Bollettino_Salesiano_202202

Bollettino_Salesiano_202202

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In prima linea
Don Bosco
a Khartoum
I nostri eroi
I gemelli
delle Ande
Don Bosco
nel mondo
Argentina
RIPRENDIAMOCI LA VITA!
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
FEBBRAIO 2022

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I FIORETTI DI DON BOSCO
B.F.
A don Bosco piacevano
i marrons glacés
La celebre Baronessa
di Millerose racconta
don Bosco “visto da vicino”.
«H o conosciuto don Bosco,
un fac-simile del teologo
Cottolengo e dell’abate
Saccarelli. Di lui si vanno raccontan-
do fatti meravigliosi e inesplicabili
senza intervento sovrumano: muti
che parlano, storpi che si rizzano,
ciechi che vedono e infermi che d’un
tratto risanano, appena da lui
raccomandati a Maria Ausiliatrice e
benedetti nel suo santo nome.
Miracolo incontrastabile e perma-
nente è quello che egli fa di dar
ricovero e nutrimento a un migliaio
di poveri orfani, tolti dalla strada,
educandoli e ammaestrandoli in vari
mestieri. Egli non ha il menomo
reddito, non possiede, non può far
conto su altro che non siano le even-
tualità e i soccorsi della carità, e i
poveri si sfamano, sono decentemen-
te vestiti e vengono provvisti di tutto
quanto abbisogni alle arti loro.
Il quartiere in cui abita il buon prete,
mancava d’un tempio, ed eccolo, lui
senza mezzi, accingersi ad alzarne
uno decorosissimo intitolato a Maria
Ausiliatrice; eccolo mettere gli operai
agli scavi con soli otto soldi nella
borsa e la promessa d’una signora,
gravemente inferma da tempo, di
destinare mille
franchi, perché
si pagasse la prima settimana dei
muratori, s’ella potesse scendere dal
letto per poco nel volgere di quei
sette giorni. E, all’ultimo, non solo
guarì, ma si recò in persona a porge-
re al sant’uomo la propria offerta.
Ora la chiesa è sorta in due anni. Si
spesero quattrocentomila franchi, ve-
nuti per tre quarti da mani incognite
e lasciati alla porta di lui, senz’altri
chiarimenti che la scritta: “Per grazia
ricevuta”.
Lo trovai in una povera stanzetta,
nuda di tutto: un piccolo letto, un
grande scrittoio affollato di carte,
con sopra un grande crocifisso d’avo-
rio che vi campeggia e lo domina.
(Il crocifisso era un caro ricordo di don
Cafasso e don Bosco lo regalò a un sacer-
dote che glielo aveva chiesto).
Don Bosco è di mezza età, magro,
gentile di modi, semplice di abito, di
contegno e di parole; narra mode-
stamente, e come persona che vi sia
affatto estranea, le grandi cose di cui
era protagonista ringraziando solo
Dio.
Uomo di penitenza e di austere pri-
vazioni non ha altra tavola, quando
non digiuna, che quella dei suoi
orfani, che è quanto dire il pasto
del più povero.
Il conte che lo ama molto e che
vorrebbe vederlo un po’ più soste-
nuto e in buona salute, sapendolo in
urgenza di una somma per soddi-
sfare gli operai del tempio, gli disse
che, se voleva pranzare in famiglia
da lui, ogni volta che ci fosse anda-
to avrebbe trovato un biglietto da
cento lire sotto il tovagliolo, e tanti
fino al valore di lire 1200, se fosse
andato per dodici volte. Don Bosco
non voleva accettare, ma gli operai
aspettavano e dovette cedere. Andò
ma ne uscì quasi digiuno.
Pregai don Bosco di venire un
giorno tutt’intero da noi, un giorno
all’aperto, alla vista del cielo, al ca-
lore del sole, alla fragranza dei fiori.
Don Bosco fu con noi dalle quattro
alle nove.
A tavola fu gaio, semplice, e ci lasciò
fare, fino a ripetere certa panna
montata, con intorno una pasta di
marrons glacés, dicendo sorridente:
«Se mi pigliano per la gola, sono
capace di tutto».
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In prima linea
Don Bosco
a Khartoum
I nostri eroi
I gemelli
delle Ande
Don Bosco
nel mondo
Argentina
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
FEBBRAIO 2022
RIPRENDIAMOCI LA VITA!
FEBBRAIO 2022
ANNO CXLVI
NUMERO 02
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
La copertina: Abbiamo bisogno
di un’iniezione di speranza
(jacoblund/iStock).
2 I FIORETTI DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 DON BOSCO NEL MONDO
Argentina
10 TEMPO DELLO SPIRITO
12 L’INVITATO
Padre Martin Lasarte
16 IN PRIMA LINEA
Don Bosco a Khartoum
20 FMA
Inversione di rotta
22 POSTER
Strenna 2022
24 LE CASE DI DON BOSCO
Museo Valsalice
28 LA BASILICA DI MARIA AUSILIATRICE
La cappella “trasformista”
30 I NOSTRI EROI
I gemelli delle Ande
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 I NOSTRI AUTORI
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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30
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 64
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
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Il Bollettino Salesiano
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Juan José Chiappetti,
Roberto Desiderati, Emilia Di Massi-
mo, Ángel Fernández Artime, Sarah
Laporta, Carmen Laval, Cesare Lo
Monaco, Natale Maffioli, Alessandra
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Salza, Jacob Thelekkadan, Santiago
Viskatis, Luigi Zonta, Fabrizio Zubani.
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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Ángel Fernández Artime
Il grande dono di SFS
“Che la carità e la dolcezza di
Francesco di Sales mi guidino in
ogni cosa”. Questa fu la risoluzione
che don Bosco prese all’inizio della
sua vita di sacerdote educatore.
Ed è in questo riferimento a
Francesco di Sales che la pedagogia
salesiana prende il suo nome.
Una insegnante ha scritto: «Ogni giorno
faccio il giro delle classi. Prima del Covid
quando entravo tutti si alzavano in piedi
e si stringevano intorno alle mie gambe.
Ora non accade più. I bambini di quarta e quinta
elementare hanno l’impulso di correre da me e lo
frenano. Quelli di prima elementare invece restano
fermi, senza reazioni, freddi. Questo mi preoccupa
molto per la loro futura capacità di esprimere l’af-
fettività». Un’altra aggiunge: «Dobbiamo affrontare
un evidente aumento dell’aggressività tra i ragazzi
delle medie». «Stai lontano dagli altri!» si sentono
raccomandare dai genitori i bambini.
Quale carico di solitudine, depressione e insicurez-
ze si porteranno dietro per molto tempo i bambini
di oggi? Qual è il miglior intervento pedagogico?
«Chi si sente amato, amerà» diceva don Bosco. Ma
la gentilezza e la bontà non sono mai state virtù
spontanee.
di 
Vi raccomando
dolcezza, che è
soprattutto lo spirito
quello che riscalda
il cuore e conquista le anime
San Francesco di Sales
Anche per don Bosco la dolcezza non era una dote
naturale. Egli affermava di essersi svegliato dal
«sogno» dei suoi nove anni con i pugni doloranti
per i colpi menati a dei giovani bestemmiatori.
Da adolescente difese con irruenza l’amico Luigi
Comollo. Racconta lui stesso: «Chi dice ancora
una parolaccia, dovrà fare i conti con me. I più alti
e sfacciati fecero muro davanti a me, mentre due
ceffoni volavano sulla faccia di Luigi. Persi il lume
degli occhi, mi lasciai trasportare dalla rabbia. Non
potendo avere tra mano un bastone o una sedia, con
le mani strinsi uno di quei giovanotti per le spal-
le, e servendomene come di una clava cominciai a
menare botte agli altri. Quattro caddero a terra, gli
altri se la diedero a gambe urlando».
Più tardi, il buon Luigi lo rimproverò per quella vee­
mente esibizione di forza: «Basta. La tua forza mi
spaventa. Dio non te l’ha data per massacrare i tuoi
compagni. Perdona e restituisci bene per male, per
favore». Quasi un’eco al personaggio del sogno che
aveva detto: «Non è con i colpi, ma con la dolcezza e
l’amore che devi mantenere la loro amicizia».
Giovanni imparò così non solo come si perdona,
ma quanto sia importante dominare se stessi. Non
lo dimenticherà mai. Porterà sempre dovunque il
soffio del mite e nessuno saprà quanto gli costerà
sempre, ma per questo, secondo le parole di Gesù
“possederà la terra”.
I panegirici di san Francesco di Sales, che si te-
nevano di regola nel seminario, lo fecero riflette-
re. Secondo il suo Testamento spirituale, s’impose
come quarto proposito dell’ordinazione sacerdotale
la formula: «La carità e la dolcezza di san Francesco
di Sales mi guidino in ogni cosa».
E quando dovette scegliere un nome per il nascen-
te Oratorio non ebbe dubbi: «Si chiamerà Orato-
rio di San Francesco di Sales» e più tardi ai primi
giovani che condivideranno la sua vita dirà: «Ci
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chiameremo salesiani». La ragione? «Perché la par-
te di quel nostro ministero esigendo grande calma
e mansuetudine, ci eravamo messi sotto alla prote-
zione di questo Santo, affinché ci ottenesse da Dio
la grazia di poterlo imitare nella sua straordinaria
mansuetudine e nel guadagno delle anime».
La dolcezza, questa virtù «più rara della perfetta
castità», è «il fiore della carità», è la carità messa in
pratica, aveva insegnato san Francesco di Sales. «Vi
raccomando soprattutto lo spirito di dolcezza, che
è quello che riscalda il cuore e conquista le anime»,
scriveva a una giovane badessa.
Alla fine di una guerra che, durante quattro lun-
ghi anni, l’aveva perlomeno ignorata e disprez-
zata nelle relazioni tra i popoli, il rettor maggior
don Paolo Albera dedicò alla dolcezza un’intera
lettera circolare. «La virtù della dolcezza impone di
dominare la vivacità del proprio carattere, di repri-
mere ogni movimento di impazienza e di proibire
alla propria lingua di pronunciare una sola parola
offensiva per la persona con cui si tratta. Essa esige
il rifiuto di ogni forma di violenza nel comporta-
menti, nelle proposte e nelle azioni». A don Albera
pareva impossibile dimenticare, nel quadro della
dolcezza lasciatoci, «un cenno di quello sguardo se-
reno e pieno di bontà, che è il vero e limpido spec-
chio di un animo sinceramente dolce e unicamente
desideroso di rendere felice chiunque l’avvicina».
Dolce non è sinonimo di mellifluo e dolciastro,
che sono le sue subdoli caricature. Dolcezza non è
affatto debolezza. La violenza incontrollata è de-
bolezza. La gentilezza è forza pacifica, paziente e
umile. Don Bosco univa, nel suo governo, la dol-
cezza e la fermezza.
Questo spirito di bontà, dolcezza e mitezza si è
profondamente inciso nei primi salesiani e appar-
tiene alla nostra più antica tradizione. Tutto ciò
sta ad indicare che non possiamo trascurarlo, né
tantomeno perderlo, con il rischio di danneggiare
significativamente la nostra identità carismatica.
Per molti dei nostri giovani, l’esperienza mag-
giormente ricordata dell’incontro con la Fa-
miglia salesiana nel mondo è spesso la familiari-
tà, l’accoglienza e l’affetto con cui si sono sentiti
trattati. Insomma, lo spirito di famiglia. Nei primi
tempi si parlava di un “quarto voto salesiano”, che
comprendeva la bontà (prima di tutto), il lavoro e il
sistema preventivo.
Non possiamo immaginare una presenza salesiana
nel mondo, una presenza delle Figlie di Maria Au-
siliatrice, dei Salesiani di Don Bosco e degli attuali
trentadue gruppi che compongono la Famiglia Sa-
lesiana di Don Bosco, che non abbia la caratteristi-
ca della bontà come elemento distintivo; o almeno
dovremmo averla, come ha voluto ricordare papa
Francesco con la sua illuminante espressione di
“opzione Valdocco”.
Si tratta della nostra opzione
per lo stile salesiano fatto di
gentilezza, affetto, familia-
rità e presenza. Abbiamo
un tesoro, un dono ricevuto
da don Bosco, che ora tocca
a noi ravvivare.
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DON BOSCO NEL MONDO
Juan José Chiappetti e Santiago Viskatis
Dimenticati da molti
non dai salesiani
Nel Chaco argentino, nella città di Resistencia, una coraggiosa
comunità di educatori porta speranza ed energia.
I giovani
animatori
preparano
gli incontri
di catechesi.
Con la fiducia e il coraggio di chi sa di avere
un appoggio “dall’alto”, ottant’anni fa, pa-
dre Horacio Ióvine mise un cartello nella
piccola stanza che fino ad allora era tutto
lo spazio disponibile nell’opera a Resistencia, Cha-
co. Si legge: “Dirección del Colegio Don Bosco
- Provisoria” (Direzione della Scuola Don Bosco
- Provvisoria).
Insieme ai salesiani Rolando e Marossi, ha iniziato
la presenza salesiana qui con un oratorio, la cate-
chesi e l’eucaristia. Poi venne la scuola elementare,
il collegio per i ragazzi dell’interno della provincia,
la scuola secondaria...
Oggi l’opera salesiana è un riferimento religioso ed
educativo nella città, dove generazioni di exalunni
non esitano ad affidare l’educazione dei loro figli
e figlie. E sono i laici che gestiscono questa casa,
accompagnati dalla comunità religiosa che risiede
nel vicino paese di Fontana.
Con la stessa fiducia e cura, questa grande comuni-
tà di educatori, famiglie e salesiani cooperanti ge-
stisce la scuola, promuove i vari oratori, si impegna
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nella formazione professionale dei giovani e degli
adulti dei quartieri più lontani e cerca di costruire
ponti di intercultura con il popolo di Qom. E l’8
dicembre dell’anno scorso ha festeggiato il suo ot-
tantesimo anniversario.
Laboratori di lingua Qom
Micaela Romero ha 27 anni. È nata nella comu-
nità Qom di Castelli, nell’interno della provincia,
ed è venuta a Resistencia per studiare e lavorare. È
un’insegnante di educazione bilingue interculturale
indigena. Ha conosciuto l’opera salesiana attraverso
l’oratorio del suo quartiere, e dal 2019 insegna qui
nei laboratori di lingua Qom: “Gli studenti lavo-
rano in luoghi pubblici e sono in costante contatto
con le persone della comunità. I corsi permettono
loro di interagire, di chiedere il loro nome, come si
sentono e di capire un po’ la cultura”.
Dopo cinque anni, il centro studentesco della
scuola secondaria torna nel 2021. Il presidente è
Sebastián Enelli, che apprezza molto l’educazione
ricevuta nella scuola e, anche se molti progetti non
hanno potuto essere realizzati a causa della pande-
mia, è contento di ciò che il centro ha raggiunto:
“Eravamo solo 3 studenti e oggi siamo 100. Ab-
biamo piantato alberi intorno alla scuola, abbiamo
organizzato tornei per aiutare ad allestire il labo-
ratorio scolastico, abbiamo aiutato a migliorare la
mensa. E abbiamo molti altri progetti».
Recentemente è stato inaugurato un nuovo edificio
del Centro di Formazione Professionale intercul-
turale, affinché un numero maggiore di giovani
possano apprendere un mestiere utile per il loro
futuro, costruire relazioni preziose e migliorare la
loro qualità della vita.
Il nuovo centro oggi risponde ad una situazione di
crescente bisogno nel Paese di lavoro e di forma-
zione per il lavoro. Si stima che nel Paese ci siano
più di un milione di giovani che non studiano, né
lavorano. E di questo gruppo, 700 000 giovani non
solo non studiano, né lavorano, ma nemmeno cer-
cano un lavoro.
La moderna struttura del Centro di Formazione
Professionale Interculturale Salesiano (cfpis) di
Resistencia, realizzata grazie al contributo del-
la Fondazione svizzera “Papalin” e all’ong “Don
Bosco Jugendhilfe Weltweit”, anch’essa svizzera,
è stata inaugurata e benedetta lo scorso 6 aprile e
permetterà di offrire 5 corsi professionali.
I corsi, della durata di quattro mesi, verranno gui-
dati dai membri della comunità Qom, uno dei
gruppi etnici aborigeni del Paese, e prevedranno
Scuola di
pasticceria
nel centro di
formazione
professionale.
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DON BOSCO NEL MONDO
I bambini
della scuola
di handball.
Sotto: Gli
esploratori
alzano la
bandiera
prima
dell‘inizio
delle
attività del
pomeriggio.
laboratori di ceramica, per la preparazione di cesti,
strumenti musicali a fiato, a corda e altri strumenti.
Quattro oratori
L’opera salesiana anima quattro oratori situati in di-
versi “estremi” della città. Lì, giovani e adulti colla-
borano ogni sabato per offrire uno spazio di educa-
zione e catechesi a centinaia di bambini. “Uno è nel
quartiere di Don Bosco. Nel 2009, dopo una missio-
ne giovanile, è nato l’oratorio nel quartiere La Rubi-
ta, dove oggi si trova la cappella di San Juan Pablo II.
Nel 2014 abbiamo iniziato ad andare nel quartie-
re di Toba, nella scuola gestita dagli indigeni, e
lì è nato un altro oratorio. E l’ultimo è Ceferino,
nell’insediamento di Zampa, dove i salesiani coo-
peratori stanno promuovendo la costruzione di una
cappella, e hanno già ottenuto un terreno”, spiega
il direttore generale dell’opera, Antonio Pedone. I
cooperanti sono un supporto molto importante per
questo lavoro, che è diventato ancora più impor-
tante durante le azioni di solidarietà realizzate nel
periodo della pandemia.
Ogni sabato pomeriggio, un gruppo di ragazzi e
ragazze si riunisce nel cortile di Don Bosco per
cercare di trasmettere ad altri ragazzi e ragazze
un po’ dell’amore e della fede che hanno impara-
to qui. Una di loro è Morena, 16 anni, del gruppo
Vida: “Qui posso incontrarmi con i miei amici e
sentirmi a casa, protetta, con persone che possono
consigliar­mi e accompagnarmi”. Ed è quello che è
successo a molti ragazzi che sono passati per questo
parco giochi, che si sono formati qui e sono riusciti
ad espandere la loro fede. Sono cresciuti qui, era la
loro casa, era la loro scuola. Hanno trascorso qui la
loro vita. E ora hanno spiegato le loro ali.
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LA COMUNITÀ QOM
La comunità di Toba, conosciuta anche come Qom, ha una sto-
ria nel nostro paese. In generale, gran parte della popolazione
argentina pensa che i popoli indigeni non esistano, che non
esistano più, che siano una cosa del passato. Questo perché
sono stati emarginati dal sistema attuale per anni, vivendo in
povertà e all’ombra dello Stato.
Attualmente, il popolo Toba è uno dei popoli indigeni con la
più grande popolazione in Argentina, con circa 70 000 mem-
bri. Sono distribuiti nelle province di Chaco, Formosa, Santa
Fe settentrionale e Salta, e anche nella Grande Buenos Aires
a causa della migrazione. Ovunque vadano, vanno sempre in
gruppo, poiché hanno formato un popolo senza esclusione
sociale. Si fanno chiamare Qom, che nella loro lingua signi-
fica “popolo”.
Questa comunità si è sempre sviluppata come una società
di pesca, caccia, raccolta e nomade. Si spostavano, guidati
da un cacique, secondo le loro necessità di sostentamento.
Il cacique non aveva un’autorità assoluta ed era consigliato
da un consiglio di anziani. Il loro modo di vivere si integrava
con l’ambiente naturale che li circondava, imparando a cono-
scere ogni albero, il comportamento degli animali e le piene
stagionali del fiume.
Furono messi da parte e respinti dalle nuove società che si sta-
vano formando nelle loro terre. Un altro problema che devo-
no affrontare è il disboscamento avanzato e rapido degli albe-
ri da parte delle aziende. Negli ultimi 70 anni, la provincia del
Chaco ha perso più di 30 000 chilometri quadrati di foresta
nativa. La depredazione sta avanzando e porta con sé parte
del loro cibo, delle loro medicine e della loro sopravvivenza.
Molte famiglie si guadagnano da vivere con l’artigianato. De-
vono anche affrontare continue discriminazioni e pregiudizi.
Il popolo di Toba, nonostante tutto, è ancora in piedi, lottando
per sempre e mantenendo le usanze che hanno potuto persi-
stere nel tempo. La lingua Qom è ancora parlata tra i membri
del popolo e rappresenta una speranza che non hanno perso
tutto. Alcuni di loro fanno parte di diverse organizzazioni per
rivendicare i loro diritti, la loro identità, la loro cultura e mi-
gliorare le loro condizioni di vita.
Elizabeth González, coordinatrice della magistratura dei po-
poli indigeni, ha detto che «La discriminazione non si notava
prima. Oggi c’è stata una persona che è andata alla Columbia
Bank per raccogliere denaro e quando hanno visto che era del
quartiere di Toba gli hanno tirato dietro il documento e l’han-
no buttata fuori. Spero che sappiano che i primi abitanti erano
indigeni e non immigrati.
Quello che chiedono è il rispetto della loro lingua, dei loro
territori, delle loro pratiche, in breve, dei loro costumi. Molto
è stato loro tolto e non meritano di essere dimenticati o igno-
rati. Come tutti gli altri, dovrebbero avere una qualità di vita
dignitosa e i loro diritti alla vita, alla salute, all’acqua potabile
e molti altri dovrebbero essere rispettati».
Il Chaco è una provincia dell’Argentina, estesa per 99 633 km², con
capoluogo Resistencia. Basa la propria economia su agricoltura e
allevamento. Nel nord-ovest di questa provincia si trova la zona quasi
vergine chiamata El Impenetrable (l’Impenetrabile).
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TEMPO DELLO SPIRITO
Carmen Laval
La virtù “svenduta”
La veracità
«A chi posso ancora credere?»
è un dilemma quotidiano. Non
c’è teoria, non c’è affermazione
che non trovi chi afferma
energicamente il contrario.
La verità nel mondo in cui viviamo
esiste ancora?
Il bambino era appena stato scoperto a dire una bugia.
Il padre, comprensivo e moderno, sapeva che quella bugia in parti-
colare non era importante, ma lo era il concetto morale di mentire.
Così interruppe quello che stava facendo e si sedette insieme al fi-
glio per spiegargli, con un linguaggio semplice, perché doveva sem-
pre dire la verità, qualunque cosa accadesse, cascasse il mondo...
Squillò il telefono.
Il figlio, che stava cercando di ingraziarsi il padre, disse: «Vado io!».
E corse a rispondere al telefono.
Ritornò poco dopo. «È la banca, papà».
«Uffa! Proprio adesso? Digli che non ci sono».
Molti mentono come respirano.
La verità è la struttura
della Creazione
La Bibbia racconta simbolicamente che la Creazio-
ne uscita dalle mani di Dio non era perfetta, perché
era pur sempre “creatura”, ma buona. Tutto è stato
rovinato dalla prima menzogna: quella del serpente.
Era tutto molto semplice: ogni cosa è quello che è
e Dio non ci inganna. Ma il serpente ha iniettato il
dubbio nella mente degli uomini: «Non è vero che
morirete, anzi, Dio sa bene che se ne mangerete i vo-
stri occhi si apriranno, diventerete come lui: avrete la
conoscenza di tutto». È la prima “disinformazione”
della storia. La prima delle micidiali “fake news”.
Gli uomini hanno dovuto scegliere tra le parole di
Dio e quelle del serpente. Hanno scelto il serpente.
L’unica creatura maledetta da Dio è proprio il ser-
pente, simbolo degli idoli falsi e bugiardi, che però
hanno molti adoratori nel mondo.
Nel mondo in cui viviamo, la verità esiste anco-
ra? «Non è inverosimile affermare che viviamo in
un’epoca in cui le menzogne sono preponderanti
rispetto alla verità» scrive Vivien Reid Ferrucci.
«L’intero asse vero-falso deve essere fuori allinea-
mento se ci viene chiesto di comprare creme che
mandano via le rughe da un giorno all’altro, fa-
cendoci sembrare più giovani di dieci anni; o salse
già pronte che promettono il sapore della genuinità
casereccia ai piatti di pasta, e portano sorrisi di ap-
prezzamento alla famiglia e ai graditi ospiti; o uno
shampoo che “dà valore” ai nostri capelli, come
dice una pubblicità alla Tv, la quale vuole darvi
l’impressione che sarete come la modella che muo-
ve da una parte e dall’altra le sue chiome quasi fos-
sero una gonna di seta. Da promesse come queste
che, nell’industria della pubblicità, possono andare
da mere illusioni fino ad essere garanzie, emerge la
straordinaria ironia per cui una ditta produce affer-
mazioni incredibili o quasi, mentre le sue vendite
dovrebbero dipendere proprio dalla credibilità! In
poche parole: ci viene chiesto di essere persuasi da
una fandonia. Nessuno crede davvero che le rughe
se ne andranno, che un vaso di salsa affascinerà gli
invitati, o che uno shampoo ci trasformerà i capelli!
Com’è possibile credere a bugie così lampanti?
Ovviamente non ci crediamo per davvero, ma
ci piacerebbe crederci. Però se compriamo i loro
prodotti, facciamo come se ci credessimo. In altre
parole, inganniamo noi stessi e in questo modo di-
ventiamo complici dell’inganno.
Inoltre siamo coinvolti in un doppio inganno per-
ché, oltre a vendere un’illusione, la pubblicità ci por-
ta a credere in valori falsi: vuole che noi pensiamo,
per esempio, che apparire più giovani è meglio che
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apparire della nostra età, che essere fisicamente at-
traenti è più importante che essere dotati di buona
volontà, o essere gentili, o sinceri; che avere un’au-
tomobile vistosa ci fa essere migliori agli occhi degli
altri; e così via. Il mercato dà forma ai nostri valori».
La veracità è una virtù che sta perdendo colpi. È fra-
gile e debole. Bastano due righe su un “social” per
oscurarla. Il più stupido degli uomini può ferirla.
Oggi il serpente ha scoperto il potere di Internet.
Eppure tutto il nostro modo di vivere si fonda su
questo semplice principio: la verità. I rapporti degli
uomini tra di loro, le strutture della società, l’ordine
dello Stato, tutto ciò che accade tra le persone, la
sicurezza, la coerenza, la coscienza stessa esistono se
c’è la certezza della verità. Ciò vale per ogni forma di
rapporto, vale soprattutto per quelle forme su cui si
fonda la vita autentica: amicizia, comunione di lavoro,
amore, matrimonio, famiglia. Le forme comunitarie,
che devono durare, crescere e farsi feconde, devono
crescere sempre più quanto alla verità dell’uno verso
l’altro, altrimenti si disintegrano. Ogni menzogna
distrugge la comunione fra gli uomini.
La verità è la libertà
Un giorno, Gesù fa un bellissimo complimento ad
un certo Natanaele: «Ecco davvero un israelita in cui
non c’è falsità». È una persona verace che non trae
alimento dal calcolo, ma dalla sua verità interiore.
È una persona libera da intrighi, da diplomazia, da
considerazioni su come “vendersi” agli altri. Vive
in armonia con se
stessa. È genui-
na. Dice quello
che pensa. Agi-
sce come si sen-
te nel suo cuore.
Con una persona del genere si sa sempre con chi si
ha a che fare. Non ci nasconde i suoi pensieri e i suoi
sentimenti. Non ha paura che la conosciamo.
La verità dona all’uomo solidità e fermezza. Ne ha
bisogno, perché la vita non è soltanto un’amica, ma
anche una nemica. Dappertutto interessi urtano gli
uni contro gli altri, di continuo insorgono suscet-
tibilità, invidie, gelosie, odii. La semplice diversità
del carattere e dei punti di vista crea grovigli. Al-
lora si agisce per calcolo, per convenienza, spirito
di parte, preconcetti irrazionali, opinioni anche
bislacche.
Di solito non vince la verità, ma chi urla più forte.
E chi ha più “followers”.
Ma la persona verace è anche sempre libera. Infatti,
solamente la verità ci renderà liberi. Oggi ci sono
tante persone che fanno dei giri attorno alla loro
verità. Troppe persone agiscono in base a «che cosa
mi conviene di più?»
La veracità toglie il velo che sta su ogni cosa. Sba-
razza dagli occhiali scuri che falsificano tutto. E ve-
dono solo il negativo. Ma anche dagli occhiali rosati,
che non vedono gli altri e i loro problemi. La veracità
toglie tutti gli occhiali che contraffanno la realtà.
Il corteo delle virtù
La sincerità può essere faticosa e spigolosa. Ma
finché non si vive nella verità non si può davvero
comunicare con gli altri, non c’è fiducia. Né le altre
virtù che la veracità trascina con sé, come l’onestà,
l’affidabilità, la fedeltà, la responsabilità.
E soprattutto la “buona fede”. La buona
fede, come tutte le virtù, è il contra-
rio del narcisismo, del cieco egoismo,
dell’autocompiacimento, di ogni forma
di inganno. Per questo tocca la genero-
sità, l’umiltà, il coraggio, la giustizia. La
giustizia nei contratti e negli scambi, il
coraggio di pensare e di dire, l’umiltà di
fronte alla verità, la generosità di fronte
agli altri. Per questo è “buona”. Come la
Creazione voluta da Dio.
FEBBRAIO 2022
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2.2 Page 12

