Bollettino_Salesiano_202208

Bollettino_Salesiano_202208

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I nostri eroi
Beato Istvàn
Sándor
L’invitato
Lodovica Maria
Zanet
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
SETTEMBRE 2022
Le case
di don Bosco
Pordenone
In prima linea
George
Chalissery
Sriicomincia!

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I FIORETTI DI DON BOSCO
B.F.
Due denti per
la Madonna
L
a voce di «grazie» piccole e
grandi che la Madonna
concedeva per le mani di
don Bosco si diffuse rapidamente
durante la costruzione del Santuario
di Maria Ausiliatrice, e non si fermò
più.
Questa è la testimonianza sconosciu-
ta di una di queste «grazie». È scritta
da una povera portinaia, con partico-
lari a volte ingenui.
«Povera ragazza, ero affetta da otto
anni da due infezioni dentarie. Ben
sette dottori, che videro lo stato già
cancrenoso sulla mia faccia, dissero
che non v’era più nulla da fare. Non
posso descrivere quanto soffrivo! Il
papà e la cara mamma, visto il caso
disperato, dissero: “Non vi è più altro
scampo che andar a Valdocco e vede-
re don Bosco”.
La mattina, appena giorno, mi
condussero al Santuario di Maria
Ausiliatrice. Per gli eccessivi do-
lori io non feci altro che gridare,
non solo per la strada ma anche nel
traversare la chiesa, con disturbo di
quanti vi erano, i quali, forse, mi
avranno creduto indemoniata. Nella
prima sacrestia trovammo don Bosco
che confessava. Dopo alcuni istanti
si alzò, venne da me e mi disse: “Hai
volontà di guarire?” Io risposi di sì.
“Vuoi che preghiamo insieme la Ma-
donna con tre Ave Maria?” Io gli
risposi: “Sì, sì”. Allora trasse
una reliquia che teneva sotto
l’abito; poi con una mano
mi fece il segno della Croce
con la reliquia, tenendomi
l’altra mano distesa sul
capo; questo per tre volte,
dicendo ad ogni volta con
me l’Ave Maria. Alla terza volta mi
sentii una cosa che non so dire; mi
parve che mi avessero fatto un’opera-
zione. Il fatto è che sull’istante io fui
guarita perfettamente.
Dopo mi disse: “Da oggi (era il 25
luglio, non ricordo più bene l’anno)
fino al l° di novembre tu dirai tre
Pater, Ave, Gloria al Santissimo Sa-
cramento e tre Salve Regina a Maria
Ausiliatrice che ti guarì. Le dirò
anch’io e le farò dire da altri. Tu non
soffrirai mai più di questo; e... poi
mi porterai due denti che ti cadran-
no prima della festa dei Santi”.
Io con grande gioia gli dissi di sì,
ben volentieri; ed egli mi consegnò
alla mamma che stava piangendo.
Don Bosco la interrogò perché
piangesse tanto: essa gli rispose che,
non avendomi d’un tratto più sentita
gridare, credeva fossi morta. Don
Bosco sorridendo rispose: “No, no,
non è morta. Maria Ausiliatrice l’ha
subito guarita”.
Nei tre mesi durante i quali dovevo
stare attenta per raccogliere e portare
a don Bosco i due denti che egli mi
aveva detto sarebbero caduti, una sera,
caso strano, mentre camminavo sotto
un viale, ove a quei tempi correvano
ancora dei rigagnoli d’acqua, mi sentii
un affare in bocca e, non pensando a
nulla, sputai nell’acqua e subito, con
mio forte dispiacere, mi accorsi che
era uno dei denti. Andai a casa e rac-
contai lo sbaglio alla mia mamma. Ed
ecco verso la fine di ottobre, un’altra
sera, mangiando una minestra di riso
e cavoli, mi sentii cadere il secondo
dente, ma non potei trattenerlo e l’in-
ghiottii col cibo. Il giorno dei Morti
(2 novembre) tornai con mia madre a
trovare don Bosco nella sua camera;
gli dissi che mi erano caduti i denti,
ma che non potevo darglieli per il
motivo sopra narrato, ed egli ridendo
di cuore (mi pare di vederlo) mi toccò
la guancia dicendo: “Vedi, la Madon-
na li ha già presi!”».
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SETTEMBRE 2022

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I nostri eroi
Beato Istvàn
Sándor
L’invitato
Lodovica Maria
Zanet
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
SETTEMBRE 2022
Le case
di don Bosco
Pordenone
In prima linea
George
Chalissery
Sriicomincia!
SETTEMBRE 2022
ANNO CXLVI
NUMERO 08
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
La copertina: Un nuovo anno scolastico
è alle porte. Si ricomincia! (Volurol / Shutterstock).
2 I FIORETTI DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 I NOSTRI EROI
Beato Istvàn Sándor
10 L’INVITATO
Lodovica Maria Zanet
14 TEMPO DELLO SPIRITO
16 LE CASE DI DON BOSCO
Pordenone
20 IN PRIMA LINEA
George Chalissery
24 FMA
Ziano Val di Fiemme
26 LA NOSTRA FAMIGLIA
Senegal
30 DON BOSCO NEL MONDO
Pane o cannoni?
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
I giorni dello smarrimento
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 UNA GITA DA SOGNO
43 LA BUONANOTTE
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10
20
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 64
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
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numero: Agenzia Ans, Pierluigi Came-
roni, Ferdinando Colombo, Roberto
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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Ángel Fernández Artime
Stefano Sándor
è tornato a casa
Una serie di miracolose
coincidenze ha circondato
e impreziosito la solenne
celebrazione per la benedizione
delle reliquie del martire beato
Stefano Sándor, giustiziato solo
perché «faceva il salesiano».
C ari amici di don Bosco, il protagonista del
mio messaggio questa volta è un giovane
salesiano martirizzato in Ungheria e bea-
tificato: Stefano Sándor. Ho avuto con lui
uno straordinario bellissimo incontro.
Stefano è un giovane salesiano laico o coadiutore
(cioè non sacerdote, ma salesiano consacrato), che a
39 anni fu condannato a morte e giustiziato duran-
te gli anni bui del regime comunista in Ungheria. Il
suo crimine è stato quello di “fare il salesiano”, cioè
radunare i giovani per attività giova-
nili, sport e formazione. Per il regime
del tempo questo era “alto tradimento”.
La storia di Stefano è molto particola-
re, sia per quanto riguarda la sua con-
danna e il modo in cui ha salvato la vita
a cinque giovani arrestati con lui, sia
per quanto riguarda la sua esecuzione
e la sua sepoltura in una fossa comune
sconosciuta, sia per quanto riguarda il
suo ritrovamento 70 anni dopo grazie
all’aiuto di esperti di storia e di test del
dna.
Dio continua ad avere l’ultima parola, la parola de-
finitiva, sulla vita e sulla morte. Così è stato per il
giovane salesiano Stefano Sándor.
Ho scoperto tutto questo a Budapest, in Ungheria,
il 4 giugno 2022. Tutto è sembrato orchestrato dal-
la Provvidenza.
Il Clarisseum riaperto
Da alcune settimane era stata riconsegnata in pro-
prietà ai salesiani l’elegante struttura del Claris-
seum dove era situata la sede dell’Ispettoria unghe-
rese e di alcuni edifici, tra i quali la tipografia dove
lavorava Stefano Sándor, e che 72 anni fa il regime
comunista aveva nazionalizzato.
In questa fotografia si vede il momento della no-
stra entrata nella casa, dopo 70 anni. Negli spa-
zi dove c’erano i cortili è stata organizzata una
solenne celebrazione eucaristica, che ho avuto la
gioia di presiedere, al termine della quale c’è stata
la benedizione del Reliquiario del beato Stefano
Sándor.
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SETTEMBRE 2022

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«Io gli devo la vita»
Un altro momento prodigioso
e toccante. Stefano Sándor ave-
va impedito che cinque giovani
venissero giustiziati con lui. In
questa fotografia mi vedete con
un uomo seduto su una sedia a
rotelle. È uno dei giovani che,
all’età di 22 anni, furono arre-
stati insieme a Stefano perché
considerati traditori del regime.
Dopo un durissimo interro-
gatorio con torture, il giovane
salesiano riuscì in un attimo di
distrazione delle guardie a par-
lare con gli altri ragazzi e chiese
loro di incolparlo di tutto ciò di
cui volevano accusarli. I giova-
ni fecero resistenza, ma lui disse loro che, a causa
della loro amicizia e della loro fede in Gesù, dove-
vano farlo per salvarsi la vita. E così è stato. Ecco
che cosa mi ha raccontato questo ex studente, ex
animatore del Clarisseum. Infatti, Stefano fu con-
dannato a morte e loro furono condannati a 8 anni
di carcere. Fortunatamente, mi ha detto il nostro
amico, tre anni dopo il regime comunista cadde e
la loro condanna fu annullata.
Il DNA di un francobollo
Un altro particolare ci dimostra l’eleganza della
Provvidenza. Nel luglio del 1952, Stefano Sándor
fu catturato sul posto di lavoro, e non fu più rivisto
dai confratelli. Per 70 anni non si è saputo dove si
trovassero i suoi resti umani. Era stato giustiziato e
sepolto in una fossa comune insieme ad altre cinque
persone in un bosco alla periferia di Budapest, senza
alcun segno o nome che potesse dare qualche indi-
zio. La sepoltura di notte e senza alcuna traccia fa-
ceva parte dell’intenzione di coloro che lo giustizia-
rono. Per tutti questi anni si è avuta la convinzione
che sarebbe stato impossibile trovare i suoi resti. Ma
la tenacia di una giovane ex studentessa, l’esperienza
e le altissime conoscenze di un’e-
sperta della storia di quegli anni,
hanno fatto sì che i resti mortali
di sei dei giustiziati siano stati
ritrovati pochi mesi fa. Restava
da capire se uno di essi potesse
essere il Beato Stefano.
È stato il dna che si è potuto
ricavare da una lettera scritta da
Stefano e da un’altra lettera con
il francobollo attaccato dal fra-
tello (che aveva sperato in que-
sto momento per tutta la vita
ma è morto tre anni fa) che ha
permesso a due grandi profes-
sionisti, che ho conosciuto e rin-
graziato, esperti nelle tecniche
di riconoscimento del dna, di
identificare molti dei resti mortali di Stefano, resti
ora raccolti in questa delicata urna che vediamo.
Stefano Sándor è ritratto mentre legge il Bollettino
Salesiano ungherese (Szalezi Ertesito), per ricorda-
re come egli conobbe don Bosco e il mondo salesia-
no e anche a richiamare la sua missione educativa
nel campo della stampa come maestro tipografo.
Posso testimoniare che l’emozione e anche la com-
mozione di molte persone alla celebrazione eucari-
stica di quella mattina è stata indescrivibile. Posso
testimoniare per esperienza personale che tutto
questo non è una coincidenza. È molto
di più. È la presenza di Dio negli
eventi della storia, insieme
alla libertà umana.
Per questo posso affer-
mare: il Beato Stefano
Sándor è tornato a casa.
E anche i salesiani oggi,
con i giovani che sono qui
e quelli che verranno, tor-
nano a casa, alla loro casa,
al Clarisseum di Budapest,
Ungheria.
SETTEMBRE 2022
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I NOSTRI EROI
János Szöke
Beato Istvàn Sándor
Salesiano coadiutore, martire.
L’anno 1914 fu tragico per
l’Europa: il 28 luglio, dopo
l’attentato di Sarajevo,
l’Austria dichiarò guerra
al regno di Serbia. Iniziava così il
grande massacro della Prima Guer-
ra Mondiale. Verso la fine dell’an-
no precedente, il 6 novembre 1913,
erano arrivati in Ungheria, allora parte dell’impero
Austro-Ungarico, i primi salesiani, un gruppo di
giovani ungheresi che avevano svolto il loro percor-
so formativo in Italia.
In questo contesto, il 26 ottobre 1914 nasce Istvàn
Sándor, nella cittadina di Szolnok, situata a un
centinaio di chilometri a sud-est dalla capitale, Bu-
dapest, nella Grande Pianura Ungherese.
Fanciullezza e giovinezza
Istvàn era il primogenito di tre fratelli. Fin da pic-
colo, Istvàn era assiduo frequentatore della sua par-
rocchia, affidata ai Francescani. La comunità dei
figli di san Francesco costituiva il baluardo della
vita cristiana nella cittadina. Entrato a far parte del
gruppo dei ministranti, svolgeva con gioia questo
servizio. Più tardi riemergerà in lui questa passione
per il culto, quando ormai da coadiutore salesiano
si impegnerà, con molta serietà, a formare un grup-
po esemplare di ministranti nella scuola e nell’ora-
torio.
Ragazzo sempre allegro, di umore costante, aman-
te dei giochi, sempre in movimento: così lo ricor-
davano i compagni. Gli piaceva recitare in teatro,
esibirsi sul palcoscenico per far divertire i compa-
La famiglia
del beato
Sándor.
Badava ai
fratelli e
aiutava la
mamma nelle
faccende
domestiche.
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SETTEMBRE 2022

