?
La frase «Mio figlio deve poter deci-
dere più tardi da solo quale religione
scegliere» è completamente sba-
gliata dal punto di vista psicologico-
evolutivo. I bambini partecipano in
primo luogo alla lingua dei genitori e
anche ai loro riti e a ciò che per loro
è importante. Essi prendono parte
innanzitutto alla comunicazione e
alla vita quotidiana normale e vi si
inseriscono.
Quando anche leggere la sera con il
bambino una storia biblica oppure
dire una breve preghiera con il bam-
bino fa parte della vita quotidiana, i
bambini imparano in maniera molto
semplice, senza grossi problemi o
sforzi a diventare persone capaci di
parlare in modo religioso.
Perciò il comportamento «Mio fi-
glio deciderà da solo più tardi…»
priva un bambino dell’opportunità
di formarsi una competenza lingui-
stica religiosa, gli toglie la possibi-
lità di sviluppare una base religiosa
a partire dalla quale più tardi potrà
realmente capire che cosa significa
una scelta religiosa. Un bambino a
cui viene impedito di sviluppare la
sensibilità per la presenza di Dio,
non sarà affatto in grado di sceglie-
re. E più che mai, ancora una volta,
altri avranno deciso per lui.
Anche per la religiosità vale il prin-
cipio generale: i bambini imparano
solo quello che vivono. L’apprendi-
mento religioso ha tre stadi.
Il primo passa attraverso l’osser-
vazione e l’imitazione. I bambini
ascoltano con gli occhi. Un bambi-
no che non vede il papà e la mam-
ma pregare, non pregherà mai. Per
la nascita e lo sviluppo dell’imma-
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gine di Dio l’influenza dei genitori è
decisiva. Il rapporto genitori-figlio
viene innanzitutto trasferito al rap-
porto con Dio.
La religiosità però viene acquisita
non solo in base a un modello, ma
anche attraverso l’insegnamento e
l’accompagnamento. I bambini han-
no il diritto di sapere e capire, di co-
noscere la storia di Gesù, le sue pa-
role, la riflessione e la tradizione della
comunità dei credenti. E poi di essere
“iniziati” ad una vita “con Dio dentro”.
La terza via importante per impa-
rare la religiosità passa attraverso
il rafforzamento che viene dall’ap-
provazione degli altri e la confer-
ma sociale. Questo è soprattutto
il compito della comunità parroc-
chiale.
La sicurezza interiore necessaria e
l’autentica conoscenza e compren-
sione del comportamento religioso
crescono non solo attraverso i ge-
nitori, ma anche attraverso la rela-
zione dei bambini con la comunità
dei credenti e con le sue attività. In
questo contesto sociale la Chiesa ha
la sua elevata importanza in qualità
di comunità credente: senza le tante
altre persone che percorrono la stra-
da verso Dio insieme a Gesù, la fede
cristiana non è sperimentabile né
può crescere. La conferma sociale
derivante dalla preghiera e dalla ce-
lebrazione in comune nella chiesa o
anche in gruppi, all’oratorio, fa appa-
rire plausibile e degno di essere vis-
suto tutto ciò che viene trasmesso al
bambino dai genitori e dai catechisti.
Americo Bejca
eremita
Una preghiera a
san Giovanni Bosco
La signora Carmela Rizzo ci chie-
de di pubblicare la preghiera a
san Giovanni Bosco composta dal
fratello, uomo di fede, amante del-
la Chiesa e grande devoto di don
Bosco. Lo facciamo con piacere.
Oumile e santo educatore
della gioventù traviata,
con voi rendo onore e
gloria alla Divina Prov-
videnza
che Vi volle artefice di
bene in mezzo al suo Popolo,
a Voi, che mi siete modello di san-
tità operosa per la luce
dell’Altissimo di cui rifulge il vostro
cuore
e per la vita che improntaste co-
stantemente
al messaggio del Divino Maestro
e alle ispirazioni della vergine Maria,
fiducioso rivolgo la mia preghiera
perché mi otteniate dalla Santissi-
ma Trinità
la grazia di preservare l’anima mia
da ogni colpa;
di rendere sempre più conforme
all’insegnamento di Cristo
il mio pensiero e la mia azione;
di saper modellare la mia opera di
Educatore
su quella vostra per il bene di
quanti
la Divina Volontà si compiacerà di
affidarmi,
sì da avviarli per la vera via, che è
Gesù,
innamorarli dell’autentica verità,
che è Gesù,
orientarli verso quella pienezza di
Valori che è Gesù!
Pantaleone Rizzo
Per scoprire le lettere
di san Francesco di Sales
Un libro di don Gianni Ghiglione, profondo conoscitore e studioso
della spiritualità di san Francesco di Sales, presenta e analizza un
primo blocco delle lettere del Santo.
Si può affermare che la corrispondenza di san Francesco di Sa-
les è la storia più completa della sua vita e quella più fedele. È
là e soltanto là che il Santo si manifesta completamente; a sua
insaputa, egli permette di contemplare facilmente e di studiare
sotto tutti gli aspetti la sua personalità così ricca di fascino.
È presente sempre il Santo e il dottore della Chiesa, ma c’è
anche l’uomo e l’uomo dotato della natura più squisita che
si possa immaginare. La tenerezza dell’amicizia e della pietà filiale, l’ardore patriottico,
la dedizione al principe, l’attaccamento alla Chiesa, il culto per il papato, lo zelo per le anime e il suo
immenso amore per Dio; tutti i sentimenti più nobili, più puri, più elevati sgorgano dal suo cuore e ven-
gono versati nelle sue lettere.
Inoltre non solo in un certo periodo il Santo si manifesta in tal modo, ma in tutti quelli della sua vita. Si
possono addirittura constatare i progressi, i cambiamenti successivi che la grazia di Dio anzitutto e poi
l‘esperienza, il suo lavoro personale e quello degli anni operano in lui. Assistiamo allo sviluppo di tutte
le sue qualità naturali.
Nella sua corrispondenza l’Autore non rivive da solo: anima, risuscita per così dire tutta la sua epoca: i
personaggi e le cose del tempo, i grandi avvenimenti e i grandi personaggi che lo hanno reso illustre,
i disastri che l’hanno oscurato e le umili virtù che lo hanno onorato... tutto affiora sotto la sua penna e
viene raccontato e giudicato con grande fascino, ma anche con una inesauribile indulgenza. Ogni cosa
è rivisitata dal suo lato migliore; le intenzioni sembrano svanire e gli uomini diventare grandi a contatto
con questo amabile Santo.
GIANNI GHIGLIONE, San Francesco di Sales padre, maestro e amico, Elledici.
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SALESIANI NEL MONDO
CHIARA BERTATO
Una piroga
sul Chary
Don Franz
Cremon e i suoi
straordinari mezzi
di trasporto nella
savana del Ciad.
La spericolata pensione di don Franz
«Ho studiato trent’anni e non mi
sento un intellettuale, ho vis-
suto per altrettanto tempo con
gli emarginati e non sono un
escluso, vivo da dieci anni in
un paese straniero e mi sento a
casa. Lo studio mi ha reso curioso e mi dà la gioia
di scoprire cose nuove, la vita senza sicurezze mi
ha abituato ad accontentarmi in ogni occasione,
l’essere straniero mi fa rispettoso della cultura e
dei modi di vivere di altri popoli».
Si descrive così don Francesco Cremon, da tutti
conosciuto come Franz, che a 71 anni scorazza
in moto per la savana come un ragazzo. La sua è
sempre stata una vita spesa, prima nella zona di
Verona con i ragazzi di strada e tossicodipenden-
ti poi, anziché la pensione, è arrivata una nuova
missione: il Ciad.
“Avevo una pallida idea di dove si trovasse questa
nazione... Non sapevo che ha un’estensione quat-
tro volte l’Italia, metà nel deserto del Sahara e
metà nella savana tropicale, con una popolazione
di circa 11 milioni di abitanti, suddivisi in 300 et-
nie diverse, alcune stanziali, altre ancora nomadi.
Uno dei paesi più poveri del pianeta, flagellato da
carestie, malattie e da guerre. Avevo 60 anni e mi
trovavo ad essere catapultato nel cuore geografico
dell’Africa nera... Credevo finita la mia storia di
pazzia, invece incominciava la più rischiosa”.
Dare calci era la mia passione
Una storia con il fascino della semplicità eroica.
«A nove anni ero stato messo in collegio dai Sa-
lesiani per frequentare la quinta elementare. La
campagna non aveva bisogno delle mie braccia;
papà e fratelli erano tornati, miracolosamente,
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dalla guerra, ero in più! In collegio mi sono tro-
vato a mio agio e con don Bosco ci sono tuttora.
I miei primi trent’anni li considero anni di prepa-
razione e di formazione. Non ho mai brillato per
l’acutezza dell’intelligenza, l’apprendimento mi
è sempre stato difficile, la memoria e l’emozione
mi hanno spesso giocato cattivi scherzi, non so
ancora quale santo si muovesse in mio soccorso,
ma alla fine dell’anno venivo ammesso alla classe
superiore. In questo modo sono riuscito a passare
illeso gli anni di filosofia e di teologia. Non sono
mai riuscito a capire perché si dovessero scrive-
re e farci studiare così tanto cose del tutto ovvie
ed evidenti. L’esistenza di Dio? È così palese che
anche un cieco la vede. La santa Trinità? È un
mistero che solo Gesù ce lo ha rivelato. Basta fi-
darci di lui. Gesù è figlio di Dio e uomo? Come
si può dubitarne?
Brillavo, invece nello sport, dare calci era la mia
passione! Dove e quando si trattava di mettere in
evidenza manualità, senso pratico, fare fatica per
preparare un ambiente, una festa, una celebra-
zione… era il mio divertimento, il mio riscatto,
valevo».
Vivere per la strada
«Così è stato tenuto conto più di quanto riuscivo
a donare che non di quello che riuscivo a dire ed
il 18 maggio 1971 sono stato ordinato sacerdote.
Un breve periodo a Bolzano, incaricato dei gio-
vani convittori e poi a Verona, richiesto di aiuto
da parte di don Sergio Pighi. Con don Sergio ho
vissuto i secondi trent’anni della mia vita. Non mi
veniva chiesto né di filosofia, né di alta teologia,
ma di vivere alla giornata, di abitare la strada, di
condividere case diroccate con giovani usciti di
carcere, senza una famiglia, ingolfati di droghe,
bruciati negli ideali, privi di fiducia in se stessi
e in tutto, spesso solo in attesa di morire. Qua-
le visione dell’universo potevo offrire loro al di
fuori del vivere di ogni giorno con semplicità?
Riscoprire insieme le piccole cose, i gesti di soli-
darietà condivisi, il perdono accordato e ricevuto,
il mettere l’altro con la sua sofferenza al primo
posto, l’accontentarsi di quanto è stato guadagna-
to con il proprio sudore, rispettando la fatica e le
cose dell’altro… Così sono passato da una soffit-
ta all’altra, da una casa diroccata ad una messa
peggio, dalla diffamata via Erice all’abbandonata
e solitaria valle di Pian di Festa. Non sono mai
riuscito a individuare chiari i limiti tra incoscien-
Le strade del
Vangelo possono
anche essere
impervie e
pericolose.
Ma non riescono
certo a fermare
i missionari.
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1.10 Page 10

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SALESIANI NEL MONDO
«Per i villaggi,
sono il realizzatore
del pozzo dove gli
abitanti vengono
ad attingere
acqua».
za e audacia, tra pazzia e coraggio, tra stupidità e
saggezza… sta di fatto che sempre la Provvidenza
ha mandato qualcuno a salvarmi.
E sono arrivato a 60 anni. Credevo finita la mia
storia di pazzia, invece incominciava la più ri-
schiosa. Sono già trascorsi dieci anni!
Tra scuole e piste polverose
Così, ora, don Franz svolge il suo servizio tra i nu-
merosi villaggi lungo il fiume Chary: Mutumbin,
Maimi, Sandana, Dagankolo, Tarako, Mussame-
re, Tarangara a sinistra e Baraka, Banda, Maibo,
Congo Sarà, Maimana, Sako Banda, Doubadana
a destra. Una quarantina di centri abitati formati
da popolazioni di diversa etnia e lingua, immigra-
ti da tutto il Ciad nella speranza di trovare occu-
pazione presso una grande coltivazione di canna
da zucchero. Questa coltura ha sottratto tutta la
terra che un tempo era coltivata dai residenti, così
non resta che un impiego saltuario.
«La retribuzione ordinaria si aggira sull’euro e
mezzo al giorno! Il periodo di assunzione ha la
10
Gennaio 2013

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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durata di quattro settimane, quindi gli operai
vengono lasciati un mese a casa e sono riassunti
solo se danno un certo “contributo” ai capi squa-
dra» denuncia don Franz.
Non ci sono ponti per passare da una sponda
all’altra del maggior emissario del lago Ciad,
per questo il salesiano usa una piroga. Le strade
sono sostituite da polverose piste che attraversano
le arsure dello Schael ed il labirinto cespuglioso
della savana.
«Sono per i villaggi che ho nominato, e per tanti
altri, il realizzatore del pozzo dove gli abitanti
ed i nomadi del circondario vengono ad attin-
gere acqua ed i bambini hanno la possibilità di
imparare a leggere e scrivere», sappiamo che l’o-
pera del salesiano ha dato vita a 19 scuole a cui
possono accedere anche le bambine, realizzato
15 pozzi, 3 granai comunitari e delle piccole
farmacie di villaggio, 7 luoghi d’incontro per la
preghiera, la catechesi, la formazione religiosa e
civile della popolazione. Lungo il fiume e attor-
no agli stagni si stanno sviluppando la coltiva-
zione di ortaggi, un piccolo allevamento, attività
di artigianato per la riparazione e costruzione di
attrezzi, case...
«Si sta facendo strada una mentalità di partecipa-
zione. Incominciano a rendersi conto che lo svi-
luppo, il miglioramento delle condizioni di vita,
non sono “dono” di altri, ma frutto del proprio
impegno. Si scopre che ci sono nel villaggio e nelle
persone risorse che tornano a vantaggio di tutti».
L’ultimo pensiero è per tutte quelle persone che
l’hanno accompagnato in questi temerari anni
sempre in frontiera: «Volevo dire grazie a tutti
coloro cui devo il mio essere contento oggi, anche
se ho combinato tanto poco».
La cosa buffa è che lo pensa veramente…
«Si scopre che
ci sono nei
villaggi e nelle
persone risorse
che tornano a
vantaggio di tutti».
Gennaio 2013
11

