Bollettino_Salesiano_202201

Bollettino_Salesiano_202201

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Don Bosco
nel mondo
Nigeria
Accendere
il sole a Ibadan
I nostri grandi
Don Luis Bolla
L’uomo chiamato
“Stella del mattino”
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
GENNAIO 2022
L’invitato
Don Gianni
Ghiglione
Viaggio nel cuore
di San Francesco
di Sales
In prima linea
Žilina, Slovacchia
30 anni a servizio dei giovani

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I FIORETTI DI DON BOSCO
B.F.
I proverbi di
Mamma Margherita
M amma Margherita era il
cuore di Valdocco. Era
sempre là, nella sua stanza,
come il tabernacolo in chiesa, circon-
data a destra e a sinistra da alcune
sedie sepolte sotto una montagna di
biancheria da cucire. Cuciva indefes-
samente senza alzare gli occhi. Ma
non era mai sola.
Era facile vedere qualche ragazzino
che le stava davanti con la testa bassa.
Margherita gli diceva dolcemente:
«Sai perché sei così cambiato? Perché
sei diventato cattivo? Perché non pre-
ghi! Se Dio non ti aiuta, dove andrai
a finire? Bada che il Signore non ti
abbandoni». E, come faceva sempre,
concludeva con un saggio proverbio,
che in piemontese faceva rima ed era
facile da ricordare: «Scende chi vuole,
monta chi può» (A calé cala chi ch’a
veul, a monté monta chi ch’a peul).
A un ragazzo che aveva commesso
una mancanza, Margherita diceva:
«Sì: farò quel che tu domandi; ma
dimmi: sei andato a confessarti?»
«Ieri mattina non ebbi tempo». «E
sabato?» «Ce ne erano troppi intorno
al confessionale». «E Domenica?»
«Non ero preparato». «Già! Una
cattiva lavandaia non trova mai una
buona pietra per lavare i panni» (Na
cativa lavandera treuva mai la bon-a
pera).
A chi arrivava con la giacca in mano
per far vedere che si era staccato un
bottone, Mamma Mar-
gherita porgeva bottone
e ago, e diceva: «Prova a
cucirlo tu. Bisogna impa-
rare a fare un po’ di tutto:
Non sai che colui il quale non
è capace a tagliarsi le unghie con
tutte due le mani, non riuscirà a gua-
dagnarsi il pane?» (Chi sa nen tajese
j’onge con tute e doe le man, l’è nen bon
a vagnese ’l pan).
Qualche piccolino arrivava pian-
gendo per i dispetti dei compagni.
Mamma Margherita lo faceva sedere
su uno sgabelletto ai suoi piedi,
mentre con il dorso della mano si
asciugava le ultime lacrime. Marghe-
rita aveva il dono della consolazione.
Porgeva al piccolo un grappoletto
d’uva. E diceva: «Piangi solamente
per questo? Scioccone! Non lo sai
che bisogna avere un po’ di pazienza?
Solo in paradiso starai tranquillo.
Già si sa: Non vi è alcun paese in cui
vi siano tante miserie come al di qua
e al di là di Po» (Ant gnun pais a-i son
tante miserie come dëdsà e dëdlà dël Po).
Se un ragazzino trasandato si di-
vertiva con un vecchio fazzoletto
appallottolato, Mamma Margherita
riprendeva il fazzoletto e rimprovera-
va il monello: «Perché sciupi a questo
modo la roba? Mi dici che non serve
più, ma “per togliere la pelle dell’aglio
perfino le unghie vengono a propo-
sito”» (Fin-a j’onge ven-o a taj per plé
l’aj). Alcune volte un bricconcello riu-
sciva a sottrarle dalla cucina una mela
o un pomodoro e sorridendo la faceva
vedere di nascosto ad un compagno,
che stava in agguato a “fare il palo”.
Margherita con la coda dell’occhio lo
sorprendeva e in tono burbero diceva:
«Ma bravo! La coscienza è come il
solletico: chi lo sente, e chi non lo
sente (La cossiensa a l’è parej del gatij,
chi a lo sent, chi a lo sent nen). Frase che
ripeteva tutte le volte che uno lambic-
cava scuse, quando era stato avvertito,
o diceva: “Che male ho fatto io!”.
