Bollettino_Salesiano_202206

Bollettino_Salesiano_202206

1 Pages 1-10

▲back to top

1.1 Page 1

▲back to top
L’invitato
Frank
Freeman
ACQUA
miracolo
fragile e
minacciato
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
GIUGNO 2022
Le case di
don Bosco
Perugia

1.2 Page 2

▲back to top
I FIORETTI DI DON BOSCO
B.F.
Il bracciante di Alba
U n pover’uomo era venuto a
piedi da Alba, viaggiando
giorno e notte. Si confessò,
fece la Comunione, poi si presentò a
don Bosco per compiere una pro-
messa. Gli raccontò che era caduto
ammalato. I medici gli avevano detto
che era finita, e allora aveva promes-
so di portare alla Madonna tutto il
denaro che aveva se fosse guarito.
Era guarito subito. Don Bosco
guardava quell’uomo poverissimo nel
vestito, che ora aveva tirato fuori di
tasca un pezzo di carta e lo srotolava
con attenzione. Tra la carta apparve
il denaro: una lira. La porse a don
Bosco con solennità dicendo:
– Ecco tutto ciò che possiedo, tutte
le mie ricchezze.
– Che mestiere fate?
– Il bracciante. Vivo alla giornata.
– E come farete a tornare a casa?
– Farò come ho fatto per venire: a
piedi.
– E non siete stanco?
– Un po’, perché il viaggio è abba-
stanza lungo.
– Siete ancora digiuno?
– Certamente, perché volevo fare la
Comunione. Prima di mezzanotte,
però, ho mangiato un pezzo di pane
che portavo in tasca.
– E adesso, per colazione, che cosa
avete?
– Niente.
– Facciamo dunque così. Oggi fer-
matevi con me. Vi darò da colazione
e da cena. Domani, se così vi piace,
ritornerete a casa vostra.
– Questa sarebbe bella! Vi porto una
lira, e voi mi date da mangiare per
due o tre lire!
– Sentite: voi avete fatto la vostra
offerta alla Madonna. E ora don
Bosco vi fa la sua offerta: un po’ di
minestra e un bicchiere di vino.
– Le dico di no. Io so che don Bosco
e la Madonna hanno la stessa borsa.
Ecco, io riparto a piedi. Se avrò
fame, chiederò l’elemosina. Se sarò
stanco, mi siederò sotto un albero.
Se avrò sonno, qualcuno mi lascerà
dormire in un pagliaio. La mia pro-
messa la voglio compiere sul serio.
La saluto e preghi per me. E senz’al-
tro ripartì.
2
GIUGNO 2022
LA STORIA
Questa storia è raccontata nelle
Memorie Biografiche, vol. X,
pp. 97-98. Tanti gesti eroici,
piccoli e nascosti, hanno costruito
la Basilica di Maria Ausiliatrice.

1.3 Page 3

▲back to top
L’invitato
Frank
Freeman
ACQUA
miracolo
fragile e
minacciato
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
GIUGNO 2022
Le case di
don Bosco
Perugia
GIUGNO 2022
ANNO CXLVI
NUMERO 06
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
La copertina: Oggi, il problema dell’acqua
è una priorità mondiale (Bartosz Hadyniak /
iStock).
2 I FIORETTI DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 DON BOSCO NEL MONDO
La fonte della vita
è in pericolo
10 TEMPO DELLO SPIRITO
12 L’INVITATO
Frank Freeman
16 LE CASE DI DON BOSCO
Perugia
20 IN PRIMA LINEA
Padre Camiel
24 FMA
Un archivio storico
in movimento
26 FAMIGLIA SALESIANA
VDB
30 I NOSTRI EROI
Beata Eusebia Palomino
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
12
20
30
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 64
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
Tel./Fax 06.65612643
e-mail: biesse@sdb.org
web: http://bollettinosalesiano.it
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Roberto Desiderati,
Emilia Di Massimo, Ángel Fernández
Artime, Manuel Garcia, Cesare Lo
Monaco, Alberto Lopez, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto,
Pino Pellegrino, O. Pori Mecoi,
Javier Ortiz, Fausto Santeusanio,
Luigi Zonta, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Alberto Rodriguez M.
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
web: www.donbosconelmondo.org
CF 97210180580
Banca Intesa Sanpaolo
IBAN: IT84 Y030 6909 6061 0000 0122 971
BIC: BCITITMM
Ccp 36885028
Progetto grafico e impaginazione:
Puntografica s.r.l. - Torino
Stampa: Mediagraf s.p.a. - Padova
Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
La certificazione
PEFC™ garantisce
che la materia
prima per la
produzione della
carta deriva da
foreste gestite
in maniera
sostenibile secondo standard rigorosi riconosciuti a
livello internazionale che tutelano le foreste, l’ambiente
e i lavoratori.

1.4 Page 4

▲back to top
IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Ángel Fernández Artime
«Il mio nome è
Sean Cayd»
Storia di un dono inimmaginabile.
Carissimi lettori del Bollettino Salesiano e
amici del carisma di don Bosco, dal pro-
fondo del mio cuore vi ringrazio per la
simpatia e la vicinanza che dimostrate per
don Bosco e per quelli di noi che cercano di con-
tinuare la sua missione nella Chiesa e nel mondo.
Per questo, voglio condividere con voi quello che
ho vissuto una settimana fa. Stavo visitando le pre-
senze salesiane in Zimbabwe (Africa) ed ero nella
piccola città di Hwange. Lì ho incontrato i miei
confratelli salesiani, i membri della famiglia sale-
siana, gli educatori della presenza salesiana e un
gruppo di circa 200 giovani locali e alcuni altri che
erano venuti dal Malawi e dalla Namibia con gran-
de sacrificio e generosità.
I tre giorni a Hwange sono stati pieni di vita, gioia,
incontri e saluti. E fin dal primo momento si sono
uniti più di 50 bambini delle case vicine. Hanno
trascorso la giornata, in mezzo a noi, e sono rimasti
incantati da tutto ciò che hanno visto, dal canto,
dalla danza e dalla gioia.
Se c’è una ricchezza in Africa, sono i bambi-
ni. Sono dappertutto. Sempre allegri e sorridenti
(inconsapevoli della povertà in cui vivono, hanno
sempre il volto illuminato dal sorriso).
E voglio parlarvi di Sean. Nella folla che mi ac-
compagnava dappertutto, c’era questo ragazzo di
dodici anni, diventato una presenza quasi costan-
te, insieme ai suoi amici. Era lì, sempre a circa un
metro di distanza da tutto ciò che stava accadendo;
non distante, non spaventato, ma come qualcuno
che vede ciò che sta accadendo perché per lui era
tutto nuovo.
Naturalmente li ho salutati tutti molte volte, la
mattina, il pomeriggio e la sera quando sono andati
a casa. E abbiamo parlato un po’.
Quando fu il momento di partire, accanto al furgo-
ne che mi doveva portare verso un’altra destinazio-
ne, c’era questo ragazzo. Mentre stavo per entrare
nel veicolo, si fece avanti e si mise molto vicino a
me, tendendo la mano destra stretta a pugno.
Capii che voleva lasciarmi qualcosa in mano. Non
sapevo certo cosa fosse. Forse una richiesta? Forse
mi stava facendo sapere che aveva bisogno di qual-
cosa? Il fatto è che ho teso il mio palmo e ho rice-
vuto ciò che mi stava porgendo. Ho capito presto
che mi stava offrendo un dono, il Suo dono. Ho
4
GIUGNO 2022

1.5 Page 5

▲back to top
guardato quello che mi ha consegnato, ho chiuso
la mano, l’ho ringraziato con parole e un grande
sorriso e l’ho messo in tasca. Era qualcosa avvolto
in un pezzo di carta.
Difficile indovinare di che cosa si trattasse, sia il
regalo sia la carta. Questo è quello che voglio con-
dividere con voi in questo momento. Questo ra-
gazzo aveva sentito il bisogno di ringraziarmi per
essere stato nella sua terra, forse per averlo salutato
o per essere stato vicino a lui e ai suoi amici e mi ha
dato quello che poteva. Il regalo era semplicemente
una piccola pietra, una delle migliaia che giacevano
per terra, ma lui aveva scelto di darmela. Qualcosa
della sua terra e di lui. E così l’ho ricevuto. L’ho con
me e resterà con me. Il piccolo pezzo di carta diceva
«Pray for you. My name is Sean Cayd (Prego per te. Il
mio nome è Sean Cayd)».
Sean mi stava infatti offrendo la sua preghiera e il
suo ricordo.
Come poteva il mio cuore non essere toccato da
quel momento? Come potrei dimenticare quel viso
e quegli occhi pieni di vita? Come potevo non chie-
dermi che cosa fosse passato nel cuore e nella mente
di quel ragazzo per fargli sentire che doveva dare
qualcosa a quell’uomo straniero che ero io e che era
venuto da lontano per visitarli?
E così tante altre domande. La verità è che tutto
quello che è successo mi ha fatto pensare molto. Mi
ha ricordato la scena del Vangelo in cui il Signo-
re Gesù loda la povera vecchietta che fa scivolare
silenziosamente solo due monetine nella cassetta
delle offerte del Tempio di Gerusalemme, ma era
tutto quello che aveva. E come educatore, mi ha
fatto pensare molto seriamente all’azione educativa
di ogni giorno, di tutti e in ogni casa salesiana. E
lo stesso si può dire di ogni gesto, ogni parola, ogni
carezza, nelle case, nelle famiglie.
Infatti, la mia “morale”, quella che cerco di applica-
re a me stesso, è che non possiamo mai indovinare
fino a che punto una parola, un sorriso, un saluto,
uno sguardo possano toccare il cuore di un bambi-
no, una ragazza, un adolescente o un giovane, e che
cosa possano significare nella loro vita. Ciò che per
noi è quasi niente, può essere tutto per la persona
che lo riceve.
La vita di don Bosco è piena di incontri signifi-
cativi, di parole dette all’orecchio, di sguardi che
hanno trafitto il cuore e l’anima, per esempio quelli
del giovane Paolo Albera (che diventerà il secondo
successore di don Bosco), o di Luigi Variara (che
promise in quel momento, in quello scambio di
sguardi da bambino di 10 anni, che non si sarebbe
più separato da don Bosco). E divenne salesiano,
missionario, fondatore di una congregazione per la
carità e per la cura dei lebbrosi e oggi è beato.
Mi viene in mente anche quel ragazzo che non
riusciva a capacitarsi come don Bosco, che
aveva incontrato per caso settimane prima in
cortile, ricordasse ancora il suo nome. Si fece
coraggio e gli domandò: «Don Bosco, come ha
fatto a ricordarsi del mio nome?»
«I miei figli io non li dimentico mai!» egli
rispose.
Questi sono alcuni dei “miracoli”
che, come dico spesso, si vivo-
no quotidianamente nelle case
salesiane di tutto il mondo.
Il mio amico Sean mi ha dato
una grande lezione e ha toc-
cato il mio cuore. E non dimen-
ticherò il suo nome. Che il buon
Dio lo benedica. Con la benedi-
zione che auguro a tutti voi.
GIUGNO 2022
5

1.6 Page 6

▲back to top
DON BOSCO NEL MONDO
Alberto Lopez
La fonte della vita
è in pericolo
shutterstock.com
Più della metà della popolazione mondiale, circa 4,5 miliardi
di persone, non ha acqua potabile o servizi igienici adeguati.
Per queste persone l’acqua è un bene di lusso e la sua scarsità
incide sulla salute, sulla situazione delle donne, sull’accesso
all’istruzione, sui viaggi. I missionari salesiani sono in prima fila
per aiutare quelli a cui nessuno pensa.
6
GIUGNO 2022

1.7 Page 7

▲back to top
L a folle ironia della storia: i bacini dell’Eufrate
e del Tigri, i fiumi che hanno visto la nascita
della civiltà umana, a causa della mancan-
za di piogge, delle politiche idrografiche dei
pae­si della regione e dei conflitti armati sono sec-
chi. Le conseguenze, avvertono esperti e ong, pos-
sono essere disastrose per milioni di persone, poi-
ché la produzione agricola è crollata e la mancanza
di acqua ha causato un aumento delle malattie.
In alcune parti della pianura anatolica, il terreno
si screpola e persino sprofonda, lasciando buchi
impressionanti, poiché le falde acquifere sotterra-
nee si sono prosciugate; migliaia di pesci sono stati
trovati morti nelle paludi della Mesopotamia; i
canali urbani di Bassora, un tempo navigabili, sono
ora semi asciutti e pieni di spazzatura, e le centra-
li idroelettriche nel nord della Siria hanno dovuto
cessare di funzionare perché lo scarso flusso dei
fiumi non è in grado di muovere le turbine.
Julien e Silvain sono due amici di 11 anni che vivono
in un villaggio del Togo. Sono tra i 263 milioni di
persone nel mondo, la maggior parte dei quali sono
bambini e donne, che devono camminare almeno
30 minuti ogni giorno per prendere l’acqua pulita.
Nel loro caso, la fonte più vicina è a sette chilometri
dalle loro case e la maggior parte dei giorni non
possono andare a scuola. Ci vogliono più di cinque
ore per tornare a piedi con le loro taniche gialle da
20 litri sulla testa. L’acqua che trovano non è sem-
pre pulita o adatta al consumo, ma in ogni caso,
la quantità che le loro famiglie useranno in diversi
giorni sarà sempre molto inferiore a quella che una
singola persona consumerebbe in qualsiasi paese
occidentale in un solo giorno.
«Gli animali stanno morendo, bisogna andare sem-
pre più lontano per trovare l’acqua, e se i raccolti
non danno frutti, la gente rimane senza mezzi di
sussistenza. Se non c’è acqua, non c’è neanche il
latte per i bambini, e la situazione diventa critica
anche per la gente» sottolinea il missionario salesia-
no Agustine Kharmuti di Makuyu, Kenya. Quasi
tre persone su dieci nel mondo non hanno accesso
all’acqua potabile nelle loro case. Inoltre, più del-
la metà della popolazione, 4,5 miliardi di persone,
non hanno una fornitura vicina di acqua pulita, e 3
miliardi – quasi quattro persone su 10 – non hanno
strutture di base per lavarsi le mani.
Un bene di lusso
L’acqua è diventata un bene di lusso. La sua esisten-
za ha sempre influenzato i luoghi di insediamento,
ma la sua scarsità è direttamente legata alle migra-
zioni. Secondo la Banca Mondiale, il 10% dell’au-
mento degli spostamenti umani è legato alla carenza
d’acqua. Diciassette paesi, che ospitano il 25% della
popolazione mondiale, affrontano alti livelli del co-
siddetto stress idrico. Di conseguenza, entro la fine
del decennio, gli scienziati prevedono che 700 mi-
lioni di persone nel mondo potrebbero essere sfol-
late dalle loro case per mancanza d’acqua. La vita
ruota intorno all’acqua, e il cambiamento climatico
si manifesta anche attraverso l’acqua: nove disastri
naturali su dieci sono legati all’acqua. I periodi di
siccità in molti paesi stanno diventando sempre più
lunghi, mentre le piogge torrenziali in alcune zone
sono diventate anch’esse cicliche. Queste situazioni
sono ben note ai missionari salesiani, che per questi
motivi devono affrontare sempre più situazioni
di emergenza per assistere le popolazioni più
svantaggiate.
Il riscaldamento globale, la
deforestazione, la deserti-
ficazione, l’inquinamento
delle risorse, la crescita
della popolazione e gli
effetti dei conflitti
«Gli animali
stanno
morendo.
Bisogna
andare
sempre più
lontano
per trovare
l’acqua».
GIUGNO 2022
7

1.8 Page 8

▲back to top
DON BOSCO NEL MONDO
I bambini e
le donne, in
molte zone
del mondo,
sono gli
irrinunciabili
“portatori
d’acqua”.
armati sull’approvvigionamento idrico sono alcune
delle cause che contribuiscono ad un quadro critico
per l’acqua nei prossimi decenni. Anche le conse-
guenze stanno diventando sempre più visibili: meno
bambini a scuola, più povertà e fame, l’incapacità di
far fronte a molte malattie e più migrazione.
Mortalità infantile
L’acqua non sicura e i servizi igienici scadenti
sono le cause principali della mortalità infantile.
La diarrea, che è legata alla carenza d’acqua, alle
latrine inadeguate, all’acqua contaminata e alla
mancanza d’igiene, causa la morte di quasi mille
bambini sotto i cinque anni ogni giorno. Di fronte
a questa situazione, e poiché non può esserci un’e-
ducazione di qualità senza acqua, le scuole salesia-
ne in molti paesi sono costruite con un pozzo nel
cortile per migliorare le condizioni igieniche e sa-
nitarie dei bambini e delle loro famiglie. In Nepal,
per esempio, tutte le scuole ricostruite dopo il ter-
remoto del 2015 hanno accesso all’acqua potabile
e a servizi igienici adeguati. Lo stesso vale per le
scuole dove i missionari salesiani si occupano dei
bambini sfollati nel Sud Sudan e in Pakistan: “Qui
piove poco e molte persone muoiono a causa della
qualità dell’acqua. Nella nostra scuola abbiamo un
servizio specifico per rendere l’acqua potabile, ed è
utilizzato non solo dagli studenti, ma anche dalle
loro famiglie che vengono a riempire le loro broc-
che e bottiglie per il consumo quotidiano”, spiega il
missionario salesiano Gabriel Cruz di Lahore. In
altri luoghi, come il quartiere di Lixeira nella capi-
tale angolana, “non c’è acqua corrente e dobbiamo
comprarla. Abbiamo un’autocisterna per conse-
gnarla, ma quando si rompe, dobbiamo comprarla,
sia per la grande scuola Don Bosco sia per tutte le
case dei bambini di strada”, assicura Ricardo Celso,
dell’Ufficio Progetti Salesiani nel paese africano.
Arma di guerra
L’acqua è anche un’arma, insieme alla fame, usata
nei conflitti armati. Tagliare i rifornimenti e isolare
le popolazioni è un’altra forma di violenza e di vio-
lazione dei diritti. Per questo i missionari salesiani
in paesi come il Sud Sudan, la Costa d’Avorio, il
Venezuela e l’Etiopia hanno aiutato la popolazione
in mezzo alla violenza, in alcuni casi accogliendola
nelle loro strutture, in altri offrendo sempre aiuti
di emergenza e accesso all’acqua potabile, anche
all’interno delle opere salesiane.
Rompere il ciclo della povertà
Avere accesso all’acqua potabile trasforma la vita.
L’acqua significa una salute migliore, buone abi-
tudini igieniche, un’aspettativa di vita più lun-
ga, bambini che non devono più camminare per
prendere l’acqua e che possono andare a scuola e
ricevere un’istruzione di qualità. L’acqua renderà i
raccolti più abbondanti, il bestiame contribuirà a
migliorare i mezzi di sussistenza e le economie fa-
miliari, e tutti contribuiranno allo sviluppo delle
comunità in cui vivono.
HM Shahidul Islam / Shutterstock.com
Sfide: presente e futuro
Il cambiamento climatico, la crescita della popo-
lazione e l’urbanizzazione sono sfide importanti
per l’approvvigionamento idrico. La gestione delle
risorse idriche dovrà essere migliorata e dovranno
essere trovati nuovi approcci, come il trattamento e
8
GIUGNO 2022

