Bollettino_Salesiano_202209

Bollettino_Salesiano_202209

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L’invitato
Don Gabriel
Romero
I nostri eroi
Abba
Melaku
La GIOIA
della MISSIONE
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
OTTOBRE 2022
Le case
di don Bosco
Potenza

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I FIORETTI DI DON BOSCO
B.F.
Il primo sogno
missionario
Q uesto è il sogno che convin-
se don Bosco a iniziare
l’apostolato missionario dei
suoi figli Salesiani. Lo ebbe nel 1872
e lo raccontò per la prima volta a
Pio IX nel marzo del 1876.
«Mi parve, disse, di trovarmi in
una regione selvaggia e affatto
sconosciuta. Era un’immensa pianura
tutta incolta, nella quale non si
scorgevano né colline né monti.
Ma nelle estremità lontanissime la
profilavano tutta scabrose montagne.
Vidi in essa turbe di uomini che la
percorrevano. Erano quasi nudi, di
un’altezza e statura straordinaria,
di un aspetto feroce, con i capelli
ispidi e lunghi, di colore abbronzato,
vestiti solo di pelli di animali, che
loro scendevano dalle spalle. Erano
armati di lunghe lance e di fionde.
Queste turbe di uomini, sparse qua
e là, offrivano allo spettatore scene
diverse: alcuni correvano dando la
caccia alle fiere; altri portavano con-
ficcati sulle punte delle lance pezzi di
carne sanguinolenta. Da una parte gli
uni si combattevano tra di loro, altri
venivano alle mani con soldati vestiti
all’europea, e il terreno era sparso di
cadaveri. Io fremevo a quello spetta-
colo; ed ecco spuntare all’estremità
della pianura molti personaggi, i
quali, dal vestito e dal modo di agire,
conobbi missionari di vari Ordini.
Costoro si avvicinavano per predicare
a quei barbari la religione di Gesù
Cristo. Io li fissai ben bene, ma non
ne conobbi alcuno. Andarono in mez-
zo a quei selvaggi; ma i barbari, appe-
na li videro, con un furore diabolico,
con una gioia infernale, li assalivano,
li massacravano con feroce strazio.
Dopo aver osservato quegli orribili
assassini, dissi tra me: «Come fare a
convertire questa gente così brutale?»
Intanto vedo in lontananza un
drappello di altri missionari che si
avvicinavano ai selvaggi con volto
ilare, preceduti da una schiera di
giovinetti. Io tremavo pensando:
«Vengono a farsi uccidere».
E mi avvicinai a loro: erano chierici
e preti. Li fissai con attenzione e
li riconobbi per nostri Salesiani. I
primi mi erano noti, e sebbene non
abbia potuto conoscere personalmen-
te molti altri che seguivano i primi,
mi accorsi essere anch’essi Missiona-
ri Salesiani, proprio dei nostri.
Non avrei voluto lasciarli andare
avanti ed ero lì per fermarli. Mi
aspettavo da un momento all’altro
che incorressero la stessa sorte degli
antichi Missionari. Volevo farli
tornare indietro, quando vidi che il
loro comparire mise in allegrezza
tutte quelle turbe di barbari, le quali
abbassarono le armi, deposero la loro
ferocia e accolsero i nostri Missionari
con ogni segno di cortesia.
Meravigliato di ciò, dicevo fra me:
«Vediamo un po’ come va a finire!»
E vidi che i nostri Missionari si
avanzavano verso quelle orde di
selvaggi; li istruivano ed essi ascolta-
vano volentieri la loro voce; insegna-
vano ed essi mettevano in pratica le
loro ammonizioni.
Stetti a osservare, e mi accorsi che i
Missionari recitavano il santo Ro-
sario, mentre i selvaggi, correndo
da tutte le parti, facevano ala al loro
passaggio e di buon accordo rispon-
devano a quella preghiera. Dopo un
poco i Salesiani andarono a disporsi
al centro di quella folla che li circon-
dò, e s’inginocchiarono. I selvaggi,
deposte le armi per terra ai piedi dei
Missionari, piegarono essi pure le
ginocchia. Ed ecco uno dei Salesiani
intonare: “Lodate Maria, o lingue
fedeli...”, e tutte quelle turbe, a una
voce, continuare il canto, così all’uni-
sono e con tanta forza di voce, che io,
quasi spaventato, mi svegliai.
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OTTOBRE 2022

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L’invitato
Don Gabriel
Romero
I nostri eroi
Abba
Melaku
La GIOIA
della MISSIONE
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
OTTOBRE 2022
Le case
di don Bosco
Potenza
OTTOBRE 2022
ANNO CXLVI
NUMERO 09
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
La copertina: Essere missionari è una
indescrivibile soddisfazione umana
(Foto iStock/Getty Images).
2 I FIORETTI DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 DON BOSCO NEL MONDO
Lievito per un’umanità nuova
10 L’INVITATO
Don Gabriel Romero
14 TEMPO DELLO SPIRITO
16 LE CASE DI DON BOSCO
Potenza
20 IN PRIMA LINEA
Roberto Panetto
24 FMA
Missione è partecipazione
26 I NOSTRI EROI
Abba Melaku
30 I GRANDI AMICI
San Leonardo Murialdo
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
Un pieno di bellezza
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 IL CRUCIPUZZLE
43 LA BUONANOTTE
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20
26
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 64
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Donato
Bosco, Pierluigi Cameroni, Roberto
Desiderati, Emilia Di Massimo, Ángel
Fernández Artime, Carmen Laval,
Erino Leoni, Cesare Lo Monaco,
Alessandra Mastrodonato, Fran-
cesco Motto, Marcella Orsini, Pino
Pellegrino, O. Pori Mecoi, Luigi Zonta,
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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Ángel Fernández Artime
Ancora partono
La prima spedizione missionaria fu benedetta dalle lacrime di
don Bosco che disse: «Noi diamo principio ad una grand’opera.
Chi sa, che non sia questa partenza come un seme da cui abbia
a sorgere una grande pianta?». La profezia si è avverata.
L a prima volta fu indimenticabile. Era la festa
di San Martino del 1875. Il mondo non lo
sapeva, ma in quell’angolo di Torino chia-
mato Valdocco cominciava un’impresa stra-
ordinaria: dieci giovani salesiani partivano per
l’Argentina. Erano i primi missionari salesiani.
Le Memorie Biografiche raccontano quel momento
con accenti epici: «Scoccavano le 4 ed echeggiava-
no le prime note del concerto campanario, quando
sorse nella Casa un impetuoso rumore con un vio-
lento sbattersi di porte e di finestre. Erasi levato
un vento così forte, che sembrava volesse atterrare
l’Oratorio. Sarà stato un caso; ma il fatto è che un
vento uguale soffiò nell’ora in cui si pose la pietra
angolare della chiesa di Maria Ausiliatrice; un ven-
to simile si ripeté alla consacrazione del Santuario».
La Basilica era affollata. Don Bosco salì sul pulpi-
to. «Al suo apparire si fece in quel mare di gente
profondo silenzio; un fremito
di commozione passò per tutta
l’udienza, che ne bevette avi-
damente le parole. Ogni volta
che accennava direttamente ai
Missionari, la voce gli si velava
fin quasi a morirgli sulle labbra.
Egli con isforzi virili frenava le
lagrime, ma l’uditorio piangeva».
«La voce mi manca, le lagrime
soffocano la parola. Soltanto vi
dico che se l’animo mio in que-
sto momento è commosso per la
vostra partenza, il mio cuore gode di una grande
consolazione nel mirare rassodata la nostra Con-
gregazione; nel vedere che nella nostra pochezza
anche noi mettiamo in questo momento il nostro
sassolino nel grande edifizio della Chiesa. Sì, par-
tite pure coraggiosi; ma ricordatevi che vi è una sola
Chiesa che si estende in Europa ed in America e in
tutto il mondo, e riceve gli abitanti di tutte le na-
zioni che vogliono venire a rifugiarsi nel suo mater-
no abbraccio. Come Salesiani, in qualunque rimota
parte del globo vi troviate, non dimenticate che qui
in Italia avete un padre che vi ama nel Signore, una
Congregazione che ad ogni evenienza a voi pensa,
a voi provvede e sempre vi accoglierà come fratelli.
Andate adunque; voi dovrete affrontare ogni gene-
re di fatiche, di stenti, di pericoli; ma non temete,
Dio è con voi. Andrete, ma non andrete soli; tutti
vi accompagneranno. Addio! Forse tutti non potre-
mo più vederci su questa terra» (MB XI,381-390).
Abbracciandoli, don Bosco consegnò a ciascuno un
foglietto con venti ricordi speciali, quasi un paterno
testamento a figli che forse non avrebbe più rivedu-
ti. Li aveva scritti a matita nel suo taccuino durante
un recente viaggio in treno.
L’albero cresce
Il 25 settembre abbiamo rivissuto quel momento
di grazia per la 153esima volta. Oggi Si chiama-
no Oscar, Sébastien, Jean-Marie, Tony, Carlos…
Sono 25, giovani, preparati ma portano negli oc-
chi e nel cuore la consapevolezza e il coraggio dei
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primi. Sono le avanguardie di quanto ho chiesto
a tutta la famiglia salesiana per questo sessennio:
audacia, profezia e fedeltà.
Don Bosco aveva fatto una piccola profezia: «Noi
diamo principio ad una grand’opera, non perché si
abbiano pretensioni o si creda di convertire l’uni-
verso intero in pochi giorni, no; ma chi sa, che non
sia questa partenza e questo poco come un seme da
cui abbia a sorgere una grande pianta? Chi sa, che
non sia come un granellino di miglio o di sena-
pa, che a poco a poco vada estendendosi e non sia
per fare un gran bene? Chi sa che questa partenza
non abbia svegliato nel cuore di molti il desiderio
di consacrarsi a Dio nelle Missioni, facendo corpo
con noi e rinforzando le nostre file? Io lo spero. Ho
visto il numero stragrande di coloro che chiesero di
essere prescelti» (MB XI, 385).
«Essere missionario. Che parola!» testimonia un
salesiano dopo quarant’anni di vita missionaria. «Una
persona anziana mi disse: «Non parlarmi di Cristo;
siediti qui accanto a me, voglio sentire il tuo odore e
se questo è il Suo odore allora mi potrai battezzare».
Il quinto dei consigli di don Bosco ai missionari
era: “prendete cura speciale degli ammalati, dei
fanciulli, dei vecchi e dei poveri”.
Viviamo un tempo da affrontare con una mentali-
tà rinnovata, che “sappia superare le frontiere”. In
un mondo in cui le frontiere rischiano di chiudersi
sempre più, la profezia della nostra vita consiste
anche in questo: mostrare che per noi non ci sono
frontiere. L’unica realtà che abbiamo è Dio, il Van-
gelo e la missione.
Sogno che dire oggi e nei prossimi anni “Salesiani di
Don Bosco” significhi, per le persone che ascoltano
il nostro nome, che siamo consacrati un po’ “pazzi”,
cioè “pazzi” perché amano i giovani, soprattutto i più
poveri, i più abbandonati e indifesi, con un vero cuore
salesiano. Questa mi sembra la definizione più bella
che si possa dare oggi dei figli di don Bosco. Sono
convinto che il nostro Padre vorrebbe proprio questo.
Ancora partono per donare la vita a Dio. Non solo
a parole. La Congregazione ha pagato anche il tri-
buto del sangue. Il motto sacerdotale che il martire
Rudolf Lunkenbein aveva scelto per l’Ordinazione
era “Sono venuto per servire e dare la vita”. Nella
sua ultima visita in Germania, nel 1974, sua madre
lo pregava di fare attenzione, perché l’avevano in-
formata dei rischi che correva suo figlio. Lui rispo-
se: «Mamma, perché ti preoccupi? Non c’è niente
di più bello che morire per la causa di Dio. Questo
sarebbe il mio sogno”.
Ho la ferma convinzione che la nostra Famiglia
deve camminare nei prossimi sei anni verso una
maggiore universalità e senza frontiere. Le nazioni
hanno confini. La nostra generosità, che sostiene
la missione, non può né deve conoscere limiti. La
profezia di cui dobbiamo essere testimoni come
Congregazione non comprende i confini.
Un missionario raccontava di aver celebrato la mes-
sa per gli indigeni delle montagne vicine a Cocha-
bamba, in Bolivia. Era un giovane prete e quasi non
conosceva la lingua quechua, e alla fine, mentre si in-
camminava verso casa, sentì di essere stato un fiasco
e di non essere riuscito per nulla a comunicare. Ma si
presentò un vecchio contadino, vestito poveramente,
e ringraziò il giovane missionario per essere venuto.
Poi fece una mossa incredibile: «Prima che io riesca
ad aprire bocca, il vecchio campesino mette le mani
nelle tasche del suo mantello e ne trae due manciate
di variopinti petali di rosa. Si alza in punta di piedi
e a gesti mi chiede di aiutarlo abbassando la testa.
Così mi fa cadere i petali sulla testa, e io resto senza
parole. Fruga di nuovo nelle tasche e riesce a estrar-
ne altre due manciate di petali. Continua a ripetere
il gesto, e la scorta di petali di rosa rossi, rosa e
gialli sembra infinita. Io sto semplicemente lì e lo
lascio fare, guardando i miei huaraches (sandali di
cuoio), bagnati dalle mie lacrime e coperti di petali
di rosa. Alla fine si congeda e io resto solo. Solo con
la fresca fragranza delle rose».
Vi posso dire per esperienza che milioni di famiglie
in tutto il mondo sono pieni di riconoscenza verso
i Salesiani che sono diventati “vangelo” in mezzo a
loro.
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DON BOSCO NEL MONDO
Marcella Orsini
Lievito per
un’umanità nuova
Si chiamano Christian, Manuel, Edwin, Tony…
e partono per i quattro angoli del mondo.
Per raccontare la storia di Gesù. Con la loro vita.
«È l’ora di una maggiore generosità nella
Congregazione. Una Congregazione
universale e missionaria». Così il Ret-
tor Maggiore ha lanciato il suo appello
ai Salesiani di tutto il mondo per fissare come obiet-
tivo per i prossimi anni la crescita nella generosità.
L’incoraggiamento del Rettor Maggiore ad aprirsi
a nuove missioni e sfide giunge in un contesto sto-
rico in cui il mondo è in sofferenza a causa della
pandemia, in cui le popolazioni, le comunità, le fa-
miglie e le singole persone sperimentiamo la fragi-
lità dell’esistenza umana.
Il bisogno di sostegno, di conforto e di vitalità dei
forti valori di tale esistenza è rimasto al centro della
Ogni anno
moltissimi
giovani
salesiani
accolgono
con gioia ed
entusiasmo
la chiamata
missionaria.
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OTTOBRE 2022

