Bollettino_Salesiano_202205

Bollettino_Salesiano_202205

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Le case
di don
Bosco
Napoli
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
MAGGIO
2022
Artemide
Zatti
SANTO!

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I FIORETTI DI DON BOSCO
B.F.
Nascita di un titolo
I
n sogno, la Madonna aveva
detto a don Bosco: «Io
voglio una chiesa grande!».
Don Bosco sorridendo aveva rispo-
sto: «Se la Madonna vuole una
chiesa grande, se la faccia!»
Andò proprio così.
C’era davanti alla casa Pinardi e alla
chiesina di San Francesco di Sales
un campo adibito a ogni genere di
colture: granoturco e cavoli, patate e
ortaggi. Lì, nel sogno, la misteriosa
signora gli aveva mostrato la stupen-
da e grande chiesa. Aveva posato il
piede e indicato il posto con precisio-
ne. Nel campo dei cavoli.
Per “strane” circostanze
quel campo passò dalla
proprietà del celebre
Rosmini a quella di don
Bosco. E lui non indugiò
un minuto: aveva le tasche
vuote, ma chiamò il
capomastro per versargli
un acconto. Gli capovolse
in mano il portamonete
e gli diede tutto ciò che
aveva: otto soldi.
Vedendo la sua espressione
costernata aggiunse subito:
«Stai tranquillo.
La Madonna se la pagherà
la sua chiesa».
Anche tra i suoi serpeggia-
vano grossi dubbi, ma don
Bosco rispondeva: «No,
non temete; bisogna che
noi facciamo, e poi Dio ci
aiuterà ed il danaro verrà da sé».
Ma anche la burocrazia voleva la sua
parte. Don Bosco doveva presentare
il progetto in Municipio e qui tutto
andò bene: ottenne non solo appro-
vazione ed incoraggiamento, ma
anche la promessa di 30 mila lire.
Purtroppo c’erano i sussiegosi archi-
tetti. Don Bosco si presentò umile
umile con la berretta in una mano e
il disegno appena abbozzato nell’al-
tra. C’era anche il titolo: Chiesa di
Maria SS. Ausiliatrice. Un capo degli
architetti, visto quel titolo, scosse il
capo dicendo che era impopolare,
inopportuno e che sapeva troppo di
bigottismo: «No, no! Ma che razza
di titolo! Chiamiamola chiesa del
Carmine, del Rosario, della Pace!»
Con il suo solito sorriso furbacchio-
ne, don Bosco disse: «È cosa che si
accomoda facilmente».
Lasciò passare qualche settimana e
ripresentò il progetto al Municipio.
Non si parlava di Maria Ausiliatrice,
ma solamente di una Chiesa in Val-
docco. Fu approvata con entusiasmo.
Il giorno solenne della consacrazio-
ne, sul frontone della chiesa, troneg-
giava la scritta “Maria Ausiliatrice
dei Cristiani”.
Il capo degli architetti
ringhiò a don Bosco: «Mi
ha ingannato!»
Soavemente, don Bosco
rispose: «Ma no! Lei non
voleva approvare quel
titolo e non l’approvò; io
voleva darglielo e glielo
dò. Così siamo contenti
tutti e due».
L’architetto abbozzò. Don
Bosco non avrebbe mai
rinunciato a quel titolo,
perché era quello voluto
da Maria.
LA STORIA
Questa storia
è raccontata nelle
Memorie Biografiche,
Volume VII, pagina 468.
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MAGGIO 2022

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Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
MAGGIO
2022
MAGGIO 2022
ANNO CXLVI
NUMERO 05
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Le case
di don
Artemide
Zatti
Salesiana di San Giovanni Bosco
Bosco
Napoli
SANTO!
La copertina: Il dolce volto di Maria della
Basilica di Maria Ausiliatrice di Lima (Perù).
2 I FIORETTI DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 I NOSTRI SANTI
Santo Artemide Zatti
10 TEMPO DELLO SPIRITO
12 L’INVITATO
Don Michele Viviano
16 LE CASE DI DON BOSCO
Napoli
20 IN PRIMA LINEA
Piero Ramello
24 FMA
Rio Gallegos
26 COOPERATORI
28 SALESIANI
Ecuador
30 DON BOSCO NEL MONDO
Gli oratori
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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16
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Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 64
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
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numero: Agenzia Ans, Fabio
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e i lavoratori.

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Ángel Fernández Artime
Il buSoAnNsaTmOaritano SDB
Nella Famiglia Salesiana,
nella Chiesa argentina,
in particolare nella diocesi
di Viedma, in Italia, a Boretto,
sua città natale, e nella diocesi
di Reggio Emilia, c’è oggi
un clima di grande entusiasmo:
Artemide Zatti sarà dichiarato
santo.
C arissimi amici del Bollettino e di don Bo-
sco, un raggio luminoso di speranza in-
terrompe i cupi pensieri di questo tempo,
segnato dalla pandemia e, soprattutto, da
tante guerre, in particolare quella in Ucraina, che
portano morte, dolore e distruzione. Una grande
buona notizia: la Chiesa universale riconosce uffi-
cialmente e certifica la santità di un salesiano «della
fine del mondo»: Artemide Zatti.
Il nostro carissimo “santo” Zatti è una figura bel-
lissima, la manifestazione della santità vissuta nella
quotidianità, nella semplicità, nel servizio umile e
gioviale, in particolare, ai malati. Ha incarnato il
cuore di don Bosco e la ricchezza del carisma sa-
lesiano. In lui si rispecchia l’aspetto più umano e
amorevole della Famiglia Salesiana.
Era dotato di un cuore gentile che conosceva la sof-
ferenza. Sapeva bene che cos’erano la povertà, l’e-
migrazione, la fragilità e la malattia. Come anche i
dubbi, le decisioni difficili fino a quella di rimanere
con don Bosco, vivendo pienamente la sua vocazio-
ne originale di salesiano coadiutore come lo voleva
don Bosco: testimone, vicino alla gente, dedito al
servizio dei malati e dei poveri.
Responsabile dell’ospedale San José de Viedma,
estese la cerchia dei suoi pazienti raggiungendo,
con la sua inseparabile bicicletta, tutti i malati della
città, soprattutto i più poveri. Gestiva denaro, ma
la sua vita era poverissima: per il viaggio in Italia
per la canonizzazione di don Bosco, gli dovettero
prestare vestito, cappello e valigia.
Era amato e stimato dai malati; amato e stimato dai
medici, che riponevano in lui la massima fiducia e
si abbandonavano all’influenza che scaturiva dal-
la sua santità: «Quando sono con Zatti, non pos-
so smettere di credere in Dio», esclamò un giorno
un medico che si era autoproclamato ateo. Perché
per Zatti ogni malato era Gesù stesso. Quando
un giorno i suoi superiori gli raccomandarono di
non ammettere più di 30 pazienti, fu sentito mor-
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morare: «E se il 31° paziente fosse Gesù stesso?»
La testimonianza di Artemide come vero e quo-
tidiano buon samaritano, misericordioso come il
Padre, era una missione e uno stile che coinvolge-
va tutti coloro che in qualche modo si dedicavano
all’ospedale: medici, infermieri, ausiliari e badanti
dei malati, suore, volontari che donavano tempo
prezioso a chi soffre. Era attento ad ascoltare i pa-
zienti, le loro storie, le loro angosce, le loro paure.
Sapeva che anche quando non è possibile supera-
re la malattia, si può sempre curare, si può sempre
consolare, si può sempre far sentire una vicinan-
za che dimostra preoccupazione per la persona di
fronte alla sua malattia.
In tutto e sempre era salesiano e salesiano “coadiu-
tore” cioè non sacerdote. La vocazione del salesiano
laico fa parte della fisionomia che don Bosco ha vo-
luto dare alla Congregazione Salesiana. A loro don
Bosco disse chiaramente: «Io ho bisogno di voi».
Proprio papa Francesco sperimentò l’intercessione
efficace di Artemide Zatti riguardo alla vocazione
del laico consacrato, quando era provinciale dei ge-
suiti in Argentina. In una lettera scrive: «Nel 1976,
durante una visita canonica ai missionari gesuiti
nel nord dell’Argentina, mi fermai per alcuni gior-
ni nell’arcivescovado di Salta. Lì, tra un discorso
e l’altro alla fine dei pasti, l’arcivescovo Pérez mi
ha parlato della vita del signor Zatti. Mi ha anche
dato l’opportunità di leggere il libro della sua vita.
Mi ha colpito il fatto che fosse un coadiutore a tutti
gli effetti. In quel momento ho sentito che dove-
vo chiedere al Signore, per intercessione del signor
Zatti, di mandarci delle vocazioni come coadiutori.
Ho fatto delle novene e ho chiesto alle novizie di
farle». Poi continua: «Da quando abbiamo inizia-
to le nostre preghiere al signor Zatti, sono entrati
nell’Istituto 23 giovani Fratelli gesuiti che perse-
verano. Sono convinto della sua intercessione per
questo problema, poiché, considerando il numero,
è un caso raro nel nostro Ordine. Ripeto che sono
convinto della sua intercessione, perché so quanto
lo abbiamo pregato come intercessore».
Uno splendido e autorevole incoraggiamento anche
per noi a intercedere per l’intercessione di Artemi-
de Zatti per l’aumento delle buone e sante vocazio-
ni dei Salesiani Coadiutori.
In questo anno dedicato a san Francesco di Sales,
difensore e promotore della vocazione alla santità
per tutti, la testimonianza di Artemide Zatti ci ri-
corda, come afferma il Concilio Vaticano II: «Tutti
i fedeli di ogni stato e condizione sono chiamati dal
Signore, ciascuno a suo modo, a una santità la cui
perfezione è la stessa del Padre celeste”. Francesco di
Sales, don Bosco e Artemide fanno della vita quo-
tidiana un’espressione dell’amore di Dio, che viene
ricevuto e anche ricambiato. I nostri santi volevano
avvicinare la relazione con Dio alla vita e la vita alla
relazione con Dio. Questa è la proposta della “santità
della porta accanto” o della “classe media di santità”,
di cui papa Francesco ci parla con tanto affetto.
La figura di Artemide Zatti è uno stimolo e un’i-
spirazione per noi a diventare segni e portatori
dell’amore di Dio per i giovani e i poveri. Come ho
scritto nella Strenna di quest’anno: “anche
noi abbiamo bisogno di dispiegare il
“carisma della visitazione” come de-
siderio del cuore di annunciare, senza
aspettare che siano loro a venire da
noi, andando in spazi e luoghi abi-
tati da tante persone per le quali
una parola gentile, un incontro,
uno sguardo pieno di rispetto
può aprire i loro orizzonti ver-
so una vita migliore. Ar-
temide Zatti è stato un
uomo della Visitazione,
portando Gesù nel suo
cuore, riconoscendolo e
servendolo nei suoi fra-
telli malati e poveri con
gioia e generosità.
Santo Artemide Zat-
ti, intercedi per tutti
noi!
Il monumento
ad Artemide
Zatti come
buon
samaritano.
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I NOSTRI SANTI
T.B.
Santo Artemide Zatti
Un angelo si fece infermiere
In Argentina è stato il «don Bosco
dei poveri». Quando arrivava un
ragazzino affamato e stracciato,
domandava alla suora: «Ha una
minestra calda e un vestito per
un Gesù di dieci anni?».
Don Bosco è andato a Dio nel 1888. Un
anno dopo, a Boretto di Reggio Emilia,
un ragazzino di 9 anni inizia a lavorare.
Non sa chi è don Bosco, ma un giorno,
in Argentina, lo chiameranno il «don Bosco dei
poveri». E adesso, senza saperlo, rinnova la dura
esperienza di Giovannino Bosco alla cascina
Moglia. In una vasta fattoria agricola fa il «garzo-
ne». Levata alle tre del mattino, una fetta di polenta
per masticare e svegliarsi del tutto, e poi ai campi.
«Ragazzo da lavoro» fino a 16 anni, con la giornata
da sole a sole, la faccia lunga denutrita, la paura di
finire come tanti braccianti uccisi sui vent’anni dal-
la pellagra o dalla malaria.
Si chiama Artemide Zatti, quel ragazzo, e quando
torna in famiglia sente che papa e mamma parla-
no di partire per l’America. C’è uno zio emigrato
a Bahia Bianca, in Argentina, che scrive dicendo
che laggiù chi ha voglia di lavorare può vivere bene.
In Italia invece, in quegli anni, un bracciante ha
poche possibilità di vivere: ci sono la crisi agricola,
la disoccupazione, il latifondo, la miseria che falcia
i contadini come le spighe del grano.
Nel 1897 (Artemide ha 17 anni) gli Zatti partono.
Bahia Bianca e tutta l’Argentina, in quegli anni, è
piena di italiani emigrati, che lavorano sodo e in
silenzio. Lo zio li aspetta, e aiuta il papà a mette-
re su una bancarella al mercato. Artemide lavora a
fabbricare mattoni.
La vita di don Bosco e un’idea
Ci sono molti anticlericali, a Bahia Bianca, ma
gli Zatti alla domenica sono tutti in chiesa. La
chiesa è tenuta dai salesiani di don Bosco, arrivati
missionari in Argentina 22 anni prima. Il parroco si
chiama Carlo Cavalli, e Artemide gli dà una mano
a tenere in ordine la chiesa, ad accompagnarlo
nella visita ai malati, quando non è impegnato con
i mattoni. Don Carlo gli mette nelle mani la Vita
di Don Bosco, e Artemide la legge di un fiato. E gli
nasce in testa un’idea: «E se mi facessi salesiano
anch’io?».
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Artemide ha ormai 19 anni, e ne parla con suo
padre. Il brav’uomo si stringe nelle spalle: «Sei
grande, puoi decidere della tua vita. Ma pensaci
bene, perché se cominci una strada devi andare
fino in fondo».
Le case salesiane in Argentina sono numerose e
sparse un po’ dappertutto. Quella che raduna i gio-
vani che intendono prepararsi alla vita salesiana, è
a Bernal, vicino a Buenos Aires.
A Bernal arriva un giovane salesiano colpito dal-
la tubercolosi, e Artemide si presta per curarlo e
assisterlo. Il salesiano, consunto dalla tubercolosi,
muore. Artemide, 22 anni, è scosso da una tosse
insistente e consumato da una febbre che l’assale
tutti i giorni, verso sera. È visitato da un medico
che rileva la tubercolosi anche nei polmoni di Zatti,
e domanda ai superiori: «Non avete una casa sulle
Ande, con aria fine e ossigenata? Ebbene, se volete
salvarlo, mandatelo là».
La casa c’è. Ma per raggiungerla, Artemide deve
compiere un viaggio di 600 chilometri per torna-
re a Bahia Bianca, e di qui affrontare un secondo
viaggio verso est di 700 chilometri. Un viaggio che
lo potrebbe stroncare. I primi 600 chilometri, che
Zatti compie su un duro sedile di terza classe, lo
portano alla sua casa e alla parrocchia salesiana.
È sfiancato. Don Carlo scrive immediatamente ai
Superiori, e dopo pochissimi giorni annuncia alla
famiglia: «Artemide non andrà sulle Ande, ma nel-
la casa salesiana di Viedma. Lì c’è aria buona e un
ottimo dottore. E guarirà. Appena te la sentirai,
Artemide, qui ci sono i soldi per il viaggio».
A Viedma sorge l’unica opera salesiana dotata
di un ospedale e di una farmacia. I missionari li
hanno dovuti costruire quattordici anni prima. La
città era un ammasso di povere baracche dove si
ammassavano avventurieri, indigeni, soldati. Qua-
lunque malattia poteva essere mortale, perché man-
cavano anche le medicine più elementari. Un prete
salesiano, don Evasio Garrone, era stato infermiere
nell’esercito italiano, e monsignor Cagliero l’aveva
incaricato di mettere in piedi una farmacia. Don
Garrone fu promosso su due piedi
«medico», e nella farmacia comin-
ciò una strana contabilità: i ricchi
pagavano le medicine a un prez-
zo doppio, i poveri non pagavano
niente. Accanto alla farmacia c’era una stalla. Ven-
ne pulita, disinfettata, fornita di un letto e di un
materasso. Sorse così anche l’ospedale per i malati
che era impossibile curare nelle loro case.
Non prete, ma «medico»
Marzo 1902. Artemide giunge a Viedma e scrive
alla mamma: «Con grande gioia ho trovato i miei
cari fratelli salesiani. Quanto a salute, mi ha visitato
il medico padre Garrone, e mi ha assicurato che tra
un mese sarò guarito». In realtà l’uscita dalla ma-
lattia non durò un mese, ma due anni.
Nel 1908, a 28 anni di età, Artemide pronuncia i
suoi voti definitivi: è salesiano per sempre. Dopo
essersi consultato con i superiori, ha deciso di la-
sciare gli studi per il sacerdozio e di dedicarsi
all’aiu­to di don Garrone.
L’8 gennaio 1911 don Garrone muore. Di col-
po, Artemide Zatti si trova da solo a capo della
«Farmacia di S. Francesco» e dell’«Ospedale di S.
Giuseppe». Per essere in regola davanti alla legge,
il superiore salesiano assume un medico laureato,
Foto giovanili
del Santo.
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I NOSTRI SANTI
Artemide
Zatti con
la mamma,
nel suo
ospedale e
il suo sorriso.
che diventa responsabile legale
di fronte all’autorità. Ma di fatto
il medico di tutti è lui, Artemi-
de Zatti, con i suoi studi scarsi
ma con tanto amore per tutti i
malati.
Nel 1913 i desideri di Artemide cominciano a rea-
lizzarsi: si pone la prima pietra di un nuovo ospe-
dale. Per ora si costruirà solo il pianterreno, ma
appena i soldi arriveranno, sopra si farà il primo
piano, poi il secondo. Per questo i muri sono solidi
e sicuri.
La fatica più grande è sempre quella di mettere
insieme i soldi necessari, perché ospedale e farma-
cia continuano con la solita gestione: chi ha paga,
chi non ha non paga. Quando i conti sono in rosso,
Zatti inforca la bicicletta, si calca in testa un cap-
pello e va a domandare l’elemosina. Bussa alle rare
case dei ricchi: «Don Pedro, potrebbe imprestare
cinquemila pesos al Signore?».
«Al Signore?», domanda stupito l’uomo ricco.
«Sì, don Pedro. Il Signore ha detto che ciò che
facciamo ai malati, lo facciamo a lui. È un buon
affare prestare al Signore».
La Banca Nazionale ha aperto un’agenzia a Viedma,
e assegna a Zatti il conto corrente n. 226. Artemi-
de spende ciò che ha sul libretto, e anche ciò che
non ha. E un giorno la Banca lo manda a chiamare.
Cݏ un grosso conto in rosso da saldare subito,
altrimenti scatteranno le pratiche per ipotecare
l’Ospedale. Zatti rimane lì, davanti al direttore
della Banca, inebetito. Piange, prega e non sa che
cosa fare. Soldi non ne ha proprio. L’unica cosa che
ha sono altri debiti.
Qualcuno della Banca telefona al vescovo mon-
signor Esandi. Il Vescovo brontola, dice che in
un modo o nell’altro provvederà. Chiama il suo
vicario. «Mi telefonano che in banca c’è Zatti
che piange perché non ha da pagare una gros-
sa somma scoperta. Sempre il solito! Abbiamo
qualcosa in cassa?».
«Il denaro per stampare il prossimo numero del
giornale diocesano».
«Portali in fretta al direttore della Banca, e salva
quel pover’uomo».
Con rincrescimento, Artemide Zatti deve am-
mettere che le banche non «imprestano niente al
Signore». Fanno affari e basta. Ma da cristiano
testardo conclude: «Sono loro che sbagliano, non
io». E continua così.
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IL FILM SULLA SUA VITA
Nel luglio 2020 è stata rilasciata una prima produzione cinematografica dal titolo “Zatti,
fratello nostro”, realizzata dai Salesiani in Argentina, attraverso il Bollettino Salesiano del
Paese, su alcuni aspetti rilevanti della vita del Beato Artemide Zatti. L’idea originale di
questo cortometraggio è stata di don Ricardo Campoli, il regista che ha dato vita a questa
opera magnifica. Il film è stato sostenuto fin dall’inizio dal Rettor Maggiore, don Ángel
Fernández Artime, che ha invitato «Misiones Salesianas», della Spagna, a collaborare. È davvero
opportuno rivedere questo film per conoscere la spiritualità e la santità del Beato Artemide Zatti.
La sua esperienza di infermiere e religioso ci permette di guardare con occhi diversi il compito
impegnativo di prendersi cura degli altri, di occuparsi della vita degli altri.
Questo corto, “Zatti, fratello nostro”, che dura 32 minuti, è arrivato a quasi 65 mila
visualizzazioni: un bell’invito a guardare questo cortometraggio, disponibile al link
https://www.youtube.com/watch?v=qXWYBTRcNM8.
È arrivato all’ospedale un poveraccio coperto di
stracci, è stato curato e guarito, ma non può ripar-
tire mettendosi addosso nuovamente quegli stracci.
Zatti va da una famiglia: «Non avete un vestito da
imprestare al Signore?». Tirano fuori un vestito
molto usato. E lui: «Non ne avete uno più bello?
Al Signore dobbiamo dare il meglio che abbiamo».
È arrivato un indio sporco e sciancato. Zatti grida
all’infermiera: «Sorella, prepari un letto per il
Signore».
E quando arriva un ragazzino affamato e straccia-
to, domanda alla suora: «Ha una minestra calda e
un vestito per un Gesù di dieci anni?».
Davanti all’Ospedale è sorta una farmacia vera,
con un farmacista diplomato. Per legge, la farmacia
dell’Ospedale dovrebbe chiudere. Ma Zatti sa che
nella nuova farmacia tutti dovranno pagare tutto.
I poveri così non avranno più medicine. Si intende
con i superiori, passa giorni e notti sui testi di far-
macia, e si reca a La Piata per dare gli esami neces-
sari. Torna fornito pure lui di regolare diploma. E
la farmacia dell’Ospedale può continuare tranquil-
la il suo servizio ai poveri. Gli hanno detto tante
volte di tenere la partita doppia, e lui ha risposto:
«Ma io ce l’ho già. Nella tasca destra metto il de-
naro che ricevo, in quella sinistra i conti da pagare.
Più partita doppia di così».
E guardò in alto
19 luglio 1950. Il serbatoio dell’acqua ha un gua-
sto. Sotto la pioggia, Artemide Zatti (70 anni) si
arrampica su una lunga scala a pioli per andarlo a
riparare. Un piede scivola, la scala sbanda. Una ca-
duta pesante, la testa ferita, tutto il corpo ammac-
cato. Tenta di dire: «Non è niente», ma lui stesso sa
che non è vero.
I vecchi mobili sembrano massicci ed eterni. Ma se
cadono anche solo una volta, diventano tutto un ci-
golio. E Zatti sente all’improvviso che è diventato
vecchio e malato. Sente un dolore insistente al
fianco sinistro, disturbi continui. Sa abbastanza di
medicina per dire: «È un tumore al pancreas. Non
affannatevi, perché non c’è nessun rimedio».
Qualcuno lo sorprende a piangere in silenzio, e su-
bito nasconde le lacrime come una colpa. «Soffre?»
gli domandano. E lui: «Non è questo. È che sono
un ferro vecchio, inutile ormai».
Chiede l’Unzione degli Infermi, rinnova i voti bat-
tesimali e i voti religiosi. A chi domanda «Come
va?», risponde in una maniera strana: «All’insù». E
guarda in alto.
II Signore viene a prenderlo il 15 marzo 1951. Quel
Signore al quale Artemide Zatti la vita non l’ha
prestata, l’ha donata.
Oggi la Chiesa universale lo onora come santo.
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TEMPO DELLO SPIRITO
Carmen Laval
«hCoosmcoeperto
Maria»
Una pagina commovente e
indimenticabile di Carlo Carretto.
L’annunciazione
di Maria del
pittore Nino
Musio.
Èstato durante il mio lungo soggiorno nel
deserto. Vivevo nell’Hoggar in una fraternità
di Piccoli Fratelli del padre de Foucauld e
mi guadagnavo il pane lavorando sulle piste
di Tit, Tazrouk, In Amguel, come meteorologo. Il
lavoro mi piaceva assai perché oltre il sostentamen-
to mi dava la possibilità di vivere nell’ambiente che
avevo cercato, il deserto, e di unire alla fatica quoti-
diana i grandi silenzi e la possibilità della preghiera
prolungata.
In poco tempo conobbi i tuareg che vivevano sotto
la tenda, gli aratini, schiavi africani che coltivavano
le oasi, e gli arabi che venivano dal nord e i moza-
biti che si dedicavano ai commerci.
Mi ero affezionato soprattutto ai tuareg che aveva-
no gli accampamenti lungo le gueltà e sugli altipiani
e coglievo le occasioni dei miei viaggi per fermarmi
con loro la sera dopo il lavoro.
Fu durante un incontro con loro che io venni a co-
noscenza di un fatto interessante.
Ero venuto a sapere, quasi per caso, che una ragaz-
za dell’accampamento era stata promessa sposa ad
un giovane di un altro accampamento ma che non
era ancora andata ad abitare con lo sposo perché
troppo giovane. Istintivamente avevo collegato il
fatto al brano del vangelo di Luca dove si racconta
proprio che la Vergine Maria era stata promessa a
Giuseppe, ma non era ancora andata ad abitare con
lui (Mt 1,18).
Ripassando due anni dopo in quell’accampamento,
spontaneamente, come per trovare motivi di con-
versazione, chiesi se il matrimonio fosse avvenuto.
Notai nel mio interlocutore un turbamento, seguito
da un evidente imbarazzato silenzio.
Tacqui anch’io. Ma la sera, attingendo acqua ad
una gueltà a qualche centinaio di metri all’accampa-
mento, vedendo uno dei servi del padrone, non po-
tei resistere alla curiosità di conoscere il motivo del
silenzio imbarazzato del capo dell’accampamento.
Il servo si guardò attorno con circospezione, ma,
avendo in me molta confidenza perché «marabut»,
mi fece un segno che ben conoscevo passando la
mano sulla gola con il gesto caratteristico degli
arabi quando vogliono dire: «è stata sgozzata».
Il motivo?
Prima del matrimonio s’era scoperta incinta e l’o-
nore della famiglia tradita esigeva quel sacrificio.
Ebbi un brivido, pensando alla ragazza uccisa per-
ché non era stata fedele al suo futuro sposo.
La sera a Compieta, sotto il cielo sahariano, vol-
li rileggere il testo di Matteo sul concepimento di
Gesù in Maria. Avevo acceso una candela perché
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MAGGIO 2022