Quando un ragazzo non si correg-
geva di qualche difetto e qualcuno
lo scusava con il dire che era giova-
ne e che crescendo avrebbe poi mes-
so giudizio, ella rispondeva: «Chi a
venti (anni) non sa, a trenta non fa e
asino per sempre sarà!» (Chi a vint a
sa pa, a tranta a fa pa, e aso per sempe
a sarà).
LA STORIA
Questi e molti altri proverbi si trova-
no nelle Memorie Biografiche volu-
me III, 373.
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GENNAIO 2022

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Don Bosco
nel mondo
Nigeria
Accendere
il sole a Ibadan
I nostri grandi
Don Luis Bolla
L’uomo chiamato
“Stella del mattino”
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
GENNAIO 2022
L’invitato
Don Gianni
Ghiglione
Viaggio nel cuore
di San Francesco
di Sales
In prima linea
Žilina, Slovacchia
30 anni a servizio dei giovani
GENNAIO 2022
ANNO CXLVI
NUMERO 01
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
La copertina: Un moderno ritratto
di don Bosco.
2 I FIORETTI DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 DON BOSCO NEL MONDO
Accendere il sole a Ibadan
10 TEMPO DELLO SPIRITO
12 L’INVITATO
Don Gianni Ghiglione
16 IN PRIMA LINEA
Žilina, Slovacchia
20 LE CASE DI DON BOSCO
Gela
24 FMA
Quanto costa la gentilezza?
26 SENZA CONFINI
Il maledetto sudore del fango
30 I NOSTRI GRANDI
Don Luis Bolla
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
12
24
30
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 64
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
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Il Bollettino Salesiano
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Roberto Desiderati,
Emilia Di Massimo, Ángel Fernández
Artime, Antonio Labanca, Carmen
Laval, Cesare Lo Monaco, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto, José
Luis Muñoz, Marcella Orsini, Pino
Pellegrino, O. Pori Mecoi, Vicente
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livello internazionale che tutelano le foreste, l’ambiente
e i lavoratori.

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Ángel Fernández Artime
Sulle spalle di due giganti
La spiritualità salesiana è forte e
regge l’urto del tempo perché
saldamente connessa a due figure
uniche nella storia provvidenziale
della Chiesa: san Francesco di
Sales e san Giovanni Bosco.
V i auguro un felice anno nuovo, cari let-
tori del Bollettino Salesiano. Un felice e
benedetto anno 2022. Alla fine di que-
sto mese celebreremo i quattrocento anni
dalla morte di un grande santo, un genio, unico nel
suo tempo: Francesco di Sales, il santo di cui noi,
salesiani di don Bosco, portiamo il nome.
Un giorno don Bosco disse a un gruppo di ragazzi
che erano cresciuti con lui: «Ci chiameremo Sale-
siani». E così iniziò questa affascinante “avventura
nello Spirito” che avrebbe dato origine al grande
albero che oggi è la Famiglia Salesiana di don Bo-
sco, che ha le sue radici e trae nutrimento dalla spi-
ritualità di Francesco di Sales, letta e praticata con
la sensibilità di un altro gigante, don Bosco.
Per questo parlo di due giganti che “reggono” il cari-
sma salesiano, perché entrambi sono un grande dono
nella Chiesa, e perché don Bosco ha saputo tradurre
la forza spirituale di Francesco di Sales come nessun
altro nell’educazione ed evangelizzazione quotidiana
dei suoi ragazzi e, grazie alla sua famiglia, tenerla
viva nella Chiesa e nel mondo di oggi.
Due madri sante
Francesco di Sales e Giovanni Bosco hanno molte
cose in comune, fin dalla culla. Francesco di Sales
è nato sotto il cielo savoiardo che corona le valli
attraversate da torrenti che nascono dalle cime più
alte delle Alpi. Come non pensare che anche Gio-
vanni Bosco era savoiardo. Non nato in un castello,
ma con lo stesso dono di Francesco: una mamma
dolcemente piena di fede. Françoise de Boisy era
giovanissima quando attendeva il suo primo figlio
e, ad Annecy, davanti alla Sacra Sindone, che le
parlava della passione del Figlio benedetto di Dio,
commossa, fece una promessa: quel bambino do-
veva appartenere a Gesù per sempre. Un giorno
Mamma Margherita dirà al suo Giovanni: «Quan-
do sei venuto al mondo, ti ho consacrato alla Beata
Vergine». Davanti alla stessa Sindone, si inginoc-
chierà anche don Bosco a Torino. Le madri cristia-
ne generano santi. In un castello, come Francesco,
o in una malandata casa di campagna, come Gio-
vanni.
