Bollettino_Salesiano_201206

Bollettino_Salesiano_201206

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IL
GIUGNO
2012
In principio
Dio creò la famiglia
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Conoscere don Bosco
La galassia si espande
Le case di
don Bosco
Salesiani
nel mondo
Ngangi
L’invitato
Don Cereda
Regolatore
del CG27

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
La sartoria
La storia
Nel 1830, Giovanni Bosco, per mantenersi agli studi,
si mise ad imparare il mestiere del sarto. In brevissimo
tempo divenne abilissimo tanto che il padrone gli propo-
se di lavorare stabilmente nella sua sartoria. (Memorie
Biografiche I, 233-234)
E ro la migliore sartoria
dei dintorni. Ma quan-
do quel Giovannino
mi ha lasciato, non ho
potuto reprimere un
senso di intensa delu-
sione. Avevo tante speranze nel
giovane apprendista che veniva
fin qui dalla lontana frazione
dei Becchi... E invece. Perché
quella decisione?
Ricordo benissimo il momento
in cui ci conoscemmo. Davanti
agli occhi sgranati di quel con-
tadino quindicenne, arrivato da
me per fare l’apprendista sarto
mentre frequentava la scuola di
Castelnuovo, avevo sciorinato
tutte le ricchezze e i segreti dei
miei scaffali, l’assortimento di
rocchetti di filo ben ordinati
per colore e il fragile filo per
le imbastiture, i righelli di
legno per tracciare i modelli, le
grandi forbici lucidate dall’uso
frequente.
Non mi fu difficile impressio-
nare quel ragazzo ricciuto che
fino a quel momento aveva
conosciuto solo l’ago e il ditale
di sua madre. Anche lui si affe-
zionò a me. Cantava in chiesa
con il mio padrone, Giovanni
Roberto, capo-cantore della
parrocchia, imparò a suonare
il violino e anche l’organo.
Quel ragazzo era una spugna:
assorbiva e imparava tutto.
Decise di imparare il mestiere
del sarto. In brevissimo tempo
divenne capace di attaccare i
bottoni, fare gli orli, le cuciture
semplici e doppie; poi apprese
a tagliare mutande, corpetti,
calzoni, camicie. Lo sentii
dire scherzando ai suoi amici:
«Mi pare di essere divenuto un
valente capo-sarto».
Bravo, lo era veramente. Tanto
che il mio padrone gli fece delle
proposte assai vantaggiose, per-
ché si fermasse definitivamente
a lavorare con lui. Ma diverse
erano le vedute di Giovanni:
egli desiderava solo poter con-
tinuare a studiare. Tutti i lavori
che faceva gli servivano per
pagarsi i libri e la scuola.
Mi dispiacque un po’. Sarebbe
stato un ottimo sarto. Per un
attimo avevo immaginato un
futuro brillante con lui. Mi ero
vista trasformata in sartoria di
lusso. Così, dopo di lui, torna-
rono i soliti apprendisti medio-
cri. Per un po’ lo dimenticai.
Passarono gli anni.
Un giorno, una cliente del mio
padrone raccontò la meraviglio-
sa storia di un apprendista chie-
rese che era diventato prete e
dedicava la vita ai ragazzi poveri
di Torino. Gongolai di gioia e
orgoglio. Quel Giovannino non
mi aveva dimenticato: lavorava
come un buon sarto! Rammen-
dava le ferite della vita e ricuciva
i cuori dei giovani sfruttati.
Confezionava vestiti dignitosi
per trasformare i giovani in
onesti cittadini. Eliminava le
pieghe sbagliate con il perdono
e cuciva camicie di futuro per-
ché i suoi preti potessero girare
“in maniche di camicia”.
Raccontava spesso un sogno: «Io
mi vidi già prete, con rocchetto
e stola: e così vestito lavorava in
una bottega da sarto, ma non
cuciva cose nuove, bensì rap-
pezzava robe logore e metteva
insieme un gran numero di
pezzi di panno».
Negli ultimi giorni
della sua vita terrena,
il medico gli disse:
«Don Bosco, lei
è come un vestito
logoro». Ma già gli
stavano preparando uno
stupendo vestito di
luce nella sartoria
del Cielo.
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Giugno 2012

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IL
IL
GIUGNO
2012
In principio
Dio creò la famiglia
GIUGNO 2012
ANNO CXXXVI
Numero 6
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 CONOSCERE DON BOSCO
La galassia si espande
6 LETTERE
8 EVENTI
Centenario exallievi
10 SALESIANI NEL MONDO
Centro Don Bosco Ngangi
14 Don Bosco sul tetto del mondo
16 L’INVITATO
Don Cereda
19 RISPOSTA, NON PROBLEMA
20 ARTE SALESIANA
Le catacombe
24 FINO AI CONFINI DEL MONDO
26 LE CASE DI DON BOSCO
Lombriasco
29 ANNO DELLA FEDE GIOVANE
30 COME DON BOSCO
32 A TU PER TU
Lisetta Fangliulo
34 MEMORIE
Don Bosco e i cani
36 NOI & LORO
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Alcuni puntini sulle “i”
40 I NOSTRI SANTI
41 RELAX
42 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
43 LA BUONANOTTE
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Conoscere don Bosco
La galassia si espande
Le case di
don Bosco
Lombriasco
Salesiani
nel mondo
Ngangi
L’invitato
Don Cereda
Regolatore
del CG27
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina :
Il VII Incontro
Mondiale della
Famiglia di Milano
ha rimesso al
centro della vita
sociale e culturale
questa espressione
fondamentale
dell’amore umano
(Foto Shutterstock).
16
26
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Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Luca Crivellari,
Roberto Desiderati, Tonino Lasconi,
Piero Gavioli, Cesare Lo Monaco,
Alessandra Mastrodonato,
Francesco Motto, Marianna Pacucci,
José J. Gomez Palacios, C.M. Paul,
Pino Pellegrino, Linda Perino,
O. Pori Mecoi, Jean-François Meurs,
Silvio Roggia, Rozmus Tadeusz,
Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Luciano Alloisio (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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- Torino
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n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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CONOSCERE DON BOSCO
PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA
La galassia
si espande Dall’Oratorioallacasaannessa
alle scuole artigianali e ai collegi
Un cortile, una chiesa, una scuola: la triade
essenziale della casa salesiana era viva ed
efficace fin dall’inizio.
L’esperienza della “casa annessa all’Orato-
rio di san Francesco di Sales” trasformò
l’Oratorio festivo di matrice romana (san
Filippo Neri) e lombarda (san Carlo Borromeo), a
cui si era ispirato don Bosco, in una realtà educa-
tiva molto più complessa e articolata, dove l’azione
pastorale e catechistica, integrata dalle espressio-
ni ludiche ed espressive, viene potenziata da un
apporto formativo integrale, fatto di educazione
morale e civile, istruzione, formazione professio-
nale, accoglienza e beneficenza, esperienza di vita
comunitaria profondamente coinvolgente, tensione
sociale e missionaria. Ne è emerso un modello di
ambiente e di comunità educativa cristiana del tut-
to nuovo, adatto alle esigenze dei tempi e dei nuovi
giovani, capace di fecondo inserimento nei più di-
versi ambienti geografici e culturali, delle grandi
metropoli e dei piccoli centri.
Ma il carisma salesiano, che trova nell’Oratorio
festivo la sua esperienza fontale e il suo paradig-
ma (vedi Memorie dell’Oratorio), di fatto ha po-
tuto espandersi nel mondo intero e portare frutti
educativi e formativi tali da incidere sulle realtà
sociali ed ecclesiali, grazie al suo felice innesto nel
collegio e nella scuola cattolica tradizionali, da
esso profondamente rinnovati, e grazie alle scuo-
le artigianali, professionali e tecniche secondo il
metodo di don Bosco.
Il paradigma imprescindibile
L’Oratorio festivo rimase sempre l’attività più
cara al cuore di don Bosco, la più fresca e dina-
mica delle sue istituzioni, la più vicina al sentire
popolare e ai gusti dei giovani. Tutte le altre ope-
re salesiane, per poter mantenere la loro vivacità
e ispirazione pedagogica, hanno sempre dovuto
modellarsi su quell’esperienza iniziale, che è il
segreto della loro vitalità.
L’Oratorio le ha ispirate soprattutto in riferimen-
to ai destinatari privilegiati (i figli del popolo); al
tipo di relazione educativa mirata alla conquista
della fiducia; alla spiritualità e allo zelo che deve
alimentare l’educatore (il quale non deve essere solo
un buon professionista della didattica o della pasto-
rale); alla cura del cortile come luogo di incontro
educativo; alla dominante “festiva” e ludica ben ca-
librata con quella religiosa, formativa e vocazionale.
Anche la connotazione popolare dell’Oratorio, la
preferenza per i ragazzi più poveri e “pericolanti”,
unita alla sua vocazione missionaria e sociale (rag-
giungere se possibile tutti i giovani di un territo-
rio, attrarli e conquistarli per “trasformarli”), che
lo connota sia rispetto agli oratori parrocchiali sia
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ai ricreatori di ogni tipo – e che postula la presen-
za di una comunità salesiana come cuore pulsan-
te e un coinvolgimento cooperativo a vari livelli
ben coordinati, con prevalenza di aiutanti giovani
(come educatori, assistenti, catechisti, “regolatori
della ricreazione” o “animatori”) –, rimase sem-
pre un modello, una pietra di paragone e uno sti-
molo critico per i salesiani dei collegi, delle scuole
tecniche, delle missioni e delle parrocchie.
Alla conquista del mondo
Con la fondazione della Società Salesiana (una
famiglia di consacrati all’educazione cristiana dei
giovani) il carisma oratoriano ha potuto espan-
dersi ed esprimersi in realtà educative e pastorali
formalmente diverse da quella dell’Oratorio festi-
vo di origine. In questo sforzo di ripensamento e
ritraduzione operativa non sempre si è avuto pie-
no successo, ma fondamentalmente ne è risultato
un processo storico fecondo. Basti pensare che il
“sistema preventivo” nella formulazione data da
don Bosco nel 1877 è il tentativo riflesso di ridi-
re il modello educativo oratoriano in funzione di
una “casa di educazione” classica.
Insomma, proprio le gemmazioni successive all’e-
sperienza di Valdocco tra 1846 e 1861 (anno di
apertura della casa di Mirabello diretta da Rua) di-
ventano stimolo efficace e fecondo, provvidenziale,
per dare al carisma l’occasione di articolarsi, raffor-
zarsi e attrezzarsi per la sua diffusione nel mondo
intero. Oltre a don Bosco, è stato il giovane don Rua
l’artefice geniale di questa ritraduzione in chiave
collegiale del modello oratoriano, ritraduzione che
continuerà per tutto il suo rettorato nello sforzo di
mediazione tra fedeltà alle radici e apertura agli ap-
pelli dello Spirito e alle esigenze dei tempi nuovi.
Il buon don Ruffino nella sua “cronaca” scrive
semplicemente: «D. Rua a Mirabello si diporta come
D. Bosco a Torino. È sempre attorniato dai giovani,
attratti dalla sua amabilità e anche perché loro raccon-
ta sempre cose nuove» (MB VII, 540).
Nei suoi, don Bosco in fondo esporta se stesso.
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LA POSTA
I NOSTRI ESPERTI RISPONDONO
OGNI MESE Perché non posso? una “compagna”, solo un’amicizia.
Dunque, quello che è riportato nel
re su questo fatto una sola volta, di
accettare il tutto come “tanto non
Sono un exallievo salesiano di 65 trafiletto citato a firma Mamma
anni, cioè di vecchia data. Le scrivo Margherita io l’ho già passato sul-
DON BOSCO
posso… quindi non posso… quin-
di pazienza…”.
per sollevare un appunto riguardo la mia pelle. “… Gesù concede il
quanto riportato nel trafiletto a perdono di Dio: ‘I tuoi peccati sono
A CASA TUA
Oso allora affermare che non è tut-
to vero, limpido e chiaro quello che
pagina 7, a sinistra, del Bollettino
Salesiano del mese di marzo, e
di conseguenza nella risposta alla
lettera a fianco, in particolare nella
parte finale.
Purtroppo anch’io, come tanti altri,
a 50 anni ho visto sfasciarsi la mia
famiglia perché mia moglie si è
perdonati’ dice.”: Gesù sì, la Chiesa
no. E non aggiungo altro. Il confes-
sore mi ha detto: “Sì è vero, tutto
quello che lei cita – e ne so un po’
– è vero ma non posso darle l’as-
soluzione”. Non vado più a distur-
bare il confessore. Vado a Messa e
guardo con desiderio il Corpo del
Il Bollettino Salesiano vie-
ne inviato gratuitamente a
chi ne fa richiesta.
Dal 1877 è un dono di don
Bosco a chi segue con sim-
patia il lavoro salesiano tra
i giovani e le missioni.
Diffondetelo tra i parenti e
gli amici. Comunicate su-
bito il cambio di indirizzo.
la Chiesa con il suo “Amore filiale”
afferma. (Sono a conoscenza della
Storia e delle conseguenze di certi
cambiamenti e del pericolo che si
correrebbe. Sono stato istruito dai
Salesiani).
Chiudo: la mia Fede in Gesù e la
mia preghiera a Maria Ausiliatri-
legata ad un altro, un suo collega Signore Gesù nelle dita del sacer-
ce sono saldi. Grazie di avermi
di lavoro: con bugie, sono stato dote. Ma non posso. E così passa il non il fatto della Comunione”. Op- “ascoltato”.
allontanato dalla mia casa e ho tempo. E un po’ si è anche incrinata pure: “Confessati ma non dire tutto,
Pietro Benvegnù
dovuto ricominciare la mia vita. l’amicizia.
cioè gira intorno al fatto…”. No, non
Credevo di morire. Quindi separa-
zione e divorzio. Ho due figli adulti
ed istruiti e con loro ho un buon
rapporto (c’è sempre un’ombra).
Dopo anni ho conosciuto una per-
sona che è diventata un’amica, non
Si parla, a fianco, di blindatura in-
capace di capire il perdono, totale
e disinteressato. E la Chiesa? Ho
avuto dei consigli seri: “Puoi fare
la Comunione in un’altra chiesa,
perché il problema è lo scandalo
posso aggirare: non perché voglio il
certificato ma perché don Bosco mi
ha formato una coscienza e la mia è
molto formata. Ho paura, paura che
ho espresso anche al mio parroco
che mi sono permesso di disturba-
L ei solleva una questio-
ne spesso usata da chi,
come lei, soffre di non
poter partecipare alla
comunione a motivo di
situazioni affettive e/o
matrimoniali, diciamo così, “fuori
A VOLTE BASTA UNA PICCOLA STORIA! regola”. Di fronte a queste situa-
zioni di tanti cattolici, le alte gerar-
chie ecclesiastiche sarebbero più
È uscito il quattordicesimo
preoccupate del diritto canonico
che praticare la misericordia del
libro delle
piccole storie
per l’anima
Signore. Visto che sono in tanti
a pensarla così, mi permetta una
breve riflessione sulla presunta
durezza di cuore della Chiesa: vale
a dire papi, cardinali, vescovi, cu-
ria romana… perché a questo si
pensa quando si parla di Chiesa.
Il matrimonio cristiano non lo ha
inventato la Chiesa. Lo ha ricevuto
in dono dal Signore Gesù. Basta
leggere i Vangeli di Matteo, 19,3-9
e di Marco 10,1-99. Dire ricevuto,
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IO LA PENSO COSÌ
(Spazio libero per i lettori del Bollettino)
Perché è importante avere Fede
Carissimi amici e lettori del “Bollettino Salesiano”, sono un ragazzo
del Veneto, precisamente di Jesolo (VE), che anche se ha ben 42 anni,
si ritiene ancora un ragazzo.
Non pretendo né di fare da maestro ai coltissimi e profondissimi Sa-
cerdoti Salesiani, da sempre dediti ai giovani, né di assurgermi al
ruolo di psichiatra o di Dottore di qualsivoglia specie, ma semplice-
mente di portare la mia personale testimonianza di uomo in quanto
uomo, riguardo il fatto che la Fede, trasmessa ai fedeli attraverso i
Sacramenti dalla Chiesa, al di là di ogni particolare dogma, restrizio-
ne, castrazione, o riduzione (ad un catechismo di chissà quanti anni
fa), è necessaria: essa è vita.
Mi spiego meglio. Io personalmente, in questi ultimi 20 anni ne ho
passate di tutti i colori: ricoveri psichiatrici, maltrattamenti, emargi-
nazione perché malato, sofferenze psico-fisiche, umiliazioni, rotture
di scatole di ogni genere.
Se non fossi stato abituato fin da piccolo a pregare, a sperare, a riu-
scire ad andare avanti nonostante tutto invocando l’aiuto di Dio, della
Madonna e dei Santi intercessori, nonché degli angeli e dei defunti a
me cari (ed anche grazie alle preghiere di mia madre e di tutti quelli
che mi sono stati vicini), molto probabilmente mi troverei in una si-
tuazione non tanto peggiore, ma molto diversa!
Pregare è facile, è un sollievo per l’anima, è una buona azione verso i
nostri fratelli; è un’espressione della nostra adesione alla Fede in un
aldilà, in un Dio, che è già nell’aldiqua, perché lo si sente nel cuore!
Ecco perché è importante avere Fede: perché è solo in Dio, che si
prega nel segreto del proprio cuore, che si trova la salvezza, anche
terrena, se vogliamo.
Quindi, giovani amici, pregate ed impegnatevi, e soprattutto fate: fate
bene il vostro lavoro, studiate con serenità, dedicatevi ai vostri passa-
tempi preferiti con spensieratezza.
Dio non abbandona mai nessuno.
Paolo Baione
significa che nella Chiesa nessuno
è il padrone del sacramento del
matrimonio, neppure il Papa, tanto
meno qualche parroco. Nel corso
del tempo si sono fatte variazioni
al rito del matrimonio per meglio
adattarlo al tempo che si vive. La
sostanza, però, nessuno l’ha mai
toccata, neppure il grande aposto-
lo Paolo quando ha dovuto trattare
i fallimenti matrimoniali nelle sue
comunità. Nella prima lettera ai
cristiani di Corinto (7,10-11) dà
questo insegnamento: «Agli spo-
sati ordino, non io, ma il Signore:
la moglie non si separi dal marito
e il marito non ripudi la moglie e
qualora si separi, rimanga senza
sposarsi o si riconcili con il ma-
rito». Paolo conosce molto bene
l’insegnamento di Gesù sull’in-
dissolubilità matrimoniale. Ma è
anche consapevole che i due non
possono più stare insieme. Con la
sua autorità di apostolo aggiunge
una clausola che vale anche oggi:
i due o si riconciliano o restano
separati senza risposarsi. Solo a
questa condizione resta in piedi il
legame matrimoniale anche senza
la convivenza fisica dei due. La ra-
gione è tutta racchiusa nel sacra-
mento del matrimonio. Da allora,
l’atteggiamento della comunità
cristiana è quello del rispetto del
dono che viene dal Signore.
Se quanto detto è vero, allora,
sarebbe più giusto chiedersi non
perché la Chiesa – cioè Papa e
vescovi – vieta la partecipazione
ai sacramenti, ma piuttosto può la
Comunità cristiana fare un passo
in più verso le tante situazioni di
persone divorziate e risposate
senza venir meno alla fedeltà alla
Parola del Signore? Finora la no-
stra Chiesa cattolica non ha trova-
to altre soluzioni diverse da quelle
di Paolo. Ciò non toglie compren-
sione, vicinanza a tutti coloro che
sono in situazioni affettive e ma-
trimoniali non conformi alla Parola
del Signore. Anzi, c’è l’esplicito
invito da parte dei Papi così come
dei vescovi italiani a partecipare
ugualmente alla messa, alla pre-
ghiera della comunità e ad altre
iniziative ecclesiali. È vero che
si chiede di non partecipare alla
comunione eucaristica, ma è al-
trettanto vero che esiste anche un
modo “spirituale” di partecipare
La
preghiera
è obbligatoria?
Quand’eri piccolo, forse ti è
stato insegnato a salutare i
tuoi genitori quando ti alzi la
mattina. Fa parte della tua edu-
cazione. E oggi, sono sicuro
che consideri normale salutare
i tuoi – e le persone che cono-
sci – quando le incontri. Non
si tratta più di un obbligo per
te, ma di un’attitudine norma-
le. La stessa cosa vale con le
preghiere; forse ti è stato chie-
sto: «Hai detto le preghiere?».
Ma se oggi sei un credente, ti
sembrerà evidente mantenere
un contatto con Dio. Altrimenti
cos’è la fede? Solamente una
parola sul vocabolario? Nel
Vangelo, Gesù non dice: devi
pregare. Perché considera che
tutti lo facciano, ma ci invita a
perseverare. Non dà ordini, ma
consigli: inutile «sprecare pa-
role» come i pagani, per esem-
pio. Ciò che conta è la fede che
riponi in Dio Padre. L’anima
della preghiera è, in effetti, la
fiducia.
Mamma Margherita
alla “comunione” con il Signo-
re Gesù. È un insegnamento che
viene da lontano. Nessuno deve
sentirsi escluso dalla comunità
cristiana. Quindi si può vivere per-
sonalmente una seria vita cristiana
anche e nonostante situazioni e li-
mitazioni. La Chiesa si trova in una
posizione scomoda, piena di sof-
ferenza e tuttavia non può rinun-
ciare a dire la verità nella carità.
Sabino Frigato
Docente di Teologia Morale
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EVENTI
O. PORI MECOI
I primi cento magnifici anni
della confederazione degli Exallievi ed Exallieve di don Bosco
Dal 27 al 29 aprile a Torino
Valdocco il Congresso mondiale
degli Exallievi e delle Exallieve
di don Bosco ha celebrato
il primo centenario. Presenti
oltre 280 Exallievi e Salesiani
di tutto il mondo
Magdi Cristiano Allam ha
precisato che “essere un
exallievo di Don Bosco
significa avere acquisito
quei valori non negozia-
bili e la certezza di quelle
regole che sono il fondamento della
nostra umanità e che rappresentano
oggi le basi di una civile convivenza”.
Il Presidente Mondiale dell’Associa-
zione, Francesco Muceo, ha presenta-
to le varie delegazioni mondiali: Ita-
lia, Germania, Francia, Slovacchia,
Malta, Portogallo, Spagna, Belgio
del Sud, Congo, Filippine, Argenti-
na, Brasile, Guatemala, Ecuador, Re-
pubblica Domenicana e Messico. In
serata don Adriano Bregolin ha dato
il tradizionale pensiero della buona-
notte nella chiesa di San Francesco di
Sales ed è stata recitata la preghiera
degli Exallievi dove essi promettono
di “impegnarsi a combattere l’ingiu-
stizia, il ricatto, la superficialità, l’in-
differenza, e difendere ad ogni costo i
valori appresi da don Bosco con l’im-
pegno sociale, politico ed economico;
in particolar modo: la vita, la libertà
e la verità”.
È come riudire don Bosco che, il 26
luglio 1884, quasi a testamento, racco-
manda agli antichi allievi: «Ovunque
andiate e siate, rammentatevi sempre
che siete i figli di don Bosco, i figli
dell’Oratorio... Felici voi se non di-
La consegna della lampada agli Exallievi. Sotto:
Nella platea dei delegati, Magdi Allam è vicino al
Rettor Maggiore.
menticherete mai quelle verità che io
ho cercato di scolpire nei vostri cuori
quando eravate giovanetti» (Memorie
Biografiche IX, 885-886).
Un nome e un programma
È bello e stimolante notare che la de-
nominazione data agli antichi allie-
vi delle nostre Case non è quella di
Exallievi «salesiani», bensì quella di
Exallieve/i «di don Bosco». È una scel-
ta che, formulata storicamente per la
prima volta all’Oratorio e continuata
poi ovunque nel tempo e nello spa-
zio, è veramente e concretamente pro-
grammatica.
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IL MANIFESTO DEGLI EXALLIEVI DI DON BOSCO
«Gli Exallievi e le Exallieve apparten-
gono alla Famiglia Salesiana in virtù
dell’educazione ricevuta, vale a dire, che
essi considerano positiva l’educazione
salesiana e continuano a sentirla vali-
da in tutta la loro vita» ha spiegato con
forza il Rettor Maggiore. «Veri exallievi
sono coloro che sono riusciti ad essere
“gli onesti cittadini e i buoni cristiani”
che voleva don Bosco. È naturale per-
ciò che gli Exallievi e le Exallieve si
debbano convertire nei primi aposto-
li di questa educazione in tutte le sue
dimensioni, impegnandosi per la sal-
vaguardia del creato, per la difesa della
vita e della famiglia, per la promozione
e l’educazione dei giovani, per la tutela
dei diritti umani e della pace, aperti al
dialogo interculturale e interreligioso.
Si possono identificare, di fatto, quat-
tro tipi di appartenenza degli Exallievi
di don Bosco, che possono contribuire
a definire differenti livelli di identità.
Infatti quanti sono stati studenti o
hanno frequentato un ambiente sa-
lesiano, possono vivere questa espe-
rienza come: un fatto di vita, per cui
L’Exallievo di don Bosco, cristiano o di altra religione, è chiamato ad esprimere e sviluppare
i semi della “educazione ricevuta”, cioè a svolgere la missione con:
Competenza professionale: per poter dire una parola autorevole in qualunque campo
della vita sì da diventare un autentico lievito nella società.
Coscienza morale: per saper discernere e scegliere con responsabilità, ma anche orien-
tare altri nelle loro scelte.
Impegno sociale: non pensando soltanto al successo personale, ma piuttosto al bene
comune, si impegna a costruire un mondo migliore.
Ha molto a cuore e difende ad ogni costo i valori, soprattutto:
La vita: che è sacra, dalla nascita fino alla morte. Si impegna ad aiutare specialmente i gio-
vani a trovare il senso della vita e a curare la qualità della vita, specie quella dei più poveri e
bisognosi.
La libertà: sente la responsabilità comune di costruire un mondo migliore, dove la libertà
venga garantita a tutti.
La verità: non solo quella scientifica, ma anche quella affettiva e spirituale.
l’esperienza di essere stato in un’opera
salesiana viene vista come un semplice
aneddoto, che non ha segnato partico-
larmente la propria vita; una grazia:
quella d’essere stati toccati dal fasci-
no di don Bosco, totalmente uomo e
autenticamente santo, per cui dap-
pertutto ci si ritiene Exallievi di don
Bosco; una missione: quella di sentirsi
responsabili di comunicare alla società
la ricchezza dell’educazione ricevuta
e voler che altri possano sfruttare la
grazia dell’educazione salesiana; un
progetto di vita, che porta al bisogno di
aggregarsi in associazione, con senso
di istituzione, per promuoverne la cre-
scita, continuare la propria formazione
e realizzare progetti a favore della so-
cietà e della Chiesa».
Per tre giorni, nei cortili e sotto i por-
ticati di Valdocco è risuonata l’antica
eterna allegria dei “ragazzi” di don
Bosco e anche la sua voce paterna che
si rivolgeva così agli Exallievi: «Vedo
che molti di voi hanno già la testa calva,
i capelli incanutiti e la fronte solcata da
rughe. Non siete più quei ragazzi che io
amavo tanto; ma sento che ora vi amo an-
cora più d’una volta, perché colla vostra
presenza mi assicurate che stan saldi nel
vostro cuore quei principi di nostra santa
religione che io vi ho insegnati e che questi
sono la guida della vostra vita. E poi vi
amo ancora di più, perché mi fate vedere
che il vostro cuore è sempre per Don Bo-
sco... (e vi dico) che sono tutto vostro nel
fare e nel pensare, in ogni mia azione. Voi
eravate un piccolo gregge: questo è cresciu-
to, cresciuto molto, ma si moltiplicherà an-
cora. Voi sarete luce che risplende in mezzo
al mondo, e col vostro esempio insegnerete
agli altri come si debba fare il bene e dete-
stare e fuggire il male. Sono certo che voi
continuerete ad essere la consolazione di
don Bosco» (MB XVII, 173-174).
Giugno 2012
9