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gni. Fin da ragazzo preferiva fare da arbitro per far
giocare i più piccoli.
Anche in casa badava ai fratelli minori (era lui a
dirigere le preghiere), ai pasti e alla sera. Era solito
aiutare la mamma nelle faccende domestiche.
I Francescani consigliarono la famiglia di manda-
re il giovane all’istituto salesiano “Clarisseum” di
Ràkospalota, alla periferia della capitale, dove fre-
quentò le scuole professionali. Tornato in famiglia,
il ragazzo quattordicenne fu avviato ad un appren-
distato metallurgico. Durante tutto questo periodo
fu costantemente in contatto con il suo confessore
stabile. Questa costante cura della vita spirituale,
unitamente alla traccia profonda che aveva lasciato
in lui la permanenza nell’opera salesiana di Ràko-
spalota, lo portavano a riflettere su quel che Dio
voleva da lui. E così riconobbe in se stesso, con
l’aiu­to della guida spirituale, i segni della chiamata
di Dio alla vita religiosa salesiana. Come dirà più
tardi, la lettura delle pubblicazioni salesiane lo ave-
va colpito e l’aveva fatto riflettere. Anche in questo
tratto si intravede una motivazione della sua scelta:
la sua sensibilità per il lavoro in tipografia e l’amore
per la stampa a diffusione popolare.
Giunto all’età di 21 anni, alla fine del 1935, Istvàn
mandò la sua richiesta formale al Superiore dei Sa-
lesiani, don Jànos Antal. Il 12 febbraio 1936 faceva
ritorno al “Clarisseum”, per trascorrervi un periodo
di prova. Vivendo in quella comunità, lavorò con
entusiasmo come aiuto-tipografo,
sagrestano e nell’oratorio. Sereno,
nonostante l’età che per quei tempi
era parecchio superiore alla media
dei novizi, continuò il suo lavoro
fino al marzo 1938, quando, all’e-
tà di 24 anni, non più apprendista,
ma già tipografo professionale,
chiese ed ottenne di entrare nel
Noviziato.
Istvàn finì l’anno di noviziato con
la prima professione dei voti reli-
giosi, come salesiano laico (‘coadiu-
tore’) l’8 settembre 1940. Dalla sua corrispondenza
dell’epoca traspare la sua immensa gioia e l’entusia-
smo per quella vita. Tornò al “Clarisseum”, al suo la-
voro nella tipografia, ora come uno dei responsabili,
all’animazione nella chiesa pubblica annessa e nell’o-
ratorio. La tipografia Editrice don Bosco godeva di
grande prestigio nazionale. Oltre alle pubblicazioni
salesiane (Bollettino Salesiano, Gioventù Missiona-
ria...) pubblicava anche collane prestigiose di opere
teatrali per i giovani, libri di spiritualità giovanile,
libri di istruzione religiosa popolare.
Proprio in quegli anni in Ungheria, sotto il patroci-
nio di don Bosco, si era dato vita ad un’Associazione
Cattolica dei Giovani Lavoratori (‘kioe’). Al “Cla-
risseum” il nostro Istvàn fu il promotore e l’anima
di questa organizzazione. Il suo gruppo divenne
gruppo-modello; egli vi aveva trasfuso l’atmosfera
serena e la spiritualità sacramenta-
le ed educativa tipica di don Bosco.
Catechismi ragionati, conferenze
apologetiche, ore di adorazione,
escursioni-pellegrinaggi, sport e
gioco, santa allegria caratterizza-
vano la vita del gruppo. I giovani
ne erano attratti e non abbandona-
rono l’opera, anche quando il loro
animatore fu richiamato alle armi.
L’Ungheria era entrata in guerra, a
fianco della Germania, il 22 giu-
gno 1941.
Il Beato
Istvàn
Sándor con
il gruppo
dei suoi
chierichetti al
“Clarisseum”.
Sotto: Sándor
adolescente.
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I NOSTRI EROI
Giovane
coadiutore
salesiano.
Sul fronte di guerra
Sándor prestò servizio nell’esercito ungherese come
appuntato telegrafista. Alcuni suoi commilitoni
testimoniano che in reparto non nascondeva di es-
sere un religioso consacrato. Creò attorno a sé un
piccolo gruppo di soldati, attratti dal suo esempio,
che egli incoraggiava a pregare e ad evitare le be-
stemmie.
Nel 1944 riprese il suo lavoro a Ràkospalota, per
quanto lo permettevano le drammatiche circostan-
ze. Il 13 febbraio 1945, dopo lunghi e aspri com-
battimenti durati tre mesi, che portarono alla rovi-
na dell’abitato, tutta la città di Budapest era sotto il
controllo dell’esercito sovietico. In
questo tempo i Salesiani rimasti
in città soffrirono terribilmente la
fame, l’impossibilità di lavorare,
le requisizioni da parte dell’occu-
pante.
Il superiore salesiano ungherese
comunicò alla Direzione Genera-
le di Torino: “... Ora non possiamo
pubblicare né ‘Bollettino Salesia-
no’ né ‘Gioventù Missionaria’. Le
disposizioni vigenti ci impongono
il massimo risparmio di carta”. Era quest’ultimo un
mezzo di controllo della stampa da parte del regi-
me: occorreva un permesso specifico per acquistare
carta.
A Ràkospalota i gruppi animati dai Salesiani risen-
tono di questi colpi. In modo particolare il nostro
Istvàn soffre per lo scioglimento della kioe (corri-
spondente della joc occidentale) di cui era diven-
tato uno dei dirigenti. Nonostante le proibizioni
legali, però, egli proseguì questa attività in modo
quasi clandestino, evitando di esporsi e di esporre i
suoi allievi ai controlli della polizia politica. Cam-
biavano ogni volta i luoghi di incontro, simulando
scampagnate di piccoli gruppi di giovani, o incon-
trandosi per feste di notte. Nel 1948 egli animava
sei gruppi attivi di giovani, tra cui parecchi exallie-
vi della nostra scuola. I contenuti dei loro incontri
non avevano assolutamente nulla di politico. Erano
solide istruzioni religiose per dare fondamento alla
fede dei giovani, in modo da poter resistere alla
propaganda atea che imperversava. Si pregava mol-
to. Lo stesso animatore compose appositamente
alcune preghiere.
Nel mese di giugno del 1950 il governo comunista
dichiara “soppressi” gli ordini e le congregazioni
religiose in Ungheria. A partire dal 7 giugno co-
minciano le deportazioni di religiosi/e, internati in
luoghi di concentramento (generalmente antichi
monasteri). Anche i Salesiani vengono dispersi.
Nel 1951 ad un certo momento Istvàn, accorgen-
dosi di essere caduto in sospetto presso la polizia
politica, cambiò cognome, alloggio e trovò lavoro
come operaio nella fabbrica di detersivi Persil, ma
continuando il suo apostolato clandestino con i
giovani. Vedendo come la polizia stava pedinando
il confratello, i suoi superiori, con cui manteneva
rapporti di nascosto, pensarono di farlo espatriare.
Quando tutto era già pronto per fargli attraversare
la frontiera con l’Austria, Istvàn non volle approfit-
tare di questa occasione, ma decise di rimanere in
Ungheria. Pensava che non era giusto andarsene,
quando i giovani che egli seguiva stavano corren-
do il pericolo di essere scoperti e condannati. Per
lui era come un fuggire dalle sue responsabilità di
educatore cristiano.
Arresto e condanna
Istvàn si incontrava regolarmente con i suoi ex-
allievi ed alcuni amici di essi al “Clarisseum” o in
appartamenti privati. Egli si occupava con grande
amore dei problemi spirituali dei giovani.
Ma la padrona di casa di Daniel fece imprigionare
Istvàn ed altri salesiani. Il 28 luglio 1952, al mat-
tino si presentò nell’alloggio la polizia politica e
arrestò Istvàn.
A causa delle disumane torture e dei procedimenti
tristemente noti e usati con i prigionieri “politici”
di quel tempo, Istvàn fu costretto ad ammettere
i “crimini”di cui lo si incolpava, ben sapendo che
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tale dichiarazione avrebbe costitui­
to per il tribunale militare motivo
per una condanna a morte.
Di questi dieci mesi e più abbiamo
qualche notizia da compagni di
cella che sopravvissero. Ecco una
testimonianza: “Durante le settima-
ne trascorse nella cella comune, faceva-
mo di tutto per poter vivere una vita
il più possibile spirituale, nel senso più
nobile della parola […] Pregavamo
insieme e recitavamo il Rosario di na-
scosto, perché anche tra i compagni di
cella vi era un certo controllo interno.
Ogni cella aveva un suo “comandante” responsabile che
doveva osservare e denunciare ogni irregolarità, che poi
non rimaneva impunita. (Il regime infiltrava apposta
qualche elemento che, fingendosi incarcerato, cercava
di raccogliere confidenze dai detenuti). Il nostro amico
Istvàn cercava di dare forza ai compagni per mezzo di
preghiere di consolazione e pensieri spirituali”. Mal-
grado fosse consapevole del suo destino tragico,
egli era apportatore di serenità agli altri carcerati.
8 giugno 1953:
la testimonianza suprema
Dopo la comunicazione ufficiale della sentenza ca-
pitale al condannato, questi fu trasferito dalla cella
32 al piano superiore del carcere militare, alla cella
dei condannati a morte in attesa dell’esecuzione.
Un compagno di cella sopravvissuto, cinquant’an-
ni dopo, confessava di avere ancora impressa nella
memoria la triste scena per cui le guardie carcera-
rie passarono nella cella 32 a ritirare i suoi oggetti
personali: uno spazzolino da denti, un pettine e un
asciugamano. Per i prigionieri era questo il segno
che l’interessato era stato trasferito nella cella di
coloro che sarebbero passati direttamente all’esecu-
zione capitale.
I superstiti affermano che non si poteva sapere con
precisione dove avvenivano le esecuzioni. In genere,
almeno fino al 1953, venivano eseguite nel cortile
del carcere stesso. Per coprire le
grida dei condannati si usava por-
tare al massimo il volume di ru-
more prodotto dallo scappamento
del motore del camion usato come
palco. Quando dalle celle si udiva
tale sinistro fracasso, si intuiva che
si stavano eseguendo condanne,
sopratutto per impiccagione. Il no-
stro Istvàn fu impiccato per secon-
do, come risulta dai verbali.
Il cadavere, insieme a quello degli
altri giustiziati, fu poi portato con
un camion al cimitero del carcere
giudiziario della cittadina di Vàc, dove vennero
seppelliti tutti insieme in una fossa comune, sen-
za segni di identificazione. Nonostante parecchie
ricerche da parte della famiglia e dei Salesiani, a
tuttora non si è riusciti a localizzare con certezza il
luogo della sepoltura. D’altra parte, i cadaveri rie-
sumati in seguito, dopo la caduta del regime, pre-
sentavano una quantità tale di segni di tortura che
ne rendevano difficilissima l’identificazione.
Il martirio è stato la conclusione coerente di tutta
una vita di fede semplice e di amore profondo per i
giovani, piena sempre di fiduciosa speranza, anche
in circostanze non favorevoli. È la disposizione che
san Giovanni Bosco ispira ai suoi figli: “Darò la mia
vita per i giovani fino all’ultimo mio respiro”.
In divisa
militare:
Sándor prestò
servizio
nell‘esercito
ungherese
come
appuntato
telegrafista.
Gruppo di
coadiutori
ungheresi nel
1949 (Stefano
Sándor è il
primo in alto
a sinistra).
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L’INVITATO
Ferdinando Colombo
La detective
dei Santi
Intervista alla Dott.sa
Lodovica Maria Zanet
Perché la Chiesa possa dichiarare
“santa” una persona è necessaria
un’accurata e meticolosa inchiesta.
Un lavoro da Sherlock Holmes.
La
professoressa
Lodovica Maria
Zanet è una
dei massimi
esperti
delle Cause
dei Santi e
collabora dal
2011 con la
Postulazione
Generale
della Famiglia
Salesiana.
Come nasce l’iniziativa di studiare
la vita di una persona per poterla
dichiarare santa?
Tutti noi abbiamo l’esperienza di avere incontrato
nella vita persone di particolare valore, nelle quali
il Vangelo prende luce e corpo.
Ecco: la Chiesa, madre e maestra, ha questa stessa
attenzione verso quanti, in ogni parte del mondo,
in ogni stato di vita, abbiano vissuto una vera vita
cristiana e il cui ricordo sia rimasto vivo anche a
distanza di anni.
Grazie alla constatazione di questa “esemplarità”
diffusa in ampia e qualificata parte del popolo di
Dio, guidato dai suoi pastori, la Chiesa attua allo-
ra una procedura particolare: quella appunto delle
Cause di beatificazione e di canonizzazione.
Questa procedura è articolata a vari livelli. All’ini-
zio si tratta soprattutto, in modo molto descrittivo,
di ricostruire, recuperare i materiali e scrivere di
un’esistenza senza però affrettare troppo il giudizio
su di essa.
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2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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Possiamo pensare che queste Cause funzionino un
po’ come il cuore: a due tempi, diastole e sistole. Ci
sono i “tempi numero uno”, le “diastole”, con i quali
si acquisiscono le prove sulle virtù, sul martirio, sul
dono della vita o sul miracolo. Queste prime fasi si
chiamano inchieste diocesane e si svolgono là ove un
Servo di Dio è morto o ha trascorso comunque una
parte significativa della propria esistenza e si trova-
no pertanto le prove, i materiali. I “tempi numero
due”, le “sistole”, intervengono in fase romana e ser-
vono allo studio delle prove e alla dimostrazione
delle virtù, del martirio ecc. a partire da esse.
E quando è una Famiglia religiosa,
come i Salesiani, chi pensa ai santi?
Le inchieste iniziano sempre in diocesi: una Causa
è anzitutto obbedienza alla Chiesa, anche nella sua
articolazione sul territorio. Questo però non impe-
disce che sia una Famiglia religiosa (o una Socie-
tà di Vita Apostolica, o un Istituto secolare, o una
Associazione pubblica di fedeli ecc.) a interessarsi
a una Causa, a chiedere alla Chiesa di accompa-
gnarla, a lavorare ad essa e a promuoverla attraverso
iniziative di carattere anche pastorale, per il tramite
di una “Postulazione”.
La “fase due” ha invece come referente non il Ve-
scovo diocesano, ma la Congregazione delle Cause
dei Santi a Roma. È in questa fase romana che si
elabora un documento molto ampio e articolato, di
svariate centinaia di pagine: la Positio. Un vero “af-
fondo” nella vita di un Servo di Dio e nel contesto
della sua testimonianza. Di livello in livello si pro-
cede, sino a bussare alla “porta” del Papa, l’unico e
supremo giudice nelle Cause dei santi.
Ci sono quindi dei gradini da salire.
All’inizio, una persona nata al Cielo avendo lascia-
to il ricordo di una vita davvero evangelica viene
detta Servo/a di Dio. Quando è dato riscontro po-
sitivo alle sue virtù, o al martirio, o al dono della
vita, il Servo di Dio diventa “Venerabile Servo/a di
Dio” (ma il martire procede poi subito verso la bea-
tificazione): “venerabile”, anche terminologicamen-
te, dice una condizione di possibilità, precisa che
ci sono le “carte in regola”. Poi servono i miracoli,
necessari al martire per essere dichiarato santo e ai
non martiri sia per la beatificazione sia per la cano-
nizzazione: un miracolo dunque per la beatificazio-
ne; un altro miracolo, avvenuto dopo la beatifica-
zione o almeno dopo l’autorizzazione a promulgare
il relativo decreto, per la canonizzazione. I passaggi
sono tanti. L’essenziale è che si tratta di un vero
discernimento. I tempi, di norma, sono lunghi. Il
lavoro intensissimo.
Ma quando si può cominciare a
parlarne nella Comunità cristiana
e quando si può pregarlo
pubblicamente?
Servo di Dio è un nome, un titolo che a noi pia-
ce molto perché dice qualcosa di bellissimo: l’avere
davvero servito Dio, insomma il cuore della perfe-
zione evangelica. In realtà, dal punto di vista giu-
ridico segnala ‘solo’ che la Chiesa sta indagando su
una persona. Servi di Dio e Venerabili possono cer-
to essere pregati: anzi, è opportuno che siano sem-
pre meglio conosciuti perché una Causa dovrebbe
servire a dare gloria a Dio e ad aiutare chi è ancora
in cammino verso la patria del Cielo. Questo però
in forma personale, oppure in gruppo ma in modo
semplice, spontaneo o con la preghiera autorizzata
«Nelle Cause
prima di
arrivare anche
solo a poter
parlare di
miracolo si
guarda alla
vita quotidiana
di un Servo
di Dio, ai suoi
atteggiamenti
abituali, alle
sue scelte e
soprattutto
alla sua umiltà
e all’esercizio
della carità
anche in
situazioni
difficili».
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L’INVITATO
Non è un
santo vero chi
tramite gesti
spettacolari
voglia attirare
l’attenzione su
di sé. Il vero
santo invece si
ritiene sempre
piccolo e
peccatore, e il
senso stesso
della sua vita è
portare gli altri
a guardare a
Dio».
o con la Novena, sempre autorizzata. Il culto pub-
blico – cioè la Messa, l’Ufficio (come “proprio” del
Breviario) e altri atti particolari e ufficiali – si han-
no invece: per il beato a livello locale (sua diocesi di
appartenenza, suo ordine religioso…); per il santo a
livello universale, in tutta la Chiesa.
Nel caso di Mamma Margherita, la
mamma di don Bosco, morta nel 1856
come si fa a raccogliere le prove della
sua vita?
Mamma Margherita è Venerabile: la qualità alta
della sua vita cristiana è già stata riconosciuta.
Adesso c’è la sfida di miracoli ottenuti per sua in-
tercessione. In tal caso, la Postulazione potrebbe
riprendere a lavorare per accompagnarne la valuta-
zione e il riconoscimento. Una Causa vive del resto
se è sostenuta da un movimento di preghiera, e alla
preghiera dovrebbe educare.
Un aiuto per Mamma Margherita? Animare la
preghiera e incoraggiare l’affidamento a lei, in tut-
to il mondo salesiano, anche nelle missioni: spe-
rando fermamente in quella “grazia più forte” che
possa essere riconosciuta quale miracolo. Mamma
Margherita è una figura tanto bella e attuale: oggi
soprattutto la famiglia è messa alla prova e deve ri-
scoprire la fede, ma Mamma Margherita parla an-
che ai consacrati o a chi per un più grande amore si
dedichi agli altri, perché nell’ultima parte della sua
vita ha cresciuto con tanta attenzione figli non suoi.
Il Papa parla del “santo della porta
accanto”. Qual è la “sostanza” della
vera santità?
Santità della porta accanto è un’espressione di grande
impatto. Ci aiuta inoltre a non equivocare la serie-
tà di un cammino di fede con la ricerca di segni
straor­dinari, cui aggrapparsi come alle conferme
di cui si ha bisogno, come un pretendere di poter
sempre “vedere” e “toccare” e “sentire”. Le cose vere
sono anzitutto poco appariscenti.
Nelle Cause – prendiamo l’esempio più semplice,
quello delle virtù eroiche – prima di arrivare anche
solo a poter parlare di miracolo si guarda alla vita
quotidiana di un Servo di Dio, ai suoi atteggia-
menti abituali, alle sue scelte e soprattutto alla sua
umiltà e all’esercizio della carità anche in situazioni
difficili (mi verrebbe da dire: anche nelle situazioni
in cui non si può fingere né improvvisare!). Que-
sto è il cammino che la Chiesa esorta a fare, ma
è anche il cammino che i santi per primi hanno
percorso: partire dall’ordinarietà quotidiana, averla
a cuore. Non è un santo vero chi tramite gesti spet-
tacolari voglia attirare l’attenzione su di sé. Il vero
santo invece si ritiene sempre piccolo e peccatore,
e il senso stesso della sua vita è portare gli altri a
guardare a Dio.
Come si fa a dire che una vita è stata
vissuta in grado eroico, cioè in grado
molto alto?
Per capirlo può aiutare considerare una serie di re-
quisiti. Possiamo provare a elencarli in modo ana-
litico, con una premessa però: la nostra vita non è
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analitica, è sintetica, è un’unità. Quindi l’elenco
richiama l’attenzione su alcuni aspetti che in real-
tà sono intrecciati. Facciamo un esempio. È eroica
una virtù (la nostra carità, la nostra obbedienza, la
nostra povertà…) se è esercitata: sempre, in fretta,
con prontezza, con gioia, anche in situazioni diffi-
cili. Inoltre: in modo superiore a come agirebbe una
persona – attenzione! – buona e giusta nelle mede-
sime condizioni (la santità canonizzata è il 10 e lode
rispetto all’8, non il 6 rispetto al 3…). Poi ancora se
è esercitata con finalità soprannaturale, per amore
di Dio. Qualche altro esempio: umile… anche nelle
umiliazioni. Obbediente… anche quando non mi
va, con il cuore lieto, in pace, fidandomi. Volendo
il bene… anche di un nemico. Povero… non solo
cedendo beni superflui, ma aprendomi alla condi-
visione sincera, facendo comunione. Sono esempi
che dischiudono piste di riflessione e aiutano a
guardare in modo diverso l’umano.
Per essere santi bisogna essere stati
sempre felici?
La gioia fiorisce come frutto dello Spirito. La
Chiesa non cerca il rigore di una persona troppo
severa con se stessa, rigida: ma uno slancio nel bene
che profuma di Vangelo e in definitiva è dono di
Dio. L’altro aspetto – che penso sia tanto impor-
tante per i giovani d’oggi – è che la Chiesa, per-
sino nelle Cause di canonizzazione, non richiede
di essere stati eroici per tutta la vita: guarda invece
all’ultimo periodo. Diciamo agli ultimi 10 anni circa,
che saranno poi di meno nel caso dei giovanissimi,
di più per i santi anziani. Importante è il cammino
che hai fatto, come sei cresciuto, le crisi che hai at-
traversato e la fiducia con cui le hai superate. Nella
storia della santità c’è spazio per i grandi converti-
ti, per chi ha scoperto tardi il Signore. C’è spazio
persino per chi ha voluto combatterlo, prima di in-
contrarlo davvero. L’importante è che a partire da
un determinato momento la vita abbia svoltato con
impegno sino a diventare icona del Vangelo, testi-
monianza di carità.
LODOVICA MARIA ZANET
Dottore di ricerca in Filosofia, ha insegnato alla Cattolica
di Milano, alla Pontificia Università Salesiana (sezione To-
rinese della “Crocetta”) ed è attualmente in carica presso
il Triennio Filosofico-Pedagogico di Nave (Brescia, sem-
pre affiliato all’UPS). Ha conseguito nel 2014 il Diploma
rilasciato dallo Studium della Congre-
gazione delle Cause dei santi e col-
labora dal 2011 con la Postulazione
Generale della Famiglia Salesiana.
Ha pubblicato, tra l’altro: La santità
dimostrabile. Antropologia e prassi
della canonizzazione (EDB, 2016) e
Martirio. Scandalo, profezia, comu-
nione (EDB, 2017). Su figure salesia-
ne: Oltre il fiume, verso la salvezza.
Titus Zeman martire
per le vocazioni (Elle-
dici, 2017).
Però potrebbero esserci dei momenti
di debolezza anche in queste persone
che sono eroiche. Il cogliere anche
dei lati di debolezza, può fermare
la Causa? Quale gravità potrebbe
fermarla?
Prima parlavamo della Positio, questa corposa di-
mostrazione che viene consegnata in Vaticano. La
si scrive attenendosi a un ordine rigoroso di argo-
menti e non manca una parte che può essere de-
dicata a eventuali difetti del Servo di Dio. Tutto è
significativo ed eventuali elementi contrari vanno
sempre messi in evidenza. È tra queste pieghe spes-
so problematiche che può farsi strada l’incontro con
Dio: nessuna vita va semplificata a tavolino. Anche
i grandi santi hanno avuto fatiche o fragilità. L’es-
senziale è che non si radichino per sempre “strut-
ture di peccato” e, come dicevo, che a partire da un
certo momento si possa parlare di un convincente
cammino di bene, di un frutto duraturo attraverso
il quale passa vita per altri. Del resto, quando la vita
“svolta” davvero, il primo ad accorgersene è proprio
il nostro prossimo!
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TEMPO DELLO SPIRITO
Carmen Laval
Gratitudine
L’eroico segreto della felicità
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Il professor Matthew Henry stava rincasando
dall’Università, quando a pochi metri da casa
sua si trovò davanti una canna di pistola puntata
contro gli occhi.
Dietro la pistola c’era un rapinatore con il volto co-
perto che gli intimò di consegnargli borsa e portafo-
glio. Lo fece e il rapinatore si dileguò rapidamente
nell’oscurità.
Ancora spaventato dalla spiacevole esperienza,
quella sera si sedette alla scrivania e scrisse questa
preghiera:
«Signore, oggi sono stato derubato.
So che devo ringraziarti per molte cose.
Per prima cosa ti ringrazio
di non essere mai stato rapinato prima,
e in un mondo come questo è quasi un miracolo.
In secondo luogo voglio dirti grazie
perché mi hanno portato via solo il portafoglio
che, come sempre, conteneva solamente pochi soldi
e una vecchia borsa piena di carta.
Ti voglio ringraziare anche, Signore,
perché non c’erano con me mia moglie e mia figlia,
che si sarebbero spaventate molto
e anche per il fatto che ora non piangono per me.
Infine, Signore, voglio ringraziarti
in un modo particolare,
perché io sono stato il derubato
e non il ladro».
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1. Una virtù sempre più rara
Oggi, le persone sono soprattutto “scontente”:
«Non c’è niente che va bene» dicono. Come grandi
bambini capricciosi si lamentano e criticano. Non
ricevono abbastanza, nessuno bada a loro, gli altri
beneficiano tutti di privilegi che loro non hanno.
Sono insaziabili e così non riescono a godere mai
di nulla.
2. Comincia dagli occhi
La gratitudine è un modo di guardare. Anselm
Grün scrive: «Allora sei capace di guardare con oc-
chio grato alla nuova aurora, sei capace di notare
che ti sei alzato sano e puoi vedere sorgere il sole.
Sei grato per il respiro che ti anima. Sei grato per i
buoni doni della natura che puoi godere a colazio-
ne. Vivi più consapevolmente. La gratitudine allar-
ga il tuo cuore e lo rende lieto. Non sei fissato a
quanto potrebbe irritarti. Non incominci la matti-
na provando subito rabbia per il cattivo tempo. Non
ti senti subito frustrato perché fai spandere il latte.
Ci sono, in effetti, delle persone che si rendono la
vita difficile perché notano solamente il negativo.
Quanto più vedono il negativo, tanto più vengono
confermate dalla loro esperienza».
3. Un sentimento bellissimo
Un salmo lo esprime così: «Sei tu, Signore che hai
creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di
mia madre. Ti lodo, perché mi hai fatto come un
prodigio; sono stupende le tue opere, tu mi conosci
fino in fondo» (Salmo 139). Il poeta inglese Wil-
liam Blake sostiene addirittura che la gratitudine
è il paradiso. È un altro modo di pensare: consiste
nel riconoscere il valore di ciò che la vita offre. Chi
riconosce il valore di ciò che ha, si sente ricco e
fortunato. Chi non lo riconosce, si sente povero e
infelice. E brontolone.
4. Sa perdonare la vita
È uno dei segreti della gentilezza e quindi della
felicità. Il più difficile: possiamo perdonare che i
nostri sogni non si avverino? I vicini di casa male-
ducati? I nostri mali fisici? I problemi delle persone
care? I mali e le cattiverie del mondo? La grati-
tudine è una virtù eroica ed è la vera radice della
speranza e della forza della vita.
C’era una volta una famiglia serena e tranquilla che
viveva in una piccola casa di periferia. Una sera i
membri della famiglia erano seduti a cena, quando
udirono bussare alla porta. Il padre andò alla porta
e l’aprì.
C’era un vecchio in abiti laceri, con i pantaloni
strappati e senza bottoni. Portava un cesto pieno di
verdura. Chiese alla famiglia se volevano acquista-
re un po’ di verdura. Loro lo fecero subito, perché
volevano che se ne andasse.
Con il tempo, il vecchio e la famiglia fecero amici-
zia. L’uomo portava la verdura per la famiglia ogni
settimana. Scoprirono che soffriva di cataratta e
che era quasi cieco. Ma era così gentile che impara-
rono ad aspettare con ansia le sue visite e ad apprez-
zare la sua compagnia.
Un giorno, mentre conse-
gnava la verdura, il vecchio
disse: «Ieri ho ricevuto un
grande regalo! Ho trova-
to fuori della mia casa un
cesto di vestiti che qual-
cuno ha lasciato per me».
Tutti quanti, sapendo
quanto lui avesse biso-
gno di vestiti, dissero:
«Meraviglioso!».
E il vecchio cieco disse:
«Ma la cosa più meravi-
gliosa è che ho trovato una
famiglia che aveva davvero
bisogno di quei vestiti».
La gioia di donare è più for-
te della vita. È veramente
povero solo chi non la
prova mai.
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LE CASE DI DON BOSCO
Paolo Mojoli
Don Bosco a
Pordenone
Una casa salesiana bella e varia in
persone e iniziative. La Comunità
Educativa Pastorale è ricca di valide
e appassionate figure di salesiani,
laici e laiche, che quotidianamente
offrono le loro competenze
didattiche ed educative.
Pordenone non è conosciuta come merita. È
una città bella, moderna e mai noiosa, che
si presenta con un pittoresco centro storico
da percorrere rigorosamente a piedi, al fine
di farsi sedurre dall’eleganza dei palazzi dipinti e
dalle altre meraviglie della città. Così come la città,
anche i dintorni sono ricchi di storia: l’intera zona
è costellata da paesi dalla secolare storia, che si pre-
sentano ricchi di antichi edifici.
La città ha manifestato sempre una vivace e in-
traprendente vocazione industriale nei settori del
tessile, della ceramica e della carta, grazie anche
all’avvento dell’energia idroelettrica utilizzata a
Pordenone già dal 1888. Già dai primi decenni del
1900 la città conosce un notevole sviluppo econo-
mico ed industriale nelle lavorazioni metalmecca-
niche, siderurgiche, chimiche e del legno. Dinami-
smo e creatività che la caratterizzano tuttora.
Qui, la storia dei salesiani è centenaria. Bella e si-
gnificativa.
Nel 1920 don Giuseppe Marin, sacerdote della
diocesi di Concordia, inizia nella ex villa Queri-
ni, di sua proprietà, un centro-pensionato per gli
alunni delle scuole cittadine: elementari e com-
plementari e per il “Ginnasio Paterno” già fondato
dallo stesso don Marin nel palazzo pure di sua
proprietà. Già da allora il centro-pensionato è in-
titolato a don Bosco.
Nel 1924 il Centro viene affidato ai Salesiani, ai
quali don Marin cede la proprietà. Nel contempo,
don Marin si impegna a iniziare entro l’anno sco-
lastico un nuovo istituto, attiguo ai locali esisten-
ti, che fosse pronto per l’anno 1926-27. Nel primo
anno scolastico i ragazzi non raggiungono il centi-
naio e la prima elementare con 25 alunni è interna,
affidata ai Salesiani.
Comincia la vita di una comunità religiosa che ha
come primo direttore don Renato Ziggiotti. Egli
sarà poi il quinto successore di don Bosco, come
Rettor Maggiore (1952-1965).
La medaglia d’oro
L’anno successivo due classi del “Ginnasio Paterno”
passano all’Istituto e interna, assieme alla quinta,
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vi è anche la quarta elementare. Il 20 giugno 1926
si poneva come Ginnasio “Don Bosco”, il 7 ago-
sto 1939 il Ginnasio “Don Bosco” è parificato alla
scuola governativa. Il 6 ottobre dello stesso anno
è autorizzata l’istituzione del Liceo Classico, con-
tinuazione del Ginnasio parificato. Si incomincia
con la prima classe del Liceo che nell’aprile del
1940 viene parificata.
Nel 1951 gli allievi aumentano fino a 558. Su sol-
lecitazione del Vescovo e delle autorità civili, si or-
ganizza una scuola per apprendisti meccanici. Il 2
giugno 1964, dalla Presidenza della Repubblica, su
proposta del Ministero della Pubblica Istruzione,
viene concessa al Centro Don Bosco la medaglia
d’oro con diploma di prima classe, come “Beneme-
rito della Scuola, della Cultura e dell’Arte”.
Il Don Bosco è stato il primo liceo classico cittadi-
no. La scuola ha formato la classe dirigente attuale
e del periodo fiorente della città: qui si sono diplo-
mati medici, ingegneri, dirigenti politici, impren-
ditori (ad esempio Cimolai e Locatelli). Tra gli anni
Ottanta e Novanta l‘intero istituto scolastico aveva
raggiunto i 900 iscritti, per poi scendere a circa la
metà. Dopo i tentativi di rilancio – tra cui la propo-
sta di attivare gli indirizzi all‘internazionalizzazio-
ne con la certificazione del doppio diploma – attua-
ti negli ultimi quattro anni, la scuola ha dovuto fare
i conti con la crisi economica delle famiglie.
Oggi la casa salesiana si presenta bella e varia nelle
persone e iniziative. La Comunità Educativa Pa-
storale si è arricchita di valide e appassionate figure
di laici e laiche, che quotidianamente offrono le
loro competenze didattiche e educative. Salesiani e
laici sono pronti a mettersi in discussione per accet-
tare la sfida sempre nuova dell’educazione.
Gli allievi delle scuole sono 498, i docenti e educa-
tori 44, la segreteria e il personale ausiliario conta-
no 16 persone, gli animatori e responsabili dell’o-
ratorio estivo (Punto Verde) sono una settantina.
Provando a dare un volto ai differenti ambiti pasto-
rali della casa salesiana di Pordenone, si è pensato
di offrire una piccola intervista ad alcuni rappre-
sentanti della passione e del lavoro con i giovani e
per i giovani che si tenta di svolgere, secondo lo stile
di don Bosco.
Il nostro pensiero
Per l’Oratorio, iniziamo con don Roberto Cappel-
letti, che fino a febbraio di quest’anno è stato mis-
sionario in Brasile, Amazzonia, precisamente a São
Gabriel da Cachoeira. “Testimoniare Cristo, se-
guendo il carisma di don Bosco: quali impressioni ci
regali, viaggiando tra il Brasile e l’Italia del 2022?”
«Si tratta di un viaggio sia nello spazio, ma anche
nel tempo. Da una parte un modo semplice di vita
oratoriana, fatta di bagni nel fiume, incredibile en-
tusiasmo per un gelato, gli abbracci spontanei ad
ogni incontro. Dall’altra, relazioni che cercano lo
spazio per essere costruite nella frenesia e nella bu-
rocrazia dello stile di vita occidentale.
È una sfida bella, qui a Pordenone, che conferma
quanto il carisma di don Bosco valga per ogni
latitudine: il salesiano si sente a casa tra i giovani
di tutto il mondo».
Il nostro oratorio nasce dalla dimensione del corti-
le, ha il desiderio di creare un ambiente educativo
accogliente dove poter trascorrere il tempo libero.
Dopo 2 anni di restrizioni Covid, torna il Punto
Verde al Don Bosco con 330 iscritti e 70 animatori.
Si percepisce chiaramente il desiderio che i nostri
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LE CASE DI DON BOSCO
ragazzi hanno di stare assieme e di vivere espe-
rienze positive, dopo mesi e mesi di isolamento e
distanziamento.
All’interno dell’oratorio si sviluppano le proposte di
cammini formativi nelle associazioni Scout Agesci
e nel Cammino Animatori, e con l’apertura al con-
testo sociale e nel Centro Diurno “Sai fischiare?”.
Durante il periodo estivo viene offerta la possibilità
di partecipare al Punto Verde e al Puntino oltre ai
vari campi scuola e momenti formativi.
Da più di dieci anni, il centro educativo diurno
“Sai fischiare?” fa della cura dei giovani, destinata-
ri della sua missione educativa, la sua ragion d’es-
sere. Il centro ospita ragazzi che hanno incontrato
alcune difficoltà, li sostiene nello studio, offrendo
loro l’opportunità di partecipare ad attività ludico-
sportive, espressive, di avvicinamento al mondo del
lavoro e di cittadinanza.
continu aLma efinatmeminamèosveimmpenretola. Cstoessìslao,Smpairito
di don Bosco a Pordenone (da quasi cent’anni)
continuerà nel prossimo secolo a far del bene ai
ragazzi, nella misura in cui sarà fedele allo stesso
fantasioso carisma del suo fondatore.
Don Livio Mattivi, direttore dell’opera salesiana di Pordenone
Daniela è insegnante nella scuola primaria: ci po-
tresti raccontare chi è stato ed è per te don Bosco?
«Partiamo dai suoi occhi e dal suo sguardo. Fin
da piccola mi hanno incuriosita, come se avessero
qualcosa da dirmi. Dopo diversi anni, mi sono tro-
vata a lavorare nella scuola salesiana, quasi per caso.
Adesso mi accorgo che, se il mio lavoro e la mia
passione è quella di insegnare ai bimbi e alle bimbe
delle elementari, l’unico modo veramente possibile
e buono di farlo è proprio quello salesiano. Quando,
nelle occasioni formative, ci viene ricordata l’im-
portanza della nostra presenza in ogni ambito della
vita del bambino, ad esempio nel gioco in cortile,
tutto ciò a me risulta particolarmente connaturale.
Conoscere don Bosco mi ha permesso di tradurre
in azioni quotidiane e buone pratiche un sentire che
era già dentro di me. Don Bosco mi ha aiutata a
conoscermi e ad apprezzare le altre persone come
«preziose» agli occhi di Dio».
Giulia è nella Comunità Educativa Pastorale: qua-
li ti sembrano le maggiori sfide e opportunità che
vivi e che vivete cercando di essere don Bosco oggi?
«Quando si ha a che fare con i ragazzi, le sfide e le
opportunità sono sempre varie e quasi innumerevo-
li. Per me, anche il fatto di aver frequentato questa
scuola salesiana nel grado scolastico in cui sono im-
pegnata, mi offre una visione complessiva: al di là e
al di qua della cattedra, a distanza di qualche anno.
Noto alcune differenze a livello formale, ma i car-
dini della salesianità sono rimasti gli stessi. Io, da
ragazza, mi sono sentita voluta bene e adesso, come
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insegnante, sperimento la gioia e la fatica di avere
a cuore ogni studente. Il fatto stesso di impegnarsi
in modo professionale e personale nell’istruzione e
nella cura quotidiana di ragazzi e ragazze dagli 11
ai 14 anni, è proprio una bella sfida! Si tratta di
persone in costruzione, che impiegano molte ener-
gie nell’indagine di loro stesse, delle loro attitudini,
del loro posto nel mondo e delle loro relazioni (fa-
miliari, con gli amici, con gli adulti…). Non sempre
è facile, né per loro, né per noi insegnanti, coniu-
gare l’acquisizione di competenze con l’esperienza
di un’umanità fragile e, alle volte, già ferita. Infatti,
«In ogni giovane, anche il più disgraziato, c’è un
punto accessibile al bene e compito dell’educatore è
di trovarlo e fare leva su di esso»: anche noi al Don
Bosco di Pordenone ne siamo convinti.
Per me, insegnare nella fascia d’età delle medie,
rappresenta certamente una sfida, ma che può tra-
sformarsi in un’opportunità di crescita personale,
professionale e come gruppo insegnanti».
Un genitore riassume così la sua esperienza: «Un’im-
portante realtà scolastica a Pordenone che ha formato
e seguito nella crescita tantissimi giovani. Ho vissuto
ricordi qui che resteranno sempre nel cuore. Scuola
Media di alto livello e personale docente molto pro-
fessionale e preparato, ambiente molto bello e acco-
gliente. Ci sono ottimi insegnanti».
LA PARROCCHIA
La parrocchia Don Bosco, facente parte dell’opera di Por-
denone, è stata istituita dal vescovo monsignor Vittorio De
Zanche il 1° luglio 1969. L’attività parrocchiale è protesa a
costruire con i fedeli uno spirito di famiglia come preziosa
eredità lasciata da don Bosco. È “animatrice… e luogo privi-
legiato della Catechesi… Riferimento per il popolo cristia-
no e dove tutti prendono coscienza di essere popolo di Dio”.
La parrocchia fa parte della Forania di Pordenone, dell’Uni-
tà Pastorale Pordenone Centro e comprende 2468 abitanti
e circa 800 famiglie.
San Vincenzo (dal 1943): La Conferenza è l’associazione
che si occupa della carità in Parrocchia. Molto attiva anche
in città (progetto solidarietà con le scuole medie, assisten-
za e visita ai detenuti, distribuzione generi alimentari,
ecc.), al «Don Bosco» ha un centro di ascolto settimanale e
segue delle famiglie in difficoltà economica.
La Comunità cristiana di San Giovanni Bosco sente
come dono affidato a lei la ricchezza carismatica e la spe-
cificità pastorale del progetto educativo salesiano. Essa è
consapevole di doversi formare in questa spiritualità e di
dover animare la pastorale secondo lo spirito di don Bosco.
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2.10 Page 20