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L’INVITATO
Sarah Laporta
Don Bosco sorride
in Angola
Incontro con padre Martin Lasarte
superiore della Visitatoria d’Angola.
«Il nome don Bosco suscita
simpatia ed è molto amato».
Ci puoi raccontare la tua bella
avventura salesiana?
Certo! Abbiamo soltanto una vita e dobbiamo vi-
verla molto bene e con intensità. E che cosa di me-
glio è viverla con e per il Signore insieme a don
Bosco? La mia avventura è iniziata in una scuola
secondaria salesiana in Uruguay.
Il sorriso
contagioso
di padre
Martin
Lasarte.
Come è nata la tua vocazione?
Provengo da una famiglia cristiana in particolare
da parte della mia mamma e dei nonni. Ho fatto la
scuola primaria e parte della secondaria con i fratelli
Maristi. Poi sono stato allievo in una scuola salesiana
chiamata Giovanni XXIII. Penso che tre elemen-
ti hanno segnato la mia chiamata. In primo luogo,
sono stato colpito dalla figura del nostro direttore,
don Félix Irureta: un bravissimo salesiano: umile,
semplice, vicino a noi, sempre in cortile e all’entrata
della scuola ad accogliere gli studenti, che conosceva
ognuno per nome. Il primo giorno di scuola mi ha
chiamato con il mio nome. Poi, un inverno, avendo
offerto il mio giaccone a un barbone, ho sentito una
grandissima gioia e così ho capito il dna del Vange-
lo: che se per l’offerta di un vestito si poteva essere
così felice, quanto di più se s’offrisse tutta la vita.
Infine il 1981. Iniziò il progetto salesiano “Africa”.
Ero nell’ultimo anno dei preparatori per l’universi-
tà d’ingegneria. Arrivò nella nostra scuola, il primo
salesiano dall’Uruguay che partiva per l’Angola: pa-
dre Milan Zednicek. Ci presentò il progetto Africa.
Ecco, il fiammifero cadde nella paglia… All’inizio
pensavo di continuare gli studi e partire poi come
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FEBBRAIO 2022