2.2 Page 12

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STORIE DI VITA
BOLLETTINO SALESIANO DELL'AFRICA EST
Dalla strada
all’università
La storia della mia vita
Nel 1995 fummo fermati
perché eravamo ragazzi senza
fissa dimora. Fummo mandati
nell’istituto per bambini a
Kabete, dove rimanemmo per
quasi un anno, finché don Bosco
venne a liberarci.
Mi chiamo Patrick Ngugi
Gichuhi. Sono nato nel
1986 in una famiglia di
condizioni molto mode-
ste. Sono il primo di sei
figli; ho tre fratelli e due
sorelle. Purtroppo, mio padre è man-
cato nel 2009 dopo essere stato sepa-
rato da noi per diciassette anni. Mia
madre è ancora viva e si prende cura
della mia sorella minore che frequen-
ta il primo anno di scuola superiore e
del mio fratello minore che è in se-
conda media.
Anch’io avevo dei sogni
Durante il periodo della mia cresci-
ta, la vita per me è stata bella. Avevo
una bella famiglia che pensava a me
e ai miei fratelli. L’aspetto ancora più
importante è che nutrivo grandi so-
gni: speravo di diventare una persona
importante nella società. Può desta-
re sorpresa il fatto che io sognassi di
diventare senatore in un’epoca in cui
il Kenia non immaginava neppure
la possibilità di schieramenti politici
analoghi a quelli che stabilisce la nuo-
va costituzione. Comunque, albergavo
sogni, come tutti i ragazzi che avevano
una famiglia che potesse realizzarli.
In ogni caso, tutti questi sogni sa-
rebbero stati infranti negli anni che
seguirono.
Nel 1991, un anno dopo la nascita del
mio fratello più piccolo, i miei geni-
tori si sono separati. Non era chiaro
quale fosse la ragione che li aveva
portati a prendere quella decisione,
ma in seguito sono venuto a sapere
che erano in forte disaccordo perché
il lavoro di mio padre consisteva nel
vendere marijuana. Questo lo teneva
molto spesso lontano dalla famiglia,
perché trascorreva gran parte del suo
tempo in carcere, invece di dedicarsi
a noi. Mia madre abbandonò tutti noi
nel 1991. Ero appena tornato da scuo-
la (frequentavo la scuola materna) e
riscontrai che a casa regnava un gran
disordine e mia madre non si trovava
da nessuna parte.
Dato che mia madre spariva tutte le
volte in cui litigava con mio padre, non
vedevo differenze tra la sua assenza del
1991 e tutte le altre circostanze analo-
ghe che si erano verificate prima. Non
comprendevo che si trattava di una
separazione definitiva, che significava
che i miei genitori non sarebbero più
tornati insieme. Per un po’ di tempo
mio padre cercò di occuparsi di noi,
ma non ci riusciva e decise di portar-
ci tutti nel nostro paese di origine, a
Nyeri. Io avevo già lasciato la scuola e
mi occupavo dei miei fratelli.
La casa di Nyeri non si rivelò acco-
gliente per noi. Mio padre non era in
buoni rapporti con la nostra famiglia
estesa dalla parte materna. Invece di
accompagnarci direttamente a casa
di mio nonno, ci lasciò a Kiganjo, un
centro urbano vicino a Nyeri. Dato
che io ero il fratello maggiore, mi
affidò la responsabilità di badare ai
miei fratelli e trovare i miei parenti.
L’unico aiuto che mi diede consistette
nel consegnarmi un album con le foto
della nostra famiglia. Poi se ne andò.
Quella casa si rivelò
un inferno
Ho ricordato mio padre così per al-
meno 10 anni. Quando se ne andò era
già buio e la gente cominciò a doman-
dare chi fossimo e a chiederci da dove
provenivamo, chi erano nostra madre
e nostro padre e che cosa facessimo là
a quell’ora. Per fortuna, vedendo l’al-
bum di fotografie qualcuno riconobbe
12
Gennaio 2013

2.3 Page 13

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mia madre e questo ci permise auto-
maticamente di trovare mio nonno.
Finimmo così dai nostri familiari a
Nyeri, ma con mia sorpresa non fum-
mo ben accolti. Invece di un paradiso,
quella casa si rivelò un inferno. I nostri
parenti di Nyeri ci trattavano molto
male. Non ci consideravano parte del-
la loro famiglia, ma ci vedevano come
un peso. Dopo aver subito una serie
di trattamenti negativi, i miei fratelli
e io decidemmo di andarcene. Non
sapevamo neppure dove dirigerci o
a chi rivolgerci. Così nel 1992 il mio
fratello minore e io andammo via da
Nyeri e camminammo per circa 100
chilometri, da Nyeri Kiganjo a Nyeri
Karatina. Decidemmo di fermarci là,
a vagabondare e cercare cibo avanzato
negli hotel e al mercato. Dopo pochi
giorni una madre, una Buona Sama-
ritana, dopo averci visti vagare per
qualche giorno per la strada decise di
aiutarci. Fu gentile con noi e comin-
ciò a portarci da mangiare. Quando
le dicemmo da dove provenivamo
(Kawangware), ci accompagnò a
un comando di polizia e chiese ai
poliziotti di aiutarci a raggiun-
gere Nairobi. Il mattino dopo la
polizia ci fece prendere un auto-
bus diretto a Nairobi.
Là diventammo ragazzi di
strada.
Non potevamo andare a Ka-
wangware, perché sapevamo
che mio padre ci avrebbe uc-
cisi, se ci avesse visti anco-
ra da quelle parti, e dunque
decidemmo di rimanere là, a
procurarci il vitto mendican-
do e dormendo per strada.
Chiedemmo denaro per le strade per
poterci acquistare generi alimentari e
dormimmo al freddo per due anni.
Poi arrivò don Bosco
Nel 1995 fummo fermati perché erava-
mo ragazzi senza fissa dimora. Fum-
mo mandati nell’istituto per bambini a
Kabete, dove rimanemmo per quasi un
anno, finché don Bosco venne a libe-
rarci. Quando il procuratore riscontrò
che nessuno era venuto a chiedere no-
tizie di noi, si preoccupò e mi doman-
dò che cosa intendessimo fare. Nell’i-
stituto avevo sentito alcuni ragazzi che
parlavano di un posto chiamato don
Bosco in cui i bambini potevano an-
dare a scuola, avere buon cibo e abiti.
Senza esitazioni dissi che volevo essere
accompagnato al don Bosco.
Nel 1996, grazie all’eccellente rendi-
mento scolastico di cui avevo dato pro-
va feci parte del primo gruppo scelto
dal don Bosco Kariua per andare a fre-
quentare una scuola pubblica. Mi in-
serii nella scuola elementare Murang’a
Road di Nairobi come allievo di terza
elementare. In seguito mi sono trasfe-
rito nella scuola elementare St Mary di
Karen, dove ho conseguito il diploma
di istruzione primaria del Kenia. Nel
2008 sono entrato al “Nairobi Insti-
tute of Business Study”, la Facoltà di
Economia, dove ho conseguito la lau-
rea in economia aziendale.
Nel 2009, poi, ho vinto una borsa di
studio che mi ha permesso di acce-
dere alla United States International
University del Programma Cattolico
di Formazione dell’Africa Orientale.
Grazie a Dio, mi sono laureato in
gestione aziendale internazionale
con indirizzo finanziario.
Sono sinceramente grato ai Sa-
lesiani di don Bosco per l’im-
pegno e la determinazione con
cui hanno aiutato tanti giovani
come me a trasformare la loro
vita. Non posso dimenticare
neppure i benefattori che han-
no offerto un contributo di
qualche genere per aiutarmi a
costruire la mia vita. Soprat-
tutto non posso dimenticare
nostro Signore Gesù Cristo,
che ha fatto di questo sogno
una realtà.
Gennaio 2013
13

2.4 Page 14

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L’INVITATO
O. PORI MECOI
Un onore
in famiglia
Qual è esattamente l’ufficio
che le è stato affidato?
Durante l’Assemblea generale del
CMIS (Conference Mondiale des In-
stituts Séculiers) sono stata eletta nella
Presidenza formata da 3 membri che
guidano e assicurano i lavori operativi
tra le due Assemblee generali che si
svolgono ogni 4 anni.
Esiste quindi una
“internazionale”
degli Istituti Secolari?
Al Congresso internazionale degli
Istituti secolari, tenutosi ad Assisi dal
23 al 25 luglio di quest’anno, hanno
partecipato 352 persone appartenenti
a 131 Istituti. La CMIS ha scopo di
organizzare la collaborazione tra gli
Istituti Secolari perché siano un “fer-
mento per il vigore e l´incremento del
Corpo di Cristo”.
Che posto occupano
gli Istituti Secolari
nella Chiesa?
Siamo la Chiesa, dove non si trova
la Chiesa ufficiale. Portiamo Cri-
Incontro con Olga Krizova, Responsabile Maggiore
delle Volontarie di don Bosco, eletta alla presidenza
della Conferenza Mondiale degli Istituti Secolari
sto nei luoghi profani, cerchiamo
di diffondere l’amore divino in tutti
gli ambienti dove ci troviamo. Non
dobbiamo solo portare Cristo nel
mondo, ma anche trovarlo nel mon-
do. Perché la Chiesa possa meglio
comprendere se stessa e meglio vive-
re la sua missione. Abbiamo scelto il
mondo, come il luogo dove viviamo
la nostra consacrazione battesima-
le come tutti i credenti, ma con la
radicalità specifica della spiritualità
di ogni Istituto.
però che la consacrazione è ancora
poco conosciuta.
Quali sono gli Istituti
Secolari che hanno
maggiori prospettive?
Mi sto accorgendo che gli Istitu-
ti Secolari, che nascono nell’alveo
delle grandi forme spirituali del-
la Chiesa (francescana, salesiana,
ignaziana…) sono più stabili per la
formazione e l’esperienza a cui pos-
sono attingere.
Si sviluppano e crescono
dappertutto in modo
uniforme o esistono
nazioni dove la crescita
è maggiore?
Le vocazioni nascono dove ci sono fa-
miglie credenti, e nelle nazioni dove
cresce la fede, dove la fede è fresca
e concretamente vissuta. È un fatto
Prevalgono quelli maschili
o quelli femminili?
Sicuramente quelli femminili. Non
solo per la maggiore sensibilità del-
le donne ai problemi quotidiani. Le
donne hanno più coraggio a vivere da
sole, accettano meglio la discrezione,
accettano meglio l’idea di un servizio
tipo “lievito” nel mondo.
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Gennaio 2013

2.5 Page 15

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Qual è lo stato di salute
delle nostre VDB?
Se pensa alla salute fisica devo dire
che non è in grandissima condizio-
ne. L’invecchiamento generale col-
pisce anche noi, com’è logico. Negli
ultimi anni abbiamo accompagnato
molte sorelle alla Casa del Padre.
La situazione generale però è buo-
na. Siamo uno degli Istituti Secolari
più numerosi del mondo e con la più
lunga esperienza (95 anni). Le nostre
anziane sono piuttosto in gamba e un
grande tesoro di saggezza e compe-
tenza.
Se pensa alla salute della nostra voca-
zione, direi che è buona. Non è una
vocazione facile, la nostra. Essere
pienamente nel mondo, ma non del
mondo. Ci stiamo preparando al no-
stro “capitolo generale”, l’Assemblea
Generale Settima, che ha come slo-
gan: “Donna, chi cerchi?”
cerchiamo nuovi modi per avvicinarci
al mondo, la nuova evangelizzazione
di cui tutti parlano. Nello stesso tem-
po anche noi siamo toccati dalla cul-
tura postmoderna. Dobbiamo confer-
marci nella nostra identità secolare,
consacrata e salesiana e far vivere in
equilibrio questi tre elementi.
Come vede il futuro?
Da salesiana, vedo positivamente il
futuro. Perché non è solo nelle nostre
mani. Dio è fedele. Dio continuerà a
darci il carisma necessario a compren-
dere le persone, soprattutto i giovani,
della nostra epoca.
Il rapporto con il resto
della Famiglia Salesiana
è fruttuoso?
Siamo nate al Valdocco. Non solo ci
sentiamo salesiane, ma lo siamo. I rap-
porti con la Famiglia Salesiana, anche
che non sono moltissimi, ci fanno sen-
tire a casa. Essere accolte, accettate da-
gli altri non è poco per la vita normale,
e anche per la vita spirituale.
Che cosa si potrebbe fare
di più e meglio?
Si può sempre migliorare. I membri
della Famiglia Salesiana potrebbero
forse far conoscere un po’ di più la no-
stra vocazione negli ambienti giovani-
li. A causa del riserbo noi non faccia-
mo personalmente molta pubblicità.
La riservatezza con la quale custodia-
mo la nostra identità non fa di noi de-
gli agenti segreti, ma ci serve per essere
più efficaci nella nostra missione.
Da quando è Responsabile
Maggiore?
Dal giugno 2007 e il mio mandato
decade nel giugno 2013 all’Assemblea
Generale.
Il compito di Responsabile
Maggiore è pesante?
La vita in genere non è leggera. Ho
preso questo peso nella mia vita come
tanti altri. Se siamo pronti ad accet-
tare la vita come dono, arriva sempre
anche la forza della grazia che aiuta a
superare le difficoltà.
Quali sono i problemi
attuali dell’Istituto?
Come tutti nella Chiesa, anche noi
Che cosa direbbe ad
una ragazza per spiegarle
la consacrazione secolare?
Sono solo due le condizioni: essere
innamorata nel mondo e innamorata
di Gesù Cristo. La prima significa
conoscere il mondo, dialogare con la
gente, cercar di capire i suoi problemi;
scoprire e vivere tutto ciò che è bel-
lo, buono, gioioso; vivere del proprio
lavoro, essere competenti, prendere la
responsabilità della propria vita.
La seconda significa donare tutto que-
sto a Dio, nel nome di Gesù, per la sal-
vezza degli altri. Ogni Istituto ha poi
Olga Krizova è nata in Slovacchia
ed è Responsabile Maggiore delle
Volontarie di don Bosco (VDB) dal 2007.
Gennaio 2013
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2.6 Page 16

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L’INVITATO
un carisma che gli è proprio, ma serve
solo a integrare la scelta principale.
La sua vocazione
com’è nata?
Sono nata in Slovacchia durante il re-
gime comunista. Tutto quello che oggi
significa libertà religiosa allora era vie-
tato. Le forme religiose si praticavano
in modo clandestino, rischiando il car-
cere. Nel 1967 ho incontrato un salesia-
no, professore di scuola superiore, che
dirigeva un folto gruppo giovanile. Mi
propose di fare gli Esercizi Spirituali in
montagna durante le vacanze. Eravamo
una ventina di giovani e fingevamo di
fare i turisti. Ma quando eravamo al si-
curo nella foresta, il professore ci teneva
le meditazioni. Facevamo lo stesso per
la Messa. Durante le serate cantavamo
e scherzavamo, come tutti i giovani.
Eravamo consapevoli del pericolo del
professore e dei suoi amici che, se sor-
presi, avrebbero corso il rischio di una
condanna a molti anni di carcere.
Questo grande amore verso noi, gio-
vani dei quali non si interessava nessu-
no, mi ha toccato moltissimo. Mi sono
detta, una notte: “Quando sarò ‘gran-
de’, farò lo stesso.” È stato il germe
della mia vocazione. Poi ho conosciuto
il nostro Istituto che era già presente in
Slovacchia. Ma certo non immaginavo
di arrivare dove sono adesso!
«Non è una vocazione facile, la nostra: essere
pienamente nel mondo, ma non del mondo».
Dida dida dida dida dida dida dida dida dida dida
dida dida dida.
Casa per ferie - Centro Congressi
Relax, Natura, Benessere
Via della Pisana, 1111 00163 Roma - tel: +39 06658751 - E-mail: salesianum@sdb.org - www.salesianum.it
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Gennaio 2013