1.10 Page 10

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SALESIANI NEL MONDO
PIERO GAVIOLI
Un piccolo paradiso
ai piedi del “Daredipiùachiha
ricevuto meno dalla vita”
Il Centro dei giovani
vulcano Don Bosco Ngangi a Goma
Il terreno delle
aziende agricole
acquistate dal
Centro è fertile
e suscita grandi
speranze.
A dagiata sulla riva nord del lago Kivu,
a poco più di 1° a sud dell’equatore, a
1500 m di altitudine, la città di Goma
può vantarsi di un clima temperato: una
media di 20°, con piccole variazioni sta-
gionali. Le notti sono fresche, le giornate
possono essere calde ma mai afose. La città è cir-
condata da una catena di colline e di montagne tra
cui spiccano la cima appuntita del vulcano spento
Karisimbi (4507 m) e la mole del tronco conico del
Nyiragongo (3470 m). Questo vulcano attivo ha un
cratere di 1200 m di diametro e ha nel suo fondo
un lago (200 m di diametro) di lava sempre ribol-
lente, che ogni tanti anni trova una via di uscita
attraverso fessure laterali. L’ultima volta è stata il 17
gennaio 2002: la lava è uscita da due bocche ai lati
del vulcano, una colata di 60 m di larghezza, si è
fatta strada seguendo e riempiendo gli affossamen-
ti del terreno, ed è arrivata in 24 ore fino al lago di-
struggendo il 18% del centro città e l’80% della sua
economia. Gli abitanti di Goma sono abituati alle
sfuriate del Nyiragongo, e hanno pazientemente
ricostruito sulla lava i quartieri distrutti.
La lava non ha soltanto aspetti negativi. Il ter-
reno attorno ai vulcani è molto fertile, il regime
di piogge abbondanti della zona equatoriale per-
mette anche due raccolti all’anno e favorisce la
coltura di fagioli, manioca, patate dolci, caffè e
di tante qualità di banane. A questa ricchezza ve-
getale bisogna aggiungere, nella regione del Nord
10
Giugno 2012

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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Kivu di cui Goma è la capitale, un’enorme ric-
chezza del sottosuolo: ci sono oro, zinco e soprat-
tutto ci sono i tre quarti delle riserve mondiali del
coltan, una componente essenziale per i circuiti
dei telefoni e dei computer portatili. Inoltre, se
ci fosse la pace, la regione avrebbe grandissime
potenzialità turistiche.
Il rovescio della medaglia
Se ci fosse la pace… La ricchezza del suolo e del
sottosuolo costituisce la principale “sfortuna” del-
la regione. Da quasi vent’anni, il Nord Kivu è tea-
tro di una serie continua di guerre e guerriglie
per il possesso della terra e lo sfruttamento dei
minerali. La guerra nell’Est del Congo ha causa-
to la morte, per malattia e denutrizione, di 4-5
milioni di persone, la fuga di quasi 5 milioni di
abitanti verso altre regioni o verso paesi limitrofi.
Migliaia di donne sono state vittime di violenza
sessuale, che è stata usata come arma da guerra e
ha favorito la diffusione dell’Aids. Ancora oggi
l’interno della regione del Nord Kivu è teatro di
violenze tra diversi gruppi ribelli e militari che
colpiscono soprattutto civili innocenti e alimen-
tano l’insicurezza. Molta gente si è rifugiata in
città. Cinquant’anni fa, Goma aveva 5000 abitan-
ti. Nel 2000 ne aveva 250 000. Oggi ne ha quasi
un milione. Una percentuale molto alta di questa
popolazione vive in condizioni di grande miseria
e di estrema vulnerabilità. Gli aiuti della comu-
nità internazionale sono spesso frenati da remore
burocratiche e dalla corruzione dilagante. Il pic-
colo paradiso è diventato un inferno.
La risposta alle urgenze
I salesiani sono a Goma da trent’anni, prima
all’ITIG, poi a Ngangi. Per la sua posizione e per
la creatività di don Mario Pérez – che ne è sta-
to direttore per 12 anni –, il Centro Don Bosco
Ngangi si è trovato in prima linea per organizzare
soccorsi d’urgenza. La comunità salesiana, con la
collaborazione di una decina di volontari del VIS
(Volontariato Internazionale per lo Sviluppo) e la
collaborazione del personale congolese, ha cerca-
to di dare una risposta immediata ai bisogni es-
senziali di uomini, donne e bambini che hanno
perso tutto a causa della guerra o dell’eruzione del
vulcano. Sono servizi interamente gratuiti, sono
stati iniziati durante gli anni dell’urgenza e con-
tinuano ancora oggi.
Molti bambini e ragazzi sono rimasti orfani, o ab-
bandonati, o dispersi in seguito alla guerra o alla
colata vulcanica. Dal 1997 al 2010, il Centro ha
accolto 37 528 bambini e giovani, in condizione di
La scuola
professionale
spalanca le porte
verso la sicurezza
e la dignità.
Giugno 2012
11

2.2 Page 12

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SALESIANI NEL MONDO
Don Piero Gavioli
e i suoi piccoli
amici del Don
Bosco Ngangi.
I giovani, mentre
studiano, collabo-
rano alla sostenibi-
lità dell’opera con
il loro lavoro.
vulnerabilità socio-economica, e ne ha riunificati
28 952. Ancora oggi Don Bosco Ngangi prende in
carico totale (alloggio, vitto, vestito, cure mediche,
scuola) circa 400 bambini e giovani.
Il Centro Don Bosco ha potuto costruire più di
150 case (base in cemento, muri di assi di legno,
tetto di lamiera) con due piccoli appartamenti per
casa, per dare un alloggio a famiglie di sfollati.
È nato così un quartiere, Kinogo, adiacente al
Centro Don Bosco. Gli abitanti di queste case
possono diventarne proprietari, impegnandosi a
pagare un terzo del costo della casa. Per aiutare
le famiglie povere a pagare la loro casa e a nu-
trire i figli, nel Centro funziona da cinque anni
un servizio di microcredito. L’esperienza ha fatto
limitare il servizio solo alle donne, mamme e ve-
dove bisognose. Questo servizio aiuta le mamme
a sviluppare attività autonome.
Per i giovani che finiscono la formazione profes-
sionale, il Centro ha creato un Ufficio del lavoro,
incaricato di accompagnarli alla fine della scuola.
Ogni ex-allievo riceve un kit con gli strumenti
necessari per esercitare il suo mestiere, è aiutato a
inserirsi in aziende e laboratori artigianali, o a for-
mare con altri piccole cooperative di produzione.
Fedeli a don Bosco, i salesiani pregano con i bam-
bini e con i giovani, li preparano ai sacramenti,
assicurano l’ora di religione nelle scuole, animano
gruppi di azione cattolica, preparano e celebrano
con solennità le feste dell’anno liturgico. La do-
menica, nella grande sala polivalente del Centro,
sono celebrate due messe a cui partecipano circa
3000 fedeli, bambini, giovani e adulti. Cinque
cori si alternano per animare i canti e i movimen-
ti di danza.
Ma i salesiani sanno pure che gli aiuti possono
finire. Nei nuovi progetti cercano la sostenibili-
tà, per creare strutture e servizi che si possano
mantenere da soli, e per produrre ciò di cui si ha
bisogno.
In parte è possibile. Alcuni settori del Centro
hanno già preso questa strada: i laboratori di fa-
legnameria, di saldatura, di taglio e cucito hanno
incominciato a fabbricare tavoli, porte, vestiti che,
venduti, coprono una piccola parte delle spese di
funzionamento. Si può migliorare questa produ-
zione. Nel 2012 sarà aperta in un quartiere popo-
lare di Goma una piccola “galleria commerciale”
in cui saranno messi in vendita prodotti e servizi
del Centro: ci saranno un piccolo ristorante, una
sala di parrucchiera, una sartoria, un’esposizione
di prodotti dei laboratori.
12
Giugno 2012