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missione salesiana e ha fatto sì che i Figli di Don
Bosco non abbiano mai abbandonato i più fragili,
attivandosi, con la loro specifica creatività, nella ri-
cerca di soluzioni di prossimità e di solidarietà.
Così ogni anno moltissimi giovani salesiani accol-
gono con gioia ed entusiasmo la chiamata missio-
naria, attivando o continuando presso le Ispettorie
e Delegazioni di destinazione un processo di “in-
culturazione della fede e del carisma” che talvolta
cambia, talvolta stravolge completamente il para-
digma a cui comunemente siamo abituati.
Sull’urgenza di nuove riflessioni missiologiche,
in adesione con la prospettiva indicata dal Rettor
Maggiore, torna il Consigliere Generale per le
Missioni, don Alfred Maravilla.
Egli afferma che “le missioni non possono essere
comprese solo in termini geografici, di movimento
verso ‘le terre di missione’ come una volta, ma an-
che in termini sociologici, culturali e, perfino, di
presenza nel continente digitale. Oggi i missionari
provengono dai cinque continenti e sono inviati ai
cinque continenti”, modificando il paradigma della
missione tradizionale in quello di un “movimento
missionario multidirezionale”.
È il caso di Cyprian Mbaziira e Germain Mae-
vatoky, due giovani missionari salesiani, rispettiva-
mente in Slovenia e in Siria, che abbiamo incontra-
to e che ci hanno raccontato la loro storia.
Cyprian, missionario dall’Uganda
in Europa
Mi chiamo Cyprian Mbaziira, sono un giovane
salesiano originario dell’Uganda, nella Visitatoria
dell’Africa Grandi Laghi (agl) composta dal mio
Paese insieme a Ruanda e Burundi.
Ho preso parte alla 152a spedizione missionaria
dell’anno scorso e, dopo un tempo di discernimen-
to con il Consigliere Generale per le Missioni don
Alfred Maravilla e aver ricevuto la croce missio-
naria dalle mani del Rettor Maggiore don Ángel
Fernández Artime, a Valdocco, sono stato inviato
come missionario in Slovenia.
Ho trascorso quasi un anno in Slovenia. Risiedo
nella casa ispettoriale, nella capitale Lubiana. Vivo
in una grande comunità con attività pastorali come
una parrocchia, un centro giovanile, un ostello per
studenti, una scuola di musica, un prenoviziato e
una tipografia.
Oltre a frequentare il corso di sloveno, organizzato
dalla Facoltà di Filosofia dell’Università, collabo-
ro alle attività del centro giovanile. Recentemente
ho ricevuto dall’Ispettore don Marko Košnik una
nuova missione come educatore presso l’Istituto sa-
lesiano di Želimlje, a circa 19 km da Lubiana.
La mia formazione per la missione salesiana è ini-
ziata nove anni fa nel mio Paese d’origine, dopo
aver terminato la scuola secondaria. A marzo del
2013 ho iniziato il mio percorso con un’esperienza
di sei mesi come aspirante nella Scuola Primaria
salesiana di Bombo.
In seguito, ho continuato la stessa esperienza nell’I-
stituto Salesiano di Ngozi, in Burundi, mentre im-
paravo il Francese.
Dopo un anno in Burundi, sono andato in Ruanda
dove sono rimasto per cinque anni. In Ruanda ho
frequentato il prenoviziato e il 16 agosto del 2016,
dopo un anno di noviziato, ho emesso i primi voti
religiosi.
È stato durante l’anno di noviziato che ho espresso
per la prima volta il desiderio di diventare missio-
nario. Dopo la professione dei primi voti religiosi,
ho studiato Filosofia per tre anni ancora in Ruanda,
dopodiché l’Ispettore don Pierre – Celestin Ngobo-
ka mi ha rimandato in Uganda per una formazione
«Un
missionario
è un segno
dell’amore
di Dio per le
persone a
cui egli viene
mandato.
Quindi, come
missionario
salesiano, la
mia preghiera
a Dio è di
essere un
segno del suo
amore e della
sua bontà
tra i giovani
della bella
Slovenia»
(Cyprian).
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DON BOSCO NEL MONDO
pratica nella comunità di Namugongo, a Kampala,
dove i Salesiani gestiscono una scuola e una cappella
pubblica. Durante il mio secondo anno di tirocinio,
il 30 gennaio prima della festa di don Bosco, scrissi
una lettera al Rettor Maggiore esprimendogli la mia
disponibilità a lavorare nelle missioni.
Il carisma salesiano è un carisma molto ricco. Ha
molto da offrire soprattutto a coloro che gli aprono
le porte. Io parlerò di tre cose: amore, ottimismo e
gioia.
Un missionario è un segno dell’amore di Dio per
le persone a cui egli viene mandato. Quindi, come
missionario salesiano, la mia preghiera a Dio è di
essere un segno del suo amore e della sua bontà tra
i giovani della bella Slovenia.
Don Bosco, inoltre, nel primo oratorio di Valdocco
diceva sempre ai suoi ragazzi e ai collaboratori che
la santità è essere felici.
A Namugongo questa era la mia ispirazione e il
mio motto di ogni giorno era “Sii sempre felice!”
E vi assicuro che questo ha fatto miracoli per quan-
to riguarda il mantenimento di un’atmosfera sem-
pre gioiosa tra i banchi di scuola e fuori dalle classi.
Questo è il mio desiderio, questa la mia preghiera a
Dio, che mi renda suo strumento per testimoniarlo
come apostolo della gioia e dell’ottimismo, in qua-
lunque luogo o comunità Lui mi mandi.
C’è stato un tempo in cui molti missionari dall’Eu-
ropa sono andati in diverse parti del mondo per
diffondere la buona notizia del Vangelo. Oltre alla
predicazione, si sono resi conto che le persone ave-
vano altri bisogni e hanno iniziato a cambiare la
loro vita.
Hanno costruito scuole, ospedali, strade, chiese,
pozzi… E in Europa? È lo stesso caso oggi? La
mia risposta è no. Le persone non hanno bisogno
di pozzi, scuole, strade, ospedali o chiese. L’unica
cosa di cui si ha bisogno nel nostro bellissimo vec-
chio continente europeo (quello che ha evangeliz-
zato altre parti del mondo, il mio Paese, l’Uganda,
compreso) è Cristo.
La fede è in crisi, i credenti è le vocazioni sono
sempre meno, perciò è urgente rinnovare l’attività
della Chiesa e del carisma salesiano qui e ora, una
Chiesa che deve avvicinarsi ai non credenti e pro-
muovere le vocazioni alla vita religiosa.
Nel 2008 il Rettor Maggiore emerito don Pascual
Chávez, con questa motivazione, ha introdotto nel-
la Congregazione il “Progetto Europa” attraverso
il quale un buon numero di missionari provenienti
dall’Africa, dall’Asia e dall’America Latina è giun-
to in Europa per rinnovare il processo di annuncio
del Vangelo ai bisognosi di Cristo.
Se dovessi sintetizzare in tre parole quali sono i pi-
lastri della mia missione salesiana in Europa direi:
Preghiera, Amore e Gioia.
Essere missionario è una cosa bellissima, anche se
non così facile come a volte pensiamo. Richiede for-
za, coraggio, umiltà e tanta pazienza. Non c’è luogo
in cui possiamo separarli da Dio attraverso la pre-
ghiera. Allora, amore e gioia si uniscono in questo
gruppo di elementi di grande ispirazione e sostegno.
Sono sicuro e convinto che l’amore e la gioia possono
cambiare il mondo e aprire le porte dell’eternità a chi
li pratica, come Madre Teresa “l’apostolo dell’amo-
re” che ha felicemente trasformato la vita nelle strade
povere di Calcutta, diventando una santa.
Vivo la mia missione nella preghiera, affinché possa
continuare a servire con letizia, per essere tra coloro
che gioiranno con don Bosco, Maria Ausiliatrice e
gli altri santi del cielo.
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Germain e la sua missione in Siria
Mi chiamo Germain Maevatoky, sono nato in
Madagascar, nella Visitatoria Madagascar (mdg).
Oggi sono un giovane missionario in Siria, nell’I-
spettoria salesiana Medio Oriente (mor).
Sono arrivato ad Aleppo il 2 Luglio 2022 e vi ri-
marrò un anno per imparare l’Inglese, l’Arabo mo-
derno standard e l’Arabo siriano.
Il 21 settembre del 2021, sono arrivato in Italia, a
conclusione del primo anno di tirocinio, per la for-
mazione dei nuovi missionari della 152a spedizione
missionaria.
Durante il mio soggiorno in Italia ho studiato l’Ita-
liano per sette mesi presso la comunità salesiana di
Salerno. Dopodiché, l’Ispettore mi ha comunicato
che sarei dovuto andare a Il Cairo, in Egitto, per
aspettare il visto d’ingresso in Siria.
Sono rimasto in Egitto per due mesi, ho dunque ri-
cevuto il visto per la Siria, sono partito per Dama-
sco da dove, infine, dopo qualche giorno, mi sono
recato ad Aleppo.
Credo che il cuore della mia missione sia essere
segno e portatore dell’Amore di Dio per i giovani
siriani, così provati da oltre dieci anni di guerra.
Il Rettor Maggiore don Ángel Fernández Artime,
durante la formazione dei missionari propedeutica
alla consegna del crocifisso missionario a Valdocco,
ci ha insegnato che oggi non abbiamo bisogno di
missionari che cambino o costruiscano tante “cose”,
quello di cui le persone hanno bisogno è la presenza.
Essere con i giovani, ascoltarli, incoraggiarli, portare
loro la gioia, condividere con loro la preghiera.
Qui ad Aleppo, come opera della comunità, ci sono
un oratorio e un centro giovanile molto frequen-
tati da ragazze e ragazzi anche non cattolici ed è
straor­dinario sperimentare quanto i confini non
siano altro che imposizioni che ci diamo noi stessi
per paure e pregiudizi.
La mia più grande difficoltà per adesso è la lingua,
sono necessari pazienza e tempo per impararla.
Comunichiamo in Inglese o in Francese, ma no-
nostante i limiti linguistici e le differenze culturali,
mi ha toccato moltissimo che i giovani mi abbiano
accolto senza paura e senza reticenze. Sono simpa-
tici, generosi e aperti a diffondere tra di loro e in
famiglia una cultura di pace.
Nel viaggio da Damasco ad Aleppo, ho visto le case
distrutte, una città ferita e abbandonata… Sono ri-
masto davvero colpito. Le persone rimangono ore
in fila in macchina per acquistare la benzina, il cibo
è scarso, manca l’elettricità e non ci sono iniziative
o luoghi in cui i ragazzi e le ragazze possano riabi-
litarsi dal trauma collettivo della guerra.
Durante la mia formazione missionaria e il discer-
nimento, immaginavo la sofferenza delle popola-
zioni in guerra e in me cresceva la volontà di andare
in un luogo in cui potessi essere utile alla costruzio-
ne della pace.
Ho espresso la mia volontà di trasformare la mia
empatia a distanza in azioni concrete.
Oggi, come missionario in Siria, il mio cuore sof-
fre, ma la mia missione principale è quella di por-
tare l’amore di Dio ai giovani con il sorriso e con la
gioia.
Durante la mia
formazione
missionaria e il
discernimento,
immaginavo
la sofferenza
delle
popolazioni
in guerra e in
me cresceva
la volontà di
andare in un
luogo in cui
potessi essere
utile alla
costruzione
della pace.
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L’INVITATO
O. Pori Mecoi
Don Gabriel Romero
Consigliere Regionale per
l’America Latina Cono Sud
«Sono contento nel vedere la generosa
dedizione dei miei confratelli salesiani, la
disponibilità di tanti laici seriamente impegnati
nella missione e la creatività salesiana che
si è consolidata in tante opere e servizi per
rispondere alle esigenze del momento».
Può presentarsi?
Mi chiamo Héctor Gabriel Romero, ho 50 anni e
sono nato a Bella Vista, nell’interno della provincia
di Tucumán, nel nord dell’Argentina. Sono salesia-
no da 30 anni e sacerdote da 23.
Com’era la sua famiglia?
Mio padre Miguel era un commerciante, morto
nel 2003, e mia madre Cristina è un’insegnante in
pensione. Ho due fratelli, Federico e Ana, con le
rispettive famiglie, e ho quattro bellissimi nipoti,
grazie a Dio.
Perché ha deciso di diventare
religioso e salesiano?
All’età di 12 anni, quando dovetti iniziare la scuola
secondaria, mio padre, che era un exallievo, mi fece
entrare nella Scuola Salesiana Tulio García Fernán-
dez di Tucumán. È lì che ho conosciuto i salesiani.
Ho iniziato a far parte di un gruppo di giovani che
era l’Azione Cattolica della scuola e con loro ho fatto
diverse esperienze missionarie e di servizio, ritiri spi-
rituali e campi. L’esperienza del gruppo mi ha aperto
a scoprire nuovi amici, a far parte del movimento
giovanile salesiano, a partecipare ad alcuni incon-
tri giovanili a livello provinciale e nazionale, e a far
parte di gruppi teatrali come il Don Bosco Musical,
in quel centenario del 1988. Ero felice di andare a
scuola: i compagni, lo sport, lo studio, gli insegnanti
e i salesiani creavano un’atmosfera in cui mi sentivo
a casa. Quell’atmosfera e l’esperienza apostolica vis-
suta con i miei amici del gruppo giovanile mi hanno
fatto sentire che quello era il mio posto e che avrei
sempre voluto essere lì, con don Bosco, e dare la mia
vita per servire altri giovani.
Quali sono state le sue esperienze
come salesiano?
Con la professione religiosa si sono approfondite le
motivazioni della mia consacrazione: la certezza di
dare la mia vita al Signore e di fare di Lui il cen-
tro delle mie scelte. Solo durante il tirocinio, a San
Juan, con la testimonianza dei salesiani, il desiderio
di essere sacerdote e di celebrare i sacramenti di-
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OTTOBRE 2022

2 Pages 11-20

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venne più chiaro. E poi, durante i miei anni da sa-
cerdote, ho dovuto accompagnare diverse fasi della
formazione iniziale: Noviziato, Prenoviziato e Po-
stnoviziato, e in quelle comunità abbiamo collabo-
rato pastoralmente nelle parrocchie e nel Collegio
dove erano inseriti, insieme ai fratelli in formazione
e al resto dell’équipe formativa. Nel 2016 ho inizia-
to il mio servizio come Provinciale dell’arn, con
sede a Córdoba, fino alla CG28.
La regione del Sud America fa parte
dei sogni di don Bosco. Quali sono i
punti di forza attuali della Regione?
Guardando alla Regione Sud America Cono Sur,
potrei evidenziare la realtà viva e attiva del Movi-
mento Giovanile Salesiano, con la sua diversità di
gruppi e attività oratoriane, missionarie e di volon-
tariato; la forte esperienza della missione condivisa
con i laici, dove alcune opere sono affidate intera-
mente a un’équipe di laici impegnati e ben formati
nella spiritualità salesiana; e la realtà impegnativa
delle missioni con le popolazioni indigene: il Cha-
co paraguaiano, l’Amazzonia, il Mato Grosso e la
Patagonia, tra gli altri luoghi.
Qual è la situazione sociale nei paesi
della regione?
La crisi sanitaria ha indubbiamente avuto e avrà un
impatto a lungo termine sulle economie della re-
gione. I Paesi devono intervenire immediatamente
per dare il via a un processo di ripresa lento ma co-
stante. Le sfide di lunga data in materia di alloggi,
istruzione e sanità pubblica, pur essendo state af-
frontate, richiedono nuove decisioni che affrontino
anche gli effetti del cambiamento climatico.
Le scuole hanno riaperto e le aziende stanno as-
sumendo o riassumendo personale; tuttavia, le ci-
catrici rimangono e continuano a richiedere atten-
zione.
Le statistiche parlano del più alto tasso di povertà
degli ultimi decenni, unito a un aumento dei lavori
informali a salario minimo e a una disuguaglian-
za di reddito che rimane elevata. Dobbiamo anche
menzionare il crescente tasso di violenza in alcune
Guardando alla
Regione Sud
America Cono
Sur, potrei
evidenziare
la realtà viva
e attiva del
Movimento
Giovanile
Salesiano, con
la sua diversità
di gruppi
e attività
oratoriane,
missionarie e
di volontariato;
la forte
esperienza
della missione
condivisa con
i laici.
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L’INVITATO
Alla vigilia
della
celebrazione
del 150°
anniversario
del primo
invio
missionario
in Patagonia,
possiamo
rinnovare
la nostra
fedeltà
a questo
progetto
missionario,
sognato dal
nostro padre
don Bosco.
città, le lamentele, gli scioperi e le proteste. In alcu-
ni Paesi il tasso d’inflazione è molto alto e questo
influisce direttamente sulle economie familiari e
regionali.
Sebbene ci siano molte ragioni per essere pessimisti,
le grandi crisi aprono anche enormi opportunità di
ristrutturazione economica e sociale. I Paesi della re-
gione, in misura maggiore o minore, possiedono ri-
sorse naturali nel campo dell’energia e dell’agricoltu-
ra, alcuni hanno riserve significative di gas e hanno
un enorme potenziale nelle energie rinnovabili. Lo
stesso si può dire per la produzione e la tecnologia
alimentare. Un’altra grande opportunità è la crescita
verde, poiché la regione ha un enorme potenziale di
elettricità rinnovabile – solare ed eolica – e un vasto
capitale naturale – acqua, alberi, biodiversità – che
offre il potenziale per nuove industrie.
Come sono visti la Chiesa cattolica
e i salesiani?
Sebbene la maggior parte dei Paesi della regione
abbia una forte tradizione cattolica e una storia
strettamente legata alla religione, negli ultimi anni
si è assistito a un crescente secolarismo, soprattutto
nelle grandi città. A questo si aggiunge l’aumento
delle chiese evangeliche e pentecostali, e purtroppo
in certe persone le diverse situazioni di abuso vissu-
te all’interno della Chiesa hanno generato rifiuto e
repulsione, fino a far loro abbandonare la fede.
Noi salesiani siamo parte di questa Chiesa e, con
tutte le difficoltà che viviamo, abbiamo, credo, un
buon livello di stima. Siamo apprezzati per il no-
stro lavoro educativo pastorale, la nostra formazio-
ne professionale, la nostra presenza tra i più poveri
e nei territori di missione.
Grazie a Dio, ci sono ancora molti giovani che
vogliono consacrare la loro vita a Dio nella Con-
gregazione e ci sono molti che si uniscono al lavo-
ro missionario e oratoriano. Il carisma salesiano è
profondamente radicato. Don Bosco è conosciuto
e amato.
Qual è la cosa più soddisfacente?
Visitando le comunità e conoscendo luoghi, perso-
ne, opere, si impara ad ascoltare e a valorizzare la
vita e le tradizioni di ogni luogo. Sono felice nel
vedere la generosa dedizione dei miei confratelli sa-
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OTTOBRE 2022