2.7 Page 17

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AFANMNOIGDLIEALSLA LFEESDIEANGAIOVANE
TCOHNIAINRAO BLAERSTCAOTNOI
Noemi Bertola
Nuova Coordinatrice Mondiale dei Salesiani Cooperatori
Grembiule e fiocco tra i capelli
quando frequentava la scuola
delle FMA a Roma, tailleur
antracite per la nominata a
Coordinatrice Mondiale dei
Salesiani Cooperatori. Noemi
Bertola è sorridente e commossa
quando sente pronunciare il suo
nome, prima donna alla guida
dell’Associazione.
Dal ’90, anno del suo ingresso tra i
cooperatori, si è sempre spesa nel lo-
cale prima, poi nella segreteria e infine
prendendo le redini consegnate dall’u-
scente Rosario Maiorano.
Da 40 anni divide pane e fede con
il marito, poi sono arrivate le figlie.
Loro per prime hanno sperimentato
l’amorevolezza salesiana in casa, oggi
tocca ai 4 nipoti.
Che cosa significa
Coordinatrice Mondiale?
Una chiamata impegnativa, un onore,
ma certamente anche un profondo ser-
vizio all’Associazione che ama come
una seconda famiglia. Don Pascual ha
chiesto ai cooperatori di uscire dalle
sacrestie per incidere con i fatti in una
società sempre più articolata. “Il pro-
gramma dei prossimi anni è soprat-
tutto nella volontà di far conoscere,
approfondire, amare e vivere il nostro
Progetto di Vita Apostolica – spiega la
Coordinatrice – perché tutti i Salesia-
ni cooperatori del mondo siano in pro-
fonda sintonia fra loro e attraverso lo
strumento del Progetto di Vita Apo-
stolica portino a Cristo i giovani per
essere fedeli al motto impresso nel no-
stro distintivo “Da mihi animas coe-
tera tolle”. Poi aderire il più possibile
al profilo del Salesiano cooperatore
che ci ha tracciato il Rettor Maggio-
re nel suo intervento al 4° Congresso
mondiale dell’Associazione: uomini e
donne che testimoniano Cristo con il
cuore di don Bosco ai giovani in una
società in continua trasformazione,
multireligiosa, multietnica, mina-
ta da un relativismo etico che rischia
di rovinare soprattutto le persone più
fragili, indifese e deboli come sono
spesso i ragazzi e le ra-
gazze abbandonati a se
stessi”. I ragazzi di oggi,
come quelli di don Bosco
nell’Ottocento, at-
tendono di essere
compresi, affian-
cati, sostenuti e
soprattutto amati
da educatori pre-
parati e credibili
nella loro testimo-
nianza di vita.
Che cosa ti piace
dello stile salesiano?
Sono cresciuta in una scuola del-
le FMA e ho “vissuto” sulla pelle la
bellezza pedagogica del Sistema Pre-
ventivo che ho poi cercato di portare
nella mia vita con i giovani che mi
sono passati accanto, a cominciare
dalle mie figlie!
Un’immagine per
raccontare i cooperatori…
I cooperatori sono come “gli operai
della vigna”, sono pronti a lavorare
con entusiasmo, passione, abnega-
zione, competenza… ma a volte non
sono consapevoli di appartenere ad
una grande Associazione di respiro
mondiale e perdono un po’ di vista
il senso di famiglia. Penso che nei
prossimi anni uno degli obiettivi sarà
proprio instillare il più possibile “l’or-
goglio” di essere Salesiani cooperatori
soprattutto nelle giovani leve dell’As-
sociazione. La nostra è una vocazione
laicale piena, soddisfacente, che dà un
senso alla vita: lavorare per i giovani
significa assicurare un futuro alla so-
cietà ed esserci con don Bosco e nella
Chiesa è impegnativo ma molto gra-
tificante.
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2.8 Page 18

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FINO AI CONFINI DEL MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
GERMANIA
Grohe AG
e Don Bosco
Mondo premiate
per la loro
cooperazione
(ANS - Berlino) – Lunedì 26 novembre a
Berlino l’impresa di sanitari tedesca Grohe
AG e l’ONG salesiana Don Bosco Mondo,
con sede a Bonn, hanno ricevuto il Premio
per l’Innovazione dal Ministero Federa-
le per la Cooperazione Economica e lo
Sviluppo. Insieme al Don Bosco Learning
Center di Kurla, Mumbai, guidato dal sa-
lesiano don Adolph Furtado, le due istitu-
zioni hanno sviluppato una collaborazione
esemplare dalla quale è nata l’Accademia
Grohe-Jal, impegnata nella formazione di
giovani idraulici e specialisti in gestione
delle risorse idriche. Il progetto permette
ad un grande marchio di contare su idrau-
lici ben formati, e ai giovani provenienti da
ambienti molto poveri di trovare dei buoni
posti di lavoro. Quasi tutti gli studenti
usciti dall’accademia riescono a trovare un
lavoro al termine della formazione; altri,
proseguendo gli studi, raggiungono qualifi-
che ancora superiori.
PORTOGALLO
BS 534:
innovazione
e attenzione
sociale
(ANS - Lisbona) – Il Bollet-
tino Salesiano del Portogal-
lo è stato pubblicato con
una rinnovata impostazione
e veste grafica, dal formato
più ampio, con maggiore
spazio per immagini di
qualità… La vera novità,
però, è che il numero 534
è uscito anche con una li-
mitata tiratura in linguaggio
braille, adatto ai lettori non
vedenti. Racconta il Diret-
tore, don Joaquim Antunes.
“Un salesiano cooperatore,
non vedente, chiese se
era possibile avere una
copia del BS in braille così
da essere informato sulle
notizie salesiane di cui è un
grande estimatore. Abbia-
mo ottenuto che la Camera
Municipale di Lisbona,
che ha un dipartimento di
braille, accettasse la sfida
e realizzasse 10 copie da
consegnare ad altrettanti
non vedenti. Lo stesso
direttore del dipartimento ci
ha elogiato!”.
MALI
La storia
di Renzo:
ai fornelli
anche durante
le vacanze
(ANS - Gao) – Nel mondo ci sono molti
exallievi di don Bosco impegnati e coinvolti
nel sociale ed in esperienze di solidarietà di
vario livello. Renzo Gabbarini, 65 anni, è
uno di loro. Cameriere e cuoco professioni-
sta, con grande voglia di servire e di vivere la
solidarietà, negli ultimi anni ha sfruttato il
periodo delle sue ferie, in autunno, per ade-
rire al progetto “Ridare la luce” promosso da
vari enti e ONG italiane per arginare la pia-
ga della cataratta tra la popolazione di Gao,
in Mali. Il suo compito è quello di preparare
da mangiare a medici e paramedici che
partecipano alla missione sanitaria. Cucinare
per 85 persone in condizioni estreme non è
semplice; ma ai fornelli Renzo fa gli stessi
miracoli che faceva mamma Margherita per
i ragazzi di Valdocco. Le sue, quindi, sono
vacanze di lavoro: “ma il sorriso di un bam-
bino che recupera la vista vale più di mille
soggiorni alle Maldive” ama dire l’exallievo
salesiano.
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2.9 Page 19

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CAMBOGIA
La “Fortezza
delle donne”
(ANS - Kep City) –
La comunità salesiana
in Cambogia ha aperto a novembre il suo
quarto centro dedicato all’accoglienza delle
ragazze e giovani donne delle comunità
povere, il convitto femminile “Banteay Srei”
– che significa Fortezza delle donne.
Il convitto potrà ospitare fino a 70 studen-
tesse del Centro di Formazione Professio-
nale Don Bosco di Kep City, che offre corsi
biennali per segretarie, operatori alberghieri
e sarte e di inglese e informatica.
L’opera è realizzata grazie al sostegno del
signor Piet de Visser che da 20 anni sostiene
i progetti educativi salesiani nel paese.
L’on. Satha, Governatore della Provincia
di Kep, ha espresso l’augurio “che questo
convitto sia davvero una fortezza reale per le
giovani donne... educare una donna è sempre
un grande investimento, garanzia di un buon
futuro per la nazione”.
PAKISTAN
Ricostruiti
tre villaggi,
riportata
la speranza
PERÙ
Campagna
per la Salute
(ANS - Pisco) – Dal 15 al
27 ottobre circa 90 pazien-
ti dell’ospedale “EsSalud”
di Pisco hanno beneficiato
della Campagna per la
Salute promossa dai
salesiani del Perù, nella
quale sono stati svolti vari
delicati interventi, come la
rimozione di ernie o tumori
addominali. È dal 2005
che i salesiani dell’Ispetto-
ria “Santa Rosa da Lima”
promuovono campagne
per la salute a favore dei
poveri, toccando negli anni
i villaggi della selva amaz-
zonica peruviana (a Datem
del Marañón e Pucallpa),
le montagne di Cusco e la
città di Piura. La tappa di
quest’anno, Pisco, è stata
voluta per aiutare la popo-
lazione povera della città,
che ancora risente i danni
del terribile terremoto del
2007. Vi hanno parteci-
pato 6 nuovi professio-
nisti sanitari, che hanno
deciso di aderire anche
alle prossime edizioni delle
campagne.
(ANS - Lahore) – A novembre 2012, dopo
8 mesi di lavori, tre villaggi del Pakistan
meridionale, distrutti dalle alluvioni del
2010, sono tornati ad essere abitabili. A
marzo scorso un’équipe di lavoro, convocata
dalla Procura missionaria salesiana svizzera
e composta dalla Nunziatura Apostolica,
i Gesuiti, una fondazione privata e l’opera
salesiana “Don Bosco Lahore”, ha ini-
ziato i lavori per ricostruire 150 case. Ai
salesiani, in particolare, è spettato curare
tutto l’arredamento (tavoli, letti e sedie) di
ogni casa e tutti i lavori di acciaieria e gli
impianti elettrici. 30 diplomati dell’opera
salesiana, insegnanti e supervisori hanno
lavorato anche con le alte temperature estive
per rispettare i tempi delle consegne. Oltre
che per la gratitudine della gente, grande
soddisfazione è venuta dal vedere il centro
Don Bosco promuovere, ancora una volta,
opere di bene che uniscono insieme cittadi-
ni cristiani e musulmani.
Gennaio 2013
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2.10 Page 20

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ARTE SALESIANA
NATALE MAFFIOLI
La basilica
di don Bosco
a Roma
Può essere
considerata,
e con ragione,
una raccolta di arte
contemporanea.
Sono presenti,
con opere
prestigiose,
i migliori artisti
italiani della prima
metà del XX secolo
Q uando il 12 settembre del
1952 fu posta la prima pie-
tra, il nuovo tempio, dedica-
to a don Bosco, era quasi in
aperta campagna. Costruito
su progetto dell’architetto
Gaetano Rapisardi (1893-1988), fu
consacrato il 2 maggio 1959 dal cardi-
nale Benedetto Aloisi Masella; buo-
na parte degli interni però era ancora
da realizzare, e solo nel 1964 l’edificio
fu ultimato secondo i piani originari.
Pur essendo una definizione impro-
pria, la basilica può essere considerata,
e con ragione, una raccolta di arte con-
temporanea. Sono presenti, con opere
prestigiose, i migliori artisti italiani
della prima metà del xx secolo.
Esternamente la basilica si presen-
L’imponente
facciata del
tempio dedicato
a don Bosco
a Roma.
La porta
centrale
è alta dieci
metri.
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Gennaio 2013

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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ta compatta, interamente rivestita di
travertino, fortemente chiaroscurata
da arcate e finestre rettangolari ed è
dominata dalle due cupole, di cui la
maggiore ha un diametro di circa 40
metri e il suo colmo è sovrastato da
quattro angeli, di tre metri d’altezza,
che sorreggono una corona sormonta-
ta da una croce; è un’opera di bronzo
dello scultore Alessandro Monteleone
(1897-1967).
Nella parte superiore della facciata
è inserito un altorilievo marmoreo,
opera di Arturo Dazzi (1881-1966),
raffigurante la gloria di san Giovanni
Bosco, dove il nostro Santo è circon-
dato da angeli e da giovani accom-
pagnati da un salesiano. A destra e a
sinistra dell’altorilievo, entro nicchie
e sott’archi, sono collocate sei statue
di marmo bianco di Carrara, raffigu-
ranti gli arcangeli Michele e Gabrie-
le di Ercole Drei (1886-1973), i santi
Francesco di Sales e Giuseppe Ca-
fasso di Giovanni Amoroso (1913-?)
e Antonio Venditti (1914-1981) ed i
papi Pio IX e Pio XI di Francesco
Nagni (1897-1977).
Nella facciata è incluso un portico,
con cinque porte bronzee; la centra-
le reca impresse a bassorilievo scene
della vita di don Bosco ed è alta 10
metri. Le due porte mediane sono ac-
compagnate da statue bronzee di an-
geli, opera di Eugenio De Courten
(1925-2009), mentre le due porte
estreme sono sormontate da statue
bronzee di Attilio Selva (1888-
Il solenne interno della basilica. Può essere
considerata una galleria d’arte moderna.
Gennaio 2013
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3.2 Page 22

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ARTE SALESIANA
re sono raffigurati i sette sacramenti e
le Opere di misericordia, realizzate su
cartoni di Bruno Saetti (1902-1984).
I cartoni delle vetrate per illuminare
altre parti della chiesa sono opera di
Rolando Monti (1906-1991), Virgilio
Guzzi (1902-1978) e Luigi Montana-
rini (1906-1998).
L’illuminazione interna è intensa e multicolore
grazie alle vetrate del tamburo delle due cupole.
1970), una raffigurante Cristo reden-
tore e l’altra san Giovanni Battista.
Sul versante opposto la facciata si ele-
vano due torri campanarie simmetri-
che, con una struttura essenziale in
cemento armato. Su una di queste è
collocato un concerto di nove campa-
ne in tonalità di Si bemolle maggiore.
L’interno è
un caleidoscopio di luce
L’interno della chiesa è, grossomo-
do, a pianta centrale, dove il vano
principale è sormontato dalla cupola
maggiore ed è separato dalla galleria
con gli altari laterali da una fitta se-
rie di pilastri impiallacciati di marmi
pregiati. Il presbiterio è segnato dal-
la presenza della cupola minore ed è
affiancato da due tribune; su quella
di sinistra è collocato il grandioso
organo, messo in opera nel 1959 con
oltre 5000 canne distribuite su 70
registri.
L’illuminazione interna, intensa e
multicolore, è demandata alle finestre
del tamburo delle due cupole e ai tren-
tadue grandi lampadari in vetro dora-
to, realizzati a Murano espressamente
per la basilica e decorati con motivi
floreali e teste alate di cherubini. Le
vetrate policrome della cupola grande
presentano scene desunte dall’Antico
e dal Nuovo Testamento e sono ope-
ra di Marcello Avenali (1912-1981) e
Lorenzo Bigotti; in quelle della mino-
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Gennaio 2013