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2.1 Page 11

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era buio e la notte era senza luna. Lessi: «Maria,
sua madre, era fidanzata a Giuseppe. Ora prima
che andassero ad abitare insieme si trovò incinta
per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo,
che era giusto, e non voleva ripudiarla, decise di li-
cenziarla in segreto» (Mt 1,19).
Insomma Giuseppe non era stato il denunciatore
e Gioacchino, padre di Maria, non aveva assunto
il ruolo del fanatico di turno ammazzando Maria
come avrebbe voluto la legge. «Mosè ci disse che
questo tipo di donne siano uccise» (cfr. Dt 22,24).
Ricordo come fosse ora. Sentii Maria vicina vi-
cina seduta sulla sabbia, piccola, debole, indifesa,
con il suo ventre grosso, con la sua impossibilità a
piegarsi, silenziosa.
Spensi la candela. Nella notte buia non vedevo le
stelle. Vedevo attorno a noi tanti occhi che brillava-
no come gli occhi degli sciacalli quando attentano
agli agnellini.
Erano gli occhi di tutti gli abitanti di Nazaret che
spiavano quella ragazza madre e le chiedevano con
tutta la potenza dell’incredulità di cui sono capaci
gli uomini, e più ancora le donne: «Come hai fatto
ad avere quel figlio, sciagurata, scostumata!».
«Che notte! Che so rispondere? Che è Dio il padre
di questo piccolo? Chi mi crede? Sto zitta. Dio sa.
Dio provvede...».
Povera, dolce Maria, piccola ragazza madre. Inco-
minci male la tua carriera! Come fai ad affrontare
tanti nemici? Chi ti crederà?
Quella sera sentii per la prima volta che mi stavo
avvicinando al mistero di Maria.
Per la prima volta non la vedevo sull’altare come
una statua immobile di cera, addobbata con abiti
da regina, ma la sorella, vicino a me, seduta sulla
sabbia del mondo, con i sandali logori come i miei
e con tanta stanchezza nelle vene.
Allora capii perché sua cugina Elisabetta, che
Maria era andata a trovare dopo quei fatti (si esce
sempre volentieri dal proprio ambiente quando si
è con il ventre grosso e gli occhi dei vicini ti guar-
dano in una certa maniera puritana), avesse potuto
dire al termine del racconto che Maria le aveva fat-
to: «Beata te che hai creduto».
Sì, veramente beata! Maria, ci vuole coraggio a
credere a queste cose! È difficile per noi credere
a quello che dici testimoniandoci che quel figlio
non è frutto di un’avventura notturna che non vuoi
spiegare. Ma è difficile soprattutto per te! «Beata te
che hai creduto» (Le 1,45).
E il massimo che si può dire ad una ragazza
semplice, umile, povera, che ha avuto la ventura di
parlare con gli angeli, lei che è un nulla, e che si
è sentita dire che dovrà avere un figlio che sarà il
Santo e il figlio dell’Altissimo, sì, proprio lei, l’ulti-
mo e il più piccolo «resto» d’Israele.
«Beata te che hai creduto, Maria» (Le 1,45).
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2.2 Page 12

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L’INVITATO
Marina Lomunno
Don Michele Viviano
Il “Rettore” di Maria Ausiliatrice
«A don Bosco che mi ha voluto qui chiedo ogni
giorno: che cosa devo fare per continuare a
rendere bella e accogliente la casa di Maria
Ausiliatrice da te costruita con tante fatiche…».
Don Michele
Viviano,
nuovo rettore
della Basilica
di Maria
Ausiliatrice a
Valdocco.
L o abbiamo incon-
trato nel cortile di
Valdocco nei gior-
ni della Novena di
don Bosco, all’indomani
della festa liturgica di san
Francesco di Sales, patrono
della Congregazione salesia-
na. Il 2022 è un anno speciale
per i figli di don Bosco che ri-
cordano i 400 anni dalla morte del
Vescovo di Ginevra a cui è stata dedi-
cata una mostra temporanea nel Museo Casa
don Bosco aperta fino al 15 gennaio 2023 (infor-
mazioni su museocasadonbosco.org).
Com’è nata la sua vocazione?
La mia vocazione è nata potrei dire a casa, nell’am-
biente familiare e nonostante fossi il primogenito
e unico maschio con tre sorelle: M. Teresa, Mi-
rella e Ivana. Mamma Rosetta e papà Giovanni,
questi ora è in cielo, cooperatori salesiani oltre che
membri dell’azione cattolica nella Chiesa Madre
del mio paese San Cataldo (CL). Inoltre avevo due
zii salesiani: don Giuseppe Riggi, la cui mamma
era sorella di mio nonno, e don Michele Viviano,
di cui portavo provvidenzialmente pure lo stesso
nome. E questi mi ripeteva sempre che avrei dovuto
prendere il suo posto. E così è stato. Chiaramente
frequentavo i salesiani del mio paese a San Cataldo
(CL) dove c’è ancora un oratorio salesiano fiorente
e dinamico. Poi ho frequentato le scuole dai salesia-
ni a Caltanissetta. Un salesiano un giorno mi disse:
“perché invece di fare l’animatore solo per un mese
di estate non lo fai per sempre?” E soprattutto mi
colpì allora il clima molto sereno e familiare che si
respirava nella comunità salesiana di Caltanissetta,
al punto tale da essere per me come una potente
calamita… volevo essere uno di loro.
Don Michele, che cosa significa
essere Rettore della Basilica di Maria
Ausiliatrice, centro carismatico
di tutta la famiglia salesiana?
Mi sento molto privilegiato e lo vivo innanzitutto
come un regalo di don Bosco per il mio 30° anno
di ordinazione presbiterale. Nel 2016, nel mio 25°
di sacerdozio, mi è arrivata un’obbedienza «strana»,
non facile, per la quale non mi sentivo per nulla
preparato: alla mia vita abbastanza tranquilla di
docente nell’Istituto Teologico San Tommaso di
Messina mi si chiedeva la direzione di un centro
di accoglienza per emigranti che arrivavano diret-
tamente al porto di Catania. Era il periodo in cui
papa Francesco ci invitava ad aprire le case e gli isti-
tuti religiosi per accogliere chi rischiava la vita per
attraversare il Mar Mediterraneo. Accolsi quell’ob-
bedienza come un regalo di Dio per il mio 25°.
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MAGGIO 2022