2.3 Page 13

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I FONDATORI
Le speranze più grandi riposano sulle due azien-
de agricole che il Centro ha comprato otto anni
fa. La situazione di guerra ne ha reso impossi-
bile finora lo sfruttamento. Ora c’è un po’ più
di tranquillità, si può pensare a un progetto che
faccia produrre alimenti per il Centro e caffè per
la vendita.
Mons. Jean-Pierre Tafunga, ora arcivescovo di Lubumbashi. È stato il
primo direttore della comunità di Goma e primo preside salesiano dell’ITIG
(sarà il primo ispettore e il primo vescovo salesiano congolese). Ha dato
un’impronta educativa di serietà e di rigore e ha favorito l’inserimento dei sa-
lesiani nella pastorale diocesana.
Honorato Alonso, coadiutore sale-
siano spagnolo, all’ITIG di Goma da 30
anni. Responsabile del laboratorio di
elettricità e di elettronica, nel tempo li-
bero è un grande animatore di oratorio:
a un certo momento, al torneo di calcio
che organizza partecipano circa 200
squadre di bambini e di ragazzi. Il Centro
Don Bosco Ngangi è nato da una sua ini-
ziativa oratoriana. Ultimamente ha fatto
costruire una casa (battezzata Boscolac)
su una collina in riva al lago Kivu: può
accogliere ragazzi poveri per lo studio,
le vacanze, un ritiro spirituale...
Don Mario Pérez, salesiano venezuelano. Ha lavorato vari anni con i ragazzi
di strada a Lubumbashi. Nel 1997 è mandato in Ruanda; deve passare da
Goma dove si ferma provvisoriamente per sostituire il direttore assente della
comunità di Ngangi. Vi resterà 12 anni e mezzo. Sviluppa il Centro Don Bosco
aprendolo largamente a tutti i vulnerabili. Ha un cuore più grande dei suoi
mezzi. Sa trovare aiuti e suscitare collaborazione. Nell’aprile 2010, su invito
di don Chávez, parte per Haiti per occuparsi dei ragazzi di strada sopravissuti
al terremoto.
In alto, a sinistra :
Domenico Savio
veglia sui giovani
di Goma. Sotto:
I partecipanti ad
un torneo di calcio.
Inevitabile dove ci
sono salesiani.
Giugno 2012
13

2.4 Page 14

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SALESIANI NEL MONDO
C.M. PAUL
traduzione di Marisa Patarino
Don Bosco Inaugurato a Kathmandu, in Nepal,
il Centro di Formazione
Professionale Don Bosco
sul tetto del mondo
Il Centro Profes-
sionale Don Bosco
è stato inaugurato
alla presenza delle
massime autorità
civili e religiose.
Il 3 marzo 2012 l’Ispettore di Calcutta don
Thomas Ellicherail ha inaugurato il Centro
di Formazione Professionale aperto a The-
cho, un quartiere in piena espansione nella
parte meridionale di Kathmandu, in Nepal.
L’ospite d’onore della manifestazione è stato
il responsabile della Direzione dell’Istruzione
Tecnica e Professionale, il dottor Ram Hari La-
michhane. Erano presenti vari esponenti del go-
verno e della Chiesa Cattolica, tra cui il vescovo
gesuita Antony Sharma di Kathmandu.
Il dottor Lamichhane, che è intervenuto per l’oc-
casione, ha sottolineato l’importanza della for-
mazione professionale per i giovani del Nepal nel
mondo attuale, che è in continua evoluzione. Ha
anche apprezzato e ringraziato il Don Bosco per
l’impegno che ha dedicato a seguire i giovani in
situazioni di disagio e ha garantito il sostegno
della Direzione dell’Istruzione Tecnica e Profes-
sionale per affiancare i giovani nel loro percorso
di formazione.
«È un progetto molto atteso per i giovani poveri
ed emarginati», ha dichiarato il Rettore della Co-
munità Salesiana di Kathmandu, don Benjamin
Pampackal.
«La struttura attualmente offre percorsi di istruzio-
ne professionale a ragazzi e ragazze in sette ambiti
della formazione e presto saranno aggiunti altri cor-
si importanti per il mercato del lavoro», ha detto il
direttore del Don Bosco Tech, don Jijo John.
Le sette aree di formazione professionale riguar-
dano l’amministrazione aziendale, il disegno e la
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Giugno 2012

2.5 Page 15

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UNA REPUBBLICA GIOVANE E FIERA
Il Nepal si trova fra Cina ed India, fra la pianura del Gange da
cui è lambito nella parte meridionale e l’altopiano del Tibet.
È una repubblica con 26 milioni di abitanti. La religione che
prevale è quella induista. I cristiani non arrivano all’uno per
cento, ma sono in aumento. La capitale Kathmandu ha quasi
un milione di abitanti.
Oltre metà del territorio nepalese è
occupato dalla più imponente cate-
na montuosa del Pianeta, l’Himala-
ya, con diverse cime oltre gli 8000
metri d’altezza.
È l’unico Stato del Mondo che ha
una bandiera nazionale che non è
di foggia quadrangolare (o rettan-
golo o quadrato). Ha infatti una
forma originale: un trapezio rettan-
golo che è sormontato da un trian-
golo rettangolo.
realizzazione di abiti, l’elettronica, la manuten-
zione di impianti elettrici, la progettazione e la
gestione informatica.
Il complesso, ubicato in un’area dell’estensione di
due ettari, comprende anche un pensionato per
studenti e appartamenti per il personale.
L’edificio principale è provvisto di nove laborato-
ri, sei aule, una sala riunioni, uffici, una sala per
le conferenze e una biblioteca.
Si ritiene che quest’anno circa 300 giovani di età
compresa tra i 15 e i 25 anni frequenteranno il
centro professionale.
Il pensionato per i giovani che provengono da pae-
si lontani può ospitare 100 tra ragazzi e ragazze.
«Anche prima che fosse realizzato il nuovo cen-
tro di formazione abbiamo tenuto in una semplice
struttura prefabbricata un programma di istru-
zione nell’ambito dell’informatica per giovani e
corsi di saldatura e falegnameria. Ora che è sta-
to aperto il nuovo centro, avvieremo un percorso
di formazione tecnica legalmente riconosciuto»,
ha detto il Sovrintendente don Polycarp Ekka.
«Abbiamo inoltre organizzato un programma di
sostegno scolastico per oltre 200 bambini che vi-
vono nei dintorni, per aiutarli a frequentare con
profitto le loro scuole», ha aggiunto don Polycarp.
Vengono organizzati dall’Istituto Don Bosco di
Thecho anche momenti di orientamento scolasti-
co e professionale.
Nel bimestre novembre-dicembre 2011 è sta-
ta offerta una formazione di base nell’ambito
dell’informatica, del disegno e della realizzazione
di abiti, dell’elettronica e della manutenzione in-
formatica a circa 150 giovani provenienti da vari
istituti e scuole.
Alcune istantanee
della festa di
inaugurazione del
Centro di Forma-
zione. Quest’anno
circa 300 giovani
tra i 15 e i 25 anni
frequenteranno i
corsi professionali.
Giugno 2012
15

2.6 Page 16

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L’INVITATO
O. PORI MECOI
Ilsifuchtiuamroa CG27
Incontro con don Francesco Cereda
Regolatore del ventisettesimo Capitolo Generale
della Congregazione Salesiana
La convocazione del Rettor Maggiore risuona solenne come richiesto
dall’importanza dell’avvenimento: «Il prossimo Capitolo Generale sarà
il 27° nella storia della nostra Società. Come Regolatore ho nominato
don Francesco Cereda, che da questo momento ha la responsabilità
di accompagnarne la preparazione e lo svolgimento».
Ne parliamo proprio con don Francesco Cereda.
Che cosa comporta
“regolare” un Capitolo?
Credo si possa definire una “faticac-
cia”. Un Capitolo è come il mare. Ad
esso confluiscono i grandi fiumi, che
ricevono l’acqua degli affluenti più
piccoli; e questi a loro volta sono cre-
sciuti con il contributo dei torrenti e
dei ruscelli. Il regolatore è il regista
di tutto questo sistema “idrografico”,
per garantire che tutti i Salesiani pos-
sano esprimere il loro contributo.
Chi è coinvolto nell’evento
del Capitolo Generale?
La riflessione sul tema della radicalità
evangelica non riguarda solo i confra-
telli che parteciperanno al Capitolo
Generale. La lettera di indizione del
CG27 intende promuovere una rifles-
sione profonda, orientata alla conver-
sione, da parte di ogni confratello, di
tutte le comunità, di ogni ispettoria.
Con la pubblicazione di tale lettera si
avvia un processo ampio, dal basso e
disteso nel tempo, che coinvolge tutta
la Congregazione. In tale processo un
momento assai importante è la rifles-
sione della “assemblea rappresentativa
dei confratelli e delle comunità loca-
li”, che è il Capitolo ispettoriale; però
anche singoli confratelli o gruppi di
confratelli possono inviare il loro pa-
rere al Regolatore del CG27. Ognuno
è responsabile della buona riuscita del
Capitolo.
Qual è l’importanza
del Capitolo Generale 27°
per il momento attuale
della Congregazione?
Al termine della sessione plenaria
del Consiglio Generale del giugno
- luglio 2011, ogni Consigliere ave-
va già indicato al Rettor Maggiore
la sua proposta in vista del CG27.
Già in questa occasione il tema più
indicato, con motivazioni e sottoli-
neature diverse, si riferiva al bisogno
di assicurare maggiore convinzione
alla nostra identità («chi siamo»?),
alla nostra azione («che cosa faccia-
mo»?), alla nostra proposta educati-
va pastorale («che cosa offriamo»?),
aspetti tutti che fanno riferimento
alla radicalità nel vivere la vocazio-
16
Giugno 2012

2.7 Page 17

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L’ICONA: IL SOGNO DEI DIECI DIAMANTI
ne di consacrati apostoli. La deci-
sione definitiva sul tema è stata poi
presa nei giorni prima di Pasqua di
quest’anno. La scelta di questo tema
intende assicurare vitalità al carisma
di don Bosco oggi nella Congrega-
zione salesiana.
Lei è già stato regolatore
del Capitolo 26°. Quale sarà
la differenza e la novità di
questo prossimo Capitolo?
Oggi, tutti i cambiamenti sono ac-
celerati. Gli scenari della cultura e
della vita dei giovani mutano con
rapidità sorprendente. I figli di don
Bosco devono essere attenti, sensibili
e pronti per mantenere la sintonia con
il mondo giovanile. Ogni Capitolo è
una tappa importante nel cammino
di crescita della Congregazione, ma
il prossimo deve essere una robusta
iniezione di fiducia nel futuro. I nuo-
«Mi sembrava di passeggiare con i direttori delle nostre case, quando apparve tra noi un
uomo di aspetto così maestoso, che non potevamo reggerne la vista. Datoci uno sguardo
senza parlare, si pose a camminare a qualche passo da noi. Egli era così vestito: un ricco
manto a guisa di mantello gli copriva la persona.
Dieci diamanti di grossezza e splendore straordinari erano quelli che c’impedivano di ferma-
re lo sguardo, se non con gran pena, su quell’augusto personaggio.
Tre di quei diamanti erano sul petto, ed era scritto sopra di uno fede, sull’altro speranza e
carità su quello che stava sul cuore.
Il quarto diamante era sulla spalla destra e aveva scritto lavoro, sopra il quinto nella spalla
sinistra si leggeva temperanza.
Gli altri cinque diamanti ornavano la parte posteriore del manto, ed erano così disposti: uno
più grosso e più folgoreggiante stava in mezzo come al centro di un quadrilatero, e portava
scritto obbedienza.
Sul primo a destra si leggeva voto di povertà. Sul secondo, più in basso, premio. Nella
sinistra sul più elevato era scritto: voto di castità; lo splendore di questo mandava una luce
tutta speciale, e mirandolo traeva e attraeva lo sguardo come la calamita attrae il ferro. Sul
secondo a sinistra, più in basso, stava scritto: digiuno.
Tutti questi quattro ripiegavano i loro raggi verso il diamante del centro» (Memorie Biogra-
fiche XV, 183-186).
vi contesti, le sfide culturali e le diffi-
coltà all’interno della vita consacrata
ci chiedono di continuare a cercare
cammini di rinnovamento e di cre-
scita, che rendano più significativa la
nostra vita. Di fronte alla realtà che
viviamo è urgente cambiare strategia;
e ciò non è facile.
Quale sarà l’influenza
del Capitolo sulla Famiglia
Salesiana?
Un Capitolo è sempre una forte pro-
vocazione per tutti, anche se riguar-
da più direttamente i Salesiani. È
significativo che il Rettor Maggiore
proponga alla nostra attenzione il so-
gno del manto e dei dieci diamanti.
I sogni di don Bosco sono per tutti.
Il Capitolo è un forte impulso per i
Salesiani, ma diventerà pure una
spinta motivazionale per la Famiglia
Salesiana. La radicalità evangelica è
infatti un’esigenza che Gesù chiede a
ogni suo discepolo al fine di superare
Don Cereda durante il Capitolo precedente.
apatia spirituale, negligenza pastora-
le, mancanza di slancio. Ciò aiuterà
tutti a vivere il carisma salesiano con
maggiore dinamismo; da qui verran-
no come frutti per tutti visibilità, cre-
dibilità e fecondità.
Perché è stato scelto
il tema della
“testimonianza della
radicalità evangelica”?
Il sogno dei diamanti, a cui il Ret-
tor Maggiore fa esplicito riferimen-
to nella lettera di convocazione, ci
pone di fronte a un “aut aut”, a una
coraggiosa revisione di vita personale
e comunitaria. In quel sogno si parla,
in forma drammatica, della respon-
sabilità che ogni Salesiano ha circa la
propria vocazione e circa il contributo
che egli dà per rendere luminoso od
opaco il volto della Congregazione.
Tale sogno presenta ciò che la Con-
gregazione deve essere, ma anche
ciò che rischia di diventare, qualora
viva nella mediocrità; infatti le sin-
gole Congregazioni religiose possono
Giugno 2012
17