3.3 Page 23

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Su pilastri liberi, verso il vano centra-
le, sono affisse le formelle in bronzo
della Via Crucis, opera di Venanzo
Crocetti (1913-2003). Il basso tam-
buro che corre sotto le finestre delle
due cupole è decorato con mosaici
realizzati su disegno di Augusto Ra-
nocchi (1931). Sulla grande cupola
sono raffigurati, con uno stile del tut-
to personale, alcuni sogni di Giovan-
ni Bosco, mentre sulla minore l’artista
ha rappresentato, stilizzandoli, diversi
simboli cristiani, alternati a scritte in
latino.
L’altare maggiore originario (collocato
alle spalle di quello realizzato in segui-
to alla riforma liturgica) è rivestito di
marmi preziosi; il tabernacolo spicca
su un fondo di ametista, sormontato
da un crocifisso argenteo di Pericle
Fazzini (1913-1987). Gli angeli che gli
fanno da corona e il tronetto a raggie-
ra sono opera dello stesso artista. Nel
1992 alcuni interventi di ammoder-
namento ad opera di padre Costan-
tino Ruggeri (1925-2007) portarono
all’eliminazione della balaustra e alla
collocazione di un nuovo altare e di un
ambone. Entrambi sono due monoliti
in marmo bianco di Carrara, con una
decorazione evocativa della liturgia
eucaristica e della parola di Dio.
Le vetrate illustrano scene bibliche, i sette
sacramenti e le opere di misericordia.
Il fondo del presbiterio è dominato da un mosaico
che raffigura San Giovanni Bosco in gloria
circondato da santi, beati e personalità insigni
della famiglia salesiana.
Il grande mosaico
Il fondo del presbiterio è dominato
da un mosaico raffigurante san Gio-
vanni Bosco in gloria circondato da
angeli, da santi, da beati e da perso-
nalità insigni della famiglia salesiana
ed è opera di Giovanni Brancaccio
(1903-1975). Fiancheggiano l’opera
otto bassorilievi, raffiguranti alcuni
episodi determinanti nella vita del
nostro Santo, opera di autori diver-
si, tra cui Alessandro Monteleone,
Francesco Nagni e Luigi Venturini
(1912-1998).
Lungo le pareti perimetrali sono al-
lineati dodici altari, racchiusi entro
cappelle poco profonde e tutti arric-
chiti da dipinti sormontati da basso-
rilievi di pregevole fattura, realizzati
dai più significativi artisti del Nove-
cento italiano.
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3.4 Page 24

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A TU PER TU
LINDA PERINO dal Boletin Salesiano Chile
Dagli AppeanllneiAninde
Incontro con
don Alberto Lorenzelli
Un anno fa, l’Ispettoria salesia-
na del Cile dedicata all’arcan-
gelo Gabriele incominciava
l’anno con una grossa sorpre-
sa: il nuovo ispettore arrivava
dall’Italia. Il Rettor Maggiore
aveva designato don Alberto Loren-
zelli, ispettore della Circoscrizione Ita-
lia Centrale con sede a Roma.
Don Alberto Lorenzelli, nato in Ar-
gentina nel 1953, da genitori italiani,
dopo aver frequentato il noviziato di
Pinerolo, ha emesso la sua prima pro-
fessione come salesiano di don Bosco
nel 1973. Ordinato sacerdote il 24
gennaio 1981, don Lorenzelli è stato
Ispettore dell’Italia Ligure Toscana e
poi della Circoscrizione Italia centrale.
Congiuntamente alla notifica della
nomina, il Rettor Maggiore ringrazia-
va don Lorenzelli per la disponibilità
apprezzandone “la lunga esperienza
come Ispettore, la buona conduzione
della nuova Circoscrizione dell’Italia
Centrale, la chiarezza delle scelte di
animazione e di governo, la sua forma
di gestire situazioni difficili, e, nello
stesso tempo, la bontà e paternità con
cui si è rapportato ai Confratelli”.
Qual è stata la tua prima
impressione quando
il Rettor Maggiore ti ha
chiesto di andare in Cile
come ispettore?
Come un fulmine a ciel sereno. Don
Pascual ha incominciato invitandomi
ad avere un cuore aperto e disponibi-
le. E guardai con gli occhi della fede
questa nuova obbedienza. Dalla prima
volta che ero diventato superiore cercai
di mettere in pratica le parole di don
Bosco: «Nessuno può comandare se
prima non è stato capace di obbedi-
re». Grazie a tanti santi salesiani che
mi hanno dato l’esempio ho imparato
a dire sempre sì a Dio e far mia con as-
soluta libertà la frase del Padre Nostro:
«Sia fatta la tua volontà».
Che cosa sapevi del Cile
e dell’Ispettoria
San Gabriele Arcangelo?
Conoscevo bene la bontà e la solida-
rietà della gente cilena, la ricchezza
e la bellezza della sua natura, della
sua cultura (attraverso Pablo Neruda,
Gabriela Mistral e tanti altri), i suoi
frutti di santità (ricordo in particolare
sant’Alberto Hurtado, l’apostolo degli
operai e dei giovani).
Non sapevo molto dell’Ispettoria, ma
questa è la terra dei primi grandi mis-
sionari salesiani: il cardinal Cagliero,
monsignor Fagnano, monsignor Co-
stamagna, poi la stupenda figura di
don Berruti, la capacità intellettuale
e di governo di don Egidio Viganò,
la prestigiosa personalità del cardinal
Raùl Silva Henriquez. Ma ora sen-
to questa ispettoria come veramente
mia e voglio donare tutto me stesso
ai miei fratelli salesiani, alla Famiglia
Salesiana e ai giovani cileni.
Come hai conosciuto
i salesiani?
Sono cresciuto nell’Oratorio sale-
siano di San Justo nella provincia di
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Gennaio 2013

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Ora dedico la mia vita
all’Ispettoria del Cile e ai giovani
di questo meraviglioso paese
Buenos Aires in Argentina e mi sono esserci la vita dei giovani. Per loro e
diplomato nell’Istituto Salesiano Ve- con loro vogliamo offrire la nostra
spignani di Ramos Mejìa. Quando esistenza “fino all’ultimo respiro”.
la mia famiglia è tornata in Italia nel
1972 ho deciso di entrare in Novizia-
to per diventare salesiano.
Com’è stato il primo
impatto con la tua nuova
Ispettoria?
Qual è il primo messaggio
che hai inviato alla tua
nuova Ispettoria?
Come lo sognavo. È un’Ispettoria
molto viva e ricca di salesiani moti-
vati, creativi e geniali. Ci sono ope-
La nostra è una grande famiglia erede re di grande respiro e complessità.
del carisma di don Bosco e della sua Con magnifiche realizzazioni. Basta
passione educativa. Di questo siamo pensare alla Pastorale Giovanile, al
debitori alla Chiesa e al mondo. In una Bollettino Salesiano, alle librerie, alle
presenza educativa che nello spirito di scuole professionali, agli oratori. Re-
famiglia instaura relazioni sempli- centemente è finita in prima pagina la
ci e positive, basate sulla confidenza, Fundación Don Bosco, uno dei mol-
nell’impegno quotidiano per costruire
la civiltà dell’amore. In un clima di
gioiosa felicità, nel quale si esprimono
alcune delle caratteristiche principali
che ci permettono di accompagnare i
giovani nel processo di crescita e ma-
turità fino alla santità della vita. Tutto
questo richiede a ciascuno di noi di
porre Gesù al centro della nostra vita
ed esige una consacrazione salesiana
autentica, significativa e credibile.
Oggi, più che mai, è necessaria una
ventata di novità per aprire orizzonti
nuovi. Al centro della nostra vita deve
ti frutti nati dal carisma salesiano in
Cile. Essa si occupa di accompagnare
la crescita umana delle persone che si
trovano in situazioni di difficoltà ed
esclusione sociale, attraverso dei pro-
grammi educativi sviluppati secondo
la prospettiva salesiana. Una trasmis-
sione televisiva ha riportato nei giorni
scorsi la storia di una donna aiutata
dalla Fondazione.
Quattro anni fa, Rosa Queipul, si-
gnora quarantenne di Santiago, vi-
veva insieme ai suoi due figli in una
macchina abbandonata nel centro
della città. Nella sua esistenza aveva
sperimentato l’abbandono, la povertà,
l’abuso e la vita di strada. Un giorno
casualmente incontrò i professionisti
del programma “Adulti di strada” del-
la Fundación Don Bosco e da allora
la sua vita è profondamente cambiata,
tanto che oggi è una lavoratrice auto-
noma nel settore gastronomico e ge-
stisce una casa alloggio.
Don Alberto Lorenzelli ad una inaugurazione:
«La chiamata del Rettor Maggiore è stata come
un fulmine a ciel sereno».
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ESPERIENZE
LINDA PERINO
Il nostro nome
è vita
«L a nostra associazione
ha un centro operativo
a Biancavilla, un pae-
se in provincia di
Catania, situato alle
falde dell’Etna, dal
quale si irradiano le sue attività in un
territorio che non ha limiti se non quelli
voluti da Dio».
Incontro con il leader e fondatore di
un gruppo musicale e teatrale fuori
dell’ordinario, in stile totalmente sa-
lesiano.
Anche all’aperto, il gruppo CGS Life evangelizza
con un inconfondibile stile di animazione
musicale.
Quand’è nata l’idea
di un complesso musicale
vocale e strumentale?
Raccontate la vostra storia.
Il nostro gruppo non è solo un com-
plesso musicale vocale e strumentale,
ma è anche teatrale. Questo gruppo
nasce con Armando Bellocchi, segui-
to poi da altri ragazzi che hanno vo-
luto far parte del gruppo.
Il gruppo è nato nel 1975 come mo-
mento di confronto musicale ed arti-
stico tra adolescenti di differente età,
credo politico ed estrazione sociale.
Grazie alla tenacia ed allo spirito di
dedizione di tutti coloro che in esso
hanno creduto e che per esso hanno
sognato grandi cose, la sua identità si
evolve e va maturando nel tempo.
Gli orizzonti di questo gruppo si
aprono alla scelta dell’ideale evan-
gelico, vissuto e concretizzato nel
carisma salesiano e nell’adesione allo
stile di volontariato verso i più gio-
vani, secondo lo spirito di san Gio-
vanni Bosco.
Qual è esattamente
il vostro nome d’arte?
Il nostro nome d’arte è C.G.S. Life.
Questo nome nasce quando il gruppo
nel 1984 aderisce ad un’associazione
a carattere nazionale cioè C.G.S. che
significa: Cinecircoli Giovanili So-
cioculturali, che si pone come finalità
di contribuire alla promozione inte-
grale, personale e sociale dei giovani.
Chi siete?
Noi siamo un gruppo attivo, la nostra
attività pratica è considerata un mezzo
di apostolato e di evangelizzazione e
comprende: editoria, animazione, pro-
duzione di spettacoli teatrali ecc. Tale
attività è prevalentemente musicale, ed
ha portato in questi anni alla realizza-
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zione di diversi musical, totalmente ori-
ginali nella stesura dei testi, delle mu-
siche e degli arrangiamenti; a questi, si
affiancano anche altri spettacoli riela-
borati o tradotti da noi stessi, come: Je-
sus Christ, Godspell, Ecce Agnus Dei.
La scelta dello spettacolo musicale,
come mezzo di evangelizzazione, vie-
ne privilegiata perché è un linguaggio
multimediale ricco, che può arrivare
a tanti, e spesso colpisce più di una
semplice conferenza.
Quali sono le motivazioni
che vi guidano?
Le motivazioni sono varie, ma quella
principale è l’evangelizzazione, non
solo quella attraverso i musical, ma
anche quella su strada, nei pub e nella
nostra quotidianità; la guida è Dio,
noi siamo solo strumenti nelle Sue
mani, impariamo a crescere insieme,
ad accettare i difetti che ogni uomo
ha e ad aiutarci a vicenda a crescere
nella fede. Ognuno mette a disposi-
zione quello che può e dove non arri-
viamo noi, arriva Dio.
Quali sono le vostre attività
come gruppo?
Le nostre attività sono varie, inizio a
parlarvi degli incontri di formazione
(catechesi) dove siamo divisi in grup-
pi di età diverse. Questi incontri di
formazione toccano quattro aree fon-
damentali: la persona, l’incontro con
Cristo, l’inserimento nella comunità
ecclesiale ed infine la vocazione. Gli
itinerari formativi per gli adolescenti
tendono anche a potenziare l’accetta-
zione e la scoperta di sé, in relazione
agli altri e a Dio. A questi incontri,
si affiancano gli incontri di preghie-
ra che, svolti a conclusione delle at-
tività del sabato, sono un momento
privilegiato di dialogo comunitario
con Gesù. Essi danno l’opportunità
di esprimere attraverso la preghiera
paure, gioie ed emozioni vissute nel
quotidiano. Infine nel periodo estivo,
il gruppo dedica un momento comu-
nitario, lasciando la propria sede per
spostarsi altrove. Questo momento è
il “Campo”, la scelta del luogo è im-
portante in quanto deve offrire ampi
spazi che favoriscano la meditazione
personale, e deve avere anche una
cappella, con la presenza del santissi-
mo, per il dialogo con Dio. Il campo
ha poi una sua peculiarità, quella di
essere nato come “Campo Espressio-
ne”, questa è una caratteristica che
permette di aiutare i partecipanti a
riflettere su un argomento proposto,
ed esprimersi con creatività e fantasia.
L’argomento generale del campo vie-
ne scelto secondo le esigenze di for-
mazione del gruppo; ogni giorno vie-
ne introdotto brevemente un aspetto
del tema, per dare l’input necessario
alla riflessione, che può avvenire sin-
golarmente o in gruppi; con ciò si ha
Il gruppo durante l’animazione delle Giornate di
Spiritualità Salesiana: «La guida è Dio, noi siamo
strumenti nelle sue mani».
un arricchimento reciproco.
Il campo così organizzato ha anche
dei vantaggi che sono: far prendere ai
partecipanti coscienza delle proprie
potenzialità, per metterle poi a di-
sposizione degli altri e far partecipare
attivamente anche la persona più ti-
mida. Il campo è quindi per il gruppo
un momento di libera creatività, di
formazione spirituale, di aggregazio-
ne comunitaria ed, infine, testimo-
nianza gioiosa dell’esperienza vissuta
con Dio e con i fratelli.
In seguito, come attività, cerchiamo
di aiutare i ragazzi del paese andan-
doci incontro attraverso l’Oratorio nel
periodo invernale e il Grest nel perio-
do estivo.
Come pensate
il vostro futuro?
In questi anni, quello che noi sognava-
mo da ragazzi circa 37 anni fa è stato
superato dal sogno di Dio quindi, se
Dio vuole, questa esperienza continua
e, come diceva don Bosco “vado avanti
come il cuore mi suggerisce”.
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3.8 Page 28