2.3 Page 13

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Ora, dopo 5 anni, con mia grande sorpresa e senza
esser stato mai parroco, il Rettor Maggiore mi ha
chiesto di venire qui a Torino come Rettore della
Basilica più importante per la nostra congregazio-
ne. Come non accoglierlo non solo come un dono
di Dio ma anche come una chiamata di don Bosco?
Ogni figlio di san Giovanni Bosco sogna di stare
un giorno, un periodo nei luoghi delle origini della
Congregazione Salesiana, così è stato per me fino
adesso. Un sogno che è diventato realtà. Ed è la
prima volta che celebro la festa di don Bosco pro-
prio accanto a lui in Basilica, qui in questi luoghi
dove ha cominciato ad accogliere i ragazzi e con
alcuni di questi a fondare la congregazione: «ci
chiameremo salesiani» era il 26 gennaio del 1854.
E poi a maggio, sarà un’emozione celebrare per la
prima volta la festa di Maria Ausiliatrice nel tempio
costruito dal nostro padre e maestro.
E di certo essere Rettore è anche una grande re-
sponsabilità, un grande impegno di cui forse anco-
ra non mi rendo conto. Ma non sono solo: ho una
comunità che mi sostiene, confratelli che aiutano
e collaborano tanto: è vero io sono il Rettore ma
ancor prima che a me la Basilica è affidata alla mia
comunità e questo mi conforta e mi incoraggia. E a
don Bosco che mi ha voluto qui chiedo ogni giorno
«che cosa devo fare per continuare a rendere bella
e accogliente la casa di Maria Ausiliatrice da te co-
struita con tante fatiche…».
In questo anno si celebra il quarto
centenario dalla morte di san
Francesco di Sales. Quanto è attuale
oggi il carisma del vostro patrono?
Credo che oggi sia da riscoprire il suo umanesimo
integrale, quel far emergere le risorse molteplici in
ogni persona umana, in ogni giovane nostro de-
stinatario. Spesso tentiamo o pretendiamo che gli
altri siano a nostra immagine e somiglianza e così
li vogliamo forgiare. Don Bosco lo dona come mo-
Don Michele
con i giovani
emigranti
nel Centro di
Accoglienza
di San
Gregorio di
Catania che
dirigeva.
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2.4 Page 14

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L’INVITATO
Don Michele
intervistato
dal TG1 e
relatore in un
convegno a
Pordenone.
dello a noi salesiani proprio
perché noi per primi e poi
i nostri destinatari siamo
chiamati a perfezionare non
solo lo spirito, la dimensio-
ne religiosa, ma anche gli
affetti e le passioni dell’a-
nima, i sensi del corpo, le
facoltà del nostro intelletto,
insomma tutta intera la no-
stra persona.
Don Bosco infatti sulla scia
di san Francesco di Sales
non curava solo la formazione spirituale e religio-
sa, fondamentale per la nostra vita, ma insieme a
questa è necessaria anche quella umana, cultura-
le, ricreativa-relazionale dove il gioco, lo sport, la
musica, il teatro, i momenti di svago e distensione
sono altrettanto importanti. E forse solo in questo
contesto compren-
diamo alcune sue
espressioni, come
quella scelta dal
Rettor Maggiore
per la strenna di
questo anno: «fate
tutto per amore e
nulla per forza»,
soprattutto quan-
do, come dice don Bosco,
non basta amare ma è ne-
cessario che i giovani e
aggiungo anche chi ci sta
accanto, si accorgano di
questo facendolo percepire.
Che cosa chiedono
gli uomini, le donne
e i giovani di oggi
a Maria Ausiliatrice
quando vengono
in Basilica?
Siamo arrivati a gennaio e in questi primi quattro
mesi ho visto tante persone di tutte le fasce sociali
ricorrere all’Ausiliatrice: e penso che tutti chiedia-
mo che ci liberi dalla pandemia che, oltre a mette-
re a rischio la nostra salute, ha cambiato le nostre
abitudini, ha condizionato le nostre attività, ci ha
isolati di più, ci ha diviso all’interno delle stesse
famiglie per le divergenze anche di pensiero sul
virus. Ci ha resi più fragili, insicuri, diffidenti l’u-
no dell’altro visto come potenziale portatore della
malattia. Oggi invece ognuno di noi ha bisogno di
sicurezza, di certezze, di punti fermi che la scienza
non ti dà e non può darti, per cui c’è un ritorno a
Dio, un maggior ricorso a Maria Ausiliatrice, un
mettere la nostra vita nelle mani sicure del Dio del-
la vita e di colei che è la mamma delle mamme,
l’Ausiliatrice di ogni uomo che a lei ricorre con la
semplicità e la fiducia del figlio, della figlia.
Quali iniziative pensa di lanciare
in Basilica nei prossimi anni?
Ho bisogno ancora di qualche mese per conoscere
e comprendere coloro che varcano la soglia della
Basilica, che cosa desiderano, di che cosa hanno
bisogno, che cosa ci chiedono: non è facile, ma
non desidero cadere in un attivismo di iniziative
che possono abbagliare ma non illuminare, attirare
ma non riscaldare il cuore. Certamente la Basilica
deve avere un respiro lungo e profondo insieme a
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MAGGIO 2022

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uno sguardo ampio che vada oltre i confini locali e
nazionali da una parte e dall’altra, offrire insieme
alle celebrazioni eucaristica e della riconciliazione,
sempre ben curate, iniziative formative e culturali.
Oggi i santuari non sono solo «oasi nel deserto» per
trovare un po’ di pace e tranquillità dal frastuono
della città, «ospedali da campo» per curare o sanare
qualche ferita o «isole ecologiche» per essere perdo-
nati. Oggi un santuario come il nostro, che conser-
va le spoglie di tre santi e due beati, è anche come
un «magnete» che attira non solo chi vuol pregare
ma anche il semplice curioso o visitatore di luoghi
artistici; che accoglie non solo il cittadino torinese
ma anche l’exallievo/a che arriva dall’altra parte del
mondo. Dunque mi chiedo, lasciandomi illu-
minare da don Bosco, che cosa può e deve
offrire di significativo il Santuario Basi-
lica Maria Ausiliatrice alla città di To-
rino, innanzitutto, e ad ogni persona
che entra in questo tempio o meglio
in questa «casa» come vide nel sogno
don Bosco: «Hic Domus mea, inde
gloria mea»? («Questa è la mia casa,
da qui la mia gloria»).
DON MICHELE VIVIANO
Nato nel 1962 a San Cataldo, Caltanissetta, dove è stato
ordinato sacerdote nel 1991, è il nuovo Rettore della Basi-
lica di Maria Ausiliatrice dal 1° settembre 2021. Ha preso
il testimone dal confratello don Guido Errico, ora maestro
dei novizi e direttore dell’Opera salesiana di Genzano di
Roma. Docente al Centro Teologico San Tommaso di Mes-
sina, è giunto a Valdocco dopo numerosi incarichi a Roma
e in Sicilia tra cui delegato Ispettoriale
per la Famiglia Salesiana.
Don Michele
con il Rettor
Maggiore e
(di fianco) con
i suoi allievi
dell’Istituto
Teologico San
Tommaso
di Messina
dove insegna
discipline
bibliche.
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2.6 Page 16

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LE CASE DI DON BOSCO
Fabio Bellino
Il Don Bosco di Napoli
L’oratorio dei mille mestieri
Una comunità geniale, carismatica, entusiasta
che si è saputa reinventare nel corso degli anni.
L’origine della presenza Salesiana a Napoli
risale allo stesso don Bosco; Napoli è stata
la città più a sud visitata da don Bosco tra
il 29 e il 31 Marzo 1880. In questa occa-
sione don Bosco nella chiesa di san Giuseppe in via
Medina, celebrò l’Eucarestia assistito da un picco-
lo ministrante di nome Peppino Brancati. Alcuni
anni dopo il ragazzo napoletano andò a Valdocco
da don Bosco e divenne il primo salesiano origi-
nario del sud Italia, a lui è
stata anche dedicata una
casa famiglia a Torre
Annunziata.
Nel periferico quartiere della Doganella i figli di
don Bosco iniziarono la loro attività nel 1934 in lo-
cali poveri e insufficienti ad accogliere le numerose
masse giovanili che affluivano attorno ad essi.
Vent’anni dopo, passata la tremenda bufera della
guerra, nel 1954 posero mano all’attuazione del
grande Istituto oggi esistente realizzato con cospi-
cui contributi di benefattori privati e di Enti.
Il 28 maggio 1959 veniva inaugurato dal Presiden-
te della Repubblica Giovanni Gron-
chi. Nell’anno centenario della morte
di don Bosco, il 21 ottobre 1988, il
Rettor Maggiore don Egidio Viganò
inaugurava il Centro Sociale “Don
Bosco” nel quale l’Istituto si riproget-
tava secondo le esigenze dei tempi e
nella fedeltà dinamica al Fondatore.
Il Don Bosco
di Napoli
si presenta
come una
realtà
dinamica
e aperta al
territorio.
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Il menu completo del carisma
Oggi il Don Bosco di Napoli, si presenta come una
realtà dinamica e aperta al territorio che, a partire
dal carisma di don Bosco, risponde alle nuove po-
vertà educative presenti in città.
Napoli è una città bellissima e complessa che gene-
ra problemi complessi ed è per questo che la nostra
casa salesiana si è strutturata in maniera articolata
rispondente però a un criterio unificante semplice:
il criterio oratoriano, l’Oratorio dei mille mestieri!
Casa che accoglie
I salesiani nel corso degli anni hanno saputo rein-
ventare la vocazione all’accoglienza, dai grandi col-
legi degli anni ’60, alle comunità famiglia, strutture
più a misura di ragazzo con progetti educativi indi-
vidualizzati. Nella nostra casa ne abbiamo ben tre!
La prima nata è la comunità famiglia “Il Sogno”
animata dall’aps salesiana “Piccoli Passi grandi
sogni” nata nel 2007. Nei suoi 15 anni di vita ha
accolto 120 ragazzi per lo più di Napoli e provin-
cia, provenienti dall’area sia penale sia amministra-
tiva. Nel 2017 Napoli vive l’emergenza sbarchi di
profughi e i salesiani rispondono presente: nasce la
comunità per minori stranieri non accompagnati
“il Ponte”. Sono ragazzi che per venire in Europa
hanno affrontato viaggi infiniti tra mille pericoli.
La Libia per la maggioranza di loro ha rappresen-
tato la tappa più traumatica. Ma non basta… nel
2018 dinanzi alla drammatica situazione di minori
abbandonati per strada soprattutto nella zona della
stazione, nasce la comunità di pronta accoglienza
“La zattera”. Si tratta di un pronto soccorso edu-
cativo aperto 24 ore su 24, a cui la polizia, gli assi-
stenti sociali o i cittadini possono sempre rivolgersi
per dare un tetto, un pasto, vestiti ma soprattutto
la possibilità di ripartire. In queste due comunità
sono passati più di 250 ragazzi provenienti da 32
paesi del mondo! Tra le storie di riscatto e di rina-
scita di questi ragazzi mi piace raccontare quella di
Mustafà, 17 anni proveniente dalla Somalia. Viene
trovato dalla polizia riverso per terra alla stazione
centrale. Ricordo la sera quando è arrivato nella
portineria del nostro centro accompagnato dall’as-
sistente sociale accolto da Pietro e don Vanni.
Sguardo terrorizzato, ma soprattutto noto che non
riesce a camminare; nelle prigioni libiche gli han-
no spaccato l’anca. Sono passati tre anni: Mustafà
ha preso da noi la terza media, è stato operato e
ora cammina abbastanza bene, si è iscritto al primo
anno del nostro Centro di Formazione Professio-
nale. Ogni volta che lo vedo ripenso a quella sera in
portineria e penso ai miracoli di don Bosco.
Scuola che avvia la vita
Don Bosco diceva: i miei ragazzi hanno “l’intel-
ligenza nelle mani” e questo vale tanto più per i
ragazzi napoletani. Napoli però è anche la città
in Italia con la maggiore dispersione scolastica.
Come combattere la dispersione scolastica facendo
leva sull’intelligenza delle mani delle ragazze e dei
ragazzi napoletani? La formazione professionale!
Nel 2018 abbiamo inaugurato un nuovo Centro di
Formazione Professionale insieme con altri partner
Nelle diverse
comunità
del Don
Bosco sono
passati più di
250 ragazzi
provenienti
da 32 paesi
del mondo.
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2.8 Page 18

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LE CASE DI DON BOSCO
Una presenza
evangelizzatrice
in un territorio
che vede
nei salesiani
un punto di
riferimento,
una presenza
costante che
accompagna in
tutte le stagioni
della vita e tutte
le situazioni
della vita.
che condividono questa grande missione educativa:
la Fondazione san Gennaro, la Fondazione Fran-
ca e Alberto Riva, IF imparare e fare, coopera-
tiva il Millepiedi, Cometa Formazione. Nasce la
scuola del Fare, una scuola innovativa, bella, che
fa dell’attenzione educativa e del rapporto con le
aziende il suo tratto distintivo. Con i due corsi di
“operatori dei sistemi e servizi logistici” e “operato-
re alla riparazione dei veicoli a motore” diamo una
risposta concreta ai ragazzi del territorio.
Accanto a questi due corsi triennali strutturati,
l’Oratorio dei mille mestieri offre una pluralità
di laboratori in cui esercitarsi, sperimentarsi, im-
parare un mestiere, trovare il proprio mondo nel
mondo: il laboratorio di pizzeria “Anem e Pizza”, il
laboratorio di acconciatore “Cap Appost”, il Cen-
tro “Le ali” con la possibilità che offre di ottenere
la qualifica come cuoco, cameriere e sala bar, la
banda don Bosco che offre la possibilità ai ragazzi
di imparare e suonare uno strumento e tante altre
possibilità, tanti altri mestieri.
Chiesa che evangelizza
La nostra comunità salesiana anima la Parrocchia
don Bosco del rione Amicizia. Una presenza evan-
gelizzatrice in un territorio che vede in noi salesiani
un punto di riferimento, una presenza costante che
accompagna in tutte le stagioni della vita e tutte le
situazioni della vita visto che la nostra comunità
si occupa anche della cura pastorale dell’Ospedale
san Giovanni Bosco.
Il momento centrale della vita oratoriana è la pre-
ghiera con la buona notte salesiana, quando tutti
i settori e tutti i progetti si fermano per dedicare
pochi minuti al dialogo con Dio, con parole sem-
plici e vicine al quotidiano. Ecco allora che i ra-
gazzi che frequentano il centro diurno, i laboratori
di educativa di strada, i progetti territoriali
con le scuole, i ragazzi della scuola calcio
e i ragazzi che liberamente accedono
all’oratorio si riconoscono apparte-
nenti alla stessa grande famiglia
salesiana. La “chiamata” alla
preghiera puntuale e ferma
alle 17.30 di don Michele
rappresenta un rito educa-
tivo imprescindibile per
la nostra opera, perché
anche l’educazione ha bi-
sogno dei suoi riti!
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«Consapevoli
che da soli
non si educa,
abbiamo
costruito una
rete con le
altre agenzie
del territorio,
famiglia, scuola,
servizi sociali,
parrocchie,
associazioni».
Cortile per incontrarsi da amici
Il cortile è il centro geografico e carismatico della
nostra opera. Il Don Bosco ha un cortile bellissimo
e ampio con tanti campi, un ampio porticato, una
“piazza” a misura di ragazzo, la piazza della gioia.
Questo spazio è tanto più prezioso perché sorge in
una porzione di città che non ha spazi dedicati ai
ragazzi, che spesso sono costretti a stare per la stra-
da con tutti i pericoli che ne derivano. Ricordo an-
cora un pomeriggio di sole in cortile quando arriva
una mamma che quasi con le lacrime agli occhi,
lasciando i figli in oratorio mi dice “meno male che
ci siete voi salesiani”. Pochi minuti prima in una
piazza vicina una bambina mentre passeggiava con
la nonna era stata colpita da un proiettile. Consa-
pevoli che da soli non si educa, abbiamo costruito
una rete con le altre agenzie del territorio, famiglia,
scuola, servizi sociali, parrocchie, associazioni.
Il cortile è abitato quotidianamente da centinaia di
ragazzi e da decine di educatori che lo rendono uno
spazio educativo per incontrarsi da amici. Lo sport
aperto a tutti ci permette poi di agganciare centi-
naia di ragazzi e ragazze con le loro famiglie.
In questi anni mi sono sempre più persuaso che don
Bosco con il suo stile educativo, la sua amorevolez-
za ha tanto da dare a Napoli, ma anche che Napoli
con la sua bellezza, la sua genialità, arricchisce don
Bosco, lo rende più simpatico, insomma sono una
coppia vincente!
«L’Oratorio dei
mille mestieri
offre una
pluralità di
laboratori in
cui esercitarsi,
sperimentarsi,
imparare un
mestiere,
trovare il
proprio mondo
nel mondo».
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2.10 Page 20