2.8 Page 18

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L’INVITATO
estinguersi nella misura in cui vengo-
no meno la fedeltà alla loro specifica
vocazione consacrata e la vitalità del
loro carisma.
Dal suo punto
di osservazione della
formazione, qual è
il bisogno più urgente
della Congregazione?
Durante le Visite d’Insieme, che sono
il check-up della Congregazione, ab-
biamo potuto constatare che esisto-
no numerosi aspetti positivi nella vita
della Congregazione stessa. I con-
fratelli sono, in generale, coscienti
dell’identità della vita consacrata sa-
lesiana e sono portatori di valori che
la manifestano. Per lo più l’impian-
tazione del carisma nei diversi pae-
si, luoghi, contesti in cui si trova la
Congregazione è stata buona. Soddi-
sfacente in numerose parti del mondo
è stata la crescita delle presenze e del-
Don Francesco Cereda. È attualmente Consigliere
per la Formazione. «Essere regolatore di un
Capitolo si può definire una faticaccia».
le vocazioni. In questi ultimi tempi si
sono consolidate esperienze positive
di vita fraterna. Ci sono però anche
alcuni aspetti deboli; spesso possia-
mo sperimentare stanchezza oppure
ci troviamo a vivere nella “routine”.
Non tutti si sentono pronti per que-
sta nuova avventura dello Spirito.
Riuscirà questo tema del CG27 a
smuovere l’inerzia della nostra vita?
Lasciamo fare allo Spirito e mettia-
moci in sintonia con le sue ispirazioni
e mozioni. Ciò ci aiuterà a intrapren-
dere nuovi cammini di conversione e
formazione.
Ci saranno altri risvolti
“pratici” nel Capitolo
Generale per il periodo
2014-2020?
Oltre l’approfondimento del tema, il
CG27 ha altri compiti particolari. Il
primo tra questi riguarda l’elezione
del Rettor Maggiore e dei membri
del Consiglio Generale per il sessen-
nio 2014-2020. È inoltre importante
fare un ripensamento strutturale dei
Dicasteri per la missione salesiana:
pastorale giovanile, missioni, comu-
nicazione sociale. Occorre poi fare
una riflessione sulla configurazione
delle tre Regioni di Europa, soprat-
tutto in seguito alla decisione di ri-
disegno delle Ispettorie della Spagna,
che dopo il CG27 passeranno da sei a
due. Si sente anche l’esigenza di fare
una valutazione circa l’affidamento
della Famiglia Salesiana al Vicario
del Rettor Maggiore. Tutto ciò ri-
chiederà una verifica delle strutture
di animazione e governo centrale del-
la Congregazione.
Quale sarà la “punta
di diamante” del Capitolo
Generale 27°?
L’esperienza di questi anni ci induce
a concentrare l’attenzione su alcu-
ne priorità e a non disperderci. Per
questo abbiamo individuato tre nuclei
tematici, che vengono proposti alle
comunità salesiane e soprattutto ai
Capitoli ispettoriali. Tali nuclei fan-
no riferimento a ciò che deve carat-
terizzare il salesiano del futuro; come
il Rettor Maggiore si esprime nella
lettera di indizione, egli è chiamato a
essere mistico, profeta, servo. La misti-
ca, la profezia e il servizio sono col-
legati agli aspetti fondamentali della
nostra consacrazione apostolica, ossia
all’esperienza spirituale, alla vita fra-
terna in comunità, alla missione gio-
vanile; perciò dovremo essere sempre
più mistici nello Spirito, profeti della
fraternità, servi dei giovani.
Come possiamo
concretamente prepararci
a questo avvenimento?
Ci avviciniamo al Bicentenario del-
la nascita di don Bosco e dobbiamo
arrivarci avendo recuperato la gioia,
l’entusiasmo e la fierezza di essere
Salesiani, mettendo in pratica ogni
giorno quello che afferma la preghie-
ra a don Bosco composta dal Rettor
Maggiore: «essere nella vita quotidiana
costruttori di comunione, e collaborare
con entusiasmo, in comunione con tutta
la Chiesa, all'edificazione della civiltà
dell'amore». Preghiera e fedeltà cari-
smatica ci renderanno attenti, pronti
e vigilanti per l’avventura che ci at-
tende.
18
Giugno 2012

2.9 Page 19

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RISPOSTA, NON PROBLEMA
LUCA & SILVIO
Il carcere
visto da vicino
Ne rimasi talmente incuriosita e colpita che mi dissi: “Perché no?”
Mi chiamo Francesca, ho
22 anni e mezzo e da uno
circa sono volontaria nel
Carcere per Maggiorenni
di Firenze.
Il mio incontro con il
carcere è avvenuto per curiosità, quan-
do avevo 18 anni e facevo parte degli
Scout, venni a conoscenza di un pro-
getto dell’Agesci (Associazione Guide
e Scout Cattolici Italiani) che si svolge-
va ogni estate nel Carcere Minorile di
Bologna. Ne rimasi talmente incurio-
sita e colpita che mi dissi: “Perché no?”
Così, molto rapidamente e senza pen-
sarci troppo mi iscrissi al progetto e
fu così che passai una settimana della
mia estate dopo la maturità in stret-
to contatto con i giovani detenuti di
quel carcere minorile. L’incontro fu
per me folgorante. Quell’esperienza
ha impresso un segno indelebile sulla
mia esistenza, attraverso la conoscen-
za ravvicinata della realtà carceraria,
io come persona sono cambiata per
sempre. Certi miei modi di pensare
sono radicalmente mutati, la mia co-
scienza è stata trafitta e scossa e tutte
le parole e le storie ascoltate e scam-
biate dentro quel carcere hanno con-
tribuito a ridefinire la mia identità.
Due orecchie e due occhi
Dopo quella estate non ho fatto al-
tro che pensare a quello che avevo
vissuto, a quell’incontro nello stesso
momento così surreale ma anche così
tremendamente vero, a quei giova-
ni così persi e in balìa della vita che
avevo incontrato; così mi sono rivolta
all’Associazione Pantagruel di Firen-
ze che operava in carcere attraverso i
propri volontari, ho frequentato un
corso di formazione e nel Novembre
2010 sono finalmente potuta entrare
per la prima volta come volontaria
nel carcere fiorentino di Sollicciano.
È stata ed è tuttora un’esperienza
mozzafiato, sempre illuminante, che
sa aggiungermi sempre qualcosa e
non togliermi mai nulla. L’incontro
con il detenuto durante il colloquio è
per me un incoraggiamento alla vita,
una spinta a essere, a impegnarsi,
all’essere consapevole che c’è tutta
un’umanità persa, allibita, disillusa e
marginalizzata che ha bisogno anche
solo di due orecchie che la possano
ascoltare e di due occhi che sappiano
guardarla con partecipazione e sin-
cerità.
Un luogo ricco di emozioni vere
Attraverso questo volontariato mi ren-
do conto che una delle cose più impor-
tanti per il carcere e per le persone che
vi sono detenute è far entrare là dentro
la società, portare le persone – concre-
tamente o simbolicamente – ad avvici-
narsi a questa istituzione che da fuori
può sembrare così misteriosa, austera e
magari anche inquietante, per scoprire
che è invece un luogo ricco di emozio-
ni vere, di storie di vita travagliate e
di persone che vogliono pagare per gli
sbagli compiuti, ma che vogliono farlo
in uno spazio e in un luogo che non
lèda i loro diritti fondamentali ma che
permetta loro di riacquistare la dignità
attraverso la conoscenza di se stessi e
della propria identità, attraverso le re-
lazioni con gli altri, l’educazione e la
coscientizzazione.
Se hai altre storie di vita in armonia
con questa stessa musica regalale a tutti su
rispostanonproblema@gmail.com
Giugno 2012
19

2.10 Page 20

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ARTE SALESIANA
ROZMUS TADEUSZ
Le gloriose catacombe
di San Callisto
Il fascino della “terra dei martiri” attira i pellegrini fino
ad oggi che continuano a visitare questo posto arrivando
da tutte le parti del mondo. Una gran parte dei pellegrini,
alcune centinaia di migliaia ogni anno, sono giovani.
Oggi, dopo ottant’anni di servizio continuo da parte dei
salesiani, le Catacombe di San Callisto sono servite da
una comunità costituita da salesiani provenienti da una
decina di nazioni diverse.
Nelle feste pasquali del 1858,
don Bosco è a Roma. Le
Memorie ricordano una
delle sue giornate: «Passò
quindi alle catacombe di S.
Callisto. Quivi attendevalo
probabilmente il Cavaliere G.B. De
Rossi, che aveva scoperte quelle cata-
combe, ed al quale avevalo presentato
Mons. di San Marzano.
Chi entra in quei luoghi prova una tale
commozione, che rimane indimenti-
cabile per tutta la vita; e D. Bosco era
assorto in santi dolcissimi pensieri nel
percorrere quei sotterranei, ove i pri-
mi cristiani, coll’assistere al S. Sacri-
ficio, colle preghiere in comune, col
canto dei salmi e delle profezie, colla
santissima Comunione, coll’ascoltare
la parola dei Vescovi e dei Papi, ave-
vano trovato la forza necessaria per il
martirio che li aspettava. È impossi-
bile mirare ad occhi asciutti que’ lo-
culi che aveano rinchiuso i corpi san-
guinosi o arsi di tanti eroi della fede,
le tombe di ben quattordici Papi che
avevano data la vita per testificare ciò
che insegnavano, e la cripta di S. Ce-
cilia. D. Bosco osservava i molti anti-
chissimi affreschi che simboleggiano
N. S. Gesù Cristo e l’Eucarestia; e le
care immagini che rappresentavano lo
sposalizio di Maria SS. con S. Giu-
seppe, l’Assunzione di Maria in cielo;
Una delle gallerie delle Catacombe. In questi loculi
sono stati deposti i corpi di tanti eroi della fede.
ed altre la Madre di Dio col bambino
in braccio o sulle ginocchia. Egli era
incantato dal sentimento di mode-
stia che splende in queste immagini,
nelle quali l’arte cristiana primitiva
aveva saputo riprodurre la bellezza
incomparabile dell’anima e l’ideale
altissimo della perfezione morale che
si deve attribuire alla Vergine Divina.
Non mancavano altre figure di santi
e di martiri.
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Giugno 2012

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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D. Bosco usciva dalle catacombe alle
6 della sera e vi era entrato alle 8 del
mattino. Aveva preso un po’ di refe-
zione presso i religiosi che le hanno
in custodia» (Memorie Biografiche V,
919-920).
Forse don Bosco presentiva che la
custodia di quel luogo santo sarebbe
stata affidata ai suoi figli.
Nel 1930, papa Pio XI invitò i salesia-
ni a prendere cura, a nome della Santa
Sede, proprio delle Catacombe di San
Callisto le “Catacombe per eccellen-
za, primo cimitero ufficiale della Co-
munità di Roma, glorioso sepolcreto
di ben 16 Papi del III secolo” (Gio-
vanni Battista de Rossi).
Le meglio conservate
Le Catacombe di San Callisto co-
stituiscono il nucleo cimiteriale più
antico, e meglio conservato, della Via
Appia. Sorte verso la fine del secolo
II da una grande area sepolcrale co-
munitaria della Chiesa, gestita auto-
nomamente dall’autorità ecclesiastica,
prendono nome dal diacono Callisto
che fu preposto all’amministrazione
del cimitero da papa san Zefirino.
Divenuto a sua volta Pontefice, Cal-
listo ingrandì il complesso funerario
e questo fu il luogo dove trovarono
sepoltura sedici Pontefici romani del
III secolo (Cripta dei Papi).
La Cripta dei Papi. È stato definito “il piccolo Va-
ticano, il monumento centrale di tutte le necropoli
cristiane”. Sotto: L’ingresso delle Catacombe.
Alla catacomba si scende mediante
un ripido scalone e, passando proprio
dalla Cripta dei Papi, si accede, me-
diante una piccola apertura, al cubi-
colo in cui fu rinvenuta la tomba di
santa Cecilia: sulle pareti si conser-
vano pitture del V-VI secolo, tra cui
la più antica immagine della Santa
in atteggiamento di orante. Da qui,
nell’821, papa Pasquale I tolse il sar-
cofago della martire per trasportarlo
nella chiesa omonima in Trastevere.
Usciti dalla cripta di santa Cecilia, si
può scendere ad un ossario, costituito
da strati sovrapposti fino a raggiunge-
re 4 metri di altezza, e poi percorrere
una galleria in cui si apre una serie di
cubicoli detti “dei Sacramenti” a causa
delle pitture che alludono al Battesimo
e all’Eucarestia. Dopo aver visitato il
monumentale sarcofago detto “di papa
Milziade”, si penetra nelle altre regioni
dei santi Gaio ed Eusebio e in quella
Giugno 2012
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3.2 Page 22

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ARTE SALESIANA
detta “liberiana” per tre iscrizioni del
tempo di papa Liberio (352-366), nella
quale vi sono arcosoli dipinti con sce-
ne del Vecchio e Nuovo Testamento.
Continuando, si può anche giungere
ad un nucleo primitivo, le “cripte di
Lucina”, dove si trovano il sepolcro di
papa Cornelio decorato da pitture in
stile bizantineggiante e, vicino, due af-
freschi che raffigurano uno, “il Buon
Pastore e orante” e l’altro due pesci con
due cesti pieni di pane e al centro un
bicchiere di vetro colmo di vino, sim-
boli evidenti del cibo eucaristico.
Per motivi organizzativi e legati alla
sicurezza, i visitatori e pellegrini
possono visitare soltanto una piccola
parte delle Catacombe, ma già questa
lascia un’impressione indimenticabi-
le. La consapevolezza di toccare i po-
sti legati con la sepoltura di più di 56
martiri e 18 santi coinvolge e offre un
forte richiamo spirituale.
Non c’è niente da meravigliarsi veden-
do tanti gruppi giovanili, di carattere
catechistico, scout, studenti, scolare-
schi ecc. che da diverse parti del mon-
do arrivano alle Catacombe per respi-
rare l’aria della freschezza della fede.
Una catechesi
I visitatori vengono accompagnati da
guide della loro lingua per la durata
della visita con un’accurata spiegazio-
ne che non si limita solo agli aspetti
storico-culturali. Ogni visita è una
catechesi per eccellenza che lascia una
forte impronta. Per dare alla visita il
significato ancora più profondo, tanti
gruppi chiedono la possibilità di ce-
lebrare la Santa Messa. Ogni giorno
sono decine le Messe che in diverse
lingue, sparse su cubicoli delle cata-
combe, si riuniscono con la voce sus-
surrante dei santi.
Le Catacombe di San Callisto attira-
no tanti salesiani da tutte le parti del
mondo che, come guide, dedicano una
parte della loro vita a questo prezioso
servizio. Ci sono alcuni che svolgono
questo servizio da più di cinquant’anni
e ci sono altri che vengono a San Cal-
listo solo per un periodo breve.
Tra le guide non mancano i giovani
volontari che, in modo particolare
d’estate, rafforzano la loro fede in sin-
tonia con il messaggio profondo della
chiesa primitiva.
Le informazioni più dettagliate e in diver-
se lingue si possono trovare sul sito web
www.catacombe.roma.it
oppure contattando direttamente le cata-
combe di San Callisto:
scallisto@catacombe.roma.it
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Cripta di Santa Cecilia. La statua è una copia della
celebre statua di Stefano Maderno (1566-1636),
scolpita nel 1599, quando fu fatta la ricognizione
della salma. Essa venne trovata nella posizione
riprodotta dallo scultore.

3.3 Page 23

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Ciceroni alle Catacombe di San Callisto
Nazzareno Magnani è uno
dei salesiani che fanno la
“guida” a San Callisto.
Che senso ha per un
salesiano fare da “cicerone”
alle Catacombe?
Prima di essere guida, ero scettico e
mi sembrava non intonato al “carisma”
tipicamente salesiano. In 30 anni di la-
voro, su e giù per le scale a percorrere
gallerie e gallerie con tanti visitatori,
mi sono ricreduto e, ora, mi sembra
un mezzo provvidenziale per far speri-
mentare ai pellegrini i valori essenziali
della vita cristiana.
Che cosa ti dà
questa missione?
I primi cristiani e, specialmente i
martiri, esprimono in questo luogo
un “linguaggio” eloquente e coinvol-
gente. È un lavoro che ti fa “crescere”
perché ti convince e aiuta te a vivere
per primo quello che poi comuniche-
rai agli altri. Se vuoi fare solo il “cice-
rone”, questo non è un lavoro per te,
non resisteresti a lungo, ti annoieresti
presto.
Come reagiscono i visitatori?
In questa attività si intrecciano “sto-
ria”, “archeologia”, “agiografia” e...
tanta fede. La spiegazione sarà un pia-
cevole intercalare di tutti questi argo-
menti, ma la fede li unirà tutti e a tutti
darà fondamento. Da come reagirà il
gruppo, ti accorgerai che gli argomenti
interessano e che la certezza di un fu-
turo di felicità sicuro e perenne in Dio,
è ciò che l’umanità e ogni persona cer-
ca. I visitatori sono contenti quando
sentono affermare che tanti l’hanno
raggiunta e la garantiscono anche a chi
ancora può visitare questi monumenti-
santuari, espressione di fede e di pace.
Ma non è un linguaggio
poco accessibile?
Il linguaggio simbolico, comunicato
dalle figure, è tut-
ta un’espressione di
«Il linguaggio simbolico
comunicato dai reperti è
tutta un’espressione di
fede e di speranza». Tutte
le guide danno un taglio
catechistico alla visita.
fede e di speranza. Le dediche espri-
mono affetto e certezza in un futuro
di vita in Dio. L’arte paleocristiana
dipinge sulle pareti delle tombe que-
gli “avvenimenti” descritti dalla Bib-
bia e dal Vangelo che garantiscono,
se praticati, questo futuro di vita in
Dio. Tutte le nostre guide danno un
taglio “catechistico” (intrinseco del
resto al monumento ) alla visita che
compiono con i visitatori e li pongono
di fronte a “documenti oggettivi” che
loro stessi possono ammirare lungo i
“labirinti” scavati in 15 ettari di lava
vulcanica.
Soddisfatto di questo
impegno?
I salesiani che si trovano alle Cata-
combe di San Callisto sono conten-
ti del loro lavoro. Certo è un lavoro
impegnativo come testimonianza che
devi dare, è sacrificato come orario e
come percorso “sotto terra”, ma reca
tanta gioia per il bene che si può com-
piere per se stessi e per quelle persone
con le quali si viene in contatto e che
sono in continuo aumento.
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FINO AI CONFINI DEL MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
BRASILE
Tecnologia
per l’inclusione
sociale:
l’esperienza
di Alexandre
(ANS - Americana) – Alexandre Garcia
Aguado è un exallievo della Campus Dom
Bosco di Americana. Nel 2011 ha lavora-
to come volontario nelle opere salesiane
dell’Angola, mettendo le sue competenze
tecnologiche al servizio dei giovani più biso-
gnosi. Al suo rientro in patria, in occasione
dell’inaugurazione dei corsi di Tecnologia del
Campus, ha raccontato agli studenti la sua
esperienza parlando in particolare dell’inclu-
sione sociale e della correlazione tra questa
e il miglioramento delle condizioni umane
grazie all’uso delle tecnologie soprattutto
informatiche. Il giovane, poi, ha posto agli
ascoltatori le domande da cui è nata la sua
scelta missionaria: “Cosa sto facendo di buo-
no con le mie conoscenze? Quale significato
voglio dare alla mia professione? A chi voglio
essere di aiuto attraverso la tecnologia di cui
mi occupo?”.
INDIA
Progetto
Bosco: dare
la vita in tutta
la sua pienezza
(ANS - Bangalore) – Da
oltre 22 anni i salesiani,
attraverso il progetto
“Bangalore Oniyavra Seva
Coota” (BOSCO), recupe-
rano dalla strada e offrono
un futuro a migliaia di ra-
gazzi. “Si tratta di seguire
l’insegnamento di Gesù:
lasciare le 99 pecorelle al
sicuro per andare in cerca
di quella smarrita” spiega
don George Payyamtha-
dathil, attuale Direttore del
progetto. Per individuare
i minori bisognosi il
“Bosco” sorveglia i luoghi
a rischio come stazioni
e mercati popolari, dove
possiede dei veri e propri
avamposti. Sono circa
6000 i minori salvati dalla
strada ogni anno con au-
tentiche storie di rinascita,
come quella di Camleti
Manjunath, allontanato
dalla strada a 6 anni,
che ora è un giocatore di
cricket del campionato
statale.
MESSICO
Inaugurazione
del “Bosco
Cinema”
(ANS - Ciudad Juárez) – Nell’ambito del
progetto “Corridoio Culturale Don Bosco”,
in uno dei tre oratori coordinati dall’opera
salesiana di Ciudad Juárez è stato inaugu-
rato il “Bosco Cinema”.
La sala, aperta negli ultimi tempi, si inseri-
sce tra le altre proposte del “Corridoio
Culturale Don Bosco”, che offre iniziati-
ve culturali allontanando i giovani dalle
situazioni di pericolo, purtroppo molto
diffuse nella città.
Le attrattive del Corridoio – oltre al cine-
ma, una galleria d’arte, un forum aperto
per concerti e attività artistiche e una
biblioteca – sono tutte organizzate e am-
ministrate dagli stessi giovani dell’oratorio.
Il cinema, in particolare, è una struttura
aperta anche alle scuole limitrofe come
sede per spettacoli, festival cinematografici
e puro intrattenimento.
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3.5 Page 25