2.3 Page 13

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volontario laico, ma se a Dio dai la mano, pian piano maggioranza di radice Bantu e Khoisan e anche
ti prende tutto… e così sono entrato dai salesiani, popolazioni nate dall’incontro con altre culture,
con una chiara vocazione missionaria.
particolarmente quella portoghese.
Come sei finito in Africa e in Angola?
Il mio autobus vocazionale, già aveva il cartello di
destinazione chiaro: Angola. Una prima idea dei
superiori era che andassi a fare il tirocinio in Afri-
ca, ma per motivi politici e della guerra in Angola,
era difficile entrare nel Paese. Dunque, dopo l’ini-
zio degli studi teologici nel mio paese, sono andato
in Brasile e poi a Roma. Pochi giorni dopo la mia
ordinazione diaconale, nel 1990, sono arrivato alla
mia Terra Promessa.
Quando sono arrivati i salesiani
in Angola?
Don Bosco, nel 1881, aveva risposto al vescovo di
Luanda (Angola) sulla richiesta di salesiani, che in
quel momento non poteva inviargli, ma che in futu-
ro sarebbero andati. Esattamente un secolo dopo, i
salesiani sono arrivati in Angola, nel settembre del
1981. Il primo ad arrivare è stato un bravo e zelante
salesiano brasiliano, don Albino Beber, che era an-
che un buon costruttore e un ottimo muratore. Ab-
biamo iniziato la nostra prima presenza, a 180 km
dalla capitale, a Dondo, provincia del Kwanza Nor-
te. Di fatto, quest’anno celebriamo i 40 anni dell’ar-
rivo dei salesiani in Angola. Poi, sono arrivati altri
figli di don Bosco, particolarmente dal Sudamerica.
La situazione politica è favorevole
alla Chiesa?
Nell’anno 1491 arriva il cristianesimo in Ango-
la e sono battezzati i primi “angolani”, che erano
membri del Regno del Congo. Il figlio del Re del
Congo, Afonso I, Henrique Kivu Mvemba sarà nel
1518 il primo vescovo d’Africa Sub-sahariana e farà
un grande lavoro di evangelizzazione nel primo re-
gno cristiano dell’Africa Bantu. Tempo dopo, più a
sud, la regina Nzinga Mbande, del regno Dongo,
era la “ngola” (la regina regnante) e sarà battezza-
ta nel 1622. Se da una parte voleva fare un regno
cristiano, scrivendo lettere al papa Alessandro VII,
chiedendo missionari, dall’altra parte lottava contro
il regno coloniale portoghese. Nel periodo dell’illu-
minismo furono espulsi i missionari. Alla fine del
sec. xix si riprese una forte evangelizzazione con
nuove congregazioni religiose, in tutto il paese: la
Chiesa divenne un riferimento per l’educazione e la
promozione umana, dopo non pochi conflitti con
le autorità coloniali.
Nel 1975, con l’indipendenza del paese dal Porto-
gallo, iniziò una nuova tappa, segnata all’inizio dal
La
processione
di Maria
Ausiliatrice
per le strade
angolane.
Che paese è l’Angola?
È un grande paese di 1 247 000 km2 (quattro volte
più grande che l’Italia): è bello, con i suoi deserti,
foreste tropicali, montagne, boschi, prati, savane…
Ricco di fiumi, fauna e purtroppo ricco di minera-
li (petrolio, diamanti e tanti altri minerali). Dico
purtroppo, perché è per causa della sua ricchezza
mineraria che è stata auto-alimentata per anni la
guerra civile nel paese. Ma la maggiore ricchezza
d’ogni popolo è la sua gente. L’Angola è una nazio-
ne unita, ricca di diverse etnie e nazionalità, nella
FEBBRAIO 2022
13

2.4 Page 14

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L’INVITATO
e libertà nel suo compito religioso e di promozione
umana. Grazie a diversi accordi con lo Stato, anche
noi salesiani possiamo oggi offrire un’educazione ai
più poveri. Non è tutto facile. Ci sono alcune tensio-
ni al riguardo d’una vera autonomia, ma questa inte-
razione con il Governo ci offre le possibilità d’avviare
iniziative educative più sostenibili per i più bisognosi.
I bambini
di Huambo:
in questo
quartiere
sono appena
arrivati i
salesiani.
Grazie anche
all’aiuto della
gente del
posto, che si
è mostrata
accogliente
verso i Figli
di don Bosco,
hanno avviato
l’allestimento
di un piccolo
orto, con
annesso un
allevamento
di galline.
marxismo, che combatteva contro il cristianismo.
Questo momento storico e culturale è stato breve e
chiaramente estraneo allo spirito religioso africano.
I nostri missionari, negli anni 80 del secolo scor-
so, erano istruiti all’ateismo scientifico e alla lotta
del proletariato… in mezzo alla foresta (!). Dopo il
1992, iniziò un periodo di maggiore apertura reli-
giosa. Oggi i rapporti della Chiesa con il Governo
sono eccellenti. C’è un concordato con la Santa Sede
e accordi nel campo dell’educazione e della salute.
In questo momento, la Chiesa gode di grande stima
Quali sono i suoi problemi più grossi,
oggi?
La situazione d’una diffusa povertà (37% sotto la
soglia della povertà) accentuata dopo la crisi della
pandemia. Ancora si sente l’eredità lasciata dalla
guerra, constatando il fragile tessuto familiare che
si ripercuote nella situazione di marginalità di molti
bambini e giovani. C’è anche un’enorme frammen-
tazione religiosa con il conseguente “commercio
della fede” da parte di vari gruppi neo-messianici e
neo-pentecostali. E naturalmente tutte le sfide ne-
gative della cultura di oggi, ogni volta più globaliz-
zata, e che è presente particolarmente nell’ambito
urbano e giovanile.
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FEBBRAIO 2022

2.5 Page 15

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Come sono i giovani?
Quali sono i loro problemi?
2/3 della popolazione ha meno di 25 anni e la cre-
scita demografica è del 7%. Perciò è un paradiso
salesiano, pieno d’una gioventù sorridente e dina-
mica, desiderosa di studiare, progredire, d’essere
protagonista nella società. Indico alcuni ponti pro-
blematici che vivono i giovani.
Si calcola che la metà dei bambini sono fuori dal
sistema scolastico. Tra i giovani dai 15 ai 24 anni, il
tasso di disoccupazione è del 52,4%. Il 24,9% non
lavora né studia e la percentuale di povertà è del
68,8%.
L’Angola è il 13° paese al mondo (su 175) dove i
diritti dei bambi sono più minacciati, secondo tre
indicatori di vulnerabilità: lavoro minorile, esclu-
sione dall’istruzione e matrimonio infantile.
Quali sono le opere salesiane
più importanti?
Tutte le opere, a loro modo, sono importanti e si-
gnificative dove si trovano. Abbiamo in questo mo-
mento 13 comunità nel Paese. È da sottolineare la
rete per l’assistenza di bambini e ragazzi vulnerabili
in 6 centri, la vitalità del Movimento Giovanile Sa-
lesiano con quasi 18 000 giovani e adolescenti, una
rete di scuole e Centri di Formazione Professionale
con circa 22 000 allievi. Abbiamo un Istituto Su-
periore per la filosofia e pedagogia che molto con-
tribuisce alla formazione di educatori e professori.
A Palanca ci sono tanti studenti e una ventina di
novizi a Calulo! È straordinario!
Grazie a Dio, il Signore benedice la presenza sa-
lesiana in Angola con molte e buone vocazio-
ni. Avremmo per la festa di don Bosco (gennaio
2022): 21 novizi, 60 giovani confratelli postnovizi
(a Palanca), 15 tirocinanti, 19 studenti di teologia.
È un’enorme responsabilità l’accompagnamento di
questi 115 giovani confratelli che sono una speran-
za per l’Angola e per tutta la Congregazione (di
fatto già ci sono missionari in Portogallo, Irlanda,
Papua Nuova Guinea, Medio Oriente).
KrakenPlaces / Shutterstock.com
Come sono visti i salesiani
dalla gente?
Noi ci sentiamo molto amati dalla popolazione e
dai giovani, e anche rispettati dall’autorità e società
civile. Il nome “Dom Bosco” suscita simpatia e ri-
chiama al lavoro con i giovani più bisognosi.
Qual è il futuro della Congregazione
qui?
Il futuro sta soltanto nelle mani di Dio, ma i nostri
sogni e progetti sono tanti. Vorremo consolidare la
formazione professionale, di modo da poter offrire
alla gioventù un inserimento dignitoso nella socie-
tà. È nostro desiderio iniziare qualche presenza più
istituzionale nell’ambito delle scuole agricole, come
forma di sostenibilità e offerta educativa di qualità
ai giovani degli ambiti rurali e contribuire allo svi-
luppo di una nazione che è stata molto dipendente
dal petrolio. Vogliamo consolidare la rete dei bam-
bini e adolescenti a rischio non soltanto in Luanda,
ma in altre città del Paese. Ma soprattutto la nostra
vocazione e gioia più profonda è poter comunicare
Gesù Cristo a migliaia di giovani desiderosi di co-
noscerlo, amarlo e seguirlo. Ecco il nostro impegno
per una pastorale giovanile, che mediante i grup-
pi associativi, la catechesi, l’oratorio, sia più viva e
coinvolgente.
Nella sola
capitale,
Luanda,
sono ben
otto le opere
salesiane che
si prendono
cura di
parrocchie,
oratori e
case di
accoglienza,
con un
impegno
costante nei
confronti
delle fasce di
popolazione
più deboli.
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2.6 Page 16

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IN PRIMA LINEA
Jacob Thelekkadan
(Traduzione di Marisa Patarino)
Don Bosco a Khartoum
È una polveriera sempre pronta ad
esplodere, in una spirale continua
di povertà, violenza e terrore.
Ma i salesiani sono là. Senza paura.
Il Sudan era il Paese più grande dell’Africa fino
al 2011, quando, dopo oltre vent’anni di guerra
civile, il nord popolato in maggioranza da arabi
e musulmani e il sud con una maggioranza cri-
stiana si separarono e il Sudan del Sud è diventato
un Paese indipendente. La parte settentrionale del
Sudan è caratterizzata da clima caldo ed è preva-
lentemente desertica, mentre la parte meridiona-
le ha clima temperato, abbondante vegetazione e
un’agricoltura prospera. Con l’inizio della seconda
guerra civile in Sudan nel 1983, combattuta prin-
cipalmente nella parte meridionale del paese, mi-
gliaia di Africani del Sudan del Sud tornarono nel
nord del Paese, diventando così cittadini sudanesi
sfollati. Oltre alle difficoltà dovute al clima caldo e
inclemente del nord, i cittadini sudanesi provenien-
ti dal sud erano considerati ribelli e infedeli, poiché
molti di loro erano cristiani.
Migliaia di cattolici e cristiani di altre denomina-
zioni, insieme a molte persone che seguivano la re-
ligione tradizionale africana, affluirono nel Sudan
del Nord per sfuggire alla sanguinosa guerra com-
battuta nel sud del paese e si stabilirono in molte
zone diverse.
Negli anni ’70 i missionari comboniani avevano
avviato un Istituto Tecnico (la St. Joseph Tech-
nical School) nella capitale, Khartoum. Nel 1986
l’allora Superiore provinciale comboniano si rivol-
se all’Ispettore salesiano, don Thomas Thayyil,
Una Messa
parrocchiale
in una
cappella.
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FEBBRAIO 2022

2.7 Page 17

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dell’Ispettoria Africa Orientale, e lo pregò di av-
viare una presenza salesiana a Khartoum assumen-
do la direzione della St. Joseph Technical School
e della Parrocchia St. Joseph, poiché il numero di
Missionari Comboniani nel Sudan del Nord era in
progressiva diminuzione. Nel 1987 don Dominic
Padinjaraparambil e Jacob Thelekkadan furono
dunque inviati nel Sudan del Nord per rilevare gra-
dualmente dai missionari comboniani la gestione
dell’Istituto Tecnico e della parrocchia. I sacerdoti
salesiani rimasero a lavorare insieme ai missionari
comboniani per più di un anno, prima di assumere
la direzione dell’Istituto Tecnico e della parrocchia.
La Parrocchia Salesiana St. Joseph
Nel 1989 la Parrocchia Salesiana St. Joseph fu affi-
data ai Salesiani e l’arcivescovo monsignor Gabriel
Zubeir Wako nominò don Dominic Padinjarapa-
rambil sdb primo parroco salesiano. Sebbene l’area
della parrocchia fosse molto vasta, pari a oltre 700
chilometri quadrati, i cattolici erano poco numerosi
e vivevano in comunità disperse in molte zone della
grande città di Khartoum.
Don Dominic, un missionario molto zelante e vo-
lenteroso, cominciò a compiere visite tra i cattolici
nelle diverse zone in cui vivevano e fondò per loro
piccoli centri per pregare, soprattutto la domenica.
Ben presto i centri diventarono sette e vi erano ce-
lebrate sante Messe con l’aiuto di alcuni sacerdoti
disponibili a Khartoum. Poiché le sedi principali
in cui i cattolici andavano a pregare erano i vecchi
centri di Azouzab e Mantiga, don Dominic com-
prese che i cattolici erano più concentrati nella zona
sud della parrocchia. Per questo avviò un centro a
Kalakla Gubba, nella zona sud di Khartoum, dove
costruì una grande sala polifunzionale per i cat-
tolici che si riunivano per la Santa Messa, la pre-
ghiera, le riunioni ecc. Avrebbe voluto costruire là
una grande chiesa, ma poiché il governo islamico
al potere disapprovava tutte le attività della chiesa,
preferì attendere un momento adatto per costruire
una chiesa pienamente riconosciuta. Con la cele-
brazione settimanale regolare delle sante Messe nei
diversi centri istituiti da don Dominic, il numero
di cattolici che partecipavano a queste celebrazioni
domenicali crebbe rapidamente.
Don Dominic risiedeva presso l’Istituto Tecnico St.
Joseph, ma si impegnava a visitare frequentemente
la maggior parte dei centri, in cui incaricò alcuni
catechisti di insegnare i fondamenti della fede cat-
tolica e di curare la formazione cristiana. Dato che
però i cattolici vivevano nei centri situati lontano
dall’Istituto Tecnico St. Joseph, si rese necessario
costruire una residenza parrocchiale più vicina alle
zone in cui vivevano i cattolici. Costruire strutture
permanenti per la preghiera e la Messa domenicale
era però difficile a causa delle politiche del gover-
no islamico. La maggior parte dei centri disponeva
dunque di modeste strutture in canne di bambù e
pali di legno. Le attività cristiane però fiorirono,
perché i cattolici erano felici di avere un posto in
cui riunirsi e pregare!
Un battesimo.
L’opposizione
da parte
dello Stato
è però sottile
e continua.
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2.8 Page 18