1.9 Page 9

▲back to top
INIZIATIVE SALESIANE
Di fronte a questa situazione i salesiani sono larga-
mente impegnati a migliorare l’accesso a questo bene
fondamentale per la vita. Infatti, il 25% dei progetti sa-
lesiani per combattere il coronavirus nell’ultimo anno
ha avuto a che fare con l’accesso all’acqua e a servizi
igienici adeguati.
Nell’ultimo anno, ad esempio, solo più di 254 000
persone hanno avuto accesso all’acqua e a strutture sa-
nitarie adeguate grazie ai progetti realizzati da “Misio-
nes Salesianas”, la Procura Missionaria salesiana di
Madrid, in Paesi come Namibia, Haiti, Tanzania, Togo,
Colombia e Repubblica del Congo…
Nigeria: L’“Iniziativa Acqua Pulita” porta salute e
sviluppo a decine di migliaia di persone. Grazie al so-
stegno di “Salesian Missions”, solo ad Abajah saranno
oltre 25 000 le persone che beneficeranno ogni anno
della nuova fonte di acqua pulita.
Ghana: Quasi 5000 persone beneficiano dell’acqua
pulita grazie all’“Iniziativa Acqua Pulita” di “Salesian
Missions”. Don Gus Baek, Responsabile della Procura
Missionaria salesiana di New Rochelle, dice: «L’acqua
è essenziale per la vita, ed è per questo che ‘Salesian
Missions’ ne ha fatto una priorità per i programmi sa-
lesiani in tutto il mondo. Migliorare l’accesso all’acqua
porta un senso di dignità ai bambini e alle famiglie e
riduce il numero di malattie trasmesse dall’acqua».
Brasile: il progetto di “Assistenza Missionaria Ambu-
lante” (AMA) dell’Ispettoria salesiana di Brasile-Campo
Grande (BGC), ha iniziato la perforazione di 9 pozzi arte-
siani nei villaggi indigeni di Sangradouro e di un pozzo
presso la Scuola Statale indigena “São José”.
Repubblica Democratica del Congo: Il progetto
ideato dai Figli spirituali di Don Bosco prevede una
perforazione di 100 metri (per attingere ad una falda
acquifera incontaminata), l’installazione di una pompa
elettrica sommersa, che verrà alimentata da 4 pannelli
solari per l’energia rinnovabile, l’interramento di 2 ser-
batoi e i lavori di muratura.
Bolivia: Padre Serafino Chiesa ha avviato la costru-
zione di una centrale idroelettrica con l’obiettivo di
crea­re un motore di sviluppo per migliaia di poveri
contadini e minatori, sfruttando una risorsa locale:
l’acqua del fiume Ayopara.
il riutilizzo delle acque reflue, per garantire la for-
nitura e la qualità. Nell’insediamento di rifugiati
di Palabek, nel nord dell’Uganda, “la scuola tecnica
è una grande sfida perché continuiamo ad espan-
derla e c’è molto consumo d’acqua. Gli studenti
hanno bisogno di acqua, gli animali, la costruzio-
ne, i rifugiati... Dobbiamo avere grandi serbatoi per
conservare l’acqua nella stagione delle piogge, ma
non è sufficiente, quindi costruiremo un serbatoio
con una piccola diga. Tutto è già stato incanalato
in modo che l’acqua piovana possa andare lì e pos-
siamo contare su più di un milione di litri d’acqua”,
assicura il missionario salesiano Ubaldino Andra-
de. Ma se la siccità non deve diventare la prossima
pandemia e aggravare ulteriormente le disugua-
glianze sociali ed economiche, sono urgentemente
necessarie misure globali per invertire la situazione.
L’educazione ambientale delle generazioni future è
un buon strumento per cambiare le abitudini verso
la sostenibilità. Per questo, le porte delle missio-
ni salesiane nel mondo saranno sempre aperte per
aiutare le popolazioni più bisognose, assicurano i
missionari. Accogliere, proteggere, accompagna-
re, aiutare, evangelizzare e infondere speranza è il
lavoro che i missionari svolgono quotidianamente.
L’acqua, che ha anche un grande significato per i
cristiani nel Battesimo, è un elemento essenziale
della vita e un diritto universale per lo sviluppo
umano che i missionari salesiani garantiscono negli
oltre 130 paesi in cui lavorano.
GIUGNO 2022
9

1.10 Page 10

▲back to top
TEMPO DELLO SPIRITO
Javier Ortiz
La Pia Opera del
Sacro Cuore di Gesù
Un segno della carità di don Bosco.
L a Basilica del Sacro Cuore
di Roma è uno dei luoghi
della “terra santa” salesiana,
assieme al Colle don Bosco,
luogo della nascita del santo, e a
Valdocco – Torino dove iniziò la sua Opera. Qui a
Roma, con immensi sacrifici, don Bosco su ordine
del Papa, ha costruito la Basilica, tempio interna-
zionale del Sacro Cuore.
Per la significatività del luogo, è ora la sede centrale
della Congregazione Salesiana dove risiede il Ret-
tore Maggiore, Successore di don Bosco con il suo
Consiglio.
La storia di ieri
“La religione vera non consiste in sole parole: biso-
gna venire alle opere”, diceva nostro padre don Bo-
sco (mb, VI, 144). Il 5 aprile 1880 il papa Leo­ne
XIII affida a don Bosco la costruzione del tempio
al Sacro Cuore. Don Bosco accetta questa sfida con
la famosa frase: “il desiderio del Papa è un comando
per don Bosco”. Allo stesso tempo unisce al desi-
derio del Papa il suo: quello di edificare, accanto al
tempio, l’Ospizio per i giovani poveri e abbandonati.
Era da molto tempo che don Bosco cercava di aprire
a Roma un’opera a favore dei giovani, come quella
fatta a Torino, e vede nella richiesta del Santo Padre,
la provvidenza del buon Dio per sviluppare la sua
missione nel centro della cristianità.
Per ottenere i fondi per quest’opera don Bosco ha
fatto estenuanti viaggi in Italia e all’estero chieden-
do la carità a innumerevoli persone, confidando
nella Provvidenza. In pochi anni don Bosco ha co-
struito il bellissimo Tempio Internazionale al Sacro
Cuore di Gesù al Castro Pretorio, come lo ha voluto
significativamente chiamare. “Tutta la organizza-
zione religiosa, comprendente associazioni, gruppi,
cenacoli, è diretta a conservare questo carattere al
tempio, per ottenere dal Sacro Cuore di Gesù, con
atti di riparazioni e altri atti di culto, il perdono
dei peccati, la conversione dei peccatori e tante altre
grazie e benedizioni”. (99)
Fra le opere sorte attorno al tempio del Sacro Cuore,
occupa un posto di primaria importanza “l’Opera
della Divina Providenza”. Fin dal giugno del 1888
c’è l’approvazione del cardinale Vicario di Roma e
una speciale benedizione del Papa, don Rua presso
consiglio di autorevoli persone le dà il nome di “Pia
opera del Sacro Cuore di Gesù”. (51)
Don Rua, primo successore di don Bosco, per non
gravare sulla collaborazione dei benefattori già im-
pegnati in tante opere promosse dalla Pia Società
di San Francesco di Sales, pensa a una Pia Opera
del Sacro Cuore di Gesù: “la quale consiste nella
fondazione di un legato perpetuo di sei Messe quo-
tidiane, da celebrarsi nella chiesa del Sacro Cuore
in favore di coloro che avessero, una sola volta, fatto
l’offerta di una lira. Tali offerte avrebbero servito
prima per la fabbrica dell’ospizio e poscia pel man-
tenimento dei giovanetti ricoverati”.
Don Michele Rua, nel gennaio 1889, ormai già
conclusa la costruzione del tempio, scrisse una pri-
ma lettera ai cooperatori salesiani riguardo l’Opera
Pia per l’Ospizio: “Opera molto raccomandata dal
compianto don Bosco e che io affido alla vostra
pietà il compimento dell’Ospizio del Sacro Cuo-
10
GIUGNO 2022

2 Pages 11-20

▲back to top

2.1 Page 11

▲back to top
re di Gesù in Roma. L’Ospizio è già ben avviato
e raccoglie circa 100 giovanetti; ma 100 non sono
ancora 500, quanti voleva poterne radunare il pre-
notato nostro Fondatore e padre, per sollevarne un
maggior numero, conducendoli a Gesù Cristo”.
“Seconda lettera di don Rua ai Cooperatori: Ve lo
raccomando di nuovo. Mi fu poc’anzi presentato
l’intero disegno e confido che la devozione al Sa-
cro Cuore di Gesù ispirerà e muoverà i vostri cuo-
ri a somministrarmi mezzi per eseguirlo, affinché
possiamo raccogliervi non solo 130 quanti sono al
presente ma più centinaio di poveri fanciulli, come
intendeva Don Bosco, di cara memoria”. (Testi ri-
portati da S. Rotolo: “I soggiorni del beato Giovan-
ni Bosco a Roma”, Torino, 1929, sei).
“Ai benefattori della Chiesa del voto internaziona-
le, dedicata al Sacro Cuore di Gesù al Castro Pre-
torio di Roma, era già stata promessa, quando detta
chiesa fosse compiuta, la celebrazione di una Mes-
sa ogni venerdì dell’anno e la recita quotidiana del
Santo Rosario con altri esercizi di pietà. Ad amplia-
re questi vantaggi spirituali e farne partecipare più
altre persone, venne stabilita nella suddetta chiesa
la Pia Opera del Sacro Cuore di Gesù…” (Da un
programma della Pia Opera, durante il Rettorato
di don Rua, primo successore di don Bosco).
La “Pia Opera del Sacro Cuore
di Gesù” oggi
“Oggi la comunità salesiana che svolge il servizio
pastorale nella Basilica del Sacro Cuore si impegna
a celebrare la Santissima Eucaristia, una volta tutti i
giorni, secondo le intenzioni degli offerenti, i quali
in tal modo, unendosi spiritualmente alla celebra-
zione del sacrificio di Cristo, potranno beneficiare
di quel dono di grazia che scaturisce dalla rinnova-
zione del memoriale di Cristo”.
“La Pia Opera del Sacro Cuore, fin dalla sua fon-
dazione ormai centenaria, è parte integrante
e dipende giuridicamente dall’ente Ospizio
Salesiano Sacro Cuore con sede in via Mar-
sala 42 - 00185 Roma. È un
ente civilmente riconosciuto:
in quanto tale può legalmen-
te ricevere anche donazioni, legati
ed eredità destinando secondo gli scopi
perseguiti dall’ente e nel rispetto delle
intenzioni del benefattore”. Ogni giorno
continuano a iscriversi tantissime persone
da qualsiasi parte dell’Italia e di varie parti
dell’intero mondo (Vietnam, Stati Uniti,
Le Filippine, Moldova, Mada-
gascar ecc.).
La bella
statua sul
campanile
della Basilica
del Sacro
Cuore, a
Roma.
Come iscriversi: con un’offerta libera presso gli uffici della Basilica o mediante
conto corrente postale sottoindicato con causale “Iscrizione alla Pia opera
del Sacro Cuore”, specificando il cognome e nome di chi si vuole iscrivere,
vivo o defunto.
Elemento centrale: la celebrazione quotidiana di una Santa Messa
celebrata alle 7 del mattino in perpetuo per gli iscritti vivi o defunti
Le offerte: per lo sviluppo e la diffusione della vocazione al Sacro
Cuore; a favore delle missioni e delle vocazioni salesiane; in favore
dei salesiani anziani e malati; per ragazzi e giovani in situazione
di particolare disagio.
Numero conto corrente postale: 914010
Codice IBAN: IT03 P076 0103 2000 0000 0914010
Informazioni: tel. 06.4453257
Mail: sacrocuore-parrocosdb@donbosco.it
Portineria della Sede Centrale tel. 06.656121.
GIUGNO 2022
11

2.2 Page 12

▲back to top
L’INVITATO
O. Pori Mecoi
«Tutta colpa di
un errore geografico»
Incontro con don Frank
Freeman direttore del
Bollettino Salesiano
australiano da 39 anni,
sacerdote, insegnante e
giornalista stimatissimo.
Don Frank
Freeman
alla sua
postazione
di lavoro.
Caro Frank, puoi presentarti?
Sono Frank Freeman, un salesiano australiano di
90 anni.
Sono nato nel 1931 ad Ararat, una città vittoriana
di corsa all’oro a 200 km a ovest di Melbourne, che
era anche il luogo di nascita dei suoi genitori. I loro
genitori immigrati irlandesi, i miei quattro nonni,
scapparono dalla grande carestia irlandese e, dopo
sei mesi su un veliero, arrivarono ad Ararat. Quando
avevo due anni, all’indomani della Grande Depres-
sione, la famiglia si trasferì in una fattoria casearia
a Drouin West, 95 km a sud-est di Melbourne nel
Gippsland occidentale, parte della diocesi di Sale.
Il mio percorso verso il sacerdozio è davvero una
lunga storia e comporta un significativo errore geo­
grafico da parte mia. Allo scoppio della seconda
guerra mondiale, quando la maggior parte dei miei
fratelli si arruolò nelle forze armate, la famiglia
lasciò la fattoria, mi fu detto che ero destinato ad
un collegio e mi fu data una scelta di tre collegi
tra i quali ce n’era uno chiamato ‘Salesian School’,
ho erroneamente pensato che sarebbe stato a Sale,
la capitale del Gippsland, e appena sulla strada,
così ho scelto immediatamente la Salesian School.
Con mia giovanile sorpresa, sono finito alla Scuola
Agricola Salesiana di Sunbury, Victoria, a nord di
Melbourne. Ho spesso affermato che la mia voca-
zione era basata su un errore geografico.
Com’è nata la tua vocazione?
Così per colpa di un errore geografico entrai in con-
tatto per la prima volta con una comunità salesiana,
che comprendeva un rettore inglese, due australiani
in formazione, sacerdoti italiani e tedeschi, in un
momento in cui le patrie di questi uomini erano
impegnate in un conflitto mortale.
Molti dei fratelli degli studenti stavano combat-
tendo contro i soldati tedeschi e italiani nei con-
flitti europei, e così i membri della comunità sof-
frivano spesso dei commenti insensibili di giovani
sconsiderati. Eppure, nonostante questi commenti
offensivi, erano così uniti nel prendersi cura l’uno
dell’altro e dei loro studenti, fino al punto di con-
dividere il loro cibo razionato con noi, in modo che
avessimo abbastanza da mangiare.
12
GIUGNO 2022