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FRANCIA
Salesiani e
Figlie di Maria
Ausiliatrice,
insieme in
missione
(ANS - Wittenheim) – Da sette anni Sa-
lesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice della
Francia, recandosi in una scuola, animano
una settimana di missione condividendo con
i giovani e gli adulti varie attività. Quest’an-
no la missione si è svolta a Wittenheim, in
Alsazia, sul tema: “Impariamo a mettere
colori nelle nostre vite!”. I circa 500 allievi,
spesso con alle spalle situazioni di falli-
mento scolastico, hanno accolto con grande
curiosità e sincero entusiasmo i missionari.
Sono stati felici di essere ascoltati e valo-
rizzati e nei numerosi scambi informali
con i Salesiani e le fma hanno affrontato in
maniera schietta e feconda tematiche come
la sessualità e la violenza. Tanti sono stati i
giochi e le dinamiche artistiche sviluppati
nella settimana, ma ciò che più ha affasci-
nato i ragazzi è stata soprattutto la concreta
spiritualità dei religiosi.
FILIPPINE
Cucina italiana
per finanziare
progetti sociali
(ANS - Davao City)
– Don Franco Uras,
missionario italiano
nelle Filippine, ha avviato
da qualche mese un
bar-emporio dove sono
in vendita specialità culi-
narie da lui realizzate con
ingredienti naturali. Tra
i prodotti offerti ci sono
alcuni sughi e condimen-
ti della tradizione italiana
arricchiti con spezie e
aromi locali. Don Uras,
inoltre, si è specializzato
anche nella produzione
vinicola e nella prepara-
zione di varie tipologie di
pizza e ormai, quello che
all’inizio era nato come
hobby, è diventata una
vera e propria attività
commerciale. Affiancato
da Wolfgang Csato, un
suo amico medico, don
Uras sta raccogliendo
fondi per avviare un
servizio di accoglienza
e catering per i bambini
bisognosi di una vicina
scuola elementare.
ROMANIA
Essere
don Bosco
oggi
(ANS – Bacău) – “Sono cresciuto come tutti
i ragazzi della mia età, ma il Signore mi ha
portato lì dove non avrei mai immaginato”;
racconta Andrei Laslău, giovane salesiano
rumeno di 23 anni. Conoscendo la storia di
don Bosco, si è avvicinato ai salesiani e ha
scoperto che quei sacerdoti da oratorio che
aveva conosciuto solo attraverso le pagine
di un libro esistevano davvero e dedicavano
la loro vita ai giovani. “Così ho pensato che
avrei potuto fare lo stesso”. “Ho iniziato
facendo il chierichetto nella mia parrocchia,
poi ho frequentato il seminario minore.
Lì, cercando qualcosa di diverso, mi sono
imbattuto in un libro sulla vita di don Bosco;
era quel tipo di prete che mi sarebbe piaciuto
essere”. Dopo gli studi di filosofia in Ita-
lia, i superiori lo hanno mandato di nuovo
a Bacău, sua città di origine, per occuparsi
dell’oratorio dove le attività sono numerosis-
sime e l’entusiasmo è contagioso: “È proprio
come ai tempi di don Bosco: una congrega-
zione fatta dai giovani e per i giovani”.
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3.6 Page 26

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LE CASE DI DON BOSCO
LA COMUNITÀ
Lombriasco
La gloria e la missione dei campi
L’ingresso della
Scuola Agraria
Salesiana di Lom-
briasco (Torino).
Oggi ospita una
vasta gamma di
indirizzi scolastici.
Ci volle un manipolo di san-
ti per fondarla. Cominciò il
beato Michele Rua, primo
successore di don Bosco, che
acquistò il primo nucleo della
casa salesiana di Lombriasco,
un paesino nella fertile pianura piemonte-
se non lontano da Torino, nel 1894, con la dote
lasciatagli dal principe polacco, il beato Augusto
Czartoryski, quando entrò in Congregazione.
Don Rua vi destinò le giovani vocazioni polac-
che, tra le quali annoveriamo lo studente Augu-
sto Hlond, futuro cardinale primate di Polonia,
Servo di Dio.
Per questo i vecchi del paese non chiamavano i
figli di don Bosco Salesiani, ma i polak, i polac-
chi. Nel 1900, nacquero in Polonia le prime opere
salesiane, la Casa perse il suo scopo originario e
divenne noviziato.
I Salesiani si inserirono attivamente nel paese.
Nel 1901 don Giovanni Battista Grosso assunse
la direzione della scuola di canto, insegnando il
gregoriano alle giovani della parrocchia. I Sale-
siani comunicarono la loro passione per la musi-
ca ai Lombriaschesi e, tra i nomi più ricorrenti,
ricordiamo don Bonvicino con la Banda e suc-
cessivamente don Saulo Capellari con la Corale
Hortensia.
Tra il 1905 ed il 1908 la Casa si evolvette lenta-
mente verso un’organizzazione che diventerà, con
gli anni, esclusivamente agraria e scolastica.
Nel 1912 infatti a Lombriasco fortunate circo-
stanze permisero di acquistare un podere di 17
ettari (la cascina Macra) confinante con l’Istituto.
Il vecchio Castello con il terreno circostante di-
venne così “Colonia agricola Sant’Isidoro e Scuo-
la di Agricoltura”. Colonia Agricola e Comunità
che accolse giovani in carenza familiare ed affet-
tiva, a volte anche difficili, e nel periodo bellico
orfani, occupandoli nelle attività dei campi. In
quegli anni si sviluppò anche un altro tipo di ac-
coglienza quella di un buon numero dei cosiddet-
ti “famigli”: persone giovani e meno giovani, sole,
ancora autosufficienti che oggi sarebbero raccolti
in ospizi e case di riposo e che davano anch’essi
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3.7 Page 27

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un contributo prezioso.
La funzione di colonia agricola fu completa-
ta dalla formazione professionale fornita dalla
Scuola di Agricoltura.
Un’azienda modello
Lombriasco, nei suoi inizi, ebbe due valide guide:
il direttore don Pietro Gullino, laureato in agra-
ria all’Università di Pisa e un tecnico pratico, don
Giuseppe Lazzero, diplomato alla regia Accade-
mia di Agricoltura di Torino.
Sotto il direttorato di don Gullino dalla Scuola
di Lombriasco partirono l’incremento dello spi-
rito associativo e cooperativistico, la diffusione
della meccanizzazione, l’incremento zootecni-
co, la propaganda delle concimazioni chimiche,
la dimostrazione dell’enorme valorizzazione
dell’acqua nei confronti della coltura dei terreni.
Nel 1913 a 37 metri di profondità fu individuata
una ricca falda acquifera nel punto più alto dell’a-
zienda. Venne scavato un largo pozzo rivestito
di muratura, nel fondo del quale venne sistemata
una pompa ad immersione ed adiacente al pozzo
venne costruita una vasca di accumulo. L’acqua,
mediante una condotta in cemento, poté essere
distribuita a tutta l’azienda e così la Cascina Ma-
cra si trasformò in un’azienda modello.
Furono anni pionieristici e difficili, soprattutto a
causa della prima guerra mondiale che portò sot-
to le armi ben otto confratelli su quindici.
Nel 1919 a don Gullino succedette come diret-
tore don Lazzero. Fu lo stesso don Pietro Rical-
done, allora Consigliere Generale per le Scuole
Professionali ed agricole, a indicarlo come l’uomo
più adatto come direttore di Lombriasco. Furo-
no dodici anni che dimostrarono le sue notevoli
capacità tecnico-educative. Presto si attirò un’alta
stima tra gli agricoltori della zona per la sua as-
soluta perizia e i risultati ottenuti in campo agra-
rio e zootecnico, ma soprattutto per la sua carica
umana. Don Lazzero portò veramente la casa sa-
lesiana a essere una scuola pratica di agricoltura
anche fuori le sue mura, nell’ambiente contadino
circostante, mediante le cosiddette “cattedre vo-
lanti di agricoltura”.
Questi intelligenti Salesiani della prima ora, tra
i quali ricordiamo don Antonio Acchiardo, don
Francesco Rastello, don Augusto Rinaldi, don
Giovanni Agagliate, sentirono il lavoro in queste
campagne come una missione, e lo era, perché ele-
varono con la parola e con l’esempio il mondo con-
tadino di quegli anni, refrattario ai cambiamenti.
Il 22 settembre 1933 don Lazzero lasciò la casa
I Salesiani
comunicarono
la loro passione
per la musica ai
Lombriaschesi.
In questa foto il
mitico don
Bonvicino con
la Banda.
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3.8 Page 28

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LE CASE DI DON BOSCO
di Lombriasco, in cui aveva lavorato dal 1913.
La sera del 21 settembre del 1933 un gruppo di
agricoltori lombriaschesi si radunò in una sala
dell’istituto per dargli l’addio. Racconta don
Agagliate: “… quella sera presentivamo che per
Lombriasco si chiudeva un’epoca e se ne profilava
ancora confusamente un’altra ed eravamo tristi”.
Per diverso tempo, soprattutto per gli anziani del
paese, a Lombriasco dire Salesiani vuol dire don
Lazzero.
funzionarono abbastanza regolarmente tra attese,
speranze e bollettini del fronte.
Nell’immediato dopoguerra, con l’evolversi delle
scelte scolastiche, venne a cessare la scuola tec-
nico-pratica di agricoltura, assorbita dall’Istituto
Tecnico Agrario. Seguirono l’Istituto Tecnico
per Geometri, la Scuola Media e, nel 2002, il Li-
ceo Scientifico per la Comunicazione in risposta
alle molte richieste di genitori e alunni. E natu-
ralmente la Parrocchia e l’oratorio.
Giovani di un
tempo e giovani
di oggi, uniti dalla
passione per la
terra e dall’educa-
zione dei Figli di
don Bosco.
Tra principi e api
Nel 1937 il direttore don Giovanni Pellegrino,
con intelligenza ed ampiezza di vedute comple-
tò il quadro scolastico con l’apertura dell’Istituto
Tecnico Agrario. Furono gli anni della crescita
della Scuola Agraria Salesiana, con quella gran-
diosità tipica del regime.
Vennero a visitarla agricol-
tori, massaie rurali, autori-
tà scolastiche, gerarchi del
regime e lo stesso Principe
Umberto.
“Con lungimirante visione
e con risoluta determinazio-
ne, così scrive don Cappel-
lari, don Pellegrino costruì
su quell’indirizzo il gran-
de Lombriasco. Lo dotò di
nuove costruzioni, riadattò
gli edifici esistenti, portando
da cinquanta a oltre trecento
gli allievi, diede un volto at-
traente all’azienda, creò un qualificato quadro di
insegnanti. Fine, signorile nel tratto e nella per-
sona, esigeva e otteneva attorno a sé, nelle perso-
ne e negli ambienti, pulizia, ordine squisitezza di
educazione”. Edificò nello stile colonico di quegli
anni la conigliera, la porcilaia, la concimaia, il
pollaio, la stalla, l’apiario.
La seconda guerra mondiale impose un periodo
di riflessione e di raccoglimento, ma le scuole
Gli Albi Professionali Provinciali, come i loro
Consigli Regionali e Nazionali, la stessa Giunta
della Regione Piemonte, annoverano illustri ex-
allievi, così come l’Università di Torino nelle sue
Facoltà di Scienze Agrarie e di Veterinaria hanno
avuto e hanno tuttora alla loro guida exallievi in-
signi della nostra Scuola.
Particolarmente organizzato è il Convitto: per
molte famiglie disagiate o in crisi, noi e la nostra
Opera costituiamo spesso l’unico punto di riferi-
mento sicuro per i loro figli.
L’Azienda Agricola nel suo complesso costituisce
il laboratorio naturale della Scuola Agraria: la sua
attività produttiva mantiene viva una tradizione
della Casa di inserimento nell’ambiente agricolo.
Si rende disponibile a un'azione formativa di tutti
quei gruppi e scolaresche che vogliono usufruire
dell’Azienda didattica.
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3.9 Page 29

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ANNO DELLA FEDE GIOVANE
TONINO LASCONI
Ricreare l’imprinting
La famiglia “di una volta” non proponeva ai figli la fede
portandoli al catechismo, che si riduceva a un breve
periodo prima dei sacramenti, ma per contatto
Rimaniamo con il giovane che
non accoglie l’invito di Gesù
perché non ritiene favorevole
lo scambio tra le sue “molte
ricchezze” e ciò che gli viene
offerto.
E la famiglia? Ha ancora “ricchezze”
capaci di proporre ai figli la dimensio-
ne religiosa della vita? Senza perderci
in complicate analisi, ci limitiamo a
rapidi cenni, dal momento che la storia
la stiamo vivendo e perciò la conoscia-
mo. La famiglia “di una volta” (atten-
zione! “Una volta” non è secoli fa, ma
cinquant’anni!) non proponeva ai figli
la fede portandoli al catechismo, che
si riduceva a un breve periodo prima
dei sacramenti, ma con l’imprinting,
per contatto. Il rosario, la Messa del-
la domenica, il segno di croce davanti
alle “madonnette”, il bacetto a Gesù e
alla Madonnina, le feste del patrono,
le processioni… facevano respirare la
presenza di un Dio che ci ha creato,
che ci segue, che ci chiede di vivere
secondo le regole e i riti della Chiesa.
Questa “aria religiosa” trovava un gros-
so rinforzo nell’autorità degli adulti.
Un “vai a Messa” del papà, o un “vieni
a Messa” del parroco non si discute-
vano. Alla fine degli anni ’60, tutto è
cambiato velocemente.
È terminata così la capacità della fa-
miglia di educare i figli ai valori tra-
mandati, perché cinema, televisione,
cantanti, scuola, sport, internet... of-
frivano proposte nuove e suggestive,
nelle quali, tra l’altro, non c’era più bi-
sogno di cercare sicurezza e conforto
in Dio, perché offerti da agenzie molto
più concrete e verificabili. In questo
nuovo contesto, il “vai
a Messa” del papà, e il
“vieni a Messa” del par-
roco hanno perso ogni
efficacia.
Arriviamo così al presen-
te. Quei ragazzi che negli
anni ’60 si allontanavano
dalla religiosità dei geni-
tori oggi sono nonni. I
loro figli, che non hanno
più “respirato” la religio-
sità in famiglia, sono gli
attuali genitori che han-
no vissuto la giovinezza
senza preghiere, senza
Messa, e senza preoc-
cuparsi delle regole del-
la Chiesa, e che adesso
portano i loro figli al catechismo, salvo
ovviamente la concomitanza con im-
pegni sportivi, ma non alla Messa della
domenica, dedicata al footing, alla pa-
lestra, alle gite, allo sport. Li portano
al catechismo per la prima comunione
e cresima, considerate dalla parrocchia
come tappe di iniziazione alla fede cri-
stiana, ma vissute dalle famiglie e dai
ragazzi come appuntamenti sociali. In
questa situazione abbiamo due possi-
bilità: arrenderci, dichiarando impos-
sibile proporre ai giovani il “vieni e
seguimi” di Gesù, oppure attrezzarci
per una nuova educazione alla fede,
partendo dal ricreare l’imprinting.
Giugno 2012
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3.10 Page 30