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IN PRIMA LINEA
O. Pori Mecoi
«La mia missione,
dall’India all’Africa»
Don George Chalissery
La magnifica avventura
di un salesiano sulle piste di Gesù
nel cuore del continente africano.
Don George
(a destra)
con il Rettor
Maggiore
e una
collaboratrice.
Puoi presentarti?
Sono don George Chalissery. Sono nato in un pic-
colissimo villaggio chiamato Edathuruthy, nello
Stato del Kerala, in India. Eravamo sei figli: un
fratello, quattro sorelle e io. Una delle mie sorelle
è morta prima che io nascessi. Entrambi i miei ge-
nitori erano insegnanti in diverse scuo-
le elementari. Non c’era la scuola materna e fin
dall’età di tre anni ho dovuto frequentare le classi
in cui insegnava mia madre. A casa si pensava che
fossi troppo dispettoso. Disturbavo spesso mia
nonna. Quando sono stato formalmente iscritto
a scuola nella I classe, all’età di cinque anni, non
ho studiato molto perché avevo già sentito tutto
per due anni, dato che ero seduto nelle classi dove
insegnava mia madre. Nella V classe sono stato
iscritto alla scuola dove insegnava mio padre. Era
stato il direttore di questa scuola elementare gesti-
ta dalla Chiesa. Non ero un chierichetto e andavo
a Messa il sabato e la domenica, e alcuni giorni
feriali durante le vacanze. Non credo di aver avu-
to un forte desiderio di diventare sacerdote o
religioso.
Ogni sera, dopo aver acceso le lampade a
cherosene verso le 18.30, noi bambini finiva-
mo di studiare o di fare i lavori di casa.
La mamma era in cucina a preparare
la cena. Quando era pronta, ogni
giorno facevamo la preghiera in fa-
miglia, che durava circa 40 minuti.
Recitavamo il rosario, le litanie del
Sacro Cuore e della Madonna. Si
pregava per varie intenzioni e per
le anime defunte. Mia mamma
mi ha insegnato l’Ave Maria e il
Memorare. Una volta entrato nei
Salesiani, ogni sera c’era una pre-
ghiera per la mia perseveranza.
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SETTEMBRE 2022