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IN PRIMA LINEA
Anni difficili
Dopo aver lavorato instancabilmente e ininterrot-
tamente per sette anni come parroco, nel mese di
luglio del 1996 don Dominic Padinjaraparambil fu
sostituito da don Jacob Thelekkadan, che diventò
il nuovo parroco. Don Patrick Soreng fu nominato
viceparroco. Fino alla fine del 1996 rimasero a lavo-
rare all’Istituto Tecnico St. Joseph, ma nel febbraio
del 1997 presero in affitto un edificio nella zona
sud di Khartoum, e stabilirono la loro residenza in
questa sede appena affittata. I sacerdoti potevano
così prestare maggiore assistenza spirituale e mate-
riale ai cristiani che vivevano più vicino.
Durante i mesi che i sacerdoti trascorsero nell’edi-
ficio che avevano preso in affitto, don Jacob, con
l’aiuto dei superiori salesiani e delle autorità arci-
diocesane, riuscì a costruire e ad arredare comple-
tamente una casa proprio di fronte alla grande sala
polifunzionale che don Dominic aveva costruito a
Kalakla Gubba. I cattolici erano molto soddisfatti,
perché il loro parroco e il viceparroco erano più vi-
cini alle loro case. All’epoca la parrocchia contava
sette centri maggiori e tre centri minori. Tutti i set-
te centri maggiori disponevano di strutture perma-
nenti con sale per la preghiera e aule per la scuola
elementare al servizio degli studenti sfollati.
Nel marzo 1997 il governo islamico distrusse uno
dei centri di preghiera, che aveva una struttura per-
manente costruita in mattoni e cemento; tentò di
distruggere anche altri due centri maggiori, ma l’op-
posizione e le manifestazioni contro tale eventua-
lità da parte dei cristiani di Khartoum impedirono
la realizzazione di questo programma del governo.
Negli anni successivi i cristiani rimasero vigili e così
le autorità governative resero più sottile e silenziosa
la loro opposizione alle attività della chiesa.
La guerra civile nel Sudan del Sud indipendente,
iniziata nel dicembre 2013, ha portato ancora una
volta nel Sudan del Nord molte migliaia di Sudane-
Messa in una
“cappella”
succursale
e lezione di
catechismo.
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FEBBRAIO 2022

2.9 Page 19

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UN CALVARIO INFINITO
Dopo dieci anni di chiusura ha riaperto la frontiera tra Sudan e
Sud Sudan. Al confine tra i due Paesi, lungo più di 2000 chi-
lometri, sette punti di passaggio permetteranno la circolazione
delle persone e delle merci. Da quando nel 2011 il Sud Sudan
aveva ottenuto l’indipendenza, i governi di Khartoum e di Juba
hanno iniziato a contendersi, anche sul piano militare, il control-
lo delle regioni frontaliere, soprattutto quella di Abyei, ricca di
petrolio. Nel corso di questi anni, però, i rapporti tra i due Paesi
sono migliorati e le popolazioni locali avevano già cominciato
ad attraversare il confine per commerciare e per far pascolare il
bestiame. Poi, nell’agosto scorso, l’accordo sulla riapertura.
Il Sud Sudan sta facendo i conti con la violenta guerra civile
durata cinque anni che ha causato 400 000 morti e milioni di
sfollati. Ad oggi, però, nessuno dei meccanismi di giustizia di
transizione dell’accordo di pace è operativo. E, in un’apparente
battuta d’arresto, gli Stati Uniti stanno tagliando gli aiuti. In
questo quadro un rapporto delle Nazioni Unite accusa l’élite
di governo del Paese di aver saccheggiato decine di milioni
di dollari dalle casse pubbliche. Secondo il Palazzo di Vetro
una quantità “sbalorditiva” di denaro e altra ricchezza è stata
sottratta alle casse e alle risorse pubbliche – più di 73 milioni
di dollari dal 2018, con quasi 39 milioni di dollari rubati in un
periodo inferiore a due mesi.
Il Sud Sudan appare oggi agli occhi di chi lo visita un Pae­se con
pochissime infrastrutture. Le strade sono poche, gli spostamen-
ti gioco forza avvengono per via aerea. Buona parte della sanità
pubblica è nelle mani delle organizzazioni non governative.
Inoltre, come si può constatare visitando i campi sfollati vicini
alla capitale, il Sud Sudan sta affrontando la sua peggior crisi
alimentare di sempre in 10 anni di indipendenza, con almeno
7,2 milioni di persone, equivalente al 65% della popolazione,
sull’orlo della fame a causa della guerra civile, degli shock
climatici e degli alti prezzi del cibo. In questo quadro però il
World Food Programme (WFP) ha annunciato di aver sospeso
l’assistenza alimentare a più di 100 000 sfollati in alcune parti
del Sud Sudan per 3 mesi.
si del Sud; questi cittadini però ora sono rifugiati e
non sfollati all’interno del loro Paese. Tutti i centri
della parrocchia sono stati allora riaperti e centi-
naia di cattolici hanno usufruito delle attività della
Chiesa Cattolica.
Gli ultimi due anni sono stati molto difficili per
cristiani e non cristiani, poiché la situazione eco-
nomica in Sudan è precipitata. Tutte le persone che
vivono a Khartoum stanno soffrendo molto a causa
della mancanza di pane, gas per la cucina, gasolio e
benzina e per le frequenti e prolungate interruzioni
di erogazione dell’energia elettrica che si verificano
ogni giorno. I prezzi di tutti gli articoli presenti sul
mercato sono schizzati alle stelle, rendendo la vita
delle persone doppiamente difficile.
Il cortile della parrocchia.
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2.10 Page 20

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FMA
Emilia Di Massimo
Inversione di rotta
I primi missionari salesiani erano
partiti dall’Italia per l’Argentina.
Suor Valeria Beatriz Vasquez ha
fatto il viaggio all’incontrario.
«Durante la
pandemia
la missione
è stata un
po’ faticosa,
tuttavia
abbiamo
sempre
continuato ad
essere vicini
ai bambini, ai
ragazzi, alle
persone più
fragili».
“Ho vissuto un’esperienza profonda-
mente ricca, carica di novità, anche
se complessa e difficile. Il progetto
mi piaceva molto, la famiglia sa-
lesiana lo aveva assunto con uno sguardo attento
ai segni dei tempi e lungimirante, con speranza e
fiducia. Le radici erano nel lontano 1875, quando
dal porto di Genova sono partiti i primi missionari
e missionarie di don Bosco e di madre Mazzarello
per la Patagonia, la terra sognata dal santo dei gio-
vani. Io sono arrivata in Italia nel luglio del 2016
per svolgere la missione con i migranti in Liguria,
esattamente a Sampierdarena come un segno di
riconoscenza e di profezia perché il 14 di novem-
bre del 2017 si celebravano i 140 anni della prima
spedizione delle Figlie di Maria Ausiliatrice che si
sono recate in Patagonia per prendersi cura degli
immigrati italiani in Argentina. Oggi il viaggio è
in senso contrario: dalla Patagonia, da tante altre
parti del mondo, arrivano in Italia tante Salesiane
per porsi accanto agli immigrati”.
Missione Italia
Inizia così l’incontro con suor Valeria Beatriz Va-
squez, argentina, la quale è arrivata a Genova-
Sampierdarena con il cuore pieno di emozioni, di
gioia e di fiducia, i giusti ingredienti per rendere
possibile e concreta la missione che le ha richiesto
di essere disponibile per compiere svariati servizi,
soprattutto per imparare la lingua e la cultura ita-
liana. “Ho cercato di essere aperta alla novità del
quotidiano con entusiasmo e passione missionaria
anche se nel cuore avevo tanta nostalgia della mia
terra. Con piccoli passi, semplici ma concreti, insie-
me al gruppo di lavoro abbiamo cercato di integrare
le varie culture presenti nel territorio con la consa-
pevolezza che nessuno deve dimenticarsi da dove
arriva ma semplicemente e con rispetto è necessario
che si apra alla ricchezza della terra che lo acco-
glie. Sampierdarena è davvero una casa per tutti,
chi arriva vi rimane con il cuore, è un’esperienza
che allarga gli orizzonti e rende limpido lo sguardo
sulla realtà, sulle persone”.
Suor Valeria non è stata solo a Sampierdarena, dopo
due anni ha trascorso un anno a Carrara, dove ha
lavorato con i bambini delle famiglie straniere; la
povertà, la semplicità e il grande affetto che le han-
no dimostrato le ha riempito il cuore, infatti ci dice
che “loro sono stati e sono tuttora i miei grandi
20
FEBBRAIO 2022

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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maestri di vita, con loro la nostalgia che avevo della
mia terra è scomparsa immediatamente”. Un’altra
condivisione importante è stata quella vissuta al
centro giovanile diocesano “I giovani al centro”:
con loro suor Valeria ha potuto sperimentare la ric-
chezza del carisma salesiano che, tradotto essen-
zialmente in amorevolezza educativa, fa incontrare
la presenza di Dio nel prossimo.
Qual è la destinazione
Il viaggio missionario continua per suor Valeria,
segue l’inversione di rotta carismatica. “Da due
anni sono in Sardegna, una terra bella, accogliente
e generosa. La Diocesi di Ales Terralba mi ha chie-
sto di svolgere il servizio di direttrice dell’ufficio
missionario. Il direttore della Caritas aveva chiesto
alla nostra Madre generale una Salesiana che po-
tesse collaborare nell’ambito dell’associazione, pre-
cisamente nell’ “area giovane” ed anche nel Centro
Culturale di alta formazione della diocesi. Attual-
mente realizzo diverse attività nell’ambito socio-
educativo, sia con i bambini sia con i giovani, col-
laborando con le parrocchie. Durante la pandemia
la missione è stata un po’ faticosa, tuttavia abbiamo
sempre continuato ad essere
vicini ai bambini, ai ragazzi,
alle persone più fragili ed in
situazione di emarginazio-
ne come lo sono i giovani di
una comunità terapeutica per
tossicodipendenti e le fami-
glie di un campo Rom”.
Suor Valeria non pensa di
fare grandi cose, semplice-
mente cerca di vivere l’amore
e l’audacia del carisma sale-
siano, con fedeltà a Dio e al
prossimo; è attenta ai segni
del tempo per rispondere con
creatività ai bisogni del pre-
sente, partecipa attivamente
ovunque venga invitata per-
ché crede che la spiritualità salesiana sia una grande
ricchezza da condividere, far conoscere, espandere.
Le chiediamo qual è la motivazione principale che
sostiene la sua passione missionaria. “La sensibili-
tà per il dolore, la solitudine degli altri mi spinge
ad essere coraggiosa e a fare con libertà ciò che ri-
chiede la carità, al di là che non sempre sia capita,
comunque porto nel cuore un sogno: testimoniare
concretamente Colui nel quale credo. Sono convin-
ta che l’Italia sia una terra di missione, colgo nel-
le persone il desiderio di incontrarsi con le radici
cristiane che appartengono loro storicamente, di
ravvivare la fede. Mi accorgo che c’è sensibilità ver-
so Dio, in particolar modo
quando nell’incontro con
l’altro, con tante persone che
giorno dopo giorno mi aiu-
tano e che condividono con
me la missione che mi è stata
affidata, d’altronde condivi-
dere ciò che siamo e abbia-
mo con semplicità di cuore
è la più grande ricchezza
umana che possiamo vivere”.
Dall’Italia alla Patagonia e
viceversa, ma solo geografi-
camente: la passione missio-
naria è la stessa perché “La
propria destinazione non è
mai un luogo, ma un nuovo
modo di vedere le cose”.
Suor Valeria
è attiva
ovunque
venga
invitata
perché
crede che la
spiritualità
salesiana sia
una grande
ricchezza da
condividere,
far conoscere,
espandere.
FEBBRAIO 2022
21

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3.4 Page 24

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LE CASE DI DON BOSCO
Guido Salza
Valsalice
Il museo voluto da don Bosco
È uno specchio unico e inimitabile delle meraviglie del Creato.
Veduta
del salone
dedicato alla
zoologia.
Salendo tra le ville della collina di Torino si
trova l’istituto Valsalice: oggi una grande
scuola frequentata da un migliaio di giova-
ni che crescono studiando nei corsi offerti,
dalla media ai licei. Al terzo e al quarto piano dello
storico edificio c’è il museo di storia naturale dedi-
cato a don Bosco, suo fondatore. Infatti sia l’istituto
sia il museo hanno ospitato il santo e hanno godu-
to i benefici diretti della sua opera, divenendo così
luoghi importanti per la storia della congregazione
salesiana.
Il museo nacque quando don Bosco divenne il pro-
prietario di una collezione di centinaia di esemplari
di animali allestita dal canonico torinese Gian Bat-
tista Giordano, che fu un predicatore di gran fama e
cooperatore salesiano. Il canonico consacrava le ore
libere a fare ricerca di uccelli rari, a imbalsamarli e
a classificarli. Egli esponeva tale collezione nella sua
casa, dove si davano appuntamento anche numerosi
studiosi piemontesi in una sorta di salotto scientifico.
Alla morte del Giordano nel 1871, una donna pro-
pose a don Bosco questa collezione in ottimo sta-
24
FEBBRAIO 2022