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Che ne dite?
A sentire
i figli non si
sbaglia mai
Asentire i figli non abbiamo
che da guadagnarci.
Sì: forse non c’è via miglio-
re per capirli e per imparare
l’arte di educare.
I messaggi dei figli ( special-
mente se bambini) sono tutti sinceri
e veri.
Tutti preziosi. Tutti pieni di sapienza
pedagogica profonda ed illuminante.
Per questo concordiamo con la peda-
gogista Patricia Holland la quale ci
ricorda che “sarebbe bene che i bambi-
ni fossero ‘ascoltati’ tanto quanto sono
‘guardati’”.
Allora, una volta tanto, sentiamo ciò
che ci mandano a dire i nostri piccoli
(i nomi sono di fantasia, i messaggi
tutti rigorosamente autentici!).
“Vorrei avere la tua buona volontà
di lavorare, mamma, ma non vorrei
assomigliare a te per la tua nervosità”
(Raffaella, otto anni).
“Io sono nato perché mia mamma e
mio papà si volevano bene. Quando
incominciano a litigare ho paura che
muoio” (Alberto, sette anni).
“La mia mamma fa la casalinga e così
deve mantenere anche mio papà che
lavora soltanto” (Mario, sette anni).
“Per la mamma la cosa più grave del
mondo è scivolare sulla cera dell’anti-
camera. Per il papà è quando non tro-
va i suoi wafer!” (Micaela, dieci anni).
“Quando io piangevo all’ospedale,
tu mamma, mi tenevi la mano stret-
ta e mangiavi solo i miei avanzi. Sei
sempre comprensiva anche quando
CITAZIONI D’AUTORE
“Niente è peggio per un bambino che avere la sensazione che suo padre e sua madre sono
completamente dediti a lui, che vivono in funzione di lui” (Françoise Dolto, psicanalista
francese).
“Se i genitori riuscissero soltanto a capire quanto annoiano i figli!” (Bernard Shaw, com-
mediografo irlandese).
“Fratelli, amate tutta la creazione. Amate le piante, amate ogni cosa. Amate le bestie, ma
soprattutto amate i bambini perché essi vivono per purificare e commuovere i nostri cuori”
(Feodor Dostoevskij, scrittore russo).
“I genitori che sono sempre condizionati dai figli negli acquisti, alimentano il pensiero
onnipotente della prole” (Giacomo Dacquino, psichiatra).
“Sarebbe meglio fare una carezza in meno ai bambini e una carezza in più agli adolescenti,
soprattutto quando non se la meritano” (Antonio Mazzi, sacerdote educatore)
30
Giugno 2012

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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I SANPIETRINI PEDAGOGICI DOVE VA LA BARCA DEL MONDO?
I sanpietrini sono blocchetti di basalto tra-
dizionalmente usati per lastricare le strade
e le piazze.
Anche l’arte di educare ha i suoi sampietrini
che non stanno in cielo, ma sono la base
sulla quale possiamo camminare sul sicuro.
Eccone una terza manciata:
1. Il dialogo con i figli è indispensabile.
Dell’interrogatorio si può fare a meno.
2. Più stimiamo corto il cervello del fi-
glio, più glielo accorciamo.
3. Giovane’ è parola che deriva dal latino
iuvare’: ‘aiutare’. Una società che non
permette ai giovani d’essere utili, non
li rispetta per quello che sono.
4. Ottima strategia: a parole lorde, orec-
chie sorde!
5. Il gioco è il più simpatico allenatore
del cervello.
6. Non ho tempo”. “Lasciami in pace!”:
parole da usare col misurino.
7. La vitamina C fa bene. L’amore di più!
8. Buon segreto pedagogico: far senti-
re le persone leggermente più alte di
quanto lo sono. Ha ragione il prover-
bio arabo: “Se hai bisogno di un cane,
chiamalo leone! ”.
9. Il successo è come una scala a pioli:
non si può salire con le mani in tasca.
10. Insegnare ai figli la capacità di atten-
dere è un ottimo regalo.
sono di cattivo umore. Io sono con-
tento di avere una mamma come te,
perché no saprei cosa fari senza di te”
(Gianmaria, otto anni).
“Tu mamma dici sempre le bugie.
Esempio: la sera quando vado a letto
mi dici: ‘Mi lavo i denti e poi ti faccio
compagnia’ e poi non vieni mai! Ca-
pisco che sei stanca, ma io preferirei
che mi dicessi subito che non ne hai
voglia!” (Daniela, nove anni).
“Bisticciano sempre, però sono inna-
morati, perché quando siamo a tavola
papà dice alla mamma: ‘Versami il vino,
così è più buono!’” (Paolo, dieci anni).
“Lascia stare tranquillo il papà che
ha lavorato!”, mi dice sempre la mam-
Ieri si diceva: “La mia maestra”.
Oggi si dice: “La mia auto”.
Ieri i giornali si leggevano.
Oggi si guardano.
Ieri per distrarci guardavamo fuori della
finestra.
Oggi guardiamo dentro alla televisione.
Ieri si moriva in pubblico e ci si baciava in
segreto.
Oggi ci si bacia in pubblico e si muore in
segreto.
Ieri si diceva: “La vita è un lampo”.
Oggi si dovrebbe dire: “La vita è un tuono”.
Ieri essere matti era un disonore.
Oggi lo è essere grasso.
Ieri si conosceva anche il valore delle cose.
Oggi si conosce solo il prezzo.
ma. Ma io non sono mica un lavoro!”
(Ornella, cinque anni ).
“Mio papà fa un lavoro non di tut-
ti: fa il netturbino. Lo so che non è
un bel lavoro, ma lui ci mette tutta la
buona volontà e la passione, per poi
dire: ‘Milano è pulita!’. Egli, infatti,
per Milano è un elemento importan-
te!” (Luigi, dieci anni).
“Tu mamma mi piaci quando giochi
con noi e quando cerchiamo di pren-
dere papà quando ci ha fatto qualche
scherzo” (Elisabetta, sette anni).
Niente sarebbe più facile che conti-
nuare a proporre i ‘messaggini’ dei
nostri figli; ma il poco detto è
più che sufficiente per farci
concludere che a ‘senti-
re’ (non dico ‘ubbi-
dire’!) i figli non
si sbaglia dav-
vero, mai. Ci
dicono quello
che pensano
di noi, quello
che desiderano
da noi.
Ieri ‘gente’ e ‘uomini’ pareggiavano.
Oggi la ‘gente’ è tanta e gli ‘uomini’ sono
pochi.
Ieri gli alunni avevano paura dei maestri.
Oggi i maestri hanno paura degli alunni.
Ieri si era connessi con se stessi.
Oggi si è connessi con tutti.
Ieri i baci erano brevi, l’amore lungo.
Oggi i baci sono lunghi, l’amore breve.
Una lettura troppo pessimistica dell’oggi?
Può darsi (chiediamo scusa!).
Però una lettura necessaria!
Al punto in cui siamo, aumentano sempre
più coloro che danno ragione al filosofo
spagnolo Miguel de Unamuno (1864-
1936): “Irritare la gente può essere un do-
vere di coscienza!”.
Per questo un loro giudizio, una loro
opinione, possono valere dieci anni di
inchieste.
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4.2 Page 32

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A TU PER TU
LINDA PERINO
Faccio camminare
i lebbrosi
«Da quando ho conosciuto don Bosco e mi sono innamorata del suo
carisma, del suo progetto, ho preso l’impegno di camminare sulle
sue orme, come educatrice, impegnandomi per i bambini e i giovani.
Sentivo, però, nel mio cuore di avere ancora un debito come figlia di
don Bosco: uscire per le strade e cercare gli ultimi».
Incontro con Lisetta
Fangliulo, volontaria VIS
Com’è iniziata
la tua avventura?
Sono cresciuta nell’ambiente sale-
siano fin da piccola e soprattutto ho
avuto una famiglia che mi ha educato
secondo autentici principi cristiani.
Dovevo solo metterli in pratica! I pri-
mi passi “mondiali” li ho fatti grazie
ad alcuni Salesiani della mia parroc-
chia i quali sono partiti missionari...
una parrocchia dove lo spirito di
mondialità aleggiava costantemente.
Ho insegnato religione, inseguendo il
sogno durante le vacanze estive, pri-
ma con esperienze di animazione ed
educazione per i ragazzi sia in Italia
sia in Bolivia, dove la mia Ispettoria
(la Veneta Est) aveva delle missioni;
poi, nel 2000 e 2001 qualche mese in
Cina grazie alla presenza di un mis-
sionario salesiano che era stato diret-
tore dell’oratorio di Pordenone, città
da cui provengo.
Come sei arrivata a Macao?
Fin dall’inizio, quando mi è stata fat-
ta questa proposta, l’ho vissuta come
una prospettiva strana, diversa dal
solito: non l’Africa, paese missionario
per eccellenza, non l’America Latina,
paese dove sembrano abbondare i ra-
gazzi di strada o le persone che vivo-
no tra le immondizie. Niente di tutto
questo! Ma la Cina, un Paese che se-
condo la mentalità corrente sa poco di
povero e sottosviluppato, sa poco di
missionario e poco amato.
In Cina è arrivata la conferma del mio
sogno: vi sono rimasta prima per tre
anni, poi altri due e poi… cercando
di lavorare e vivere con questa gente.
È stato difficile?
Non posso nascondere le difficoltà
che ho incontrato, le scelte costose, le
tappe di verifica più di quante pen-
savo. Con Dio non si scherza e se gli
domandi una cosa Egli te la dà e se ce
n’è bisogno picchia sodo.
Inizialmente il progetto di tre anni
era di costruire protesi transtibiali
per quelle persone che avevano su-
bito amputazione a causa della leb-
bra; poi insegnare a due ex-ammalati
hanseniani la tecnica, in modo da
poter continuare da soli e dar vita
a un laboratorio di protesi. Avendo
fatto studi classici bisognava metter-
si al lavoro, bisognava riprendere a
studiare.
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Giugno 2012

4.3 Page 33

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«Dopo 10 anni posso dire che i cinesi sono la mia
seconda famiglia».
Hai fatto studi particolari?
Mi sono preparata prima di tutto dal
punto di vista linguistico (inglese e
cantonese), ho frequentato i laborato-
ri di una ditta tedesca che costruisce
arti artificiali, ho studiato una cultura
totalmente diversa dalla mia, ho let-
to tutto quello che poteva esserci sul
campo della lebbra, dell’AIDS e alla
fine Dio, con grande pazienza, ha
vinto. Dopo 10 anni posso dire che
i cinesi sono la mia seconda famiglia
(lascio al primo posto mio papà, mia
mamma e i miei fratelli).
Sfide?
Le sfide inizialmente sono state tante:
lasciare un mondo pulito per un mon-
do sporco, un mondo organizzato per
un mondo che vive alla giornata, un
mondo di amici per un mondo di igno-
ti, un mondo conosciuto e comodo per
uno sconosciuto, scomodo, in cui ci si
sente soli; un mondo fatto a misura per
te per uno che non è tuo e ti costringe
a una vita bislacca e spartana.
Come sei stata accolta?
All’inizio la mia presenza non era
compresa – una ragazza che fa questo
servizio senza retribuzione, mangian-
do tutto quello che si muoveva (ov-
viamente cotto), dormendo sul duro,
lontano da casa. La gente credeva che
avessi un guadagno per tutto questo,
insomma la parola gratuità era scono-
sciuta nel loro vocabolario. Mi ricordo
che uno di loro, uno dei primi cattoli-
ci del villaggio, mi diceva Lisetta “noi
abbiamo la fede ma tu hai l’amore”.
Che impegno!
E oggi?
Attualmente il laboratorio di protesi e
scarpe ortopediche viaggia da solo a tal
punto che il servizio si è esteso in di-
verse Regioni della Cina. Ovviamente
il mio lavoro è cambiato e si è esteso:
promuovo e coordino progetti, seguo il
sostegno a distanza, organizzo corsi di
formazione per lo staff che lavora con
noi, ma soprattutto mi opero per crea-
re una mentalità più mondiale che set-
toriale, una mentalità che porti queste
persone ad aprirsi al resto del mondo,
ad altri esseri umani e a poter procla-
mare liberamente di essere onesti cri-
stiani e quindi buoni cittadini, insom-
ma figli di Dio. Ed è la testimonianza
che parla a questa gente. Persone che
erano lontane dalla società a causa del-
la malattia, hanno ritrovato nei piccoli
lavori di ogni giorno e quindi nell’aiu-
to reciproco vera e autentica pasqua
quotidiana. Coltivare piccoli pezzetti
di terra, lavorare nel laboratorio delle
protesi, aiutare nella clinica mobile,
accompagnare a fare la spesa al mer-
cato del paese vicino coloro che cono-
scevano solo la sedia a rotelle sono dei
piccoli esempi di paradiso.
Soddisfazioni?
Tante. Sicuramente quello che merita
un ricordo speciale è un avvenimento
che ci ha visti protagonisti qualche
tempo fa, anzi che ha visto in prima
fila persone che non erano mai usci-
te dal villaggio dopo la scoperta della
malattia. Ecco organizzata una visita
a Macao in occasione della reliquia di
don Bosco che sta girando il mondo.
Ragazzi, che esperienza, che emozio-
ne! Grazie a don Bosco questa gente
ha potuto ricevere quello che per noi
può essere scontato: un passaporto,
un permesso di uscita, entrare in un
altro Paese. Mi sono commossa, nel
vedere la loro fede semplice ma vera
durante l’adorazione, ho provato gioia
nel partecipare con loro alla proces-
sione e che fatica, sotto il sole chi con
la protesi, chi con le piaghe dovute
alla malattia.
«Uno dei
primi cattolici
del villaggio mi
diceva Lisetta
“noi abbiamo la
fede ma tu hai
l’amore”».
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4.4 Page 34

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MEMORIE
JEAN-FRANÇOIS MEURS
A Valdocco, nella scala
che porta alle camerette
di don Bosco, un grande
quadro raffigura un
Don Bosco pastore tedesco che tiene
una zampa e la faccia
appoggiate contro la
e i cani tonacadidonBosco,come
se volesse impedirgli
Giovanni Bosco quando era an-
cora studente a Chieri strinse
una vera amicizia con il cane
di suo fratello Giuseppe, all’e-
poca in cui questi era mezza-
dro a Sussambrino. Quel cane
era un bracco, un animale da caccia.
Giovanni gli insegnò a prendere al
volo pezzi di pane… e a mangiarli solo
Nella vita di don Bosco, però, c’è
soprattutto il cane grigio, èl Gris’, in
piemontese. Questo cane misterio-
so diventò protagonista di racconti
fantasiosi e lo stesso don Bosco volle
sgombrare il campo da esagerazioni
raccontando “la pura verità” alla fine
delle sue “Memorie dell’Oratorio”
che scrisse negli anni 1873-1875.
di uscire. Mamma
Margherita, indicando il
cane, si rivolge al figlio.
Nella storia di don Bosco
c’è anche lui:
il famoso “Grigio”.
quando gli diceva di farlo. Lo adde-
strò a salire e scendere dalla scala del «Che brutta bestia!»
sera particolarmente buia, tornava a
fienile, a fare salti come in un circo. Negli anni 1850, don Bosco fu vittima casa solo, non senza una certa appren-
“Bracco” lo seguiva ovunque e, quan- di frequenti aggressioni. Per raggiun- sione, quando vide un grosso cane.
do Giovanni lo portò in regalo ad al- gere l’oratorio, dopo aver oltrepassato Dato che il cane non manifestava alcun
cuni parenti di Moncucco, l’animale, il manicomio doveva attraversare una atteggiamento ostile, don Bosco lo ac-
in preda alla nostalgia, tornò da solo a striscia di terreno abbandonato invaso carezzò. Il cane gli fece le feste e lo ac-
casa, alla ricerca del suo amico.
da cespugli e un bosco di acacie. Una compagnò fino all’oratorio; poi scom-
parve. Questo fatto si ripeté più volte.
Nel novembre del 1854, in una notte
nebbiosa, lungo la strada che conduce
dalla basilica della Consolata all’ospe-
dale Cottolengo, don Bosco si rese
conto che due uomini che procedeva-
no davanti a lui rallentavano o acce-
leravano il passo in base alla sua an-
datura. Passò sull’altro marciapiede e
anche i due uomini si spostarono. Era
troppo tardi per cambiare strada. I due
Il cane Grigio interpretato da Nicoletta Bertelle.
loschi individui lo aggredirono e lo av-
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Giugno 2012