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LE CASE DI DON BOSCO
O. PORI MECOI
Chiari nardino i monaci dell’abbazia di santa Maria
Maddalena di Marsiglia. Danno particolare im-
portanza al loro stile di celebrazioni liturgiche: il
giovane Battista Montini veniva spesso a Chiari
ospite di amici della famiglia e frequentava vo-
lentieri la chiesa “affascinato” da queste celebra-
zioni. Diventato Papa, nel 1964 ricevendo alcuni
benedettini francesi ricordò l’esperienza vissuta a
Chiari con queste parole: “Io ero come in estasi, è
Come, grazie ai salesiani, un ex convento dalla stato senza dubbio là che Dio ha fatto nascere nel mio
gloriosa storia è diventato un centro spirituale
e culturale amato e stimato da tutti
cuore i primi aneliti ad una vita consacrata al suo
servizio”. Parole in francese riportate sulla lapide
(sulla facciata della chiesa).
I benedettini dopo la prima guerra mondiale spe-
«T ra gli universitari eccellenti spic-
cano in assoluto i diplomati al
liceo scientifico San Bernardino
di Chiari». Lo attesta una recen-
te ricerca della Statale di Milano
sulle scuole superiori da dove
ravano di poter tornare a Marsiglia, ma l’abbazia
non fu restituita. Accettarono allora l’offerta di ria-
prire l’antica abbazia di Hautecombe in Savoia e
il trasferimento da Chiari fu approvato il 4 aprile
1922. Un abate ricordato per molti anni per san-
tità e dottrina fu Dom Gregorio Gauthey, sepolto
vengono gli studenti più bravi e veloci nel dare nel cimitero di Chiari.
gli esami.
Le austere mura del convento ebbero certamente
Chiari, ventimila abitanti, si trova in una zona un sussulto all’arrivo chiassoso dei successivi pa-
pianeggiante della provincia di Brescia, perfetta-
mente equidistante da Brescia e Bergamo.
Una veduta della
parte “storica” del
San Bernardino.
L’opera dei
Salesiani è un
piacevole mix tra
antico e moderno.
Una gloriosa storia
Non l’avrebbe certo immaginato il buon fra Bona-
ventura Piantanida che questo sarebbe stato uno
dei frutti delle sue prediche con cui, cinquecento
anni fa, aveva fatto rifiorire la vita cristiana e la
pace a Chiari. Come riconoscenza la Comunità
aveva costruito un convento ed una chiesa, li ave-
va donati ai Padri Francescani dell’Osservanza e
li aveva dedicati a san Bernardino.
Per tre secoli e mezzo furono fedeli a tale mis-
sione i Francescani e, successivamente, dopo la
loro soppressione, il convento subisce varie vicen-
de: scuola dei Gesuiti (1842), seminario vescovile
(1850-51), fabbrica e deposito di prodotti chimici,
saponi e concimi (1874).
Espulsi dalla Francia, trovano rifugio a san Ber-
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droni di casa: nel 1926, arrivarono i Salesiani di
don Bosco.
Essi fecero di San Bernardino un centro popolare
di devozione e di pastorale, specie per la popola-
zione che andava moltiplicandosi intorno al con-
vento.
Ne nacquero una forte empatia e amore vicendevo-
le. San Bernardino se lo sentirono come una cosa
propria e passò a denominare lo stesso quartiere.
Con i Salesiani il convento è diventato la casa di
tutti con la scuola paritaria e con l’oratorio. La
chiesa è diventata la chiesa della comunità e,
come tale, curata, ornata e frequentata.
I Salesiani aprirono un noviziato, che dopo due
anni divenne “aspirantato” piccolo seminario sa-
lesiano, inaugurato dal beato Filippo Rinaldi,
settimo successore di don Bosco, che tra il 1926 e
il 1927 è venuto tre volte a Chiari.
Dal 1928 fin verso la fine degli anni ’60 ben cin-
quecento giovani circa andarono in noviziato dai
Salesiani o nei seminari delle diocesi o scelsero
altre Congregazioni. Una volta professi, un centi-
naio almeno partì per le missioni.
Fra questi si ricordano cinque vescovi felici e vi-
venti: monsignor Giovanni Zerbini in Brasile,
monsignor Ignazio Bedini in Iran, monsignor Ni-
cola Cotugno in Uruguay, monsignor Francesco
Panfilo in Nuova Guinea e monsignor Luciano
Capelli nelle Isole Salomon. In San Bernardino
maturarono la loro vocazione salesiana e fecero la
loro iniziale formazione il Rettor Maggiore don
Egidio Viganò ed un buon numero di Ispettori
Salesiani.
Del corpo docente dell’aspirantato fece parte il
salesiano servo di Dio don Elia Comini, martire
della carità, durante la Seconda Guerra Mondia-
le, trucidato dai nazifascisti nell’eccidio di Pioppe
di Salvaro il 1° ottobre 1944, Medaglia d’Argento
al Valor Civile.
Gli studenti del
Liceo di Chiari in
USA durante uno
scambio culturale
con i coetanei
americani.
Solidità e rinnovamento
Nel 1971 la scuola media diventa legalmente ri-
conosciuta e si apre alla popolazione scolastica del
territorio. All’inizio del nuovo secolo, per la ri-
chiesta di molte famiglie ed anche per l’ampiezza
dello spazio disponibile, la scuola Media si com-
pleta con la Primaria, con il Liceo scientifico e
l’Istituto professionale (Grafico Pubblicitario).
Vengono costruiti nuovi edifici: il palazzo della
scuola superiore, il centro giovanile e la palestra
cui si aggiunge, nel gennaio 2011, una struttura
coperta per i grandi eventi.
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3.10 Page 30

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LE CASE DI DON BOSCO
L’opera di Chiari
pullula di campi,
spazi e attività
per ragazzi e
giovani. La città
ha conferito la
cittadinanza
onoraria ai
Salesiani.
Durante gli anni ’50, per iniziativa del compianto
don Silvio Galli, prende corpo un’attività a favore
dei poveri e, oggi, di molti extracomunitari. Dap-
prima fu unicamente lo spirito generoso di don
Galli cui seguì la fondazione dell’Associazione
“Auxilium” che si prende cura di questa prima
accoglienza: un gruppo di volontari, in maggio-
ranza Salesiani Cooperatori hanno intrapreso la
via della carità e continuano l’opera di sostegno e
accoglienza dei poveri che quotidianamente bus-
sano per i bisogni primari.
Nel 1968 il Prevosto di Chiari, monsignor Gui-
do Ferrari, volle che, accanto alla Curazia, fosse-
ro aperti gli Oratori maschile e femminile, l’uno
affidato ai Salesiani e l’altro alle Figlie di Maria
Ausiliatrice. Nel 1998 venne firmata una conven-
zione tra il Vescovo e l’Ispettoria in cui vengono
determinati i rapporti tra la Curazia di San Ber-
nardino e l’unica parrocchia di Chiari.
Nel 1971 vennero riconosciute legalmente le
Scuole. Venuto meno l’aspirantato, la scuola si
aprì al territorio come scuola cattolica e venne
completata nel 1995 con il Liceo scientifico e nel
2001 con la scuola primaria.
Nel 2004 è stato istituito l’Istituto professionale
per operatori delle Arti Grafiche. Nel 2002-04
sono state riconosciute tutte paritarie.
Allo sviluppo istituzionale è corrisposto lo svi-
luppo edilizio con la costruzione di una nuova
palestra intitolata a “don Elia Comini” e di una
nuova ala per l’Oratorio e la scuola secondaria di
secondo grado.
Il tutto immerso in ampi spazi verdi, un piccolo
bosco e diversi campi sportivi. L’ortaglia e la cam-
pagna vennero trasformati in campi per l’attività
motoria, ricreativa e sportiva per i giovani. A indi-
care la protezione celeste vennero collocati una sta-
tua bronzea di san Domenico Savio e due grandi
medaglioni in terracotta di Maria SS. Ausiliatrice
e di don Bosco, opera dello scultore don Marco
Melzi.
Alla fine degli anni ’60 del Novecento è sorto il
“Centro Auxilium” con la duplice finalità di aiu-
tare i poveri e sostenere i missionari salesiani. La
struttura è stata benedetta dal Rettor Maggiore dei
Salesiani don Juan Vecchi il 10 novembre 1996.
Il 10 Novembre 1996 il Consiglio Comunale di
Chiari ha attribuito la cittadinanza onoraria ai Sa-
lesiani in occasione del settantesimo della loro pre-
senza in città. Era presente alla solenne cerimonia
il Rettor Maggiore dei Salesiani don Juan Vecchi,
ottavo successore di don Bosco. Nonostante l’av-
vicendarsi delle situazioni e i ripetuti adattamen-
ti, il succedersi dei tempi e l’incuria, le mura del
convento hanno retto e son giunte ai nostri giorni
forti, tanto erano state costruite solidamente.
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Gennaio 2013

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
Lo spirito e il pane salesiani
Da oltre cento anni quella dei Salesiani
è una presenza costante nella piccola
Betlemme dove nacque Gesù, circa 30
chilometri da Gerusalemme. Era la se-
conda metà dell’Ottocento e la cittadina
era ancora sotto il dominio dell’impero
Ottomano, quando XXX, sacerdote del
Patriarcato Latino di Gerusalemme poi missionario salesiano e oggi Beato, uomo sensibile e attento
alle esigenze dei più infelici e meno abbienti, riuscì a creare un oratorio che si trasformò in Orfanotrofio
Cattolico. Lì vi accoglieva ragazzi cristiani poveri e abbandonati per dare loro una buona preparazione spi-
rituale ed insegnare una professione. Girò l’Europa per trovare aiuti e finanziatori al suo progetto e quando
conobbe don Bosco e il suo lavoro a favore dei ragazzi decise di chiedergli sostegno. Il Santo gli promise
che i Salesiani si sarebbero recati in Palestina per aiutarlo e così fu: nel 1891 giunsero a Betlemme i
primi missionari di don Bosco. Alcuni dei Fratelli della Sacra Famiglia (la comunità del sacerdote) se ne
andarono ma altri rimasero, si fecero salesiani e continuarono a dar vita alla Casa di Betlemme. All’inizio
era una semplice Scuola Agricola, poi scuola di Arti e Mestie-
ri e fino al 1968 funzionò come scuola media ed elementare
a cui si affiancarono attività pastorali, ludiche ed educative.
Per vivere l’evento della nascita di Cristo fu istituito nel 2000
un Museo Internazionale della Natività e per garantire le basi
dell’alimentazione viene distribuito il pane del Forno Salesiano
a tutte le famiglie bisognose. Questo è il sogno che desiderava
realizzare, oggi un monumento a lui dedicato lo ricorda come
Padre degli Orfani e tanto buono fu il suo operato da farsi ama-
re da tutti, cristiani, turchi, scismatici e musulmani.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Il digestivo che
si sorseggia a fine pasto - 6. Miseri-
cordia - 11. Un linguaggio informatico
- 16. XXX - 19. Il Lamberto econo-
mista e politico - 20. Ritornello - 21.
... Grant distilleria scozzese di single
malt whisky - 22. Rabbia, furore - 23.
Liquido che essuda dalle ferite infiam-
mate - 24. La stagione delle ferie - 26.
Inizio e fine del secolo - 27. Si ripeto-
no nella samba - 28. Formaggio - 30.
Lo è abito del sacerdote - 32. Comu-
ne del casertano attraversato dalla via
Appia - 34. Il pistolero protagonista di
molti western all’italiana - 36. Tronca-
to, mozzato - 38. Casa editrice specia-
lizzata in testi scolastici - 41. Le prime
di 21 - 42. Vi si tenne una storica con-
ferenza tra Roosevelt, Stalin e Churchill
(j=i) - 43. Risiedevano sul monte Eli-
conia - 44. Salerno - 45. Religiosi,
devoti - 46. La classica ciliegina sulla
torta... in latino.
VERTICALI. 1. Vi si sta quando si
dorme all’aperto - 2. La più popolare
degli Orfei - 3. La madre della Vergine
- 4. Trasmette dal 1954 - 5. Onorevole
(abbr.) - 6. Si contrappone alla prosa -
7. Tra le grinfie! - 8. L’Irlanda... in irlan-
dese - 9. Coppia di fette di pane farcite
e abbrustolite - 10. Dimorare - 11. I
confini di Bristol - 12. Fa parte del Ma-
ghreb - 13. Una nota - 14. La Sastre
attrice e modella - 15. Paura esagerata
dei cani - 17. L’inganno del prestigia-
tore - 18. Era un ente pubblico per il
dopolavoro - 23. Il Blaise considerato,
tra l’altro, l’inventore della calcolatrice -
25. Il più celebre personaggio di Edgar
Rice Burroughs - 28. Località lombar-
da nota per l’industria mobiliera - 29.
Organizzazione senza scopo di lucro
- 31. Un po’ di energia! - 32. Freddo
a Londra - 33. Lo è Giarabub - 35. Al-
legri, lieti - 37. Iniziali di Asimov - 39.
Un grado militare - 40. Rifiuti Solidi
Urbani - 43. Si ripetono nei miasmi -
45. Attraversa la Pianura Padana.
Gennaio 2013
31

4.2 Page 32

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Strategie pedagogiche
L’arte di educare
conosce alcune strategie,
alcune ‘astuzie’
pedagogiche sagge e valide
Secondo il nostro stile che non
ama i gargarismi, ecco subito
qualche esempio.
Uno dei più diffusi tormentoni
delle mamme italiane è riusci-
re a far mangiare il bambino.
Ebbene, vogliamo che mangi? Non
supplichiamolo perché mangi! Prati-
chiamo, cioè, la strategia dell’in-
differenza.
Insistere tanto sul mangiare significa
mettere in mano al piccolo un’arma
con cui ricattarci, un’arma che il bam-
bino saprà usare in tutti i modi, pur di
attirare su di sé la nostra attenzione.
Mostrandoci indifferenti, invece, sia-
mo noi a tenere la situazione in mano.
“Non mangi? Va bene lo stesso! Man-
gerai quando avrai fame!”.
Calme, mamme! Nessun pericolo che il
bimbo muoia di fame! Garantito! All’i-
stinto della fame non si può resistere!
Fino a questo momento, nessun bam-
bino al mondo, avendo del cibo a di-
sposizione, è morto di fame! Quando
avrà fame, il bambino mangerà!
Vogliamo far arrivare qualche mes-
saggio al figlio adolescente?
Pratichiamo la strategia del meto-
do indiretto.
Tutti sappiamo che gli adolescenti fan-
no cortocircuito con il metodo frontale
che li prende di mira in modo diretto
(il maledetto metodo della ‘predica’!).
Dunque, se vogliamo dire qualcosa
al ragazzo (e qualcosa dobbiamo pur
dirgli, per non essere genitori pura-
mente ‘allevatori’ ma anche ‘educa-
tori’!), parliamogli senza chiamarlo
direttamente in causa.
Esempio: siamo a tavola, parliamo tra
noi, madre e padre, sul programma
televisivo visto ieri sera e diamo il no-
stro giudizio negativo sulle parolacce,
sulla violenza, sul sesso sfacciato… Il
figlio, mentre continua a mangiare la
pastasciutta, sente e viene a conoscere
qual è il nostro quadro valoriale che,
forse, non collima con quello degli
insegnanti e degli amici. In tal modo
abbiamo parlato al figlio, senza susci-
tare la reazione tipica dell’adolescente!
Molto vicina alla strategia del metodo
indiretto è la strategia della chiac-
chierata informale.
Siamo in piazza e stiamo parlando del
più e del meno con un gruppo di co-
noscenti ed amici.
32
Gennaio 2013