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Com’è nata la tua vocazione?
Appartengo al rito siro-malabarico. La nostra tra-
dizione vuole che san Tommaso sia venuto a pre-
dicare il Vangelo nel Kerala, per poi spostarsi sulla
costa orientale dell’India e subire il martirio a My-
lapore, vicino a Chennai. Il Kerala ha la più grande
popolazione cattolica dell’India. Qui ci sono state
molte vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa.
Mentre studiavo nella VI classe, un sacerdote sale-
siano, don Philip Thayil, venne nella nostra scuo-
la e riunì tutti i ragazzi cattolici e ci parlò di una
scuola Don Bosco, a Ernakulam, dove c’erano mol-
te possibilità di giocare e anche di studiare. Subito
gli dissi che volevo andare alla scuola Don Bosco,
perché volevo giocare molto. Non avevo un grande
desiderio di essere un sacerdote o un religioso. Tut-
tavia, ogni tanto con una delle mie sorelle imita-
vamo il sacerdote che celebrava l’Eucaristia. Tutto
era in una lingua chiamata siriaco. Nessuno di noi
capiva le preghiere dell’Eucaristia. A volte dicevo a
mia madre che volevo essere un sacerdote per poter
bere il vino dal calice.
Quali sono stati i tuoi incarichi fino
ad oggi?
Nel maggio 1969 sono entrato nel Noviziato. Ho
frequentato un corso di laurea in Chimica con Fi-
sica e Matematica. Alla fine il Provinciale decise
che dovevo andare a Maynooth in Irlanda per gli
studi di teologia. Nella Casa salesiana di May­
nooth c’erano studenti di filosofia e teologia e al-
cuni confratelli anziani che stavano svolgendo un
programma di formazione permanente. C’erano
diversi confratelli provenienti dal Sudafrica, che
è stato unito all’Ispettoria irlandese. Parlare con i
salesiani africani ha lentamente suscitato in me una
grande simpatia per il lavoro in Africa. Nel 1980
fui ordinato diacono. Il mio provinciale mi permise
di andare all’Università Gregoriana, a Roma, per
conseguire la licenza in teologia.
Nel febbraio 1988, mio fratello morì in seguito a un
grave attacco cardiaco, dopo essere stato ricoverato
in ospedale per oltre un mese. È stato un perio-
do molto difficile per me, perché a volte prendevo
l’autobus notturno da Bangalore per stare con mio
fratello uno o due giorni e poi tornavo al mio do-
vere di insegnante. Nel teologato si svolgeva quasi
ogni anno un breve programma di orientamen-
to per i nuovi missionari che andavano in Africa
orientale. Il nostro ex provinciale della Provincia di
«Sono
nato in un
piccolissimo
villaggio
chiamato
Edathuruthy,
nello Stato
del Kerala, in
India. Eravamo
sei figli:
un fratello,
quattro
sorelle e io.
Sono andato
in Africa nel
1980».
SETTEMBRE 2022
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IN PRIMA LINEA
«Abbiamo un
futuro molto
luminoso
davanti, dato
che stiamo
avendo un
buon numero
di giovani che
si uniscono a
noi. Dobbiamo
solo lavorare
duramente per
trasmettere
lo spirito e
il carisma di
don Bosco
ai giovani
confratelli».
Bangalore, padre Thomas
Thayil, fu nominato dele-
gato per l’Africa orientale,
una volta terminato il suo
mandato come provinciale
a Bangalore. Durante le
sue visite in India, parlava
della necessità di avere più
salesiani per l’Africa. Così il desiderio di lavorare
in Africa era lentamente riapparso nel mio cuore.
Nel giugno 1980 partii per Nairobi, in Kenya. Nel
1993 mi è stato chiesto di andare nel nostro centro
di Iringa, in Tanzania, come rettore e parroco.
Ma dopo meno di un anno mi è stato chiesto di
tornare a Nairobi per essere rettore del Teologato e
anche consigliere provinciale. Nel luglio 1999, don
Juan Vecchi mi chiese di assumere la guida della
Provincia dell’Africa orientale. La nostra Provin-
cia comprendeva 4 Paesi: Sudan, Uganda, Kenya
e Tanzania. Non era facile visitare le comunità
perché bisognava percorrere lunghe distanze. Non
era nemmeno facile ottenere un visto per il Sudan.
Abbiamo iniziato la nostra presenza nel Sudan me-
ridionale nel 1980. Ma quando è iniziata la guerra
civile e il nostro confratello, padre James Pulickal,
è stato rapito dall’spla (Sudan Peoples Liberation
Army), abbiamo chiuso le
nostre presenze in Sudan,
tranne una comunità a
Wau, nel Sud Sudan. Don
James fu infine rilasciato
nel 1988, dopo 18 mesi,
dopo essersi trasferito con
l’spla e aver percorso più
di mille chilometri a piedi, con i soli vestiti che in-
dossava, con un solo pasto al giorno e dormendo
spesso all’aperto. Dopo 10 anni, padre James è tor-
nato per riaprire questa missione e ora abbiamo una
comunità fiorente.
Nel dicembre 2010, mi è stato chiesto di andare in
Zambia per assumere la responsabilità di Superiore
della Vice-Provincia zmb.
Nel gennaio 2017, una volta terminato il mio man-
dato, mi è stato chiesto dal Rettor Maggiore di
andare nella comunità di Maria Ausiliatrice, a Val-
docco, Torino, come Vice Rettore della Basilica di
Maria Ausiliatrice per 3 anni.
Qual è il tuo attuale incarico?
Nel settembre 2021 sono stato assegnato alla comu-
nità di post-noviziato di Lusaka, in Zambia. Il Pro-
vinciale mi ha chiesto di essere il Vice Rettore della
comunità. Si tratta di una comunità di post-novizia-
to interprovinciale. I nostri studenti frequentano un
centro di studi francescani nelle vicinanze, affiliato
all’Università Antonianum di Roma.
Quali sono i risultati più belli
della tua Provincia?
In Africa orientale siamo riusciti a realizzare tutte
le tappe della formazione, a partire dal Pre-novi-
ziato, Noviziato, Post-noviziato e Teologia. Per due
anni abbiamo avuto anche un centro per la forma-
zione permanente dei nostri Fratelli Coadiutori. I
missionari che sono venuti all’inizio hanno lavorato
molto duramente, devo dire. E così, nel giro di po-
chi anni, siamo stati in grado di avviare presenze,
con una varietà di ministeri, che vanno dalle scuole
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secondarie e tecniche, alle parrocchie, al lavoro per
i giovani a rischio, ai centri giovanili, all’assisten-
za ai rifugiati e al riavvio delle nostre presenze nel
Sud Sudan devastato dalla guerra. Abbiamo una
parrocchia e 3 scuole tecniche nel campo profughi
di Kakuma, nel Kenya nord-occidentale. Abbiamo
un centro di servizi educativi per i giovani a Nai-
robi e, in collaborazione con le fma, siamo riusciti
a creare un istituto di pastorale giovanile presso il
Tangaza College. In Tanzania gestiamo anche un
centro per la formazione dei catechisti. Nella Casa
Provinciale di Nairobi, abbiamo un Santuario de-
dicato a Maria Ausiliatrice che attira centinaia di
persone soprattutto per l’Eucaristia domenicale e
stiamo progettando di farne un Centro di devozio-
ne mariana. Abbiamo anche un discreto numero di
vocazioni dai nostri 4 Paesi.
In Zambia, abbiamo un aumento delle vocazioni
dai nostri 4 Paesi e c’è anche una maggiore sensi-
bilità a discernere la propria vocazione missionaria
soprattutto tra i giovani confratelli. Abbiamo già
4 giovani confratelli in missione ad gentes che ora
si trovano in Sud Sudan, Albania, Siria e Brasile.
Quest’anno abbiamo 14 confratelli in Noviziato.
C’è anche una grande sensibilità nel prendersi cura
dei giovani delle periferie. Da un ministero orien-
tato alla parrocchia, ci siamo concentrati anche su
ministeri più orientati all’educazione. C’è un senso
di appartenenza alla Provincia. Il nostro ministero
è apprezzato dai vescovi e dalla gente e abbiamo
diverse richieste di iniziare presenze nelle differenti
diocesi dei nostri 4 Paesi.
Come vedi il futuro dei Salesiani
in Zambia?
Abbiamo un futuro molto luminoso davanti a noi,
dato che stiamo avendo un buon numero di giovani
che si uniscono a noi. Il futuro sembra decisamen-
te roseo. Dobbiamo solo lavorare duramente per
trasmettere lo spirito e il carisma di don Bosco ai
giovani confratelli. Già molti confratelli locali oc-
cupano posizioni di autorità e questo indica che ci
stiamo muovendo nella giusta direzione. Ci sono
molte opportunità per aiutare i giovani nei nostri 4
Paesi e diversi vescovi ci stanno invitando ad avvia-
re presenze nelle loro diocesi, perché ci considera-
no la chiave per lavorare con i giovani. Don Bosco
ha catturato il cuore della gente d’Africa. C’è un
raccolto abbondante che ci aspetta. Stiamo anche
incoraggiando i confratelli che discernono la loro
vocazione missionaria.
«Nel giro di
pochi anni,
siamo stati
in grado
di avviare
presenze, con
una varietà
di ministeri,
che vanno
dalle scuole
secondarie e
tecniche, alle
parrocchie,
al lavoro per
i giovani
a rischio,
ai centri
giovanili,
all‘assistenza
ai rifugiati
e al riavvio
delle nostre
presenze nel
Sud Sudan
devastato dalla
guerra».
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FMA
Emilia Di Massimo
Fuori dagli stereotipi
Ziano Val di Fiemme
«Il significato del nostro essere
qui è vivere il carisma salesiano in
rete con le parrocchie, soprattutto
la missione educativa».
«Ciò che sono oggi
lo devo molto alle
esperienze vissute
in oratorio: una
palestra di vita che
favorisce la crescita
integralmente.
Continuo ad
essere parte attiva
delle iniziative
parrocchiali perché
credo che dare
sia più bello che
ricevere».
Esperienze che lasciano il segno
“Ho conosciuto il carisma salesiano alla fine de-
gli anni ’80 incontrando una ragazza che qualche
anno dopo sarebbe diventata mia moglie. Inserita
nelle attività parrocchiali, cresciuta con le suore, mi
parlava delle domeniche trascorse all’oratorio, dei
campi scuola estivi, delle attività con svariati grup-
pi giovanili. Un entusiasmo un po’ eccessivo che mi
ha fatto decidere di stare ad osservare le Salesiane:
erano simpatiche, piene di vita, allegre, attive, non
rispondevano ai luoghi comuni che avevo, soprat-
tutto per il loro singolare stile relazionale. In se-
guito una suora mi chiese di entrare nel gruppo dei
lettori per un breve tempo; sono trascorsi 20 anni
da quel giorno: oggi con la mia famiglia siamo pie-
namente coinvolti nell’animazione” (Stefano).
“Ho frequentato le Salesiane fin dalla scuola ma-
terna. L’oratorio domenicale era un appuntamen-
to imperdibile: divertimento, educazione, luogo di
amicizia e di preghiera. Attualmente, da adulta,
sentendomi parte della grande Famiglia Salesia-
na, aiuto nella catechesi ed in oratorio, partecipo
al coro parrocchiale, cerco di essere vicina a chi ha
bisogno” (Adele).
“Da bambino l’appuntamento fisso era la domeni-
ca pomeriggio all’oratorio: punto di ritrovo per gli
amici, per le famiglie: giochi, merende e tante risa-
te. Con l’avvicinarsi dell’estate aspettavo trepidante
l’inizio del Grest: divertimento e formazione, ogni
anno un’esperienza straordinaria. Da animato sono
diventato animatore per ben 10 anni tessendo ami-
cizie che continuano ad essere parte fondamentale
della mia vita. Ciò che sono oggi lo devo molto alle
esperienze vissute in oratorio: una palestra di vita
che favorisce la crescita integralmente. Continuo ad
essere parte attiva delle iniziative parrocchiali perché
credo che dare sia più bello che ricevere” (Nicholas).
Un nuovo modo di essere presenti
Siamo nelle Dolomiti, a Ziano Val di Fiemme,
dove la comunità educante cerca di realizzare op-
portunità che aprano orizzonti di futuro soprattut-
to ai giovani. Suor Roberta ci dice che “Dopo aver
celebrato il 90° della nostra presenza nel territorio,
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SETTEMBRE 2022