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LA REGIONE AMERICA LATINA
CONO SUD
Website http://acs.sdb.link
Numero di circoscrizioni nella regione: 11 Ispettorie
Numero di Confratelli: 1158
Numero di Novizi: 29
Numero di Vescovi: 143
ARN-Argentina Nord, ARS-Argentina Sud
BBH-Brasile Belo Horizonte, BCG-Brasile Campo Grande,
BMA-Brasile Manaus, BPA-Brasile Porto Alegre, BRE-Brasile Recife,
BSP-Brasile Sao Paulo, CIL-Cile, PAR-Paraguay, URU-Uruguay
lesiani, la disponibilità di tanti laici seriamente im-
pegnati nella missione e la creatività salesiana che si
è consolidata in tante opere e servizi per rispondere
alle esigenze del momento.
Quali sono i problemi da affrontare?
Potrei dire le sfide indicate nel nostro CG28: la ne-
cessità di approfondire la nostra identità di salesiani
consacrati, per poter vivere con intensità la missio-
ne tra i più poveri, sfruttando la consistenza delle
nostre comunità educativo-pastorali; favorire una
presenza affettiva ed efficace tra i giovani e avere
tempi concreti per l’accompagnamento e l’ascolto
personale; crescere nella corresponsabilità con i
laici in formazione e in missione, continuando ad
affidare loro compiti di animazione e gestione.
Quali sono i suoi sogni
e i suoi progetti?
Sogno che possiamo sempre più dare testimonian-
za come veri “fratelli” salesiani; che, con le nostre
differenze e le nostre storie, possiamo capirci, ac-
cettarci, valorizzarci e lavorare insieme per i giova-
ni. Credo che la nostra testimonianza di “comunità
fraterne” impegnate tra i più poveri, di “santità”
comunitaria, possa far nascere nuove vocazioni per
questa regione della nostra amata Congregazione.
E alla vigilia della celebrazione del 150° anniversa-
rio del primo invio missionario in Patagonia, pos-
siamo rinnovare la nostra fedeltà a questo progetto
missionario, sognato dal nostro padre don Bosco,
rispondendo alle nuove sfide dei giovani del nostro
territorio.
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TEMPO DELLO SPIRITO
Carmen Laval
I nove ingredienti
dell’amore Il dono supremo e assoluto
della vita, secondo
san Paolo, è l’amore.
I nove ingredienti dell’amore sono:
Ma il vero amore è
1. La Pazienza
La pazienza è l’atteggiamento consueto dell’Amore:
attendere con calma, senza alcuna fretta, sapendo
composto di nove preziosi
ed essenziali elementi.
che, a un certo punto, vincerà anche le situazioni
più difficili. È la capacità di “sopportare” nel senso persone che ci stanno accanto. È il sentimento più
di accettare anche aspetti sgradevoli e fastidiosi e spregevole che un uomo possa provare.
nel senso di sostenere sempre la persona amata.
2. La Bontà
4. L’Umiltà
Dopo che l’Amore è penetrato nelle nostre vite e
«Avete mai riflettuto sul fatto che Gesù utilizzò ha compiuto la propria opera magnifica, dobbia-
tutta la sua vita terrena cercando di dimostrare mo rimanere tranquilli e non dire nulla. L’Amore
bontà verso il prossimo, agendo per rendere con- si nasconde anche a se stesso. L’Amore evita l’au-
tenti gli altri? Che impiegò gran parte dello scarso
tempo trascorso in questo mondo per far felici i
suoi contemporanei? Se guarderete la sua storia in
quest’ottica, noterete che Cristo non tralasciò di
essere affettuoso con il prossimo, malgrado dovesse
dedicarsi a innumerevoli compiti» (H. Drummond).
Abbiamo un potere immenso: possiamo fare fe-
lici gli altri! Ed essere amabili non costa nien-
te. Qualcuno ha detto: “La cosa più importante
che possiamo fare per il nostro Padre Celeste è
dimostrarci amorevoli verso gli altri Suoi figli!”
Troppe volte ci adoperiamo per piacere, mentre do-
vremmo sforzarci di dare gioia.
3. La Generosità
L’Amore non è invidioso. È largo di cuore. Alcune
persone riescono meglio di te in tante cose. Non in-
vidiarle. L’invidia è un’espressione che generalmente
arriva a distruggere le componenti migliori delle
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OTTOBRE 2022

2.5 Page 15

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tocompiacimento. L’Amore non si vanagloria né si vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi
insuperbisce.
sarà schiavo di tutti».
5. La Gentilezza
Il quinto ingrediente è qualcosa che può sembrare
strano e inutile nell’Arcobaleno dell’Amore: la gen-
tilezza. È l’Amore che si manifesta nelle piccole
cose.
L’Amore non è mai aggressivo o sconveniente. Chi
ha l’Amore nel proprio cuore è sempre educato e
cortese.
6. La Dedizione
L’Amore è un “servizio” gratuito. Si ama perché
l’Amore è il Dono Supremo, e non per il fatto che
possiamo ottenere qualcosa in cambio. L’Amore
basta a se stesso.
In quest’epoca, gli individui si preoccupano trop-
po di avere e ricevere, di esibire, di conquistare, di
essere serviti dagli altri. È ciò che la maggioranza
degli esseri umani definisce “realizzazione”.
“Realizzazione”, invece, è «dare e servire». Gesù ha
detto: «Chi vuole diventare grande tra voi sarà
7. La Tolleranza
Gesù ha sempre lottato contro l’intolleranza e i pre-
concetti, arrivando a pronunciare frasi insopportabi-
li per i benpensanti del suo tempo: «I peccatori e le
prostitute vi passano avanti nel regno di Dio». Chi
ama non divide mai l’umanità in “noi” e “gli altri”.
Nel Regno Celeste non c’è posto per coloro che
nutrono preconcetti e per gli intolleranti. Chi ha
dei pregiudizi riuscirebbe a rendere insopportabile
il Paradiso per sé e per gli altri.
8. Il perdono
Chi ama non nutre alcun risentimento per il male
ricevuto, vede sempre il lato buono delle cose, fa
agire sempre la parte migliore di sé.
9. La Sincerità
Chi sa amare, ama la verità quanto il suo prossimo.
Egli gioisce nella Verità. La ricerca con la mente
serena, umile, senza preconcetti e intolleranze – e
finisce per essere soddisfatto di ciò che incontra.
Non la sincerità che umilia il prossimo, quella che
sfrutta l’errore altrui per mostrare la bontà di chi
parla. Il vero Amore non consiste nel dichiarare agli
altri le loro debolezze, bensì nell’accettare tutto, nel
gioire allorché le cose si rivelano migliori di come
sono state descritte.
«Dio è Amore» afferma il Vangelo. L’Universo è
stato creato per amore e questa forza incredibile qui
è rimasta: un Amore che, penetrando in noi, addol-
cisce, purifica e trasforma tutto. Allontana ciò che
vi è di sbagliato, rinnova, rigenera, ricostruisce l’in-
timo dell’essere umano. Il potere della volontà non
cambia l’essere umano. Il tempo non muta l’uomo.
È l’Amore che lo trasforma.
«Lasciate dunque che l’Amore entri in voi. E ri-
cordate: è una questione di vita o di morte» (H.
Drummond).
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2.6 Page 16

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LE CASE DI DON BOSCO
Donato Bosco
Una vera “potenza”
educativa Nella città di Potenza tra
i tanti servizi, i quartieri
popolari e il cemento, i
Salesiani fanno fiorire una
magnifica casa con il cuore
aperto per i giovani e per
le famiglie, dove si può
crescere dal punto di vista
cristiano e umano.
Attualmente
l’Opera
Salesiana
di Potenza
è composta
dalla
Parrocchia,
dall’Oratorio
Centro
Giovanile e
dal convitto
universitario.
Monsignor
Augusto
Bertazzoni,
grande
benefattore
dell’opera. Si
racconta sia
stato proprio
don Bosco a
profetizzare la
sua elezione
a Vescovo
quando,
carezzandogli
il capo, in
cortile gli
disse: “Che
bella testolina
da mitria”.
Potenza è il capoluogo di regione della Ba-
silicata nonché il più alto d’Italia, posto
geograficamente nel cuore del Meridione.
La storia di questo luogo delle aree interne
non è secondaria a quella di tanti altri, neppure per
quanto riguarda l’esperienza cristiana. La storia di
Potenza infatti non può prescindere da quella del
suo protettore, san Gerardo La Porta, e dal solerte
impegno profuso da questo vescovo per la crescita
spirituale della città. San Gerardo ha aperto a Po-
tenza, tra la fine dell’xi e l’inizio del xii sec., una
scuola gratuita per tutti, con l’intento di educare
i giovani ai buoni costumi. La devozione
nei confronti del santo in città è ancora
oggi vivissima, eredità dei primi fedeli
che hanno riconosciuto in lui valori
importanti, come quello dell’educa-
zione. Si può trovare allora proprio
nei meandri del Medioevo, simbo-
licamente, l’inizio di una sensibilità
che ha condotto secoli dopo all’arri-
vo nel capoluogo lucano di una con-
gregazione che ha tra le sue missioni
principali quella dell’educazione dei giovani: i Sa-
lesiani.
L’arrivo dei Salesiani
Nella Potenza del primo dopoguerra si innesta in-
vece la storia di un altro vescovo, il venerabile Au-
gusto Bertazzoni, che dal 1930 al 1966 ha retto la
diocesi di Potenza e Marsico Nuovo. L’operato di
questo pastore originario del mantovano, corag-
gioso e faticoso per gli anni difficili attraversati,
ha forse origine in un episodio singolare quanto
emozionante. Il giovane Bertazzoni, a Torino tra il
1885 e il 1887, è stato allievo di don Bosco
e del suo oratorio. Si racconta sia stato
proprio il nostro fondatore a profetiz-
zare la sua elezione a Vescovo quan-
do, carezzandogli il capo, in corti-
le gli disse: “che bella testolina da
mitria”. La breve ma intensa espe-
rienza torinese ha lasciato un segno
nella vita di Bertazzoni, tanto da
portarlo a dedicare nel 1939 un alta-
re della cattedrale al santo dei giovani
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OTTOBRE 2022

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e non solo: lo ha stimolato infatti ad impegnarsi
per l’arrivo della congregazione di San Francesco
di Sales nella sua diocesi. Bisogna aspettare però il
1964 per l’annuncio ufficiale: i Salesiani tornano a
Potenza per dar vita ad una parrocchia e all’orato-
rio, dopo aver retto in passato per un biennio, agli
inizi del ’900, il Seminario diocesano.
Lo sviluppo e la struttura attuale
dell’Opera Salesiana
Da questo momento la storia della presenza sale-
siana nel capoluogo lucano è una storia di sviluppo
e crescita costante. Nel 1966 viene inaugurato l’o-
ratorio e posta la prima pietra della nuova Chiesa,
consacrata nel 1973. Tra fine anni ’70 e anni ’80 la
casa cresce con la costruzione del complesso O.S.,
dell’oratorio, della cappella S. Domenico Savio, del
Cineteatro, dell’ambulatorio e di altri ambienti fun-
zionali. Gli anni ’90 vedono la crescita del gregge
della parrocchia con l’ingresso di molte contrade
nel nucleo originario del Rione Risorgimento. Sono
inoltre anni di un’intensa attività educativa, infatti
viene formato il gruppo dei ministranti e vengono
seminate esperienze fondamentali per il contatto con
la realtà cittadina, come quella della Savio Estate e
Festinsieme. È proprio in quegli anni che iniziano
a fiorire molte vocazioni alla vita consacrata e non,
offrendo un contributo importante all’Ispettoria
Meridionale, in una scia che si prolunga fino ai
giorni nostri. Attualmente l’Opera Salesiana di
Potenza è composta dalla Parrocchia, dall’Oratorio
Centro Giovanile e dal convitto universitario. Le
attività annuali, discusse e predisposte dal consi-
glio della cep, vengono realizzate da una comunità
attiva dove coesistono e collaborano giovani, adulti,
famiglie oltre ai padri Salesiani.
L’Oratorio Centro Giovanile Salesiano di Potenza
ha ospitato negli anni migliaia di ragazzi e ragazze,
aiutandoli a crescere nella fede e nella vita. Un im-
portante luogo di incontro, dunque, posizionato in
una zona nevralgica e centrale della città dal punto
L’oratorio è un
importante
luogo di
incontro
posizionato
in una zona
nevralgica e
centrale della
città.
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2.8 Page 18

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LE CASE DI DON BOSCO
di vista urbanistico. Se non è possibile avere una sti-
ma precisa di presenze in oratorio, si può verificare
da varie fonti che il materiale umano su cui lavorare
non è mai mancato e che molte generazioni hanno
beneficiato della presenza salesiana. Solo la pande-
mia ha portato ad una lieve flessione nel numero di
iscritti all’Oratorio, che si attestano comunque sulle
800 unità. Da giugno a luglio va invece in scena la
Savio Estate, che porta nel cortile dell’oratorio 400
bambini e preadolescenti oltre ai 100 animatori men-
tre la catechesi, invece, riguarda più di 500 ragazzi
e ragazze. Si tratta di giovani di tutte le estrazioni
sociali, provenienti in maniera abbastanza eteroge-
nea da tutte le zone della città. Nell’orbita della Par-
rocchia e dell’Oratorio viaggiano le tante associazio-
ni formatesi nel corso degli anni, tra cui i Salesiani
Coope­ratori, la Caritas parrocchiale, le Famiglie don
Bosco, l’Associazione Devoti di Maria Ausiliatrice, i
Testimoni del Risorto 2000, gli Exallievi, il labora-
torio Mamma Margherita. Tra le altre associazioni
più dinamiche troviamo la pgs e il cgs; infatti alla
prima spetta la cura delle attività sportive mentre
all’altra la cura di quelle più strettamente culturali.
Le attività
I cammini di formazione dei Salesiani a Potenza
sono volti a costruire una comunità che sia inclu-
siva, scegliendo di accogliere e accompagnare ogni
persona con delle proposte che abbracciano tutto il
corso della vita.
Si parte infatti dal percorso 0-6 anni, che incontra
le esigenze delle famiglie, coinvolgendole insieme
ai piccolissimi, prima di arrivare ai cammini di ca-
techesi (dalla seconda elementare alla seconda me-
dia). In seguito i ragazzi possono vivere una prima
esperienza di gruppo negli ads (Amici Domenico
Savio) che ha un percorso che si conclude con la pro-
messa di impegno e servizio nella comunità. Suc-
cessivamente acquistano un impegno di animazione
e passano ai successivi gruppi oratoriani, che vedo-
no culminare le proprie attività annuali con i campi
estivi. Alla fine delle scuole superiori si aprono le
porte del gruppo giovani, negli ultimi anni oggetto
di molto lavoro da parte della cep. La città di Poten-
za ha bisogno di connessione con e tra i giovani, per
creare insieme e fornire loro opportunità di restare
e dare valore al territorio. Agli adulti sono dedica-
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OTTOBRE 2022