2.3 Page 13

▲back to top
Con il passare del tempo tutti noi arrivammo ad
ammirare e ad apprezzare un gruppo di uomini
che potevano elevarsi al di sopra delle divisioni e
dei conflitti nazionali e la cui vita testimoniava
fraternamente tutto ciò che è di valore evangelico.
Spesso ci parlavano anche della vita di san Giovan-
ni Bosco, che dedicò tutta la sua vita a creare un
mondo migliore dando ai giovani ogni possibilità
di diventare buoni cristiani e buoni cittadini. Tale
fu la forza di quella testimonianza che più tardi
quattro del nostro gruppo, me compreso, tornaro-
no per unirsi a loro dopo aver preso la decisione di
entrare nel sacerdozio.
Fu nello stesso Collegio che entrai nel Noviziato
Salesiano nel 1950, a soli 19 anni. E feci la mia pri-
ma professione religiosa come salesiano nella festa
di San Giovanni Bosco nel 1951.
Ho poi trascorso tre anni di formazione salesiana
al Salesian College, Sonada, India prima di torna-
re in Australia. Dopo gli studi teologici a Bollen-
go, un seminario salesiano internazionale in Italia,
sono stato ordinato il 1° luglio 1960. Nel 1961 ho
ricevuto il mio primo incarico come Prefetto degli
Studi al Salesian College Sunbury, la stessa scuola
che avevo conosciuto e ammirato.
Come si è svolta la tua “carriera”
salesiana?
Sotto la benedizione e la grazia di Dio, ho vissuto
e goduto di una vita arricchita da tre carriere: il sa-
cerdozio, l’amministrazione scolastica e il giornali-
smo. Mi sono spesso meravigliato di come ognuna
di esse ha arricchito le altre due e ha reso possibile
affrontare le sfide quotidiane. Ci sono stati davvero
giorni impegnativi, ma proprio quelle sfide hanno
portato opportunità di crescita personale e un senso
di realizzazione e di benessere.
Il sacerdozio: il mio ministero sacerdotale in 60
anni si è svolto principalmente nella cura pastorale
salesiana degli insegnanti, degli studenti e degli ex
studenti dei sei Collegi di cui sono stato sia Rettore
della comunità sia preside del Collegio.
Amministrazione educativa: con i titoli di preside,
rettore e prefetto degli studi, ho trascorso 40 anni
alla guida di comunità scolastiche in tutta l’Austra-
lia, principalmente in collegi regionali co-educativi
diocesani.
Giornalismo: dopo la mia nomina a redattore
del Bollettino Salesiano, sono entrato a far parte
dell’Australasian Catholic Press Association, che mi
ha portato a “un interesse sempre maggiore per le
pubblicazioni religiose dell’Australia e della Nuova
Zelanda”. Oltre a curare il Bollettino Salesiano, ho
scritto riflessioni per vari giornali e riviste cattoliche
e ho partecipato alle conferenze annuali dell’acpa.
Questa associazione ha creato, nel corso degli anni,
una comunità di redattori “la cui influenza nella
Chiesa australiana e neozelandese è impressionante”.
In alto:
Don Frank
presiede
l’Eucaristia
nella sua
comunità.
A sinistra:
Don Frank
con uno dei
tanti premi
ricevuti per la
sua carriera
giornalistica.
GIUGNO 2022
13

2.4 Page 14

▲back to top
L’INVITATO
Le
opere salesiane in Australia, Samoa
e c’è una forte domanda di servizi
e Fiji sono imprese
dei salesiani.
vibranti
Da quanti anni sei direttore
del Bollettino Salesiano?
Sono stato direttore dell’Australian Salesian Bulletin
per 39 anni a partire dai primi anni ’80 e ho por-
tato questa responsabilità durante i lunghi anni di
insegnamento. La letteratura inglese è stata la mia
principale materia di insegnamento e di distensio-
ne. Fin dai primi anni sono sempre stato affasci-
nato dal potere della parola tessuta, sia parlata che
scritta.
Così, all’inizio degli anni ’80, quando l’ispettore mi
chiese di diventare il direttore del Bollettino Sale-
siano Australiano, fui felice e desideroso di farlo.
Consapevole che il direttore del primo Bollettino
Salesiano era san Giovanni Bosco, mi sembrò un al-
tro modo di seguire il Padre e guida della gioventù”.
Ma prima erano necessarie alcune qualifiche in
giornalismo che comportarono la frequenza di
corsi serali per diversi mesi. Poi entrai a far parte
dell’Australasian Catholic Press Association (Au-
stralia, Nuova Zelanda e Oceania) e in quei primi
anni imparai molto sul giornalismo dai colleghi
redattori: formazione del gruppo dei pari. Dal
punto di vista salesiano, ho guadagnato molto dai
consigli e dalla guida di don Giuseppe Costa che
è stato direttore del Bollettino Salesiano Italiano.
Anche se sono 39 anni che ricopro il ruolo di di-
rettore, il rinnovamento è stato continuo grazie al
reclutamento di nuovi membri e competenze nella
redazione.
Da quando i salesiani sono in Australia?
Un gruppo di salesiani fu inviato nella regione di
Kimberley, nell’Australia occidentale, nel 1922,
su espressa richiesta della Congregazione di Pro-
paganda Fide (l’organismo vaticano responsabile
all’epoca dell’organizzazione del lavoro missionario
della Chiesa). Propaganda Fide vide questa come
un’importante spedizione missionaria e così fece
del leader del gruppo un vescovo - il vescovo Ernest
Coppo. Il resto del gruppo era composto da quattro
sacerdoti e tre fratelli.
I primi salesiani arrivarono in Australia nel 1922 per
lavorare con gli aborigeni australiani nel Kimberley.
Alla fine si trasferirono nel Victoria dove nel corso
degli anni fondarono diverse scuole e altre opere nel
Victoria, Tasmania, Australia del Sud e Nuovo Gal-
les del Sud. Inizialmente i salesiani che lavoravano
in Australia erano collegati ai salesiani degli Stati
Uniti, ma nel 1958 divennero un’entità indipenden-
te chiamata ‘provincia’: la Provincia di Maria Ausi-
liatrice. Questa provincia ora comprende Australia,
Samoa, Fiji e Nuova Zelanda e ci sono 107 sacerdoti
e fratelli che lavorano in 15 centri diversi.
14
GIUGNO 2022

2.5 Page 15

▲back to top
Come sono le opere salesiane
attualmente?
La situazione attuale: 14 comunità, 11 parrocchie,
12 scuole, 5 centri giovanili, 1 centro di ritiro.
Negli ultimi anni i Salesiani hanno cercato di ri-
spondere alle mutate esigenze e alle circostanze
della Chiesa australiana. Alcune opere sono state
chiuse perché non erano più vitali. Altre hanno
cambiato la natura della loro missione. Altre opere
sono state rinnovate per rispondere meglio ai bi-
sogni contemporanei. Un nuovo centro giovanile è
stato istituito a St Marys nel 1992. Una nuova casa
di formazione è stata aperta a Clifton Hill nel 2002
e un nuovo Centro Ispettoriale è stato istituito a
Ascot Vale nel 2004.
Attualmente ci sono circa 107 sacerdoti e fratelli
salesiani in Australia, Samoa, Nuova Zelanda e Fiji
che svolgono più di 60 diversi tipi di attività in 15
centri diversi.
Le questioni chiave che l’Ispettoria si trova ad af-
frontare sono l’invecchiamento dei salesiani, una
carenza acuta di vocazioni in Australia, risorse li-
mitate e la necessità di rispondere in modo creativo
ai cambiamenti della Chiesa e della società.
Tuttavia, le opere salesiane in Australia, Samoa e
Fiji sono imprese vibranti e c’è una forte domanda
di servizi dei salesiani. In molte opere i salesiani
stanno lavorando in modo cooperativo insieme a
partner laici, tra i quali c’è un rinnovato interesse
per lo spirito e la missione di don Bosco. A Samoa,
che continua ad essere una ricca fonte di vocazioni,
i salesiani locali stanno progressivamente assumen-
do una maggiore responsabilità nella direzione del
numero e della varietà crescente di opere.
noi adulti. La maggior parte delle commissioni pro-
vinciali, specialmente la Pastorale Giovanile, hanno
una forte rappresentanza di giovani che si sono lau-
reati nei programmi di Leadership della provincia e
ora le pecore sono diventate pastori.
La Congregazione Salesiana
ha un futuro in Australia?
La risposta semplice è sì, ma con una forte dipen-
denza dai salesiani provenienti dalla regione del
Pacifico e dell’Asia. Una risposta pessimistica è no,
se deve dipendere da vocazioni locali nate in Au-
stralia. A lungo termine, la missione dei Salesiani
sarà nelle mani dei nostri partner laici. E saranno
rinvigoriti dalla presenza di alcuni salesiani, che –
si spera – forniranno il lievito e il sale di cui parla
Gesù nel Vangelo.
E che dire ora della tua vocazione?
Essendo membro della Società di San Francesco di
Sales, mi attengo alla definizione di vocazione ba-
sata sulle parole dello stesso san Francesco di Sales:
“Una buona vocazione è semplicemente una volon-
tà ferma e costante in cui la persona che è chiamata
deve servire Dio nel modo e nei luoghi in cui Dio
Onnipotente l’ha chiamata”.
A 90 anni, mentre aspetto la sua seconda chiama-
ta, con una volontà ferma e costante, lo servo nel
modo e nei luoghi in cui mi ha già chiamato.
Copertine
del Bollettino
Salesiano
australiano.
Come sono i giovani australiani?
Mi sono ritirato dall’insegnamento con un enorme
apprezzamento della bontà dei giovani. Tra i giovani
australiani, anche se non sembrano essere molto re-
ligiosi, la maggior parte ha una mente spirituale. La
loro generosità, l’entusiasmo giovanile, l’idealismo e
il senso di equità e giustizia hanno molto da offrire a
GIUGNO 2022
15

2.6 Page 16

▲back to top
LE CASE DI DON BOSCO
Fausto Santeusanio
I Salesiani nel cuore d’Italia
Compie cento anni
l’opera salesiana di Perugia
L’opera
salesiana nel
panorama
della bella
città di
Perugia.
Il 2022 coincide con il pri-
mo centenario della presen-
za dell’Opera Salesiana a
Perugia, 1922-2022. Sorge
spontaneo un sentimento di
gratitudine per l’attività edu-
cativa e formativa svolta sinora con continuità e
concretezza. È stato percorso un lungo e proficuo
cammino che ha trovato nell’oratorio, nello sport,
nella scuola, nella formazione professionale gli am-
biti operativi dell’azione educativa dei Salesiani.
Il rione di Porta Sant’Angelo
I Salesiani, quando arrivarono a Perugia nel 1922,
si impegnarono subito nella vita di quel rione spe-
ciale, che era Porta S. Angelo, condividendo le
ansie e le speranze di gente povera e semplice. Sta-
bilirono un forte legame con gli abitanti del rione
e in poco tempo guadagnarono la stima e l’ammi-
razione di tutti. La gente ne apprezzava la cordiale
socievolezza e il modello di vita esemplare, qualità
che nel tempo non sono mai venute meno e che
hanno loro permesso di dedicarsi all’educazione dei
giovani perugini con grande passione.
L’Oratorio
L’Oratorio aperto dai Salesiani in via della Cera di-
venne subito un centro di attrazione per i bambini e
i ragazzi non solo di Porta Sant’Angelo, ma anche
di altri quartieri cittadini. Gli oratoriani avverti-
vano che quei preti che giocavano e pregavano con
loro, potevano offrire l’aiuto per realizzare i propri
sogni e le proprie ambizioni. L’oratorio era il luogo
dove si giocava a pallone, si recitava, ci si preparava
alla prima comunione, si viveva il cortile, si cemen-
tavano le vere amicizie: è stato il luogo dove si pra-
ticava la solidarietà e molti mostravano con dignità
e orgoglio la condizione di figli di operai poveri.
Ed ancora è stato l’ambiente che ha consentito agli
allievi di sviluppare le proprie passioni, di provare
a realizzare i propri sogni o quanto meno di cercare
le basi per prepararsi alla vita.
16
GIUGNO 2022

2.7 Page 17

▲back to top
L’oratorio dei Salesiani occupò i ragazzi in tante
iniziative ludiche, culturali, sportive, turistiche,
religiose e tutto veniva vissuto in allegria. Inizial-
mente, hanno prevalso, per continuità, due attività:
il teatro e lo sport. La Filodrammatica Don Bosco
e l’Unione Sportiva Don Bosco sono sorte subito,
a novembre del 1922 e all’inizio del 1923. Il primo
spettacolo teatrale avvenne il 10 dicembre 1922,
solo due mesi dopo l’arrivo a Perugia e la recita-
zione è stata da allora per decenni un valido mezzo
pedagogico e una palestra di socializzazione. È sor-
prendente il gran numero di spettacoli allestiti an-
nualmente, che non cessarono neanche durante la
guerra. In città erano molto graditi ed erano seguiti
dai perugini che affluivano alla Sala Don Bosco in
gran numero e con piacere perché il divertimento
era assicurato. Nel teatro Don Bosco hanno impa-
rato a recitare Franco Bicini e Artemio Giovagnoni,
dai quali è nato poi il teatro dialettale a Perugia.
I due impareggiabili autori hanno iniziato a calcarlo
fin dalla metà degli anni ’30, ancor molto, un lavoro
da loro scritto e interpretato, e sono andati avanti
fin tanto che nel 1960 non furono scritturati dalla
rai, insieme ad altri loro amici della filodrammati-
ca. Fra i ragazzi dell’Oratorio vorrei ricordare anche
Armando Catrana, che alla fine degli anni ’60 ha
lasciato un lavoro sicuro e dignitoso con belle pro-
spettive di vita per entrare nella famiglia salesiana
e partire poi come missionario per il Brasile dove,
all’età di 84 anni, tuttora svolge la sua opera di edu-
catore fra i giovani poveri di quel paese.
L’Unione Sportiva don Bosco, divenuta poi Poli-
sportiva Giovanile Salesiana (pgs), si costituì all’i-
nizio del 1923 ed è ancor oggi in buona salute con
oltre trecento ragazzi tesserati e praticanti, racco-
gliendo viva soddisfazione delle loro famiglie. È
dunque un secolo che gli atleti della “Don Bosco”
mettono in campo i valori autentici dello sport che
sono stati educati a osservare. Questo stile non ha
impedito di conseguire significativi risultati agoni-
stici e proprio l’agonismo sportivo ha poi rappre-
sentato per i nostri giovani una vera palestra di vita
con affermazioni anche in campo sociale. La pgs
può rivendicare nei confronti della città anche altri
grandi meriti: nel 1956 ideò e organizzò poi per 12
anni consecutivi, le Olimpiadi Salesiane, che di-
vennero una riuscitissima festa della gioventù pe-
rugina alla quale ogni anno aderirono centinaia di
ragazzi con il consenso gratificante di tutta la città,
delle autorità e della stampa. I ragazzi di allora, che
si preparavano per tutta l’estate, aspettavano con
ansia la cerimonia di apertura allo stadio cittadino
“Santa Giuliana” e poi le gare con le premiazioni e
il medagliere. Vissero così sensazioni straordinarie
perché scoprirono che non c’era solo il calcio per
giocare ma anche la pallacanestro, la pallavolo e
poi il ciclismo, il tennis, il nuoto e l’atletica leggera.
L’Olimpiade fu un formidabile veicolo di promo-
zione sportiva e un moderno, intelligente strumen-
to di aggregazione. Negli anni ’70-’80 la polispor-
tiva con la squadra di pallacanestro femminile
raggiunse la promozione in serie A. Fu per tutta la
città una bella sorpresa con indubbi benefici anche
sociali, ma l’attività di questa memorabile squadra
si esaurì nel giro di alcuni anni, soprattutto perché
per i Salesiani ci sono altre priorità.
Tante migliaia
di giovani
perugini
hanno
soggiornato
dentro le aule
scolastiche
dei
“Salesiani”,
formando,
nel tempo,
un qualificato
gruppo
di uomini
che si sono
distinti per
competenza
e serietà nei
più diversi
ambiti del
contesto
cittadino.
GIUGNO 2022
17

2.8 Page 18

▲back to top
LE CASE DI DON BOSCO
Il Centro di
Formazione
Professionale
è una fucina
di tecnici
altamente
qualificati.
Il centro si
propone il
recupero
sociale dei
ragazzi
attraverso
la formazione
e il lavoro.
La Scuola
Nel 1958, grazie alla volontà e alla tenacia di don
Arturo Caria, iniziò l’attività scolastica del nuovo
e razionale complesso di Viale Pellini. Qualcuno,
in città, lo chiamava “il Collegio dei Salesiani”, ma
in realtà era solo una intelligente anticipazione di
quella che decenni più tardi sarebbe stata definita
“scuola a tempo pieno”: una soluzione innovativa
che andava incontro alle esigenze di molte fami-
glie. C’era poi la possibilità di svolgere anche atti-
vità fisica e sportiva nel campo di calcio, al quale,
qualche anno più tardi, si sarebbe aggiunta una
moderna palestra, che ha completato uno dei più
attrezzati impianti sportivi della città (compreso un
campo di calcio in erba sintetica con illuminazione
a led), di cui i ragazzi della polisportiva Salesiana
e di altre associazioni sportive della città si avval-
gono tutt’oggi. La scuola era articolata in Medie,
Ginnasio, Liceo Classico e successivamente in liceo
linguistico ed europeo. In seguito, nel 1980, venne
inaugurato il Centro di Formazione Professionale
(cnof-fap). Tante migliaia di giovani perugini
hanno soggiornato dentro le aule scolastiche dei
“Salesiani”, formando, nel tempo, un qualificato
gruppo di uomini che si sono distinti per compe-
tenza e serietà nei più diversi ambiti del contesto
cittadino: professionisti e imprenditori, managers e
politici. Alcuni di questi sono poi assurti ai mas-
simi livelli sia nazionali sia internazionali delle ri-
spettive categorie di appartenenza.
Più di recente, le ricorrenti difficoltà economiche,
accresciute dalla necessità di avvalersi ormai com-
pletamente di insegnanti esterni, hanno determi-
nato il progressivo allentamento dell’impegno dei
Salesiani in ambito scolastico, così che, dopo l’a-
pertura e la gestione con buon successo anche di
un Liceo Linguistico, la fine del primo decennio
di questo secolo ha visto la cessazione definitiva
delle lezioni nell’Istituto storico di Via “D. Bosco”.
Ha fatto seguito l’istituzione di una residenza per
giovani universitari, che si è rapidamente affermata
grazie anche ad un sostegno di tipo formativo of-
ferto dai Salesiani.
Il Centro di Formazione
professionale
Continua invece la propria preziosa attività, sia
pure tra difficoltà di carattere burocratico-ammi-
nistrativo, il Centro di Formazione Professionale
(cnos-fap) ancora oggi fucina di tecnici altamente
qualificati. Il centro si propone il recupero socia-
le dei ragazzi attraverso la formazione ed il lavoro.
Gli allievi molto spesso provengono infatti da in-
successi scolastici e da contesti sociali e culturali
degradati. Al riguardo si riscontra la validità della
formazione e della successiva occupazione per l’in-
serimento attivo dei ragazzi nella società. I giovani
si trasformano letteralmente e il loro successo costi-
tuisce una grande soddisfazione e un grande rico-
noscimento per gli insegnanti del Centro.
18
GIUGNO 2022