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nel 2017, non essendo più presenti nell’attività della
Scuola dell’Infanzia, siamo state invitate dalla re-
sponsabile, in accordo con il vescovo Tisi, ad esco-
gitare un nuovo modo di essere presenti nella par-
rocchia e nel territorio, nella pastorale catechistica
e giovanile”. Tra gli esiti della creatività abbiamo
il Gruppo giovani, ci spiega Nicholas, “è amicizia,
condivisione, riflessione e preghiera per i ragazzi
dai 14 anni in su. Il gruppo vuole essere un pun-
to di aggregazione, uno spazio dove ciascuno può
esprimere liberamente le proprie idee e condividere
le doti che possiede. L’appuntamento del gruppo
è settimanale, le attività proposte sono molteplici:
dai cineforum alle testimonianze, dalle serate allo
svago. Fiducia, diversità, social, amicizia, sono solo
alcune delle tematiche trattate durante le nostre se-
rate, vengono affrontate perché i ragazzi sviluppino
un pensiero personale e condivisibile mediante il
confronto: è l’opportunità di ascoltare, di mettere
in discussione le proprie opinioni arricchendole con
quelle altrui. Il Gruppo giovani è parte attiva anche
della vita comunitaria di Ziano: organizza e prepa-
ra le veglie comunitarie sia a Natale sia a Pasqua,
in occasione delle feste natalizie aiuta l’Ospitalità
Tridentina rivolta agli anziani e ammalati”.
The con Dio
“Mentre stavamo cercando di formarci per propor-
re in modo più significativo la Buona Notizia ai
ragazzi, sentivamo una certa inquietudine che in
seguito si è trasformata nel desiderio forte di av-
vicinare i genitori perché con i propri figli risco-
prissero la Parola”, aggiunge suor Maria Cristina,
precisando che così è nata l’iniziativa The con Dio:
un momento di avvicinamento al Vangelo da parte
dei bambini con i loro genitori che hanno l’oppor-
tunità di avvicinare la figura di Gesù fuori dagli
stereotipi, di incontrarlo personalmente da adulti,
arricchiti dell’esperienza personale e di coppia, tra-
sformando il proprio cuore e la propria esistenza.
L’associazione Noi, ci dice suor Bianca, “è nata da
poco e garantisce l’animazione nelle attività par-
rocchiali, crea una rete di fraternità e pone una
particolare attenzione alle problematiche giova-
nili. Durante l’anno l’associazione si interessa an-
che dell’attività oratoriana ed in estate organizza il
Grest coinvolgendo sia i giovani animatori sia gli
adulti”, sottolineando l’importante presenza dei
Salesiani cooperatori, delle exallieve/i.
In vista del futuro, propone suor Roberta, “ci sem-
bra necessario rileggere il senso della nostra pre-
senza sul territorio come Famiglia Salesiana. La
scelta di essere carismaticamente insieme, a servi-
zio della Chiesa locale, è il percorso che permetterà
alle nuove generazioni di scegliere di essere cristia-
ni felici secondo il cuore di don Bosco e di Madre
Mazzarello, tuttavia il significato del nostro essere
qui è vivere il carisma salesiano in rete con le par-
rocchie, soprattutto la missione educativa”.
«Il Gruppo
giovani è
amicizia,
condivisione,
riflessione
e preghiera
per i ragazzi
dai 14 anni in
su. Il gruppo
vuole essere
un punto di
aggregazione,
uno spazio
dove
ciascuno può
esprimere
liberamente
le proprie
idee e
condividere
le doti che
possiede».
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LA NOSTRA FAMIGLIA
Stefano Di Maria
Mettiamo in circolo
accoglienza e futuro
Se nel 1998, anno di fondazione dell’Associazione Don Bosco
2000, avessero detto ai tre soci fondatori Cinzia, Agostino e
Antonino (Salesiani Cooperatori) che avrebbero avviato oratori
in Africa ed attività di sviluppo in Senegal, probabilmente
sarebbero rimasti increduli davanti a tanta grazia, eppure
è ciò che è successo.
Un giovane
volontario
senegalese.
Sono le 7 del mattino a Tambacounda, per
gli amici “Tamba” in Senegal. Come ogni
mattino si inizia a creare una fila di ragazzi
davanti alla nostra sede, una fila affamata e
sorridente. All’hub Salésienne di Don Bosco 2000
si è pronti per servire la colazione ai talibè.
I talibé sono bambini dei villaggi, i veri ultimi,
settimi o ottavi figli in ordine di nascita di fami-
glie musulmane che, impossibilitate a sfamarli, li
affidano ai Marabù, maestri della scuola coranica,
i quali li reclutano esclusivamente per elemosinare
in strada e portare una diaria giornaliera differente
in base all’età del bambino.
A servire un pasto in sede c’è Amarà, un giovane
senegalese, nato nel vicino villaggio di Bode, che
dopo un breve periodo passato in Congo e Centra-
frica a vendere cellulari per vivere, era pronto a fare
i “bagagli” e partire per il “viaggio della speranza”
verso le coste dell’Europa, finché non ha incontrato
l’Associazione Don Bosco 2000, andata in Africa
“per mettere il grembiule” parafrasando don Toni-
no Bello.
Un percorso “all’incontrario” quello che propone
l’Associazione, facendo accoglienza dei migranti
sulle coste siciliane. Negli anni ha messo a punto
un sistema di rva, rimpatrio volontario assistito,
come lo chiamano gli addetti ai lavori, decisamente
fuori dal comune e che sta portando i suoi frutti: la
Cooperazione Circolare.
«Sai fischiare?»
Se nel 1998, anno di fondazione dell’Associazione
Don Bosco 2000, avessero detto ai tre soci fonda-
tori Cinzia, Agostino ed Antonino (Salesiani Co-
operatori) che avrebbero avviato oratori in Africa
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ed attività di sviluppo in Senegal, probabilmente
sarebbero rimasti increduli davanti a tanta grazia,
eppure è ciò che è successo. L’oratorio di Piazza
Armerina (Sicilia), affidato a loro dopo la chiusura
della casa fma nella cittadina, è stato per anni pun-
to di riferimento per i giovani della città ed ha con-
tinuato ad esserlo anche nel 2011 quando, all’apice
della migrazione Africa-Europa, Cinzia Agostino
ed Antonino (ssc) si sono sentiti chiamati ad acco-
gliere gli ultimi, i giovani migranti, coloro che don
Bosco nell’800 avrebbe chiamato “i suoi ragazzi”,
gli stessi ragazzi che anziché dalle campagne alle
città come nella Torino di allora, ad oggi scappano
da guerra e abusi di ogni genere alla ricerca di un
posto più sicuro: l’Europa. L’oratorio quindi sempre
più inclusivo, oltre ai ragazzi della città accoglie an-
che questi giovani migranti che hanno portato con
loro storie, gioia e sano entusiasmo pronti a mesco-
larsi con le attività invernali ed estive d’oratorio, di
comunità.
Negli anni l’attività di accoglienza è continuata,
un’accoglienza fatta con amore e responsabilità,
centinaia i laboratori, le attività proposte e quel “sai
fischiare?” di Garelliana memoria detto e ridetto
alle migliaia di giovani accolti sin d’oggi. Fin quan-
do nel 2016 la svolta: Seny ragazzo migrante poco
più che ventenne, incontrando Cinzia, Agostino e
Antonino (sscc) con una richiesta quasi “sui gene-
ris”, diremmo all’occidentale, ha acceso una scintil-
la: “Ragazzi, voglio tornare in Africa”.
L’oratorio nella savana
Davanti a tale desiderio, non si può certo restare
con le mani in mano e lì l’intuizione: accompa-
gniamolo, proviamo a capire da che cosa scappano,
come scappano, perché scappano e quali possibilità
don Bosco oggi avrebbe trovato loro, i suoi ragazzi.
E così nel mese di novembre di quel 2016 ha avuto
luogo la prima missione. Destinazione Dakar prima
e Tambacounda poi (oggi sede dell’associazione).
Il primo approccio della comunità è stato certa-
mente diffidente, tra gli sguardi curiosi di bambini
e sospettosi degli anziani del villaggio; grazie alla
mediazione di Seny tuttavia si è cercato di comu-
nicare con un unico linguaggio, il linguaggio della
gratuità, della carità ed ecco quindi il fiorire dopo
tante peripezie dei primi orti di comunità, dei primi
pollai che hanno sfamato e continuano a sfamare
migliaia di persone anche dei villaggi circostanti,
un’azione costante, ripetuta e reiterata nelle conti-
nue missioni che si alternano di mese in mese, mai
fermate, nean­che in periodo covid, perché la carità
non può fermarsi, la carità ha necessità costante di
braccia e gambe capaci di creare sviluppo e menti
ragionevoli capaci di mettere a frutto la provviden-
L‘Associazione
propone un
percorso
“all’incontrario”.
Negli anni ha
messo a punto
un sistema di
RVA, rimpatrio
volontario
assistito,
decisamente
fuori dal
comune.
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LA NOSTRA FAMIGLIA
In questo
contesto ogni
migrante
circolare
gestisce
mezzo ettaro
di orto,
producendo
verdure per
rifornire
i propri
villaggi
soprattutto
durante la
stagione
secca.
za. Ecco quindi la ricetta di don Bosco, quella del
Sistema Preventivo che si fa carne, si fa attualità. Su
quest’esperienza ci sarebbe davvero tanto da dire,
come di quella volta che durante una missione si è
spesso animato per strada, raccolto i sorrisi dei bam-
bini ed accolto la loro gioia, di quella volta che sono
stati donati banchi e attrezzature scolastiche co-
struendo un ponte Sicilia-Tambacounda o come di
quella volta in cui si è andati per attrezzare l’oratorio
realizzato nella savana in memoria di don Baldas-
sarre Meli – il parroco dei migranti e dei bambini
– come lo apostrofava una testata giornalistica per
il suo impegno e lavoro nelle periferie di Palermo.
Don Meli è stato un Salesiano di Don Bosco,
che nella fase terminale della sua malattia, aveva
espresso il suo desiderio, non realizzato in prece-
denza, di poter andare in Africa attraverso le offer-
te che sarebbero pervenute dopo la sua scomparsa.
Ma torniamo ad Amara. Amara è amico di Seny,
ormai è l’azione concreta e continua per le genti dei
villaggi che riconoscono in Don Bosco 2000 un
punto di riferimento, un aiuto costante. Amara è il
primo vero frutto della Cooperazione Circolare in
quello che definiamo “Corridoio Culturale”.
La Cooperazione Circolare
La Cooperazione Circolare consiste in un nuovo
approccio alla cooperazione internazionale allo
sviluppo. Un progetto in cui i protagonisti sono i
beneficiari stessi dei progetti di accoglienza di Don
Bosco 2000; e in cui, tramite azioni reali, la cari-
tà si fa portatrice di sviluppo. Si basa sul concetto
classico di cooperazione decentralizzata, favorisce
un trasferimento di competenze e di capitali ver-
so gli stati di origine dei migranti, promuovendo il
loro sviluppo e rispondendo al contempo alle esi-
genze del mercato del lavoro del paese ospitante.
Pertanto, la Cooperazione Circolare si concentra
sull’idea del “viaggio di andata e ritorno” del coo-
perante ue e del migrante cooperante come risposta
alla fluidità del mercato del lavoro globale.
I migranti circolari hanno così la possibilità di ac-
quisire nuove capacità da spendere una volta tor-
nati nel proprio paese. La circolarità fornisce ai
migranti africani gli strumenti per diventare agenti
di sviluppo nel proprio paese d’origine, rivisitando
così l’obsoleto concetto di cooperazione Nord-Sud
a favore di una nuova prospettiva di transnaziona-
lità e di presenza simultanea del migrante nel paese
d’integrazione e di origine.
In concreto, le azioni di Don Bosco 2000 inclu-
dono, e hanno incluso, la creazione di orti sociali,
la pollicoltura e l’allevamento ovino e caprino, che
servono come attività generatrici di reddito per le
comunità locali. Inoltre, le operazioni di micro-im-
presa hanno un forte carattere ambientale: gli orti
sostenibili sono creati scavando pozzi nella savana,
alimentati da pannelli solari con energia completa-
mente pulita.
In questo contesto ogni migrante circolare gestisce
mezzo ettaro di orto, producendo verdure per rifor-
nire i propri villaggi soprattutto durante la stagione
secca.
Inoltre, la costruzione di una sede principale in Se-
negal ha permesso all’associazione di interagire con
la comunità locale e ha dato vita a momenti di con-
divisione di bisogni e problemi che sono stati presi
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in carico nel corso degli anni. I temi più frequenti
sono stati l’educazione dei bambini, lo sfruttamen-
to dei bambini talibé e il duro lavoro delle donne
che spaccano pietre per guadagnarsi da vivere. Vi-
sti questi problemi, la collaborazione con i migranti
circolari si è estesa al lavoro con le stesse associa-
zioni locali.
Tenendo in considerazione quanto detto, e le capa-
cità di questo progetto di fornire un cambiamento
reale e sostenibile, crediamo che la cooperazione
circolare possa porre le basi alla lotta contro la mi-
grazione forzata.
COOPERAZIONE CIRCOLARE
La Cooperazione Circolare è teorizzata dalla dott.ssa Ro-
berta La Cara e dal dott. Agostino Sella (Salesiani Coopera-
tori) nel saggio “La cooperazione
circolare, Dal progetto pilota al
modello teorico” (2021) edizioni
Nuova Cultura.
La storia di Amarà
Amarà aveva il desiderio di migrare verso l’Euro-
pa alla ricerca di un destino, forse, migliore. Bene
Amarà in Europa c’è stato, questo gennaio, non
da migrante ma con regolare visto e biglietto ae-
reo in visita alle nostre sedi in Sicilia per una full
immersion formativa, per conoscere le nostre realtà
europee, i nostri strumenti, i nostri metodi per una
formazione continua e snella per ottimizzare tut-
ti gli sforzi in Africa. Questo permetterà di essere
più efficaci ed efficienti nelle nostre progettualità
che non vogliono avere il classico approccio “colo-
niale” bensì progettualità partecipate da giovani e
donne del villaggio, scelte dalla comunità e sem-
plicemente accompagnate dalla nostra conoscenza,
devozione ed impegno. Ad oggi contiamo più 30
missioni in Senegal, Gambia e Mali, più di 5 pol-
lai, 4 orti di comunità, 1 progetto di microcredito,
2 finanziamenti di progetti di giovani associazioni
locali, assistenza all’empowerment femminile, 10
collaboratori africani regolarmente impiegati nel-
le attività, più di 100 bambini talibé sfamati ogni
giorno e migliaia di altri bambini a cui abbiamo
fornito cure mediche e kit scuola, frutto di investi-
menti provenienti dai donatori e della campagna di
raccolta fondi, sempre attiva, acasaloro.it.
Quest’anno per noi Salesiani ricorre l’anniversario
del primo contratto di apprendistato teorizzato da
don Bosco: 170 anni fa questo Santo imprevedibile
riceveva l’intuizione dallo Spirito Santo per un’in-
novazione che tutt’oggi rappresenta un modello per
lo sviluppo integrale dell’uomo. La Cooperazione
Circolare non vuole di certo avere la stessa pretesa,
tuttavia crediamo fermamente che possa essere il
modo giusto per continuare a “camminare coi piedi
per terra e col cuore abitare il cielo”, ovunque questo
cielo sia.
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3.10 Page 30