4.3 Page 33

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QUESTO DICO AL FIGLIO CHE NE DITE?
“Se stai solamente con chi la pensa come
te, tanto vale vivere con i pappagalli!”.
“Non lasciarti imbottigliare dal vino!”.
“È meglio mostrare la testa che l’ombe-
lico”.
“Chi vince gli altri è muscoloso. Chi vin-
ce se stesso è forte”.
“Non c’è niente d’intelligente ad esser
triste”.
“Non curarti dei commenti, se in regola
ti senti”.
“Grinta e coraggio ci mantengono in
vantaggio”.
“Dove entra il bere, esce il sapere”.
Ad un tratto il figlio, che ha scoraz-
zato di qua e di là, si avvicina e sente
(meglio: ascolta!) le nostre opinioni
sulla politica, sulla religione, sulla so-
cietà d’oggi...
È incredibile l’influsso che possono
avere sull’animo del figlio le nostre
parole dette spontaneamente, senza
filtro!
Ha tutte le ragioni il semiologo e
scrittore Umberto Eco a dire “credo
che si diventi quello che ci ha insegnato
nostro padre nei momenti morti mentre
non si preoccupava di educarci”.
Altro esempio di strategia pedagogica
è quella della reazione morbida.
Il bambino strepita? La madre gli ri-
sponde con tutta calma (facile dirlo!):
Non capisco niente! Se non abbassi la
“Se i genitori riuscissero soltanto a capire quanto annoiano i figli!” (Bernard Shaw).
“A 27 anni al massimo, buttateli fuori di casa, come ho fatto io. Un giorno vi ringrazieran-
no” (Maria Luisa De Rita).
“Un sorriso al bambino è meglio del pannolino ben sistemato” (Benjamin Spock).
“A volte curo la madre ed il bambino guarisce” (Marcello Bernardi).
“Come terapia indico dieci chilometri di bicicletta assieme al padre, ogni domenica. Il
tempo con il padre è una cosa fondamentale!” (Giovanni Bollea).
voce, le mie orecchie sono sorde”.
Il bambino fa capricci? La madre re-
sta tranquilla (anche qui, facile a dir-
lo!), continua a stirare calma e serena,
tutt’al più una carezza sul capo.
Questa è la strategia della reazione
morbida.
Dicono che, sovente, funzioni; certo
è una strategia intelligente: risponde-
re al capriccio del bambino con una
nostra escandescenza è come voler
spegnere il fuoco, versandovi sopra
benzina!
Attenti ai tempi morti
Forse educhiamo quando meno pen-
siamo di educare.
Subito la prova: il padre incontra per
strada un bisognoso che chiede aiu-
to: gli posa due euro sulla mano tesa,
mentre il figlio vede; la madre è in
chiesa: prega in silenzio, concentrata,
intanto il figlio osserva.
Ecco due esempi di splendida educa-
zione non direttamente voluta, educa-
zione che supera di gran lunga quella
realizzata con una valanga di parole
sull’amore del prossimo e sulla fede in
Dio.
Rientrano anche nella strategia dei
‘tempi morti’ le parole che lasciamo
cadere senza preavviso, come la cosa
per noi più naturale del mondo. Men-
tre siamo a tavola, il papà, ad un trat-
to, dice: “Le parolacce sono come il raglio
dell’asino nel bel mezzo di un concerto!”.
La madre, vedendo la reclame di un
parrucchiere, esclama: “Non basta
avere i capelli in ordine, bisogna anche
avere le idee ordinate”…
Parlare in questo modo non offende
nessuno, neanche il figlio adolescente
sempre (e giustamente!) così allergico
alle ‘prediche’.
Non solo, ma le parole dette senza
preavviso, sovente hanno un fortissi-
mo impatto sul figlio perché rivelano
i nostri pensieri più intimi, le nostre
opinioni, i nostri Valori che ci portia-
mo dentro.
Mi ha sempre colpito la confessione
del professore Leo Buscaglia il quale
rivela che si è costruito la sua morale
sulle parole che il padre lasciava cade-
re a tavola, durante la cena.
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4.4 Page 34

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NOI & LORO
ALESSANDRA MASTRODONATO
LA FIGLIA
La bestia
nel cuore
Ma da che cosa deriva tutta questa
aggressività? Che cosa voglio-
no comunicare gli adolescenti
con le loro manifestazioni di
rabbia, con la violenza (ver-
bale, ma talvolta anche fisica)
che con tanta facilità tirano fuori a casa, a
scuola, nel gruppo dei pari, verso il mon-
do degli adulti ma anche nei confronti
dei coetanei?
«Non mi faccio mettere i piedi in testa da nessuno».
«Nella vita vince chi urla più forte». «Il mondo intero
ce l’ha con me e io ce l’ho con il mondo intero». Frasi
che gli adolescenti ripetono spesso e che, non di
rado, sono accompagnate da atteggiamenti ag-
gressivi e pieni di rabbia, carichi di una distrut-
tività e di un risentimento verso tutto e tutti, ma
prima di tutto verso se stessi, che gli adulti fatica-
no a comprendere e giustificare.
L'aggressività è il sottoprodotto di una società
sempre più individualista e competitiva, in cui,
sin da piccolissimi, i ragazzi imparano a battere i
pugni e ad alzare la voce per ottenere ciò che vo-
gliono e vengono educati all’idea che l’unica cosa
che conta sia raggiungere i propri obiettivi, anche
se questo significa pestare i piedi a chi sta loro
intorno e calpestare i diritti e la dignità altrui. O
forse, con la loro aggressività e le loro esplosioni
di rabbia, gli adolescenti vogliono solo dimostra-
re a se stessi e agli altri di “esserci”, di contare
qualcosa, mettendo a tacere quell’insoddisfazione
e quel “male di vivere” che li porta a non sen-
tirsi mai completamente all’altezza delle proprie
aspettative e di quelle degli altri.
Il più delle volte, il risentimento e la rabbia degli
adolescenti derivano dal fatto di non aver incon-
trato sulla propria strada adulti capaci di scom-
mettere su di loro, che sappiano ascoltarli, grati-
ficarli e farli sentire amati, che credano in loro e
nelle loro capacità, che non abbiano paura di porsi
come punti di riferimento autorevoli e credibili
con cui i ragazzi possano confrontarsi, e magari
anche scontrarsi, per costruire il senso della pro-
pria identità.
Di fronte alla prepotenza e alla distruttività di
adolescenti aggressivi e capricciosi, la via più
facile è, infatti, quella di bollarli come “ragazzi
difficili” e “problematici”, di considerarli dei “casi
disperati”, una “battaglia persa in partenza”, e
questo diventa una giustificazione per genitori,
insegnanti ed educatori per rimuovere il proble-
ma, per non tentare nemmeno di comprendere le
ragioni profonde del loro comportamento.
Soltanto avendo il coraggio di dar loro fiducia e
di credere in loro, gli adulti possono davvero aiu-
tare gli adolescenti a ridare dignità alla propria
vita e a quella degli altri, a scoprirsi amati ed ap-
prezzati per quello che sono, a vincere la propria
“bestia nel cuore” e a trasformare l’aggressività in
energia positiva da mettere a frutto per tirar fuori
il meglio di sé e perseguire i propri sogni, nel ri-
spetto della libertà altrui e delle regole del vivere
civile.
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Gennaio 2013

4.5 Page 35

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MARIANNA PACUCCI
Sarà colpa di un’eccessiva atten-
zione al mercato e alle sue ferree
logiche, sarà che in questa socie-
tà del terzo millennio conta sol-
tanto vincere: quel che è certo è
che i bambini e i ragazzi manife-
stano quotidianamente atteggiamenti
aggressivi.
Con i coetanei e con gli adulti, soprat-
tutto con persone che a loro giudizio
sono fragili, credono che alzare la voce,
mostrare i muscoli, cercare a tutti i costi
di prevalere sia la strada migliore per rea-
lizzarsi e affermarsi.
In famiglia, poi, molti adolescenti si rivelano veri
e propri tiranni: talvolta per reazione ad esperien-
ze di trascuratezza affettiva, talaltra per una for-
ma di ribellione nei confronti di genitori insicuri
e iperprotettivi. E a poco servono rimproveri e
punizioni, come pure il tentativo di dialogare per
comprendere le ragioni di questo modo di fare.
Nel primo caso, l’autoritarismo dei grandi crea
una più spiccata reattività e capacità di conflit-
to; nel secondo lo sforzo di comprensione sembra
confondersi con una certa debolezza educativa.
Come sempre, tentare di afferrare il problema
per la coda è operazione inefficace: l’aggressività
dei ragazzi è la conseguenza diretta di uno spi-
rito esasperato di competizione che non conosce
regole se non quella del successo a tutti i costi.
Peraltro, come potrebbe essere altrimenti?
Crescendo, questi ragazzi imparano che ogni tra-
guardo va raggiunto il prima possibile e magari a
scapito degli altri; che il successo è il fine dell’e-
sistenza e non una possibilità in più per mettersi
al servizio del prossimo o di una buona causa; che
essere invidiati – e talvolta temuti – è meglio che
essere amati. Diventando adulti, probabilmente
non si accorgeranno che essere per forza i primi
è una vera e propria condanna: alla solitudine
nell’immediato, ad una mancanza di senso della
vita sul lungo periodo.
Condannati LA MADRE
a essere primi
a tutti i costi
Vale la pena destinare i giovanissimi ad una ri-
spettabile infelicità? O non è meglio, invece, aiu-
tarli a canalizzare l’aggressività, trasformandola
in energia “pulita”, quella che parte dall’interiori-
tà e si traduce come capacità di autocontrollo del-
le pulsioni violente, forza e coraggio nelle situa-
zioni in cui bisogna avere pazienza, attitudine a
mettersi nei panni degli altri prima di rivendicare
qualcosa da loro?
La responsabilità educativa della famiglia è, su
questo piano, molto delicata; la testimonianza
quotidiana dei genitori, decisiva: dove la fragilità
e la debolezza vengono accolte con amore, la te-
nerezza e la condivisione con chi è ultimo sono
moneta corrente, è possibile sconfiggere le prete-
se di chi crede che vincere valga più di tutto.
Gennaio 2013
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4.6 Page 36

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Come trovare
le risorse
per costruire
una chiesa
Un segreto
da individuare
Si sa, la fama di don Bosco e delle sue
capacità realizzatrici si diffondeva in
Italia. Visto infatti che riusciva in tante
imprese, molti gli chiedevano consigli
su come riuscire a fare altrettanto. Ab-
biamo ad esempio visto i mesi scorsi la
sua corrispondenza con Daniele Gar-
bari per la fondazione di un collegio a
Trento, che poi effettivamente ebbe un
seguito con l’attuale istituto salesiano
che sta celebrando il 125° di fonda-
zione; ora vediamo un’altra richiesta,
questa volta dalla Toscana: come tro-
vare i fondi per costruire una chiesa.
Glielo chiese espressamente la signora
Marianna Moschetti di Castagneto
di Pisa (oggi Castagneto Carducci-
Livorno) nel 1877. La risposta di don
Bosco l’11 aprile, nella sua brevità e
semplicità, è ammirevole.
Punto di partenza:
conoscere la situazione
Anzitutto con la saggezza pratica che
gli veniva dall’educazione familiare e
dall’esperienza di fondatore-costrut-
tore-realizzatore di tanti progetti,
don Bosco mette le mani avanti e
intelligentemente scrive che “sarebbe
necessario potersi parlare per esami-
nare quali progetti si possono fare e
quali probabilità vi abbia di poterli
effettuare”. Senza un sano realismo
i migliori progetti rimangono un so-
gno. Il santo però non vuole scorag-
giare subito la sua corrispondente, per
cui aggiunge immediatamente “quello
che mi pare bene nel Signore”.
In nomine Domini
Incomincia bene, si direbbe, con que-
sto “nel Signore”. Difatti il primo, e
dunque il più importante consiglio che
dà alla signora, è quello di “Pregare
ed invitare altri a pregare e fare delle
Comunioni a Dio, come mezzo effica-
cissimo per meritarci le sue grazie”. La
chiesa è la casa del Signore, che non
mancherà di benedire un progetto di
chiesa se sarà avanzato da chi confida
in Lui, da chi Lo prega, da chi vive la
vita cristiana e si serve dei mezzi in-
dispensabili. Una vita di grazia merita
certamente le grazie del Signore (don
Bosco ne è convinto), anche se tutto è
grazia: “Se il Signore non costruisce la
casa, invano vi faticano i costruttori”.
La collaborazione di tutti
La chiesa è la casa di tutti; certo il par-
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Gennaio 2013

4.7 Page 37

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roco ne è il primo responsabile, ma non
l’unico. Dunque i laici devono sentirsi
corresponsabili e fra loro i più sensibi-
li, i più disponibili, magari i più capaci
(quelli che oggi potrebbero far parte
del Consiglio pastorale e del Consi-
glio economico di ogni parrocchia).
Ecco allora il secondo consiglio di don
Bosco: “Invitare il Parroco a mettersi
alla testa di due comitati numerosi, per
quanto è possibile. Uno di uomini, l’al-
tro di donne. Ciascun membro di que-
sto comitato si firmi per un’oblazione
divisa in tre rate, una per anno”.
Notiamo: due comitati, uno maschile e
uno femminile. Certo, l’epoca vedeva
normalmente separate le associazioni
maschili e femminili di una parroc-
chia; ma perché anche non vedervi
una giusta e leale “concorrenza” nel
fare il bene, nel gestire un progetto
con le proprie forze, ciascun gruppo “a
suo modo”, con le sue strategie? Don
Bosco sapeva quanto lui stesso era eco-
nomicamente debitore al mondo fem-
minile, alle marchese, alle contesse,
alle nobildonne in genere: solitamente
più religiose dei mariti, più generose
nelle opere di carità, più disponibili “a
soccorrere le necessità della Chiesa”.
Puntare su di loro era saggezza.
Allargare la cerchia
Ecco infatti don Bosco aggiunge-
re subito: “Nel tempo stesso ognuno
cerchi oblatori in danaro, in lavoro,
o in materiali. Per esempio invitare
chi faccia fare un altare, il pulpito, i
candelieri, una campana, i telai delle
finestre, la porta maggiore, le mino-
ri, i vetri ecc. Ma una cosa sola ca-
duno”. Bellissimo. Ognuno si doveva
impegnare in qualche cosa che poteva
giustamente ritenere un suo personale
dono alla chiesa in costruzione.
Don Bosco non aveva fatto studi di
psicologia, ma sapeva – come sanno
tutti i parroci e non solo loro – che
solleticando il legittimo orgoglio del-
le persone si può ottenere molto an-
che in fatto di generosità, di solida-
rietà, di altruismo. Del resto in tutta
la sua vita aveva avuto bisogno di al-
tri: per studiare da fanciullo, per an-
dare alle scuole di Chieri da giovane,
per entrare in seminario da chierico,
per iniziare la sua opera da prete, per
svilupparla da fondatore…
Un segreto
Don Bosco fa poi il misterioso con la
sua corrispondente: “Se potessi parlare
col Parroco potrei in confidenza sug-
gerire altro mezzo; ma mi rincresce
affidarlo alla carta”. Di che si trattava?
Difficile dirlo. Si potrebbe pensare alla
promessa d’indulgenze speciali
per tali benefattori, ma sarebbe
occorso rivolgersi a Roma e
don Bosco sapeva quanto que-
sto fatto poteva suscitare dif-
ficoltà con il vescovo e con
altri parroci impegnati
pure loro sugli stessi
fronti edilizi. Forse
più probabile era un
invito, riservatis-
simo, di cercare
La basilica del Sacro
Cuore a Roma e (accanto
al titolo) la chiesa di
San Giovanni a Torino.
Entrambe sono state
costruite da don Bosco.
l’appoggio di autorità politiche perché
ne sostenessero la causa. Il suggeri-
mento sarebbe però stato meglio farlo
oralmente, per non compromettersi né
di fronte alle autorità civili, né a quelle
religiose, in tempi di durissima oppo-
sizione fra loro, con la Sinistra storica
al potere, più anticlericale e massonica
della precedente Destra.
Che poteva dire di più? Una cosa im-
portante per entrambi: la preghiera.
E difatti così si commiata dalla sua
corrispondente: “Io pregherò che ogni
cosa vada bene. L’unico mio appoggio
è sempre stato il ricorso a Gesù Sa-
cramentato, ed a Maria Ausiliatrice.
Dio la benedica e preghi per me che
le sarò sempre in G.C.”.
Sarà stata soddisfatta la Signora di
tale missiva? Probabilmente sì.
Gennaio 2013
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4.8 Page 38