2.9 Page 19

▲back to top
Guardando al futuro
È una storia meravigliosa lunga un secolo, fatta di
risultati straordinari ai vari livelli nel contesto so-
ciale della città di Perugia, e vogliamo tutti che essa
continui ad offrire ai giovani delle opportunità di
formazione adeguata ai tempi.
Gli exallievi ed altre componenti laiche, che fino
ad ora sono stati sempre accanto ai Salesiani con un
sostegno prezioso e costante anche di responsabili-
tà, dovranno continuare ad offrire la loro insostitui­
bile collaborazione. Non mancano le difficoltà ed
accanto alle luci affiorano delle ombre per diverse
ragioni. E allora, viene spontaneo chiederci: quale
potrà essere il futuro dei Salesiani a Perugia, degno
del passato? L’abbiamo chiesto ad alcuni exallievi
da tempo molto impegnati accanto ai Salesiani.
Elvisio Regni, Direttore del Centro di Formazione
Professionale cnos-fap: “Il 2021 è stato il 40° del-
la nascita della Formazione professionale salesiana
in Umbria; sono stati 40 anni di grandi difficoltà
ma anche di grandissime soddisfazioni per le centi-
naia di allievi/e che nella casa di don Bosco hanno
potuto creare il loro progetto di vita. I nostri tre
Centri di Perugia, Foligno e Marsciano continue-
ranno quindi ad offrire ad allievi ed allieve una for-
mazione di qualità secondo il Progetto educativo di
don Bosco con grande soddisfazione anche per le
famiglie e per le aziende regionali”.
Lanfranco Papa, uomo della Provvidenza per i Sa-
lesiani di Perugia, tuttora responsabile della condu-
zione della pgs con oltre 300 giovani impegnati in
attività sportive: “La Polisportiva Giovanile Sale-
siana Don Bosco di Perugia, della quale mi degno
di essere Presidente, continuerà, come fatto nei suoi
precedenti cento anni di storia, ad essere vicina,
giorno per giorno, alle centinaia di giovani che fre-
quentano i nostri cortili, i campi di gioco, la pale-
stra e le strutture di accoglienza. Lo faremo, senza
soluzione di continuità, a loro servizio e vantaggio
per farli crescere bene socialmente, umanamente e
cristianamente, con la nostra piena e continua te-
stimonianza di laici impegnati e responsabili, ga-
rantendo, allo stesso tempo, un sistema di rapporti
interpersonali con i giovani e con le loro famiglie
improntato al massimo rispetto ed alla massima
collaborazione”.
Gaetano Mollo, pedagogo e docente universitario:
“Lo studentato universitario salesiano offre ogni
anno a 35 studenti universitari di poter svolgere i
loro studi presso l’Ateneo di Perugia in serenità,
con la possibilità di gestirsi e di coltivare interessi
ricreativi, sportivi, sociali e religiosi, in un ambien-
te sano, funzionale e decoroso. La stessa vicinanza
al Centro storico permette la partecipazione a tanti
eventi culturali, come Umbria Jazz, o al program-
ma teatrale del Morlacchi. Ciò che ci si prefigge
per questi giovani studenti e studentesse è di poter
non solo affrontare con successo i loro percorsi di
studio ma anche di fare un’esperienza comunita-
ria – guidata da una presenza di coordinamento e
animazione – volta ad affinare competenze relazio-
nali, collaborative e comunicative, per affrontare il
mondo del lavoro con competenza ma anche con
spirito di condivisione, forgiando un atteggiamento
partecipativo ed empatico.
Hanno collaborato gli exallievi Claudio Cristallini,
Giuliano Molinari e Alberto Stafficci.
La gente
continua ad
apprezzare
la cordiale
socievolezza
e il modello
di vita
esemplare
dei Salesiani,
qualità che
nel tempo
non sono mai
venute meno
e che hanno
loro permesso
di dedicarsi
all’educazione
dei giovani
perugini
con grande
passione.
GIUGNO 2022
19

2.10 Page 20

▲back to top
IN PRIMA LINEA
Manuel Garcia
Traduzione di Marisa Patarino
Incontro con padre
Camiel Swertvagher
«Ho scelto di essere missionario “ad gentes” e “ad vitam”»
Il sorriso e
la serenità
di padre
Camiel.
Qual è la sua carta d’identità?
Il mio nome è Camiel Swertvagher. Sono nato il
27 marzo 1952 a Veurne, nelle Fiandre occidentali,
in Belgio (ho appena festeggiato il mio 70° comple-
anno, questo 27/03/2022, nel luogo santo di don
Bosco Valdocco-Torino). I miei genitori, Henri e
Alice, hanno dato alla luce sei figli, tre maschi e
tre femmine, e io sono il più grande. I miei genitori
erano agricoltori; da bambino e da giovane ho go-
duto di questa vita nella fattoria. I miei cari genitori
erano profondamente cristiani e ci hanno educato
nella fede e attraverso la loro testimonianza di vita.
Com’è nata la sua vocazione?
1953: ho più o meno un anno; mamma è molto
malata, potrebbe anche morire; è all’ospedale di
Lovanio; mamma e papà pregano e invocano la
beata Madre Maria e... don Bosco (questo tramite
una signora che è in contatto con la Famiglia Sa-
lesiana e dà alla mamma una copia della novena
a don Bosco); la mamma comincia a stare sempre
meglio e all’uscita dall’ospedale, i miei genitori
vanno alla casa provinciale di Bruxelles e compra-
no una piccola statua di Maria Ausiliatrice; a casa,
poco prima dell’ingresso della nostra fattoria, papà
ha costruito una piccola “grotta” e su una lastra di
pietra ha fatto scrivere le seguenti parole: “Maria
Ausiliatrice, prega per noi - 1953”; andavamo lì e
dicevamo il Rosario in famiglia circondati da fiori e
candele accese; quando arrivavamo all’ultima deca-
de, papà interveniva e diceva: “l’ultima decade è per
ringraziare...”; eravamo piccoli allora e solo molto
più tardi abbiamo capito che cosa voleva dire...
Quando ero in seconda o terza elementare, padre
Gerard, un prete missionario in Congo, ci mostrò
delle diapositive sulla sua missione; non l’ho mai
dimenticato. Forse è stato l’inizio del mio interesse
per la vita missionaria.
1964: che cosa farò in futuro? Andare a Nieuw­
poort (studiare agricoltura?); no, ma invece vengo
mandato a Poperinge dove completo la 7a classe ma
non vado oltre. Rimango lì solo un anno...
1965: c’è un ragazzo del mio villaggio, Frans
Candaele, ed è allievo della scuola Don Bosco di
Courtray. Don Antoine Pollet è un prete salesia-
20
GIUGNO 2022

3 Pages 21-30

▲back to top

3.1 Page 21

▲back to top
no che gira tutta la diocesi di Bruges in cerca di
allievi per la sua scuola; nella parrocchia vicina, il
parroco, don Georges Lecluyse, che conosce bene i
miei genitori, un giorno dice loro: “La scuola Don
Bosco di Courtray è un’ottima scuola!”. Ed è lì che
approdo. Eppure, durante tutti gli anni precedenti,
don Bosco ci era rimasto sconosciuto.
Tra il 1965 e il 1972, sono immerso nello spirito
salesiano; a 11 o 12 anni, comincio a pensare di di-
ventare prete; durante i miei studi alla scuola Don
Bosco, mi chiedevo che cosa dovevo fare: diventare
prete diocesano o salesiano? Ero già stato cattura-
to dal “virus salesiano”; sentivo che non potevo più
separarmi da don Bosco! E il desiderio di diventare
missionario era ancora presente.
Alcuni missionari venivano nella nostra scuola e ci
raccontavano molte cose del loro lavoro missiona-
rio: Congo, Corea, India, Sud America. Fu così che
entrai nel noviziato salesiano di Heverlee (Lovanio)
nel 1972 e l’8 settembre 1973 feci la mia prima pro-
fessione religiosa.
Perché ha scelto l’Africa?
Infatti, non ho “scelto” l’Africa all’inizio della mia
vita salesiana. Naturalmente, fin dal noviziato, ave-
vo espresso il mio desiderio di essere missionario.
A quel tempo, era consuetudine che un giovane
salesiano che voleva andare in missione fosse man-
dato in un luogo dove c’erano già altri missionari
dell’ispettoria di origine (Belgio del Nord). Questo
è stato fatto per dare al giovane confratello un buon
inquadramento e per accompagnarlo nella sua for-
mazione pratica. Solo i confratelli più anziani o i
sacerdoti salesiani o i fratelli di voti perpetui pote-
vano andare in altri paesi dell’America o dell’Asia.
In breve, per me e per altri giovani confratelli, la
«Sono andato
in Africa nel
1975, 100 anni
dopo i primi
missionari
che don Bosco
mandò in
Patagonia.
Ho sempre
trovato questo
significativo!»
GIUGNO 2022
21

3.2 Page 22

▲back to top
IN PRIMA LINEA
«Come
in tutto il
mondo,
anche in
Africa i
giovani
vivono
l‘entusiasmo
della
gioventù.
Quando
siamo vicini
a loro, si
aprono al
dialogo
amichevole o
fraterno».
destinazione della missione era l’Ispettoria Salesia-
na dell’Africa Centrale (afc), composta all’epoca
da tre paesi: Congo (oggi Repubblica Democratica
del Congo, Ruanda e Burundi). Nell’afc c’erano
molti confratelli belgi. Dopo il post-noviziato e i
miei studi di filosofia, ho avuto la fortuna di poter
andare per la prima volta in Africa, in particola-
re in Burundi. Era il 1975, 100 anni dopo i primi
missionari che don Bosco mandò in Patagonia. Ho
sempre trovato questo significativo!
Quanti paesi africani ha conosciuto?
Finora, durante 42 anni di presenza “effettiva” in
Africa, ho vissuto principalmente in quattro paesi:
2 anni in Burundi, 26 anni in Ruanda, 10 anni in
D.R. Congo e 4 anni in Kenya. Se sono stato in
altri paesi africani (e in Madagascar), è semplice-
mente per riunioni regionali o altri servizi. Sono
stato in Etiopia, Senegal, Costa d’Avorio, Nigeria,
Camerun, Congo-Brazzaville, Uganda, Tanzania,
Angola, Zambia, Mozambico, Sud Africa e Mada-
gascar. Nel 2021, il Rettore Maggiore mi ha chie-
sto di fare la visita straordinaria alla Vice-Provincia
di ate; così, oltre al Camerun, ho avuto l’opportu-
nità di visitare Gabon, Repubblica Centrafricana,
Ciad, Guinea Equatoriale e Togo.
Qual è stato il suo “percorso”
salesiano?
Dopo gli studi teologici al cks di Leuven (Belgio),
sono stato ordinato il 4 aprile 1981. L’anno seguen-
te ho fatto l’insegnante e l’animatore della Scuola
Tecnica Ufficiale di Don Bosco di Kicukiro a Ki-
gali (Rwanda); allo stesso tempo responsabile della
Pastorale Interscolastica (tra scuole secondarie) a
Kigali. Sono stato in seguito direttore, vice ispet-
tore ed ispettore della nostra Ispettoria per tutti
questi anni.
Quali opere ricorda meglio?
Ho ottimi ricordi del mio servizio nell’educazio-
ne e nell’evangelizzazione durante gli anni 1981-
1991 quando ero alla Scuola Tecnica Don Bosco
a Kicukiro, Kigali, Rwanda. È lo stesso per tutti
gli anni di servizio nella pastorale giovanile quan-
do ero nella casa che ho appena menzionato, ma
anche al Centro Giovanile di Gatenga dove ho po-
tuto organizzare la pastorale giovanile alla “Maison
d’Accueil et de Prière” (map) tra il 1991 e il 1994.
Qual è il suo compito attuale?
Nel 2018, il Rettor Maggiore mi ha chiesto di occu-
parmi della formazione permanente nella Regione
dell’Africa e del Madagascar. Con François Du-
four (dell’Ispettoria Salesiana dell’afm) abbiamo
formato l’equipe del safcam (= Centro Salesiano
di Formazione Africa Madagascar). Poiché ci sono
pochi confratelli nell’afm, François è tornato nella
sua provincia d’origine dopo tre anni di servizio al
safcam. Attualmente, sono al mio secondo man-
dato triennale e sono in attesa di un confratello che
sostituisca François. Il safcam assicura la forma-
zione permanente non solo dei confratelli, ma anche
dei membri della Famiglia Salesiana e dei collabo-
ratori laici. Quando riceviamo gruppi, possiamo
utilizzare le strutture della nostra casa “Don Bosco
Youth Educational Services” (dbyes) a Nairobi. Ma
siamo anche un’équipe mobile; a volte le Ispettorie
Salesiane della Regione ci chiedono di andare ad
22
GIUGNO 2022

3.3 Page 23

▲back to top
animare gruppi in loco. Ogni anno diamo un cor-
so di formazione per i nuovi direttori di comunità.
Altri temi di formazione, specialmente nel campo
della “salesianità”, sono occasionali, come “Il siste-
ma preventivo in contesti africani”, “Educazione
all’amore”, “L’oratorio e la missione salesiana”, “La
lettera da Roma - 10 maggio 1884”, “Francesco di
Sales”, ecc. Spesso ci viene chiesto di animare il
“quinquennio” dei confratelli e la preparazione dei
confratelli alla professione perpetua. La formazione
dei formatori e degli accompagnatori spirituali sono
laboratori formativi che stanno diventando sempre
più importanti. La situazione della pandemia ha
creato la necessità di animare e formare online, e
allo stesso tempo siamo stati in grado di avviare
il sito web safcam (www.safcam.org). Due volte
all’anno pubblichiamo anche la Newsletter Safcam.
Come servizio regionale, il safcam è sempre rap-
presentato nella Commissione Regionale di Forma-
zione (rfc) e nella civam (Conferenza dei Provin-
ciali di Africa e Madagascar).
Come sono i giovani africani?
E quali sono i problemi della
Famiglia Salesiana in Africa?
Come in tutto il mondo, anche in Africa i
giovani vivono l’entusiasmo della gioventù.
Quando siamo vicini a loro, si aprono al dia-
logo amichevole o fraterno. Il nostro sorriso
apre i loro cuori: don Bosco diventa “africa-
no”! E quando parliamo la “loro” lingua,
allora siamo ben collegati. Nella
mia vita missionaria, ho visto
l’importanza di conoscere la
cultura e la lingua locale.
Certo, i giovani sono an-
che desiderosi di imparare,
di trovare lavoro, di vivere
con dignità. In diversi pae­
si, ho trovato giovani che
si impegnano per gli altri.
I giovani costituiscono la
maggioranza della popolazione in Africa e han-
no grandi necessità. In alcune parti del continen-
te, i bambini e i giovani affrontano la violenza,
il terrorismo e la guerra. La parte orientale della
Repubblica Democratica del Congo, per esempio,
soffre da decenni! Altri sono vittime di fame, po-
vertà, disoccupazione, disordini familiari e altri
problemi.
Quali sono i suoi progetti e sogni
per il futuro?
Per il momento e nel prossimo futuro, intendo con-
tinuare il mio impegno di formazione
permanente nella nostra Regione
Africa-Madagascar. Naturalmen-
te, altre persone collaboreranno a
questa formazione. Naturalmente,
verrà il giorno in cui sarò sostitui­to
da un altro confratello: è bene e ne-
cessario ringiovanire la squadra del
safcam. Se piace a Dio, vorrei an-
cora essere disponibile ad aiutare
dove c’è bisogno nella missione
salesiana. Avevo scelto di esse-
re missionario “ad gentes” e “ad
vitam”. Con la grazia di Dio,
voglio continuare a servire i gio-
vani, i confratelli, la Famiglia
Salesiana e le persone coinvolte
nella stessa missione di don Bo-
sco nella nostra Regione che è in
costante crescita.
«Il nostro
sorriso apre
i loro cuori:
don Bosco
diventa
“africano”!
E quando
parliamo la
“loro” lingua,
allora siamo
ben collegati.
Nella mia vita
missionaria,
ho visto
l‘importanza
di conoscere
la cultura
e la lingua
locale».
GIUGNO 2022
23