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IN PRIMA LINEA
O. Pori Mecoi
Piero Ramello
Un salesiano in Pakistan
Del Pakistan ammiro soprattutto tre cose: la religiosità diffusa,
la popolazione estremamente giovane e la sua capacità
di offrire un’accoglienza semplice e generosa.
Piero
Ramello con
un giovane
pakistano:
«Devo molto
ai ragazzi.
Non solo mi
trovo bene
con loro; sono
soprattutto
un grande
aiuto».
Qual è la tua “carta d’identità”?
Sono nato in un paese in provincia di Torino in una
bellissima famiglia profondamente cristiana. Dalla
scuola media a Lombriasco in poi, il legame con
i Salesiani è ininterrotto. Ho fatto l’aspirantato a
Valdocco. Dopo il noviziato, a vent’anni ho fatto la
professione come Salesiano coadiutore. Terminata
la formazione iniziale salesiana ho ripreso gli studi
musicali diplomandomi in Musica corale e direzio-
ne di coro ed ho conseguito la laurea in Fisica.
Come hai sentito la vocazione?
Perché hai preso questa decisione?
Ho trascorso molti anni della mia vita salesiana nel
mondo della scuola, un ambiente congeniale al mio
carattere un po’ riservato: il contatto continuo e
prolungato con i ragazzi aiuta a creare legami signi-
ficativi anche in assenza di esuberanza. Devo molto
ai ragazzi. Non solo mi trovo bene con loro; sono
soprattutto un grande aiuto. La loro freschezza e
spontaneità, il desiderio di coerenza e l’atteggia-
mento di molti di essi di fronte alle difficoltà sono
sempre stati una grossa sollecitazione al bene. Ho
conosciuto diversi ragazzi costretti a portare pesi
sproporzionati alla loro età, pesi dovuti a problemi
grossi di salute o, più spesso, a disaccordi familiari.
La loro tenacia – e anche un po’ la loro simpatia –
mi hanno fatto maturare un atteggiamento positivo
di fronte agli ostacoli.
Perché sei finito in Pakistan?
Non mi è mai passato per la mente di diventare
missionario in paesi lontani, fino al 2016, quando
l’appello che il Rettor Maggiore lancia ogni anno
mi ha toccato profondamente. All’inizio il mio su-
periore mi ha aiutato a capire che per noi Salesiani
la vita missionaria è una “vocazione nella vocazio-
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3.1 Page 21

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«Più della
metà degli
abitanti del
Pakistan
sono sotto
i 19 anni.
Per strada
si vedono
bambini,
ragazzi e
giovani
dappertutto.
Tutti sono
molto
gentili e
accoglienti».
ne”, non è solo dare una disponibilità in risposta
all’appello del Rettor Maggiore. Ho iniziato così
un cammino di discernimento durato alcuni anni.
All’inizio, alcuni confratelli con cui mi sono con-
frontato hanno tentato di dissuadermi. “Sei troppo
vecchio!”. “Hai difficoltà con le lingue straniere!”.
Eppure continuava a sembrarmi che la chiama-
ta alla vita missionaria fosse rivolta proprio a me.
Dopo una settimana di ritiro e i colloqui con alcu-
ne guide spirituali, nel febbraio 2019 ho presentato
la mia domanda missionaria al Rettor Maggiore
che l’ha accolta, con destinazione Pakistan. Dopo
il corso per missionari a Roma e alcuni mesi in Ir-
landa per l’Inglese, più altri lunghi mesi in attesa
del visto, a 56 anni di età, nell’ottobre 2020 sono
arrivato a Lahore.
Quali sono le caratteristiche
del Pakistan?
I Salesiani in Pakistan sono arrivati poco più di
vent’anni fa. Il pioniere è stato don Pietro Zago.
Attualmente abbiamo due presenze. A Quetta vi
sono due confratelli, una scuola con circa cinque-
cento allievi e convitto. A Lahore siamo tre con-
fratelli provenienti da 3 continenti. Il direttore, P.
Noble, è pakistano, e P. Gabriel viene dal Messico.
Abbiamo scuola, centro di formazione professio-
nale, convitto e aspirantato per un totale di oltre
quattrocento ragazzi.
Del Pakistan ammiro soprattutto tre cose: la reli-
giosità diffusa, la popolazione estremamente giova-
ne e la sua capacità di offrire un’accoglienza sempli-
ce e generosa.
Sarà, forse, che l’Asia meridionale ha una lunga
tradizione di interiorità e di vita spirituale, il fatto
è che qui ogni cosa porta a riferirsi a Dio. Anche
i giovani con cui vivo pregano spesso e volentieri;
quando pregano, sono molto concentrati. Ciò mi
fa un gran bene. Riguardo ai giovani, poi, c’è da
dire che sono veramente numerosi. Più della metà
degli abitanti del Pakistan sono sotto i 19 anni. Per
strada si vedono bambini, ragazzi e giovani dapper-
tutto. Tutti sono molto gentili e accoglienti.
Il Pakistan non è un paese tranquillo. Ci sono alcu-
ni nodi problematici, come l’instabilità politica, il
terrorismo, la povertà, le tensioni interne e un tasso
di alfabetizzazione del 49,9%. Rimane irrisolta la
questione Kashmir: India e Pakistan si odiano da
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21

3.2 Page 22

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IN PRIMA LINEA
quando sono nati. Inoltre, il vicino Afghanistan
crea flussi di profughi e anche infiltrazioni terro-
ristiche.
«A Lahore
siamo tre
confratelli
provenienti da
3 continenti.
Abbiamo
scuola, centro
di formazione
professionale,
convitto e
aspirantato
per un totale
di oltre
quattrocento
ragazzi».
Quali difficoltà devi affrontare?
Quanto a fatiche e a difficoltà, per me la maggiore
è la barriera linguistica. Il mio livello di urdu è an-
cora allo stadio pre-infantile. In ogni caso, i ragazzi
tra di loro parlano in dialetto punjabi. A scuola i
ragazzi studiano urdu e inglese dalle elementari.
Pochissimi, però, sono in grado di sostenere una
conversazione anche semplice in inglese, e non par-
lo solo dei ragazzi delle classi inferiori.
L’urdu è una lingua con influenze persiane, cur-
de e arabe. Si legge e si scrive da destra a sinistra.
L’alfabeto è composto da 36 lettere, ciascuna delle
quali assume una forma grafica diversa a seconda
della posizione che occupa nella parola. Nella scrit-
tura dell’urdu vengono sistematicamente omesse le
vocali brevi, che sono comunque pronunciate nella
lettura (in altre parole, per poter leggere corretta-
mente un termine, bisogna conoscerlo). Le vocali
lunghe, al contrario, sono regolarmente indicate,
ma possono avere suoni diversi. Ad esempio la
“alif ”, all’inizio di una parola, può indicare i suoni
a, i, u.
Come cambiano le tue abitudini?
Una delle lezioni che sto apprendendo dal Pakistan
è la disponibilità al cambiamento e alla precarietà.
Imparo che i programmi possono essere modifica-
ti all’ultimo momento, magari senza un minimo
preavviso, che basta un’interruzione della corren-
te elettrica (non infrequente) per dover reinventare
sull’istante un’attività, che la qualità dei rapporti
con le Autorità è legata alle disposizioni di animo
(mutevoli) di una singola persona. Al riguardo,
ultimamente la precarietà è vissuta anche nei con-
fronti della possibilità, per i missionari, di rimanere
in Pakistan. Pure in passato l’attesa per il visto di
ingresso era lunga, ma il rinnovo annuale veniva
concesso senza grosse difficoltà. Ultimamente il
rinnovo del visto per i missionari comincia ad esse-
re rifiutato o, per lo meno, come nel mio caso, ar-
riva con molto ritardo ed ha la durata di sette mesi.
Attualmente qual è il tuo compito?
Come insegnante di Fisica, sinceramente non ho
grandi soddisfazioni, a parte il calore del rapporto
umano con i ragazzi. In classe ho l’insegnante di
sostegno (non per i ragazzi, ma per me!) che tradu-
ce in urdu. Trovo che la scuola pakistana, per come
la conosco, dia troppa importanza all’aspetto mne-
monico (basta sfogliare i libri di testo) trascurando
le competenze. Il livello di apprendimento è molto
basso soprattutto perché la frequenza non è assidua.
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3.3 Page 23

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Un giorno capita di avere in classe ventiquattro al-
lievi; il giorno dopo, magari, soltanto nove. Ogni
tanto spunta qualche nuovo allievo e, purtroppo,
qualcun altro abbandona la scuola.
Ci sono altre opere salesiane?
I Salesiani in Pakistan sono arrivati poco più di
vent’anni fa. Il pioniere è stato don Pietro Zago.
Attualmente abbiamo due presenze. A Quetta vi
sono due confratelli, una scuola con circa cinque-
cento allievi e convitto.
E con quattrocento ragazzi, molti interni, e la scuo-
la e il centro professionale davvero il lavoro non ci
manca.
In Pakistan la religione islamica è praticata dal
96,5% della popolazione. I cristiani sono l’1,5%,
per metà cattolici e metà protestanti. Pur essendo
un’esigua minoranza, dal momento che Youhana-
bad ha una forte concentrazione di cristiani – forse
la più alta di tutto il Pakistan – non ci sentiamo
affatto schiacciati dalla maggioranza musulmana.
I cristiani sono fieri di mostrarsi tali, e il ricordo di
Akash Bashir è molto vivo, anche come espressione
di riconoscenza per aver salvato parecchie vite.
Qui tutte le persone sono molto gentili con me.
Avendo ricevuto tanto da loro, spero di poter dare
il mio piccolo contributo.
I Salesiani
in Pakistan
sono arrivati
poco più di
vent’anni fa.
Il pioniere
è stato don
Pietro Zago.
Attualmente
abbiamo due
presenze.
Come sono i giovani pakistani?
Nella nostra scuola e nel convitto abbiamo dei ra-
gazzi d’oro, veramente generosi. Tra gli exallievi,
poi, vi è Akash Bashir, un giovane che nel 2015,
mentre era in servizio d’ordine presso la parroc-
chia del nostro quartiere, Youhanabad, non ha
esitato a sacrificare la propria vita per impedire
ad un attentatore di entrare in chiesa per compiere
una strage.
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3.4 Page 24

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FMA
Ana María Fernández
Donne della prima ora
Oggi, la
scuola María
Auxiliadora
di Río
Gallegos è
diventato
un grande
edificio, ricco
di attività e
stimatissimo
dalla gente.
Rio Gallegos in Argentina era
davvero alla fine del mondo:
una manciata di immigrati e
avventurieri, ma all’inizio del
XX secolo, con enorme coraggio
e altrettanta fede, arrivarono
due suore salesiane.
A nno 1901. Marzo. “Il 10 di questo mese
sono arrivate in questo porto due suore:
suor Bragutti Teresa, che è venuta come
direttrice della nuova casa, e suor Mar-
garita Avataneo, entrambe della Missione di Can-
delaria (Terra del Fuoco). Erano accompagnate da
don Albera, rappresentante del Rettor Maggiore
dei Salesiani in America e dall’Ispettrice Suor An-
gela Vallese”.
Rio Gallegos non è neanche una
città. Solo una manciata di im-
migrati e avventurieri, con una
maggioranza notoriamente ma-
schile, desiderosa di fare soldi
con ogni mezzo necessario, an-
che se a costo di grandi sacrifici.
Il clima era duro e anche la vita,
soprattutto per loro, le poche
donne.
Fu allora che le Figlie di Maria
Ausiliatrice, che avevano fonda-
to una casa a Punta Arenas, in
Cile, poco più di un decennio
prima, sentirono la sfida. L’e-
ducazione delle ragazze e delle
giovani donne si presentava così
come una sfida e anche come un
sogno. Ci sono voluti fede, fiducia in Dio e molto
coraggio pionieristico. Nel marzo 1901 aprirono le
porte dell’oratorio e poi una scuola.
Quando tutto era ancora da fare, le aspettative ri-
poste su coloro che hanno fatto il grande passo si
sono moltiplicate rapidamente. La prima direttrice,
suor Teresa Bragutti, scrisse alla sua superiora ge-
nerale: “L’intenzione del vescovo è che questa casa
serva per gli esterni, gli oratoria-
ni, gli allievi e i bambini, e con
il tempo, se il governo aiuta, un
orfanotrofio completamente se-
parato dagli allievi, e un ospeda-
le, che il governatore ci ha offer-
to qualche tempo fa”. Le prime
sorelle, imperterrite, si misero al
lavoro.
La cronaca è un semplice re-
soconto, con poche note su ciò
che accade, ciò che è nuovo, ciò
che sorprende e anche ciò che
è routine. Accanto alle ragazze
e alle loro famiglie, la cronaca
comprende figure importan-
ti del governo provinciale e dei
vicini di casa, ispettori scolastici
nazionali e persone in difficoltà
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3.5 Page 25