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TESTIMONI DELLA FEDE
LODOVICA MARIA ZANET
Stefano Vescovo missionario in India
Eroe semplicemente
Ferrando
Nel suo paese natale – Rossi-
glione, in provincia di Ge-
nova – aveva fama d’essere
un ragazzino allegro e riser-
vato al tempo stesso: Stefano
Ferrando aveva infatti ere-
ditato la gioia dalla mamma, persona
aperta e di spirito pratico che garantiva
ai figli un clima di sano altruismo fa-
vorevole alla loro crescita; al papà, egli
guardava invece come a un modello di
lavoratore che si dona agli altri nell’ap-
parente monotonia di giornate tutte
uguali ma tutte diverse; deve invece
solo a se stesso un’innata riservatez-
za, che gli impedisce di eccellere nei
giochi tra compagni e scava piuttosto
in lui lo spazio d’un mondo interiore
in cui fantasie di bambino e progetti
per l’avvenire all’inizio si confondono.
Lettore d’alcune pubblicazioni sale-
siane, attento ai temi della Gioventù
missionaria, inizia a sognare l’Oriente,
magico luogo di profumi e avventure.
Al fronte
Ben prima dell’Oriente, incombe però
su di lui la realtà di un’Europa lace-
rata dalla Grande Guerra: nel 1915,
ormai salesiano professo tempora-
neo, è al fronte. Scrive ai superiori e
ai confratelli con trasparente schiet-
tezza: riferisce loro della tentazione
all’inedia e persino all’abbruttimen-
to che t’assale quando sei in trincea;
della scomparsa d’ogni sentimento di
devozione; dell’assopimento della vita
interiore. Chiede perdono al Signore
e, appena può, scappa in Chiesa per
riceverlo nell’Eucaristia e chiedere
il Suo aiuto, di cui ammette d’avere
estremo bisogno. Pensa intanto di far
spedire al fronte il Bollettino Salesiano:
Monsignor Stefano Ferrando,
vescovo di Shillong per 34 anni.
Nella foto sotto è con Papa Giovanni XXIII.
tra tanta stampa non sempre “buona”,
e in mezzo ai discorsi spesso rudi dei
soldati, vuole (con alcuni commilito-
ni) che siano presenti anche pubbli-
cazioni moralmente valide, caratte-
rizzate da qualche sana provocazione
religiosa. Quando alcuni soldati, or-
mai isolati per l’infelice esito di un’o-
perazione militare, restano indietro, a
rischio della vita, il soldato Ferrando
si pone alla loro guida: li trae in sal-
vo meritandosi la medaglia d’argento
al valor militare, della quale – figlio
di quel don Bosco che voleva i suoi
ragazzi «bravi cristiani e onesti citta-
dini» – si sente orgoglioso.
Salesiano missionario
Il timido ragazzo di Rossiglione è
insomma diventato un uomo che ha
imparato a rischiare la propria vita
perché gli altri conservino la loro. E
diventa salesiano missionario.
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Gennaio 2013

4.9 Page 39

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Tornato infatti a casa, compiuto l’i-
ter formativo e ordinato quindi prete
(1923), parte subito per quell’Orien-
te misterioso che assume ora ai suoi
occhi le fattezze dell’India del Nord.
Prima è a Shillong, ove per una deci-
na d’anni deve “pazientare” nel ruolo
di maestro dei novizi, quindi a Kri-
shnagar, da vescovo (1934), poi di
nuovo a Shillong, ove esercita il suo
episcopato per 34 anni prendendo
il posto dell’altro grande salesiano
monsignor Luis Mathias. Dà qui la
testimonianza di una vita cristiana
“alta”, esplicando uno zelo missio-
nario e un’attività apostolica instan-
cabile. In un contesto – come quello
indiano – linguisticamente e cultu-
ralmente complesso, retto da una fitta
trama di idiomi, religioni e consuetu-
dini, Ferrando ama il suo prossimo ri-
conoscendone sempre e innanzitutto
la dignità di persona. Porta a queste
persone Gesù, fonte di felicità e di
salvezza. Con la coerenza di una vita
lieta, mostra alle popolazioni dell’As-
sam l’intima ragionevolezza insita
nell’adesione al Vangelo; accogliendo
ove possibile qualcuno dei loro usi e
costumi, li riesce ad avvicinare ani-
mato dal rispetto per la loro diversa
visione del mondo, prima da conosce-
re e solo dopo da riorientare.
Le conversioni arrivano a miglia-
ia, ma sono tutte conquistate una
per una, senza proselitismi: anni più
tardi, in un momento di crisi nel
numero delle conversioni, Ferrando
avanza una propria, originale, teo-
ria: le conversioni mancano perché
abbondano… macchine o jeep. Può
sembrare assurdo, ma per lui è così:
il missionario che si sposta in auto e
cerca vita comoda smarrisce il senso
di quel contatto personalizzato grazie
al quale scatta la fascinazione dell’in-
contro, il desiderio di domandare e di
rispondere.
Nel nascondimento
Dopo più di tre decenni da vescovo di
Shillong, Ferrando però è richiama-
to in patria, in Italia. Lascia la “sua”
India affidandola alla Congregazione
di Suore da lui fondata (le Missionary
Sisters of Mary Help of Christians,
MSMHC), suore indiane per gli in-
diani, con un esplicito mandato alla
formazione catechetica, all’educazio-
ne delle giovani, al soccorso dei più
deboli.
A Genova Quarto, vive nella casa
salesiana l’esperienza del nascondi-
mento e del servizio: si mette a di-
sposizione del cardinal Siri per l’am-
ministrazione del sacramento della
Cresima e altre necessità pastorali.
Con i confratelli e con i laici, come
già aveva fatto per le popolazioni
dell’India, dà autentica testimonian-
za di vita salesiana e perciò cristiana,
prediligendo l’apostolato dell’alle-
gria e del buon umore e orientando
le coscienze con poche ma decisive
parole.
Quando improvvisamente muore, nel
1978, l’unanime cordoglio per questa
singolare figura di salesiano e di ve-
scovo trova espressione nelle parole di
Siri, cui è affidata l’omelia dei funera-
li. Su richiesta del suo padre spirituale
e delle suore missionarie da lui fon-
date, la salma raggiunge dopo alcuni
anni l’India.
Al termine del 2012 è stata conse-
gnata presso la Congregazione delle
Cause dei Santi, la Positio super vita,
virtutibus et fama sanctitatis del servo
di Dio monsignor Ferrando, docu-
mento volto a dimostrare che l’in-
trepido vescovo ha vissuto in modo
eroico le virtù cristiane: un gesto si-
gnificativo, che cade nell’Anno della
fede e a settant’anni esatti (24 otto-
bre 1942-2012) dalla fondazione delle
“sue” Missionary Sisters.
Monsignor Ferrando circondato dalle suore della
Congregazione che ha fondato, le Missionary
Sisters of Mary Help of Christians.
Gennaio 2013
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I NOSTRI SANTI
A CURA DI PIERLUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Sembrava che il mondo
mi fosse crollato addosso
Intendo confermare la mia Devo-
zione a san Domenico Savio per
essermi stato vicino in un brutto
momento della mia vita. Circa tre
anni fa mi fu riscontrato un tumore
al seno. Non so spiegare l’agitazio-
ne che mi prese, sembrava che il
mondo mi fosse crollato addosso.
Iniziai subito una novena a san
Domenico Savio; ne facemmo
più di una anche con i famigliari.
Tre mesi dopo venni operata e
guarii completamente. Logica-
mente devo fare i dovuti controlli,
ma lo specialista mi ha detto che
devo dimenticare questo episo-
dio e vivere normalmente perché
ormai sono perfettamente sana.
Vorrei ringraziare vivamente san
Domenico Savio e chiedere la sua
intercessione su tutta la famiglia.
Chiedo pure che venga omessa
l’indicazione del nome sulla pub-
blicazione in quanto non l’ho detto
a nessuno esclusi i miei famigliari,
perché ho un figlio disabile, mol-
to legato a me, che se lo venisse
a sapere starebbe molto male e si
sentirebbe perduto. Lui non vuole
che io sia ammalata, ha paura.
A.B.
Ogni notte recito la novena
Ho sempre amato i bambini e ho
sempre sognato di averne; per
questo mio marito ed io ci siamo
sposati. Così decidemmo che era
giunto il momento di avere una
famiglia tutta nostra. Più i mesi
passavano, più cresceva la mia
frustrazione, poiché quel figlio
tanto desiderato non arrivava.
Durante una visita specialistica,
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
richiesta indipendentemente da
tutto, scoprii di avere un piccolo
problema di salute che influiva
negativamente sulla gravidanza.
Grazie ad un’amica venni a cono-
scenza di san Domenico Savio
e della sua storia. Richiesi l’abitino
ed iniziai a pregare, nello stesso
momento in cui erano iniziate del-
le cure. Il medesimo giorno in cui
arrivò l’abitino scoprii di essere in
attesa. Fu questo per me un se-
gno. Ogni sera recitavo la novena
e così feci per nove mesi. Ho tra-
scorso una splendida gravidanza
ed ora mi sento fortunata: sono
mamma di una bimba dolcissima
di quasi un anno. Ancora oggi
ogni notte recito la novena, affin-
ché san Domenico possa aiutarmi
nel cammino e vegli sulla bimba.
D.M., Cagliari
Dio è fedele
e non ci abbandona mai
Sposata dal 2008, dopo un anno
di attesa per avere un bambino,
decisi di sottopormi a controlli e
scoprii di avere entrambe le tube
chiuse. Vani risultarono altri due
tentativi per risolvere il mio caso.
Contemporaneamente una suora,
amica di famiglia, mi mise a cono-
scenza dell’abitino di san Dome-
nico Savio e me ne regalò uno.
Da allora questo santo entrò a far
parte della mia vita. Io e mio marito
continuammo a coltivare il deside-
rio di avere un figlio. Trascorsero
due anni; nonostante continue
preghiere non vedevamo esaudito
il nostro desiderio; perciò la nostra
speranza veniva meno. Ma ecco
che il 1° dicembre 2011, con l’ini-
zio dell’Avvento, scoprii d’essere in
dolce attesa. Da quella data non è
passato un giorno in cui non abbia
recitato la novena di san Domenico
Savio, aspettando con immensa
gioia il mio bambino. Egli è nato il
23 luglio 2012 con parto cesareo.
Gli è stato dato il nome di Stefano,
santo protomartire. Rendo grazie
con immensa gioia a Dio e a san
Domenico Savio protettore delle
mamme in attesa. A tutte le coppie,
senza tralasciare quelle non fertili,
e a tutte le persone che perdono la
speranza voglio dire: pregate, pre-
gate e abbiate fede, Dio è fedele e
non ci abbandona mai.
Cedrone Ilaria, Colleferro (RM)
Tre volte in sala
operatoria
Operata all’anca il 1° febbraio 2012
con buon successo, nei giorni se-
guenti accusavo continui dolori.
Trascorsi dieci giorni dall’inter-
vento, i medici scoprirono che la
causa era una un’emorragia inter-
na che aveva formato un emato-
ma. Fu necessaria una seconda
operazione per togliere l’ematoma,
che però aveva già compromesso
un nervo della gamba. In segui-
to subentrò un’infezione, che mi
obbligò a sottopormi ad un terzo
intervento, che servì a ben poco,
tanto che i medici ipotizzavano di
togliere la protesi, per rimetterne
un’altra dopo qualche mese. Nel
frattempo un salesiano del vicino
Colle Don Bosco organizzò una
novena in onore della venerabi-
le “Mamma Margherita”, la
mamma di don Bosco, ricordan-
domi più volte in questa preghiera.
L’ultimo giorno della novena, pre-
cisamente il 2 aprile – giorno della
nascita di Mamma Margherita – la
mia ferita, che era sempre rima-
sta aperta, guarì definitivamente.
Anche l’infezione è gradualmente
scomparsa, con grande meravi-
glia dei medici, ed io potei tornare
a casa dall’ospedale, dopo due
mesi e quattro giorni di degenza.
Ora (mese di settembre 2012) mi
sto riprendendo, senza aver do-
vuto sottopormi ad altri pericolosi
interventi.
Rosso Margherita, Morialdo
di Castelnuovo Don Bosco (AT)
Fiducia in Maria
Ausiliatrice
Nel maggio 2012 a causa di gelo-
sia e incomprensioni io e mio ma-
rito abbiamo incontrato gravi diffi-
coltà di convivenza, con il rischio
di giungere alla separazione; solo
l’amore per il nostro unico figlio
ce l’ha impedito. La nostra situa-
zione non accennava a migliorare,
permanendo liti continue e silenzi
ancora più allarmanti. Tuttavia, io
tutti i giorni mi recavo in chiesa
per pregare Maria Ausiliatrice,
affinché questa situazione cam-
biasse. Ebbene proprio il 24 mag-
gio, festa di Maria Ausiliatrice,
abbiamo avuto un chiarimento che
gradualmente ha migliorato il no-
stro reciproco rapporto. Ora affido
alla Vergine Maria, ai Santi della
Famiglia salesiana e in particolare
a san Domenico Savio, mio figlio,
che si è ammalato e sta facendo
terapie lunghe e dolorose.
N.C., Caltanissetta.
Ho invocato
l’intercessione del servo
di Dio Attilio Giordani
Ad un ragazzo, caro amico di mio
nipote, dopo varie visite è stato
diagnosticato un tumore al cer-
vello. Gravi difficoltà non permet-
tevano di praticare un intervento
chirurgico; per questo la madre
del ragazzo era angosciata. Venuto
a conoscenza del caso tramite mio
figlio, accompagnai con mia mo-
glie il dolore di questa madre ed in
particolare io più volte ho invocato
l’intercessione del Servo di Dio
Attilio Giordani. Nel frattempo
il ragazzo è stato sottoposto ad un
delicato intervento chirurgico. Ora
(mese di settembre) ha potuto ri-
tornare felicemente a scuola, dove
frequenta la terza media insieme a
mio nipote.
Claudiani Giuseppe, Bergamo
Ci dissero che saremmo
diventati nonni
Mio figlio e mia nuora, sposati
da due anni, desideravano avere
un figlio. Avutane finalmente la
conferma, me lo comunicarono
con immensa gioia. Ma poiché la
gravidanza si presentava difficile
e anche rischiosa per mamma e
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Gennaio 2013