3.4 Page 24

▲back to top
FMA
Emilia Di Massimo
Uinnmaorvcihmiveinotostorico
Una serie di iniziative fantastiche
per ritrovare la memoria e la profezia.
Ancora oggi
a Nizza sono
attivi l’istituto
scolastico,
l’oratorio, la
formazione
professionale,
la sede
di molte
associazioni e
ultimamente
anche
dell’Archivio
storico
dell’Ispettoria
piemontese,
luogo di
memoria e di
profezia.
Profumo di antico, carte ingiallite, grafie
chiare ed illeggibili; attori in costumi stori-
ci, giovani alle prese con telecamere e green
screen, studiosi che organizzano convegni
ed incontri divulgativi, una suora che lavora al
computer. Presenze attive all’interno di edifici che
parlano di una lunga storia che si è snodata con una
serie di Dio-incidenze dal 3 marzo 1870 quando, su
di un treno due viaggiatori, don Bosco ed il sindaco
di Nizza Monferrato, Filippo Fabiani, giungevano
a Nizza per vedere un convento di frati francesca-
ni in rovina, trasformato in cantina da una società
enologica: è il primo contatto storico che collega
istituzionalmente don Bosco a Nizza Monferrato,
è l’inizio della presenza salesiana nella cittadina
monferrina.
Suor Paola Cuccioli ci descrive così la casa nella
quale vive, e ci ricorda che don Bosco, nella sua
lungimiranza, ha visto in Nizza Monferrato, i suoi
ampi spazi, come la possibilità di edificare nuove
strutture per accoglie-
re suore e giovani che
potevano rendersi auto-
sufficienti coltivando un orto ed un frutteto; una
cittadina dal clima più sano rispetto a quello di
Mornese, un luogo sicuramente più raggiungibile
in quanto già all’epoca collegato alla rete ferrovia-
ria. Madre Mazzarello vi vivrà gli ultimi anni del-
la sua vita e da qui inizierà la massima espansione
dell’Istituto sia in Italia sia nel mondo.
Don Bosco acquista un edificio cadente ed un san-
tuario dedicato a “Nostra Signora delle Grazie”,
diventato in seguito una cantina, e lo trasforma in
educandato e scuola la quale sarà posta a modello,
formerà future maestre alle quali Maria Mazza-
rello profetizzerà: “Ricordatevi che quando inse-
gnerete sarete prese come un esempio: vengono da
24
GIUGNO 2022

3.5 Page 25

▲back to top
Nizza! A Nizza si faceva così! Vi imiteranno; avete
una grande responsabilità non solo nel prepararvi
ma anche nell’incarnare il sistema preventivo!”
Ancora oggi a Nizza è attivo l’istituto scolastico,
l’oratorio, la formazione professionale, la sede di
molte associazioni ed ultimamente anche dell’Ar-
chivio storico dell’Ispettoria piemontese, luogo di
memoria e di profezia, dove si promuove cultura e
si forgiano persone libere e forti che credono nell’i-
deale della giustizia, della pace e della libertà.
Un anno tra i filari
Suor Paola ci spiega che nella sede dell’Archivio sto-
rico delle Figlie di Maria Ausiliatrice, del quale è
responsabile, attualmente si conservano documenti
cartacei, dischi in vinile, filmine, nastri audio, pizze
di film, spartiti musicali, testi di teatro, fondi per-
sonali, libri; materiale usato sia per la formazione
delle suore sia per l’educazione dei ragazzi. Oltre ad
inventariare il materiale, metterlo a disposizione di
studiosi e cultori di storia, esso è spesso il pretesto e
l’occasione per trasmetterne i contenuti, pertanto na-
scono idee con i volontari, le associazioni del territo-
rio, la parrocchia, la diocesi, il comune. Le iniziative
attuali sono all’insegna della caratteristica principe
del territorio: le viti, come ben si evince dal titolo
della rassegna che racchiude una serie di eventi: “Un
anno tra i filari”. L’attività ha lo scopo di far riscopri-
re la storia del territorio, chi lo ha vissuto, mediante
un ciclo di conferenze dal titolo: “Personaggi illustri,
illustri sconosciuti”, ovvero i salesiani, le suore ed i
laici nicesi che hanno lasciato una traccia significati-
va in Italia o nel mondo.
Tuttavia non è l’unica proposta: si preannunciano
anche iniziative diversificate in collaborazione con
le Associazioni del territorio, la Chiesa locale e
l’Amministrazione Comunale. Il 14 maggio di ogni
anno vorrebbe diventare uno degli appuntamenti
commemorativi per ricordare una cittadina illustre
nel giorno della sua nascita al cielo: Maria Mazza-
rello, così come il 24 maggio, solennità di Maria
Ausiliatrice, soprattutto perché don Bosco l’ha vista
passeggiare sul tetto del Santuario mariano nicese e
l’ha indicata come l’aiuto potente dei momenti dif-
ficili. Un evento assunto è il tradizionale cammi-
no-pellegrinaggio Mor…Nizza, giunto già alla sua
quinta edizione, e nato per ripercorrere la strada da
Nizza a Mornese, la stessa sulla quale Madre Maz-
zarello ha camminato per arrivare a Nizza.
L’Archivio storico delle Figlie di Maria Ausiliatrice,
da quanto presentato è particolare, si potrebbe defi-
nire in movimento, al passo con i tempi e nello stesso
tempo fedele alla storia, in modo del tutto speciale a
quella salesiana. D’altronde scoprire le proprie radici
per intessere legami che costruiscano un futuro di
pace e di speranza è lo scopo soggiacente ad ogni
iniziativa perché, come afferma papa Francesco,
“ciascuno è unico e irripetibile e al tempo stesso in-
confondibilmente legato alle sue radici. Essere figlio
e figlia, infatti, secondo il disegno di Dio, significa
portare in sé la memoria e la speranza di un amore
che ha realizzato se stesso proprio accendendo la vita
di un altro essere umano, originale e nuovo.”
L’attività ha
lo scopo di
far riscoprire
la storia del
territorio, chi
lo ha vissuto,
mediante
un ciclo di
conferenze
dal titolo:
“Personaggi
illustri, illustri
sconosciuti”,
ovvero i
salesiani, le
suore ed i laici
nicesi che
hanno lasciato
una traccia
significativa
in Italia o nel
mondo.
GIUGNO 2022
25

3.6 Page 26

▲back to top
LA FAMIGLIA SALESIANA
Una Volontaria
Volontarie di don Bosco
Carta d’identità di una vita
semplice e ordinaria
che nasconde un fuoco.
Le confidenze
di alcune
ragazze
spinsero don
Rinaldi, terzo
successore di
don Bosco, a
cercare una
forma nuova
per vivere
il carisma
salesiano.
(Le fotografie
dell’articolo
sono di
repertorio).
shutterstock.com
Nome e cognome: Istituto Secolare
“Volontarie di don Bosco” (VDB)
Siamo suore mancate? Mezze suore? Suore laiche?
No: siamo consacrate secolari salesiane. Che cosa
vuol dire? Abbiamo consegnato tutta la nostra vita
a Dio attraverso i consigli evangelici ma niente ci
distingue dagli altri cristiani: viviamo in una casa,
andiamo a lavorare, facciamo la spesa, e viviamo
nello spirito di don Bosco.
Data di nascita: 20 maggio 1917
Don Bosco aveva immaginato l’esistenza di perso-
ne esterne che potessero condividere in pienezza il
carisma salesiano, ma non riuscì a mettere a fuoco
l’idea di una consacrazione secolare, che all’epoca
sarebbe stata incredibilmente visionaria. L’intuizio-
ne è di don Rinaldi. “Di don Bosco gli mancava
soltanto la voce”, fu il suo terzo successore, ma tra i
tanti incarichi trovava sempre il tempo per trascor-
rere le prime ore delle sue giornate in confessionale.
Mi piace pensare che la nostra vocazione sia nata lì.
Le confidenze di alcune ragazze lo spinsero a cerca-
re una forma nuova per vivere il carisma salesiano.
Formò un piccolo gruppo di affezionate oratoriane
e propose loro di “fare del desiderio di spendersi per
Dio e per don Bosco” una scelta di vita, continuan-
do a condurre un’esistenza normale ma con la radi-
calità del dono totale di sé. Il loro modello doveva
essere Maria, che “non aveva nulla di straordina-
rio, benché in essa vi fosse tutto di straordinario”.
L’inizio fu segnato dall’umiltà e dalla precarietà: i
primi incontri si svolsero mentre l’Italia era ancora
impegnata nella Prima Guerra Mondiale e le prime
a professare furono tre. Il piccolo gruppo camminò
nell’iniziale difficoltà a dare forma a un modo di
vivere la consacrazione fino ad allora inconcepibile.
Fotografia: le VDB oggi
Attualmente le Volontarie sono circa 1200, spar-
se in quasi tutti i continenti. Alcune vivono ab-
bastanza vicine tra loro, mentre altre si trovano in
situazioni difficili, ad esempio si trovano a distanza
di ore dalla più vicina o vivono in Stati che non
vedono di buon occhio la presenza di cristiani. Il
nostro stile di vita non si può quindi riassumere in
un’unica immagine perché ognuna esprime il ca-
risma in modo originale, a seconda della realtà in
cui vive. Ognuna di noi appartiene a un Gruppo
che si ritrova per il ritiro mensile, con la guida di
una responsabile e l’assistenza di un sacerdote sa-
26
GIUGNO 2022

3.7 Page 27

▲back to top
lesiano. I Gruppi si riuniscono in Regioni e tutte
le Regioni del mondo fanno capo a un Consiglio
Centrale guidato da una Responsabile Maggiore.
Il nostro percorso nell’Istituto inizia con un perio-
do di Aspirantato e prosegue con la Professione dei
voti, prima temporanea e poi perpetua.
Professione: qualsiasi!
Anche se molte lavorano in campo educativo o
socio-sanitario, qualsiasi professione può essere per
noi uno strumento per testimoniare la fede attra-
verso la dedizione, la competenza e la cura per le
persone che abbiamo accanto. Affrontiamo il la-
voro con la consapevolezza che è un’occasione per
santificarci, per esercitarci ad amare e per scoprire
la bellezza che si nasconde in ogni realtà umana.
Cittadinanza: la Famiglia Salesiana
Il carisma salesiano dà forma alla nostra apparte-
nenza. Anche se non possiamo esporci troppo, il
nostro legame con don Bosco e con don Rinaldi ci
fa sentire a casa nella Famiglia Salesiana. Con gli
altri membri del mondo salesiano condividiamo i
tratti della spiritualità e della carità pastorale di don
Bosco. Per alcune di noi il carisma salesiano è sem-
pre stato come l’aria che abbiamo respirato fin da
piccole. Altre invece hanno incontrato don Bosco
proprio quando hanno scoperto questa vocazione e
hanno iniziato ad apprezzarlo attraverso le parole
di don Rinaldi. Il nostro fondatore indicava spesso
alle prime vdb l’esempio di don Bosco, cercando di
scoprirne i tratti interiori. Alle prime ragazze che
provavano a seguire don Bosco nella quotidianità
indicava in particolare la bontà, la purezza, la de-
dizione al lavoro, l’impegno per i più piccoli. Allo
stesso tempo raccomandava la preghiera e trasmet-
teva la necessità di vivere ogni giorno la meditazio-
ne. Anche per noi oggi incarnare lo spirito di don
Bosco nella quotidianità significa provare a com-
portarci come la candela che “mira in alto, illumi-
na attorno, consuma sotto”. Con questa immagine
don Rinaldi ci spinge a cercare l’unione con Dio,
con lo sguardo sempre rivolto al Cielo anche nel-
le azioni più semplici della giornata; ci chiede un
apostolato coraggioso, che però come la luce non
punta a farsi guardare ma a illuminare il bene che
è nascosto nelle realtà; non ha paura a consumarsi
consegnando totalmente a Dio tutte le energie per
il bene delle persone che le sono affidate.
In pratica? Don Rinaldi ci ha dato l’impegno di
essere le “truppe di riserva” dei salesiani e delle suo-
re, ci ha chiesto di essere dove loro non possono
arrivare. Per questo il nostro modo di incarnare lo
spirito salesiano non si esprime attraverso Opere
nostre, ma è come sbriciolato nel nostro ambiente
di vita: chi può si dedica ai ragazzi, ai poveri, agli
ultimi; tutte viviamo il nostro lavoro e le relazioni
come occasione per sperimentare l’amorevolezza,
l’attenzione, la cura verso le persone che ci sono
messe accanto. Facciamo questo con la sensibilità
che la nostra femminilità ci offre: come don Bosco
fu un padre, noi cerchiamo di vivere una maternità
spirituale verso le persone che ci sono affidate. La
shutterstock.com
«La nostra forza
sta proprio nel
non poterci
distinguere
in nulla dalle
altre persone,
nel poter stare
vicino ai fratelli
accompagnandoli
nella semplicità e
nella fatica della
vita quotidiana».
GIUGNO 2022
27

3.8 Page 28

▲back to top
LA FAMIGLIA SALESIANA
sprona ad aggrapparci a Dio e a cercare la comu-
nione con le persone che abbiamo accanto.
«La
consacrazione
è il modo più
radicale per
affermare
che, dietro la
quotidianità,
c’è un dono
totale e
radicale di
sé».
shutterstock.com
esercitiamo con piccoli gesti e attenzioni, niente di
straordinario ma, piccole cose che possono far sen-
tire le persone ascoltate, rispettate nella loro digni-
tà, valorizzate, accompagnate, amate.
Residenza: nel mondo
(ma non del mondo)
Il nostro posto nella Famiglia Salesiana è quello
delle avanguardie, delle estremità. Non possiamo
accontentarci di stare nelle realtà dove le persone
sono già raggiunte da Opere salesiane, perché sen-
tiamo la spinta ad andare altrove, dove un prete o
una suora difficilmente potrebbero essere accol-
ti nella loro testimonianza esplicita. Il “Da mihi
animas” ci invia ovunque. La nostra vita si svol-
ge interamente “nel mondo”: ognuna di noi ha una
casa, un lavoro, le attività di servizio più disparate
in ogni campo della società. Questa condizione
di vita ci accomuna alla stragrande maggioranza
dell’umanità e la nostra forza sta proprio nel non
poterci distinguere in nulla dalle altre persone, nel
poter stare vicino ai fratelli accompagnandoli nella
semplicità e nella fatica della vita quotidiana. Il no-
stro stare in mezzo agli altri è totale e ci permette
di operare come il lievito nella pasta. La debolezza
di trovarci spesso da sole negli ambienti di vita ci
Stato civile: consacrate
La presenza nel mondo ci espone molto al rischio
di lasciarci trascinare dal “Fan tutti così”, facendo
smettere il cuore di ardere, soffocato dalle spine o da
altri pensieri, e adagiandoci ad una vita mediocre.
La consacrazione è il modo più radicale per affer-
mare che, dietro la quotidianità, c’è un dono totale
e radicale di sé. Non abbiamo una comunità che si
prenda cura di noi, non viviamo la povertà di una
religiosa (che vive in comunità), ma ci sosteniamo
con il nostro lavoro. Non viviamo l’obbedienza dei
religiosi, ma siamo radicate in ogni luogo in cui la-
voriamo e operiamo. Attraverso il discernimento
cerchiamo l’obbedienza nella volontà di Dio, e nel-
le leggi civili; proviamo a leggere i segni dei tempi
e ad ascoltare il grido dell’umanità. Ci consegnia-
mo totalmente a Dio per balbettare una risposta al
suo amore che ci ha precedute e che ci sorprende
sempre con la sua fedeltà e la sua vicinanza. Per noi
che non viviamo in una comunità religiosa, la pie-
nezza della consacrazione è la nostra unica forza,
anche se sperimentiamo la debolezza, la solitudine,
l’incapacità di risolvere situazioni più grandi di noi.
Proprio in queste debolezze Dio ci mostra la sua
misericordia, ricomincia sempre con noi dandoci
nuove occasioni e si serve di noi, per quanto fragili
e inaffidabili, per manifestare il suo amore alle per-
sone che avviciniamo.
La consacrazione, anche se non emerge agli oc-
chi degli altri, cambia il nostro sguardo e il nostro
modo di stare nel mondo. Sapere che apparteniamo
a Dio ci tiene innestate in Lui come i tralci alla vite
e ci sostiene nelle tempeste. Se Dio è con noi, il no-
stro sguardo diventa più buono e capace di trovare
segni di bene e di speranza.
Segni particolari: il riserbo
Spesso ci viene chiesto perché non riveliamo la no-
stra scelta di vita. La forza del riserbo sta nel na-
28
GIUGNO 2022

3.9 Page 29

▲back to top
scondimento, nell’umiltà e nella libertà di portare
ovunque una testimonianza. Dove non possiamo
parlare esplicitamente, ci impegniamo perché i no-
stri gesti parlino per noi, nella consapevolezza che
Dio può servirsi di qualsiasi strada e strumento,
anche di noi, per accendere una scintilla in qualche
anima.
Firma: la mia scelta
Naturalmente non posso mettere la firma su questa
carta d’identità, però posso accennare al perché ho
deciso di giocarmi la vita in questa vocazione. Da
quando conosco don Bosco, ho scoperto che nean-
che io sono così disgraziata da non poter avere nien-
te da dare, che Dio può servirsi persino di me per
manifestare il suo amore. Prendendomi cura dei più
piccoli ho scoperto che questo rendeva felice me, ho
capito che se io volevo bene a dei ragazzi “difficili” e
ricominciavo sempre con loro, allo stesso modo Dio
voleva bene a loro e a me, allora ho desiderato do-
nargli tutta la mia vita. Anche se non capivo come
fare, mi ripetevo “io sto con don Bosco”. Quando ho
scoperto questa strada (perché Dio trova i modi più
originali per indicarti una strada, per quanto nasco-
sta sia), mi sono sentita a casa e ho chiesto a Dio che
mi facesse stare sempre unita a Lui: se non sapevo
essere fedele io, che lo fosse Lui per me, affinché la
mia vita potesse aiutare almeno un’anima ad avvi-
cinarsi a Lui. Da quando sono consacrata non vivo
sulle nuvole, non ho risolto nessun problema e non
ho salvato il mondo, ma so di chi sono e ogni sin-
golo momento della mia vita ha acquistato un senso.
Ho trovato delle “Sorelle”, magari tanto diverse da
me ma con cui posso condividere un cammino che
mi rende felice e che spero possa spargere l’amore di
Dio nei luoghi dove mi trovo.
«Ho trovato
delle
“Sorelle”,
magari tanto
diverse da
me ma con
cui posso
condividere
un cammino
che mi rende
felice e che
spero possa
spargere
l’amore di Dio
nei luoghi
dove mi
trovo».
shutterstock.com
GIUGNO 2022
29