2.9 Page 19

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te varie proposte pastorali, tra cui quella familiare.
Un’altra esperienza interessante, ormai diventata tra-
dizionale, è quella del “Vangelo in Famiglia”. Du-
rante l’Avvento e la Quaresima, una sera a settima-
na, un sacerdote, un animatore e una coppia di laici
vengono ospitati da alcune famiglie della parrocchia.
In queste occasioni si presenta il Vangelo della do-
menica, si condividono momenti di preghiera e si
conclude con attimi di convivialità. L’attenzione è a
tutto l’arco della vita umana ma con un occhio parti-
colare alla vita dei giovani. Per questo motivo è nato
da poco, in uno dei locali dell’Opera Salesiana, un
nuovo punto d’aggregazione per i giovani: il centro
40° 15’. Esso riprende proprio le coordinate geogra-
fiche della città di Potenza e si propone come luogo
di incontro e di crescita aperto a tutti.
La possibilità di programmare al principio di ogni
anno pastorale le azioni da mettere in campo, con-
sente alla comunità di Potenza di diversificare in
maniera ampia le proprie attività e di poter sceglie-
re serenamente il modo in cui ispirarle. Da un lato
la fede cristiana, dall’altro il carisma salesiano tout
court, dall’altro ancora la testimonianza di persone
che hanno dato tanto per l’opera di Potenza ma che
hanno lasciato prematuramente questa vita. Negli
ultimi anni infatti ci sono state alcune perdite im-
portanti ma la fede sincera di questi giovani e il loro
attaccamento all’oratorio, li hanno resi dei modelli
importanti per orientare il lavoro socioeducativo di
tutta la comunità. È il caso di figure come quelle
di Domenico Lorusso, Maurizio Ciriello, Linda
Catalano, diventati animatori dal cielo di gruppi
che hanno trovato dopo il dolore la voglia di con-
tinuare a fare il bene. A Domenico Lorusso è stata
intitolata la pgs Don Bosco mentre è ormai giunta
alla decima edizione un’altra iniziativa importante
che inaugura l’estate salesiana a Potenza: la “Stra-
donBosco con Domenico”. Quest’estate, grazie al
contributo dell’aps “Con gli Occhi di Maurizio”
sono stati donati all’Oratorio dei campetti polifun-
zionali nuovi di zecca, e per far vivere il suo ricordo
gli sono stati dedicati gli “Happy Days”, giornate
in cui vengono presentate alla città le attività ora-
toriane svolte durante l’anno. “Semi di girasole” è
invece l’aps che vedrà la vita nei prossimi mesi, uno
strumento importante per la crescita della comuni-
tà che verrà dedicato a Linda Catalano, educatrice
e animatrice scomparsa da pochi mesi. Le vite di
questi giovani entrano a far parte dei pilastri della
casa di Potenza, per rendere il sogno di don Bosco
ancor più tangibile, emozionante, da continuare.
L’influenza della presenza
salesiana a Potenza
Abbiamo sentito il direttore parroco, don Emidio
Laterza, per domandargli quanto la presenza sale-
siana sia “impattante” in città. “Dal punto di vista
ecclesiale siamo un punto di riferimento soprat-
tutto per la Pastorale giovanile della città e della
Diocesi. Siamo l’unico Oratorio che svolge il suo
servizio educativo quotidiano con il coinvolgimen-
to di animatori, adulti, famiglie e salesiani. Anche
la società civile vede la presenza salesiana come un
centro di riferimento pastorale, educativo, culturale
e ludico. Infatti, la Parrocchia, l’Oratorio, il Centro
giovanile, il Convitto universitario, il Cineteatro, i
cortili attrezzati fanno della nostra Opera un polo
educativo e pastorale di qualità. Il riscontro più ef-
ficace è la presenza numerosa di famiglie, di adulti,
ma soprattutto di un numero notevole di ragazzi e
giovani.
Negli ultimi
anni ci sono
state alcune
perdite
importanti, ma
la fede sincera
di questi
giovani e il loro
attaccamento
all’oratorio
li hanno resi
dei modelli
importanti
per orientare
il lavoro
socioeducativo
di tutta la
comunità.
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2.10 Page 20

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IN PRIMA LINEA
O. Pori Mecoi
«Faccio don Bosco
nel paese dei Khmer»
Incontro con Roberto Panetto,
SDB, a Sihanoukville, Cambogia.
“La vocazione ha
qualcosa di misterioso:
un qualcosa di mezzo
fra una chiamata e
un ordine… lascia
tutto, vieni e seguimi!
Questo avvenne per
tutte e due le mie
vocazioni, quella
salesiana e quella
missionaria”.
Qual è la tua carta d’identità?
Uno dei non pochi “difetti” di noi salesiani è di
essere innamorati di don Bosco. Quando qualcuno
ci chiede chi siamo, la pronta risposta è “salesiani di
don Bosco”. Ci sentiamo figli di don Bosco prima
ancora che figli del buon Dio, ma penso che il Si-
gnore si compiaccia di questa nostra debolezza per-
ché qualsiasi mezzo porta l’essere umano ad essere
buono è gradito alla Fonte di ogni Bene.
Confesso il mio orgoglio di essere nativo di Torino,
dove don Bosco ha realizzato la sua avventurosa
missione. Dopo i pochi giorni nel reparto materni-
tà nel dicembre del 1951, fui portato al paesino di
Ceresole d’Alba che fa come un triangolo equilate-
ro di 40 km con Torino e Colle don Bosco.
Non rimasi però a lungo al paese perché dopo 5
mesi mi fu diagnosticata una tubercolosi milia-
re, un male per il quale, se si sopravviveva, c’era
il grande rischio di gravi menomazioni dovute alle
forti medicine in uso a quei tempi.
Cominciò così il piccolo calvario per la mia fami-
glia perché mia mamma, per assistermi all’ospedale
dei bambini di Torino, dovette lasciare o meglio
distaccare con la forza mia sorella di 2 anni che a
buon diritto piangeva aggrappata alla mamma in
partenza da casa lasciandola sola con mio padre. Il
periodo passato all’ospedale fu di quasi due anni.
Racconta mia mamma delle pesanti cure con inie-
zioni di antibiotici tre volte al giorno alle quali
immancabilmente reagivo con l’unico mezzo che
hanno i neonati per farsi sentire ed esprimere il loro
disappunto…
In queste situazioni è naturale ricorrere a tutti i santi
e mia madre ricorse a quello giusto perché scrisse
una lettera di supplica di aiuto a padre Pio di Pietrel-
cina. Padre Pio rispose con un semplice scritto su un
foglio di carta strappato da un quaderno: “Prega ed
il Signore ti concederà quello che chiedi”.
Il grave ostacolo alla guarigione era il fatto che
rifiutavo regolarmente il latte. Senza nutrimento
non c’è via di guarigione! Fu così che, seguendo
20
OTTOBRE 2022

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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il consiglio di padre Pio, dopo una breve visita e
preghiera nella cappella dell’ospedale mia mamma
mi accostò il biberon alle labbra mentre stavo dor-
mendo… miracolo! Racconta mia mamma come
sentì il biberon di plastica appiattirsi in mano per
il risucchio così forte… e da allora ripresi forze e
salute. Immagino in quel momento cosa possa aver
provato mia mamma!
Com’è nata la tua vocazione?
Grazie ad una “buona notte”! Non proprio come
per Samuele, ma per tutti i chiamati a seguire Cri-
sto nella vita religiosa, la vocazione ha qualcosa di
misterioso: un qualcosa di mezzo fra una chiamata
ed un ordine… lascia tutto, vieni e seguimi! Questo
avvenne per tutte e due le vocazioni, quella salesia-
na e quella missionaria.
Negli ultimi mesi del triennio ecco la buona notte
che mi cambiò la vita.
Il salesiano, don Bianco allora catechista della
scuola, parlò delle due strade che hanno di fronte i
giovani come ad una biforcazione; la strada del ma-
trimonio è quella più battuta e porta ad un cerchio
ristretto di persone che compongono la famiglia.
L’altra strada è quella di seguire un’eventuale vo-
cazione alla vita consacrata, come quella salesiana:
questa strada porta ad una famiglia così grande che
comprende tutto il mondo. Ogni giorno si scopro-
no nuove persone e tutte parte della nostra grande
famiglia.
Come hai conosciuto i salesiani?
Dopo due tentativi falliti per diventare sacerdote,
il primo al seminario di Alba dal quale fui cacciato
via per una marachella (con il favore delle tenebre
fra le buie mura del seminario avevo preso e nasco-
sto la bandiera che l’ardito velocista di una squadra
non trovò mentre tutto lo sciame della squadra av-
versaria gli piombava addosso…), che però i supe-
riori considerarono come indisciplina, ed il secondo
presso la casa per aspiranti dei salesiani di Chie-
ri, perché non era prudente accettare gli scarti del
seminario. Fu così che detti addio alla vocazione
sacerdotale e iniziai gli studi nella scuola professio-
nale dei salesiani di Bra nel reparto congegnatori
meccanici. Qui iniziai a conoscere i salesiani, con i
Una delle
tante
realizzazioni
geniali
dovute
all’intrapren­
denza del
signor
Panetto.
OTTOBRE 2022
21

3.2 Page 22

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IN PRIMA LINEA
“I giovani sono
volonterosi,
come tutti, ma
la società non
gioca dalla
loro parte.
All’educatore
spetta il delicato
compito di
lanciare loro
delle sfide,
incoraggiandoli
e motivandoli
per continuare
ad andare
controcorrente”.
loro pregi e difetti, quelli severi e quelli indulgenti,
quelli espansivi e quelli riservati, ma tutti, ispirati
dalla stupenda persona di don Bosco, emanavano
un’attrazione trascinante.
Qual è il tuo compito attuale?
Attualmente sono economo della delegazione Cam-
bogia che è parte del trio di nazioni dell’ispetto-
ria thailandese che comprende Thailandia, Laos e
Cambogia. Come parte dell’incarico dell’economo
sono anche responsabile dell’ufficio pianificazione e
progetti per la nostra missione in Cambogia.
Risiedo nella cittadina balneare di Sihanoukville
a 230 km sud della capitale, Phnom Penh. Posso
così dare una mano anche nei reparti tecnici del-
la scuola professionale Don Bosco Technical and
Hotel School.
generazione vertiginoso e sotto certi aspetti scon-
volgente.
Dai genitori non hanno ricevuto un’educazione so-
lida, la corruzione è a portata di tutti ed inizia fin
dai primi anni di scuola ad essere una prassi “nor-
male” per poter passare l’esame.
I giovani sono volonterosi, come tutti, ma la società
non gioca dalla loro parte. All’educatore spetta il
delicato compito di lanciare loro delle sfide, inco-
raggiandoli e motivandoli per continuare ad andare
controcorrente.
A completare la serie di ostacoli per arrivare alla
vetta dell’adultità si aggiunge l’attrattiva di un gua-
dagno immediato in contrapposizione al seguire
il percorso formativo che offre la scuola come la
nostra. L’arrivo degli investimenti cinesi offre una
remunerazione immediata in cambio di un lavoro
semplice, indossando una bella divisa, che fa sem-
brare tutto facile ma che gradualmente porta ad
uno stato di schiavitù, visto i prestiti che i lavo-
ratori ricevono e che non saranno mai in grado di
restituire.
Don Bosco gioca dalla loro parte lanciando delle
sfide a scegliere fra una vita di lavoro e studio allo
stesso tempo e non adagiarsi nella vita facile che
fanno quasi tutti.
Quali sono le opere salesiane?
Le opere salesiane in Cambogia sono sette: la scuo-
la tecnica Don Bosco Technical School di Phnom
Come sono i giovani cambogiani?
I giovani cambogiani sono desiderosi di imparare,
allegri e figli del loro tempo. A loro viene offerta sia
la triste storia dei loro genitori, che in maggior par-
te hanno vissuto la loro giovinezza sotto il regime
del genocidio dei Khmer rossi, sia le tecniche più
avanzate della comunicazione tramite telefonini
smart, tablet e portatili che sul mercato dell’usato
si comprano con pochi dollari. È un passaggio di
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OTTOBRE 2022

3.3 Page 23

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Penh con circa 500 studenti. I reparti sono quelli
di meccanica, elettromeccanica, elettronica, salda-
tura, informatica e grafica. Annesso alla scuola c’è
un ostello per una sessantina di ragazze studenti.
La seconda scuola si trova alla città balneare di
Sihanoukville. Anche questa scuola offre alla gio-
ventù una preparazione al lavoro nei rami tecnici
più richiesti della meccanica, elettromeccanica, sal-
datura, auto-meccanica e scuola alberghiera.
La terza e la quarta scuola si trovano a Battambang,
300 km a nord della capitale Phnom Penh. Una
scuola ha l’obiettivo di preparare una sessantina di
giovani nel settore agricolo, sia come scuola agraria
sia come agri-meccanica per riparazione di mezzi
usati nell’agricoltura in Cambogia.
L’altra scuola offre l’educazione di base dalla scuo-
la materna fino alla 12ma classe, gli studenti sono
oltre 800.
La quinta scuola si trova a 2 km dal confine fra
Cambogia e Thailandia nella cittadina di Poipet. I
giovani seguono il percorso formativo della scuola
dell’obbligo e negli ultimi tre anni possono sce-
gliere l’orientamento tecnico integrato nelle classi
superiori dalla 10-11-12ma classe. Questa scuola
accoglie un gran numero di bambini lavoratori per
trasporto merci al confine, salvandoli dal grave pe-
ricolo di sfruttamento ed abuso al quale sono espo-
sti in questo rischiosissimo lavoro di contrabbando.
Nella cittadina balneare di Kep, uno dei posti
preferiti dai francesi nel periodo coloniale (1850-
1950) abbiamo una scuola che si affaccia proprio
sul mare. Questa scuola offre corsi di segreteria,
comunicazione sociale, informatica ed elettromec-
canica a 500 studenti. Annesse ci sono le strutture
di accoglienza di bambini e bambine oltre i 10 anni
che provengono da famiglie molto povere di vil-
laggi della zona. Una delle meraviglie del mondo è
Angkor Wat nella città di Siem Reap a 350 km a
nord della capitale Phnom Penh. Nel centro città
sulla sponda del torrente che attraversa la città ab-
biamo una casa di accoglienza Don Bosco & Vary
Guesthouse. Una benefattrice cambogiana ha of-
ferto la sua proprietà ed anche la sua presenza nel
seguire la gestione di questa struttura. Per ora è
solo un sogno, ma un giorno potrebbe diventare
una realtà con una scuola al servizio della gioventù
della zona.
Le scuole
salesiane
offrono alla
gioventù una
preparazione
al lavoro
nei rami
tecnici più
richiesti della
meccanica,
elettro­
meccanica,
saldatura,
auto-
meccanica
e scuola
alberghiera.
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3.4 Page 24

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FMA
Emilia Di Massimo
Mpaisrsteiocnipeaèzione
“Le FMA diffondono i valori cristiani, la cultura
della vita. Personalmente mi parlano con la loro
fedeltà a Cristo e la fiducia in Maria, con la gioia
di vivere”.
“È più bello
andare in
parrocchia
se ci sono le
suore!”
Una piccola ma bella e ricca realtà. La sua
ricchezza maggiore non è nelle attività
ma nelle persone, nelle suore che la com-
pongono e in chiunque sia coinvolto nella
loro missione. A loro la parola per presentare un
frammento della presenza salesiana in Slovenia e
in Croazia.
In Slovenia gli inizi risalgono al 1936 con l’arrivo del-
le prime quattro suore slovene provenienti dall’Italia;
quattro anni dopo comincerà la missione delle fma
in Croazia. Come mai, chiediamo a suor Barbara
Poredoš, suore slovene dall’Italia? “Tutte le suore del-
la Slovenia sono vissute in Italia perché non esisteva
ancora la nostra realtà salesiana. I Salesiani erano arri-
vati in Slovenia nel 1901 e avevano chiesto alle Supe-
riore che le fma fossero mandate anche in Slovenia.
Ciò si è realizzato, anche in Croazia, quando le cir-
costanze sociali e politiche lo hanno permesso: sono
arrivate delle ‘missionarie’ che erano in realtà slovene,
una rara particolarità!”; suor Barbara ci dice inoltre
che, secondo le testimonianze delle exallieve della
scuola materna di Murska Sobota, “la nostra presenza
è significativa in diverse opere, soprattutto perché è
una presenza materna, infatti i giovani dicono di es-
sere legati alle fma da molto tempo, prima attraverso
la scuola materna, poi come exallieve, facendo parte
della Compagnia di Maria e mediante la possibilità
della formazione per diventare educatori qualificati” .
Asserisce una ragazza: “Nel corso degli anni ab-
biamo ricevuto amore materno, sostegno, abbiamo
partecipato a tante iniziative di fede e di vita, viven-
dole come voleva don Bosco: le riunioni domenicali
senza canti, divertimento e conversazione sulla fede
e sulla vita in generale sono come un corpo senza
anima”.
Un’affermazione che racchiude ciò che le fma sono
e donano. La loro autenticità e presenza è estrema-
mente bella nella nostra parrocchia, e ancora più
bello è potere farne parte”.
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OTTOBRE 2022