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to: era la contessa Rita Malliano, vedova del conte
Alberto Bruno di Cussanio, che venne in possesso
del patrimonio naturalistico. La nobildonna, già
benefattrice di don Bosco, ebbe un grave dissesto
finanziario e perciò il nostro Santo per aiutarla,
grato della carità da lei ricevuta, e per potenziare la
scuola di Valsalice, acquistò la preziosa collezione.
Dalle Memorie biografiche di don Ceria (volume
XIV; pagg. 167-168) sappiamo che don Bosco cele-
brò solennemente l’inaugurazione del museo zoo­
logico il 5 luglio 1879, chiamando a presiedere la
cerimonia pubblica un senatore del Regno.
Don Bosco intendeva utilizzare la raccolta di ani-
mali per la formazione scientifica dei suoi allievi
dando anche in questo prova della sua capacità di
lungimiranza. Il padre dei salesiani sin dall’inizio
delle sue scuole volle che le scienze sperimentali
fossero molto presenti nello studio dei giovani e in-
coraggiò l’acquisto di apparecchiature scientifiche
e di materiale espositivo.
Sfogliando le pagine di una lettera di un direttore
del museo di Valsalice nel passato si possono legge-
re queste riflessioni: un museo salesiano conserva
grandi valori che aumentano nel tempo perciò è un
bene da difendere per la congregazione, è una testi-
monianza a livello mondiale della Società fondata
da don Bosco e del suo carisma missionario speso
per i giovani. Inoltre anche i musei sono strumenti
per l’evangelizzazione della società in quanto tutti
contengono un qualche messaggio evangelico.
La lettera si chiude ricordando che in un museo
salesiano è possibile salvaguardare il lavoro di una
vita di un confratello. Tanti infatti sono i nomi dei
salesiani legati al museo “Don Bosco” come il coa­
diutore sig. Gaudi, suo conservatore fino al 1951, e
don Verri, scopritore del quarzo geminato a cuore
di Traversella, che, primo reperto del genere in Pie-
monte, è diventato l’emblema del museo stesso.
Momento di svolta per la storia del museo fu la di-
rezione di don Giuseppe Brocardo, a cui nel 1967
venne affidato il rinnovo del museo e in due anni
di assiduo lavoro, in cui coinvolse anche gli allievi,
raggiunse un livello di al-
lestimento che si presenta
ancora attuale. Nel genna-
io 1969 il museo fu inau-
gurato alla presenza del
sindaco di Torino ed ini-
ziava così dopo novant’an-
ni di uso solo didattico
interno la sua attività pub-
blica. Moltissime sono sta-
te le classi delle scuole del-
la regione che nel corso di
questi cinquant’anni sono
venute in visita al museo
oltre alle famiglie, le comi-
tive turistiche, i singoli cu-
riosi di scienze che hanno
frequentato l’esposizione.
Don Brocardo ampliò sem-
pre più il museo nella per-
sonale convinzione di do-
verlo al suo fondatore don
Bosco e confidando nel suo
aiuto.
Don Giuseppe con la sua
competenza e l’aiuto di don Porrino e don Peder-
zani, fu artefice della ricchissima collezione di ol-
tre 5000 minerali e rocce da ogni parte del mondo,
ordinata secondo gli ultimi criteri scientifici che,
con uno spiccato intendimento didattico, seguo-
no il modello che suddivide i campioni per classi
mineralogiche in base ai propri caratteri cristal-
lo-chimici. La collezione mineralogica è ancora
invidiata da specialisti ed arricchita di campioni
di valore scientifico e museale che la inseriscono
attualmente tra le maggiori esposizioni del genere
in Piemonte e tra le più importanti d’Italia. La sua
fruibilità ha generato in molti studenti l’interesse
per la mineralogia.
Insieme alla sezione dedicata ai minerali al terzo
piano è presente un allestimento di apparecchiatu-
re, di cui numerose antiche del xix secolo, adatte
Dall’alto:
un fossile
di trilobite,
splendidi
esemplari
di Strombus
dehelensis
e parte
superiore di
un teschio
di orso delle
caverne.
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3.6 Page 26

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LE CASE DI DON BOSCO
Una scatola
entomologica
contenente
varie specie di
lepidotteri.
Una vetrina
contenente
esempi di
rocce.
allo studio della fisica (strumenti di ottica,
acustica, meccanica, elettromagnetismo e
relative applicazioni) e della chimica, in
buona parte ancora in uso nella scuola. Que-
sta parte è stata arricchita in particolare da
don Maj durante il suo incarico di curatore.
Salendo al quarto piano dell’istituto si tro-
va il salone dedicato alla zoologia dei ver-
tebrati e degli invertebrati. Molti esemplari
appartengono alla fauna piemontese ed ita-
liana, altrettanti alla fauna straniera e tra
questi ultimi vanno segnalate alcune spe-
cie che vivono soltanto in Nuova Zelanda,
molto rare e perciò difficili da trovare in
altri musei.
Non sempre è stato facile ottenere gli ani-
mali che oggi si possono vedere esposti.
Un esempio ne possono essere i lemuri che
per oltre trent’anni il direttore del museo desiderò
esporre senza riuscirci. Quando nel 1995 egli rivol-
se disperando un’ennesima domanda di una dona-
zione di un esemplare di lemure al governo malga-
scio, portata a destinazione dal rappresentante dei
superiori per il Madagascar, il governo malgascio
finalmente decise la donazione di due specie al mu-
seo, come grande riconoscimento del lavoro che i
salesiani svolgevano per la gioventù malgascia dalla
fine degli anni Ottanta.
La tsansa e i trilobiti
Oggi il museo espone oltre mille esemplari dell’a-
vifauna mondiale, tra le quali tutte le specie di uc-
celli di piccole o medie dimensioni d’Europa. Non
mancano i pesci e gli affascinanti rettili come l’ana-
conda dalla lunghezza di oltre sei metri.
Nel 1892 si iniziò la collezione entomologica con
esemplari catturati e preparati dagli allievi; poi ar-
ricchita da successive donazioni sia di missionari
(dal Brasile, Colombia ed Ecuador) sia di impor-
tanti naturalisti, come la collezione del cav. Luigi
Pezzi, il bibliotecario dei Savoia, oppure da ac-
quisizioni. Un notevole patrimonio sono le specie
esotiche di farfalle o di coleotteri oggi minacciate
e quindi protette presenti nelle decine di scatole
idonee a conservarle.
Straordinaria è la raccolta di migliaia di conchiglie
di molluschi dal mondo, con la presenza di una
Tridacna gigante di oltre 120 chili.
La collezione etnografica ebbe origine con i reperti
provenienti dalla mostra missionaria dell’esposizio-
ne Colombiana di Genova nel 1892. Altre acqui-
sizioni avvennero durante le successive esposizioni
salesiane missionarie del 1898 e 1911, quando don
Tonelli presentò parecchio materiale naturalisti-
co ed etnografico dell’estrema parte meridionale
dell’Argentina. La maggior parte degli oggetti ot-
tenuti dal museo di Valsalice durante l’esposizione
del 1925 fu dirottata da don Ricaldone al Colle
Don Bosco per il nuovo museo.
Nelle vetrine della sezione di antropologia si pos-
sono vedere crani ed ossa preistoriche provenienti
dal Chubut e dalla Patagonia risalenti fino a 10 000
anni a.C. Materiale molto interessante proviene
dalla tribù Yanomami che vive alle sorgenti dell’O-
rinoco, dove fu molto attivo il missionario salesia-
no don Luigi Cocco. In Congregazione ci sono
conservate soltanto due tsanse, un trofeo di testa
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FEBBRAIO 2022

3.7 Page 27

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umana svuotata e molto rimpicciolita: una a Quito
in Ecuador nel museo allestito sulla tribù Shuar ed
una a Valsalice. La tsansa testimonia il lavoro dei
salesiani che hanno evangelizzato i Shuar, la più
bellicosa tribù del sud America.
Nel 1900 si aggiunse la prima raccolta di fossili
piemontesi. Oggi la raccolta paleontologica con-
tiene numerosi campioni di fossili provenienti da
ogni parte del mondo presentati nelle loro suc-
cessioni geologiche e sicuramente da non perde-
re sono un paio di uova di dinosauro, spettacolari
ammoniti, preziosi trilobiti e i pesci fossilizzati del
monte Bolca vicino a Verona, importante giaci-
mento fossilifero.
In ultimo si ricordano le interessanti raccolte a tema
dell’erbario (le specie vegetali già determinate sono
oltre 15 000), quali l’erbario con le specie descritte
nella Bibbia o la serie di piante “Virgiliane”, cioè
citate da Virgilio nelle sue opere e di cui si è cerca-
to di trovare il corrispondente botanico attuale. La
pregevolezza dell’erbario di carattere internaziona-
le sta anche nell’autorevolezza dei ricercatori degli
ultimi due secoli, che ne hanno raccolto i campioni:
don Allioni, don Gresino, don Crespi che fu esper-
to in felci tropicali, don Cimatti che mandò mate-
riale del Giappone e don Porta che donò un erbario
di gran valore composto di 1200 specie.
Gli amici del Museo
Oggi il museo continua a vivere grazie alle dona-
zioni dei benefattori, molto spesso exallievi, che
stimano l’opera dei salesiani e conosco-
no le caratteristiche del museo di
Valsalice apprezzandolo; oppure
altrettanto importanti sono i
contributi dei visitatori che
permettono con le loro offerte
l’acquisto di nuovi campioni
o l’allestimento di nuovi pun-
ti di esposizione.
Grande riconoscenza si deve
all’associazione degli Amici del
museo don Bosco, composto da professionisti ed
amanti della natura, che da anni collabora alla mis-
sione del museo prestando il proprio competente
aiuto anche nell’organizzazione dei cicli annuali
di conferenze di esperti sui diversi argomenti della
scienza oppure nella preparazione di mostre tem-
poranee.
Se la conoscenza di Dio è fondamentale per po-
terlo amare, il modo più semplice per conoscerlo,
che don Bosco indicava ai suoi ragazzi, è quello di
scoprirne la bellezza attraverso la contemplazione
del creato.
Per questo il progetto del museo per i prossimi anni
è di camminare con i giovani sulle orme dell’enci-
clica “Laudato sì” di papa Francesco.
Vetrina
con armi
appartenute
alla tribù degli
Yanomami
del Venezuela.
Sotto: un
esemplare
di Crotalo
atroce degli
Stati Uniti.
Museo Storia naturale Don Bosco
Istituto salesiano Valsalice
Viale Enrico Thovez 37 - Torino
Tel. Centralino 011.6300611
Possibilità di visita nel fine settimana
con orario: 9 - 12 / 15 - 18.
Necessaria la prenotazione telefonica.
Previo accordo telefonico anche nei
pomeriggi feriali.
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3.8 Page 28

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LA BASILICA DI MARIA AUSILIATRICE
Natale Maffioli
La cappella
“trasformista”
La cappella dedicata a san
Domenico Savio nella Basilica
di Maria Ausiliatrice ha subìto nel
tempo tre modifiche importanti
e il loro ricordo è rimasto.
Accanto
al titolo:
panoramica
della
cappella.
Sotto:
Il quadro
del Crida e
l’affresco del
Rollini sul
trionfo della
Fede.
Ecco un ambiente della basilica di Maria Au-
siliatrice che è il risultato di molteplici tra-
sformazioni. Don Bosco nel 1867 dedicò ai
Sacri Cuori di Maria e di Gesù un altare
laterale, il primo a sinistra; don Michele Rua alcuni
anni dopo, nel 1891, mutò il titolo e lo dedicò a San
Francesco di Sales e ultimamente è stato dedicato a
san Domenico Savio. Come si può vedere in cento-
cinquant’anni ha subìto tre modifiche importanti.
Un pittore misterioso
Ora analizziamo nei dettagli
quanto è avvenuto.
Don Bosco affidò la realizzazione
della prima pala dell’altare a Gio-
vanni Battista Bonetti, un giova-
ne uscito di fresco dell’Accademia
Albertina; il nostro Santo non
aveva grandi risorse da investire
nell’apparato decorativo della sua
nuova chiesa, per questo si affidò
a giovani artisti, con poche pre-
tese. La tela del Bonetti rimase
sull’altare per pochi decenni, nel
1898, don Michele Rua la ‘spe-
dì’ all’istituto di Caserta da poco
fondato. Le notizie di quella casa
riferiscono che la chiesa fu inaugurata il 15 dicem-
bre 1898 dal vescovo di Caserta monsignor Gen-
naro Cosenza alla presenza dello stesso don Rua e
il dipinto che campeggiava sull’altare maggiore era
proprio questo proveniente da Torino. Dopo i fatti
funesti della guerra, il dipinto è stato sottoposto ad
un radicale restauro che ne ha modificato l’impo-
stazione generale.
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FEBBRAIO 2022

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Il Bonetti scompare dai documenti pochi anni
dopo e non lascia tracce della sua attività, risulta
che abbia partecipato a una esposizione alla Pro-
motrice delle Belle Arti e in occasione di una di
queste vendette un dipinto all’Ordine Mauriziano.
Con tutta probabilità morì giovane, oppure emigrò
poco dopo aver realizzato il dipinto per don Bosco.
Sulla volta della cappella don Bosco aveva affidato
al pittore Giuseppe Rollini (1842-1904) l’esecuzio-
ne di un affresco raffigurante la Fede che dissipa
l’eresia; la pittura è divisa nettamente in due par-
ti, quella superiore è incentrata sull’ostensorio con
l’eucarestia, è coperta da una sorta di baldacchino
retto da angeli e al centro la figura dell’arcangelo
san Michele che caccia dei personaggi che rappre-
sentano l’errore.
Come si diceva sopra, nel 1896 don Rua mutò il
titolo dell’ambiente e lo dedicò a san Francesco di
Sales, patrono dei salesiani, affidando l’esecuzione
del nuovo altare a Crescentino Caselli che proget-
tò la bella cornice di marmo di Carrara, di gusto
neo rinascimentale, le due colonne, decoratissime
racchiudevano una tela di Enrico Reffo, firmata e
datata 1896 con il Santo all’inginocchiatoio mentre
redige un testo ispirato. Nel timpano dell’altare fu
realizzato, in bassorilievo, lo stemma dei salesiani
e i dipinti sulle pareti laterali, descrivevano due
episodi della vita del Santo, mentre catechizza un
folto gruppo di fedeli e sul lato opposto Francesco
di Sales in una tipografia intento a rivedere, con un
frate domenicano, un’opera fresca di stampa (non
per nulla il santo è patrono dei giornalisti).
Arriva Domenico!
Il terzo cambiamento del titolare si ebbe nel 1956,
quando, con la canonizzazione di san Domenico
Savio, fu scelto questo altare. Nulla fu mutato se
non la pala dell’altare affidata al pittore Crida. Nel
1917 furono traslate le ossa del giovane dal cimitero
di Mondonio nella basilica e fu-
rono collocate in un’urna di ala-
bastro posta sotto uno dei piloni
della cupola dirimpetto al pulpito
e arricchita con un bassorilievo in
gesso dello scultore Pietro Celli-
ni, dove era raffigurato il giovane
dinanzi a don Bosco mentre dice
“Iddio mi vuole santo”. Le tra-
sformazioni degli anni 40 del No-
vecento hanno interessato anche
il sepolcro del giovane santo, che
è stato spostato nella cappella e il
bassorilievo è stato sostituito da
una statua in marmo dello sculto-
re Arrighini di Pietrasanta.
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3.10 Page 30

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I NOSTRI EROI
Francesco Motto
Dai poveri ragazzi di Arese
alle popolazioni povere dell’America Latina
I gemelli salesiani
delle Ande peruviane
Don Elio
Giacomelli
(a sinistra) e
don Ernesto
Sirani.
Nati nella stessa terra lombarda, formatisi nelle
stesse case salesiane, accomunati dalla passione
dell’Operazione Mato Grosso per i poveri, hanno
condiviso drammi e tragedie, sono stati entrambi
purificati da anni di malattia, sono sepolti in chiese
parrocchiali attigue, ma a 10 mila km dal loro paese:
sono don Ernesto Sirani (1945-2020)
e don Elio Giacomelli (1948-2021).
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FEBBRAIO 2022