5 Pages 41-50

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figlio, chiesi di poter avere l’abi-
tino di san Domenico Savio e
cominciai a pregare questo santo,
recitando con mio marito la nove-
na durante tutti i nove mesi della
gravidanza. Mentre mia nuora era
degente all’ospedale per il parto,
fui spesso a casa dei neo-genitori.
Potei vedere con sorpresa che
anche sopra il loro comodino c’e-
rano l’immagine e l’abitino di san
Domenico Savio. Il giovane santo
delle culle aveva protetto la mam-
ma e la nostra splendida nipotina;
per questo ancora adesso conti-
nuiamo a ringraziarlo.
M. E., Azzano Decimo (PN)
Doverosa riconoscenza
Mi chiamo Angela e sono da
qualche tempo anch’io devota e
riconoscente a san Domenico
Savio. Durante i miei studi mi
affidavo sempre a don Bosco, ma
quando mi sono sposata penso
che lui abbia voluto indicarmi il
suo santo allievo Domenico Sa-
vio, affinché io potessi avere il
dono di un figlio, che tanto desi-
deravo. Arrivò la bella notizia, ma
dovetti stare a riposo per i primi
mesi. Una mia zia mi prestò il suo
abitino. Terminato questo tempo
di riposo, quando ero già al quin-
to mese, mi capitò un incidente:
caddi per le scale del mio palaz-
zo. Fui ricoverata in ospedale in
neurochirurgia, avendo riportato
ematomi alla testa. Persi la me-
moria per qualche giorno, tanto
che ancora oggi non ricordo nul-
la di quel periodo. Ma mi hanno
riferito che dopo quella caduta,
nel periodo di incoscienza strin-
gevo sempre tra le mani l’abitino
di san Domenico Savio. Sono si-
cura che questo giovane e grande
Santo ha protetto la mia vita e
quella della mia bambina Maria
Rosaria, che adesso – settembre
2012 – ha quasi due anni. Io e
mio marito Nicola non possiamo
dimenticare questo episodio che
conserveremo nel nostro cuore.
Montefusco Nicola e Angela
Cronaca della Postulazione
Suor Maria Troncatti è Beata
Il 24 novembre 2012 a Macas (Ecuador) è stata
beatificata suor Maria Troncatti, Figlia di Maria
Ausiliatrice, missionaria nella selva amazzonica.
Un tripudio di gioia ed entusiasmo che ha visto
riuniti migliaia di persone, religiosi e laici, vescovi
e autorità civili, Shuar, ecuadoriani e molta gente
proveniente dalle Nazioni vicine dell’America Lati-
na. A presiedere la Celebrazione Eucaristica, come delegato di papa Benedetto XVI, il cardinale salesiano
monsignor Angelo Amato, Prefetto per la Congregazione dei Santi.
Monsignor Néstor Montesdeoca Becerra, vescovo del Vicariato apostolico di Méndez legge ufficialmen-
te, a nome della Chiesa locale, la richiesta di scrivere suor Maria Troncatti nell’elenco dei Beati. Don Pier
Luigi Cameroni, sdb, postulatore delle cause dei santi per la Famiglia Salesiana, traccia un breve profilo
biografico della nuova beata, sottolineandone le doti e le virtù.
Subito dopo monsignor Angelo Amato dichiara ufficialmente beata suor Maria Troncatti indicando il 25
agosto come data per ricordarla nella liturgia. Grande gioia e commozione quando madre Yvonne, con una
delle nipoti di suor Maria Troncatti ha scoperto il quadro con l’immagine della nuova beata e viene portata
dalla signora Jolanda Josefa Solórzano Pica, beneficiaria del
miracolo, la reliquia all’altare.
Nella sua omelia monsignor Angelo Amato sottolinea come
suor Maria Troncatti sia stata messaggera di pace offrendo
la sua vita perché si ricomponessero le divisioni tra i coloni
e gli Shuar. «Lei ha mostrato il volto materno di Dio buono e
misericordioso», dice il cardinale, e mette in evidenza come
lei sia stata capace di compiere opere di misericordia, dando
da mangiare a chi aveva fame, da bere agli assetati, curando
i malati, visitando chi si trovava in difficoltà.
Tre domande al cardinale Angelo Amato
Prefetto della Congregazione dei Santi
Perché ancora oggi uomini e donne vengono proclamati santi?
Perché la santità è l’interpretazione del vangelo nelle varie culture del mondo, dove è presente la Chiesa.
E la santità è sempre apprezzata dal popolo di Dio, perché vede non solo parole ma vede dei modelli,
delle persone, delle esistenze realizzate secondo le beatitudini evangeliche. Per cui la santità non passa
mai di moda.
Che cosa significa essere santo?
Essere santo significa esercitare in modo eroico le virtù cristiane della fede, della speranza
e della carità, e anche di altre virtù etiche, come l’umiltà, la prudenza, la fortezza, la tem-
peranza, la misericordia, la comprensione, il perdono. E quindi il santo è corredato e ve-
stito di queste virtù, che sono così importanti per rendere più umana la società umana.
Lei ha un santo preferito? Chi e perché?
Il mio santo preferito è don Bosco. Don Bosco, perché è stata una persona che
ha avuto una grande fede e carità verso Dio, verso la Trinità, verso
Gesù Cristo, l’Eucaristia, verso la Chiesa, verso i santi. Ma poi so-
prattutto perché ha un’altra faccia don Bosco. La faccia rivolta verso
la società, verso i giovani che lui ha aiutato, verso tutti i bisognosi
che avevano bisogno del suo aiuto e del suo carisma, in questo caso
il carisma dell’educazione della gioventù. In una Torino della società
preindustriale dell’800, don Bosco è stato colui che ha guidato,
protetto e curato i giovani e ha fatto anche i primi contratti di
lavoro a difesa dei giovani e dei loro diritti, oltre che del loro
dovere. Quindi don Bosco è per me un santo all’altezza di san
Benedetto e di tutti gli altri.
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5.2 Page 42

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
VINCENZO DIANA
(PAPI)
Morto a Vigliano Biellese
il 3 settembre 2011,
a 98 anni
Ritratto di un salesiano
indimenticabile
nel commosso ricordo
di don Silvio Roggia.
Ho appena ricevuto la notizia
della partenza di Papi. I ricordi,
le emozioni e soprattutto la grati-
tudine non solo mia ma di tutto il
West Africa salesiano sono come
una di quelle piogge tropicali che
quando arrivano vincono su tutto
il resto: suoni, colori, attività...
tutto si ferma di fronte al ‘fortis-
simo’ della loro musica.
Papi, con le sue 21 parole in ingle-
se, come lui era solito qualificare
la padronanza che aveva della lin-
gua, ha detto di più su don Bosco
ai giovani che ha incontrato, e in
particolare alle generazioni dei
primi salesiani cresciuti con lui a
Ondo, di tutto ciò che han potuto
leggere di don Bosco sui libri.
Quando lo invitavo a incontrare
i novizi l’energia che riusciva a
comunicare con i suoi gesti e con
l’espressione del volto era molto
più incisiva di qualunque parola:
tutti afferravano che cosa significa
amare don Bosco senza misura;
volere il bene dei giovani a qua-
lunque costo; dare a questo amore
per lui e per loro la concretezza di
un lavoro instancabile, professio-
nalmente ineccepibile e al 100%
ispirato al sistema preventivo.
Papi è stato un patriarca-profeta
che ha fatto diventare storia di
salvezza gli eventi spesso bur-
rascosi e irti di imprevisti e dif-
ficoltà degli inizi della presenza
salesiana in Nigeria.
È stato grazie al suo coraggio che
si è osato lanciare le scuole tec-
niche ad un livello che continua
ad essere esemplare in tutto il
paese. Ha saputo mobilitare cen-
tinaia di exallievi e amici di don
Bosco in Italia e far fronte a im-
mani problemi tecnici sul posto,
dando lavoro a migliaia di ragazzi
e creando uno stile educativo-
professionale che continua a fare
la differenza e ad essere fonte di
ispirazione ben oltre i confini del
compound di Ondo.
Il filo della vita
Ricordo una domanda che un
novizio gli fece quando avevamo
festeggiato i suoi 90 anni. Papi
aveva raccontato la sua avven-
tura con don Bosco e con i gio-
vani, dagli inizi a Rimini con don
Cojazzi che lo aveva conquistato
suonando la chitarra in piazza
(negli anni ’20!), all’aspirantato
ad Avigliana, il noviziato con la
professione nelle mani di don
Rinaldi, gli anni duri della guerra
al Rebaudengo, l’inizio dal nulla
a Vercelli, dove don Ricaldone lo
aveva mandato nel primo dopo-
guerra, Muzzano e Vigliano... fino
ad arrivare ad Ondo per la prima
volta a 75 anni! La domanda che
il novizio fece suonava press’a
poco così: “che cosa ha tenuto
insieme la tua vita, che cosa ti
ha permesso di non ‘perdere il
filo’ passando attraverso tempi
così difficili e con cambi così
forti: guerra, dopoguerra, Italia,
Nigeria?”. Ricordo benissimo:
non avevo ancora finito di tradur-
re in italiano a Papi la domanda
che ha sparato la sua risposta
come un missile: i giovani! Non
ci fu bisogno di ritradurre in in-
glese. Tutti ci siamo fermati in
silenzio per la potenza di quella
fucilata fatta della verità scolpita
nei novant’anni della sua storia
spesi tutti per i giovani, senza se
e senza ma. Proprio quei giovani
che sono stati così diversi nelle
loro generazioni, nel modo di
vestire, di pensare e di parlare a
Rebaudengo, a Vercelli, a Ondo, a
Vigliano: quei giovani sono stati
la sua stella polare dall’inizio alla
fine, dappertutto: Papi è stato per
tutti loro sempre un ‘fuoriserie’ e
sempre ‘Vincenzo’, senza prof.,
senza sig., senza null’altro fram-
mezzo tra loro e il suo cuore, tutto
e solo per il loro bene.
Abbiamo cantato Giù dai colli
Abbiamo bisogno di te, abbiamo
bisogno di esempi di vita sale-
siana genuini e solidi: vieni ad
alzare la media, non tanto della
età (che tra i confratelli AFW è
sotto i 30 anni!) quanto della
originalità della vita salesiana,
del suo essere vicina alle origini,
a come don Bosco ci ha voluti e
ci vuole. Ci vogliono profeti come
te, che con l’esempio trascinano
tutti nella direzione giusta. Ben-
tornato! Senza i limiti dell’età, del
bastone per camminare e delle
21 parole in inglese: da oggi in
poi sarai parte di questa famiglia
più ancora di quando lo sei stato
quando abitavi a Ondo.
Ti affidiamo in particolare l’inizio
della presenza salesiana in La-
gos, dove sei atterrato tante volte,
dove hai fatto arrivare tanti con-
tainers: proprio stamattina con il
cardinale c’è l’inaugurazione uffi-
ciale della prima presenza sale-
siana in Lagos, la città più grande
dell’Africa subsahariana (oltre 17
milioni di abitanti). Sembra quasi
che tu sia scappato da Vigliano
per essere presente là con loro.
Appena ci è giunta la notizia della
tua partenza, per ricordarti con i
novizi abbiamo cantato ‘Giù dai
colli’.
Tu eri parte delle decine di bande
musicali che il Maestro Scarza-
nella aveva diretto tutte insieme
quando per la prima volta quell’in-
no era stato usato per dare il
benvenuto a don Bosco beato, di
ritorno da Valsalice a Valdocco nel
1929.
L’anno prossimo l’urna di don
Bosco sarà qui in Ghana e in Ni-
geria. Fai tu stavolta il direttore
della banda e aiutaci ad accogliere
nostro padre con lo stesso entu-
siasmo e amore per i giovani che
hanno fatto della tua vita quella
strepitosa meraviglia che nessuno
di noi potrà mai dimenticare.
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Gennaio 2013

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
La pizza più buona
del mondo
Tobia passò davanti alla ve-
trina della pizzeria tornando
dall’oratorio. Non aveva vo-
glia di tornare a casa: erano
due sere che a cena il clima
era pesante. Papà masticava
ferocemente come volesse distrugge-
re il supplì, la mamma aveva gli oc-
chi rossi e non parlava, Lucia, 5 anni,
guardava l’uno e l’altro con gli occhio-
ni da uccellino spaurito. Tobia parlava
di tutto, ma nessuno lo ascoltava.
Così davanti all’insegna della pizze-
ria si fermò a leggere. La prima pizza
dell’elenco era “Armonia”.
Entrò e il vecchietto bianco che stava
al banco gli scoccò un sonoro: «Buon-
giorno!»
«Vorrei prenotare una pizza “Armonia”
formato famiglia. Per questa sera» disse.
«Gli ingredienti base li mettiamo noi,
ma devi portarmi da casa alcuni com-
ponenti indispensabili».
«Che cosa?»
«Procurati un secchiello, riempilo di
tutte le cose belle che trovi e vedrai...».
Tobia corse a casa. La mamma lo vide
entrare come un tornado in cucina e
ritornare poco dopo con un grosso
secchio di plastica blu. Tobia le mise
il secchio sotto il naso.
«Mamma, per piacere, metti un bacio
nel mio secchio!».
Sbalordita e sorpresa, la mamma di
Tobia mandò un bacio nel secchio.
Tobia sparì di corsa. Cominciò a rac-
cogliere tutte le cose belle che trovava:
una foglia verde, gli spruzzi della fon-
tana, un po’ di tramonto, due nuvole
color arancio, una preghiera della non-
na, una carezza del nonno, il riflesso di
velluto verde degli occhioni di Lucia,
un pesciolino rosso, l’abbaiare di un
cane, un “bravo” del papà (un po’ stan-
co, ma quasi convinto).
Alla fine, trafelato, il ragazzo tornò
nella pizzeria, con il suo secchio, che
stranamente pesava.
«Hai fatto un buon lavoro», disse il
pizzaiolo. «Ma, manca una cosa».
«Che cosa?», chiese Tobia. «Una cosa
molto semplice. Un tuo sorriso». To-
bia si chinò sull’orlo del secchio e si
rispecchiò nell’acqua che aveva rac-
colto. Felice e leggero per la scorri-
banda, schioccò il più smagliante sor-
riso del suo repertorio.
Il vecchietto tutto bianco prese il sec-
chio e lo versò nell’impasto che aveva
preparato, allargò, appiattì, guarnì e
infine infornò. La piccola bottega si
riempì di profumo delizioso.
Tobia corse a casa con l’enorme sca-
tola, con la gente che si voltava al suo
passaggio.
«Mamma, non preparare niente. Ho
portato la pizza!» gridò appena entrato.
«Ma…» La mamma fece per prote-
stare, ma il profumo della pizza la
riempì di tenerezza.
«La pizza! Che bello!» cinguettò Lu-
cia battendo le mani.
Il papà arrivò a tavola un po’ imbron-
ciato, ma il profumo della pizza gli
allargò la faccia in un sorriso. E se il
profumo era buonissimo, il gusto della
pizza era «enormemente buonissimo»
come disse Lucia. Mangiarono ridendo
e scherzando e alla fine il papà appog-
giò una mano sul braccio della mamma
e disse: «Avete mai visto una mamma
più enormemente splendidissima?»
Tobia non si era mai sentito così fe-
lice.
Oggi, prendi un secchio di pla-
stica blu…
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5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Don Bosco Educatore
Il demonio ha paura
della gente allegra
Salesiani nel mondo
Due giovani vietnamiti
in Ungheria
Il Progetto Europa continua
L'invitato
Carola Carazzone
Presidente del VIS
Le case di don Bosco
Don Bosco
e Vallecrosia
Un amore che dura
da 136 anni
Arte salesiana
La consegna delle
chiavi a san Pietro
di Filippo Carcano
Un quadro “nascosto”
nella Basilica
di Maria Ausiliatrice
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612658
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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