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con la legge, negozianti e soldati, suore salesiane e
padri in visita o di passaggio nel loro viaggio verso
altri luoghi. Attraverso la Cronaca partecipiamo ai
festival scolastici e alle celebrazioni del centenario
del paese, ai litigi di strada e alle epidemie. A volte
siamo sorpresi da lacune di diversi giorni e a volte
da dettagli curiosi. E nel frattempo, l’orizzonte si
allarga e la vita della scuola diventa un tutt’uno con
quella di tante persone.
La seconda voce della Cronaca della Casa riflette
l’arrivo della comunità in città da Río Grande, Ter-
ra del Fuoco. Coincide con la presenza di don Pa-
blo Álbera, futuro Rettor Maggiore dei Salesiani.
Anno 1904. Luglio.
Abbiamo un tempo molto brutto: è caduta molta neve
in questi giorni, per questo molti animali stanno mo-
rendo nei ranch. C’è carenza di carne in città e anche
noi stiamo cercando di trovare un modo per averne
un po’ ”.
Il clima ostile e la difficoltà di ottenere riforni-
menti, dovuta alla lontananza e all’isolamento, si
riflettono in queste righe durante la parte più dura
dell’inverno del 1904.
Scuola María Auxiliadora oggi
Oggi, la scuola María Auxiliadora di Río Gallegos
è diventata un grande edificio accanto alla Casa
Storica del 1901, che è ancora una radice vitale. Si-
tuato nel centro storico della città, apre le sue porte
ogni giorno a circa 560 studenti, ragazze – come
dall’inizio – e ragazzi, dal 2004.
Ci sono tre livelli: la scuola materna, con aule per
i bambini di 4 e 5 anni; il livello primario, con i
suoi sette gradi, e il livello secondario, dal 1° al 5°
grado, con un focus sulle scienze sociali e uma-
ne. La comunità religiosa, composta da tre suore,
anima la vita della comunità educativa in mezzo
a numerosi laici che condividono le responsabilità
di gestione, pastorale, insegnamento e assistenza.
La vita e l’attività giovanile si moltiplicano nell’O-
ratorio e in vari gruppi apostolici: il Gruppo Maria-
no, che vuole rendere tangibile la presenza di Maria
Ausiliatrice, il “Progetto Vita”, di carattere più voca-
zionale, e l’Infanzia e Adolescenza Missionaria, un
gruppo con una lunga traiettoria ecclesiale.
Il Collegio, consapevole del suo valore storico, rico-
nosciuto come Monumento Storico Nazionale dal
2008, è aperto alla società di Rio Gallego e a chi
viene da altrove, interessato a conoscere le origini
della casa, così strettamente intrecciate con quelle
della città, e apre le sue porte ai visitatori accompa-
gnati da una guida.
Certamente queste attività sono state colpite dalla
pandemia, ma a poco a poco la vita sta tornando
alla normalità.
Come all’inizio, Maria Ausiliatrice continua a
camminare per la casa, vegliando sulle sue figlie
e sui suoi figli che vivono nella terra dei sogni
di don Bosco ed educando nuovi sognatori per il
mondo.
Ci sono voluti
fede, fiducia
in Dio e molto
coraggio
pionieristico.
Nel marzo
1901,
le suore
aprirono
le porte
dell’oratorio
e poi una
scuola.
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3.6 Page 26

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COOPERATORI
Marina Lomunno
Una fede “plastica”
Gian Mario Regge, medico chirurgo, con la moglie Patrizia,
cooperatori salesiani esprimono in modo originale
e affascinante la loro devozione a Maria.
Il professor
Regge
con i suoi
capolavori
di fede e di
pazienza
certosina.
«Sono molto aiutato dalla Madonna
nella mia vita perché mi è sempre
stata vicina sia nei momenti felici sia
in quelli difficili e la sua presenza si
rafforza quotidianamente e mi rende sereno. Maria
è la mamma che dona tutta se stessa a suo Figlio
e a noi che siamo Figli suoi: è tramite Lei che un
giorno incontreremo il Figlio prediletto».
È in queste parole la «miccia» che ha acceso in Gian
Mario Regge l’idea di esprimere in modo originale
– riproducendola in plastici – la sua devozione a
Maria, condivisa lungo i secoli con i costruttori di
santuari a Lei dedicati, a cominciare dalla Basilica
di Maria Ausiliatrice voluta da don Bosco.
E l’ultimo plastico in ordine di tempo – terminato
prima di Natale – è quello del santuario di Oropa,
a memoria del V l’anniversario dell’Incoronazione
della Madonna nera, celebrato la scorsa estate. Un
rito antico, che si ripete ogni 100 anni, ma carico
di significato anche oggi in tempo di pandemia:
la prima solenne incoronazione è datata 30 agosto
1620 come gesto di gratitudine dei biellesi scampa-
ti alla peste.
L’autore, Gian Mario Regge, di malattie e di arte
se ne intende. Medico chirurgo, specializzato in
ostetricia e ginecologia e diplomato all’Accademia
di Belle Arti di Vercelli, padre di Alessandro, coo-
peratore salesiano con la moglie Patrizia impegnati
nella parrocchia San Domenico Savio e all’Ora-
torio Michele Rua, dagli anni ’80 è stimatissimo
medico di base in Barriera di Milano, a Torino. Ma
accanto alla dedizione per i suoi pazienti non ha
mai abbandonato la passione per l’arte e la storia: e,
accanto alla pittura – numerose le mostre estempo-
ranee in cui ha ricevuto riconoscimenti – dal 2000
il dottor Regge riproduce miniature di monumenti
architettonici nazionali in scala, con particolare at-
tenzione ai santuari mariani.
Ogni plastico, costruito con cura certosina per i
particolari, è realizzato con materiali poveri o di
recupero come cartone, legno, sassi e fili di lana.
E ad accrescere l’originalità dei manufatti, circa 40
tra chiese e monumenti, spiega la moglie Patrizia
che ne condivide la passione come un’«assistente
di bottega», è che i plastici sono scomponibili e
«quando ci chiamano per qualche esposizione di-
ventano scatole che stipiamo nella nostra Peugeot».
Abbiamo incontrato Patrizia e il marito medico-
artista nel santuario torinese di Nostra Signora della
Salute durante la festa patronale lo scorso settem-
bre, dove hanno allestito una mostra di plastici dei
santuari mariani. Tra i modelli esposti, che hanno
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sorpreso tutti per la corrispondenza con l’originale,
la «Salute», le Basiliche di Maria Ausiliatrice, Su-
perga e Lourdes, la Gran Madre di Dio, il Duomo
di Torino con le Porte Palatine ma anche la cattedra-
le parigina di Notre Dame prima e dopo l’incendio.
«Il santuario della Salute dove si venerano le spoglie
mortali di san Leonardo Murialdo, collaboratore
di don Bosco, mancava alla mia collezione» spiega
Regge. «Così a giugno abbiamo chiesto al rettore
don Franco Pairona di visitare l’edificio. Quando
torno nel mio studio con foto, schizzi e anche l’au-
silio di Google maps mi metto al lavoro: ci vogliono
dai 4 ai 6 mesi per costruire un plastico».
Alcuni dei
modellini
realizzati.
Perché tanto interesse
per i santuari mariani?
«Provengo da una famiglia che mi ha cresciuto se-
condo gli insegnamenti cristiani e, fin da piccolo,
ad amare Maria e affidarmi a lei. Ricordo ancora
la sera quando con i miei genitori pregavamo il ro-
sario. E poiché sono nato in provincia di Vercelli,
dove la devozione alla Madonna Nera di Oropa
è molto sentita, anche la mia famiglia ne è molto
affezionata. Ancora oggi per me è consuetudine
il pellegrinaggio a quel Santuario, luogo dove mi
sento più vicino a Maria, mamma che accoglie e
non giudica. E poi con mia moglie siamo da sempre
molto legati alla Madonna di Lourdes: già prima
che nascesse nostro figlio lo abbiamo affidato a lei
e, dopo la sua nascita, ci siamo recati tutti al San-
tuario con la nonna, la madrina e il padrino».
Il dottor Regge racconta che, da quando ha iniziato
a riprodurre plastici dei santuari – tra cui la Sacra
di San Michele, il santuario di Sant’Ignazio ma an-
che il complesso dell’Opera salesiana Michele Rua
(la sua parrocchia) – ha subito riscontrato grande
interesse dei suoi pazienti, ogni qualvolta li colloca-
va nella sala d’attesa del suo studio.
«E un anno fa ad inizio lockdown, mentre dispo-
nevo la riproduzione di Notre Dame» prosegue il
medico «ho notato quanto la devozione e la fede
che nutrivano come me nei confronti della Vergine
fosse sentita tra
i pazienti che si
fermavano a ve-
dere la cattedrale
e a leggere la sua
storia. E così ho pensato che poteva essere bello re-
galare loro in questo momento così difficile un per-
corso di fede attraverso la conoscenza delle Chiese
Mariane della nostra città. Per questo accetto vo-
lentieri quando ci chiamano nelle parrocchie: l’e-
sposizione dei plastici non ha solo l’obiettivo di far
conoscere la storia dell’edificio, ma sapere che in
quella chiesa, in quel santuario, si prega la Madre
di Dio che lì ha compiuto prodigi, che accoglie le
nostre suppliche e che ci ricambia con la sua pre-
senza nei nostri cuori e che non ci abbandona mai».
Come dire, da medico-artista: la fede è medicina
per l’anima e non solo.
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3.8 Page 28

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SALESIANI
Cristian Calderón
Ecuador
“Sogno di essere
un salesiano felice
tra le persone”
Dopo aver preso parte alla
150a Spedizione Missionaria
Salesiana, nel 2019, il giovane
tirocinante salesiano Alexandre
Akilimali, di 25 anni, è giunto
in Ecuador per svolgere il suo
servizio pastorale nella comunità
indigena di Yaupi. Quel giorno
ha realizzato un sogno:
donare la sua vita per gli altri,
ovunque Dio lo mandi.
A lexandre è nato in una famiglia cattolica
di Goma, nella Repubblica Democratica
del Congo. A 13 anni entra nell’“itig
Don Bosco” della sua città e conosce per
la prima volta i salesiani e la figura di don Bosco.
Come studente conosce l’allora Direttore, don Fer-
min Kikoli, una figura decisiva per la sua vocazione
alla vita consacrata. “Era una persona che accoglie-
va gli studenti con grande affetto, un don Bosco in
mezzo ai giovani” ricorda Alexandre.
Terminati gli studi secondari, sentì che era il mo-
mento di iniziare un percorso di vita salesiana, e
di non entrare all’università come volevano i suoi
genitori. All’inizio i suoi non presero sul serio la
sua decisione, ma, dopo aver visto il figlio piangere
per due notti di fila, gli lasciarono iniziare l’aspi-
rantato.
Durante il prenoviziato sentì per la prima volta la
chiamata alla vita missionaria, ma i formatori gli
dissero che non era ancora il momento di parlarne
e di avere pazienza. Ma tale voce interiore si man-
tenne negli anni e alla fine del postnoviziato scrisse
una lettera al Rettor Maggiore per esprimere la sua
disponibilità per le missioni ad gentes (al di fuori
della sua cultura) e ad vitam (per tutta la vita).
Don Ángel Fernandez Artime, Rettor Maggiore,
ha accolto la sua richiesta e così Alexandre si è reca-
to a Torino-Valdocco per partecipare alla Spedizio-
ne Missionaria Salesiana n° 150. Del
cammino di preparazione gli è
rimasta stampata nel cuore
una frase: “Come missionari,
imparerete a conoscere nuo-
ve culture. Ma non pensate
di andare lì a dare qualcosa
di nuovo; al contrario, prima
andate ad imparare dagli altri
e poi condividete ciò
che avete”.
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Grazie a Honorato
Ripensando alla sua vocazione missionaria, Ale-
xandre cita sempre la figura del salesiano coadiuto-
re Honorato Alonso, dedito alla formazione tecnica
presso l’“itig Don Bosco” di Goma, e sempre vici-
no ai ragazzi. Pur anziano, non rimaneva nei labo-
ratori, ma usciva in cortile per giocare a calcio con
i ragazzi. “Con la sua vicinanza, con il suo servizio
tra noi, mi ha spinto a questa vita” ricorda.
Senza conoscere molto lo spagnolo, è arrivato in
Ecuador e si è formato presso la comunità di La
Kennedy, a Quito, per alcuni mesi. Poi si è trasferito
nella comunità di Yaupi, un luogo che gli ha causato
molta emozione e stupore, essendo immerso nella
giungla. “Non potevo immaginare che esistesse un
posto così in Ecuador!”. E allo stupore si è aggiunta
la gioia quando i bambini del posto, di etnia Shuar,
lo hanno accolto con danze e canti tradizionali.
“Sto ancora entrando nella cultura, perché sono un
estraneo per loro (i giovani). Ma dato il Paese da
cui provengo, molti si avvicinano a me per curiosità
e io ne approfitto per conoscerli meglio, per giocare
in cortile e condividere del tempo insieme. Questi
primi mesi mi hanno insegnato il valore della pa-
zienza”, racconta il missionario, che insegna Fisica
e Filosofia presso la residenza per studenti della
comunità.
A causa della pandemia di Covid-19, le dinamiche
quotidiane sono cambiate. Ora registra i contenuti
da trasmettere alla radio in modo che i giovani pos-
sano continuare ad imparare dalle loro comunità.
Ma il sabato cammina nella giungla per un’ora e
mezza, fino alla comunità di San Antonio de Yau-
pi. In questo cammino, invita i bambini e i giovani
a partecipare alla catechesi e ad avvicinarsi a Dio.
Attualmente anima un gruppo di 15 bambini che
si preparano alla Prima Comunione, e altri 6 per
la Cresima. “La sfida è capire i nostri destinatari,
conoscerli meglio, essere vicini alle comunità e dare
ciò che abbiamo” dichiara.
In questo processo, Alexandre ha chiesto a Dio di
illuminare i suoi passi e di permettergli di scoprire
ciò che vuole da lui in questa fase del tirocinio, per
poi servire la gente dell’Ecuador come sacerdote. Il
suo sogno principale è quello di essere un salesiano
felice tra le persone che incontrerà in questo viag-
gio missionario.
Alexandre e i
suoi ragazzi:
«Non potevo
immaginare
che esistesse
un posto così
in Ecuador!».
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3.10 Page 30