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DON BOSCO NEL MONDO
Sarah Laporta
Pane o cannoni?
L’esplosione di un missile
rimbomba a Kiev e in un villaggio
in Sudan non sanno se ci sarà
pane per domani. Intanto almeno
dieci milioni di bambini sono
condannati a morte.
Le organizzazioni dei missionari
sono come Davide contro Golia.
Domenico Quirico è un giornalista famoso,
che è stato anche a lungo in prima linea e
anche prigioniero, ha tentato di far fare ai
lettori un esame di coscienza: «Ho acco-
stato due numeri lo ammetto quasi inconsapevol-
mente nel deserto di questo secolo nero. Numeri di
soldi. Da una parte la cifra che il presidente Biden
ha annunciato per finanziare un nuovo massiccio
invio di armi all’Ucraina per fermare la violenza dei
russi: un miliardo di dollari. Dall’altra quella che il
Pam, il programma mondiale per l’alimentazione,
affannosamente invoca, senza esito, per impedire
il disastro umanitario in una delle tante piaghe del
mondo che si contorce per la fame, il Sud Sudan:
quattrocento milioni di dollari…
I soldi per la guerra appaiono in pochi minuti:
vogliamo mille cannoni, mille cannoni! A pron-
ta cassa! L’assegno è pronto, le fabbriche di armi
lavorano giorno e notte, si lucida si monta si assem-
bla si spedisce. Perché gli obici che finiranno nelle
trincee devono essere rimpiazzati, o meglio ancora,
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SETTEMBRE 2022
shutterstock.com

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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sostituiti da ordigni più potenti. Il denaro circola,
l’economia si rimbocca militarmente le maniche, è
il welfare internazionale del cannone».
Che mondo è questo che tra pane per gli affamati e
cannoni sceglie i cannoni?
Della guerra si sa tutto. Degli altri si sa poco. Non
hanno accesso alle televisioni, sopportano con ras-
segnazione e silenzio le piaghe perpetue del loro
martirio, vagano esausti per i loro deserti, assediati
da siccità e inondazioni, scontri etnici, rincari del
prezzo dei cereali e dalla maledizione di una col-
pa nascosta. Quei quattrocento milioni sarebbero
almeno una piccola consolazione per chi non ha
neanche più le lacrime per piangere.
Il motore della fame
Se avessimo la volontà di capire, qualcosa sapremmo.
Una combinazione letale di conflitti, crisi economi-
ca derivante dal Covid e cambiamenti climatici ha
aumentato il numero di persone in insicurezza ali-
mentare acuta in 53 paesi del mondo a 193 milioni,
secondo il Rapporto globale sulle crisi alimentari
2021, reso pubblico mercoledì. Questa cifra rappre-
senta un aumento di circa 40 milioni di persone in
più che soffrono di fame grave rispetto al 2020.
La guerra è, senza dubbio, uno dei grandi motori
della fame nel mondo. Solo sei paesi che soffrono
di qualsiasi forma di conflitto rappresentano l’80%
dell’aumento dell’insicurezza alimentare acuta
dal 2016. Si tratta della Repubblica Democratica
del Congo (rdc), dell’Afghanistan, dell’Etiopia,
del Sudan, della Siria e della Nigeria. In effetti,
le peggiori crisi nutrizionali del mondo nel 2021
sono state vissute in questi paesi, insieme a Yemen,
Sud Sudan, Pakistan e Haiti. Il rapporto ricorda
che in questi 10 territori ci sono 134 milioni di es-
seri umani che soffrono “una fame così grave che
rappresenta una minaccia immediata per i mezzi di
sussistenza e la vita delle persone e che minaccia di
scivolare nella carestia e causare morti diffuse”.
L’aumento dei prezzi minaccia la popolazione dei
paesi più svantaggiati. Complici anche le difficoltà
di approvvigionamento dovute alla situazione in-
ternazionale, una grave emergenza alimentare sta
colpendo numerosi Paesi africani. Si tratta di un
pericolo concreto per la vita di milioni di persone
nell’intero continente.
Il rapporto globale avverte che questo conflitto
sta già avendo “impatti devastanti” per la fame nel
mondo a causa dell’interconnessione e della fragilità
dei sistemi alimentari. In particolare, la dipendenza
dalle importazioni di cereali o di fattori di produzio-
ne agricoli e la vulnerabilità all’aumento dei prezzi
dei beni di prima necessità sono più pronunciate in
quei paesi che già soffrono di crisi alimentari. La
Somalia, la Repubblica del Congo e il Madagascar
sono un esempio da manuale: acquistavano quasi
tutto il loro grano dalla Russia e dall’Ucraina, una
fornitura che ora è stata interrotta.
Sebbene la carenza del prezioso cereale non si sia
ancora stabilizzata sui mercati internazionali, il suo
fantasma ha già innescato i prezzi. L’aumento è pari
al 27% nell’ultimo mese, più concentrato dall’ini-
zio dell’offensiva russa giovedì scorso. I due paesi
in guerra rappresentano quasi il 30% delle espor-
tazioni globali. E tutto indica che una miscela di
soffocamento sanzionatorio in Russia e incapacità
produttiva in Ucraina causerà un drastico calo del
grano disponibile. Altri prodotti agricoli (in par-
ticolare l’olio di mais e girasole) che l’Africa im-
porta massicciamente dall’Ucraina e dalla Russia
potrebbero subire la stessa sorte.
Il forno
salesiano di
Betlemme
è una
bellissima
realtà che da
più di 100
anni produce
pane per la
comunità.
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DON BOSCO NEL MONDO
L’impegno
salesiano
per garantire
il diritto
all’alimenta­
zione dei più
piccoli e dei
più indigenti
viene
portato
avanti in
tanti luoghi
diversi,
in tutti i
continenti.
Uomini contro
Ci sono uomini e donne che impegnano la loro vita
per andare “contro”.
Lettera di un missionario: «Venivamo da due set-
timane di “asciutto”, un clima che minacciava an-
che in questa stagione di mandare in fumo tutti
gli sforzi nostri e di tanti contadini della zona, per
avere un raccolto di mais.
Ebbene, martedì scorso 24 Maggio, festa liturgica
di Maria Ausiliatrice è arrivata una forte pioggia
che ha salvato il raccolto. Mai come in Africa sen-
tiamo il bisogno dell’acqua dal cielo, forse perché
qui il sole è forte e asciuga subito i terreni. Con la
pioggia abbiamo completato la sarchiatura dei no-
stri 7 ettari di granoturco e 3 di fagioli, e applicato
il fertilizzante di copertura.
Il pranzo per i nostri ospiti di riguardo è finito alle
due del pomeriggio per permettere loro di rientrare
e a me e al volontario Maurizio si fare un giro di
“ricognizione” nella nostra fattoria di Walleme che
continua a dare verdura a tutta la comunità e alla
mensa dei 350 bambini poveri di Dilla. Domani
raccoglieremo cipolle e cavoli in abbondanza. Vo-
stro don Mario».
Pietà per il Ciad
L’impegno salesiano per garantire il diritto all’ali-
mentazione dei più piccoli viene portato avanti in
tanti luoghi diversi, tra cui anche il Ciad.
La realtà ciadiana è quella comune a tante realtà
africane: grande abbondanza di risorse, ma povertà
estremamente diffusa. Il sottosuolo del Paese è fra i
più ricchi dell’Africa, grazie a numerosi giacimenti
di petrolio, oro e uranio. Ciononostante, il Paese è
tra i più poveri al mondo. La presenza di risorse na-
turali, infatti, porta giovamento solo ad una ristret-
ta élite, mentre il 43% dei bambini sotto i 5 anni è
malnutrito, il 66% vive sotto la soglia di povertà.
Inoltre la scuola, la salute pubblica, il lavoro… tutti
gli ambiti più importanti della vita di uno stato si
reggono in un clima di precarietà e infatti la quasi
totalità della popolazione ha difficoltà all’accesso
all’istruzione e alla sanità.
I Figli di Don Bosco dal 1995 si sono stabiliti
anch’essi in questo complicato Paese, consapevoli
di non potere, da soli, risolvere ogni problema, ma
ben determinati a migliorare con tutti i loro mezzi
e risorse la situazione dei più poveri tra i poveri.
La loro prima opera venne creata a Sarh, una città
nel meridione, che con i suoi 120mila abitanti rap-
presenta la terza maggiore città del Paese. Nel 1998
i Salesiani iniziarono il loro lavoro nella capitale,
N’Djamena, e nel 2013 avviarono una terza un’o-
pera nella città di Doba.
I salesiani della missione di Doba gestiscono, all’in-
terno del piccolo plesso “San Domenico Savio”, un
asilo e una scuola elementare. Un po’ per le carenze
endemiche, un po’ per la crisi internazionale, at-
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SETTEMBRE 2022