3.5 Page 25

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Testimoniare è essere accessibile
Un’altra exallieva sottolinea i diversi aspetti dell’ac-
compagnamento delle fma: “Mi piace tornare
dalle suore per partecipare ai vari incontri, sono
sempre accessibili, disponibili e pronte ad ascoltarci
quando abbiamo un problema. Posso dire che con
la loro guida pedagogica giocano un grande ruolo
sia nella nostra educazione sia nel guidarci nei no-
stri percorsi di vita”.
“Le nostre opere – prosegue suor Barbara - coin-
volgono i bambini e i ragazzi del catechismo; si
organizzano gli Esercizi spirituali, le attività esti-
ve per gli adolescenti, per i giovani e per giovani
adulti, per le famiglie. Una parte importante è l’i-
struzione che si concretizza nella formazione dei
catechisti; inoltre i corsi di cucina, di musica e di
lingue straniere anche all’interno dei tre pensionati
universitari per le studentesse”.
Dietro l’elenco delle opere ci sono tanti volti con
tante storie di vita. Una salesiana cooperatrice ci
racconta che le fma sono state parte della sua cre-
scita personale, hanno portato il lato femminile del
carisma nella sua vita e in quella di tanti giovani
con la loro testimonianza umile e gioiosa.
L’importanza dei valori cristiani che le salesiane
vivono è sottolineata anche da una mamma di sei
figli, collaboratrice di diversi progetti: “Le fma
diffondono i valori cristiani, la cultura della vita.
Personalmente mi parlano con la loro fedeltà a Cri-
sto e la fiducia in Maria, con la gioia di vivere”.
Gli animatori sottolineano l’importanza del clima
accogliente e favorevole per la crescita personale e
spirituale dei giovani; i cresimandi lo esplicitano
così: “Ho imparato ad accogliere Dio nella mia vita
e a rispettare il prossimo”. “Ho fatto una scoperta
partecipando alle varie iniziative: bisogna stabilire
degli obiettivi nella vita”.
Le ragazze più grandi esprimono l’importanza del-
la trasmissione della fede e dei valori testimoniati
dalle fma; una delle partecipanti del gruppo di ri-
cerca vocazionale ed anche animatrice, esprime la
riconoscenza alle suore per averla aiutata ad inse-
rirsi nel cammino della Chiesa, a consolidare la sua
fede guardando a don Bosco e a Madre Mazzarello
nei quali vede la bellezza di una vita umile e sem-
pre al servizio dei giovani. Un’altra studentessa del
pensionato universitario afferma che “Le suore sono
per me sempre un esempio di grande risposta alla
chiamata del Signore, della sua bellezza ed esigen-
za vissuta ogni giorno nella vita concreta. Mi rende
felice sapere che posso contare sulle loro preghiere e
su un accompagnamento umano e spirituale”.
“Insieme ai nostri destinatari – conclude suor Barba-
ra – cresciamo anche noi Figlie di Maria Ausiliatri-
ce, sicure di essere sempre accompagnate da Maria,
anche e soprattutto nei momenti sia della fioritura
sia della potatura: l’albero della Famiglia salesiana
sarà sempre più rigoglioso se rimarremo ben radicate
nell’Amore del quale i giovani sono il volto stesso”, i
volti della missione sui quali, come diceva san Fran-
cesco di Sales, si incide di più con “un grammo di
buon esempio; vale più di un quintale di parole”.
Le suore
hanno
portato il lato
femminile
del carisma
salesiano
nella vita di
tanti fedeli e
in quella di
tanti giovani
con la loro
testimonianza
umile e
gioiosa.
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3.6 Page 26

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I NOSTRI EROI
Erino Leoni
Abba Melaku
La santa e straordinaria avventura di
monsignor Angelo Moreschi.
A ngelo Moreschi nasce il 13 giugno 1952
a Nave (bs), presso la contrada della Sac-
ca, terzogenito di una famiglia di sette
figli che papà Luigi, Gino per tutti, e
mamma Assunta crescono dediti al lavoro agricolo
e fortemente radicati in una fede vissuta senza trop-
pi fronzoli, ma robusta e gioiosa.
La solida religiosità di papà Gino e mamma As-
sunta porta presto in casa Moreschi a parlare di vo-
cazione; e fin da bambino non mancarono al nostro
Angelo i segni di un dono di Dio.
E così Angelo parte per Castel de’ Britti (bo) dove
frequenterà la quinta elementare, mentre per le
scuole medie si trasferirà
nell’aspirantato di Chiari
(bs), dove trascorrerà cinque
anni tra i più belli della sua giovinezza.
E così l’8 settembre 1974 Angelo diventa salesiano
e viene mandato per due anni nella casa di Verona
Saval per il biennio di studi filosofici. A Verona
egli matura la scelta missionaria. L’espressione-
slogan “io sono dei poveri”, che lo stesso Angelo
fa sua, si concretizza in una lettera all’ispettore sa-
lesiano in cui scrive: «Voglio donare la mia vita ai
poveri. Mandami dove vuoi. Sono disponibile».
Dopo l’ordinazione una rapida immersione nella
lingua inglese e, il 29 dicembre 1982, Angelo è
pronto a Milano-Linate a volare verso Addis Abe-
ba, prima tappa obbligatoria per lo studio della lin-
gua locale, in attesa di un contatto diretto con la
gente e la missione.
Un sorriso
che
illuminava
sempre il
suo volto
buono. Tutti
amavano
monsignor
Moreschi
per la sua
mitezza e lo
ammiravano
per la
genialità
delle sue
innumerevoli
inziative.
Dilla, il primo amore missionario
Giunti in Etiopia a fine dicembre 1982 il drappel-
lo missionario si ferma ad Addis Abeba presso la
casa dei Padri Comboniani per familiarizzare con
la lingua locale (l’amarico) e con gli usi e costu-
mi della nuova realtà. È subito amore a prima vista
e ciò è testimoniato dalle prime lettere scritte ad
amici e parenti. Una breve puntatina a Dilla, nel
febbraio 1983, non fa che accrescere il desiderio di
entrare in azione, sogno che si realizzerà nel mese
di maggio, quando i Padri Comboniani lasceranno
giuridicamente la missione di Dilla alla cura dei
confratelli Salesiani.
Avendo ereditato una parrocchia, una scuola ele-
mentare (6 classi) e un piccolo dispensario medico,
i nuovi missionari si spendono senza risparmio di
forze in un’esperienza poliedrica di interventi edu-
cativi e pastorali, secondo lo stile di don Bosco,
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OTTOBRE 2022

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sempre in risposta alle tante urgenze contingenti
della realtà locale. In pochi anni i parrocchiani
sono triplicati e una nuova Chiesa in blocchetti di
cemento è costruita; la scuola elementare si
allargherà presto e si penserà al livello
di istruzione successivo, con la nasci-
ta di una scuola media-superiore; il
dispensario medico diventerà, con
l’arrivo dopo un anno delle suore
salesiane, un Health Center a fa-
vore di tutta la città e dintorni.
Ma sono i frutti dell’inventiva e
dell’impegno travolgente a colpire nel
segno, attraverso proposte e risposte alle
necessità della gente e in particolare della popola-
zione giovanile, che demograficamente ha un’inci-
denza percentuale straordinaria. Nascono così:
Una mensa quotidiana per oltre 500 mamme e
bambini segnati dalla malnutrizione e dai suoi
drammatici effetti;
Un oratorio-centro giovanile quotidiano che ra-
duna un migliaio di ragazzi e giovani della città
e dintorni, appartenenti alle diverse etnie della
zona;
Una scuola professionale (ora tvet College) per
meccanici, elettricisti, falegnami, auto-riparato-
ri, costruttori di blocchetti in cemento. Questa
scuola professionale è il vero fiore all’occhiello
della Missione, per diversi anni rimarrà l’unica
scuola professionale di tutto il sud Etiopia, rea-
lizzata con notevoli sacrifici che vedono spesso
Abba Melaku andare e tornare da Addis Abeba
– nella stessa giornata impresa sproporzionata su
una strada lunga di fatto e interminabile perché
dissestata – e tutto per una firma, un permesso,
un container da sdoganare.
A Dilla in quegli anni la povertà è devastante, il
tessuto sociale – a partire dalla famiglia – ha grandi
carenze, le autorità governative non riescono a far
fronte alle troppe necessità della popolazione, che
già nei primi anni ’80 si stima di 30 000 anime,
stipate in tuguri e baracche fatiscenti. Ogni visita
ad una famiglia è un colpo al cuore per la miseria
sfacciata da constatare.
“Angelo” in lingua locale si dice “Melaku”, così don
Angelo diventa per tutti Abba Melaku.
La forza della passione però non tra-
volge la delicatezza del cuore, piut-
tosto la affina; così lo sguardo di
Angelo e dei missionari si posa
su una domanda di paternità che
sale dai piccoli ‘regalati’ alla mis-
sione da adulti non più in grado di
prendersene cura o dalla polizia che
li ha a propria volta ricevuti da chi si è
mosso a compassione per un piccolo abban-
donato e in pericolo. Nasce così la Casa Don Bosco,
un orfanotrofio costruito su di un terreno adiacente
alla Missione.
La necessità poi di offrire concrete opportunità di
lavoro ai giovani che frequentano la Scuola Profes-
sionale porta all’apertura di due stazioni workshop,
una prima ad Aposto (presto abbandonata) ed una
seconda a Yirga Chaffe, a 30 km a sud di Dilla.
Ma è a Wallame, 6 km da Dilla, che il governo of-
fre un grosso appezzamento di foresta ai Salesiani,
i quali, sotto la guida di Abba Melaku, creano una
seconda missione, quasi una filiazione della prima.
Da giovane
con la sua
fisarmonica
e la sua
spirituale e
coinvolgente
allegria.
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3.8 Page 28

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I NOSTRI EROI
Attorno a
lui, grazie
all’impulso
della sua
umanità
aperta e
cordiale,
nasce una
rete, nella
quale si
intrecciano
volti, cuori,
storie,
impegno,
pozzi per
l’acqua,
chiese piccole
e grandi,
carismi,
passione.
Grazie alla sua esperienza nel settore agricolo, don
Angelo, con il supporto dei migliori ragazzi del
villaggio stesso, inizia una grande opera di disbo-
scamento della foresta, perlopiù abitata da scimmie,
cinghiali, facoceri, faraone e… serpenti. Nasce presto
un bell’asilo per i più piccoli, una scuola elementare
e poi media, un oratorio giornaliero con veri campi
da gioco, una cappella per gli incontri spirituali set-
timanali della nuova comunità cristiana locale, ma
soprattutto un grosso centro agricolo con campi im-
mensi di granoturco e mais, un appezzamento per la
produzione di verdure e alberi da frutto.
Gambella, il pastore nella nuova
frontiera missionaria
In data 16 novembre 2000, la Santa Sede ufficia-
lizza l’erezione della nuova Prefettura Apostolica
di Gambella affidandola alla cura pastorale della
Società Salesiana; nella stessa data Abba Angelo è
nominato Prefetto Apostolico e il 25 febbraio 2001
assume in loco la sua missione. La nuova Prefettura
di Gambella comprenderà la provincia dell’Illubabor
nelle regioni dell’Oromia occidentale e del bassopia-
no del Gambella fino al confine con il Sud Sudan.
Il fervore e lo slancio di Angelo sono straordinari e
confermati da quanti lo vedono all’opera in un’at-
tività sacrificata e febbrile nella quale il Prefetto
Apostolico non sa proprio pensare a se stesso. Non
c’è espressione di quella chiesa ai primi passi del
suo cammino che non lo veda in prima linea.
Così, attorno a lui, grazie all’impulso della sua
umanità aperta e cordiale, nasce una rete, nella
quale si intrecciano volti, cuori, storie, impegno,
carismi, passione.
Questo è lo stile pastorale che Angelo ha pratica-
to e raffigurato nel suo stemma episcopale che egli
stesso spiega così: «Le lettere greche alpha e omega
stanno ad indicare la centralità della Parola di Dio:
questo è il motivo per cui il missionario è qui tra
loro, ovvero l’annuncio della Parola che salva. La
stella con sette punte sta ad indicare Maria, che
papa Paolo VI chiama Stella dell’evangelizzazione e
che per i figli di don Bosco è chiamata Aiuto dei
Cristiani. L’aratro richiama la nostra ricca terra di
Gambella, la possibilità del pane quotidiano. Oltre
ai grandi appezzamenti agricoli che, se coltivati,
possono diventare mezzi di sostentamento finan-
ziario del futuro Vicariato, in ogni missione si cerca
di seminare qualche prodotto per la Chiesa locale e
di avere un mulino che garantisca alle donne l’ali-
mentazione basilare per la famiglia. Infine i fiumi,
con il loro richiamo biblico a Gesù e alla sua Ac-
qua di Vita che ci offre nel Battesimo. Ma spesso in
questa terra di grandi fiumi si avverte la mancanza
di accesso all’acqua potabile. Per questo ci siamo
impegnati a realizzare in ogni villaggio uno o due
pozzi con pompe a mano che diano facile acceso
all’acqua per tutti».
Lo stemma pastorale non è rimasto un esercizio di
araldica, è diventato realtà con la forza del carat-
tere, la passione del cuore, il sudore della fronte:
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OTTOBRE 2022

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Vangelo annunciato, Sacra-
menti amministrati, terra
coltivata, e poi il mulino
e soprattutto tanta acqua
perché, oltre a irrigare le
Le vie del Signore sono infinite.
Non c’è mai una fine.
Ma sempre un inizio.
(Abba Melaku)
Così il cuore da sempre
fragile arrancava, il meta-
bolismo poteva contare su
un rene solo, il diabete non
mollava la presa, le febbri
anime, con l’acqua del Battesimo e della Penitenza malariche andavano e venivano senza riguardo del-
Angelo ha scavato ben 57 pozzi!
la dignità episcopale. Le visite in Italia non produ-
Questo fiume di generosità merita la citazione di cevano né vero riposo né cura: erano un concen-
un fatto narrato dal fratello don Bruno: un sacerdo- trato di compiti episcopali da assolvere in contatto
te amico, sentendo Angelo manifestare il timore di con il Vaticano, di richieste di aiuti, di animazione
non essere degno del Paradiso, non mancò di repli- missionaria e… di ascolto delle persone.
care: «Angelo, se un solo bicchiere d’acqua offerto Da gennaio a giugno 2016 il calvario si fa parti-
a un piccolo disseta il Signore, i tuoi 57 pozzi non colarmente ripido: una seria infiammazione alla
sono un mare di acqua regalata a Lui? Altroché, se colonna vertebrale immobilizza Angelo causando
te lo sei assicurato il Paradiso!».
gravi dolori; il ricorso alla morfina è indispensabi-
Il grande lavoro pastorale profuso da Abba Ange- le, ma gli effetti collaterali sono prostranti, Angelo
lo e dai suoi collaboratori viene riconosciuto dalla combatte eroicamente, e non è osservazione postu-
Santa Sede che, dopo neppure dieci anni dall’i- ma, di circostanza.
stituzione della Prefettura di Gambella, la eleva a È morto nella notte, meglio, all’alba del 25 marzo,
Vicariato. Il nostro Angelo viene nominato primo festa dell’Annunciazione… il giorno in cui –
Vicario Apostolico, e ordinato vescovo presso la un cristiano lo sa – ha inizio tutto, proprio
Chiesa cattedrale di Gambella dedicata a san Giu- tutto».
seppe, il 31 gennaio 2010.
La dignità episcopale non trattiene però Angelo dal
continuare ad essere il primo sempre e comunque:
nella levata al mattino, nel lavoro di ogni genere,
soprattutto di fatica, nell’attenzione alle urgenze
dei piccoli e dei poveri, nella sollecitudine per l’an-
nuncio.
La malattia, icona di una vita
donata e consumata per gli altri
La realtà però era facilmente riscontrabile, ben al
di là della battuta, da chi incontrava Angelo: la
sua salute si stava consumando rapidamente per un
ritmo febbrile di lavoro, sostenuto in un territorio
sfidante dal punto di vista climatico, attraversato
da tensioni sociali fonte di continue preoccupazio-
ni, privo di presidi sanitari idonei per la cura della
salute, precario quanto a servizi essenziali e rigo-
rosamente privo di ogni comfort e opportunità di
riposo e rigenerazione.
In monsignor
Moreschi si è
compiuta la
promessa rivolta
da Dio al patriarca
Abramo: “Io ti
benedirò… e tu
diventerai una
benedizione”.
La Benedizione
di Abba Melaku
continua.
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3.10 Page 30