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DON BOSCO NEL MONDO
Antonio Labanca con Missioni Don Bosco (Fotografie di Ester Negro)
Un miracolo chiamato
oratorio
Sotto il segno dei salesiani ad
ogni latitudine la parola ‘oratorio’
viene declinata in centri giovanili,
in spazi per lo sport, per il teatro,
per la musica; in laboratori di
solidarietà per servire i bisogni
dei territori; in cappelle dove
imparare a rivolgersi a Dio
insieme; in aule con adulti
che accompagnano la crescita
individuale; in incubatori di idee
e progetti per il lavoro.
Oratorio: una parola che richiama alla mente
giovani e tempo libero, compagnia e con-
fronto, esuberanza e riflessione. La “con-
versione” del luogo destinato alla preghiera
in uno spazio dove l’intera vita trova accoglienza è av-
vento nella Chiesa della Riforma. Ha trovato il primo
interprete in Filippo Neri e, lungo il tempo, in tante
esperienze. Don Bosco lo rese il fulcro del suo cari-
sma, mettendo sotto i riflettori la condizione giovanile
in quanto meritoria di un’attenzione particolare. An-
ticipando di oltre un secolo la “scoperta” delle nuove
generazioni come portatrici di un cambiamento della
società, affidò ai suoi ragazzi la responsabilità di co-
struire il futuro che oggi vediamo.
Nel presente, sotto il segno dei salesiani ad ogni
latitudine la parola ‘oratorio’ viene declinata in cen-
tri giovanili, in spazi per lo sport, per il teatro, per
la musica; in laboratori di solidarietà per servire i
bisogni dei territori; in cappelle dove imparare a
rivolgersi a Dio insieme; in aule con adulti che ac-
compagnano la crescita individuale; in incubatori
di idee e progetti per il lavoro.
La flessibilità dell’oratorio si manifesta nella ca-
pacità di accogliere provenienze nuove: “L’unico
Piemontese qui sono io” diceva simpaticamente
don Gianni, il direttore del primo oratorio sale-
siano a cavallo del cambio di millennio, quando
accompagnava i visitatori di Valdocco. Con un po’
di nostalgia per l’avventura che lui stesso ha vissu-
ta provenendo in città dalla provincia, e con tanta
consapevolezza che il quartiere intorno è mutato in
quanto a etnie e mentalità. Eppure la ‘formula’ tie-
ne, la paternità in stile don Bosco è necessaria. Con
le famiglie che accompagnano i figli e con i giova-
notti che assumono ruoli di animazione, si confer-
ma ancora la bontà di un’intuizione educativa.
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4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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D’altronde l’oratorio dei primi ragazzi della Torino
che si avviava a diventare industriale, nel corso dei
decenni ha già realizzato processi di adattamento
alle diverse situazioni. Non fosse altro che ogni
missionario salesiano è stato portatore dello stile
originario appreso nei cortili frequentati, preoccu-
pandosi di trovare abbastanza terreno per costruire
la casa della comunità ma anche quella dei ragazzi:
stanze, campi sportivi, refettori, porticati… per ra-
dunarli, far correre le gambe, riempire gli stomaci
e raccontare una parabola istruttiva. C’è quasi una
relazione matematica fra l’avvicinamento ai giovani
e la necessità di dare vita ad oratori.
Haiti
Ad Haiti, Paese ad altissima natalità (il 40% dei
bambini ha meno di 15 anni) e poverissimo di vita
sociale organizzata, i centri attualmente gestiti dai
salesiani sono undici. “Dal 1936 i Figli di Don Bo-
sco qui hanno messo radici con un unico grande
obiettivo: portare l’educazione che parte prima di
tutto dall’accoglienza, ai giovani più emarginati e
poveri” ricorda padre Jean Paul Mesidor. La con-
dizione economica è strutturalmente debole, l’in-
stabilità ne è conseguenza ma anche causa; a questo
si aggiunge una ricorrenza di eventi naturali come
terremoti e uragani che distruggono quanto
costruito e creano nuovi nullatenenti. Secon-
do il ‘Programma per lo sviluppo’ dell’Onu
questa parte dell’isola di Hispaniola (l’altra
è occupata dalla Repubblica Dominicana)
ha il primato di Paese più povero
dell’emisfero occidentale.
Lo scivolamento in un re-
gime di violenza è l’ultimo
atto di un dramma che pre-
clude la possibilità di realiz-
zare interventi di sviluppo. “I
salesiani lo sanno bene. Viviamo
da sempre aggrappati alla speranza
di far risorgere Haiti” sottolinea
padre Jean Paul. La comunità
è composta da una sessantina
di confratelli distribuiti in 13
opere diverse. Le attività sono
rivolte primariamente ai mi-
nori a rischio e spesso sono veri recuperi in extre-
mis di persone sprofondate nell’abuso di droghe o
nell’affiliazione a bande criminali. “Annunciamo il
Vangelo a chi si trova perennemente in bilico tra la
vita e la morte, tra l’estrema povertà e la speranza
di rinascere aggrappandosi forte al Signore”. Que-
sto impegno si concretizza in ‘presìdi di salvezza’
che prendono letteralmente per mano i minori e
li restituiscono a una vita dignitosa. A stretto giro
vengono integrati negli oratori, dove si pratica un’e-
ducazione integrale che aiuta ciascuno a realizzarsi.
Partendo dal gioco, dalla condivisione dei beni e
dalla partecipazione alle attività si crea l’ambiente
favorevole a una crescita serena di valori capace di
fondare nuovi valori. “In ogni opera si fa in modo
che ognuno si senta a casa” sottolinea padre Jean-
Paul, “vediamo svilupparsi un’attività in maniera
silenziosa, dimessa, ma il suo valore si riconosce
appena si apre il portone di un qualsiasi oratorio
di Haiti”. I salesiani diventano padri, amici, consi-
glieri, strumenti per scrivere il futuro di tanti mi-
nori prima abbandonati a se stessi.
Ad Haiti,
gli oratori
salesiani
sono “presìdi
di salvezza”
per i minori
in perenne
pericolo
sociale.
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4.2 Page 32

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DON BOSCO NEL MONDO
In Brasile,
in situazioni
spesso
caotiche di
immigrazione,
gli oratori
sono oasi di
tranquilla
allegria.
Brasile
3177 chilometri a sud di Port-au-Prince, capitale
di Haiti, si trova Porto Velho capitale della Ron-
donia, in Brasile. Molti haitiani sono fuggiti dal
loro Paese per approdare su questa ‘nuova frontiera’
dello sviluppo economico. Negli ultimi anni a loro
si sono aggiunti moltissimi venezuelani in fuga dal
regime di Maduro, trovando sul posto anche boli-
viani e peruviani oltre ai migranti interni dal Mato
Grosso, dal Paranà e dal Rio Grande do Sul. Strati
di genti che si sono sovrapposte ai nativi di questa
parte dell’Amazzonia e alla popolazione che vive
nelle case galleggianti lungo il fiume Madeira che
confluisce nel Rio delle Amazzoni.
Mezzo milione di persone vive fra l’inseguimento
di un sogno di benessere e la condizione reale di
marginalizzazione. La fortuna è tutta dei ‘fazen-
dero’ che colonizzano i terreni deforestati, mentre
nei quartieri popolari si addensano le persone con
lavori precari e sottopagati. Nel crogiolo delle dif-
ferenze e dei pregiudizi, dei desideri infranti e dello
sfruttamento, crescono lo spaccio di droga, la delin-
quenza comune e lo sfruttamento sessuale di donne
e bambini. La presenza salesiana con il Collegio
Don Bosco in un barrio, non lontano dal centro
ma diventato pericoloso, ha subìto un’interruzione
nel 2019. Da queste vicende è tuttavia scaturito uno
scatto di volontà e due missionari, padre Roberto
Cappelletti e padre Antonio Castilho, sono stati
incaricati di riannodare i fili di quella presenza.
“Con l’aiuto di adolescenti e di giovani, ci siamo
rimboccati le maniche, anche se le risorse erano po-
che” spiegano. “Abbiamo ripulito le sale, i cortili,
buttato via tante cose vecchie e venduto quello che
si poteva vendere, per comprare ferramenta, tinte
per dipingere e dare nuova vita agli ambienti”.
Anche i Cooperatori salesiani e altri laici si sono
uniti agli sforzi e un anno fa, il 19 giugno, è stato
aperto il nuovo oratorio. Qui i piccoli dai 5 anni in
su, fino ai ventenni, trovano un ambiente protetto,
senza violenza, dove possono giocare in modo sano,
in ambienti puliti. Arrivano anche per frequenta-
re piccoli corsi di cucina, di musica o di barberia,
per partecipare a momenti di formazione culturale.
Al sabato e qualche volta il mercoledì trovano la
merenda assicurata, “una merenda” spiega padre
Roberto “che per molti risulta essere la cena, con
zuppa, panini e pezzi di torta, offerti dalla genero-
sità di privati e di negozianti”. Lo stesso cibo che,
a seconda della generosità, consente di preparare
delle ceste per le famiglie in maggiore difficoltà.
Animatori e responsabili hanno preso a cuore que-
sta realtà, sono motivati, entusiasti e hanno molto
spirito di iniziativa: sono i primi fondamentali passi
perché l’oratorio possa avere basi solide.
Ucraina
In un contesto ben differente – drammaticamente
differente oggi – si stanno gettando le basi per un
altro oratorio. Siamo a Žytomyr nel cuore dell’U-
craina in guerra. È fra le città bombardate dall’oc-
cupazione militare russa. Dieci giorni prima che
scoppiasse il conflitto, Missioni Don Bosco era
32
MAGGIO 2022

4.3 Page 33

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andata a visitare il luogo in cui potrà sorgere la
struttura dedicata: alcune aule della scuola Italo-
Ucraina ecumenica Vsesvit (universo, in italiano)
venivano già utilizzate per accogliere gli studenti
nelle ore libere. Ping pong, danza, canto… qualche
segnale di serenità quando la minaccia dell’invasio-
ne piombava su ogni ucraino al suo risveglio. Tene-
re lontano il panico, costruire relazioni e opportu-
nità nonostante le minacce.
Quando nel gennaio 2020 a nome dei salesiani
padre Michal Wocial è diventato direttore della
scuola Vsesvit, ha sùbito avvertito l’esigenza di pro-
porre lo spazio di incontro extrascolastico: anche in
un contesto così preoccupante, anzi forse a maggior
ragione, l’oratorio trova le sue ragioni d’essere. Il
progetto prevede che sia aperto ai 200 allievi ma
anche a tutti i bambini e i giovani del quartiere. Al
momento presente, la follia dei potenti ha determi-
nato la sospensione di ogni intervento, ma sicura-
mente dopo la guerra, con la ricostruzione, i figli
di don Bosco saranno pronti a ripartire con il loro
specifico contributo per il sostegno negli studi, per
il divertimento, per la pratica sportiva, per il gioco,
per la condivisione.
La ‘flessibilità’ del metodo preventivo si riscontra
anche con gli ‘stress test’. È quanto sta accadendo in
Ucraina e nei Paesi limitrofi, dove in questi mesi un
nuovo uso delle strutture e l’applicazione delle risorse
umane e materiali è una caratteristica importante del-
la risposta alla crisi. Padre George Menamparampil,
che per i Salesiani di Don Bosco sta coordinando su
scala mondiale l’invio di aiuti alla popolazione ucrai-
na, osserva che “l’oratorio tradizionale diventa un ri-
fugio per i minori che hanno dovuto fuggire dal loro
Paese, sia i piccoli accompagnati dalle loro madri sia
i più grandicelli lasciati andare da soli. Diamo loro la
possibilità di tornare ad essere bambini normali, non
solo rifugiati. Giocano, corrono, ridono, gridano e
urlano, mangiano, dormono, imparano, pregano. Se
hanno bisogno di consulenza, l’hanno. Forniamo
loro un parco giochi, una scuola, una chiesa, una
casa”. È quello che succede ad esempio a Varsa-
via: “alcuni di loro rimangono per qualche gior-
no per riprendersi dallo shock
dei bombardamenti e dal do-
ver lasciare la propria casa e
dalla stanchezza del viaggio.
Poi si spostano verso un rifu-
gio più stabile”. In questa fase,
le madri possono affidare ai sa-
lesiani i loro figli e così cercare
qualche lavoro e permettersi di
svolgerlo, sicure che durante il
giorno non corrano pericoli.
Chissà se don Bosco aveva pensato anche a
una destinazione emergenziale del “suo” ora-
torio. Possiamo dire di sì, osservando la lena
che stanno mettendo i salesiani sul teatro di
guerra, nei Paesi vicini per l’accoglienza e in
quelli più lontani per far partire gli aiuti dei
benefattori. E se gli spazi dedicati ai giovani
sono quelli dedicati al futuro e alla speranza,
quali altri possono significarlo con la stessa in-
tensità?
Nel cuore
dell’Ucraina in
guerra, in un
contesto così
preoccupante,
anzi forse
a maggior
ragione,
l’oratorio trova
le sue ragioni
d’essere.
MAGGIO 2022
33

4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
Le malattie dell’educazione 5
L’educazione bonsai
Solo educatori cresciuti possono
far crescere, solo genitori solidi
possono avere figli solidi,
solo genitori “grandi” avranno
figli “grandi”.
Ènoto a tutti che ‘educare’ equivale a ‘far
emergere’, a ‘suscitare’ l’Uomo nascosto in
ogni bambino che approda sulla Terra, così
come Michelangelo ha fatto emergere il ca-
polavoro del David nascosto nell’enorme blocco di
marmo che nell’Aprile 1501 vide abbandonato da
40 anni nel cortile del Duomo di Firenze. Ebbe-
ne, sta qui il cuore del nostro ragionamento: può
far emergere una persona solo chi è emerso, solo
chi ha fatto in sé l’esperienza della crescita! Può far
crescere solo chi è cresciuto!
Chi è bonsai non potrà mai far emergere sequoia (le
sequoie sono le piante più alte della Terra).
«Mi ricordo che fin da molto piccola – e per tutta
l’infanzia e l’adolescenza – i miei genitori, per la-
sciarmi la massima libertà, non mi hanno mai detto
devi fare questo o quello, fai in questo modo o in
quell’altro, questa cosa è giusta e questa è sbagliata,
quello ha torto quell’altro ha ragione... dovevo esse-
re libera di scegliere e di decidere su tutto senza che
vi fossero “interferenze” degli adulti... dovevo fare
soltanto quello che mi piaceva e non dovevo preoc-
cuparmi di ciò che volevano gli altri.
Loro hanno agito così a fin di bene, ma io senza
delle indicazioni in realtà poi non sapevo che cosa
fare, cercavo di ispirarmi a loro, di capire che cosa
pensavano e come si sarebbero comportati al posto
mio; ma il più delle volte non sapevo che cosa fare,
che cosa scegliere e quindi mi comportavo a caso, a
capriccio, senza sapere se la mia scelta fosse buona o
cattiva. Per questo sono stata sempre molto indeci-
sa, molto dibattuta, troppo... e anche, forse, troppo
concentrata su me stessa – sui miei bisogni, sui miei
diritti – e troppo poco sugli altri, sulle loro esigenze;
una delle frasi che i miei genitori mi ripetevano spes-
so era “tu appartieni soltanto a te stessa...” ma ogni
volta che loro dicevano queste parole io mi sentivo
ansiosa, mi sentivo sola, senza un’appartenenza...»
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MAGGIO 2022

4.5 Page 35

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L’ora di crescere
Il messaggio che vogliamo lanciare è una supplica:
“Genitori, per favore, crescete!”. I nostri ragazzi han-
no bisogno di riempirsi gli occhi di adulti limpi-
di, ben definiti. Bisogno di padri e di madri che si
comportino da genitori, non da amici.
L’allarme è così urgente che vien lanciato da tutte
le sponde.
La scrittrice Elena Loewenthal ci avvisa: “I no-
stri poveri adolescenti, già confusi per i fatti loro,
potrebbero trarre danni irreparabili dal confronto
con gli adulti marmocchi, resistenti alla crescita e
tanto più se sono i propri genitori. Quindi mamme
e papa frizzanti, bando agli affanni del giovanilismo
coatto. È arrivata – finalmente – l’ora di crescere!”.
Antonio Mazzi ci manda a dire che “l’anello de-
bole della nostra società sono i quarantenni, non
i quindicenni. La fragilità dei quarantenni è
spaventosamente patologica: uomini grandi, ma
piccoli; potenti, ma fragili; ricchi, ma vuoti; sempre
amanti, mai mariti!”. Sulla stessa lunghezza d’on-
da della scrittrice e di don Mazzi è il pedagogista
americano Charles Galea, esperto nel ricupero dei
ragazzi difficili nei riformatori degli Stati Uniti:
“Se avete 40 anni, non comportatevi come se ne
aveste 16! I vostri figli vogliono qualcuno da rispet-
tare. Forse non hanno il coraggio di dirvelo, ma
non vi sono dubbi su quello che pensano: ‘Compor-
tatevi da genitori, non da coetanei!’”.
La pedagogista Anna Oliverio Ferraris scrive: «Bi-
sognerebbe riuscire a dare al bambino che cresce
dei diritti e dei poteri (di espressione, di riunione,
di partecipazione); insegnargli a cavarsela da solo
(comportandosi con fermezza); insegnargli a com-
piere delle scelte il che, ovviamente, implica che
egli sia in possesso delle informazioni e delle abilità
necessarie».
Avere un progetto
Una delle ultime ricerche, che ha coinvolto 635
giovani tra i 14 ed i 19 anni, parla chiaro. Alla do-
manda: “Quale atteggiamento dei tuoi genitori ti dà
più fastidio?”, la risposta più gettonata (29%) è sta-
ta: “Vederli fare ad ogni costo i nostri amici!”; seguo-
no l’incomunicabilità (23%) e la paura maniacale
di tutto e di tutti. La vittoria sulla microcrescita è
possibilissima se ci liberiamo dall’idea che solo la
giovinezza sia vita! Questo è ‘giovanilismo’, “l’ido-
lo postmoderno più potente e più perverso” (Armando
Matteo). Giovanilismo è voler essere giovani ad
ogni costo, anche quando si è giunti alla stagione
in cui si mettono i denti nel bicchiere prima di cori-
carsi. Giovanilismo è ricorrere ad interventi estetici
con l’illusione di fermare l’orologio biologico. La
vittoria sul “rachitismo” pedagogico è possibile solo
se ci si libera dai residui infantili ed adolescenziali
rimasti in noi.
È positivo che i genitori abbiano un progetto per
il bambino, delle idee sul suo sviluppo e che gli
indichino delle vie. È difficile per una persona che
cresce e che conosce ancora poco del mondo che
lo circonda, costruirsi come individuo autonomo se
nessuno fa mai dei progetti per lui, se nessuno gli
dà delle indicazioni o gli prospetta delle possibilità
o gli indica delle strategie di comportamento.
La pedagogia è stata stampata su carta migliaia di
volte, in milioni di copie.
La trovi in tutte le lingue. Eppure l’umanità è
ancora ferma. Che cosa aspetta? Aspetta Uomini
di fatti, non di fiato, Uomini riusciti: personalità
d’alto fusto. Poi si muoverà!
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4.6 Page 36