Raccontano che la prima frase completa che Fran-
cesco riuscì a formulare fu: «Il buon Dio e la mam-
ma mi amano molto». Giovanni Bosco l’avrebbe
certamente sottoscritta.
E su Francesco e su Giovanni il buon Dio vegliava.
E a tutti e due donò un cuore grande. Francesco
studiò a Parigi e a Padova, nelle più celebri univer-
sità del mondo. Giovanni studiava a lume di can-
dela nella nicchia di un’osteria. Ma lo Spirito non è
fermato dalle piccole cose umane. I due erano de-
stinati ad incontrarsi. L’acqua dei torrenti di Savoia,
come lo spirito che maturerà Francesco di Sales,
arriverà a Torino e poi in tutto il mondo.
Dopo 400 anni la proposta di vita cristiana, il me-
todo di accompagnamento spirituale e la visione
umanista della relazione dell’essere umano con Dio
di san Francesco di Sales sono ancora vivi e attuali.
E don Bosco, come nessun altro, ha saputo inter-
pretarli.
Durante tutto quest’anno ci saranno diversi eventi
in cui potremo avvicinarci alla figura di san Fran-
cesco di Sales e con lui a don Bosco.
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GENNAIO 2022

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Dodici mesi di grazia
Come augurio per il nuovo anno vi invito ad assa-
porare quella freschezza profondamente umana e
spirituale che scorre come un grande fiume nella
spiritualità salesiana che da Francesco di Sales ar-
riva a don Bosco. E questo fiume porta in sé una
grande forza che troviamo in questi pensieri “sa-
lesiani” che vengono dal cuore stesso di san Fran-
cesco e che don Bosco fece suoi nella sua vita con
i suoi giovani. Ne ho scelti dodici, da inserire nella
vostra agenda, uno per ogni mese dell’anno:
Dio, nella sua grazia, non agisce mai senza il no-
stro consenso. Agisce con forza, ma non per obbli-
gare o costringere, ma per attirare il cuore, non per
violare, ma per amare la nostra libertà.
Dio, come amava dire Francesco di Sales, ci atti-
ra a sé con la sua gentile iniziativa, a volte come una
vocazione o una chiamata, a volte come la voce di
un amico, come un’ispirazione o un invito, e a vol-
te come una “prevenzione” perché sempre anticipa.
Dio non si impone: bussa alla nostra porta e aspetta
che gli apriamo.
Dio è presente e si rende presente ad ogni per-
sona in quei momenti della sua vita che solo Dio
stesso sceglie e nel modo che solo Dio conosce.
Sia Francesco di Sales sia don Bosco fanno
della vita quotidiana un’espressione dell’amore di
Dio, Come dice papa Francesco: «Mi piace vedere
la santità nel paziente popolo di Dio: nei genitori
che crescono i loro figli con tanto amore, in quegli
uomini e donne che lavorano per portare a casa
il pane, nei malati, nelle suore anziane che con-
tinuano a sorridere. In questa costanza di anda-
re avanti giorno per giorno, vedo la santità della
Chiesa militante. Questa è spesso la santità “della
porta accanto”, di coloro che vivono vicino a noi
e sono un riflesso della presenza di Dio, o, per
usare un’altra espressione, “la classe media della
santità”».
Dio non ci ama perché siamo buoni, ma perché
Lui è buono. Fare la volontà di Dio non si ottiene
con sentimenti di “indegnità”, ma con la speranza
nella misericordia e nella bontà di Dio. Questo è
l’ottimismo salesiano.
Francesco di Sales risponde all’amore di Dio con
l’amore. «Ti amerò, Signore, almeno in questa vita,
se non mi è dato di amarti nella vita eterna; alme-
no ti amerò qui, o Dio, e spererò sempre nella tua
misericordia».