3.10 Page 30

▲back to top
I NOSTRI EROI
T.B.
La piccola mendicante di Dio
Beata Eusebia Palomino
Figlia di Maria Ausiliatrice
A Valverde vive gente semplice,
gente povera. Ed è tra questa
gente semplice, che Dio fa fiorire
i «miracoli» di suor Eusebia. Essa,
che nel cuore è sempre rimasta
la piccola mendicante dal sorriso
irresistibile, tende la sua mano
a Dio. E nemmeno Dio sa resistere
al suo sorriso.
Il ritratto
della beata
suor Eusebia
Palomino. È
stato dipinto
da Manuel
Parreño
Rivera, il
pittore che
dipinge con i
piedi.
Q uando arrivava l’inverno, da Cantalpi-
no partivano un uomo e la sua bambi-
na. Andavano a mendicare. Quarantun
anni l’uomo, Agostino Palomino. Set-
te anni la sua bambina, Eusebia. «Faceva molto
freddo – scriverà quella bambina – ma io sentivo
ancora il calore dell’abbraccio di mia madre, e mi
seguivano le sue parole: “Tornate presto perché sto
in pena!”. Arrivati in un villaggio, lo percorrevano
casa per casa, stendendo la mano. Eusebia guar-
dava le persone di sotto in su, sorrideva, e diceva:
«Un pane, per l’amor di Dio». Nessuno resisteva
al sorriso della bambina mendicante. Erano gente
povera. Le davano un pane, una tazza di minestra
di ceci, o una manciata di lenticchie, o una fetti-
na di lardo. Eusebia e Agostino ringraziavano, poi
andavano verso un altro villaggio. Se passavano in
un bosco, Eusebia raccoglieva dei rami, Agostino
accostava due pietre e accendeva il fuoco. In una
padella che portavano sempre con loro, preparava
la cena. «Mio padre faceva una zuppa tanto buona
che io cantavo a gloria!».
Juana Yenes e Agostino Palomino, quando si era-
no sposati, avevano messo insieme il loro affetto
e la loro miseria. Abitavano in una casetta rica-
vata da un pagliaio: tre vani imbiancati a calce.
Erano arrivati quattro figli: Antonio nel 1894, che
visse solo tre anni, Dolores nel 1896, Eusebia nel
1899, Antonia nel 1902. Arrivò anche il quinto,
Mosè, nel 1907, ma visse solo pochi giorni.
I figli arrivavano, ma un lavoro per Agostino non
arrivò mai. I ricchi latifondisti che possedevano
30
GIUGNO 2022

4 Pages 31-40

▲back to top

4.1 Page 31

▲back to top
sterminati campi intorno, lo prendevano sovente
come vaccaro da maggio a settembre, cinque mesi
all’anno. Ma la famiglia gli stava sulle spalle do-
dici mesi all’anno.
Serva e bambinaia a dieci anni
A dieci anni, ricorda Eusebia, «i miei genitori mi
mandarono come serva e bambinaia presso una
famiglia... C’era un bambino piccolo e io passavo la
mattinata a occuparmi di lui». Quanto alla scuola,
Eusebia aveva avuto tempo di frequentare solo la
prima elementare. L’immensa aula in cui vive è
la natura; la realtà attorno a cui tesse i suoi pri-
mi pensieri è la presenza di Dio. «Com’ero felice
tra quei campi! Contemplavo i
prati in fiore, tendevo l’orecchio
al canto degli uccelli, osservavo
le nubi che navigavano nel cie-
lo azzurro e mi dicevo: tutto è
tanto bello! Ma nulla mi piace
quanto queste nubi oltre le quali
sta il Paradiso».
A 13 anni, insieme alla sorella
Dolores, andò a fare la serva e la
bambinaia a Salamanca. Presso
una famiglia, poi in un istituto,
poi dalle Figlie di Maria Ausi-
liatrice. Era entrata una dome-
nica nel loro Oratorio, per iscri-
versi alla scuola festiva. Suor Miglietta, direttrice,
l’aveva osservata per qualche tempo, poi le aveva
parlato: «Avremmo bisogno di una ragazza come
te per aiutarci nei lavori di casa e accompagnare le
ragazzine alla scuola statale. Verresti volentieri?».
Entrò nei primi giorni del dicembre 1917.
Deposto il suo fagottino accanto a un letto povero,
fu accompagnata in cucina e il suo primo lavoro fu
macinare il caffè. Le suore erano molto povere, e
in quell’inverno (mentre l’Europa viveva il quarto
anno della Grande Guerra) a Salamanca il freddo
scese a 19 gradi sotto zero. C’erano solo due stu-
fe in tutto l’edificio, eppure era affollato di ragaz-
ze: alunne interne ed esterne che frequentavano le
scuole inferiori in casa, alunne interne che si reca-
vano alle scuole superiori in città, e l’Oratorio. Rosa
Alonso era allora una fanciulla. Ricordava: «Ero
alunna del collegio quando Eusebia vi entrò. Con
la curiosità propria della fanciullezza io e le mie
compagne ci avvicinammo a lei, che non avevamo
mai vista, mentre attingeva acqua al pozzo in
cortile. La salutammo, e lei dandoci il buon gior-
no, ci guardò. Subito ci sentimmo attratte da quella
fisionomia dolce, serena e gioviale, tanto che ogni
mattina, arrivando a scuola, la cercavamo per ascol-
tare le sue buone parole, incantate dall’espressione
del suo volto».
«Viveva solo di Dio
e per Dio»
Lei, Eusebia, ricordava con
semplicità: «Mi occupavo nel
tener pulita la casa, aiutare in
cucina, stendere la biancheria,
portare la legna e andare ad
accompagnare le interne alla
scuola pubblica o a far commis-
sioni. Però, fra tante occupazio-
ni, ero felice e neanche sentivo
il freddo quando stendevo. Né
la fatica né le screpolature delle
mani che sanguinavano a causa
Manuel
Parreño
Rivera è senza
mani; dipinge
con i piedi. Ha
giurato che è
stato costretto
in modo
misterioso a
dipingere il
ritratto della
Beata.
GIUGNO 2022
31

4.2 Page 32

▲back to top
I NOSTRI EROI
Una foto
della beata
Eusebia
Palomino.
del gelo, mi davano pena, anzi, godevo perché ave-
vo qualcosa da offrire al Signore. Facevo tutto con
gioia e con l’intenzione di scontare i miei peccati,
salvare anime».
31 gennaio 1922. Eusebia è accettata come postulante
insieme alla maestrina Amalia Fernandez. Ora
dovrebbero partire per Barcellona-Sarrià, a iniziare
il tempo di studio e di preparazione al noviziato. La
maestrina parte, ma Eusebia (narra la cronaca della
casa) «farà qui il suo postulato perché manca la suora
cuciniera ed essa la supplirà».
Il 5 agosto 1922 Eusebia veste l’abito della fma
e inizia i due anni di noviziato. Due sue compa-
gne ricordano: «Durante il primo anno fu dato a
Eusebia l’incarico di lavorare l’orto». «Era semplice,
ingenua, innocente. Per la sua semplicità a volte
ridevamo di lei, ma lei non si offendeva affatto».
Nei primi tempi, la maestra del Noviziato, suor
Serravalle, le propose un libro perché cominciasse a
fare meditazione. Con stupore Eusebia le doman-
dò: «Ma per meditare è necessario un libro?». «Tu
come fai?» le chiese la maestra. «Oh, a me basta
vedere un olivo o qualsiasi altro albero per meditare
su Dio». Aveva fatto solo la prima elementare, ep-
pure Dio lo conosceva da tanto tempo.
Vigilia di Pasqua 1924. Mancano ormai pochi
mesi a quel 5 agosto in cui si consacrerà al Signore
e diventerà Figlia di Maria Ausiliatrice. Eusebia è
nella dispensa sotterranea, tra patate e bottiglie da
lavare. Qualcuno la chiama, le dice di salire in fret-
ta. Eusebia afferra con ogni mano due bottiglie per
portarle sulle tavole del refettorio e s’affretta su per
la scala. Inciampa nell’orlo della veste, cade, rotola
giù con le bottiglie che vanno in frantumi. Grosse
schegge di vetro le si piantano nelle braccia, taglia-
no vene, il sangue esce a fiotti. Il medico, chiamato,
ricuce ciò che può. Ma nella notte si manifestano
nuove emorragie. Difficilissimo arrestarle.
Eusebia riceve gli ultimi Sacramenti, soffre mol-
tissimo, lotta tra vita e morte per due mesi. A chi
le chiede come sta, risponde con pazienza dolce:
«Faccio la volontà di Dio».
E Dio le ridona quel tanto di salute che le permette
di lasciare il letto, di fare la sua professione religiosa
il 5 agosto 1924, di ricevere la prima obbedienza
che la assegna alla casa salesiana di Valverde. Par-
tendo abbraccia la sua cara suor Caridad, e le dice:
«Facciamoci sante. Tutto il resto è perder tempo».
I «miracoli» di suor Eusebia
Valverde è una cittadina all’estremo sud-ovest della
Spagna, tra località minerarie della Spagna e del
Portogallo, circondata da colline e monti sperduti.
A Valverde vive gente semplice, gente povera. Suor
Eusebia vi arriva e le vengono assegnate la cucina,
la portineria, il guardaroba, l’assistenza all’Oratorio.
Ed è in questi umili locali, tra questa gente semplice,
che Dio fa fiorire i «miracoli» di suor Eusebia. Essa,
che nel cuore è sempre rimasta la piccola mendicante
dal sorriso irresistibile, tende la sua mano a Dio. E
nemmeno Dio sa resistere al suo sorriso.
32
GIUGNO 2022

4.3 Page 33

▲back to top
Le ragazze della scuola e dell’Oratorio, all’arrivo,
l’hanno detta «piccola, gialla, magra, dalle mani
grosse e dal nome brutto». Ma dopo pochi giorni
corrono sempre più sovente a cercarla, ad aiutarla
con piacere nei suoi lavori, ad ascoltarla.
Qualche anno dopo, molte di quelle ragazze saran-
no tra le postulanti a Barcellona-Sarrià. La nuova
Ispettrice, madre Covi, domanderà: «E tu di dove
sei?», e si sentirà rispondere: «Di Valverde», «Di
Val-verde», «Di Valverde»... E madre Covi, sorpre-
sa: «Ma che cosa c’è a Valverde?». Le risponderan-
no che c’è una cuciniera con l’asma, che racconta
alle ragazze poveri racconti.
Madre Covi un giorno arrivò a Valverde, nella
data segnata nel suo itinerario di visite alle case
fma. Suor Eusebia conosceva quella data, e aveva
seminato in tempo gli spinaci per portarli in tavola
freschi freschi. Ma non aveva piovuto, e gli spinaci
erano appena spuntati. Racconta Carmen Beguer:
«Suor Eusebia scese all’orto, e disse al Signore: “Se
tu avessi fatto piovere un poco nei giorni scorsi, io
saprei che cosa dare per cena”. Si ricordò che aveva
la pentola sul fuoco e corse dentro. Quando tornò
gli spinaci erano larghi come una mano». E madre
Covi mangiò spinaci freschi.
L’uomo di fatica che picconava in fondo al pozzo
asciutto della casa delle suore, a un tratto rimosse
una pietra, e l’acqua sprizzò violenta. Lo investì, lo
sommerse. Ebbe appena il tempo di gridare: «Aiu-
to!». Suor Eusebia non era lontana, corse all’orlo,
e non sapendo che fare gli lanciò il crocifisso che
portava al collo. L’acqua si fermò, e l’operaio tornò
fuori bagnato e spaventato. Riconsegnò il crocifisso
dicendo: «Grazie».
una vocazione vera, ne scoraggiava una falsa. E a
chi le chiedeva come sapesse queste cose, risponde-
va con una frasetta che don Bosco aveva detto tante
volte: «Ho sognato».
Non leggeva libri sapienti, e nemmeno le carte.
Leggeva ogni giorno la Passione del Signore nella
maniera più semplice. Far la Via Crucis è bello, ma
è difficile ricordare a mente le 14 stazioni. Recitare
il rosario è semplice, ma non tutti riescono a ricor-
dare i 5 misteri dolorosi. Suor Eusebia, al posto dei
5 misteri dolorosi, ricordava le 5 piaghe di Gesù:
quelle delle mani, quelle dei piedi, quella del costa-
to. È così semplice che lo saprebbe fare anche un
bambino. E suor Eusebia incoraggiava a fare così.
La Spagna stava entrando nelle convulsioni della
guerra civile.
Suor Eusebia Palomino avvertì la burrasca da
lontano, e si offrì vittima al Signore per i suoi fra-
telli e le sue sorelle.
Dio accolse la sua offerta. L’asma divenne intollera-
bile, la fece morire soffocata mille volte, attorcigliò
il suo corpo come un gomitolo arruffato. Morì il
10 febbraio 1935, a soli 36 anni. A chi l’assisteva,
tese ancora la mano come una piccola mendicante
dicendole: «Mi dica cose buone, che mi consolino».
Fu beatificata il 25 aprile 2004.
Valverde del
Camino è una
città spagnola
di dodicimila
abitanti, in
Andalusia.
«Ho sognato»
Ormai era tutto un fiorire di fatti, aneddoti, che
rimbalzavano di bocca in bocca. Seminaristi, suo-
re, sacerdoti, ragazze andavano a consultare sul loro
avvenire suor Eusebia, mentre stendeva la bianche-
ria nell’orto o pelava patate in cucina. E lei tran-
quilla consigliava, prediceva il futuro, incoraggiava
GIUGNO 2022
33

4.4 Page 34

▲back to top
COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
Le malattie dell’educazione 6
Senza parole
Nella graduatoria delle malattie dell’educazione l’afasia
va collocata ai primissimi posti! L’afasia, cioè la difficoltà
o addirittura l’incapacità di parlare, taglia alla radice
la possibilità stessa dell’educazione.
L a parola è essenziale nell’educazione per tre
motivi.
Primo: perché la parola costruisce la prima
immagine che il bambino ha di sé. Conti-
nuate a dire al piccolo che è cattivo e brutto e si
convincerà d’essere tale; al contrario ditegli: “Sei
uno splendido bambino, farai qualcosa di meravi-
glioso!”; il piccolo si convincerà d’avere molte possi-
bilità e partirà con il piede giusto per la vita!
Secondo: la parola è essenziale perché trasmette pen-
sieri, sentimenti, valori. La parola è il più ricco al-
lattamento psicologico! Vi è una differenza enorme
tra un ragazzo che sente sempre e solo “mangiare,
bere, vestire” e quello che sente anche parole come
“dovere, pace, giustizia, rispetto, impegno, Dio”. Il
primo penserà che nella vita basta diventare “gros-
so”; il secondo sarà invitato a diventare “grande”.
Potenza delle parole!
Terzo: le parole hanno un’importanza determinan-
te perché possono “convincere”. Le armi vincono,
le parole convincono! Ebbene, la convinzione è il
cuore dell’educazione! Un ragazzo davvero convin-
to che drogarsi è come autodistruggersi, si guarderà
bene dal cadere nella trappola della sostanza mor-
tale! Insomma, a conti fatti, l’educazione non è che
parola condivisa!
La cura di questa malattia inizia dai cinque punti
cardini dell’arte del parlare.
1. Parlare subito
Nella religione musulmana vi è questa bella ed
originale norma: non appena la levatrice ha termi-
nato il suo lavoro, il bambino viene preso in braccio
dal papà che lo solleva fino alla bocca; poi, con tono
dolce e tenero, gli sussurra nell’orecchio destro la
formula di invito alla preghiera: “Dio è grande! Con-
fesso che non c’è Dio se non Dio!”.
Parlare subito al bambino, appena nasce! Chi insi-
steva molto su questo dovere era la famosa psicana-
lista francese Françoise Dolto: “Ciò che i genitori non
sanno è che fin dalla nascita il piccolo dell’uomo è un
essere di linguaggio. Perciò, appena il bambino nasce,
diamogli il benvenuto. Diciamogli: Ti aspettavamo!
Aspettavamo proprio te! Siamo contenti che sia arriva-
to. Ti ameremo sempre. Vivi! ”.
2. Parlare positivo
L’educatore patentato non usa mai parole invali-
danti: “Sei un disastro! Ma che figlio abbiamo! Biso-
gnerebbe pestarti! ”... Queste son parole-pallottole,
da sostituire, oggi stesso con parole-carezze: “Ci sei
simpatico! Siamo orgogliosi di te! Sei speciale per noi!
Tifiamo per te!”....
Parole balsamiche, queste. Parole che hanno un
potenziale psichico enorme! Ha tutte le ragioni la
psicologa Simona Gaia a sostenere che “la parola
rimane l’unica oasi, l’unico controveleno al diluvio di
34
GIUGNO 2022