4.3 Page 33

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tualmente necessitano del sostegno internaziona-
le per poter continuare la loro missione a favore
dell’alimentazione dei più piccoli. C’è bisogno di
farina, olio, riso, fagioli, zucchero, arachidi… che
serviranno a nutrire e a favorire la crescita e lo svi-
luppo delle centinaia di bambini che frequentano
le scuole missionarie, che hanno dai 3 ai 12 anni.
In Ciad solo l’1% dei bambini è iscritto nella fascia
prescolare, mentre quasi 6 milioni sono considerati
a rischio sanitario per malnutrizione ed esposizio-
ne ad infezioni gravi. Le Nazioni Unite sostengono
che 5,5 milioni di persone in Ciad avranno bisogno
di assistenza umanitaria quest’anno, un’emergenza
che, come sempre, colpisce per primi i più piccoli e
i più fragili.
A Betlemme c’è un forno
Il forno salesiano di Betlemme è una bellissima
realtà che da più di 100 anni produce pane per la
comunità. Nato per sfornare pagnotte da consuma-
re all’interno dell’orfanotrofio, oggi con i suoi pro-
venti contribuisce al mantenimento della scuola di
formazione professionale all’interno della missione
ed elargisce borse di studio agli studenti che eco-
nomicamente non sono in grado di contribuire alla
loro educazione.
In sinergia con altre associazioni del territorio, i
salesiani hanno messo in piedi un’importante rete
solidale per individuare le persone più in difficoltà
e sostenerle nel loro cammino pieno di ostacoli.
In particolare, grazie a “L’Unione delle donne”, a “Li-
fegate for Rehabilitation”, impegnata nell’assistenza
di circa 250 persone con disabilità dai 3 ai 25 anni,
e a “Effetà”, che garantisce percorsi scolastici a 190
bambini non udenti, i religiosi riescono a distribuire
ogni giorno circa 450 pani a chi è più bisognoso.
Ogni forma di pane donata racconta una storia par-
ticolare, di famiglie che faticano a sbarcare il lu-
nario perché, oltre al contesto già complicato del
luogo in cui vivono, devono affrontare gli ostacoli
che la sorte non ha loro risparmiato.
La famiglia di Muhammad, composta da cinque
persone, deve ogni giorno fare i conti con il disagio
mentale che ha colpito due di loro, il padre e uno
dei figli. Muhammad purtroppo non è in grado
di lavorare e per il loro nucleo familiare riuscire a
risparmiare ogni mese 250 shekel (quello che do-
vrebbero spendere per acquistare il pane) fa davvero
la differenza.
Il pane che riceve Hala tutti i giorni racconta un’al-
tra storia di dolore: “Mi chiamo Hala Jarayseh,
sono madre di cinque figli. Mio marito è morto
16 anni fa e devo provvedere da sola alla mia fa-
miglia. Lavoro nel dipartimento dell’Unione delle
donne, presso il centro per persone con disabilità
Al-Basma, ma a causa della crisi economica dopo
il coronavirus e dei blocchi che hanno portato a sa-
lari più bassi, non riesco a coprire tutte le spese.
Sono stata inclusa tra i beneficiari del pane gratuito
dei Salesiani: davvero un grande aiuto per la nostra
famiglia. Ci permette una copertura alimentare
di base nella nostra routine. Vorrei ringraziare di
cuore tutti coloro che lavorano per questo prezioso
supporto, così utile per donne come me, che devo-
no mandare avanti una famiglia”.
In tante altre parti del mondo i salesiani e i loro be-
nefattori continuano a raccogliere la sfida e a pagare
di persona. Riusciranno un giorno a vincere?
Per ulteriori informazioni, visitare il sito:
www.missionidonbosco.org
“Le
prospettive
per il futuro
non sono
buone, la
portata dei
bisogni è
scoraggiante.
Dobbiamo
raccogliere
la volontà
politica
e i mezzi
finanziari
per fermare
il costante
aumento
della fame
acuta”.
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4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
Le malattie dell’educazione 8
La sindrome del retrovisore
I genitori e gli educatori ammalati
di malattia del retrovisore
non si avvedono delle grandi
opportunità educative nascoste
nei ragazzi d’oggi e rimpiangono
quelle delle generazioni passate.
Dobbiamo sbarazzarci al più presto della
presbiopia pedagogica tutta proiettata sul
passato. Non ha senso illudersi di guar-
dare avanti, fissando uno specchietto re-
trovisore. Lo scrittore Cesare Marchi, a proposito
dei passatisti, era molto caustico: “Ai miei tempi!”,
il padre dice al figlio. “Ai miei tempi!”, il nonno
diceva al padre. “Ai miei tempi!”, il bisnonno diceva
al nonno. Andando avanti in questi sospiri in retro-
marcia, risulterebbe che l’umanità non abbia fatto
altro che peggiorare e che la stagione più felice sia
stata quella delle caverne e delle palafitte!”
La presbiopia la si sconfigge cambiando lo sguardo
sui giovani d’oggi!
Dunque, buttiamo nel cestino della carta straccia
le etichette appioppate ai nostri ragazzi: adolescen-
ti senza valori, aggressivi, facili, irrazionali, che
sballano facilmente. Parole definitive che bloccano
ogni slancio. Un saggio proverbio cinese: “Creden-
do nei fiori, si fanno sbocciare”.
È provato che gli insegnanti che credono nei loro
ragazzi, che attendono tanto da essi, hanno, come
risposta, prestazioni superiori a quelle date ad inse-
gnanti pessimisti, freddi, poco fiduciosi.
Una storia vera:
Mariapia fu assegnata al corso del sobborgo a metà
dell’anno. Tutto quello che le aveva detto il preside era
che il precedente insegnante era partito all’improvvi-
so, e che si trattava del corso degli studenti “speciali”.
Entrò in un bailamme, sputi che volavano per aria,
piedi sui banchi, un rumore assordante. Raggiunse a
grandi passi il suo posto di fronte alla classe e aprì il
registro. Vicino a ogni nome c’erano numeri dal 140 al
160. Oh, pensò fra sé e sé, non stupisce che siano così vi-
vaci. Questi ragazzini hanno quozienti d’intelligenza
eccezionali. Sorrise e li riportò all’ordine.
All’inizio, gli allievi stentavano a mettersi al lavoro, e
i compiti che venivano consegnati erano fatti in fretta
e sciattamente.
Lei parlò loro della loro innata capacità di eccellere, di
quanto fossero dotati e disse che non si sarebbe aspettata
niente di meno del meglio, da loro. Ricordò loro conti-
nuamente la responsabilità che avevano, essendo stati
dotati da Dio di intelligenze extra.
Le cose iniziarono a cambiare. Sedevano eretti e lavo-
ravano con diligenza. Il loro lavoro era creativo, preci-
so e originale. Un giorno capitò che il preside passando
gettasse un’occhiata nella classe. Osservò gli studenti
assorti nella composizione dei temi.
Più tardi, convocò Mariapia nel suo ufficio. «Che cosa
ha fatto a quei ragazzini?» chiese. «Il loro lavoro ha
superato quello di tutte le classi normali».
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«Ebbene, che cosa si aspettava? Sono dotati in modo
particolare, no?».
«Dotati? Sono studenti con esigenze speciali: ritardati e
con disturbi comportamentali».
«Allora perché sul registro sono segnati quozienti intel-
lettivi così alti?».
«Quelli non sono i loro quozienti d'intelligenza. Sono i
numeri dei loro armadietti!».
La temperatura giusta
Il grande direttore d’orchestra Salvatore Accardo
racconta d’essere stato sorpreso dalla serietà e dalla
disciplina di un gruppo di ragazzi dai dodici ai sedici
anni. “Prove di quattro ore, concentrazione mas-
sima, volontà di mettere in pratica i suggerimenti
tecnici e musicali che davo: una sinfonia di Mozart,
un concerto per due violini di Vivaldi, la suite della
Carmen di Bizet e le due romanze per violini e or-
chestra di Beethoven, di difficilissima esecuzione
anche per orchestre molto famose.
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Ho avuto l’impressione che la capacità di apprendi-
mento dei ragazzi non abbia limiti!”.
Cambiare punto di vista sui ragazzi d’oggi non
è da ingenui. Anche oggi i ragazzi sono preziosi
portatori di valori. Intanto è subito evidente che
la giovinezza stessa è un valore in sé, come la pri-
mavera.
Il professor Enrico Medi dichiarò: “Oggi i giovani
stanno facendo le mura e i pavimenti della futura
casa degli uomini: è naturale che il rumore e la pol-
vere siano assordanti e accecanti. Aspettate che il
lavoro abbia raggiunto la sua compiutezza e vedre-
mo come l’abitazione sarà più accogliente e la vita
in essa più bella e serena”.
I giovani con la loro risonanza emotiva sensibilis-
sima e vibrante mantengono la temperatura giusta
alla Terra: senza i giovani il mondo avrebbe fred-
do! Il professor Armando Matteo trova nei giovani
d’oggi almeno sei risorse:
L’alto apprezzamento dell’amicizia, la coltivazione
della bellezza, l’amore per la musica, una crescente
sensibilità ecologica, il pensiero che, se Dio esiste,
deve essere il Dio della Festa, il forte senso della
giustizia.
Alle sei risorse scoperte, ne aggiungiamo una set-
tima: i nostri ragazzi sono multitasking: riescono,
cioè a fare più cose in contemporanea: rispondere al
telefonino, prendere appunti, guardare la televisio-
ne, mangiare, parlare....
Non è sufficiente tutto questo per farci tifare per i
giovani, per scommettere su di essi?
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LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
I giorni dello smarrimento
Sono i giorni dello smarrimento,
dell’amore che non si inventa,
i giorni senza destinazione
e senza un movimento;
quando il gioco si fa serio
e si smette di giocare,
ed è tutta una salita fino a sera.
C apita a volte, mentre ci si addentra nei
mean­dri del cammino dell’adultità, di
avere la sensazione di aver perso il giusto
ritmo di marcia, di procedere a rilento o,
peggio ancora, di essersi arenati nelle secche dell’a-
bitudine e del compromesso.
Sono i giorni dello smarrimento,
dell’amore che non si inventa,
i giorni senza destinazione
e senza un movimento;
quando il gioco si fa serio
e si smette di giocare,
ed è tutta una salita fino a sera,
fino al sonno che ristora.
Sono i giorni dello smarrimento,
i giorni senza desideri,
degli eventi in controtempo,
senza un ruolo nel reale;
degli occhi chiusi contro il sole
in attesa di un barlume,
quando non senti più calore
ed il vuoto ti assale...
Sono i giorni del vagabondo,
di un mondo brutto e chiuso a riccio,
cittadino di un bel niente,
straniero dappertutto;
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Mentre gli altri sembrano avanzare spediti nel loro
percorso, immuni da ogni fatica o esitazione, ci
sentiamo smarriti, inadeguati, costantemente in af-
fanno nell’inseguire gli obiettivi che ci siamo pre-
fissati e nel dare concretezza ai nostri progetti di
vita. Talvolta, finiamo persino con il perdere di vi-
sta la destinazione verso cui stiamo camminando e,
prigionieri di un’apatia che fiacca ogni desiderio e
ogni residua energia, non riusciamo neppure a dare
un senso al nostro sterile vagabondare.
Percepiamo allora con chiarezza un doloroso sen-
timento di estraneità rispetto alla realtà che ci cir-
conda, ai coetanei della nostra stessa generazione,
di fronte ai quali ci sentiamo come uno strumento
stonato, incapace di suonare in sincronia con il resto

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dell’orchestra in cui è inserito. Perennemente fuori
tempo in relazione alle tappe obbligate di un percor-
so che ci appare quanto mai in salita, ma anche fuori
luogo, stranieri dappertutto, intrappolati nei vicoli
ciechi di scelte sbagliate o affrontate con superfi-
cialità che sembrano allontanarci dalla possibilità di
realizzare le nostre aspirazioni più autentiche.
Non è affatto semplice, quando ci assale questa
consapevolezza, riuscire a ritrovare la strada per
tornare in noi stessi, magari individuando una stel-
la polare che squarci il buio delle tenebre in cui sia-
mo sprofondati e ci guidi nella ricerca del sentiero
che abbiamo smarrito. Nessuna ricetta preconfe-
zionata può, infatti, offrirci piena garanzia di riu-
scita, e certo non è utile allo scopo forzarsi ad essere
diversi da ciò che si è, modificando artificiosamen-
te la propria natura e pretendendo di far risuonare
il proprio strumento con un timbro differente da
quello che lo caratterizza.
Mai come nei giorni dello smarrimento è, al con-
trario, importante rammentare che, sulla strada
che conduce verso la condizione adulta, ognuno ha
i suoi tempi di andatura e nessun premio è previsto
per chi arriva prima al traguardo. L’essenziale non
è, infatti, bruciare le tappe, correndo a perdifiato
verso la meta e battendo tutti gli altri sul tempo,
del pacifico e determinato
esercizio del dissenso,
i giorni in cui capirsi è complicato,
i giorni fuori tempo...
Sono giorni complicati
i giorni dello smarrimento,
dove ti cerchi in una sola persona
e ti perdi in altre cento;
e il re brucia la corona,
e il silenzio trova le parole,
il mare vuole essere collina
per contemplarsi dall’alto,
come fa uno specchio...
Il mattino è così stanco di illuminare,
che mi ripete all’infinito buonanotte...
Anche un orologio rotto ha ragione
per due volte al giorno
e allora perché non posso sentirmi
come mi sento?
I tempi stanno cambiando,
ma l’unica cosa che conta
è amare quello che ho intorno
e sentire in faccia il vento...
Dov’è, dov’è, dov’è, dov’è, dov’è
la strada per tornare?
Dov’è, dov’è, dov’è, dov’è, dov’è
la stella da seguire,
la stella da seguire...
(Niccolò Fabi, I giorni dello smarrimento, 2019)
shutterstock.com
ma compiere un percorso signifi-
cativo, in cui il ritmo del passo sia
in armonia con la nostra matura-
zione interiore. E se anche ci sa-
ranno momenti in cui rallenteremo
il cammino e avremo l’impressione
di suonare in controtempo rispetto
a chi ci è accanto, questo non si-
gnifica che non saremo comunque
capaci di generare una meraviglio-
sa e originalissima melodia, che
magari potrà essere unica nel suo
genere, differente da quella inter-
pretata da chiunque altro, ma non
per questo meno intensa, sincera e
appassionata.
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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
Le lotterie:
autentiche imprese
Il grande coraggio di un santo.
Il tanto denaro che è giunto nelle mani di don
Bosco vi è rimasto per poco, perché subito im-
piegato nel dare vitto, alloggio, scuola e lavoro a
decine di migliaia di ragazzi o nel costruire col-
legi, orfanotrofi e chiese o nel sostenere le missioni
sudamericane. I suoi conti, si sa, erano sempre in
rosso; i debiti lo hanno accompagnato tutta la vita.
Ora fra i mezzi intelligentemente adottati da don
Bosco per finanziare le sue opere si possono di cer-
to collocare le lotterie: una quindicina quelle da lui
organizzate, fra piccole e grandi. La prima, mode-
sta, fu quella di Torino nel 1851 a favore della chie-
sa di san Francesco di Sales in Valdocco e l’ultima,
grandiosa, a metà degli anni ottanta, fu quella per
sopperire alle immense spese della chiesa e dell’o-
spizio del S. Cuore presso la stazione Termini di
Roma.
Una vera storia di tali lotterie non è ancora stata
scritta, benché al riguardo non manchino le fonti.
Solo in riferimento alla prima, quella del 1851, ne
abbiamo recuperato noi stessi una dozzina di ine-
dite. Con esse ne ricostruiamo la tormentata storia
in due puntate.
Domanda di autorizzazione
A norma di legge del 24 febbraio 1820 – modificata
da Regie Patenti del gennaio 1835 e da Istruzioni
dell’Azienda Generale delle Regie Finanze in data 24
agosto 1835 e successivamente da Regie Patenti del
17 luglio 1845 – per qualunque lotteria nazionale
(Regno di Sardegna) si richiedeva la preventiva au-
torizzazione governativa.
Per don Bosco si trattò anzitutto di avere la morale
certezza di riuscire nel progetto. La ebbe dall’ap-
poggio economico e morale dei primissimi bene-
fattori: le nobili famiglie Callori e Fassati ed il ca-
nonico Anglesio del Cottolengo. Si lanciò dunque
in quella che sarebbe risultata un’autentica impresa.
In tempi brevi riuscì a costituire una Commissio-
ne organizzatrice, composta inizialmente da sedici
note personalità, poi accresciuta fino a venti. Fra
loro numerose autorità civili ufficialmente ricono-
sciute, come un senatore (nominato tesoriere), due
vicesindaci, tre consiglieri comunali; poi sacerdoti
di prestigio come i teologi Pietro Baricco, vicesin-
daco e segretario della Commissione, Giovanni
Borel cappellano di corte, Giuseppe Ortalda, di-
rettore di Opera Pia di Propaganda Fide, Roberto
Murialdo, cofondatore del collegio degli Artigia-
nelli e dell’Associazione di carità; infine uomini
esperti come un ingegnere, un orefice stimatore, un
negoziante all’ingrosso ecc. Tutte persone, per lo
più possidenti, conosciute da don Bosco e “vicine”
all’opera di Valdocco.
Completata la Commissione, ad inizio dicembre
1951 don Bosco inoltrò la domanda formale all’In-
tendente generale di Finanza, cavalier Alessan-
dro Pernati di Momo (futuro senatore e ministro
dell’Interno del Regno) nonché “amico” dell’opera
di Valdocco.
L’appello per i doni
Alla richiesta di autorizzazione allegò un’interes-
santissima circolare, in cui, dopo aver tracciato una
commovente storia dell’Oratorio – apprezzato dalla
famiglia reale, dalle autorità di governo, dalle au-
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4.9 Page 39

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torità municipali – indicava
che le continue necessità di
ampiamento dell’Opera di
Valdocco per accogliere sem-
pre più giovani consumavano
le risorse economiche della
beneficenza privata. Perciò
al fine di pagare le spese del
completamento della nuova
cappella in costruzione, si
era presa la decisione di far
appello alla pubblica cari-
tà mediante una lotteria di
doni da offrire spontanea-
mente: “Consiste questo mez-
zo in una lotteria d’oggetti,
che i sottoscritti vennero in pensiero d’intraprendere
per sopperire alle spese di ultimazione della nuova cap-
pella, ed a cui la signoria vostra vorrà, non vi ha dub-
bio, prestare il suo concorso, riflettendo all’eccellenza
dell’opera cui è diretta. Qualunque oggetto piaccia alla
signoria vostra offrire o di seta, o di lana, o di metallo,
o di legno, ossia lavoro di riputato artista, o di modesto
operaio, o di laborioso artigiano, o di caritatevole gen-
tildonna, tutto sarà accettato con gratitudine, perché
in fatto di beneficenza ogni piccolo aiuto è gran cosa,
e perché le offerte anche tenui di molti insieme riunite
possono bastare a compir l’opera desiderata”.
Nella circolare indicò pure i nomi dei promotori
e promotrici, cui si potevano consegnare i doni e
delle persone di fiducia che li avrebbero poi rac-
colti e custoditi. Fra i 46 promotori figuravano va-
rie categorie di persone: professionisti, professori,
impresari, studenti, chierici, negozianti, mercanti,
sacerdoti; diversamente fra la novantina di promo-
trici sembra prevalessero le nobildonne (baronessa,
marchesa, contessa e relative damigelle).
Non mancò di allegare alla domanda pure il “piano
della lotteria” in tutti i suoi molteplici aspetti for-
mali: raccolta degli oggetti, ricevuta di consegna
degli stessi, loro valutazione, biglietti autenticati
da smerciare in numero proporzionato al numero e
valore degli oggetti, loro
esposizione al pubblico,
estrazione dei vincitori,
pubblicazione dei nume-
ri estratti, tempi di ritiro
dei premi ecc. Una serie
di impegnativi adem-
pimenti cui don Bosco
non si sottrasse. Per i suoi
giovani non bastava più la
cappella Pinardi: ci vole-
va una chiesa più grande,
quella, progettata, di san
Francesco di Sales [Una
dozzina di anni dopo ce
ne sarebbe voluta un’altra
ancora più grande, quella di Maria Ausiliatrice!!!].
Risposta positiva
Vista la serietà dell’iniziativa e l’alta “qualità” dei
membri della Commissione proponente, la rispo-
sta dell’Intendenza non poté che essere positiva ed
immediata. Il 17 dicembre il suddetto vicesindaco
Pietro Baricco trasmise a don Bosco il relativo de-
creto, con l’invito a trasmettere sempre in copia i
futuri atti formali della lotteria all’Amministrazio-
ne comunale, responsabile delle regolarità di tutti
gli adempimenti di legge. A questo punto prima
di Natale don Bosco mandò alle stampe la suddet-
ta circolare, la diffuse ed incominciò a raccogliere
doni.
Gli erano stati concessi due mesi di tempo al ri-
guardo, in quanto durante l’anno avevano luogo
anche altre lotterie. I doni arrivavano però lenta-
mente, per cui a metà gennaio don Bosco si vide
costretto a ristampare la predetta circolare e chiese
la collaborazione a tutti i giovani di Valdocco ed
agli amici per scrivere indirizzi, fare visita a bene-
fattori conosciuti, propagandare l’iniziativa, racco-
gliere i doni.
Ma “il bello” doveva ancora venire (continua nel
prossimo numero).
L’autorizzazione
ufficiale per
la lotteria di
don Bosco. La
legislazione
piemontese
sulle
lotterie era
estremamente
precisa.
Organizzava e
regolamentava
il gioco
del lotto,
stabilendo
i casi in cui
era possibile
che privati
potessero
organizzare
lotterie.
SETTEMBRE 2022
39