La convinzione che l’amore di Dio non si basa sul
sentirsi bene, ma sul fare la volontà di Dio Padre, è
l’asse della spiritualità di Francesco di Sales e deve
essere la guida per tutta la famiglia di don Bosco.
Fate un viaggio dalle consolazioni di Dio al Dio
delle consolazioni, dall’entusiasmo al vero amore.
Fate tutto per amore, niente per paura, perché è la
misericordia di Dio e non i nostri
meriti che ci muove ad amare.
Proprio come voleva don Bo-
sco: che l’amore per Cristo ci porti
all’amore per i giovani, caratteri-
stica salesiana della nostra vita e
sfida permanente per la Famiglia
di don Bosco oggi e sempre. La
carità è la misura della nostra pre-
ghiera, perché il nostro amore per
Dio si manifesta nel nostro amore
per il prossimo.
Questa è la “preghiera della
vita”: svolgere tutte le nostre at-
tività nell’amore e per amore di
Dio, in modo tale che tutta la
nostra vita diventi una preghiera
continua.
È bene trovare dei momenti per
ritirarsi nel proprio cuore, lontano
dal trambusto e dall’attivismo, e
avere una conversazione cuore a
cuore con Dio.
In Maria vediamo ciò che Dio è pronto a fare
con il suo amore, quando trova cuori disponibili
come quello della giovane di Nazareth. Svuotan-
dosi, riceve la pienezza di Dio. Rimanendo dispo-
nibile a Dio, Egli compie in lei grandi cose.
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DON BOSCO NEL MONDO
Marcella Orsini
Accendere
il sole a
Ibadan
La sfida ambientale dei salesiani in Nigeria
Milioni di ragazze e ragazzi
di tutto il mondo chiedono,
con urgenza, decisioni e
azioni concrete per la tutela
dell’ambiente come garanzia
per la loro stessa vita, presente
e futura; se ciò avviene in contesti
di forte e particolare sofferenza
ecologica, i Salesiani di Don
Bosco non possono che educare
e intervenire in questa direzione.
Nel 2020 la Nigeria è rientrata tra le prime
20 economie mondiali. Tuttavia, per isu
(Indice di Sviluppo Umano) in base all’i-
struzione e all’aspettativa di vita, la Nige-
ria si colloca al 161° posto su 189 paesi.
Il suolo nigeriano offre una quantità sorprendente
di risorse naturali quali minerali, oro, gas natura-
le e, soprattutto, petrolio di cui l’African giant, il
gigante africano, come viene definito il Paese, è
il primo produttore in Africa, il sesto in ambito
OPEC e il decimo a livello mondiale. Il settore
petrolifero rappresenta il 95% delle esportazioni
totali, l’80% del bilancio dello Stato e concorre per
il 40% alla formazione del pil, tuttavia, secondo
il World Poverty Clock Report, il 43% della po-
polazione nigeriana vive in condizioni di povertà
estrema, con meno di 1,90 dollari al giorno.
Per quanto riguarda le dimensioni demografiche
è il Paese più popoloso del Continente, con una
popolazione di oltre 209 milioni di persone, nel
2019, raggruppate in più di 250 gruppi etnici che,
differenti tra loro per caratteristiche linguistiche,
socio-culturali ed economia, convivono all’interno
di continue tensioni che spesso degenerano in veri
e propri conflitti. I gruppi più numerosi e politica-
mente influenti sono gli Hausa e gli Yoruba, en-
trambi popoli sudanesi, gli Ibo, popolo semibantu
e i Fulbe, chiamati Fulani.
Più della metà della popolazione, il 53,5% è di fede
islamica, mentre il 45,9% di fede cristiana. Questo
fa sì che i conflitti etnici si aggravino ulteriormen-
te, creando adesione e consenso nei confronti di
movimenti e di gruppi armati jihadisti, Boko Ha-
ram su tutti, noto in tutto il mondo per gli attacchi
brutali e violenti con cui opera a danno della società
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GENNAIO 2022

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civile, soprattutto di ragazze e di bambine inserite
in percorsi d’istruzione e di formazione.
L’area in cui si concentra la maggior parte della po-
polazione in condizione di povertà estrema, dove
più preoccupanti sono la disoccupazione, la man-
canza di infrastrutture e l’assenza di beni e servizi
di base è proprio il Delta del Niger, a Sud-Est, dove
si trova la maggior parte dei giacimenti petroliferi.