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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El Padre de Jangas
Padre (don) Ernesto Sirani nasce a Chiari (Brescia)
il 26 novembre 1945 in una cascina affittata dai 5
fratelli, che lavoravano una vasta azienda agricola
per sfamare i loro 23 figli. Ernestino ha solo 7 anni
quando una tragedia si abbatte su tutti loro. Nel ten-
tativo di rimettere in moto una pompa di un pozzo
per l’estrazione del concime organico atto ad irrora-
re la terra, uno dei fratelli scende nel pozzo, ma le
esalazioni gli fanno perdere conoscenza e cade sul
fondo del pozzo. Gli altri fratelli, uno dopo l’altro,
scendono in aiuto ma tutti rimangono asfissiati. Inu-
tili i soccorsi. Una ferita, questa, apertasi nel cuore
di Ernestino, che lo ha forgiato a “soffrire con chi
soffre” negli anni di missione e lo ha preparato ad
affrontare colà un’altra tragedia.
Grazie all’aiuto della nonna, benefattrice della vicina
casa salesiana, può concludere le scuole elementari
nella casa salesiana di Montodine (Cremona) e poi
tornare a frequentare le scuole medie e ginnasiali
nella casa di formazione della “sua” Chiari. Qui ha
la sorte di trovare come insegnante di italiano, latino
e greco don Silvio Galli, di cui è stata introdotta la
causa di beatificazione.
Seguono per Ernesto l’anno di noviziato a Mis-
saglia (Lecco), la prima professione nel 1964,
la seconda nel 1967 dopo gli studi liceali a Nave
(Brescia) e quella perpetua nel 1970. Ernesto è un
giovane serio, riflessivo, poco appariscente, formi-
dabile giocatore di calcio. La prima “obbedienza”
lo manda a svolgere il triennio di tirocinio pratico
(1967-1970) nell’ospizio-scuola di Darfo (Brescia),
dove incontra come direttore don Luigi Melesi, il
salesiano appena ritornato dall’aver accompagnato
i volontari dell’Operazione Mato Grosso nella loro
prima spedizione a sostegno del fratello missiona-
rio, padre Pedro, a Poxoreo in Brasile.
A 35 anni i superiori gli concedono di partire e si
ritrova così sulle Ande peruviane, parroco di Jangas,
diocesi di Huaraz, cui fanno riferimento una trenti-
na di comunità disperse sulla Cordigliera Bian-
ca e sulla Cordigliera Negra. Vi rimarrà 39
anni. Lo spettacolo davanti a lui della cima
dell’Huascarán (m. 6768) è mozzafiato,
ma lo è anche quello dei campesinos che,
schiene a terra, lottano giorno dopo
giorno per ricavare il necessario per
vivere. Suo vicino di parrocchia è pa-
dre Elio Giacomelli, giunto colà due
anni prima, proveniente pure da Arese. Non troppo
lontano, a Chacas, da tempo c’è pure padre Hugo
che sta costruendo sulle Ande la Valdocco di don
Bosco: oratori, scuole, laboratori, cappelle…
Padre Ernesto non si risparmia: prepara le prime
comunioni, promuove attività oratoriane, avvia la-
boratori, fonda una cooperativa… È tutto per la sua
gente, sempre disponibile e generoso, instancabile.
Ha fatto suo lo slogan dell’omg: “meno parole, più
fatti”. Riprende fiato di tanto in tanto nei momenti
di incontro (e qualche affettuoso scontro) con padre
Elio e nel costante dialogo con padre Hugo, che gli
chiede di essere il suo confessore. I due evidente-
mente sono fatti per intendersi.
La tragedia
Padre Ernesto vede così realizzarsi il sogno di sem-
pre: mettersi al servizio dei poveri, fino a dare la
vita. Ma il Signore non la chiede a lui, ma al gio-
vane Giulio Rocca, un volontario che lavora con
lui: ucciso a sangue freddo dai terroristi di Sendero
luminoso nel 1992. Sul suo cadavere la scritta: “No
alla carità, sì alla rivoluzione”. Evidente la ragione
del suo martirio!1.
Padre Ernesto è scosso, come tutta l’omg, ma non
recede… e rimane per altri 18 anni. È o non è El
Padre de Jangas, come ormai lo chiamano tutti?
1. Dopo di lui l’OMG ha avuto due altri “martiri della carità” in Perù:
padre Daniele Badiali (1962-1997, di cui è in corso la causa di beatifi-
cazione) e la volontaria laica Nadia de Munari (1971-2021).
Don Ernesto
volle
rimanere in
missione fino
all’ultimo
respiro.
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4.2 Page 32

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I NOSTRI EROI
Al suo
funerale
c’era uno
striscione:
«Grazie padre
Ernesto
per averci
amato».
In quegli anni sulle Ande peruviane si va concre-
tizzando un progetto a lungo sognato da padre
Hugo: dare vita a un seminario per la formazione
di sacerdoti che possano coltivare la fede cristiana
nell’anima semplice della gente andina. Zona pre-
scelta è Pomallucay, (oggi nella diocesi di Huari).
Le strutture non ci sono, ma ci penserà la Prov-
videnza. Vi insegneranno alcuni parroci locali,
perché con le nozioni teoriche possano trasmettere
elementi di una prassi verificata sul campo.
Con il nuovo rettore del seminario (1997) padre
Gaetano Galbusera, padre Ernesto e padre Elio,
Gaetano formano i nuovi sacerdoti con lo spirito di
don Bosco. Padre Ernesto continua le sue lezioni in
seminario rimanendo stabile a Jangas, fino a quan-
do lo raggiunge la malattia. Non cessa di lavorare,
lotta contro il male che lo consuma, ma non si ar-
rende come un perdente. Nel 2019 rientra in Italia,
si fa operare e appena possibile ritorna fra i suoi
poveri. Il male persevera, è costretto a scendere a
Lima per la dialisi. Alloggia nella camera che tem-
po addietro era stata del padre Hugo, come se un
filo sottile, impercettibile ma solido li unisse. Colà
muore il 27 maggio 2020.
La sua parrocchia si mobilita e prepara la tomba
all’interno della chiesa, privilegio dei grandi mis-
sionari. Mentre la sua salma entra in Jangas, la
gente ammassata lungo la strada rompe le misure
precauzionali imposte dal governo per il problema
del covid. Su uno striscione si legge “Grazie padre
Ernesto per averci amato”. Padre Ernesto aveva
fatto sua l’espressione di san Giovanni della Croce:
“Al tramonto della vita sarete giudicati sull’amore”.
Padre Elio Giacomelli,
l’idealista che ha pagato di persona
Padre (don) Elio Giacomelli nasce a Isolaccia, fra-
zione del comune di Valdidentro (Sondrio) il 10
luglio 1948. Cresce all’ombra del campanile. Fin
da piccolo si distingue per lo spirito di pietà, per
cui il parroco ne parlò ai salesiani come possibile
vocazione. Segue le orme di padre Ernesto Accol-
to nell’aspirantato di Chiari (Brescia) vi trascorre
cinque anni di studio, accompagnato da note po-
sitive: “ragazzo aperto, sereno, di buone capaci-
tà intellettuali, dotato di buon spirito religioso e
apostolico”. A 16 anni, il 15 agosto 1964 entra in
noviziato a Missaglia, dove, viste le predisposizioni
“pietà lodevole, buone capacità, carattere sereno e
generoso, buono spirito salesiano e buona moralità”
è ammesso alla prima professione triennale il 16
agosto 1965, professione che rinnova tre anni dopo
e definitivamente il 15 agosto del 1971. Ordinato
sacerdote nella sua Valtellina (Sondrio 16 giugno
1976) due anni dopo conclude anche gli studi civili
con la laurea in filosofia.
Ormai è pronto per dedicarsi all’apostolato a tempo
pieno. L’obbedienza destina anche lui come padre
Ernesto ad Arese: tutto collabora a creare a padre
Elio le condizioni per realizzare il suo sogno mis-
sionario al seguito del fondatore dell’omg, il suo
conterraneo padre Hugo.
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FEBBRAIO 2022

4.3 Page 33

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E così nel 1979, a 31 anni, diventa parroco a Mar-
carà (diocesi di Huaraz con un vescovo salesiano),
raggiunto poco dopo dall’amico e compagno, padre
Ernesto Sirani, a sua volta parroco a Jangas, a pochi
km da lui. Sarà, come si è visto, un’amicizia since-
ra, stimolante, fra due personalità molto diverse fra
loro ma unite nella stessa passione per i poveri.
Padre Elio ama la sua gente, si commuove di fronte
alla loro povertà, cresce sempre di più nel suo cuore
il proposito di dedicare ogni battito per loro, per te-
stimoniare l’amore di Dio. Ma Dio gli prepara una
sorpresa, che segnerà il resto della sua vita. Per vi-
sitare la maggioranza delle varie comunità c’è solo
il cavallo di san Francesco o una moto. Quel giorno
di primavera del 1983 padre Elio stava viaggiando
sulla strada principale con la moto quando davanti
a lui un camion carico di panche e tavole di legno,
per un sobbalzo, lascia cadere una tavola che inve-
ste in pieno padre Elio. Cade rovinosamente, batte
la testa, resta in coma per quasi due mesi. Lesionato
gravemente a livello neurologico è costretto a rien-
trare in Italia, accolto nella casa di Arese.
Non intende fermarvisi: “Il Signore mi ha salva-
to per la mia gente di Marcará , devo tornare da
loro”. Recupera molto, ma non è e non sarà mai più
quello di prima, ma quello che ha perso gli viene
ridonato dalla sua amata parrocchia di Marcará che
lo accoglie all’entrata del paese: su una portantina
in processione lo portano alla chiesa. Padre Elio
non è più lo stesso di prima, la gente lo capisce e
per l’amore che da lui avevano ricevuto, lo accetta-
no così come è. I suoi gesti di amore finiscono per
procurargli il rispetto anche dei terroristi di Sendero
luminoso, per aver consegnato uno di loro alla poli-
zia salvandolo da sicuro linciaggio.
Dal 1997 al 2007 rettore del nuovo seminario è il
conterraneo don Gaetano Galbusera, arrivato in
soccorso (e futuro vescovo di Pucallpa, nella selva
peruviana). Così padre Elio e padre Ernesto tutte
le domeniche pomeriggio raggiungono il seminario
per l’insegnamento dell’inizio settimana. Tra i tre
salesiani si approfondisce l’amicizia che già era nata
nella casa di Arese anni prima.
Padre Elio spiega la filosofia con entusiasmo, men-
tre fatica a tenere la parrocchia di Marcarà per evi-
dente peggioramento della salute. Arrivato il nuovo
parroco, dal luglio 2012 si stabilisce definitivamen-
te al seminario, assistito e circondato dall’affetto
dei volontari della omg. Là lo colpisce il terribile
covid che lo porta alla morte il 18 maggio 2021. In
osservanza delle norme in vigore la salma è crema-
ta ma le ceneri riposano nella chiesa di Marcará ai
piedi del crocifisso del Señor de Chaucaya’n, oggetto
della sua grande devozione.
Pochi giorni prima con padre Umberto Bolis aveva
condiviso il canto simbolo di Arese che così termi-
nava: “conducimi per mano e insieme andiamo / con
te raggiungerò il mio suol / sento già il batticuor, /
temo di piangere…/ E l’ora di tornar alla terra che
mi vuole laggiù a morir / e li salir con te Signor”. Il
sogno giovanile di padre Elio si era realizzato.
Padre
Elio felice
nell’incontro
con papa
Francesco.
Sotto:
instancabile
al lavoro fino
alla fine.
FEBBRAIO 2022
33

4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
Le malattie dell’educazione 2
La tarantolite
La seconda malattia
dell’educazione che prendiamo
in considerazione si chiama la
tarantolite. Il vocabolo non è
riscontrabile sui dizionari vari,
ma la sua presenza è riscontrabile
nell’intero territorio nazionale
(sempre con le dovute, gradite,
eccezioni!).
Sulla spiaggia, due mamme sedute sulle sedie a sdraio, conver-
sano tenendo d’occhio i bambini. Un bambino si avvicina alla
madre: «Mamma, fa caldo. Posso togliermi la maglietta?» «No!
Poi ti raffreddi!». Dopo un istante: «Mamma posso giocare con la
sabbia?» «Sei matto? Ti si infila dappertutto». Un minuto dopo:
«Mamma, posso andare fino all’acqua?» «Neanche per sogno! È
piena di batteri!». Poco dopo: «Mamma, posso guardare quelli
che giocano a pallavolo?» «No, e se ti prendi una pallonata?».
Mogio mogio il bambino si siede accanto alla madre, che sbuf-
fando dice all’altra: «Lo vedi? È un bambino terribile!».
Igenitori affetti da questo male hanno il cervello
rosicchiato da mille problemi: “Il bambino sarà
o non sarà sano?». «Dottore, la vaccinazione gli
porterà delle complicazioni?”. “Non ha ancora fatto
certe domande, sarà normale?”. “Non mangia il pesce,
cosa fare per dargli una dieta integrale?”. “Non ha an-
cora iniziato a parlare: sarà intelligente?”
E fin qui niente di grave. Il guaio è che queste pa-
turnie infettano i figli che finiscono per pensare di
essere creature fragili e indifese, finite in un mondo
che nasconde pericoli e insidie dietro ogni angolo.
Le trappole
Avere dei figli è la cosa più bella della vita ed aiu-
tarli a crescere è l’arte delle arti. Purtroppo è ab-
bastanza frequente che nei cervelli dei genitori si
annidi qualche malefico virus. È facile che i geni-
tori cadano nelle trappole di una frenesia parallela
e perdano di vista l’obiettivo che è quello di tirar su
ragazzi sicuri di sé, indipendenti e riflessivi.
Per esempio:
La trappola del bambino da manuale: i li-
bri di psicologia stabiliscono le tappe della crescita
del bambino. “Il mio non rispetta la tabella di marcia!
Abbiamo in casa un ritardato!?”. Il bambino da ma-
nuale esiste solo sui libri.
La trappola del bambino televisivo: il bam-
bino televisivo è una gioia di bambino! Non suda,
non fa capricci, non ha bisogni, tranne quello di un
po’ di Nutella, peraltro subito soddisfatto... Spenta
la televisione, che delusione! Il bambino televisivo è
un’astuta invenzione.
La trappola del bambino del vicino: “Lui sì
che è bravo! Lui studia, lui ubbidisce, lui è educato...!”
il bambino della famiglia che ci sta di fronte è quasi
sempre un’illusione.
La trappola del pronto soccorso: questa è pro-
babilmente la trappola più comunemente incontrata
dai genitori. I genitori odiano vedere i figli infelici,
soffrire per qualcosa. Di conseguenza, spesso rispar-
miano ai propri figli questa esperienza, risolvendo i
problemi al posto loro e nel modo più rapido possi-
bile. Tuttavia, quanto più spesso ciò accade, tanto più
è probabile che il figlio se lo aspetti. La conseguenza
è che il figlio impara ad aspettarsi che qualcun altro
accorrerà sempre in suo aiuto e così non avrà l’oppor-
tunità di imparare a risolvere i problemi da solo.
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FEBBRAIO 2022