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I GRANDI AMICI
Giovenale Dotta
San Leonardo Murialdo
Don Bosco aveva il dono
dell’amicizia. Uno dei
suoi amici più cari,
stimato e ammirato,
fu il teologo
Murialdo, destinato
a diventare grande
santo nella storia della
Chiesa e della società civile.
Leonardo
Murialdo
giovane
sacerdote.
Il Collegio
Artigianelli
di Torino
verso la fine
dell’Ottocento.
L eonardo Murialdo appartiene al gruppetto
dei più famosi “santi sociali” torinesi, in-
sieme a Giuseppe Benedetto Cottolengo,
Giuseppe Cafasso e Giovanni Bosco, ma è
l’unico effettivamente originario del capoluogo pie-
montese. Egli nacque infatti a Torino il 26 ottobre
1828 da Leonardo Franchino, agente di cambio e
sensale di commercio, e da Teresa Rho. Nel suo
Testamento spirituale il Murialdo definisce il padre
«onesto» e «cattolico praticante», mentre della ma-
dre scrive che era «pia, esemplare, molto affezio-
nata ai suoi figli». Il padre morì nel
1833 e la madre pensò di provvedere
all’educazione di Leonardo e del fra-
tello maggiore Ernesto inviandoli a
Savona, nel collegio degli Scolopi,
dove essi trascorsero sette anni di
studio (1836-1843).
Il periodo savonese segnò profon-
damente la vita di Leonardo, sia dal
punto di vista della sensibilità cultu-
rale sia sul versante della spiritualità.
Infatti, durante il suo ultimo anno di
permanenza in terra ligure, egli attraversò una
dolorosa crisi religiosa, della quale riferisce
lungamente nel suo Testamento spirituale
e che segnò poi tutta la sua vita. Non si
trattò di una perdita della fede, ma di uno
smarrimento psicologico e morale, avver-
tito più tardi come un vero rifiuto di Dio,
smarrimento che si risolse con il rientro in
famiglia e con la sua «conversione», da lui
sentita come frutto gratuito della misericor-
dia del Signore.
Il sacerdozio e l’apostolato
nei primi oratori torinesi
A Torino proseguì gli studi con il corso di filosofia
e, avendo deciso di diventare sacerdote, con quello
di teologia (1845-1850), che si concluse con il conse-
guimento della laurea presso l’Università di Torino.
Ordinato sacerdote (20 settembre 1851), il Murialdo
intraprese il suo apostolato nei primi oratori torinesi,
all’inizio come collaboratore in quello dell’Angelo
Custode, in Borgo Vanchiglia, e poi come diret-
tore (1857-1865) di quello di San Luigi, presso la
stazione ferroviaria di Porta Nuova. Fu don Bosco
a chiamarlo a dirigere quell’oratorio che egli stesso
aveva fondato, dopo quello di Valdocco. Questa pri-
ma fase della sua attività ebbe termine nel settembre
del 1865 quando decise di trascorrere un anno nel
celebre seminario parigino di San Sulpizio.
A Parigi il Murialdo ripassò e approfondì soprat-
tutto la morale e il diritto canonico, conobbe me-
todi ed esperienze nuove nel campo dell’apostola-
to giovanile ed operaio, arricchì la sua esperienza
interiore accostandosi alle dottrine del Bérulle e
dell’Olier, affinando così la sua sensibilità spiri-
tuale, già alimentata da altre fonti (san Francesco
di Sales, la corrente mistica ignaziana francese,
sant’Alfonso de’ Liguori...).
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OTTOBRE 2022

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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Rettore del Collegio Artigianelli
di Torino
Il ritorno a Torino (ottobre 1866) fu presto segui-
to dall’accettazione di un nuovo e più impegnati-
vo incarico: la direzione del Collegio Artigianelli,
istituzione che si proponeva di accogliere, assistere,
educare cristianamente ed addestrare nel lavoro
professionale i ragazzi orfani, poveri e abbandonati.
Il collegio era stato fondato da don Giovanni Coc-
chi nel 1849 e dipendeva da un ente denominato
Associazione di Carità a pro dei giovani poveri ed
abbandonati, della quale lo stesso don Cocchi era
stato il principale promotore. L’istituto offriva ai
ragazzi le scuole elementari, un breve tirocinio in
qualche laboratorio interno (nell’età tra i 12 e i 14
anni) e poi la formazione professionale vera e pro-
pria (dai 14 ai 19 anni). Ai primi laboratori (calzo-
lai e falegnami), si aggiunsero con il tempo quelli
dei legatori di libri, degli ebanisti-intarsiatori, degli
scultori e tornitori in legno, dei sarti, dei tipografi,
dei fabbri-ferrai e dei tornitori in ferro, oltre alla
rinomata scuola di pittura e scultura diretta dal pit-
tore Enrico Reffo.
Lo sforzo per un costante miglioramento quan-
titativo e qualitativo era sostenuto da stimolanti
confronti con altre realtà educative, anche europee,
mediante numerosi viaggi, in Italia e soprattutto
all’estero (Francia, Belgio, Inghilterra), compiuti
dal Murialdo e dai suoi collaboratori, don Eugenio
Reffo e don Giulio Costantino. Ne beneficiaro-
no le varie istituzioni dell’Associazione di Carità,
come la colonia agricola, che don Cocchi dirigeva
a Moncucco (oggi in provincia di Asti) e che nel
1878 fu «rifondata» dal Murialdo su basi migliori
a Rivoli, presso Torino; in quello stesso anno egli
aprì a Torino una casa famiglia per giovani operai,
poi estesa anche agli studenti: era la prima in Italia
e si modellava su vari esempi visti in Francia; seguì,
nel 1881, la fondazione di un nuovo istituto a Vol-
vera (Torino): accoglieva i ragazzi più piccoli, prima
che potessero iniziare l’apprendimento del mestiere
agli Artigianelli o nella colonia agricola. Dall’epo-
ca della nomina a Rettore (1866) fino alla fonda-
zione della casa di Volvera erano trascorsi quindici
anni, durante i quali il Murialdo aveva migliorato
le istituzioni già esistenti prima del suo arrivo e ne
aveva fondate di nuove.
Quello dell’Associazione di Carità era ormai un
complesso articolato ed insieme armonico, in grado
di venire incontro in modo abbastanza duttile ai
bisogni dei ragazzi poveri e abbandonati, accom-
pagnandoli dalle classi elementari (Volvera), attra-
verso la formazione professionale (Collegio Arti-
gianelli, colonia agricola), fino all’inserimento nel
mondo del lavoro (casa famiglia).
Nell’Unione Operaia Cattolica
Un altro settore di impegno per il Murialdo fu
quello del nascente movimento cattolico. Egli col-
laborò anzitutto con l’Unione Operaia Cattolica,
fondata a Torino il 29 giugno 1871 principalmen-
te per iniziativa del giornalista Stefano Scala, con
l’appoggio di alcuni altri laici e di qualche sacerdo-
te. L’Unione era suddivisa, a Torino, in varie sezio-
ni parrocchiali (coordinate dal Consiglio centrale)
ed aveva contatti con le unioni di operai cattolici
che man mano sorgevano in altri paesi e città al di
fuori del capoluogo piemontese (sotto l’impulso del
Comitato promotore).
Don Reffo, suo primo biografo, scrive che il Mu-
rialdo cominciò a frequentare l’Unione Operaia
Cattolica, vi si iscrisse e «prese a favorirla» fin dai
suoi primi inizi e che «quando cominciò in Italia
l’agitarsi dei cattolici per un’azione vigorosa ed effi-
cace, egli poteva a ragione essere considerato come
uno dei primi a promuovere quell’agitazione saluta-
re e a farsene apostolo».
Leonardo
Murialdo
nel 1894,
alla sinistra
di monsignor
Brandolini,
vescovo
di Ceneda
(oggi Vittorio
Veneto).
OTTOBRE 2022
31

4.2 Page 32

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I GRANDI AMICI
poli, 1883) egli tentò poi di avviare una federazione
o Lega fra le varie società per la diffusione della
buona stampa. Qualche mese più tardi (gennaio
1884), il Murialdo dava vita al bollettino mensile
«La Buona Stampa», organo dell’Associazione San
Carlo di Torino, ma anche foglio di collegamento
della neonata Lega, alla quale frattanto avevano
aderito le società di Roma, Napoli, Venezia,
Ancona, Genova, Palermo, Milano e Savona, oltre
naturalmente a Torino, società promotrice.
In alto:
i dirigenti
dell’Unione
Operaia
Cattolica
di Torino
nel 1881. Il
Murialdo è
il quarto da
destra, in
prima fila.
In basso:
«La Voce
dell’Operaio»,
numero del
1° luglio
1883.
All’interno dell’associazione egli di-
venne nel 1876 assistente ecclesia-
stico del Comitato promotore e nel
1880 membro del Consiglio centra-
le, mantenendo l’incarico di assi-
stente o viceassistente fino al 1891.
Oltre ad intraprendere varie attività
comuni ad altre società di mutuo
soccorso liberali o socialiste di quel
tempo, l’Unione Operaia Cattoli-
ca diede vita nel 1876 ad un foglio
mensile intitolato «Unioni Operaie Cattoliche», di-
venuto nel 1883 «La Voce dell’Operaio» e trasfor-
mato in settimanale nel 1895; nel 1933 assunse il ti-
tolo «La Voce del Popolo» ed ancora oggi esiste con
la testata «La Voce e il Tempo».
Per la stampa di orientamento
cristiano
L’attività del Murialdo si estese anche all’Opera dei
Congressi. Egli fece parte del Comitato regionale
piemontese, all’interno del quale si dedicò soprattut-
to al settore della stampa cattolica e delle biblioteche
popolari. Partecipò ad alcuni congressi italiani (Fi-
renze nel 1875 e Napoli nel 1883) e a vari congressi
francesi, oltre che ai congressi regionali piemontesi,
ad uno ligure e a qualche adunanza diocesana.
A lui, e a pochi altri suoi collaboratori, risale la fon-
dazione a Torino nel febbraio 1883 dell’Associazio-
ne San Carlo per la diffusione della buona stampa.
Durante il sesto congresso cattolico italiano (Na-
La fondazione della
Congregazione di San Giuseppe
Dal 1885 in poi il Murialdo si dedicò quasi esclu-
sivamente alla direzione delle sue opere educative
ed alla cura e allo sviluppo della famiglia religiosa
(Congregazione di San Giuseppe) che egli stesso
aveva fondato il 19 marzo 1873 per i ragazzi poveri
e abbandonati e anche per assicurare continuità al
Collegio Artigianelli e alle altre opere dell’Asso-
ciazione di Carità.
La congregazione prendeva nome da san Giuseppe
perché, in tempi di sensibilizzazione ai problemi del
mondo operaio, vedeva in lui l’artigiano e il «custo-
32
OTTOBRE 2022

4.3 Page 33

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de» di Gesù fanciullo e adolescen-
te, e quindi il modello di ogni
educatore, specialmente di chi si
dedicava all’apostolato in mezzo ai
giovani lavoratori e ne voleva imi-
tare l’umiltà, la carità, la laboriosità.
Campo di attività dei primi confra-
telli (i «Giuseppini») erano dunque
le opere dell’Associazione di Carità e le
altre che man mano il Murialdo venne fon-
dando: l’oratorio del Sacro Cuore a Rivoli, presso
Torino (nel 1880), e i patronati (cioè oratori per ra-
gazzi) di Venezia (1883), Oderzo (1889), Vicenza
(1890), Bassano (oggi Bassano del Grappa, 1891),
Rovereto (1894), Correggio (1897). Nel 1899 egli
aprì a Modena il Collegio Sacro Cuore e un altro
oratorio a Carpi. Spesso l’attività educativa dell’o-
ratorio era accompagnata da quella della scuola ele-
mentare. A Oderzo poi il Murialdo accettò di dare
inizio a un «collegio convitto per i giovani di civile
condizione», nonostante le forti perplessità sue e
di altri confratelli, derivanti dal fatto che «pareva
che tale non fosse la missione dei Giuseppini». Egli
si piegò alle circostanze e alle richieste del vesco-
vo del luogo, «a condizione che si
mantenesse in pari tempo anche il
patronato».
La spiritualità
e la pedagogia
Frattanto la congregazione andava
elaborando, sotto la guida del Murial-
do e grazie a don Reffo che ne era l’esten-
sore, i testi legislativi che ne delineavano l’iden-
tità spirituale e l’impegno apostolico. Al cuore della
spiritualità del Murialdo sta la scoperta gioiosa della
misericordia di Dio dopo la crisi giovanile a Savona:
attorno a questo centro si unificarono man mano
la sua esperienza interiore e l’intera sua esistenza.
Questa sua certezza di fede è diventata il carisma
che egli intenzionalmente ha voluto trasmettere ai
suoi «cari figli e confratelli» affinché ne attingessero
«un’incrollabile confidenza» in Dio misericordioso e
diventassero diffusori della «conoscenza dell’amore
infinito, attuale e individuale che Dio ha per tutti
gli uomini [...] e dell’amore personale che egli ha per
ciascuno in particolare» (Testamento spirituale). Ne
derivò un abbandono gioioso alla volontà di Dio,
nelle situazioni ordinarie e straordinarie della vita,
nel «momento presente» come «luogo» della scoper-
ta e della risposta all’amore di Dio.
Anche la sua pedagogia venne nutrita e sostenuta
da queste convinzioni. I destinatari della sua at-
tività educativa furono i ragazzi e i giovani delle
classi popolari: «poveri e abbandonati: ecco i due
requisiti che costituiscono un giovane come uno
dei nostri, e quanto più è povero ed abbandonato,
tanto più è dei nostri».
Il Murialdo trascorse gli ultimi anni dedicandosi
ai ragazzi delle sue istituzioni e al governo della
congregazione, mentre la sua fibra andava inde-
bolendosi, a causa delle numerose ricadute, fino
all’ultima malattia, quella che lo condusse alla
morte, avvenuta il 30 marzo 1900. Fu beatificato
il 3 novembre 1963 e proclamato santo il 3 maggio
1970. La sua festa liturgica cade il 18 maggio.
Leonardo
Murialdo
negli ultimi
anni di vita.
L’urna di
san Leonardo
Murialdo
nella chiesa
di Nostra
Signora
della Salute
a Torino.
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4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
Le malattie dell’educazione 9
Il cosismo
Il “cosismo“ è la malattia di
chi è ammaliato dalle cose:
nelle cose crede, dalle
cose spera, le cose ama!
In una parola, è la malattia
di chi pensa che tutto
si possa risolvere
con l’avere... cose!
«Ho gettato via la mia coppa quan-
do ho visto un bambino bere alla
fonte dalle proprie mani». È for-
se la frase più famosa dell’antico
filosofo Diogene. Il più grande tesoro dell’uomo
è vivere di poco ed esserne soddisfatto. Perché il
poco non manca mai.
Le cose hanno, certo, il loro valore, ma un valore
molto relativo. Le cose, di per sé, non sono fattori di
crescita! Credere che per essere di più occorra avere di
più è il tranello del ‘cosismo’. Basta aprire gli occhi
per convincerci che come la ‘casa’ non fa la “ famiglia”,
così lo zainetto perfetto non fa lo scolaro perfetto. Vi
sono scolari brillanti per nulla accessoriati!
Il virus del ‘cosismo’ si sta infiltrando sempre più in
troppi cervelli, oggi. Le cose stanno superando in
importanza le persone. Ieri si diceva: “Mia moglie”.
Oggi si dice: “La mia auto”.
Le cose diventano criterio di valore. Chi non pro-
duce (vecchi, bambini) viene considerato inutile.
Le cose minacciano la nostra stessa identi-
tà. C’è chi pensa che per avere eleganza nei
modi sia sufficiente avere roba firmata. Le
cose creano mentalità: la mentalità del ‘produrre’,
del ‘fare’.
Le cose causano insoddisfatti. Più cose si vedono,
più diventano necessarie! Ieri erano le necessità a
far nascere le cose; oggi sono le cose a far nascere
le necessità. Un tempo si cercava l’acqua perché
si aveva sete; oggi tutte quelle bibite, tutti quei
gelati fanno nascere mille seti che, se non vengono
soddisfatte, creano tensioni. Lo psicoanalista Mas-
simo Recalcati è arrivato a dire che “l’ingorgo degli
oggetti genera angoscia!”.
Le cose possono formare anche individui deboli. Aven-
do sempre più cose, finiamo con il far lavorare
sempre meno noi stessi. Usiamo l’automobile più
che i piedi, la calcolatrice più che il cervello, la biro
per gli appuntamenti, più che la memoria... Sì: le
cose possono addormentarci!
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OTTOBRE 2022