La questione petrolifera è stata centro e causa dei
continui conflitti etnici in Nigeria fin dagli anni
Settanta della scoperta della presenza di oro nero
nel sottosuolo, risorsa preziosissima di cui le popo-
lazioni etniche non hanno mai raccolto alcun be-
neficio, a vantaggio, piuttosto, di un arricchimento
sproporzionato e iniquo delle imprese estrattive in-
ternazionali e dell’entourage politico nigeriano, tra
promesse mai mantenute e corruzione.
Non ci sono stati interventi statali significativi per
il controllo dei giacimenti e la protezione delle terre
locali, distrutte e rese improduttive da anni di sver-
samenti di greggio dagli impianti estrattivi.
Dal punto di vista politico, finalmente, dopo anni
di tentativi falliti, il presidente Muhammadu
Buhari ha firmato la legge di riforma del settore
petrolifero, il Petroleum Industry Act 2021 che do-
vrebbe garantire un maggiore e più largo controllo
del Governo sulla gestione delle risorse petrolifere.
Malgoverno e corruzione sono diventati così strut-
turali che a poco sono valse le azioni da parte di ar-
tisti e di intellettuali di ribellione pacifica a quello
che è diventato uno status quo e, se da un lato l’eco-
nomia cresce, le stratificazioni sociali si marcano in
uno scenario iniquo e di attacco all’ambiente senza
precedenti.
Si tratta soprattutto di ragazze e ragazzi cosiddetti
“di strada” e a rischio di esclusione sociale, espo-
sti a ogni sorta di pericolo e di sfruttamento. Per
loro non c’è posto nella società, non frequentano
la scuola e non hanno accesso ai minimi livelli di
sicurezza e di protezione.
In particolare, la Fondazione Don Bosco nel Mondo
supporta oggi i missionari di Ibadan, una piccola
comunità di 6 missionari che sorge nella parte sud-
occidentale della Nigeria, con il progetto “Miglio-
ramento della vita di bambini, giovani e studenti
vulnerabili di strada attraverso l’accesso all’energia
solare presso il Child Protection Center”.
Ibadan è la seconda città del Paese per popolazio-
ne e area geografica ed è la Capitale dello Stato di
Oyo. Ha una popolazione di circa 3,6 milioni di
abitanti e si trova a 128 chilometri nell’entroterra a
Nord-Est di Lagos e a 530 chilometri a Sud-Ovest
di Abuja.
Ibadan è un importante punto di transito tra la
regione costiera e le aree dell’entroterra del Paese:
era il centro amministrativo della vecchia regione
occidentale fin dai tempi del dominio coloniale bri-
tannico e parti delle antiche mura protettive della
città sono rimaste in piedi fino ad oggi. I principali
La Nigeria
è in pieno
sviluppo, ma
nasconde
sacche di
povertà e
mancanze di
istruzione.
La scelta ecologica
I salesiani della giovane Delegazione della Nigeria,
affiancata dall’Ispettoria dell’Africa Occidentale
Anglofona, pur se operanti in un contesto urbano
e apparentemente in crescita, raccolgono le più di-
sparate necessità di chi, fragile e solo, non è inserito
in questa trasformazione del Paese.
ariyo olasunkanmi / Shutterstock.com
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DON BOSCO NEL MONDO
I salesiani
raccolgono le
più disparate
necessità
di chi non
è inserito
in questa
trasforma­
zione del
Paese.
abitanti della città sono gli Yoruba, così come varie
comunità di altre parti del Paese.
A Ibadan i Figli di Don Bosco hanno fondato il
Child Protection Center, noto come Bosco Boys
Home, il Centro Giovanile e la Scuola di Filosofia.
Le attività dei salesiani di Ibadan coprono i biso-
gni dei giovani più svantaggiati con una risposta a
più livelli e integrale, dall’accoglienza di 15 ragazzi
vulnerabili e a rischio provenienti da contesti di ab-
bandono e di povertà estrema alla formazione di 33
giovani studenti futuri missionari educatori e ani-
matori pastorali. I giovani in formazione, inoltre,
oltre a dedicarsi agli studi di Filosofia e Pedagogia,
realizzano attività pastorali presso gli oratori delle
parrocchie della città.