4.5 Page 35

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volsero in un mantello. A quel punto
comparve il Grigio, che abbaiò frago-
rosamente, fece perdere l’equilibrio a
uno degli uomini spingendolo con le
zampe e saltò alla gola dell’altro. Gli
aggressori, terrorizzati, pregarono don
Bosco di trattenere il cane. Don Bosco
richiamò l’animale, che continuava ad
abbaiare, e corse fino al Cottolengo,
dove poté tranquillizzarsi.
Un giorno in cui l’animale si avventurò
nell’oratorio, alcuni giovani, spaventati,
cercarono di cacciarlo tirandogli sassi,
ma Giuseppe Bozzetti lo impedì di-
cendo: «Non maltrattatelo: è il cane di
don Bosco». Carlo Tomatis e Giuseppe
Brosio, che vissero gli inizi dell’oratorio,
lo descrissero come un pastore tedesco.
Carlo aggiunse che aveva un aspet-
to che incuteva timore e che Mamma
Margherita non riusciva a trattenersi
dall’esclamare: «Che brutta bestia!».
Faceva pensare a un lupo, con il muso
allungato, le orecchie dritte, il mantello
grigio, l’altezza pari a circa un metro.
Non per nulla si mostrava inquieto di
fronte a chi non lo conosceva. Giovanni
Cagliero testimoniò di aver visto “quel
bravo cane” una sera d’inverno.
Una sera, Mamma Margherita cercava
di dissuadere il figlio dall’idea di usci-
re, ma don Bosco era deciso ad avviar-
si facendosi accompagnare da alcuni
ragazzi grandi e coraggiosi. Il Grigio
era sdraiato davanti alla porta e non
sembrava intenzionato a spostarsi. Don
Bosco gli ordinò: «Alzati e vieni anche
tu con noi». Invece di obbedire, il cane
si mise ad abbaiare e rifiutò di spostarsi.
Don Bosco tentò due volte di scavalcar-
lo, ma il Grigio gli impedì di passare.
Mamma Margherita commentò: «Se
Il quadro di P.G. Crida che rappresenta
il cane Grigio che impedisce a don Bo-
sco di uscire, con Mamma Margherita
che dice: «Se non vuoi ascoltare me,
ascolta almeno il cane!».
non vuoi ascoltare me, ascolta
almeno il cane». In seguito si
venne a sapere che quella sera
don Bosco era minacciato da
alcuni uomini che attendeva-
no che uscisse per assassinar-
lo.
Don Bosco scrisse di aver vi-
sto il Grigio per l’ultima volta
nel 1866 sulla strada che con-
duceva a Moncucco, verso la
fattoria Moglia in cui voleva salutare
il fattore che in passato l’aveva accol-
to come garzone. Il Grigio fu chiuso
in una stanza, per evitare che i cani da
guardia della fattoria lo attaccassero.
Quando qualcuno andò a portargli da
mangiare, emerse che era misteriosa-
mente scomparso.
Fu chiesto più volte a don Bosco un
parere sulla natura di quell’animale
sorprendente. Don Bosco disse alla
baronessa Fassati: «Questo cane è una
creatura degna di nota nella mia vita!
Affermare che sia un angelo farebbe
sorridere, ma non si può nemmeno
dire che sia un cane comune». In un’al-
tra occasione don Bosco si espresse
così: «Ho riflettuto spesso sull’origine
di questo cane… So solo che per me è
stato un dono della provvidenza».
Oltre l’aneddoto
Il legame tra don Bosco e il cane va
oltre l’aneddoto.
Un educatore come don Bosco poteva
presentare il Grigio come una creatu-
ra capace di controllare la violenza. Il
cane insegna ai giovani che non devono
più avere paura della loro aggressività,
che possono incanalarla per metterla al
servizio del bene e che, in definitiva, è
possibile riuscire a contraccambiare il
male con il bene.
Da un altro punto di vista, il cane è
un alter ego di don Bosco: suggerisce
qualche aspetto del suo rapporto con
Dio. Come il cane è stato formato
dall’uomo nel corso di una lunga storia
di vita in comune, così don Bosco si
è lasciato foggiare da una lunga storia
con Dio, una “formazione” che non
lo snatura, ma al contrario valorizza
la sua personalità. Don Bosco è un
uomo plasmato per sempre da Dio,
un “innamorato” della causa divina.
Se gli si toglie il suo padrone, un cane
diventa aggressivo perché perde la sua
sicurezza, e difenderà la casa o l’auto
che conservano l’odore rassicurante del
padrone. Analogamente, non è pos-
sibile togliere Dio a don Bosco senza
che questi perda la sua identità, la sua
energia, la sua gioia profonda. E di-
venta lo strenuo difensore di Dio.
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NOI & LORO
ALESSANDRA MASTRODONATO
LA FIGLIA
Giusto il tempo
di un’estate
C’è chi approfitta della maggiore
libertà di cui gode in vacanza
per sperimentare piccole
trasgressioni, magari lontano
dal controllo vigile dei genitori,
non di rado avvertito come
opprimente e soffocante
C’è chi, all’insegna di un certo consu-
mismo dei sentimenti e delle relazio-
ni, vive gli amori estivi con leggerez-
za e con scarso investimento affettivo,
ben consapevole che si tratta di av-
venture destinate ad esaurirsi nel giro
di poche settimane, o talvolta anche meno.
C’è chi nei piccoli flirt estivi mette il desiderio
di sentirsi diverso, magari più intraprendente e
disinibito di quel che è abitualmente nella vita di
tutti i giorni, oppure una voglia insopprimibile
di evasione da una quotidianità percepita come
monotona e poco gratificante. O, ancora, c’è chi
è convinto di aver trovato l’amore vero, salvo poi
rimanere deluso e frustrato nel constatare che la
relazione, una volta tornati ognuno nella propria
città e ai propri impegni, fatica a superare le dif-
ficoltà connesse con la distanza e, non di rado, si
mostra molto più fragile ed inconsistente di quel
che si era creduto. Per non parlare di tutti i ma-
lintesi e le incomprensioni che sorgono quando
la storia viene affrontata e vissuta, da una parte
e dall’altra, con intenzioni e aspettative diverse.
Quel che è certo è che, quasi sempre, lo spirito
con il quale si intraprendono gli amori estivi è
molto più superficiale e disimpegnato rispetto al
solito. Ma vacanza dallo studio equivale forse a
vacanza dalla serietà e dai propri valori? Vacanza
dal rispetto per se stessi e per gli altri?
È relativamente facile lanciarsi a capofitto e in
modo puramente emozionale in un’avventura
estiva, senza porsi troppi problemi per il futuro
e senza forti investimenti affettivi, nella consa-
pevolezza che si tratta di amori “con la data di
scadenza”, destinati a durare giusto il tempo di
un’estate. Ciò che rende difficile, e bella, una re-
lazione d’amore è la fatica di costruire il rapporto
giorno per giorno, nella quotidianità, approfon-
dendo sempre più la conoscenza reciproca e sfor-
zandosi di rendere speciale e straordinario anche
il banale e l’ordinario.
Per questo è importante, per ogni adolescente,
imparare a non confondere un’infatuazione mo-
mentanea, magari amplificata dal contesto ro-
mantico e spensierato di una vacanza, con l’amo-
re vero e duraturo ed educarsi quotidianamente
a un’affettività matura, responsabile ed esigente,
che si sforzi di superare i limiti un po’ angusti di
una cottarella estiva, per misurarsi con aspettati-
ve e sentimenti più autentici e profondi.
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4.7 Page 37

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MARIANNA PACUCCI
L’estate esplode con la voglia di vacanza
e di evasione dalla routine, il desiderio
di esperienze nuove e di relazioni gra-
tificanti. Per i giovanissimi è il tempo
del divertimento e dell’avventura; ma
anche la tentazione di vivere nel segno
del consumismo i propri sentimenti.
Il cuore ha caldo e le occasioni non mancano: si
sta un po’ più fuori di casa, lontano dal controllo
degli adulti; ci si intrattiene a lungo con i coetanei
e si assapora un tempo libero che può trasformarsi
in spazio di piccole e grandi trasgressioni.
La bella stagione è la cartina di tornasole dell’e-
ducazione affettiva di un adolescente: è il periodo
in cui i genitori verificano se sono riusciti a inse-
gnare ai propri figli che l’amore è una cosa seria
e impegnativa e che gli affetti non possono es-
sere gestiti soltanto in modo emozionale. Amare
qualcuno non può essere ridotto a un passatem-
po giocoso; è una responsabilità da affrontare in
modo non superficiale.
Per i ragazzi tutto questo appare, oggi, quanto
mai fuori luogo: una cotta estiva – dicono – non
ha mai fatto male a nessuno. E sarebbe anche
vero, se non fosse che può lasciare strascichi di
vario tipo e, soprattutto, creare una sorta di as-
suefazione a vivere la relazione affettiva come un
alimento a scadenza ravvicinata. A livello educa-
tivo, non importa se l’innamoramento estivo si
trasformerà a poco a poco in un amore duraturo:
quel che conta, è desiderare che ciò avvenga e im-
pegnarsi lealmente per questo obiettivo. Con se
stessi, perché i sentimenti non vengano sprecati e
buttati al macero; con l’altro/l’altra, perché possa
percepire e convincersi che è una persona specia-
le, degna di attenzione e di rispetto, e non sol-
tanto il riempitivo di un periodo della vita meno
oberato dagli impegni e che si vuole soltanto tra-
scorrere piacevolmente.
Se tutto questo è giusto e condivisibile, l’estate
può allora diventare, per le famiglie, la palestra
nella quale allenare i ragazzi a vivere l’appren-
Il cuore caldo
La bella stagione è la cartina
di tornasole dell’educazione
affettiva di un adolescente
distato sentimentale, che consiste nell’educarsi a
scegliere le strade più efficaci per maturare auten-
tiche competenze sentimentali.
Imboccando questa strada, è possibile scoprire
come, accanto e forse prima di un’esperienza di
coppia improvvisata, è fondamentale sviluppare
altre forme di scambio con i coetanei: l’amici-
zia, soprattutto quando apre alla progressiva
scoperta della complementarietà fra i due ses-
si; l’appartenenza a un gruppo capace di vive-
re forme valide di confronto e coeducazione;
progetti condivisi di solidarietà e volontariato,
che aiutano a percepirsi come soggetti capaci di
farsi dono per gli altri e che offrono a tutti, gli
adolescenti per primi, importanti occasioni di
crescita.
LA MADRE
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Alcuni puntini
sulle “i”
Legittime letture spirituali
possono confondere dati
storici sicuri
“Per rispondere alle at-
tese della gioventù e
dei ceti popolari del
suo tempo, egli [don
Bosco] fondò nel 1841
l’Oratorio concepito
come una grande famiglia giovanile ed
istituì la Pia Società di San Francesco di
Sales”. “Era il 1841 quando Bosco riunì
in un’associazione sacerdoti ma soprat-
tutto laici impegnati nella missione
salesiana per dare maggior impulso e
significato al loro operato”. Così si leg-
ge in pubblicazioni del 2012. È forse il
caso di precisare una storia che sembra
sconosciuta.
Precisioni di date
Anzitutto va detto che la società di
San Francesco di Sales (SDB) è nata
nel 1859, ha ricevuto un decreto di
lode nel 1864, è stata approvata dal-
la S. Sede nel 1869. Prima c’era stata
l’entrata di don Bosco alla casetta Pi-
nardi nel 1846, la sua nomina a capo
degli oratori nel 1852, la scelta, segre-
ta, del nome di salesiani nel 1854. Le
prime professioni salesiane risalgono
al 1862, se si escludono quelle private
di alcuni negli anni precedenti. Inve-
ce le Costituzioni SDB, mai messe in
mano a papa Pio IX nel 1858 come
si continua a scrivere, sono state fir-
mate e inviate a monsignor Fransoni
a Lione nel 1860 e approvate dalla S.
Sede nel 1874. L’Istituto delle Figlie
di Maria Ausiliatrice è sorto a Mor-
nese nel 1872 e le sue Costituzioni
ebbero l’approvazione diocesana nel
1876. Di esse don Bosco non chiese
mai l’approvazione pontificia, come si
è scritto ancora recentemente. L’Ar-
ciconfraternita di Maria Ausiliatri-
ce era sorta nel 1869, mentre la Pia
Unione dei Cooperatori Salesiani,
propagandata qualche tempo prima, è
sorta solo nel 1876 con l’approvazione
della S. Sede.
L’anno 1841
E allora il 1841? Nel 1841 non c’era
alcuna società salesiana, tanto meno
un’associazione di laici che aiutavano
don Bosco, anche se in alcuni parti-
colari documenti don Bosco colloca
in tale data l’origine della società.
Le fonti salesiane, come tutte le fon-
ti storiche, vanno contestualizzate,
analizzate, confrontate, interpretate
con acribia: perché don Bosco scrive
certe cose, per chi le scrive, quando le
scrive, che cosa voleva che capissero
i suoi lettori, che cosa effettivamen-
te hanno inteso loro… Gli studiosi
in genere parlano di generi letterari,
quelli di don Bosco poi sono atten-
ti agli artifici retorici da lui adottati:
amplificazioni, metafore, restrizioni
mentali, letture retrospettive… In
caso contrario non si riesce a darsi ra-
gione del perché lo stesso don Bosco
indichi diverse date dell’inizio della
sua Opera, oppure perché definisca
Memorie dell’Oratorio [di Valdocco] i
suoi primi trent’anni di vita quando
evidentemente di Oratorio a Valdoc-
co non esisteva neppure l’ombra, e
così via. Del resto di vero e definitivo
“Oratorio-culla dell’Opera salesiana”
si può parlare forse solo dal 12 aprile
1846 (trasferimento in alcuni locali
affittati di Casa Pinardi).
Il 1841 rimane dunque semplicemente
l’anno in cui don Bosco viene ordinato
sacerdote (5 giugno) e si trasferisce a
38
Giugno 2012

4.9 Page 39

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“imparare a fare il prete” al Convitto
di Torino (3 novembre), dove i preti-
studenti facevano esperienze pastorali
nelle carceri, negli ospedali, sui pul-
piti, negli istituti di beneficienza, “nei
palazzi dei grandi e i tuguri dei pove-
ri”, facendo pure catechismi ai ragazzi,
come Bartolomeo Garelli. Trent’anni
dopo, definendo con legittime ragio-
ni spirituali e carismatiche, questo suo
triennio al Convitto come “primordio”
dell’Opera salesiana, don Bosco inten-
deva semplicemente indicare ai suoi fi-
gli come quelle esperienze erano state
degli antefatti, dei precedenti provvi-
denziali dell’Opera salesiana.
Precisione di termini
Nelle pur legittime letture spirituali
dei dati storici, occorre evitare espres-
sioni semplificative e portatrici di
ambiguità. Ad esempio definire for-
malmente mamma Margherita come
“la prima e principale cooperatrice
salesiana”, non sembra corretto, in
quanto lei faceva semplicemente i
suoi servizi a Valdocco, senza inte-
ressarsi d’altro, non certo degli allora
inesistenti “Cooperatori Salesiani”.
Non c’è ovviamente nessun dubbio
che mamma Margherita abbia “co-
operato” con don Bosco, e come lei
Don Bosco
incontra artigiani
e imprenditori
per sistemare
degnamente i suoi
ragazzi.
tante altre persone. Tutti “Coopera-
tori Salesiani” ante litteram? E perché
non don Cafasso, e don Borel, che
furono i veri parafulmini (politici,
morali, economici) di don Bosco dei
tempi difficili del primo Oratorio?
Confondere collaboratori con Coope-
ratori Salesiani (e magari benefattori),
sovrapporli indistintamente e sempli-
cemente, può essere fuorviante per
una precisa definizione dell’identità
dei “Cooperatori Salesiani” pensati e
voluti da don Bosco.
Lo stesso si dica a proposito dei ter-
mini fondatori e cofondatori. Definire
mamma Margherita come “vera co-
fondatrice” della Famiglia Salesiana
fa rabbrividire, perché storicamen-
te falso. Morta nel 1856 non poteva
“co-fondare” niente e nessuno dei 4
gruppi citati, a meno di giocare con
Mamma Margherita e
don Bosco con i primi
ragazzi nella cucina di
Valdocco.
le parole. Don Bosco è e rimane il
fondatore unico di tutti, mentre alla
sola madre Mazzarello è stato rico-
nosciuto il titolo di “cofondatrice” del
suo Istituto. E si potrebbe continuare
con la confusione che esiste oggi – so-
prattutto sugli organi di stampa – circa
chi siano in realtà i Salesiani, i Salesia-
ni Coadiutori, i Salesiani Cooperatori,
i Salesiani Laici, i Laici Salesiani, i
Laici della Famiglia Salesiana, i Vo-
lontari con don Bosco, i membri laici
del Movimento Giovanile Salesiano,
gli Amici di don Bosco… Se poi, come
capita sovente, per semplificare, si ri-
ducono i binomi o trinomi a monomi
oppure l’aggettivo diventa sostantivo o
viceversa (Salesiani Cooperatori/Coo-
peratori Salesiani), allora la babele di-
venta totale, con tutte le figuracce del
caso per i salesiani-doc, come quando
qualche exallievo non proprio “onesto
cittadino e buon cristiano” si definisce
tout court “salesiano”.
E si potrebbe continuare con tante
altre semplificazioni, sovrapposizio-
ni e forzature che sull’onda delle pur
legittime interpretazioni carismatico-
spirituali, facilmente rischiano di
confondere dati che un’attenta analisi
storica ha raggiunto con fatica.
Giugno 2012
39