4.5 Page 35

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DUE COMPLESSI
La tarantolite, oltre alle trappole de-
scritte, è rinforzata da almeno due
complessi. Il complesso dell’assedio e il
complesso dell’Omino Bianco.
Qui noi, per ‘complessi’, intendiamo
quelle ossessioni mentali che infettano
e turbano i nostri pensieri.
Il complesso dell’assedio è quello
proprio dei genitori che temono che
il bambino corra sempre qualche pe-
ricolo. Il figlio ha ormai 10-11 anni ed
ancora lo accompagnano a scuola che
è a poche centinaia di metri da casa! E
poi l’antifona continua: “Non parlare con
nessuno! Non salutare nessuno! Non ac-
cettare niente da nessuno!”. Ed ecco i no-
stri bambini carichi di paure! Ce lo man-
da a dire quella ragazzina di 12 anni che
ha scritto una poesia dal titolo che dice
tutto: Il nome di mia madre è ‘Affanno’.
Nella poesia fa passare i mesi dell’anno
e per ognuno trova un motivo di affan-
no da parte della madre. A gennaio c’è il
freddo; a febbraio l’influenza; a marzo il
vento; ad aprile il primo sole; a maggio
le allergie... Proteggere il bambino è as-
soluto dovere, ma terrorizzarlo no!
Il complesso dell’Omino Bianco è
quello dei genitori con l’ossessione del-
la pulizia.
Non fanno pena i bambini che non
possono toccare il mondo per paura di
sporcarsi?
La trappola della fretta: i genitori vogliono
fare tutto il possibile per i figli e si sentono ob-
bligati a rispondere subito a tutte le loro richieste.
Un grosso problema della generazione della grati-
ficazione istantanea è la riluttanza dei bambini e
degli adolescenti ad attendere qualcosa. Anche una
semplice attesa tende a creare un clima di preoccu-
pazione e incertezza nei bambini di oggi, e questa è
una cosa che i genitori trovano insopportabile, spe-
cialmente quando hanno la possibilità di alleviare
questa preoccupazione.
La trappola della pressione: tutti i genitori
sono orgogliosi di condividere con gli altri i risultati
dei propri figli. Sono quindi soggetti a un continuo
bombardamento di messaggi dalla scuola, dagli al-
lenatori, dalla famiglia e dagli altri genitori sul fatto
che i figli dovrebbero rendere al massimo livello in
ogni campo della loro vita. I genitori spingono i figli
a essere i migliori della classe, i migliori della squa-
dra e ad avere il maggior numero possibile di amici.
Spesso il risultato, nonostante le buone intenzioni,
è il fatto che un figlio finisce per essere
troppo carico di impegni. Inoltre, molti
ragazzi vengono sollecitati ben oltre il
proprio livello di sviluppo ottimale, il che
diventa assillante e produce insicurezza.
La trappola del dare: molti genitori
sognano di dare ai propri figli tutto ciò che
desiderano e certamente nessuno vuole che i
propri figli si sentano inferiori agli altri. Il ri-
sultato è che molti cadono nella trappola di fornire
beni materiali che i ragazzi non si sono guadagnati
in alcun modo. Quando i figli ottengono qualcosa
senza conquistarselo, perdono ogni spinta motiva-
zionale. Finiscono per avere tutto ed essere infelici.
La trappola del senso di colpa: il senso di
colpa è un vero problema per i genitori. I genitori
non vogliono essere la causa dell’infelicità dei fi-
gli. In ogni caso, sono davvero tentati di arrendersi
e di concedere al figlio tutto ciò che vuole. Così
tendono a essere fin troppo indulgenti e concedere
loro tutto. Questo può anche accadere, di tanto in
tanto, ma quando diventa una regola e un’aspetta-
tiva del ragazzo, sorge un problema. I ragazzi pos-
sono imparare in fretta i ricatti morali. E diventare
incapaci di sopportare
un rifiuto.
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LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
Gmiaonveagngiifarraegciloi:n cura
Riconoscersi come uomini e
donne vulnerabili, con un cuore
fatto di cristallo e l’anima segnata
da crepe profonde, significa infatti
liberarsi dall’orgoglio e dalla
vanità che spesso alimentano
in noi un’eccessiva sicurezza
e un falso senso di autosufficienza.
C ome in una delle Novelle esemplari di Mi-
guel de Cervantes, i giovani adulti del terzo
millennio sembrano fatti di vetro. Fragili,
disarmati di fronte ai contraccolpi della vita,
incapaci di reggere l’onda d’urto delle contraddizioni
Le persone sono di cristallo...
Mia sorella dorme poco la notte,
e con oggi fa sette dottori che ha visto,
e anche oggi ha sperato di avere
qualcosa di storto nel corpo.
Uno che almeno non dica: “Pazza!”.
Uno almeno che mi sappia dire:
“Questo dolore da dove viene?
Come si chiama? E che vuol dire?”.
La vita è una cosa spigolosa,
la gente corre dietro qualcosa,
ed io verrò da te
e tu verrai da me,
così vediamo se
due che s'abbracciano strettissimi
ce la fanno a scomparire...
e delle difficoltà quotidiane che l’esistenza comporta.
Simili a meravigliosi, ma delicatissimi vasi di Mu-
rano, appaiono impeccabili, rilucenti, sfavillanti, ma
sono fatti di una materia sottile e frangibile e hanno
punti di minor resistenza, per cui basta toccarli per
farli andare irrimediabilmente in frantumi.
È il paradosso stridente della nostra società, do-
minata dal mito dell’efficienza e della prestazione,
dalla spasmodica ricerca di una perfezione che non
ammette passi falsi o sbavature, ma fatalmente se-
gnata dal moltiplicarsi delle forme di disagio e de-
pressione, sintomo di una fragilità esistenziale che
sembra essere diventata il comune denominatore di
un’intera generazione. Dietro la facciata luccicante
di successi ostentati e di una superficiale euforia che
pare voler anestetizzare ogni domanda di senso e
rendere invisibile persino la sofferenza più acuta, si
celano non di rado ferite laceranti, un dolore sordo
e ineffabile che non riesce a trovare modi e parole
per raccontarsi agli altri, e prima ancora a se stesso,
ma che ci urla dentro e non ci dà pace fino a quan-
do non ci decidiamo ad ascoltarlo. Più ci ostiniamo
ad ignorare i suoi segnali interiori, più esso scava
vere e proprie voragini all’interno dell’anima. Abissi
sempre più cupi e profondi in cui finiamo con il per-
derci, incapaci di trovare un solido appiglio al quale
aggrapparci e ancorarci con forza per evitare che la
nostra vita vada completamente alla deriva.
Il primo passo da compiere – che spesso è anche
il più difficile – per non essere divorati dal “buco
nero” della depressione è allora proprio quello di
gettare via la maschera, costruita ad arte, di un’esi-
stenza perfetta e imbellettata, abbandonando ogni
finzione e dissimulazione e lasciando campo libe-
ro alle proprie fragilità, imparando a definirle e a
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FEBBRAIO 2022

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chiamarle per nome. Riconoscersi come uomini e
donne vulnerabili, con un cuore fatto di cristallo e
l’anima segnata da crepe profonde, significa infat-
ti liberarsi dall’orgoglio e dalla vanità che spesso
alimentano in noi un’eccessiva sicurezza e un falso
senso di autosufficienza e accettare, invece, che per
affrontare gli “spigoli” della vita abbiamo bisogno
degli altri e della loro tenerezza.
È vero, infatti, che se lasciamo cadere la spessa
corazza protettiva di cui ci siamo rivestiti finiamo
con il mostrare a chi ci è accanto tutte quelle ferite
che avremmo preferito tenere nascoste e mettiamo
a nudo la nostra fragile anima di vetro, esponen-
doci ancor di più al rischio di ulteriori incrinature.
Ma è solo in questo modo, ovvero diventando au-
tenticamente e coraggiosamente “trasparenti”, che
possiamo riscoprire la qualità delle nostre relazioni,
mostrandoci agli altri per quello che siamo real-
mente e consentendo a chi ci vuole bene per davve-
ro di accogliere e di amare anche il nostro dolore e
le nostre povertà.
E se attraverso questa ritrovata verità faremo espe-
rienza della delicatezza e della sollecitudine altrui
nei nostri confronti, potremo magari imparare
a “maneggiare con cura” anche la fragilità di chi
Mia sorella ha un cuore di cristallo
e s'arrabbia se non la tratti da grande,
ma le hanno detto che chi è grande
si fa meno domande,
esce il sabato sera
e non si confonde...
La vita è una cosa spigolosa,
la gente corre dietro qualcosa,
ed io verrò da te
e tu verrai da me,
così vediamo se
due che s'abbracciano strettissimi
ce la fanno a scomparire...
E ora che abbiamo capito
che siamo soltanto richieste di aiuto,
ci sembrerà poco meno che un gioco.
Due che s'abbracciano strettissimi
ce la fanno,
due che stanno vicinissimi
ce la fanno,
due che s'abbracciano strettissimi
ce la fanno... a scomparire!
(Giovanni Truppi, Scomparire, 2010)
cammina al nostro fianco e, forse, proprio come
noi nasconde dietro un’impenetrabile facciata di
sicumera tutta la vulnerabilità e la lucentezza di un
cuore di cristallo.
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
Le sorprese non
finiscono mai… davvero!
Caro lettore del BS, ho appena
fatto in tempo a scrivere, nel
dicembre scorso, che dopo 40
anni di ricerche non sarebbe stato
facile scovare altre lettere inedite
di don Bosco… ed ecco che sul
mio tavolo di lavoro ne giunge
una nuova, proveniente da Nizza
Monferrato (Asti).
Èproprio il caso di ripetere “le sorprese non
finiscono mai”. Il nuovo documento ag-
giunge un piccolo tassello alla nostra “storia
sconosciuta di don Bosco” per tanti motivi:
per la modalità del suo reperimento, per la serietà
della sua autenticazione, per il suo contenuto edu-
cativo-spirituale.
Un viaggio di 50 km,
durato 162 anni
L’11 gennaio 1911 il priore di Sommariva Bosco
(Cuneo) il teologo Celso Giulio Francese, previo ap-
puntamento, si presentò nella curia arcivescovile di
Torino portando con sé una lettera autografa di don
Bosco. Lo attendeva una sorta di tribunale, costi-
tuito da un vescovo, il Vicario Generale monsignor
Costanzo Castrale, dal promotore fiscale, il teologo
Carlo Franco e dal segretario, il teologo Carlo Fer-
rero. Gli venne chiesto come era venuto in possesso
della presunta lettera di don Bosco. Il priore rispose
che nel corso di un colloquio con la signorina Anna
Betrone, maestra a Sommariva del Bosco, era venu-
to a sapere che ella possedeva “un prezioso ricordo
del venerabile don Bosco”. Si trattava di una lettera
scritta al chierico Bartolomeo Alasia [di Sommari-
va], divenuto successivamente sacerdote, ma ormai
defunto. La maestra l’aveva avuta da un suo parente,
pure defunto, il quale a sua volta l’aveva ricevuta di-
rettamente dal predetto Bartolomeo. Allora il priore
aveva invitato la signorina Betrone a consegnare tale
lettera al “Superiore Ecclesiastico”, come era richie-
sto nel caso di processi di beatificazione. Ella subito
aveva accondisceso “dolente di non aver saputo pri-
ma, ché del resto l’avrebbe subito consegnata”.
In poche parole: la lettera del 1859 era passata dal-
le mani del destinatario, l’ex seminarista diventato
sacerdote, a un suo parente, da questi alla maestra
Betrone, poi al teologo Francese. Infine è ritornata
alla legittima proprietaria, signorina Betrone. Ora
è conservata nell’Archivio Storico della casa delle
fma a Nizza Monferrato. Un viaggio di poche de-
cine di km ma durato 162 anni.
E la Curia di Torino? Il segretario ne trasse subito
due copie conformi all’originale (una da conservare e
l’altra mandata il giorno dopo alla S. Congregazione
dei Riti a Roma), stese il verbale del piccolo interro-
gatorio che fece sottoscrivere ai presenti e autenticò
le carte con il timbro della stessa curia arcivescovile.
Tutto per una letterina… ma di un santo!
I precedenti della piccola storia
Quali i precedenti di questa storia? Era successo che
il giovane Bartolomeo Alasia, nato nel 1842 a Som-
mariva del Bosco e già studente di Valdocco dal 22
ottobre 1856 fino al 7 agosto 1959, era entrato con
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FEBBRAIO 2022