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LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
L’incertezza del possibile
Possibili scenari si contendono le nostre vite,
mentre noi le stiamo lì a guardare.
È chiaro che, all'origine del mondo,
chi progettò la ruota in fondo ci sapeva fare.
Ma in prospettiva il tempo che è passato
ci mortifica perché l'uomo non viaggia in astronave;
dalle ultime ricerche di mercato
si evince che la gioia è ancora tutta da inventare…
La via della saggezza per gli indiani
è fatta di molteplici visioni di coyote;
il mio spirito guida non ha molto da insegnare,
si affida più alle stelle che al peyote.
Al circolo dei cuori solitari
un cartello avvisa “qui potete scegliere l'amore”.
Possibili scenari si contendono le nostre vite,
prima che le teste siano vuote...
Al circolo dei cuori solitari
un cartello avvisa “qui
potete scegliere l’amore”.
Possibili scenari si
contendono le nostre vite,
prima che le teste siano
vuote...
In un momento storico come quello attuale, in cui
persino il presente appare geneticamente incerto
e sfuggente, risulta particolarmente complicato
riuscire a decifrare quali saranno gli scenari fu-
turi verso cui si dirigono le nostre vite. Tanto l’e-
sistenza individuale di ciascuno di noi quanto, più
in generale, i destini globali dell’umanità sembrano
scossi da cambiamenti così repentini e da collisioni
così imprevedibili da lasciarci del tutto atterriti e
disorientati, spettatori inermi dell’incomprensibile
fluire della Storia che, come una centrifuga impaz-
zita, ci scaraventa sempre più lontano dal sentiero
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4.7 Page 37

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familiare lungo il quale ci eravamo incamminati.
Orfani di ogni solida certezza, naufraghi impauriti
nel bel mezzo della tempesta, facciamo fatica a dare
un senso a tutto quello che ci esplode intorno e ad
intercettare, nel buio impenetrabile della notte, una
stella polare che ci indichi la rotta da seguire. Ci
sentiamo persi nel constatare che la realtà ci sfugge
di mano, che non siamo noi a tenere saldamente il
timone della nostra nave, che ogni nostro progetto
o previsione rischia di arenarsi tra gli urti della vita.
E, nell’incapacità di fare i conti con l’inevitabile
imponderabilità del domani, restiamo aggrappati
a quel piccolo angolo di mondo in cui ci sentia-
mo sicuri, nella labile speranza di poter conservare
quanto meno quei pochi punti fermi che abbiamo
faticosamente costruito nel presente.
È in questa condizione esistenziale che molti gio-
vani adulti si confrontano oggi con l’incertezza
del futuro. Più disincantati degli adolescenti e più
inquieti delle generazioni precedenti, ci assale la
sgradevole impressione di non avere scelta, di essere
trascinati dagli eventi verso un destino ineluttabile
che solo in minima parte dipende da noi e dalle
nostre decisioni autonome.
Ma se è vero che in questa quotidianità precaria che
ci consegna il presente siamo tentati di rinunciare
in partenza a progetti troppo impegnativi e a lunga
E poi succede che ci sentiamo bene
senza nessun perché!
E poi succede che stiamo bene insieme
senza nessun perché!
A quanto pare non c'è una ricompensa
se ognuno fa quello che vuole,
ho come l'impressione che tutto si confonda
e non abbiamo scelta...
Facciamo come fa il Giappone,
ho avuto una visione,
ho avuto una visione!
A quanto pare è qui che poi mi sono perso,
sei tu la mia canzone, fermo al primo verso...
Ci sono cose nelle nostre vite che
possibili scenari si contendono,
possibili scenari si contendono...
E poi succede che ci sentiamo bene
Senza nessun perché!
E poi succede che stiamo bene insieme
senza nessun perché...
(Cesare Cremonini, Possibili scenari, 2017)
scadenza, è proprio di fronte allo sgretolarsi di ogni
certezza precostituita che ci è data la possibilità di
metterci in gioco fino in fondo con tutte le nostre
paure e le nostre risorse inespresse per provare a
reinventare il futuro e a costruire un mondo più a
misura dei nostri bisogni.
Se siamo capaci di uscire da ogni visione determi-
nistica e cristallizzata e di scrollarci di dosso quel-
la coltre pesante di fatalismo che spesso soffoca le
nostre aspirazioni più profonde, possiamo aprirci a
una molteplicità di scenari e soluzioni inediti in cui
ritrovare il senso autentico del futuro, con le sue
inevitabili incertezze, ma anche con la sua capacità
di sorprenderci e dispiegarci opportunità inattese.
Soprattutto, possiamo riscoprire, pur nell’impreve-
dibilità dell’esistenza, il conforto di trovare in chi ci
sta accanto il nostro porto sicuro, sperimentando la
più semplice, ma nel contempo la più straordinaria
delle felicità: quella che scaturisce dal riconosce-
re negli occhi dell’Altro le nostre stesse speranze
e paure e dal provare a vincere insieme le seconde
con le prime, condividendo il sogno di un domani
migliore.
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
Quando si dice
la fortuna…
L’Archivio Salesiano Centrale
di Roma conserva un taccuino,
meglio, un’agenda di contabilità,
di circa 300 paginette, con tanto
di intitolazione alternata
Dare – Avere, su cui don Bosco
ha redatto quello che oggi
si definisce come il suo
“testamento spirituale”.
IIl prezioso
taccuino.
n realtà il titolo, autografo
del Santo, è “Memorie dal
1841 al 1884-5-6 pel sac. Gio.
Bosco a’ suoi figliuoli Salesia-
ni”. La definizione è comunque
appropriata, non fosse altro che
per la data in cui il manoscritto è
passato dalle mani di don Bosco a
quelle dei salesiani il 24 dicembre
1887, 38 giorni prima che morisse.
Il contenuto
Don Bosco, giunto allo zenit della vita,
con quel taccuino ha consegnato ricordi e
consigli tanto spirituali quanto di estrema
concretezza ai Salesiani, alle Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice, ai cooperatori e benefattori
delle opere salesiane. Numerose risultano
soprattutto le raccomandazioni e gli avvi-
si per chi, nelle due congregazioni da lui
fondate, esercita l’autorità: il Rettor Maggiore, il
Capitolo Generale, il Consiglio Superiore, i diret-
tori ecc. Don Bosco ha stilato il suo testo in modo
saltuario nello spazio del triennio 1884-1887, allor-
ché una certa ripresa delle sue condizioni di salute
coincideva con i rari momenti di tempo libero da
altre più urgenti occupazioni.
Di fronte a queste paginette, è difficile sottrarsi
alla suggestione di essere alla presenza di un testo
“sacro”, tanto è irrorato di parole non vane e non
caduche: parole di fede, di gratitudine, di amore,
di speranza, di umiltà, di perdono, parole che la
morte pensata come reale e ormai prossima segna
di incontrovertibile sincerità.
Uno scritto di grande valore dunque e anche una
sorta di autoritratto di don Bosco, che dei segre-
ti più intimi del suo scrinium cordis poco o nulla
esclude per timore, pietà o pudore. Il tutto redatto
con uno stile disadorno, sostanzioso,
efficace più nell’effusione dei senti-
menti e nella concretezza delle racco-
mandazioni che nella concisione dei
concetti.
Il manoscritto è tutto di mano di don
Bosco, ad eccezione delle pagine 117-
128, sulle quali un’altra mano ha co-
piato il testo di nove fogli strappati
prima della pagina 71 e di due fogli,
indirizzati alla vice con-
tessa Cessac e alla baro-
nessa Scoppa, staccati
dopo la medesima pa-
gina. Sulla pagina 116
rimasta bianca un ano-
nimo archivista a ma-
tita ha scritto: Le nove
pagine strappate tra la 70
e 71 contenevano lettere a
varie persone benemerite,
da consegnare ai destina-
tari dopo la morte di Don
Bosco. Vedine copia a pag.
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4.9 Page 39

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117ss”. Si trattava di poche parole di ringraziamento
per la loro generosità nei confronti dell’opera sale-
siana e di auguri di ogni bene spirituale nel tempo
e nell’eternità.
siana. Maria vi conduca seco al paradiso con tutta la
vostra famiglia. Continuate ad essere il sostegno delle
opere nostre, pregate per la povera anima mia”.
Più fortuna di così?
Una gradita sorpresa
Ma per fare una pubblicazione scientifica del te-
sto di tali paginette occorreva confermare quanto
l’archivista aveva scritto, occorreva trovare almeno
uno degli originali. La ricerca si presentava non
facile. Come e dove trovare un bigliettino di po-
chi centimetri? I destinatari, aristocratici italiani
e francesi, erano deceduti forse da un secolo. Gli
eredi lo avevano conservato?
La fortuna mi arrise: individuato il palazzo tori-
nese di uno dei benefattori cui era indirizzata una
paginetta, in questo caso il palazzo Callori, chiedo
un appuntamento con una persona colà residente,
un discendente della famiglia. Per telefono gli in-
dico che ero interessato alla documentazione rela-
tiva ai tanti contatti di don Bosco con la famiglia
Callori. (Nella chiesa di S. Francesco
di Sales a Valdocco sono rappresentati
i conti Federico e Carlotta Callori, fra i
primi e più generosi benefattori di don
Bosco). Mi accoglie cortesemente, mi
fa accomodare in un bel salone e dopo
i convenevoli, preciso il motivo della
mia visita. Mi sorride e con l’indice
della mano destra mi indica un qua-
dro appeso su una parete della sala. Mi
avvicino e, sottovetro, vedo un bigliet-
tino sormontato dalla scritta a stampa
“dare” con poche righe di don Bosco.
Era esattamente la paginetta strappata
dal taccuino di don Bosco. Controllo
con la fotocopia che ho portato con me:
identico il testo: [p. 127]: Sig.a C.ssa
Carlotta Callori / O Maria, protegge-
te questa vostra figlia, ottenete dal divin
figlio Gesù larga ricompensa della carità
fatta in sostegno della congregazione sale-
Don Bosco all’asta
PS. Qualche tempo dopo – sempre una trentina
di anni fa – in occasione di un’asta di manoscrit-
ti presso la casa d’asta Christie’s di Roma, ebbi la
buona sorte di venir a contatto con altri eredi della
famiglia Callori, residenti a Milano, che pure ope-
ravano in una casa d’asta. Possedevano una dozzi-
na di lettere autografe di don Bosco: me le misero
gentilmente a disposizione per la trascrizione e la
fotocopia, tanto le edite quanto le inedite. Altret-
tanto non ho potuto fare invece con le quattro let-
tere originali vendute alla suddetta asta di Roma
ad un collezionista di autografi di Ginevra. Mi feci
fotocopia solo delle prime righe. Ma non mi rattri-
stai più di tanto… una volta verificato che erano già
state pubblicate tutte quante!
Ritratto dei
conti Carlotta
e Federico
Callori nella
chiesa di San
Francesco
di Sales a
Valdocco.
In memoria
della loro
generosità
nei confronti
di don Bosco.
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni  postulatore generale
 Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulatore@sdb.org
 Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di maggio preghiamo per Beatificazione
della serva di Dio Anna Maria Lozano, delle Figlie dei Sacri
Cuori di Gesù e di Maria
Nata a Oicatà (Colombia) il 24
settembre 1883, nel 1897 si
trasferisce nel lazzaretto di Agua
de Dios con la sua famiglia in
seguito al contagio di lebbra
del papà. Qui la giovane rimane
affascinata dal carisma di don
Luigi Variara e decide di entrare
a far parte dell’Istituto di Suore
che l’apostolo dei lebbrosi sta
fondando. L’ Istituto delle Figlie
dei Sacri Cuori di Gesù e di Ma-
ria, fondato nel 1905 dal salesia-
no, oggi beato, don Luigi Variara
per l’assistenza spirituale e la
cura dei malati di lebbra, è l’u-
nico che ammette alla vita con-
sacrata suore affette dal morbo
di Hansen. Due anni dopo la
fondazione dell’Istituto giunge
la morte della madre Oliva, pri-
ma superiora generale, e Anna
Maria è eletta seconda superio-
ra. Sarà da lì in poi la discepola
più vicina al fondatore, l’erede,
ma anche la responsabile di tra-
smettere lo spirito proprio all’I-
stituto, di farlo crescere, attuarlo
e allo stesso tempo, mantenerlo
fedele alle radici. È Superiora
Generale per lunghissimo tem-
po, a più riprese (1907-1919;
1922-1925; 1928-1968), e con-
solida stabilmente il carisma vit-
timale nella spiritualità salesia-
na. In lei si sottolinea un cuore
del tutto ecclesiale, manifestato
in un grande amore alla Chiesa,
all’Eucaristia e ai sacerdoti; una
grande fiducia nella divina Prov-
videnza, una chiara coscienza
dello spirito vittimale, vissuto
nell’accettare e offrire tutte le
situazioni quotidiane, special-
mente le sofferenze e le contra-
rietà, mostrandosi sempre alle-
gra e piena di bontà e dolcezza
nell’accoglienza e familiarità
con cui avvicina tutti. Muore il
5 marzo 1982 all’età di 98 anni.
Ringraziano
Desidero segnalare l’aiuto che
ottengo quando prego con l’in-
tercessione della venerabile
Mamma Margherita per mio
figlio, che ho posto sotto la pro-
tezione di don Bosco da prima
della sua nascita. Chiedo che la
loro protezione non cessi mai,
e aiuto nelle necessità sempre
nuove che la vita ci presenta.
Lorena Colla
Il 9 gennaio 2022 mio papà (89
anni) è stato ricoverato d’urgen-
za in ospedale per polmonite bi-
laterale da Covid19 (nonostante
l’avvenuta somministrazione di
tre vaccini anticovid e di quello
antinfluenzale); il quadro clinico
era estremamente grave. Inol-
tre, è sopraggiunta infezione
da Clostridium difficile (con una
successiva recidiva). Essendo
paziente molto anziano, consi-
derato fragile a causa dell’età
avanzata, sedato con la morfina
e sotto ossigeno ad alti flussi, gli
arti immobilizzati, i medici non
davano speranze. A complicare
la situazione di per sé già dram-
matica, non è stato possibile a
noi famigliari potergli fare visita
e nemmeno telefonare poiché
l’udito di mio padre è ormai
molto basso. Ho affidato mio
papà alla venerabile Mamma
Margherita non per ottenere la
vera e propria guarigione, bensì
affinché potesse rientrare a casa
per potersi spegnere accanto
alla sua famiglia e ricevendo
l’unzione degli infermi. Al ter-
Preghiera
Signore, tu hai fatto vedere ai piccoli e ai sofferenti
la tenerezza del tuo amabilissimo Cuore
e la dolcezza del Cuore Immacolato di Maria
Aiuto dei Cristiani,
attraverso la bontà e la semplicità
con cui madre Anna Maria,
ci ha trasmesso il carisma salesiano vittimale,
imparato dal Beato Luigi Variara.
Concedi anche a noi di vivere con semplicità e gioia
la fiducia nella Divina Provvidenza
e l’amore sollecito verso il prossimo,
specialmente verso i più bisognosi.
Ti supplichiamo di voler glorificare quest’umile tua serva
e di concederci, per sua intercessione,
la grazia che ti chiediamo...
Per Cristo nostro Signore. Amen.
mine della novena a Mamma
Margherita l’insufficienza pol-
monare è scemata, l’erogazione
dell’ossigeno andava a scalare,
così come la somministrazione
di antibiotici e di morfina, ma la
complicanza per la recidiva del
batterio Clostridium era anco-
ra attiva, rendendo necessaria
un’ulteriore terapia antibiotica.
Essendo i giorni in prossimità
della festa di don Bosco, ho
pregato anch’egli per la sua in-
tercessione e domenica 13 feb-
braio ho fatto visita a Valdocco.
Una grande serenità si è impa-
dronita nel mio cuore rivedendo
i luoghi in cui sono vissuti don
Bosco e Mamma Margherita.
Giovedì 17 febbraio (dopo 39
giorni di ricovero) ho riportato a
casa mio papà; la prognosi rice-
vuta alla dimissione descriveva
un paziente impossibilitato a
deglutire liquidi e solidi ma sol-
tanto acqua in gel e liofilizzati,
nonché mentalmente confuso
e fisicamente del tutto infermo.
Il giorno stesso della dimissione
beveva e mangiava senza il no-
stro ausilio, e nel giro di qualche
giorno ha iniziato a camminare
con l’aiuto del deambulatore,
perfettamente lucido e coscien-
te. A oggi è fisicamente sempre
più autonomo, deambula indi-
vidualmente, e mentalmente
e psicologicamente è tornato
come prima del ricovero, circon-
dato dall’affetto di sua moglie
(64 anni di matrimonio), dei suoi
due figli e dei tre nipoti. Sottoli-
neo l’assoluta fiducia riposta let-
teralmente in “mamma e figlio”,
un’unione di forze sante (perché
Mamma Margherita non è solo
venerabile, è già santa nel mio
cuore ed è esempio di vita per
me, mamma a mia volta).
Fabiola Dellapina
CRONACA DELLA POSTULAZIONE
Il 15 marzo 2022 a Lahore (Pakistan) è stata aperta l’Inchiesta
diocesana della Causa di Beatificazione e Canonizzazione di
Akash Bashir (1994-2015), laico, exallievo di don Bosco, morto
in odio alla fede. È la prima Causa di Beatificazione del Pakistan.
40
MAGGIO 2022