4.5 Page 35

▲back to top
shutterstock.com
immagini che minacciano di pietrificarci. La parola
buona è la vitamina C indispensabile per i nostri figli
ed il nostro domani”.
3. Parlare a tutto campo
Il bambino vuole il mare, non cucchiaini d’acqua.
Per questo l’arte del parlare invita a non procedere
a base di “Okay!” ma a costruire la frase intera; per
questo ci invita a tirare fuori dal vocabolario tutte
le parole anche quelle “scomode” come ad esempio
sacrificio, impegno, sofferenza, rinuncia, dolore...”.
4. Parlare nel modo giusto
Al riguardo la sensibilità dei ragazzi è altissima!
Non si trova un ragazzo al mondo che non si ribelli
a questi quattro modi sbagliati di parlare:
il modo urlato: È così e basta! È così perché è
così! Qui comando io...”.
il modo dispregiativo: Possibile che abbia
sempre la testa tra le nuvole!? Ti comporti come un
bebè!”.
il modo definitivo: Sei il solito pasticcione,
sei solo capace a fare disastri! Non ne combini mai una
buona...!”.
Le prediche: Un altro principio importante da
tenere presente quando si parla con gli adolescenti
è insegnare invece di fare prediche. Se un genitore
alza la voce e si atteggia a pose teatrali, in genere
l’adolescente cerca consigli altrove. I genitori che,
invece, imparano a comunicare le proprie idee con
calma e ragionevolezza spesso si sentono chiedere
consigli dai loro figli.
Non intendo dire che i genitori non possano essere
intransigenti su alcune profonde convinzioni. Inten-
do invece dire che devono temperare questo atteg-
giamento con l’apertura verso le opinioni degli altri,
in particolare quelle dei loro figli. «Permettimi di
dirti ciò in cui ho sempre creduto a questo proposito
e il motivo per cui credo che questa sia la scelta mi-
gliore e poi comunicami la tua impressione. Mi in-
teresserebbe conoscere le tue osservazioni». Questo
modo di parlare consente al genitore di esprimere le
sue profonde convinzioni, ma permette anche all’a-
dolescente di esprimere con facilità i suoi pensieri,
anche se sono diversi da quelli del genitore. Il geni-
tore deve cercare di creare un clima di questo genere.
5. Parlare ascoltando
Saper ascoltare è il primo dovere dell’amore.
Ascoltare non è solo un diritto dei genitori, bensì
anche un «dovere». Ci si accorgerebbe che i figli
sanno dire cose interessanti. Ecco alcuni esempi.
Gli adulti vivono in piena contraddizione. Dicono:
«Non mettere le dita nel naso». Ma poi loro lo fanno.
Dicono: «Non fumare». Ma loro fumano. Dicono: «Non
bere alcolici!» Ma poi loro bevono come delle spugne.
Dicono: «Vai sempre a letto presto!» Ma poi loro sono
come le civette. Ci vietano di guardare dei film gialli o
polizieschi alla televisione. Ma poi loro rimangono al-
zati a vederli fino a notte fonda. Più invecchiano e più
dicono cose che non fanno (Anna, 12 anni). L’esempio
non è la cosa principale per educare i figli: è l’unica.
I figli amano e ammirano i genitori. E se li vedo-
no sempre stanchi, sempre di corsa, insofferenti o
villani senza dubbio si comporteranno, a scuola o
nella vita, in maniera simile. I genitori preoccupati
del modo in cui si comportano ì loro figli, fareb-
bero bene a dare un’occhiata alla loro vita. Il modo
migliore di curare i figli è curare se stessi.
Se manifestate sincero interesse per le opinioni
che vostro figlio esprime, può darsi che vi sia
chiesto di esprimere le vostre opinioni.
GIUGNO 2022
35

4.6 Page 36

▲back to top
LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
Ci vuole forza per
sbocciare nel deserto!
Quando tutta la nostra vita
si ritrova “in panne”, diventa
davvero complicato riattivare
la voglia di camminare, riscoprire
dentro di noi la forza per andare
avanti, risignificando azioni e
scelte quotidiane e restituendo
valore alla nostra libertà.
Nel cammino verso l’adultità accade talvolta
che il dinamismo della crescita si inter-
rompa bruscamente, e nella frenata ven-
gono sbalzati fuori anche i nostri progetti
La libertà spaventa più di una prigione
e tutti cercano qualcuno per cui liberarsi,
l’odio uccide, forse è vero come dicono,
ma so che è da un veleno che nasce un antidoto.
Vieni con me,
la strada giusta la troviamo solo quando ci perdiamo
e restiamo da soli,
perché è dagli incubi che nascono i sogni migliori,
anche a Chernobyl ora crescono i fiori...
Odio queste cicatrici,
perché mi fanno sentire diverso:
posso nasconderle da tutti, ma non da me stesso.
È un’armatura cresciuta col tempo,
ogni ferita è un passaggio che porta al lato migliore di noi,
perché attraverso loro puoi guardarmi dentro,
sentire cosa provo, capire cosa sento.
di vita, le energie per perseguirli, persino il senso
del futuro.
Che sia per una delusione troppo grande per esse-
re rapidamente archiviata come un semplice “in-
cidente di percorso”, oppure per via di un impatto
inaspettato con la sofferenza a cui non eravamo
preparati e che facciamo fatica ad accogliere in
maniera costruttiva nella nostra vita, o ancora per
un improvviso cortocircuito nel motore della no-
stra macchina di cui non riusciamo a comprendere
le cause né tanto meno a immaginare le possibili
soluzioni. Fatto sta che rimaniamo bloccati in una
condizione di stallo esistenziale, prigionieri delle
nostre paure ed incertezze, arenati nelle secche di
una sterile inerzia che ci rende incapaci di guar-
dare la realtà da un’altra prospettiva. E quando,
come in questi casi, tutta la nostra vita si ritrova
“in panne”, diventa davvero complicato riattivare
la voglia di camminare, riscoprire dentro di noi
la forza per andare avanti, risignificando azioni e
scelte quotidiane e restituendo valore alla nostra
libertà.
Da un punto di vista emotivo, una simile impas-
se può provocare un senso di vertigine: in maniera
dolorosamente impietosa prendiamo atto della ne-
cessità di una revisione radicale di schemi compor-
tamentali che non hanno funzionato, di atteggia-
menti che forse ci hanno portato a chiuderci in noi
stessi, di relazioni affettive che, anziché migliorare
la nostra qualità di vita, si sono trasformate in una
prigione opprimente.
Eppure è proprio in questi momenti di estrema
fragilità che, al di là di tutti gli errori commessi e
le cicatrici rimediate, ci riscopriamo capaci di una
insospettabile resilienza. È quando siamo più feriti
36
GIUGNO 2022

4.7 Page 37

▲back to top
che ci ritroviamo a fare i conti con noi stessi, con le
nostre risorse interiori, con la possibilità di riparti-
re da zero e ridisegnare in modo creativo il nostro
progetto di vita. È quando ci perdiamo e smarria-
mo la strada maestra che abbiamo l’opportunità di
rimettere a fuoco i nostri obiettivi e di verificare “di
che pasta siamo fatti”.
Come un fiore delicato ma tenace, cresciuto in un
terreno inospitale e che ha dovuto farsi strada tra
le rocce e le spine, siamo chiamati a “sbocciare nel
deserto”, a sfidare le avversità della vita per poter
rinascere ogni giorno più forti.
Una forza che non deriva dalla capacità di diventare
indifferenti rispetto a tutto ciò che accade intorno a
noi, come se indossassimo un’armatura scintillante
ed infrangibile sulla cui fredda superficie far scivo-
lare via ogni dolore ed amarezza. Bensì una forza
che scaturisce dalla consapevolezza che i traguardi
più luminosi comportano sempre cadute e sacrifici
e che per essere felici non serve sedersi ad aspettare
che torni a splendere il sole, ma occorre imparare
giorno dopo giorno a “danzare in mezzo alla tem-
pesta”.
Non conta la destinazione, ma il tragitto:
il peggiore dei finali non cancella mai un inizio.
Fa più rumore il tuo silenzio che le urla della gente,
un albero che cade che una foresta intera che cresce...
Tengo i miei sogni nascosti dietro alle palpebre,
siamo fiori cresciuti dalle lacrime.
Sei tutte quelle cose che non riesco mai a dire,
troverai un posto migliore a un passo dopo la fine;
cammineremo a piedi nudi sopra queste spine,
diventando forti per smettere di soffrire...
Se questa notte piove dietro le tue palpebre,
sarò al tuo fianco quando è l’ora di combattere,
portami con te, ti porterò con me!
Tu mi hai insegnato che si cade per rinascere,
che un uomo è forte quando impara ad esser fragile,
portami con te, ti porterò con me!
Portami in alto come gli aeroplani,
saltiamo insieme, vieni con me;
anche se ci hanno spezzato le ali,
cammineremo sopra queste nuvole.
Passeranno questi temporali,
anche se sarà difficile,
sarà un giorno migliore domani,
anche per te...
(Mr Rain, Fiori di Chernobyl, 2021)
Occorre imparare giorno dopo giorno a “danzare in mezzo alla tempesta”.
shutterstock.com
GIUGNO 2022
37

4.8 Page 38

▲back to top
LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
A cura di Francesco Motto e Sergio Todeschini
L’oratorio festivo
di Valdocco
... nei ricordi d’infanzia
di un settantenne.
Nel 1935, a seguito della canonizzazione di
don Bosco nel 1934, i salesiani si premu-
rarono di raccogliere testimonianze su di
lui. Un certo Pietro Pons, che fanciullo
aveva frequentato l’oratorio festivo di Valdocco per
una decina di anni (dal 1871 al 1882), e che pure
aveva frequentato due anni di scuole elementari (con
le aule sotto la basilica di Maria Ausiliatrice) l’8 no-
vembre rilasciò una bella testimonianza di quegli
anni. Ne stralciamo alcuni passi, quasi tutti inediti.
La figura di don Bosco
Era il centro di attrazione di tutto l’Oratorio. Così
lo ricorda il nostro antico oratoriano Pietro Pons
sul finire degli anni settanta: “Non aveva più vigore,
ma era sempre pacato e sorridente. Aveva due occhi, che
foravano, e penetravano nella mente. Compariva tra
di noi: era una gioia per tutti. D. Rua, D. Lazzero
gli stavano ai fianchi come se avessero in mezzo a loro
il Signore. D. Barberis e tutti i ragazzi gli correvano
incontro, lo circondavano, chi camminando sui fian-
chi, chi dietro per aver la faccia rivolta a lui. Era una
fortuna, un ambito privilegio il poter stargli vicino,
il parlare con lui. Egli passeggiava adagio parlando,
e guardando tutti con quei due occhi che giravano da
ogni parte, elettrizzavano di gioia i cuori”.
Fra gli episodi rimasti impressi nella mente a 60
anni di distanza ne ricorda due in particolare: “Un
giorno… mi offrì una presa di tabacco. Ero circa sui
nove anni. Tutto lieto metto le mie dita nella sua scatola
o tabacchiera nera. Ma mentre prendo un pizzico, egli
chiude il coperchio e mi tiene strette in mezzo le dita.
Era uno scherzo, che ci riempiva di gioia… Un’altra
volta compare soletto dalla porta d’ingresso presso il
santuario. Allora uno stuolo di ragazzi piglia la corsa
per investirlo come una folata di vento. Ma egli tiene in
mano l’ombrello, che ha il manico ed il fusto grosso come
quello dei contadini. Lo alza e servendosene come una
spada si destreggia a respingere quell’affettuoso assalto
ora a destra ora a sinistra per aprirsi il passo. Tocca uno
colla punta, un altro di fianco, ma intanto s’accostano
gli altri dall’altra parte. Così il gioco, lo scherzo con-
tinua portando la gioia nei cuori, desiderosi di vedere
il buon Padre ritornare dal suo viaggio. Sembrava un
parroco di paese, ma di quelli alla buona”.
I giochi e il teatrino
Un oratorio salesiano senza gioco è impensabile.
Ricorda l’anziano exallievo: “il cortile era occupato da
un fabbricato, dalla chiesa di Maria A. e al termine
di un muretto… appoggiava all’angolo a sinistra una
specie di capanna, presso cui c’era sempre qualcuno a
controllare chi entrava… Appena entrato a destra c’era
l’altalena con un posto solo, le parallele poi e la sbarra
fissa per i più grandicelli, che si divertivano a fare le
loro giravolte e capriole, ed anche il trapezio, ed il passo
volante unico, che si trovavano però presso le sacrestie
oltre la cappella di S. Giuseppe”. Ed ancora: “Questo
cortile era di una bella lunghezza e si prestava assai
bene a fare le corse di velocità partendo dal lato della
chiesa e tornando ivi al ritorno. Si giocava pure a bara
rotta, alle corse dei sacchi, alle pignatte. Questi ultimi
giochi erano annunziati fin dalla domenica precedente.
Così pure la cuccagna; ma l’albero si piantava con la
parte sottile in basso perché fosse più difficile l’ascendere.
C’erano delle lotterie, ed il biglietto si pagava un soldo
o due. Dentro alla casetta c’era una piccola biblioteca
contenuta in un armadietto.
38
GIUGNO 2022

4.9 Page 39

▲back to top
Al gioco si univa il famoso “teatrino” su cui si svol-
gevano autentici drammi come “il figlio del Cro-
ciato”, si cantavano le romanze di don Cagliero e si
presentavano “musical” come il Ciabattino personi-
ficato dal mitico Carlo Gastini [brillantissimo ani-
matore degli exallievi]. La recita, presenti gratuita-
mente i genitori, si teneva nel salone sotto la navata
centrale della chiesa di Maria A., ma il vecchio ex
oratorio ricorda anche che “una volta si recitò presso
la casa Moretta [attuale chiesa parrocchiale presso la
piazza]. Ivi abitava della povera gente nella più squal-
lida miseria. Nelle cantine che si vedono sotto il poggio-
lo c’era una povera madre, che sul mezzogiorno portava
sulle spalle il suo Carlo, che per un morbo aveva il corpo
rigido, a pigliare il sole”.
Le funzioni religiose e le riunioni
formative
All’oratorio festivo non mancavano le funzioni re-
ligiose della domenica mattina: santa Messa con
santa comunione, preghiere del buon cristiano; se-
guiva al pomeriggio la ricreazione, il catechismo, la
predica di don Giulio Barberis. Ormai anziano “D.
Bosco non veniva mai a dir messa o a far la predica,
ma solo per visitare e trattenersi coi ragazzi durante la
ricreazione… I catechisti e assistenti avevano con sé in
chiesa durante le funzioni i loro allievi a cui insegna-
vano il catechismo. La dottrina piccola era regalata a
tutti. Si esigeva la lezione a memoria ogni festa e poi
anche la spiegazione. Le feste solenni si conclude-
vano con una processione e una merenda per tutti:
uscendo di chiesa dopo la messa c’era la colazione. Un
giovane a destra fuori della porta dava la pagnotta, un
altro a sinistra con una forchetta vi metteva sopra due
fette di salame”. Si accontentavano di poco quei ra-
gazzi, ma erano contentissimi. Quando poi i ragaz-
zi interni si univano agli oratoriani per il canto dei
vespri si potevano udire le loro voci in via Milano e
in via Corte d’appello!
All’oratorio festivo si tenevano anche riunioni di
gruppi formativi. Nella casetta presso la chiesetta
di S. Francesco vi era “una stanza piccola e bassa che
poteva contenere circa una ventina di persone…Nella
stanza c’era un tavolinetto per il conferenziere, c’erano
le panche per le adunanze e conferenze dei più grandi
in genere, e della Compagnia di S. Luigi, quasi tutte le
domeniche.
Chi erano gli oratoriani?
Dei suoi circa 200 compagni – ma il loro nume-
ro diminuiva in inverno per il ritorno in famiglia
degli stagionali – il nostro arzillo vecchietto ricor-
dava che molti erano biellesi “quasi tutti ‘ bic’, por-
tavano cioè la secchia di legno piena di calce e il cesto
di vimini pieno di mattoni ai muratori delle costru-
zioni”. Altri erano “apprendisti muratori, meccanici,
lattonieri”. Poveri garzoni: lavoravano da mattina
a sera tutti i giorni e solo la domenica si potevano
permettere un po’ di svago “da don Bosco” (come
veniva definito il suo oratorio): “Si giocava all’Asino
vola, sotto la direzione dell’allora sig. Milanesio [fu-
turo sacerdote grande missionario in Patagonia.]
Il sig. Ponzano, poi sacerdote, era maestro di ginna-
stica. Egli ci faceva fare esercizi a corpo libero, coi ba-
stoni, agli attrezzi”.
I ricordi di Pietro Pons sono molto più ampi, tan-
to ricchi di suggestioni lontane, quanto pervasi da
un’ombra di nostalgia; attendono di essere cono-
sciuti per intero. Speriamo di farlo presto.
GIUGNO 2022
39