4.9 Page 39

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alcuni suoi compagni nel seminario diocesano di
Chieri, convinto, sulla parola dello stesso don Bosco,
che non avrebbe pagato la pensione. Invece pochi
mesi dopo gli giunse, probabilmente dall’economo
del seminario, la richiesta di pagamento. Subito ne
scrisse a don Bosco, che immediatamente, il 6 aprile
1858, chiese al Rettore del Seminario di Torino e
primo responsabile pure di quello di Chieri, cano-
nico Alessandro Vogliotti, di trasferire la pensione
gratuita del giovane Bonetti – che ora lui prendeva
in casa sua a Valdocco – al giovane Alasia. Ebbe (o
forse presunse di avere) subito il consenso dell’amico
Rettore, per cui lo stesso giorno tranquillizzò il gio-
vane dicendo che il Rettore gli avrebbe comunicato
la notizia direttamente in seminario a Chieri.
Tutto qui? No, c’è ben altro!
Don Bosco, educatore lungimirante, non si accon-
tentò di “intercedere” perché al giovane e povero
Bartolomeo venisse abbonata la pensione del se-
minario; colse l’occasione per aggiungergli speciali
raccomandazioni di indole spirituale, da trasmet-
tere pure ai suoi compagni exallievi di Valdocco.
Del loro buon comportamento in seminario era per
altro già informato. Gli scrisse dunque:
Per godere favori speciali di questa fatta [la pensione
gratuita], ci vuole anche una speciale buona condotta
nello studio e nella pietà. Coraggio, adunque. Segui gli
avvisi che ti do.
1. Evitare assolutamente i compagni dissipati e non di
buona condotta
2. Frequenza dei Santi Sacramenti della Confessione e
della Comunione
3. Frequenza, famigliarità, imitazione di quelli che
sono più nominati nello studio e morale condotta
4. Andare ogni giorno a fare una visita, fosse anche di
un solo minuto, al SS.mo Sacramento.
Se tu e i tuoi compagni Vitrotti, Galleano, Piano, Sola
praticherete questi avvisi, farete un bene all’anima vo-
stra, onore al vostro stato e al luogo dove la Divina
Provvidenza ha disposto che foste venuti per gli studi
di latinità” [in vista del sacerdozio].
Chiudeva don Bosco la sua letterina con un appello
dal sapore giovanneo (1 Giov. 2,7): “Miei cari, ama-
tevi a vicenda, aiutatevi l’un l’altro col buon esempio
e col consiglio, e mentre io mi raccomando alle vostre
preghiere, vi prego dal Signore sanità e grazia e mi dico
tuo /Aff. mo Sac. Gio. Bosco”.
Autenticità sicura
Non c’è dubbio alcuno che si tratti di lettera di don
Bosco, anche se è andato forse perso l’originale au-
tografo: ne sono prove convincenti la formale au-
tenticazione della curia torinese, lo stile epistolare
proprio di don Bosco e soprattutto il contenuto. In
poche righe c’è tutto don Bosco, ossia un instanca-
bile promotore di vocazioni, un attento maestro di
vita spirituale, un sacerdote zelante, un cuore ap-
passionato dei giovani. Quanto c’è bisogno ancora
oggi di educatori simili!
A questo punto si aprirebbe anche l’interessante e
poco conosciuto capitolo della vita di don Bosco
sulle tante vocazionali sacerdotali che uscirono da
Valdocco: centinaia e centinaia. Don Bosco molto
intelligentemente se ne sarebbe servito per “difen-
dere” la sua opera e il suo metodo educativo nelle
vertenze con monsignor Gastaldi e con gli ambien-
ti ecclesiastici di Torino e Roma ostili a Valdocco
in genere e all’educazione in esso impartita. Ma il
soggetto merita uno spazio più ampio di quello qui
disponibile.
Don Bosco
nel turbine
della vita
quotidiana
nel dipinto
di Mario
Bogani.
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni  postulatore generale
 Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulatore@sdb.org
 Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di febbraio preghiamo per la Beatificazione
del Servo di Dio Luigi Bolla, salesiano missionario.
Luigi Bolla nasce a Schio (Vi-
cenza) l’11 agosto 1932 da una
famiglia profondamente cri-
stiana. Aveva 11 anni quando
un pomeriggio entrando nella
cappella dell’oratorio sentì una
voce che diceva: “Puoi anche
essere un prete, perché non
lo fai?”. L’anno seguente, nelle
stesse circostanze e nello stesso
luogo, sentì la stessa voce: “Sa-
rai un missionario nella giungla
tra gli indigeni e darai loro la
mia Parola. Camminerai molto
a piedi”. Emise i primi voti come
salesiano il 16 agosto 1949. Nel
1953, a 21 anni partì per l’Ecua-
dor, dove dopo gli studi teologi-
ci, venne ordinato sacerdote il
28 ottobre 1959. Aveva rapida-
mente imparato lo spagnolo e
la lingua shuar per lavorare con
quell’etnia. Ma la chiamata del
Signore era un’altra: voleva che
donasse la sua vita al popolo
Achuar, integrandosi in quella
cultura. Constatando che il
maggior numero di Achuar era
in Perù nel febbraio 1984 passò
definitivamente nell’Ispettoria
salesiana del Perù per lavorare
nel Vicariato Apostolico di
Yurimaguas. Anni di solitudine
e isolamento lo attendevano
a causa delle distanze e della
mancanza di confratelli con
cui formare una comunità.
Senza perdere la sua identità
salesiana e sacerdotale, si
identificò con il popolo Achuar.
Nonostante pericoli e difficoltà
di ogni genere, mai perse
la fiducia in Dio. Continuò a
studiare le usanze, l’etnologia
e la cultura di quel popolo. La
sua missione principale era
sempre quella di annunciare il
Vangelo a tutti gli Achuar, che
amava come figli. Pubblicò i
primi scritti in Achuar in modo
che i bambini imparassero
bene la loro lingua madre. Alle
prime pubblicazioni se ne ag-
giunsero altre riconosciute a
livello internazionale. Luis Bol-
la non ha limitato il suo lavoro
all’annuncio della Parola di Dio,
ma ha lavorato con tenacia per
accompagnare il popolo Achuar
nella sua organizzazione, ha in-
coraggiato l’educazione e si è
preso a cura della salute e dello
sviluppo di questa gente, che
lo ha amato e apprezzato, chia-
mandolo: “Yánkuam’ Jintia:
Stella luminosa del cammino”.
Si è spento a Lima il 6 febbraio
2013. Il 27 settembre 2021 a
Lima è stata aperta l’Inchiesta
diocesana.
Ringraziano
Sono Pino Candiani, exallievo
dell’oratorio di Via Copernico ne-
gli anni 50. Mia moglie Dolores
da mesi accusava un forte dolo-
re all’anca destra con il rischio
(dopo parecchie cure) di finire su
una carrozzina. Su parere dell’or-
topedico non è stato facile – vista
l’età – decidere per l’intervento.
Unitamente alle preghiere delle
suore clarisse di Bergamo, ho
pregato il mio amico e maestro
il venerabile Attilio Giordani
di trovare la strada giusta. Nel
giro di un mese tutto si è risolto
per il meglio e dopo l’intervento
chirurgico il 5 ottobre, ora è in
fase di riabilitazione.
Giuseppe Candiani – Bergamo
Esattamente due anni fa, mio
padre Antonio aveva iniziato ad
effettuare degli accertamenti a
causa di un valore nelle analisi
del sangue, che aveva insospet-
tito il nostro medico. Da lì è ini-
ziato un periodo lungo ed este-
nuante di accertamenti, che ha
portato a fine dicembre alla
diagnosi di mieloma, un can-
cro al midollo. Durante questi
accertamenti l’invisibile mano
di Dio non ci ha mai abbando-
nato. Sin dall’inizio, come di-
cevo prima, abbiamo iniziato a
pregare per mio padre tutti noi
in famiglia, la nostra comunità
parrocchiale di Santa Maria
della speranza, e in particolare
le suore Figlie dei Sacri Cuori
di Gesù e Maria che operano
nell’infermeria dell’università
pontificia salesiana. Insieme a
loro abbiamo pregato tantissi-
mo il beato Luigi Variara, loro
fondatore, per tutto il periodo
della chemioterapia e ancora
oggi. Dopo un intero anno di
chemioterapia terminato poco
prima di Natale 2020 (il regalo
più bello che Gesù Bambino
potesse farci!) il medico cu-
rante, con uno sguardo pieno
di gioia, ci disse ‘RC’, che si-
gnifica remissione completa
della malattia e che da quel
momento mio padre avrebbe
dovuto effettuare solo controlli
trimestrali. Questi controlli fino
ad ora hanno sempre dato un
buon esito grazie a Dio.
Daniela Cutuli
ANNIVERSARI 2022
IV Centenario
Morte di san Francesco di Sales (Lione, 28 dicembre 1622)
175°
Nascita della beata Maddalena Morano
(Chieri – Torino, 15 novembre 1847)
150°
Nascita di san Luigi Orione
(Pontecurone – Alessandria, 23 giugno 1872)
Nascita del Beato Giuseppe Calasanz
(Azanuy – Spagna, 23 novembre 1872)
125°
Morte del venerabile Andrea Beltrami
(Torino-Valsalice, 30 dicembre 1897)
100°
Nascita della serva di Dio Rosetta Marchese
(Aosta, 20 ottobre 1922)
75°
Morte del venerabile Jan Tyranowski
(Cracovia - Polonia, 15 marzo 1947)
50°
Morte del servo di Dio Giuseppe Cognata
(Pellaro - Reggio Calabria, 22 luglio 1972)
Morte del venerabile Augusto Bertazzoni
(Potenza, 30 agosto 1972)
Beatificazione di Michele Rua (Roma, 29 ottobre 1972)
Morte del venerabile Attilio Giordani
(Campo Grande – Brasile, 18 dicembre 1972)
40
FEBBRAIO 2022

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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I NOSTRI AUTORI
Lorenzo Ferraroli
Io sto con i ragazzi
San Paolo
Un libro che parla di fondamen-
tali educativi con la potenza di
una sinfonia.
Lorenzo Ferraroli mette tutta la sua
esperienza in queste pagine, che
tratteggiano chi sono i ragazzi di
oggi e chi possiamo (chi dovrem-
mo) essere noi genitori.
Dalla prefazione
di Eugenio Borgna
«Un libro che dovremmo (tutti)
leggere e meditare: genitori e
insegnanti, psicologi e psicoterapeuti, sacerdoti e anche gio-
vani che vogliano conoscere un educatore capace di immedesimar-
si nei loro problemi e nelle loro inquietudini dell’anima, nella loro
fragilità e nelle loro attese, nelle loro illusioni e nelle loro speranze,
nei loro sogni, e capace di comprenderne i significati con l’intelli-
genza del cuore, e non con la sola lama della ragione.»
Bruno Ferrero
Storie della
buonanotte per
bambini gentili
Il pozzo di Giacobbe
Una storia raccontata è più di una storia.
Quando un adulto e un bambino guardano
insieme un film o un cartone animato sono se-
duti fianco a fianco:
sono vicini ma non
si guardano. Quan-
do si racconta ci si
guarda negli occhi.
“Il cuore parla al cuore”:
un canto di don
Maurizio Palazzo
per la Strenna 2022
Inno scritto e musicato da don Maurizio Palazzo,
responsabile delle attività musicali della Basilica di
Maria Ausiliatrice. Il video, in italiano, sarà disponi-
bile su ANSChannel e successivamente sarà pubbli-
cato anche in inglese, spagnolo e portoghese.
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IL CRUCIVERBA
Roberto Desiderati
Scoprendo don Bosco
La soluzione nel prossimo numero.
MONDO SALESIANO
Nel 1848, i progressi dell’opera di don Bosco furono elogiati
pubblicamente da papa Pio IX, amico personale del Santo. E
dal giorno in cui don Bosco la creò, la Società Salesiana accrebbe la sua presenza e impor-
tanza diffondendosi sia sul territorio dell’Italia che stava per nascere sia all’estero. Con la
fondazione ufficiale della congregazione clericale avvenuta nel 1859, assicurò la stabilità
delle sue opere e del suo spirito anche per il futuro. Dieci anni dopo venne posta la prima
pietra del santuario di Maria Ausiliatrice. Attualmente i XXX sono presenti in tutte le Re-
gioni e sono organizzati con strutture e organismi autonomi e indipendenti tra loro. I Sa-
lesiani sono diffusi nel mondo. La Congregazione comprende 90 Ispettorie e Visitatorie.
Per facilitare lo scambio e il confronto a livello nazionale le Ispettorie hanno dato vita
alla Conferenza delle Ispettorie Salesiane d’Italia (CISI), che si raduna 4 volte l’anno e
che promuove il coordinamento nazionale attraverso appositi Settori, Uffici e Collega-
menti. Nel mondo, l’istituto religioso maschile della Società Salesiana è presente in 134
paesi del mondo con 7610 opere; un istituto religioso femminile, le Figlie di Maria Ausi-
Soluzione del numero precedente
liatrice, che conta 17 000 è in oltre 90 paesi in tutti
i continenti con 1600 opere. In Italia, alla fine del
2019 si contavano 14 767 membri, 9847 dei quali
sacerdoti. Il Rettor Maggiore è il successore di don
Bosco e Superiore della Congregazione salesiana,
che anima e amministra in comunione con il Con-
siglio generale.
DEFINIZIONI
ORIZZONTALI. 2. Era Dalle bande nere
- 8. È grossa quella di cocco - 12. Come
i din, indicavano la sensibilità delle pel-
licole fotografiche - 14. Il ... Bang da cui
ebbe origine tutto - 15. Sono pari nel
tèrmos - 17. C’è quello arborio - 19. Si
usano per spostare la neve o il carbone
- 21. Il particolare recipiente usato per
distillare - 25. Al centro della pera - 26.
Indica scarsità di minerali in alcune ac-
que da bere - 28. Impacciato, maldestro
- 30. XXX - 33. Non crede - 34. Un suf-
? fisso accrescitivo - 35. In taxi e in camion
- 36. I “campi” del paradiso pagano - 37.
Accompagna lei - 38. L’associazione
dei donatori di sangue - 39. Precede il
secondo - 40. Il Risi regista (iniz.) - 41.
Sentimento di solidarietà, stima e affetto
tra due persone - 45. Palme e pozzo nel
deserto - 46. Era il nome della Thailandia
- 47. Lo scavo di una galleria, tunnel.
VERTICALI. 1. Punto fortificato, cardine
- 2. Esclamò “Eppur si muove!” - 3. L’ini-
zio dell’obiezione - 4. Strada - 5. Vitigni
a bacca rossa tipici della Campania e
Basilicata - 6. Nuvole temporalesche - 7.
Il Matteo Renato combattente e politico
del Regno d’Italia - 9. Specie di serpenti
- 10. Egli poetico - 11. Pezzi d’artiglieria
a tiro curvo - 13. La procedura a cui si
sottopongono le pelli per la concia - 16.
Alessandro simpatico attore comico na-
poletano - 18. Si dice per ipotesi - 20. Il
mare che bagna la Grecia - 22. Improv-
visa perdita di memoria - 23. Consiglio
Nazionale degli Ingegneri (sigla) - 24.
Un gran numero di qualcosa - 27. Lo
Sharif attore (iniz.) - 29. Il mitologico
monte dove risiedevano tutti gli dei -
31. Era “di Giove” per i latini - 32. Un
prefisso di equivalenza - 38. Aeronau-
tica Militare - 41. Le vocali degli avi - 42.
Il Metha dir. d’orchestra (iniz.) - 43. Asti
- 44. Me in altro modo.
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LA BUONANOTTE
B.F.Disegno di Fabrizio Zubani
Il giardino
«U na Principessa sta per venire qui»,
disse il Leone agli animali della
giungla riuniti in assemblea, «come
possiamo dimostrarle che siamo molto felici di
averla con noi?».
Gli animali sospirarono. Allora l’Uccellino Mar-
rone cinguettò timidamente: «Non potremmo fare
un giardino? Le Principesse adorano i fiori». Tutti
lo fissarono ammirati.
«Questa sì, che è un’idea felice», disse il Leone,
«lo faremo insieme».
Venne scelto con cura un luogo molto bello, ma il
Leone osservò che andava dissodato.
Dopo un po’ i semi cominciarono a crescere, ma
il Leone, che si era recato a controllare i progres-
si del giardino, scosse la testa: «Quante erbacce!
Rovineranno tutto! Chi è capace di estirparle?».
Gli animali rimasero tutti zitti.
L’Ippopotamo si giustificò: «I miei piedi sono
troppo grossi, rovinerei tutto».
«I miei aculei danneggerebbero le foglie», si scusò
il Porcospino.
«Le erbacce sono troppo pesanti per me», disse la
Cavalletta.
«La mia proboscide spezzerebbe gli steli», affermò
l’Elefante.
«Ho il collo troppo lungo e non posso chinarmi
tanto», si lagnò la Giraffa.
«Cri-cri», fece il grillo e se la squagliò.
Tutti quei pigroni si girarono e se ne andarono.
Allora l’Uccellino Marrone volò nel giardino.
Con il suo minuscolo becco sradicò un’erbaccia
e la gettò dietro una siepe. Le radici erano forti
e spesso il becco gli doleva e dopo un po’ anche
le ali gli pesavano. Ma con pazienza, un giorno
dopo l’altro, l’Uccellino Marrone ripulì il giardino
finché non rimase una sola erbaccia.
Il giorno dopo, la Giraffa, che era di guardia,
annunciò: «Arriva la Principessa! La vedo!».
Gli animali si riunirono tutti nel giardino e si
meravigliarono di trovarlo così in ordine.
«Forse le erbacce si sono seccate», disse il Leone,
mentre l’Uccellino Marrone appollaiato su un
albero taceva.
La Principessa sorrise: «Non ho mai visto un giar-
dino così bello» disse «dovete aver lavorato sodo!».
«È vero, abbiamo lavorato sodo!», risposero in coro
gli animali pieni di sé sorridendo.
La Principessa sorrise. «Chi ha tolto le erbacce?»,
chiese.
Tutti rimasero zitti, poi: «Nessuno», disse il Leone.
In quel momento la Principessa scorse due oc-
chietti brillanti e un sottile becco che faceva
capolino tra le foglie di un albero.
«L’hai fatto tu questo lavoro, Uccellino
Marrone?», e l’uccellino annuì.
«Allora tu coglierai i fiori per me, perché il tuo è
stato il lavoro più duro e più lungo».
Chi portava il fieno al cavallo di Giulio Cesare?
Chi lucidava gli stivali di Napoleone?
Chi ha pulito la toilette a casa tua?
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