4.5 Page 35

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Un terzo danno causato dalle cose è più raffinato:
troppe cose portano alla caduta del desiderio. Che
cosa può ancora sognare per Natale un piccolo d’og-
gi già subissato da tutti i giochi elettronici possibili
e da tutti i cibi ed i divertimenti immaginabili?
No, le cose non sono mai innocue! A forza di ‘avere’
sempre più, l’uomo rischia di non ‘essere’ più!
In altre parole: le cose ci arricchiscono di beni, ma
ci impoveriscono d’umanità!
Per difenderci dal ‘cosismo’, proponiamo due stra-
tegie concrete.
1. Rafforzare l’uomo
È spiegabile che questa debba essere la prima
mossa per battere il ‘cosismo’. Di fronte al prevalere
dell’oggetto, è da saggi rafforzare il soggetto!
Ebbene, in questo caso, significa, in fondo, una cosa
sola: rafforzargli il cervello! Datemi un ragazzo che
sia davvero convinto dell’inganno del ‘cosismo’, e
mi date un ragazzo che non si lascerà infinocchiare
neanche dal più abile venditore! Ecco: a questo mira
l’educatore patentato: a formare cervelli che non si
accontentino di conoscere il prezzo delle cose, ma
anche il loro valore!
2. Bentornata sobrietà!
Il rilancio della sobrietà è la seconda strategia che
proponiamo per contrastare l’insidia del ‘cosismo’.
Quando si parla di sobrietà non si parla di noccio-
line americane!
La sobrietà protegge la salute. Tutti gli oncologi,
ad esempio, sostengono che i tumori si sconfiggono
anche a tavola. Il dimagrimento – dicono – previe-
ne il cancro e assicura una buona salute.
Tutti i medici, poi, aggiungono che si invecchia più
lentamente mangiando di meno.
La sobrietà è libertà, è aria allo spirito. Varie ri-
cerche hanno portato a questa conclusione: la ric-
chezza se supera un certo livello genera tensione.
Chi è nell’abbondanza ha sempre voglia di avere
qualcosa che gli manca. Non è libero: è alienato,
intrappolato nell’asfissiante spirale del possesso.
La sobrietà forgia il carattere. I botanici sosten-
gono che le querce robuste crescono nel magro. Lo
stesso vale per l’uomo. La sobrietà porta la volon-
tà in palestra! La sobrietà irrobustisce lo spirito; la
sobrietà imbriglia l’irrazionale e ripristina la sovra-
nità del soggetto!
II più grande problema pedagogico d’oggi, infatti,
non è il bullismo, ma lo spegnimento quasi totale
della capacità di combattere dei nostri ragazzi.
La più grande tristezza oggi è vedere la massa
di giovani, senza grinta, ragazzi con l’anima ad
elettroencefalogramma piatto. È la prova che trop-
po benessere non è progresso, ma trappola!
La sobrietà è giustizia. Non è giusto che le famiglie
italiane, ogni anno buttino via l’equivalente di 450
euro per lo spreco. Non è giusto che un miliardo e
trecento milioni di tonnellate di alimenti finiscano
nelle discariche di tutto il mondo.
3. L’arte di lasciar perdere
Il tempo è il nostro capitale principale: non pos-
siamo né fermarlo, né metterlo da parte, né com-
prarlo. Ciò nonostante lo sprechiamo per colpa di
abitudini inutili, per conformismo o ignoranza,
quando, in realtà, sono po-
chissime le cose veramente
utili da fare.
Non lasciatevi sommergere
dalle email, dai messaggi
di WhatsApp, Facebook,
Instagram. Non accumu-
late troppi impegni, ab-
breviate le conversazioni
telefoniche e i messaggi
chilometrici. Fissatevi po-
chi obiettivi, ma che siano
misurabili e precisi.
Ma soprattutto coltivate l’arte di lasciar perdere. Le
fonti di stress della vita quotidiana sono molteplici:
il traffico, i ragazzi maleducati, le code alle casse
dei supermercati ecc. Non accumulate le recrimi-
nazioni e i nervosismi.
Shutterstock.com
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LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
Un pieno
di bellezza
Stai andando forte, apri
tutte le porte, / gioca tutte
le carte, fai entrare il sole!
Ogni epoca ha le sue contraddizioni, le sue
luci e le sue ombre, ma ci sono tornanti
della storia che appaiono senz’altro più
cupi e dolorosi di altri. In periodi come
questi, la tentazione di abbandonarsi allo sconfor-
to e di cedere all’inerzia è sempre in agguato. Di
fronte all’incertezza del futuro e alla difficoltà di
scorgere il sole oltre la fitta coltre di nubi che of-
fusca l’orizzonte e appesantisce il nostro cuore, ci
lasciamo sopraffare dalla disperazione – intesa, nel
senso etimologico del termine, come “assenza di
speranza” – e ci convinciamo dell’inutilità di ogni
tentativo di incidere positivamente sulla realtà che
ci circonda. Smettiamo di reagire, di credere nella
possibilità di cambiare le cose e, come in una profe-
zia che si autoavvera, più ci adagiamo in un atteg-
giamento di rassegnato fatalismo, più diventiamo
davvero incapaci di disegnare scenari alternativi
rispetto a un esistente per molti aspetti avaro di
gratificazioni e prospettive.
Da questa sorta di “paralisi della volontà” non sono
certo immuni i giovani adulti che, anzi, sperimen-
tano con particolare inquietudine tutte le insicu-
rezze di una quotidianità precaria e priva di certez-
ze, spesso costretti a veder frustrati i propri progetti
di vita e le proprie aspirazioni per il domani, fino
al punto da “tirare i remi in barca” e adattarsi a la-
sciarsi trascinare inerti dalla corrente, nell’intento
di poter quantomeno risparmiare le poche energie
A forza di credere che il male passerà
sto passando io,
e lui resta;
mi devo trascinare presto fuori di qua,
dai miei pensieri pigri nella testa,
fare qualcosa,
oppormi all’inerzia e alla sua forza
che rammollisce il corpo mio da dentro,
mantenendo rigida la scorza.
E ogni giorno mi sveglio e provo
a dire: “Questo è un giorno nuovo!”,
e se funziona o no, non lo so, forse sì...
L’abitudine è una brutta bestia,
un parassita che lentamente infesta
tutto quanto fino a prendere il potere,
e non riesci più a reagire.
E ogni giorno mi sveglio e provo
a dire: “Questo è un giorno nuovo!
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OTTOBRE 2022

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rimaste, anziché affannarsi vanamente a inseguire
sia pur nobili obiettivi, che però appaiono sempre
più distanti e irrealizzabili.
È invece proprio quando “il gioco si fa duro” che
non bisogna avere paura di mettere sul tappeto
tutte le proprie risorse esistenziali, attingendo ai
giacimenti di luce nascosti nella propria interiorità.
Ciascuno di noi custodisce, infatti, dentro di sé un
“giardino segreto” in cui trovano posto i ricordi feli-
ci, le piccole gioie quotidiane, le impronte indelebili
impresse nel nostro cuore dalle persone amate con
i loro gesti di affetto, i loro sorrisi disinteressati, le
loro parole di conforto. Ed è a questa miniera di
“bene” che dobbiamo imparare a fare appello nei
momenti di buio, per esorcizzare il rischio della
stasi e ricaricare le batterie in vista di una necessa-
ria e desiderata ripartenza.
Affinché questo giacimento interiore non si esau-
risca, è però fondamentale non dimenticarsi di ali-
mentarlo. Ciò significa sviluppare la disponibilità
Lo esplorerò,
partendo da ora e da qui:
vai così, vai così, vai così, vai così...”
Stai andando forte,
apri tutte le porte,
gioca tutte le carte,
fai entrare il sole!
Stai andando forte,
apri tutte le porte,
brucia tutte le scorte,
fai entrare il sole!
E quando il sole non c’è,
lo cerco dentro di me;
se tu mi guardi una volta,
mi basta per ore...
E quando il sole va via,
se tu mi fai una magia,
sento tornare l’amore,
l’amore, l’amore...
Stai andando forte,
apri tutte le porte,
gioca tutte le carte,
fai entrare il sole!
Stai andando forte,
apri tutte le porte,
brucia tutte le scorte,
fai entrare il sole...
(Gianni Morandi, Apri tutte le porte, 2022)
a cercare e riconoscere il buono che si cela in ogni
situazione, in ogni avvenimento, in ogni persona
intorno a noi, talvolta non immediatamente visibile
ad una prima occhiata superficiale, ma ben mime-
tizzato tra le tante tempeste che scombussolano la
nostra vita. Dobbiamo, allora, allenare lo sguardo
a scrutare in profondità e soffermarsi sui dettagli,
in modo da riuscire a cogliere anche le più timide
e minute manifestazioni di “grazia” che illuminano
le nostre giornate.
E, una volta individuati questi sia pur flebili raggi
di sole che squarciano le tenebre della Storia, spa-
lancare le porte del nostro cuore per “fare il pieno
di bellezza” e rinverdire la linfa della speranza, at-
trezzandoci per affrontare con rinnovato vigore i
momenti di difficoltà e di stanchezza che inevita-
bilmente ci troveremo a fronteggiare.
OTTOBRE 2022
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
Le lotterie:
autentiche imprese (secondaparte)
Il palazzo
municipale
di Torino. Da
quel balcone
venivano
proclamati
i vincitori
dei premi
delle lotterie
organizzate
da don
Bosco.
Il salone espositivo
Valdocco non aveva spazi per l’esposizione dei doni,
per cui don Bosco domandò al vicesindaco Baricco,
tesoriere della commissione per la lotteria, di chiede-
re al Ministero della guerra, tre stanze di quella parte
del Convento di san Domenico che era a disposizio-
ne dell’esercito. I padri domenicani erano d’accordo.
Il ministro Alfonso Lamarmora in data 16 gennaio
le concesse. Ma ben presto don Bosco si rese conto
che non sarebbero state sufficientemente ampie, per
cui fece chiedere al re, tramite l’elemosiniere, abate
Stanislao Gazzelli, un locale più grande. Dal so-
vraintendente reale Pamparà gli venne risposto che il
re non disponeva di locale adatto e proponeva di af-
fittare a sue spese il locale del gioco del Trincotto (o
pallacorda: una sorta di tennis a mano ante litteram).
Questo locale però sarebbe stato disponibile per il
solo mese di marzo e a certe condizioni. Don Bosco
rifiutò la proposta ma accettò le 200 lire offerte dal
re per il fitto del locale. Messosi allora alla ricerca di
altro salone, ne trovò uno adatto su indicazione del
municipio cittadino, dietro la chiesa di S. Domeni-
co, a poche centinaia di metri da Valdocco.
Arrivo dei doni
Nel frattempo don Bosco aveva chiesto al ministro
delle Finanze, il famoso conte Camillo Cavour,
una riduzione o l’esenzione delle spese di spedizio-
ne delle lettere circolari, dei biglietti e degli stessi
doni. Tramite il fratello del conte, il religiosissimo
marchese Gustavo di Cavour, ricevette il consenso
per varie riduzioni postali.
Si trattava ora di trovare un perito per la valutazio-
ne dell’ammontare dei doni e il conseguente nume-
ro dei biglietti da smerciare. Don Bosco lo chiese
all’Intendente suggerendone anche il nome: un
orefice membro della Commissione. L’Intendente,
invece, tramite il sindaco gli rispose chiedendogli
una doppia copia descrittiva dei doni arrivati onde
nominare un proprio perito. Don Bosco eseguì su-
bito la richiesta e così il 19 febbraio il perito valutò
in 4124,20 lire i 700 oggetti raccolti. Dopo tre mesi
si arrivò a 1000 doni, dopo quattro a 2000, sino
alla conclusione di 3251 doni, grazie al continuo
“questuare di don Bosco” presso singoli, sacerdoti e
vescovi e alle sue ripetute richieste formali al Co-
mune di proroga del tempo per l’estrazione. Don
Bosco non mancò neppure di criticare la stima fat-
ta dal perito comunale dei doni che continuamente
arrivavano, a suo dire, inferiore all’effettivo loro va-
lore; ed in effetti vennero aggiunti altri estimatori,
soprattutto un pittore per le opere d’arte.
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OTTOBRE 2022

4.9 Page 39

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«HO SEMPRE AVUTO BISOGNO DI TUTTI» DON BOSCO
Giuseppe Cotta, banchiere, fu grande benefattore di don Bosco. In archivio si conserva la seguente dichiarazione
su carta da bollo in data 5 Febbraio 1849: “I sottoscritti sacerdoti T. Borrelli Gioanni di Torino e D. Bosco Gio’ di
Castelnuovo d’Asti si dichiarano debitori di franchi tre mila verso l’ill.mo Cavaliere Cotta che ne fece imprestito
ai medesimi per un’opera pia. Questa somma dovrà essere dai medesimi sottoscritti restituita fra un anno cogli
interessi legali”. Firmato Sacerdote Giovanni Borel, D. Bosco Gio.
In calce allo stesso foglio e nella stessa data p. Cafasso Giuseppe scrive: “Il sottoscritto rende distinte grazie all’Ill.
mo Sig. Cav. Cotta per quanto sopra e nello stesso tempo si rende fidejussore verso il medesimo della somma
nominata”. A fondo pagina il Cotta sottoscrive di aver ricevuto lire 2000 il 10 aprile 1849, altre 500 lire il 21 luglio
1849 e il saldo il 4 gennaio 1851.
La cifra finale fu tale che don Bosco fu autorizzato
ad emettere 99 999 biglietti al prezzo di 50 cen-
tesimi l’uno. Al catalogo già stampato con i doni
numerati con nome del donatore e dei promotori e
promotrici si aggiunse un supplemento con gli ul-
timi doni arrivati. Fra loro quelli del papa, del re,
della regina madre, della regina consorte, deputati,
senatori, autorità municipali ma anche tantissime
persone umili, soprattutto donne che offrirono
oggetti e suppellettili per la casa, anche di poco
valore (bicchiere, calamaio, candela, caraffa, cava-
tappi, cuffia, ditale, forbici, lampada, metro, pipa,
portachiavi, saponetta, temperino, zuccheriera). Il
dono più offerto furono i libri, ben 629 e i quadri-
quadretti, 265. Pure i ragazzi di Valdocco andaro-
no a gara ad offrire il loro piccolo dono, magari un
libretto regalato loro da don Bosco stesso.
Un lavoro immane fino
all’estrazione dei numeri
A questo punto bisognava stampare i biglietti in
serie progressiva in duplice forma (piccola matrice
e biglietto), farli firmare entrambi da due membri
della commissione, spedire il biglietto tenendone
nota, documentare il denaro incassato... A molti be-
nefattori si inviavano decine di biglietti, con l’invito
a tenerli o a smerciarli presso amici e conoscenti.
La data dell’estrazione, inizialmente fissata per il
30 aprile, fu rinviata al 31 maggio e quindi al 30
giugno, per effettuarlo poi a metà luglio. Quest’ul-
tima proroga fu dovuta allo scoppio della polveriera
di Borgo Dora che devastò l’area di Valdocco.
Per due pomeriggi, 12-13 luglio 1852, sul balcone
del palazzo municipale si procedette all’estrazione
dei biglietti. Quattro urne a ruota di diverso colore
contenevano 10 pallottole (da 0 a 9) identiche e dello
stesso colore della ruota. Inserite ad una ad una dal
vicesindaco nelle urne, e fatte girare, otto giovani
dell’Oratorio compivano l’operazione ed il numero
estratto veniva proclamato ad alta voce e poi pubbli-
cato sulla stampa. Molti doni furono lasciati all’Ora-
torio, dove furono successivamente riutilizzati.
Valeva la pena?
Per i circa 74 mila biglietti venduti, tolte le spe-
se, a don Bosco restarono circa 26 000 lire, che
poi provvide a suddividere equamente con l’atti-
gua opera Cottolengo. Un piccolo capitale certo (la
metà del prezzo di acquisto della casetta Pinardi
l’anno precedente), ma il risultato più grande del
lavoro massacrante cui si sottopose per effettuare la
lotteria – documentata da decine di lettere spesso
inedite – è stato il diretto e sentito coinvolgimento
di migliaia di persone di ogni classe sociale nel suo
“incipiente progetto Valdocco”: nel farlo conoscere,
apprezzare e poi sostenere economicamente, social-
mente, politicamente.
Don Bosco ricorrerà molte volte alle lotterie e sem-
pre con il duplice scopo: raccogliere fondi per le sue
opere per i ragazzi poveri, per le missioni e offrire
modalità a credenti (e non credenti) di praticare la
carità, il mezzo più efficace, come ripeteva conti-
nuamente, per “ottenere il perdono dei peccati e
assicurarsi la vita eterna”.
OTTOBRE 2022
39