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I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni  postulatore generale
 Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulatore@sdb.org
 Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di settembre
preghiamo per la beatificazione
del Servo di Dio Francesco
Miska, salesiano sacerdote.
Nacque il 5 dicembre 1898 a
Świerczyniec (Alta Slesia), da
Giovanni e Sofia. Finito il gin-
nasio nell’istituto salesiano di
Oświęcim, entrò nel noviziato
di Płaszów, che concluse con la
professione temporanea il 24 lu-
glio 1917. Ottenuta la maturità,
intraprese il tirocinio nella scuo-
la professionale di Oświęcim
continuandolo a Przemyśl. Emi-
se i voti perpetui a Oświęcim nel
1923. Quindi si recò a Torino-
Crocetta, per gli studi teologici e
il 10 luglio 1927 venne ordinato
sacerdote. Ritornato in patria
venne inviato come consigliere
e catechista nell’orfanotrofio di
Przemyśl. Dopo due anni è a Vil-
nius in qualità di catechista nella
scuola professionale. Nel 1931 è
Direttore a Jaciążek e vi rimase
5 anni. Nel 1936 è direttore del-
la casa dei Figli di Maria e par-
roco a Ląd. Scoppiata la guerra
nel 1939 per alcune settimane
compie i doveri di cappellano
militare, ma subito dopo ritorna
come parroco a Ląd. Il 6 genna-
io 1940 l’istituto di Ląd viene
dalla Gestapo tedesca trasfor-
mato in prigione per i sacerdoti
della diocesi di Włocławek e di
Gniezno-Poznan. Anche i sale-
siani sono considerati prigionie-
ri, non escluso don Miska che
viene incaricato dall’Autorità
militare di mantenere l’ordine
e provvedere al mantenimento
di tutti. Due volte, non si sa per
quali mancanze, venne trasferi-
to a Inowroclaw e battuto fero-
cemente con bastoni. Quando
poco alla volta quei sacerdoti
che erano a Ląd furono in gran
parte trasferiti nei campi di
concentramento in Germania,
don Miska venne trasportato a
Dachau nell’ottobre del 1941.
Ammalato di stomaco, il suo or-
ganismo non poteva sopportare
il vitto di quel campo. Nessuno
badava a ciò ed egli, nonostante
le deboli forze, doveva traspor-
tare i pesanti recipienti del vitto
ai prigionieri. Una volta com-
piendo quest’ufficio cadde e si
ruppe un braccio. Ciononostan-
te doveva continuare nel mede-
simo servizio. Dopo tre giorni
s’indebolì talmente che non
poteva più muoversi: le gambe
erano orribilmente gonfie. Solo
allora fu portato alla baracca-
ospedale, ove morì nel giorno
della SS.ma Trinità, il 30 maggio
1942, cercando di consolare gli
altri con il pensiero che nulla
succede senza la volontà di Dio,
che rimunera abbondantemen-
te tutti i dolori della vita. Aveva
43 anni d’età, 25 di professio-
ne, 15 di sacerdozio. I suoi resti
mortali furono cremati.
Ringraziano
Vorrei ringraziare san Dome-
nico Savio per aver ricevuto in
particolare due grandi grazie.
La prima in occasione della
gravidanza di mio figlio. Tene-
vo l’abitino di san Domenico
Savio sotto il cuscino e, per due
notti di fila, mentre dormivo,
mi sono ritrovata l’abitino in
mano. Ho pensato che si fos-
se sfilato dal cuscino, così ho
detto una preghiera per la pro-
tezione della mia gravidanza e
Preghiera
Signore Gesù Cristo,
vincitore della morte, dell’inferno e di Satana,
ti rendiamo grazie per il dono dell’amore e della fortezza
che rifulse nel tuo servo Francesco Miska,
fedele alla sua vocazione nella persecuzione e nel martirio.
Umilmente ti supplichiamo
di glorificare questo tuo eroico testimone;
e di concederci la grazia
che per sua intercessione
fiduciosi ti chiediamo.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
CRONACA DELLA POSTULAZIONE
Sabato 4 giugno 2022 a Budapest presso il Clarisseum solenne
deposizione delle Reliquie del beato Stefano Sándor (1914-
1953), martire, salesiano coadiutore. Le Reliquie erano state ri-
trovate e identificate nel 2019.
Domenica 12 giugno a Chiari (Brescia) Chiusura dell’Inchiesta
diocesana della Causa di Beatificazione e Canonizzazione
del Servo di Dio don Silvio Galli (1927-2012), sacerdote profes-
so della Società di San Francesco di Sales.
l’ho rimesso dentro. Per caso
mi sono poi accorta che quelle
due notti erano rispettivamen-
te quella antecedente e quella
successiva al 6 maggio, giorno
dedicato a san Domenico Savio.
Circa un mese dopo, in occa-
sione di una ecografia, ci sono
state diagnosticate delle gravi
problematiche che avrebbero
potuto compromettere la so-
pravvivenza del bambino una
volta nato. Da allora ho pregato
incessantemente san Domeni-
co Savio ed ho sempre indos-
sato l’abitino. Il bambino è nato
sano e sta bene. La seconda
grazia l’ho ottenuta quando,
per un problema al collo, avrei
dovuto essere operata. Ho reci-
tato la novena a san Domenico
Savio e piano piano il proble-
ma è rientrato naturalmente
e l’operazione non è più stata
necessaria. Sono immensa-
mente grata a san Domenico
Savio, di cui indosso sempre
l’abitino, perché mi è sempre
vicino, anche nel lavoro, e mi
aiuta concedendomi piccole e
grandi grazie.
Maria Novellini - Gorgonzola (MI)
Desidero ringraziare la Madon-
na e san Domenico Savio ai
quali mi sono rivolta con fidu-
cia quando ho saputo delle gra-
vidanze di mia sorella. Ora sono
una zia orgogliosa dei suoi
bellissimi nipoti. Due piccoli
arcobaleni e tre piccoli angeli.
Tuttora continuo ad affidarli
alla Madonna e a san Domeni-
co Savio perché li proteggano
e li guidino nel lungo cammino
della loro vita in modo che di-
ventino uomini buoni e saggi
e contribuiscano a migliorare
il mondo proprio come hanno
fatto con le nostre vite.
(M.G.)
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SETTEMBRE 2022

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO E` BENEDIZIONE
La comunità
Don Giulivo Torri
Morto ad Alassio, il 3 aprile 2022, a 74 anni
Don Giulivo nasce a Parre in Val
Seriana, provincia di Bergamo
il 3 febbraio 1948 da Luigi Torri
e Monica Palamini. I suoi geni-
tori danno la vita a 9 figli: oltre
a lui, che è il più piccolo, ci sono
tre fratelli Gennaro (che diven-
terà salesiano), Antonio, Ono-
rato e cinque sorelle Emilia,
Artemisia, Assunta, Savinia ed
Ester. La sua famiglia è radicata
nei valori profondi della gente
delle valli bergamasche, dalla
vita semplice, dalla fede robu-
sta, dall’affetto forte e austero
delle relazioni familiari. Giulivo
amava condividere in comu-
nità episodi legati alla bella e
povera vita familiare della sua
infanzia che aveva lasciato in
lui dei tratti indelebili di affa-
bilità, concretezza, fede solida,
grande umanità.
Nel 1964 fa domanda di entra-
re in noviziato, vive l’esperien-
za di noviziato a Villa Moglia-
Chieri ed emette la sua prima
professione religiosa nel 1965.
Il 1° settembre 1966 un avve-
nimento tragico segna la vita
di Giulivo e di tutta la sua fami-
glia: il fratello Gennaro, chierico
salesiano di 23 anni in tirocinio
proprio nella casa di Alassio,
annega durante un bagno con i
ragazzi. Il colpo è davvero forte,
Giulivo lo raccontava con dolore
a distanza di anni come un even-
to che aveva segnato profonda-
mente la sua mamma, la sua
anima e tutta la sua famiglia.
Vive il tirocinio pratico nell’eser-
cizio dell’assistenza salesiana
prima a Livorno dal 68 al 70 e
poi a La Spezia San Paolo dal
70 al 71. Al termine del tiroci-
nio emette la sua professione
perpetua. I giudizi di coloro che
ne hanno curato la formazione
sono estremamente positivi ed
evidenziano lo spirito di sacrifi-
cio, la generosità e maturità, lo
spirito liturgico, lo zelo e la pie-
tà, le ottime capacità musicali, la
spiccata manualità. Viene sotto-
lineata anche una leggera vena
di pessimismo, che faceva parte
della sua persona, ma nel quale
coloro che lo hanno conosciuto
negli anni seguenti hanno an-
che visto un miglioramento, ìn-
dice del lavorio su se stesso.
Giulivo ci sapeva fare con i gio-
vani, era accogliente, ascoltava,
animava, voleva loro bene. La
sua intenzione di vivere la vita
salesiana è sincera e senza ten-
tennamenti: “Dopo aver fatto
esperienza di vita salesiana du-
rante lo studentato e il tirocinio,
credo di poter continuare, con
l’aiuto del Signore, su questa
strada che Lui stesso mi ha indi-
cata. Sono consapevole dei miei
difetti, tuttavia ho fiducia nell’a-
iuto del Signore e nella paterna
comprensione dei salesiani”.
Dopo la professione perpetua
dal 1971 al 1973 è all’UPS per
lo studio della Teologia e suc-
cessivamente in Germania a
Benediktbeuern dal 1973 al
1976. Lo studio in un’altra na-
zione e in un’altra lingua è sta-
ta un’esperienza iniziale molto
faticosa per l’apprendimento di
una lingua straniera, ma anche
tanto fruttuosa e la ricordava
sempre con affetto e ricono-
scenza per le relazioni vissute,
gli studi compiuti, gli input ri-
cevuti. Viene ordinato sacerdo-
te a La Spezia il 26 settembre
del 1976; in preparazione di
questa tappa scrive: “Mi muo-
ve solo il vivo desiderio di ser-
vire il Signore nel servizio del
ministero sacerdotale restando
fedele alla vocazione salesiana
alla quale Egli mi ha chiamato.
Mi sento disposto ad assumere
questa responsabilità per tutto
il corso della mia vita, conscio
delle difficoltà e rischi che mi
ostacoleranno, ma anche sicu-
ro del costante aiuto del Signo-
re, che sempre è vicino a coloro
che a Lui si donano con gioia”.
Dopo la sua ordinazione lo tro-
viamo a La Spezia San Paolo dal
76 al 77 come insegnante e ca-
techista, dal 77 all’89 ad Alas-
sio come insegnante di musica
e consigliere scolastico, dall’89
al 98 a Livorno prima come
parroco o poi come direttore e
parroco. Dal 1998 al 2003 a La
Spezia Canaletto come diretto-
re e parroco, a Vallecrosia dal
2003 al 2007 come direttore e
parroco, poi di nuovo ad Alassio
dal 2007 al 2022 come inse-
gnante, consigliere della scuola
media, rettore della Chiesa.
I salesiani e i laici che hanno
scritto in queste ore sottoli-
neano tanti aspetti della sua
poliedrica personalità. «Don
Giulivo era un amante della
musica, che aveva portato in
tutte le realtà in cui era stato.
Ascoltatore, esecutore, persino
compositore. Amava mostrare
con orgoglio il pianoforte. Ma
soprattutto educatore anche in
questo campo, la sua gioia era
metter su cori, complessi, istrui­
re i giovani alla musica e nello
strumento del pianoforte».
«La sua passione per le piante,
specie quelle grasse, cui dava
anche dei nomi».
«La sua capacità manuale. Non
aveva mai smesso di dedicare
del tempo ai lavori manuali,
nei quali non solo provava gu-
sto ma anche abilità».
«Appassionanti le sue disquisi-
zioni filosofiche, teologiche ed
ecclesiologiche. Aveva una pas-
sione per il tedesco, da quando
era stato in Germania».
«Aveva conservato una grande
passione per la sua terra, di cui
apprezzava tutto, compresa la
buona tavola».
«Gli ultimi anni ad Alassio era
Rettore della Chiesa pubblica,
che teneva con grande cura,
della quale animava le liturgie
e per la quale faceva presepi
artistici. Era ricercato per il sa-
cramento della Confessione».
«Ma la sua passione era soprat-
tutto e sempre per i ragazzi.
Anche quando ha dovuto la-
sciare l’insegnamento, li salu-
tava al mattino – sia quelli della
scuola don Bosco sia quelli
della Ollandini – così come gli
insegnanti, e stava con loro nel-
le ricreazioni e nel dopopranzo.
Commoventi le testimonianze
di alcuni ragazzi delle scuole
medie».
Un uomo profondo e pratico,
artista e umile. Un vero sale-
siano.
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5.2 Page 42

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Una gita
sdoa gno
Visitare Valdocco
è un tuffo nei
sogni di don Bosco
VENITE! Sarete accolti
da una comunità
di amici e da un luogo
che vi racconta la vita
del santo dei giovani
Il Museo Casa Don Bosco è la
storia di una grande avventura
educativa, a partire da quei
primi ragazzi a cui don Giovanni
Bosco ha offerto una casa,
una scuola, un’educazione,
un futuro. Quell’anima
profonda è custodita e resa viva
nel racconto di quella storia
e nella proposta di percorsi
educativi che, attraverso
l’esperienza museale interattiva,
possono offrire opportunità
di crescita e di apprendimento.
PER INFORMAZIONI
www.basilicamariaausiliatrice.it

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.Disegno di Fabrizio Zubani
Dio nel pozzo
U na comitiva di zingari si fermò al
pozzo di un cascinale. Un
bambino di circa cinque anni uscì
nel cortile, osservandoli ad occhi sgranati.
Uno zingaro in particolare lo affascina-
va, un pezzo d’uomo che aveva attinto
un secchio d’acqua dal pozzo e stava lì, a
gambe larghe, bevendo. Un filo d’acqua
gli scorreva giù per la barba di fuoco,
corta e folta, e con le mani forti si reggeva
il grosso secchio di legno alle labbra come
se fosse stata una tazza.
Finito che ebbe, si tolse la fusciacca multi-
colore e con quella si asciugò la faccia. Poi
si chinò e scrutò in fondo al pozzo. Incu-
riosito, il bambino si alzò in punta di piedi
per cercare di vedere oltre l’orlo del pozzo
che cosa stesse guardando lo zingaro.
Il gigante si accorse del bambino e sorri-
dendo lo sollevò da terra tra le braccia.
«Sai chi ci sta laggiù?», chiese. Il bambino
scosse il capo.
«Ci sta Dio», disse.
«Guarda!», aggiunse lo zingaro e tenne il
bambino sull’orlo del pozzo.
Là, nell’acqua ferma come uno specchio,
il bambino vide riflessa la propria imma-
gine. «Ma quello sono io!».
«Ah!», esclamò lo zingaro, rimettendolo
con dolcezza a terra. «Ora sai dove sta
Dio».
La mamma di Domenico, 5 anni, dice:
«Gesù è in cielo!»
«No, Gesù non è in cielo. È nel mio cuore»
La mamma gli spiega che non c’è contraddizione, che il cielo non è un luogo e che Gesù sta anche nel suo cuore.
«No, mamma, Gesù non sta in cielo, sta nel mio cuore. E nel mio cuore è il cielo».
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5.4 Page 44

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5x
1000
Dacc i 5
no c farem i 1000!
La Tua firma perme erà alla Fondazione DON BOSCO NEL MONDO di essere al fianco dei
Salesiani di Don Bosco nei paesi in cui operano con amore e dedizione per proteggere l’infan-
zia più vulnerabile e a rischio guidati dall’esempio e dall’insegnamento di Don Bosco.
Sostieni i nostri proge i destinando il 5×1000 alla Fondazione DON BOSCO NEL MONDO.
Inserisci il nostro Codice Fiscale nella tua dichiarazione dei redditi 97210180580.