4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A CURA DI PIERLUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Guarita da
un tumore maligno
Operata nell’agosto 2009 con
asportazione dell’intera ovaia de-
stra, a seguito di adenocarcinoma,
nessuno degli oncologi consultati
dopo l’intervento mi diede molte
speranze. Avevo buone probabilità
di salvarmi, ma praticamente nes-
suna di avere altri figli, poiché avrei
dovuto sottopormi ad un secon-
do intervento per l’asportazione
dell’utero e dell’ovaia sinistra. Rac-
colsi tutte le pochissime speranze,
affidandomi a san Domenico
Savio, e consultai l’ultimo dottore
che con mia grande meraviglia ac-
cettò di operarmi, riservandosi di
lasciare in sede l’utero e l’ovaia si-
nistra qualora fossero risultati sani
dopo apposita biopsia eseguita
durante l’intervento. E così fu: gli
organi erano sani e mi furono la-
sciati; tuttavia dopo l’operazione
si instaurò un edema linfatico alla
gamba sinistra. Nonostante tut-
to, trascorsi sei mesi i medici mi
dissero che potevo tentare d’intra-
prendere una gravidanza. Rimasta
incinta, il mio edema peggiorò, ma
non persi la speranza: mi affidai di
nuovo a san Domenico Savio e ad
un bravo medico. Ridottosi il gon-
fiore alle gambe, dopo una serena
gravidanza, il 3 febbraio nacque
Andrea, un bambino dolcissimo.
Ero felicissima. Dopo una setti-
mana il piccolo ebbe un’infezione
alle vie urinarie e fu necessario
ricoverarlo. Gli feci indossare l’a-
bitino di Domenico Savio e anche
questa disavventura si risolse per
il meglio. Ora Andrea è un bambi-
no allegro e pieno di gioia. Io sto
bene e i medici mi hanno giudicata
guarita dal cancro.
Giordano Nadya,
Villa Lagarina (TN)
Ospedale irraggiungibile:
… ma fu una grazia
Mi chiamo Roberta, ho 35 anni. Nel
2009 sono rimasta incinta del mio
secondo bambino. Purtroppo dopo
poche settimane lo persi a causa
di un aborto interno. Ne seguì per
me un periodo molto triste e di sof-
ferenza. L’anno seguente con mio
marito decisi di riprovare ad avere
un altro bambino. In quel periodo
venni a conoscenza dell’abitino di
san Domenico Savio. Lo indos-
sai subito, raccomandandomi alla
sua protezione, e promisi di pubbli-
care la grazia, se tutto fosse andato
bene. Dopo pochissimo tempo ri-
masi di nuovo incinta con grandissi-
ma gioia. Ma non fu una gravidanza
semplice, poiché seguirono disturbi
seri, tra cui una sospetta infezione
da Citomegalovirus, che destarono
notevole preoccupazione. Era previ-
sto che la nascita del mio bambino
sarebbe avvenuta in un dato ospe-
dale, che però la sera del travaglio
non fu possibile raggiungere, in
quanto trovammo la strada chiusa.
Con rammarico ci affidammo all’o-
spedale più vicino. Poco dopo si
seppe che tutti i bimbi nati in quel
periodo nell’ospedale “irraggiungi-
bile” avrebbero dovuto sottoporsi
ad un test di controllo di un virus
che circolava nel nido dell’ospedale.
Come non ringraziare san Domeni-
co Savio per quella strada chiusa? Il
18 marzo 2011 è nato il mio piccolo
Lorenzo Savio, che sta benissimo.
Aglitti Roberta, Cave (RM)
Per la pubblicazione non si
tiene conto delle lettere non
firmate e senza recapito.
Su richiesta si potrà omettere
l’indicazione del nome.
ESERCIZI SPIRITUALI
al SALESIANUM
Aperti a tutti
25-30/06/12
LA VITA BUONA DEL VANGELO
La gioia e la fatica di rinascere dall’alto: “La fede è radice di pie-
nezza umana, amica della libertà, dell’intelligenza e dell’amore”
Don Bruno Ferrero SDB
(numero max di partecipanti 40).
03-08/9/12
L’ESPERIENZA DEL DISCEPOLO E IL CAMMINO CON GESÙ
NEL VANGELO DI GIOVANNI
Don Giorgio Zevini SDB – Decano emerito della Facoltà di Teo-
logia dell’Università Pontificia Salesiana e Biblista (numero max
di partecipanti 28).
Gli Esercizi sono pubblicati sul calendario Fies ma il numero dei partecipanti è
limitato, pertanto Vi invito a riservare il Vostro posto quanto prima. Siamo a Vo-
stra disposizione per tutti i chiarimenti di cui avrete bisogno.
Potete contattarci all’indirizzo e-mail salesianum@sdb.org
NB: i corsi hanno inizio il lunedì mattina dal pranzo e si concludono il sabato mattina
prima del pranzo alle ore 12,00.
CASA di Esercizi: Casa Salesiana “Beato Michele Rua” – Salesianum - Via della Pisana 1111 Roma
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Giugno 2012

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
Grandi opere salesiane in un grande paese
Il grande continente americano rappresentò nell’’800 e nei primi
decenni del secolo scorso la terra verso cui milioni di italiani
si riversarono nella speranza di sfuggire a una vita di stenti e
di vedere realizzate aspirazioni e illusioni. Provenienti dappri-
ma da Veneto e Liguria e successivamente da tutte le regioni
meridionali, in XXX si crearono numerose comunità di italiani
laboriosi e sorse l’esigenza di seguire e guidare spiritualmente
questi uomini raccogliendoli in parrocchie e dando loro anche
assistenza materiale. Il mons. Aneiros aveva richiesto l’opera dei
Salesiani e quando il consolato propose a don Bosco di gestire una parrocchia e un collegio a Buenos
Aires questi, che aveva da poco fondato i Cooperatori, predispose una prima spedizione missionaria.
Nel 1875, guidati da don Giovanni Cagliero, i missionari di don Bosco si imbarcarono dal porto di Ge-
nova. A tutti costoro don Bosco disse: «Fate quello che potete, quel che non potrete fare lo farà Dio».
Esattamente un anno dopo un altro gruppo di salesiani aprì in quella città lontana una scuola di arte e
mestieri dove si formarono falegnami, sarti e artigiani vari. Altri salesiani arrivarono con la terza spedi-
zione congiuntamente alle prime Figlie di Maria Ausiliatrice e
nel 1879, com’era nei desideri di don Bosco, si avviò la prima
spedizione verso la desertica Patagonia al seguito di contin-
genti dell’esercito. L’operato salesiano, di evangelizzazione e
di impegno pastorale oltre che di creazioni di case salesiane
e assistenziali, fu notevole e ha lasciato un importante segno
nella cultura e nello spirito di questo popolo. Le spedizioni
realizzate da don Bosco furono undici e a tutt’oggi sono 5 le
Ispettorie salesiane, diffuse su tutto il territorio con oltre 120
opere animate da un migliaio di salesiani.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Città libica sul
Golfo della Sirte - 8. Stupenda piazza
voluta da Ludovico il Moro a Vigevano
- 13. Quieta - 14. Vi nacque Pergolesi
- 16. Asciutte, secche - 18. Privo di ac-
cento - 19. In Gran Bretagna è ora detta
Camera dei Lord - 20. Lo dicono i mari-
nai sollevando un carico - 21. Vi ribolle
il mosto - 22. Bagna Fornovo - 23. Il
Nino che compose le musiche di celebri
film - 24. Una prep. semplice - 25. La
dea greca della vendetta - 26. XXX -
28. Un moderno esame diagnostico -
29. Taranto - 30. Vivacità, allegria di
spirito - 31. Popolo che abitò la Beozia
- 32. Il “bidone” che si dà a Roma! -
33. Simile all’asino - 34. Culla - 35.
Scala... a Londra - 36. Era valoroso il
Telamonio - 38. L’eroico Enrico che
lanciò una stampella - 39. Non allegro
- 40. Un capolavoro dell’architettura
moderna realizzato in Pennsylvania da
Frank Lloyd Wright.
VERTICALI. 1. Può essere cancellata
- 2. Immagini sacre - 3. Proverbialmente
lo è il pesce - 4. Il nome del violinista
Ughi - 5. Alla fine della radura - 6. Co-
pricapi papali - 7. Aviatore - 8. Il nomi-
gnolo della sfortunata Lady Spencer - 9.
Pura, innocente - 10. Bruciata - 11. Una
moglie di Giacobbe - 12. Harris, attore
nomination agli Oscar per Apollo 13 -
13. Il rumore... di un grosso guaio - 15.
Lo pronunciano gli sposi all’altare - 17.
Sviluppare sani principi con l’esempio -
19. Soddisfatto - 20. Atomi elettrizzati
- 22. Un’orchestra... minima - 23. La
Morelli indimenticata attrice - 24. Una
discesa vista dal basso - 26. Cittadina
francese con un famoso anfiteatro - 27.
Un long drink a base di gin - 28. Fette di
pan carré accoppiate, farcite e rosolate -
30. Nel golf vi si indirizza la pallina - 32.
Gabbia per polli - 33. Veloci imbarca-
zioni armate di siluri - 34. ... Moschin,
reggimento di incursori detto Il Nono -
35. Santa Romana Chiesa - 37. Afferma
a Berlino (i=j) - 38. Il Tallio - 39. Gli
estremi nel tennis.
Giugno 2012
41

5.2 Page 42

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
DON ALESSANDRO GIULIANI
morto a Bologna il 21 marzo 2012, a 47 anni
Un messaggio sul suo telefonino:
«Abba 8500 banbini aspetano te
un bacio grande». Arriva dall’Etio-
pia dov’è rimasto il grande cuore di
don Alessandro Giuliani, per tutti
Abba Sandro. Era economo della
Visitatoria Africa Etiopia-Eritrea,
ma era soprattutto un uomo giova-
ne, generoso e forte, che aveva la
Missione nel sangue.
Le sue testimonianze online sono
piene di tenerezza e di entusiasmo.
«Posso presentarvi Bemnet?
Sei anni in un metro scarso di al-
tezza, 25 kg ad essere generosi e
un perenne sorriso sulle labbra.
Frequenta la prima elementare nel-
la nostra scuola di Mekanissa, per
cui ci conosciamo da poco più di
due mesi.
La sua caratteristica è che ad ogni
ricreazione, sia quella breve del
mattino, sia quella del pranzo, è
sempre attaccato a me. E quando
dico attaccato, non è in senso figu-
rato. Si aggrappa al mio mignolo, a
destra o a sinistra, non ha impor-
tanza anche se c’è già qualcun’altro
che mi tiene per mano, e non si
stacca più. Ogni cosa lo riempie
di meraviglia: in me, la mia barba,
con le sue prime sfumature bian-
che (le troppe preoccupazioni), il
fischietto che si intravede sotto il
maglione, il portachiavi di Snoopy;
e tutto il mondo che lo circonda: si
ferma a contemplare una formica
che trasporta una briciola di pane;
corre dietro ai piumini dei soffioni
e viene a regalarmeli come trofei
conquistati a caro prezzo; ogni og-
getto che trova per terra (fil di fer-
ro, bastone, sasso, foglia, elastico,
pezzo di carta...) per lui diventa
fonte di stupore e si trasforma in
gioco. Ma cosa avrà da essere così
felice Bemnet? Perché per lui ogni
giorno è una gioia? Lo stupore del
quotidiano!»
«Ieri mattina mi ero messo di buo-
na intenzione a voler rispondere a
un po’ di e-mail arretrate. Ma ap-
pena mi metto al computer, ecco
che vengo interrotto...
Un vecchietto, cieco, è al cancello
con la figlia. Mi manda a chiama-
re. E già io parto di malavoglia,
imprecando contro il guardiano
che non mi ha saputo dire chi osa
disturbare il mio “digitare”. Mi ap-
presso, saluto, gli stringo la mano,
e lui si alza con fatica dalla panca
sulla quale aspettava, si prostra
a terra, e comincia a baciarmi la
mano.
Mi chiede di dare da lavorare alla
sua figliola, una di altre otto boc-
che da sfamare. E io a dire: “No,
non ne abbiamo bisogno!”.
Perché devo sempre essere così
preoccupato dei soldi? Perché
non posso donare, donare a piene
mani, senza nessun calcolo, senza
nessuna paura... Perché io, diret-
tore di una casa salesiana, devo
preoccuparmi più del conto in
banca che del povero che viene a
bussare alla mia porta, più del de-
naro da risparmiare per mandare
avanti le tante attività che la nostra
missione richiede e non della fatica
del vivere quotidiano della povera
gente? Il mio cuore fa fatica ad ac-
cettare questi compromessi, mi fa
star male...».
«Che bello vedere che anche oggi,
nel terzo millennio, ci sono per-
sone che lasciano tutto e vivono
il Vangelo in totalità. Perché non
anch’io? Quanto ho bisogno delle
vostre preghiere per provare a di-
ventare un po’ più buono, un po’
più santo! E io vi assicuro le mie
preghiere per il vostro personale
cammino di conversione e perfe-
zione. Perché solo questo è quello
che conta! Abba Sandro»
Poi la terribile malattia, im-
provvisa, inspiegabile, crudele.
L’affronta come la vita: stessa
forza e stessa fede.
«Ho avuto più volte l’impressione
di vederlo “surfare” sulle onde del-
la malattia spinto dalla preghiera di
tutti voi, di cui continuamente rice-
veva testimonianza, con una se-
renità ed un equilibrio apparente-
mente impossibile, come se fosse
la cosa più naturale del mondo…»
afferma il fratello Eddy. «Infine,
l’ultima notte ad un tratto si è ri-
scosso dal torpore che ormai l’ap-
pesantiva e a chiesto a mamma il
libretto delle preghiere. Ha recitato
le formule di introduzione poi, con
fare deciso, ha chiesto a mamma
di leggere la prima lettura e a me
il Vangelo. Poi ha chiuso gli occhi
stanchissimo. Ecco lì mi è stato fa-
cile vedere il gesto del Cristo che
“indurisce il volto” ed affronta la
sua ultima salita a Gerusalemme.
L’ultima liturgia di Sandro è stata
molto dolce, si è addormentato
con la fiducia e la serenità di chi
sa di essere atteso. Questa è stata
per lui la sua vera Pasqua. Il suo
ultimo messaggio, scritto sotto
dettatura: “Affidiamo tutto nelle
mani del signore. Lui sa cosa è
meglio”».
«Quando un Salesiano muore la-
vorando per le anime la Congre-
gazione ha riportato un grande
trionfo» ha detto don Bosco. E la
Congregazione salesiana è fiera
di avere avuto uomini come Abba
Sandro.
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Giugno 2012

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
La fiera del diavolo
Un giorno, il diavolo orga-
nizzò una fiera per l’esposi-
zione e la vendita delle sue
armi e dei più sofisticati
strumenti per tentare gli es-
seri umani.
Per giorni, i suoi dipendenti si
erano dati da fare per allestire gli
stand, collegare fari e luci, srotolare
la moquette, stendere
tappeti ed esporre
in modo allettante
le ultime inven-
zioni diaboliche.
C’erano congegni
e dispositivi per
tutte le categorie di
peccati. Soprattutto
per i sette peccati
capitali: kit lussuosi
per eccitare alla superbia,
all’avarizia, alla golosi-
tà, all’ira, alla lussuria,
all’invidia, all’accidia.
E insieme ai dispositi-
vi, montagne di cataloghi
patinati, video, cd. E diavo-
lesse conturbanti, naturalmente.
I cartellini con i prezzi erano ben
visibili, con lo sconto, come in ogni
fiera che si rispetti.
Ma nel grande e sontuoso stand c’e-
ra una vetrinetta misteriosa. Conte-
neva una piccola chiave dorata, su
un cuscinetto di velluto rosso. Era
l’unico oggetto che invece del soli-
to cartellino aveva una targhetta che
diceva: «Fuori prezzo».
Un visitatore sbandierando una carta
di credito dorata voleva a tutti i costi
sapere a che cosa servisse e sbraitava
di essere disposto a pagare qualsiasi
prezzo. Di fronte alla sua ostinata
insistenza fu chiamato il Principa-
le. Dopo un bel po’ d’attesa, Satana
arrivò preceduto dall’inconfondibile
odore di zolfo. Con i suoi modi sot-
tili e falsamente gentili, Satana dis-
se al cliente visibilmente interessato
che quella chiave gli era oltremodo
cara, che non aveva prezzo e che lui
ci teneva tanto, perché gli permette-
va di entrare nell’anima di chiunque,
fosse laico, prete, religioso, anche
vescovo o cardinale. Qualun-
que fosse il grado della sua
fede, della sua santità, della
sua età, quella chiave
prodigiosa funzio-
nava sempre.
Il cliente era molto
insistente e alla fine
Satana, nonostan-
te la sua astuzia,
non riuscì a man-
tenere il segreto
e a mezza voce,
confessò: «Questa
chiave è lo scoraggia-
mento».
Chi è scoraggiato mor-
tifica, odia se stesso e gli
altri, perché chi è ferito fe-
risce. Lo scoraggiamento è il
contrario della fede. «Se Dio
è per noi, chi sarà contro di
noi?» (Romani 8,31).
Giugno 2012
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Conoscere don Bosco
Un nuovo modello di
missione e di missionario
La decisione di aprire
la Famiglia Salesiana
alle missioni ad gentes
Memorie di famiglia
Padre Bronislao
Markiewicz
Fondatore dei Micheliti
e delle Michelite
della Famiglia Salesiana
L’invitato
Il cardinale Oscar
Rodiguez Maradiaga SdB
Arcivescovo di Tegucigalpa
capitale dell'Honduras
Le case di don Bosco
Don Bosco e i Salesiani
a Genova
Un felice incontro
che dura da 140 anni
Ricordi
Don Giuseppe Kowalski
N. 17350
Settant'anni fa il martirio
di un salesiano mite
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612658
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.