4.10 Page 40

▲back to top
I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni  postulatore generale
 Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulatore@sdb.org
 Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di giugno preghiamo
per la Canonizzazione del Beato Stefano
Sándor, salesiano coadiutore, martire,
di cui sono state ritrovate e collocate
le Reliquie nella Chiesa el Clarisseum
a Budapest (4 giugno 2022).
Primogenito di tre fratelli,
Stefano Sándor nacque a Szol-
nok il 24 ottobre 1914 da una
famiglia profondamente reli-
giosa. Partecipava con assidua
frequenza alle attività religiose
e liturgiche della parrocchia
francescana del paese natio.
In seguito, la sua vocazione
si orientò verso i Salesiani,
tra i quali fece il suo ingresso
come postulante il 12 gennaio
1936. Dopo oltre due anni di
preparazione, il 1° aprile 1938
fu ammesso al noviziato come
fratello coadiutore. A causa
dell’interruzione formativa do-
vuta al servizio militare, Stefa-
no emise la prima professione
triennale l’8 settembre 1940,
la seconda il 16 ottobre 1943, e
infine la professione perpetua
il 24 luglio 1946.
Incarnò in forma esemplare
lo spirito salesiano: senso del
dovere, purezza, religiosità,
praticità e fedeltà ai principi cri-
stiani. Coltivando una profonda
vita interiore e mantenendo
nelle diverse occupazioni l’u-
nione con Dio, praticò con tutti
e ovunque il Sistema preven-
tivo di san Giovanni Bosco. Il
costante lavoro svolto in mezzo
ai giovani dell’Oratorio, del Pic-
colo Clero e quello di “maestro
di tipografia”, dimostrò che la
sua autorevolezza di educatore
si nutriva di una profonda fede.
L’anno della sua professione
religiosa perpetua coincise
anche con la definitiva presa
del potere da parte del Partito
Comunista Ungherese. Anche
Stefano Sándor fu costretto a
lasciare la casa religiosa sale-
siana e a trovarsi un lavoro pri-
ma in una tipografia di Szolnok
e successivamente in una ditta
di detersivi a Budapest. In tale
periodo continuò con prudenza
la sua attività educativa e cate-
chistica tra i giovani lavoratori,
in particolare dell’Associazione
Nazionale dei Giovani Cattolici.
Don László Ádám, Ispettore di
quel tempo, decise di mandar-
lo all’estero per fargli prose-
guire la sua vita da religioso,
ma egli non si avvalse di que-
sta opportunità, affermando
che avrebbe dedicato la vita a
salvare la gioventù unghere-
se, anche a costo del martirio.
Scoperto in seguito ad intercet-
tazione della corrispondenza,
fu tratto in arresto il 28 luglio
1952. Fu sottoposto a inumani
interrogatori, a feroci torture e
ai tipici lavaggi del cervello. An-
che in carcere mantenne ferma
la sua spiritualità, pregando
e recitando il rosario. Inoltre,
malgrado egli sapesse di dover
essere prossimo all’esecuzione
della condanna a morte, con
rara serenità era apportatore
di consolazione per i suoi com-
pagni. La condanna a morte fu
ufficialmente sentenziata il 12
marzo 1953 e attuata, tramite
impiccagione, l’8 giugno dello
stesso anno. È stato beatificato
a Budapest il 19 ottobre 2013.
Preghiera
Dio onnipotente ed eterno,
che hai dato al beato martire Stefano,
la grazia di offrire la vita per il bene dei giovani,
affrontando con fede prove e persecuzioni,
concedi anche a noi, per sua intercessione,
di operare sempre al servizio della verità,
per far conoscere a tutti il vangelo della gioia.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
CRONACA DELLA POSTULAZIONE
Il 9 aprile 2022, il Santo Padre Francesco ha ricevuto in Udienza
Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Marcello Se-
meraro, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi. Du-
rante l’Udienza, il Sommo Pontefice ha autorizzato la medesima
Congregazione a promulgare il Decreto riguardante:
- il miracolo attribuito all’intercessione del Beato Artemide
Zatti, Laico Professo della Società Salesiana di San Giovanni Bo-
sco; nato il 12 ottobre 1880 a Boretto (Italia) e morto il 15 marzo
1951 a Viedma (Argentina).
Con questo atto del Santo Padre si apre la via alla Canonizzazio-
ne del Beato Artemide Zatti. La data della Canonizzazione sarà
decisa dal Sommo Pontefice nel corso di un Concistoro ordinario.
Il 10 aprile 2022 a Savona si è aperta l’Inchiesta diocesana sul-
la vita, le virtù, la fama di santità e di segni della Serva di Dio
Vera Grita, Laica, Salesiana cooperatrice (1923-1969).
Ringraziano
A metà novembre del 2021, il
nostro amico Oronzo Blonda, di
anni 57, ricoverato per una co-
lecistite, a seguito di crisi iper-
tensìva, il 29 novembre in tarda
mattinata veniva sottoposto a
consulenza cardiologica e an-
gioTC dalla quale emergeva un
riscontro di dissezione aortica
di tipo 1. La situazione, apparsa
subito gravissima, richiedeva
l’urgente trasferimento in am-
bulanza al Policlinico di Bari,
dove, appena giunto, Oronzo
veniva immediatamente por-
tato in sala operatoria. Le con-
dizioni erano davvero dispera-
te e i medici temevano molto
per la sua vita. Mentre Oron-
zo era in sala operatoria, il
gruppo di preghiera “Amici di
Padre Francesco Convertini”,
che quel pomeriggio, come il
giorno ventinove di ogni mese,
erano riuniti in preghiera nel-
la chiesetta di Marinelli per la
recita del rosario, invocavano
con grande fervore l’aiuto del
venerabile Francesco Con-
vertini, salesiano missionario
in India, di cui anche Oronzo
è molto devoto. Concluso il
momento di preghiera, giunse
la notizia che l’intervento di re-
sezione dell’aorta con anasto-
mosi, durato ben sei ore, era
perfettamente riuscito e così,
dopo il decorso post-operato-
rio, Oronzo è potuto tornare a
casa. Anche questa volta Padre
Francesco ha accolto la nostra
invocazione di aiuto e per que-
sto gli vogliamo ancora più
bene.
Associazione Pro-Marinelli
“Padre Francesco Convertini”
40
GIUGNO 2022

5 Pages 41-50

▲back to top

5.1 Page 41

▲back to top
IL LORO RICORDO E` BENEDIZIONE
P.M.
Monsignor Jesus Tirso Blanco
Salesiano, vescovo della Diocesi di Luena, Angola,
morto il 22 febbraio, a Negrar, nei pressi di Verona,
dopo una lunga malattia, a 64 anni d’età.
«Fin da piccolo sentivo di voler
essere prete. Chiesi di entrare
in aspirantato, mia madre si
opponeva perché ero troppo
piccolo, solo 12 anni, ma poi
acconsentì. Mi segnò molto
l’esperienza in un barrio della
periferia di Buenos Aires, Isidro
Casanova. “Fuggivo” dall’aspi-
rantato per fare catechismo. In
noviziato manifestai al Diret-
tore spirituale il mio desiderio
di essere missionario. Durante
il postnoviziato frequentai la
miglior università missionaria:
La Cava, una favela della zona
nord di Buenos Aires».
Jesús Tirso Blanco era nato a
Ramos Mejía, in Argentina,
il 3 marzo 1957. Frequentò il
noviziato salesiano a Manucho,
emise la prima professione il
31 gennaio 1976 e quella per-
petua il 24 gennaio 1982, e
venne ordinato sacerdote il 28
settembre 1985 a San Justo.
Già l’anno dopo alla sua ordina-
zione partì missionario per l’An-
gola, con prima tappa a Luena,
dove anni dopo tornerà da ve-
scovo. Nei suoi anni di servizio
missionario e pastorale salesia-
no fu Parroco (1992-94) e Diret-
tore (1994-95) e a N’dalatando,
poi Vicario dell’opera “Sao Pau-
lo” di Luanda (1995-99), quindi
Direttore (2000-07) e Parroco
(2007-08) dell’opera “Sao José”
nella zona di Lixieira, presso
Luanda, e infine Vicario della
Sede della Visitatoria “Mamá
Muxima” dell’Angola (ANG).
Per la Visitatoria ANG ha servito
come Delegato per la Comu-
nicazione Sociale (2004-08),
Vicario (2005-07), Delegato
per la Pastorale Giovanile, per
l’Evangelizzazione e la Cultura
(2006-2008).
Ricevette la nomina a vescovo
della diocesi di Luena il 26 no-
vembre 2007, venendo consa-
crato il 2 marzo successivo.
«Nel 1985, chiesi contempo-
raneamente la grazia dell’or-
dinazione sacerdotale e quella
di partire come missionario per
la destinazione che avesse più
necessità. Non avevo preferen-
ze: dall’Ecuador alla Cina. In
quel tempo, la Congregazione
si era impegnata nel Progetto
Africa e fui mandato in Ango-
la. Un vecchio salesiano, una
persona molto capace, mi disse
che provava una grande invidia
perché lui aveva chiesto tutta
la vita di andare in missione
e non era mai stato accettato.
Sono profondamente ricono-
scente all’Ispettore che mi ha
permesso di diventare mis-
sionario. Non sapevo molto
dell’Angola. Mi procurai una
carta geografica. Arrivato in
Angola fui destinato a Lwena.
I poliziotti mi chiesero: «Ma lei
sa dove va?». Così appresi che
Lwena, teatro di frequenti ope-
razioni militari, non era un bel
posto dove abitare. Ma per me
è stato l’ambiente migliore per
incontrare Dio nella missione,
in comunione con un popolo
nuovo che mi adottò subito
come uno della loro famiglia».
E in merito alla sua diocesi, com-
prendente tutta la provincia di
Moxico, la più vasta dell’Ango-
la, grande come tutta l’Italia,
situata nell’estremità orientale
del Paese, osservò: “La mia dio-
cesi condivide sfide e problemi
dell’Angola, esasperati dalle
enormi distanze, la mancanza
di strade e la scarsità di missio-
nari (e intendo clero, soprattutto
locale, i religiosi e le religiose e
i laici ’professionalmente’ mis-
sionari). Il nostro territorio dio-
cesano ha bisogno di Dio, ma
manca di persone formate che
aiutino la popolazione a diven-
tare artefice della propria cresci-
ta spirituale e materiale. Questo
si somma alle distanze e alla
mancanza di comunicazioni».
Mons. Tirso Blanco ha vissuto
semplicemente e totalmen-
te consegnato alla missione.
Come salesiano e come vesco-
vo si è concentrato sul miglio-
ramento della qualità della vita
dei poveri, nell’educazione, nei
centri sanitari, nelle strade,
nella ricostruzione delle chiese
distrutte dalla guerra.
«In un incontro internazionale
di evangelizzatori qualificati ho
chiesto di non contagiarci con
l’«europessimismo ecclesiale».
La nostra Chiesa è viva, le nostre
celebrazioni sono festose, ab-
biamo la consolazione del «ba-
gno di folla». Ma ha bisogno di
evangelizzazione in profondità,
di persona a persona, di andare
incontro alla gente, ai giovani,
senza paura di «consumare le
scarpe». Il futuro è buono, come
sempre pieno di sfide, ma ac-
compagnato dalla sensazione
della possibilità del successo.
«Quando ero parroco, direttore
o responsabile della pastorale,
mi piaceva molto ripetere a
braccio una frase di don Bosco,
prima di tutto per me, poi per i
collaboratori e tutto il mondo:
«Stiamo portando avanti una
serie di progetti che agli occhi
del mondo sono come favole o
pazzie, ma se teniamo duro Dio
li benedirà e tutto sarà rose e
fiori. Il motivo per ringraziare,
pregare e credere».
Questa frase appartiene all’An-
gola Salesiana.
GIUGNO 2022
41

5.2 Page 42

▲back to top
IL CRUCIVERBA
Roberto Desiderati
Scoprendo don Bosco
La soluzione nel prossimo numero.
NON UN LABORATORIO
MA UN ORATORIO!
A Valdocco don Bosco portò il suo Oratorio nel 1846, fondò i Salesia-
ni e diffuse il suo messaggio di povertà, di fiducia in Dio e nella Madonna, di sfida a ogni tipo
di difficoltà, di amore ai giovani per salvarli. Il 15 marzo di quell’anno, don Bosco aveva ricevuto
dai fratelli Filippi l’avviso di andar via dal loro prato e non sapeva dove dare l’appuntamento per
la domenica seguente ai suoi 300 ragazzi. Scrisse don Bosco: “La sera di quel giorno, rimirai la
moltitudine dei ragazzi che giocavano. Ero solo, senza forze e la salute malandata. Mi misi a
passeggiare da solo ed esclamai: “Mio Dio, ditemi quello che devo fare”. In quel momento arrivò
non un arcangelo, ma un ometto balbuziente, tal Pancrazio Soave, che gli domandò: «È vero
che lei cerca un luogo per fare un laboratorio?». «No. Io voglio fare un “oratorio”». «Non so che
differenza ci sia, ad ogni modo il posto c’è. È del signor Pinardi, venga a vederlo». Il posto era una
tettoia sul retro di un modesto edificio. In pratica era uno stanzone che serviva alle lavandaie ma
con annesso un terreno a prato. Il signor Pinardi fece entrare don Bosco sotto la tettoia e gli disse:
«È l’ideale per il suo laboratorio». E don Bosco: «Ma io voglio fare un oratorio, cioè una piccola
chiesa dove portare a pregare i miei ragazzi». Intanto si guardava in giro: era solo una povera
tettoia, bassa, appoggiata a un lato della casa. Un muretto tutto intorno la rendeva una baracca
Soluzione del numero precedente
di circa 15 metri per 6. Don Bosco disse: «Troppo bassa,
non mi serve». Ma Pinardi insistè: «Farò abbassare il pa-
vimento di mezzo metro, metterò porte e finestre e un
pavimento di legno. Ci tengo ad avere una chiesa». Alla
fine si accordarono per 300 lire l’anno: per la XXX e la
striscia di terra intorno dove praticare attività all’aperto.
Tornò di corsa dai suoi ragazzi e gridò: «Allegri! Abbiamo
trovato l’oratorio!».
DEFINIZIONI
ORIZZONTALI. 1. Escluso, eliminato - 9.
Debole e vile - 16. Un elemento del ter-
mosifone - 18. Infiammazione delle arti-
colazioni - 20. La Cordigliera sudameri-
cana - 21. Il Burton regista (iniz.) - 22.
La Lescaut di Puccini - 24. Negazione
bifronte - 25. XXX - 27. XXX - 29. In-
sieme di gallerie sotterranee per estrarre
minerali - 30. Ci precedono in bicicletta
- 31. Il dio del vento - 33. Insegnante
(abbr.) - 34. Caserta (sigla) - 35. Con-
dizione di vita facile e spensierata - 37.
? Il... romanesco - 38. Un simpatico mar-
supiale australiano - 40. Li costruiscono
gli uccelli - 41. Pittoresco quartiere di
Ragusa - 43. Elevati di statura - 44. Aree
circoscritte - 45. Tutt’altro che dinamica
- 46. Ha per sigla AO - 47. È scritto sulla
banconota america di minor taglio - 48.
L’ente soppresso nel 1978 che si occupa-
va del dopolavoro di operai e impiegati.
VERTICALI. 1. Sorda senza pari - 2. Pic-
colo locale dove conservare vini e altro -
3. Accumulato, raggrumito - 4. Provincia
del Lazio - 5. Alla fine della frittata! - 6.
Sa recitare - 7. L’arcangelo Gabriele lo
guarì dalla cecità - 8. Adesso in breve -
10. Si battono applaudendo - 11. Malat-
tia dell’apparato respiratorio - 12. Il più
alto vulcano italiano - 13. Sono nelle lire
e nel dollaro - 14. Pulito e ordinato - 15.
La prima ballerina nella danza classica -
17. Il giornalista Mentana (iniz.) - 19. È
enorme senza orme - 23. Cime, vertici -
26. Vetrinetta da museo - 28. Fa svanire
le illusioni - 29. Lo showman inglese
nato in Libano ma famoso in Italia - 30.
Il Powell che creò i boy-scout - 32. Al
punto in cui siamo... - 35. Diminutivo di
Giuseppe - 36. Identifica un conto ban-
cario - 39. L’acronimo della Lingua dei
segni italiana - 40. Novara (sigla) - 42.
Sono pari nel caviale - 44. In fondo alla
stanza!
42
GIUGNO 2022

5.3 Page 43

▲back to top
LA BUONANOTTE
B.F.Disegno di Fabrizio Zubani
L’asino e la tigre in TV
L’ asino e la tigre furono invitati ad un
programma televisivo di dibattiti culturali
molto seguito dal pubblico.
L’asino disse alla tigre: «L’erba è blu».
La tigre rispose: «No, l’erba è verde».
L’asino strillava più forte: «È blu!»
La discussione divenne accesa, e i due decisero
di sottoporre la questione ad arbitrato, e per farlo
chiamarono il leone.
Il leone accettò l’invito e fu invitato a sedere su un
trono. L’asino ricominciò a gridare: «Sire, non è
vero che l’erba è blu?»
Il leone rispose: «Vero, l’erba è blu».
L’asino si precipitò in avanti e continuò: «La tigre
non è d’accordo con me, mi contraddice e mi
infastidisce. Per favore, puniscila!»
Il leone solennemente sentenziò: «La tigre sarà
punita con cinque anni di silenzio».
L’asino ragliò di gioia e ripartì felice, ripetendo:
«L’erba è blu!»
La tigre accettò la punizione, ma chiese al leone:
«Maestà, perché mi hai punito? Dopo tutto l’erba
è verde».
Il leone rispose: «In effetti, l’erba è verde».
La tigre chiese: «Allora perché mi punisci?»
Il leone rispose: «Questo non ha niente a che fare
con la questione se l’erba è blu o verde. La puni-
zione è per te, perché così impari a non discutere
con un imbecille!».
Ci sono persone che sono accecate dall’ego, dall’odio
e dal risentimento, e l’unica cosa che vogliono è avere ragione
anche se non ce l’hanno.
Quando l’ignoranza urla, l’intelligenza sta zitta.
La tua pace e la tua tranquillità valgono di più.
GIUGNO 2022
43

5.4 Page 44

▲back to top
5x
1000
Dacc i 5
no c farem i 1000!
La Tua firma perme erà alla Fondazione DON BOSCO NEL MONDO di essere al fianco dei
Salesiani di Don Bosco nei paesi in cui operano con amore e dedizione per proteggere l’infan-
zia più vulnerabile e a rischio guidati dall’esempio e dall’insegnamento di Don Bosco.
Sostieni i nostri proge i destinando il 5×1000 alla Fondazione DON BOSCO NEL MONDO.
Inserisci il nostro Codice Fiscale nella tua dichiarazione dei redditi 97210180580.