4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni  postulatore generale
 Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulatore@sdb.org
 Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di ottobre preghiamo per la beatificazione
di Artemide Zatti, Laico Professo della Società Salesiana
di San Giovanni Bosco (1880-1951).
Nel 1950 cadde da una scala
e fu in occasione di questo in-
cidente che si manifestarono
i sintomi di un cancro che egli
stesso lucidamente diagnosti-
cò. Continuò tuttavia ad atten-
dere alla sua missione ancora
per un anno, finché dopo sof-
ferenze eroicamente accettate,
si spense il 15 marzo 1951 in
piena coscienza, circondato
dall’affetto e gratitudine di
una popolazione che da quel
momento cominciò a invocar-
lo come intercessore presso
Dio. Al suo funerale accorsero
tutti gli abitanti di Viedma e
Patagones in un corteo senza
precedenti.
La fama di santità si estese rapi-
damente e la sua tomba comin-
ciò ad essere molto venerata.
Ancora oggi, quando la gente
va al cimitero per i funerali,
passa sempre a visitare la tom-
ba di Artemide Zatti. Beatifica-
to da san Giovanni Paolo II il 14
aprile 2002, il beato Artemide
Zatti fu il primo salesiano coa­
diutore non martire ad essere
elevato agli onori degli altari.
“ITER” DELLA CAUSA
a) In vista della Beatificazione
Dopo la concessione del Nulla
osta da parte della S. Sede il
1° giugno 1979, si è celebrata
l’Inchiesta diocesana presso la
Curia vescovile di Viedma (Ar-
gentina) dal 22 marzo 1980 al
17 maggio 1982.
Il 14 dicembre 1984 venne ema-
nato il Rescritto sulla validità
dell’Inchiesta diocesana.
La Positio super virtutibus venne
consegnata nel 1991.
Il Congresso Peculiare dei Con-
sultori Teologi, svoltosi il 25
ottobre 1996, diede risposta
positiva al dubbio circa le virtù
eroiche del Servo di Dio. Nel
medesimo senso si pronunciò
la Sessione Ordinaria dei Car-
dinali e Vescovi dell’8 aprile
1997.
Il 7 luglio 1997 san Giovanni
Paolo II autorizzava la Congre-
gazione a promulgare il Decreto
sulle virtù eroiche di Artemide
Zatti.
Il fatto straordinario per la Bea-
tificazione si verificò il 18 aprile
1980 a favore di un giovane
salesiano. Riguardava la gua-
rigione inattesa e inspiegabile
da “Gravi complicazioni infettive
conseguenti ad appendicite pu-
rulenta, con localizzazioni mul-
tiple addominali e pleuriche;
sepsi generalizzata ed eziologia
polimicrobica; stato di grave
anergia immunitaria”.
L’Inchiesta diocesana sul mi-
racolo si svolse presso la Curia
ecclesiastica di Buenos Aires dal
14 aprile al 14 maggio 1998.
La Congregazione delle Cause
dei Santi riconobbe la validità
giuridica di tale Inchiesta con
decreto del 20 novembre 1998.
Il 9 marzo 2000 la Consulta Me-
dica giudicò il fatto scientifica-
mente inspiegabile.
Con esito positivo, il caso venne
quindi esaminato dai Consultori
teologi il 27 ottobre 2000.
Nella seduta della Sessione Or-
dinaria del 6 febbraio 2001 gli
Eminentissimi Cardinali e gli
Eccellentissimi Vescovi lo rico-
nobbero come un vero miraco-
lo, attributo all’intercessione di
Artemide Zatti.
La promulgazione del Decreto
super miraculo ebbe luogo il 24
aprile 2001.
La solenne beatificazione fu ce-
lebrata da san Giovanni Paolo II
in Piazza San Pietro il 14 aprile
2002.
b) In vista della Canonizza-
zione
La Postulazione ha presentato il
caso della guarigione miracolo-
sa da «ictus ischemico cerebel-
lare destro, complicato da vo-
luminosa lesione emorragica»,
avvenuta nell’agosto del 2016.
L’Inchiesta diocesana si è tenuta
presso il Tribunale ecclesiastico
di Lipa nelle Filippine dal 4 al
10 marzo 2018. La validità giu-
ridica di tale Inchiesta è stata
concessa dalla Congregazione
delle Cause dei Santi il 1° giu-
gno 2018.
La Consulta Medica tenutasi il
1° luglio 2021 ha riconosciuto
l’inspiegabilità scientifica del
caso esaminato.
Il 16 dicembre 2021 i Consultori
teologi si sono pronunciati all’u-
nanimità circa il miracolo e la
sua attribuzione all’intercessio-
ne del beato Artemide Zatti. Alle
medesime conclusioni è giunta,
il 5 aprile 2022, la Sessione Or-
dinaria dei Cardinali e Vescovi.
Il Santo Padre Francesco ha poi
autorizzato la promulgazione
del Decreto super miraculo il 9
aprile 2022.
Preghiera
O Dio, che negli umili e nei semplici
riveli il tuo amore di Padre,
per intercessione di sant’Artemide Zatti,
salesiano coadiutore,
“parente di tutti i poveri”
e buon samaritano,
donaci di saper riconoscere e servire
in ogni fratello che soffre
il Cristo tuo Figlio.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.
Ringraziano
Mi chiamo Fiorella e sono
una Salesiana Cooperatrice di
Roma. Mia nuora e mio figlio,
già genitori di un bimbo, de-
sideravano un altro figlio, ma
purtroppo per vari problemi
mia nuora ne ha persi due
alle prime settimane con im-
menso dolore loro e nostro.
Al terzo tentativo ho pregato
ardentemente per tutta la gra-
vidanza san Domenico Savio
e ho invitato mia nuora a fare
altrettanto. A febbraio è nata
una bella bambina di nome
Mariana. Ringrazio di cuore
il nostro amato piccolo Santo
per aver ascoltato le mie pre-
ghiere.
Fiorella Brutti
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OTTOBRE 2022

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO E` BENEDIZIONE
Monsignor Ignazio Bedini
Don Franco
Pirisi
Morto a Ittiri (SS),
il 19 gennaio 2022,
a 73 anni
Franco Pirisi, nato a Ittiri, Sas-
sari, il 18 ottobre 1949, era
arrivato a Mirabello la prima
casa salesiana fondata da don
Bosco fuori Torino e dove il pri-
mo direttore era stato don Mi-
chele Rua. Entrò in Noviziato e
fu ordinato sacerdote nel 1977
a Gerusalemme, nella basilica
del Gethsemani, e quindi fu de-
stinato a Tehran dove ha avuto
l’incarico di consigliere scolasti-
co incaricato del Dabestan con
circa 900 alunni.
Quando successe il fatto delle
torri gemelle (11 settembre
2001), fu chiamato dalle Au-
torità iraniane a fare da inter-
prete, per telefono, al dialogo
che si svolse tra papa Giovanni
Paolo II e il presidente Khata-
mi. In occasione del terremoto
di Bam si trovò a organizzare
i rapporti tra le varie Caritas
(Italia, Francia, Austria, Libano,
Olanda…) e il governo irania-
no, curando la spedizione di
diversi convogli di aiuti per i
terremotati. Questo lavoro ca-
ritativo non era solo cosa di un
momento, ma è proseguito per
mesi e mesi, trovando collabo-
ratori e collaboratrici tra i nostri
parrocchiani e vari amici che
generosamente lo asseconda-
vano.
Don Franco è stato un religioso
umile e fedele, sempre sorri-
dente anche in mezzo a tante
difficoltà. Ha servito la chiesa
generosamente sia come sale-
siano sia come addetto di nun-
ziatura per tanti anni. Grande
conoscitore della lingua farsi,
usò questo suo carisma per far
conoscere la parola di Dio. Il la-
voro che ha svolto traducendo
le scritture è stato enorme. È
così riuscito a dare alla chiesa
in lingua farsi tutti i libri della
liturgia latina (messali feriali e
festivi, libri sacramentali). In
collaborazione con l’università
islamica di Ghom ha curato la
traduzione del catechismo del-
la chiesa cattolica che la stessa
università ha poi pubblicato.
Ha tradotto anche la vita di
alcuni santi come don Bosco,
Domenico Savio, Eusebia Palo-
mino. L’anno scorso ha dato alla
stampa un bellissimo libro di
preghiere in lingua farsi e stava
completando la traduzione del-
la liturgia delle ore che è rima-
sta incompleta per l’avvenuta
sua repentina morte.
Tutta questa attività gli è costa-
ta anni di lavoro, specialmente
di notte. Credo che tutto que-
sto materiale sarà anche per
molti anni a venire la fonte
inesauribile per la celebrazione
liturgica e la preghiera. Credo
che non sia esagerato parago-
nare il suo lavoro a quello di
san Girolamo.
Tutto questo non impediva a
don Franco di dedicarsi attiva-
mente all’apostolato, sempre
disposto a sostituire altri sa-
cerdoti per le celebrazioni e i
funerali.
Sempre disponibile per l’assi-
stenza agli ammalati e ai mo-
ribondi. Era molto zelante per
le celebrazioni liturgiche e per
le feste e i funerali preparava
sempre i libretti nelle varie lin-
gue (italiano, francese, inglese
e farsi) essendo le nostre comu-
nità plurilingui, in modo che
tutti potessero seguire e capire
le cerimonie.
L’anno scorso gli era stata pro-
posta anche l’assistenza alla
piccola comunità di Trebisonda
nella parrocchia dove è stato
martirizzato don Santoro. Nel
frattempo erano iniziati i forti
dolori alla testa inizialmente
scambiati per una sinusite.
Passando qui da Bologna per
salutarmi, io insistetti perché
si fermasse in Italia per dei con-
trolli medici più accurati, ma lui
mi disse che preferiva andare
qualche giorno in famiglia e
dopo la visita medica rientrare
in Turchia dove l’attendeva la
nuova ubbidienza per Trebison-
da dove c’era una bella comuni-
tà che già conosceva. Purtrop-
po il suo male era molto più
grave di quello che si potesse
sospettare e un dolorosissimo
tumore maligno in poco tempo
ha stroncato la sua vita ancora
piena di progetti a servizio del-
la chiesa. Una settimana prima
della sua fine mi telefonava:
“So che cosa mi aspetta, sia
fatta la volontà di Dio… offro
la mia vita per la chiesa d’Iran”.
Don Franco lascia come mes-
saggio ai salesiani e special-
mente ai confratelli della sua
Ispettoria la fedeltà alla volontà
di Dio espressa attraverso l’ob-
bedienza serena ai superiori
anche quando costa dolori e
sacrifici. È il grano che muore
per dare molti frutti.
Un alto rappresentante dei
Mullah dell’università Adian di
Ghom che conoscevano molto
bene don Franco e con cui ave-
vano collaborato, facendomi le
condoglianze si esprimeva così:
“L’Iran ha subito una grave per-
dita. Don Franco era una per-
sona molto colta e non diceva
bugie (parole testuali)”.
E un altro amico italo-iraniano
si esprimeva così: “La chiesa
iraniana ha perso un grande
apostolo. La notizia della sua
morte mi ha rattristato non ti
dico quanto. Ora lui sarà con
don Bosco con il suo solito sor-
riso. Non credo che abbia bi-
sogno delle nostre preghiere,
dopo tutte le sofferenze patite
per causa degli uomini e del
tumore. Speriamo che il buon
Dio ci mandi vocazioni del suo
calibro”.
Me lo auguro anch’io perché
il frutto di tanto lavoro e tanta
sofferenza non vada perduto e
la vigna piantata in quella terra
porti molti frutti.
OTTOBRE 2022
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5.2 Page 42

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IL CRUCIPUZZLE
Roberto Desiderati
Scoprendo don Bosco
Parole di 3 lettere: Cor, Tom.
Parole di 4 lettere: Anno, Iene,
Ines, Spal.
Parole di 5 lettere: Alter, Arnie,
Fieno, Ibsen, Isola, Orate, Scavo.
Parole di 6 lettere: Elisir, Merano,
Nassau, Nastro, Orsola.
Parole di 7 lettere: Europeo,
Orefici.
Parole di 8 lettere: Opinione,
Peschici, Telefono.
Inserite nello schema le sottostanti parole elencate, scrivendole da sinistra a destra e/o dall’alto
in basso, compatibilmente con le lunghezze e gli incroci. A gioco ultimato risulteranno nelle
caselle gialle le parole contrassegnate dalle tre X nel testo. La soluzione nel prossimo numero.
? Parole di 10 lettere: Agonistico,
Anassimene, Epaminonda,
Scarafaggi.
Parole di 13 lettere:
?
La soluzione nel prossimo numero.
Sgrammaticato.
QUELLI CHE... VENNERO DOPO
Quando don Bosco era in vita, l’organizzazione da lui creata crebbe rapidamen-
te di numero e dimensioni grazie al successo e all’approvazione che riscuoteva.
Man mano che si diffondeva la voce dell’efficacia del metodo sentì l’impulso
di espanderla e trovare nuove vie. L’oratorio di Valdocco fu l’unico istituto sale-
siano dal 1846 fino al 1863, anno in cui don Bosco ne aprì un altro a Mirabello
Monferrato; in seguito all’approvazione datagli dalla Santa Sede si tolse ogni
ostacolo alla sua espansione: moltiplicò gli istituti in Italia, Francia, Spagna,
Belgio, Inghilterra, prodigandosi in opere di ogni genere finché poté. Ogni istituto era ed è tuttora retto da un Di-
rettore. Il Rettor Maggiore, invece, assistito da un “capitolo” con voto deliberativo, regge tutta la Società e nomina
gli Ispettori e i Direttori, che restano in carica rispettivamente per sei e tre anni. Il Rettor Maggiore viene eletto per
una carica di dodici anni dal capitolo generale (un’assemblea composta da tutti gli ispettori e da un socio di ogni
ispettoria) e può anche essere rieletto. Alla morte di don Bosco le case salesiane erano circa un centinaio, e quasi un
migliaio i salesiani. I XXX di don Bosco sono esattamente 10. Il primo, scelto direttamente dal Santo, fu don Michele
Rua, beato, e resse la Società per 22 anni (fino al 1910). Fu seguito da don
Soluzione del numero di luglio
Paolo Albera che restò in carica fino al 1921, il terzo fu il beato Filippo Rinal-
di e il quarto e il quinto don Pietro Ricaldone e don Renato Ziggiotti. Dopo
questi ultimi, il sesto fu don Luigi Ricceri fino al 1977 ed il settimo Egidio
Viganò fino al 1995. Don Juan Vecchi fu l’ottavo Rettor Maggiore che resse
la Società Salesiana fino al 2002, il nono è stato don Pascual Chávez che ha
lasciato la direzione nel 2014 all’attuale Rettor Maggiore, lo spagnolo don
Ángel Fernández Artime, tutt’ora in carica.
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OTTOBRE 2022

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.Disegno di Fabrizio Zubani
La favola del pane
I
n un lontano paese, una povera vedova si
manteneva prestando servizio ad una ricca
e misteriosa signora che viveva solitaria in
Quel pane sembrava non finire mai. Inoltre non si
limitava a togliere la fame, ma infondeva serenità e
voglia di pace, senso di bontà e salute per il corpo.
una villa dall’aspetto lugubre, seminascosta nel
Quelli che erano nemici si riconciliavano e quelli
cuore di un bosco. La buona vedova compiva il suo che prima si ignoravano si sorridevano cordial-
lavoro con generosità e precisione, e un giorno ina- mente.
spettatamente la signora le fece un regalo: un
Ogni notte, l’ultima briciola di pane si trasformava
anello straordinario.
di nuovo nella vedova generosa. Ogni mattino, la
«Ruotando due volte questo anello intorno al dito, donna ridiventava una gigantesca pagnotta profu-
ti potrai trasformare in tutto ciò che vorrai» le
mata e deliziosa, che nutriva il corpo e lo spirito
spiegò la strana signora.
della gente del villaggio.
La vedova non ci fece un gran caso, ma quando Così fu fino al nuovo raccolto. Quel giorno fu
?
una terribile carestia si abbatté sulla regione, si
ricordò dell’anello.
organizzata una grande festa. Naturalmente par-
tecipò anche la vedova. Tutti quelli che si avvi-
Lo girò due volte attorno al dito e si trasformò in cinavano a lei provavano una strana sensazione.
un magnifico falco dalle ali affilate. Aveva deciso La donna emanava un intenso profumo di pane
di volare fino a trovare una terra che potesse for- appena sfornato.
nire sostentamento al figlio e ai suoi vicini.
Volò fino ad esaurire le forze, poi tornò mesta-
mente nella sua casa. La carestia aveva colpito
tutte le terre del regno. Non c’era scampo per
nessuno.
Ma la donna non si rassegnò. Ruotò l’anello due
volte e si trasformò in un’enorme e fragrante forma
di pane.
Quando suo figlio tornò a casa e vide quella enor-
me pagnotta, cominciò a mangiare di gusto. Era
solo pane, ma saziava in modo mirabile. Mentre
masticava con voluttà, il figlio della vedova vide
passare un vicino di casa con cui aveva avuto
molti dissapori e che gli ispirava una fortissima
antipatia.
Era deciso ad ignorarlo, ma una scossa al cuore
lo costrinse ad invitarlo a condividere quel pane
miracoloso. La voce si sparse e da tutto il villaggio
la gente accorse: grandi e piccoli, giovani e vecchi,
poveri, ammalati e sani, disperati e inquieti.
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