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO E` BENEDIZIONE
La comunità
DON SILVIO CARLIN
morto ad Aosta il 19 febbraio 2021, a 78 anni di età
“Sono nato a Valsavarenche, il
27 giugno 1942 da una famiglia
cristiana che viveva con i nonni
paterni e si dedicava al lavoro
dei campi e alla pastorizia.
Avevo un fratello di tre anni più
vecchio di me ed uno giovane
affidato ai nonni. Nell’agosto
del 1944, avevo quindi poco
più di due anni, muore improv-
visamente il papa all’età di 35
anni. La famiglia continua il suo
lavoro, si vive poveramente, ma
si vive con quel poco che offre
la campagna in montagna.
Frequento le elementari nella
frazione e per la quinta vado al
capoluogo a cui segue la sesta.
L’anno seguente si prende cura
di me il padrino di battesimo
(era anche il mio maestro) e mi
iscrive dai Salesiani a Chatillon
per frequentare un corso di
Avviamento professionale. La
scuola e il convitto erano gratui­
ti per orfani e bisognosi. Così
nei primi di ottobre 1955 inizio
questo corso come falegname
ed inizia anche un cammino di
conoscenza e di stima dei Sale-
siani e della casa. Riuscivo bene,
ero felice, mi sentivo ben voluto;
tanti teatri, in uno di essi rappre-
sentavo Domenico Savio.
Al terzo anno arriva un giovane
prete prof. di Filosofia per fare
salute, ma insegna anche fran-
cese e si mette a disposizione
come confessore. È lui che mi
accompagna nel discernimento
e nella progettazione del mio
futuro. Mi presenta le varie
possibilità e mi lascia libero di
scegliere. Andare in semina-
rio, farmi salesiano coadiutore
o salesiano prete. Preghiera,
riflessione, mese di maggio,
la Madonna sono gli elementi
che favoriscono la decisione.
«Si tratta ancora di parlarne
alla mamma e questo avviene
in una delle sue ultime visite
dell’anno. Pianti... ma piena li-
bertà di seguire la mia strada se
questa è la volontà del Signore».
Entra in Noviziato nel 1961,
completa gli studi di teologia
all’Ups, viene ordinato prete
nel 1972. Poi gli vengono affi-
date responsabilità crescenti: è
più volte direttore di comunità
anche complesse, vicario ispet-
toriale per due volte. Nel 2018,
dopo il trasferimento al Colle
don Bosco, commenta sempli-
cemente: «Come ho vissuto il
mio cammino vocazionale? Pos-
so dire di avere sempre amato
le persone e l’opera in cui ho
lavorato e questo mi ha aiutato
tanto».
Le obbedienze preferite sono
state quelle come direttore e
catechista nell’Opera salesiana
di Chatillon, nella sua amata
Valle d’Aosta.
Merita sottolineare che, nella
sua esperienza salesiana valdo-
stana, non hai mai fatto manca-
re il suo aiuto e supporto alla vita
di questa diocesi. Era un piacere
per lui poter collaborare all’attivi-
tà pastorale e sostenere i parroci
attraverso la disponibilità alla ce-
lebrazione della S. Messa e del
sacramento della riconciliazione,
con costanza come vice-parroco
di Valpelline ed Ollomont. Così
lo ricordano i parrocchiani: «La
sua scomparsa è una perdita
dolorosa non solo per Valpelline,
ma anche per Oyace, Bionaz, Ol-
lomont e Roisan dove ha portato
la sua presenza, il suo sorriso, la
sua disponibilità. Entrato in pun-
ta di piedi, ha saputo conquistare
tutti con i suoi modi gentili, le
parole giuste, il sorriso e la pro-
fonda umanità».
Molti di quelli che lo hanno co-
nosciuto sottolineano anche il
suo aspetto sempre sorridente
e il suo atteggiamento inco-
raggiante. Aveva un approccio
sereno, semplice e gioioso alla
vita, nella consapevolezza che
siamo nelle mani di Dio e a Lui
continuamente siamo chiamati
a consegnare la nostra esistenza.
È la traduzione di quel “sempre
allegri” che caratterizza la for-
mula della santità proposta a
Domenico Savio da don Bosco
(di cui era appassionato); aspetto
che sempre deve caratterizzare i
figli di don Bosco, chiamati a dare
speranza, specialmente in tempi
di difficoltà e disorientamento.
Monsignor Franco Lovignana,
vescovo di Aosta, ha voluto te-
stimoniare: «Ho conosciuto don
Silvio Carlin a Valsavarenche
dove era nato. Era il giorno del-
la Madonna del Carmelo, festa
patronale della Parrocchia, sul
finire degli anni Ottanta del se-
colo scorso. Anch’io, per parte
dei miei nonni materni, ho radici
lassù. Ero sacerdote da pochi
anni, parroco di Rhèmes-Notre-
Dame e ospite, come lui, di don
Luigi Frassy, un caro amico. Il
parroco, dopo la Santa Messa,
aveva chiesto a me e a don
Silvio di intrattenere il vescovo,
monsignor Ovidio Lari. Così,
in attesa del pranzo, facemmo
insieme una breve passeggiata
in direzione del villaggio di
Bien. Mi colpì la gentile ed
elegante giovialità di don Silvio
e la vivacità del suo discorso.
Da allora abbiamo avuto tante
occasioni di incontro nelle quali
ho potuto apprezzare la sua
preparazione culturale, lo zelo
pastorale e il suo attaccamento
alla nostra Valle.
Diventato Vicario generale
nel 2004, ho ritrovato don
Silvio che da qualche anno era
stato destinato dai superiori
all'Istituto don Bosco di Chatillon
come Direttore. In tutto il tempo
della sua permanenza a Chatil-
lon don Silvio è sempre stato
molto disponibile a collaborare
con la Diocesi aiutando i confra-
telli sempre meno numerosi e
sempre più anziani. Ho ammi-
rato in lui la capacità di mettere
insieme la dimensione religiosa
e comunitaria del suo sacerdozio
con il servizio alla Diocesi. Più
volte mi ha confidato la speranza
di poter morire fra le sue amate
montagne. Il Signore lo ha esau-
dito. Troppo presto, almeno allo
sguardo umano che ancora ap-
partiene a noi».
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5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
Roberto Desiderati
Scoprendo don Bosco
La soluzione nel prossimo numero.
UNA TERRIBILE MALATTIA
Al giorno d’oggi alcune malattie sono facili da diagnosticare e da curare men-
tre un tempo, il tempo di don Bosco a esser chiari, facevano paura per quanto
erano letali. Nel 1846, a luglio, proprio il nostro Santo fu colpito da una mi-
nacciosa XXX che lo debilitò a tal punto da ridurlo in fin di vita. L’apprensione
era tanta e il timore di non poterlo più riabbracciare tale da spingere tutti alla
preghiera. Una notte, il teologo Borel temette proprio che potesse essere la fine. Si avvicinò al
capezzale e suggerì a don Bosco di pregare per la sua guarigione. Ma il Santo ribattè “Lascia-
mo che sia Dio a fare la sua volontà”. Don Borel, cercando di aggirare con l’astuzia la testardag-
gine del malato, insistè: “Dica almeno: «Signore, se così vi piace, fatemi guarire»”. Don Bosco
tacque e il buon amico continuò: “Lo faccia per i suoi figli piangenti”. Spinto dalla compassione
verso l’amico sano che si disperava, don Bosco iniziò “Se a voi piace, Signore...” ma visto che
stentava a terminare la frase don Borel, come si imbocca un bimbo con il cucchiaio, disse:
“Fatemi guarire” e don Bosco lo imitò: “Fatemi guarire se a voi piace”. Don Borel, asciugandosi
le lacrime si alzò soddisfatto e sussurrò a mezza voce “Voi guarirete, ne sono sicuro!”. E fu dav-
vero così. La mattina seguente, quando tornarono i medici si trovarono davanti una persona
rinata a nuova vita. “Si alzi, caro don Bosco, e vada a ringraziare la Madonna che ne ha ben
Soluzione del numero precedente
donde” dissero. La notizia dell’improvvisa guarigione
si sparse in un baleno e tale fu la gioia che fecero sede-
re don Bosco su una sedia con i braccioli e lo portarono
in giro, quasi in trionfo. Purtroppo, fu la stessa terribile
malattia a colpirlo nel 1888, ma l’età più avanzata non
gli lasciò possibilità di recuperare la salute e spirò sere-
no a 72 anni. Il suo corpo è attualmente esposto in una
cappella del Santuario di Maria Ausiliatrice.
DEFINIZIONI
ORIZZONTALI. 1. Tutti d’un pezzo - 6. Il
celebre cane da slitta che salvò una città
dell’Alaska da un’epidemia - 10. Con fac-
to si intende immediatamente - 14. La
famosa West del Cinema - 15. L’entrata
giornaliera di un’attività commerciale - 17.
Il genere poliziesco - 18. Catasta di legno
per il rogo - 20. A volte comincia con am-
barabà - 21. Isernia (sigla) - 23. Lamenti...
poetici - 24. L’Arbore dello spettacolo (iniz.)
- 25. Combriccola, ghenga - 27. Le schiave
al servizio della matrona - 29. XXX - 31.
L’onda che si agita allo stadio - 32. Segue
? il “così” in molte preghiere - 34. Scale per
gli inglesi - 35. Una camicetta femmini-
le - 36. È brutto al centro - 37. Curva del
fium­ e - 39. Consumate dal fuoco - 40. Lo
scoiattolo amico di Ciop - 41. Andata per il
poeta - 42. Folla, calca - 44. Preposizione
che indica provenienza - 45. Parola in fran-
cese - 46. Porta l’energia elettrica in casa
- 47. Vive circondata dal mare - 48. Hanno
riposato poco, presi dal sonno.
VERTICALI. 1. Organizzano spettacoli
tea­trali - 2. Il servizio di leva - 3. Segue il
bis - 4. La fine dei lavori! - 5. In dolce at-
tesa - 6. La superficie ghiacciata del mare
nelle zone polari - 7. L’indimenticato Fred
ballerino - 8. Sono pari in Alaska - 9. In
auto e in moto - 10. Dentro - 11. Sorgente
d’acqua - 12. Parte esterna della crosta ter-
restre - 13. Vivono ad est, asiatici - 16. Fre-
gio di nastro pieghettatato che si appunta
sull’abito - 19. Azione Cattolica Ragazzi
- 21. Contrario di out - 22. Un colpo gior-
nalistico - 26. Gruppo speciale dei Carabi-
nieri (sigla) - 27. Le iniz. di Einstein - 28.
Il complesso rock degli Emerson, Lake and
Palmer (sigla) - 29. Lo strumento musicale
con quattro corde - 30. Trieste (sigla) - 33.
È Agnese a Madrid - 35. Il maresciallo che
fu dittatore della Jugoslavia - 36. La casa
editrice più antica d’Italia - 38. Azienda Sa-
nitaria Locale - 40. Coseno in breve - 41.
Fu un’importante compagnia assicuratrice
(sigla) - 43. Sono due in barca! - 45. La
Streep attrice (iniz.) - 46. Al centro di Trento.
42
MAGGIO 2022

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.Disegno di Fabrizio Zubani
La bilancia
C’ era una volta un pittore che aveva al suo
attivo molti peccati. Capitò che un giorno
si ammalò gravemente e, durante la
malattia, ebbe una visione.
Fu portato davanti al giudice celeste e uno stuolo
di demoni si avvicinò per denunciare a gran voce
tutti i suoi vizi, anche gli angeli si affannavano
per scagionare quel peccatore dichiarando che egli
aveva fatto la sua parte di bene e meritava perciò
indulgenza.
Il giudice decise quindi di mettere su una bilancia
meriti e peccati, e il suo giudizio sarebbe stato emes-
so in base al peso maggiore. Non potete immaginare
la gioia dei demoni che subito andarono a prendere
un librone mastodontico e sozzo, nel quale stava
scritto tutto il male che il pittore aveva commesso
lungo la vita. Naturalmente le opere di bontà erano
modeste e l’anima del pittore rischiava di brutto.
Uno degli angeli si avvicinò al pittore e gli disse
di andare presto dalla Madre della misericordia,
seduta accanto al giudice, per pregarla che al
momento di depositare il libro dei meriti sulla bi-
lancia lei avesse fatto in modo che la bilancia non
scendesse dalla parte dei diavoli.
Il peccatore, piangendo, si raccomandò alla Vergi-
ne Maria e costei scese dal trono e si mise a sedere
sul piatto della bilancia dove era il libro del bene
che il pittore aveva fatto. Ed ecco che la bilancia
traboccò da quella parte e fu tanto pesante che il
libro che si trovava dall’altra parte fu sbalzato via
ed andò a colpire direttamente i demoni che si
volsero in fuga e tornarono nel loro inferno.
Quando il pittore guarì dalla sua malattia, tornò
di nuovo in sé e la prima cosa che fece fu quella di
confessarsi. Visse il resto della sua vita compiendo
sempre il bene e amando sempre più la Vergine
Maria e portò alla Madonna molti altri devoti cui
aveva narrato la visione.
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5.4 Page 44

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EMERGENZA
UCRAINA
I Salesiani sono rimasti accanto
alla popolazione coinvolta
nel conflitto, sostengono chi non è
riuscito o non è potuto fuggire.
Accolgono e confortano coloro
che sono fuggiti e che hanno
abbandonato quel poco che avevano
per mettere in salvo i propri figli.
Hanno bisogno del tuo aiuto
per continuare ad essere accanto
alle persone che soffrono: puoi offrire
il tuo contributo attraverso il nostro
conto corrente postale n. 36885028;
o bancario
IBAN IT84 Y030 6909 6061 0000 0122 971
A questo link puoi trovare tutte le modalità
per sostenere il lavoro dei Salesiani attraverso
la Fondazione DON BOSCO NEL MONDO:
https://www.donbosconelmondo.org/sostienici/
Nella causale delle donazioni specificare:
“Emergenza Ucraina”
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
+39 06 6561 2663
+39 342 998 4165
C.F. 97210180580