Nella maggior parte delle missioni nel mondo la vo-
cazione salesiana è sempre più una vocazione “ver-
de”, orientata, perciò, a portare l’Amore di Dio ai
giovani anche attraverso la tutela e la cura dell’am-
biente in cui vivono.
Milioni di ragazze e ragazzi di tutto il mondo
chiedono, con urgenza, decisioni e azioni concre-
te per la tutela dell’ambiente come garanzia per la
loro stessa vita, presente e futura; se ciò avviene in
contesti di forte e particolare sofferenza ecologica, i
Salesiani di Don Bosco non possono che educare e
intervenire in questa direzione.
In Nigeria, che abbiamo visto essere un Paese com-
plesso e a rischio ambientale, i salesiani stanno ope-
rando affinché siano fatte scelte ecologiche e utiliz-
zate tecnologie per la produzione di energia da fonti
alternative a quelle fossili, al fine di ridurre le emis-
sioni di CO2 e di rendere più sostenibili le attività
delle opere.
La scelta ecologica dei salesiani della Nigeria corri-
sponde al richiamo della comunità internazionale,
la quale si esprime in varie sedi e attraverso varie
modalità, come l’identificazione, tra gli Obiettivi
di Sviluppo Sostenibile, dell’Obiettivo 7: Assicu-
rare a tutti l’accesso a sistemi di energia economici,
affidabili, sostenibili e moderni.
Tuttavia, essa aderisce, in ambito più specificata-
mente vocazionale, alla proposta contenuta nella
riflessione postcapitolare relativa al cg28 “Quali
salesiani per i giovani di oggi?” secondo cui i Fi-
gli di Don Bosco, ascoltando “il grido che a livello
mondiale sale da tanti giovani d’oggi” s’impegnano
“ad essere testimoni credibili di conversione, nella
cura del Creato e nella Spiritualità Ecologica”.
In questo spirito, la riflessione successiva al cg28
propone che “Ogni Ispettoria nel mondo rispon-
derà, attraverso il Delegato ispettoriale per la Pa-
storale Giovanile, alla richiesta di rendere le nostre
scuole, i centri educativi, i campus universitari, gli
oratori, le parrocchie, modelli educativi nella cura
dell’ambiente e della natura. Nell’educazione dob-
biamo includere come opzione salesiana l’azione a
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favore del Creato: la cura della natura, del clima e
dello sviluppo sostenibile” e inoltre afferma: “Ac-
cogliamo la richiesta fatta al cg28 dalla conferenza
salesiana sulle energie rinnovabili del mese di no-
vembre 2019, affinché la Congregazione assuma il
100% delle energie rinnovabili per tutte le ispetto-
rie del mondo prima del 2032.”
Il progetto “Miglioramento della vita di bambini,
giovani e studenti vulnerabili di strada attraverso
l’accesso all’energia solare presso il Child Protec-
tion Center” intende offrire l’opportunità di segui-
re un percorso di economia verde a basse emissioni
di CO2 e di unirsi alla ricerca globale per un’atmo-
sfera e un ambiente di vita migliori.
Obiettivi della proposta progettuale dei salesiani
sono: migliorare la formazione e l’accesso a pro-
cessi di formazione e di apprendimento di qualità
presso la Scuola di Filosofia; garantire la sicurezza,
le operazioni amministrative, le attività educative
di sviluppo dei giovani, la gestione dei bambini e
dei ragazzi di strada; responsabilizzare i beneficiari
stessi verso pratiche ambientali sostenibili e miglio-
rare i servizi e i mezzi di sussistenza.
L’energia solare
Considerando la frequenza delle interruzioni di
corrente in Nigeria in generale, a Ibadan in parti-
colare, la tecnologia solare costituirà un’alternativa
essenziale per risolvere il problema, nell’ottica di
rendere più sicuri gli spazi e costanti i benefici di
una sistematica fornitura di beni e servizi per tutte
e tutti. Con un’alimentazione regolare, ai giovani
sarà garantita una migliore formazione e processi
di apprendimento di qualità. La tecnologia solare,
inoltre, contribuirà a ridurre, l’alto tasso di disoc-
cupazione e l’inquinamento ambientale e, infine,
promuovendo uno stile di vita sano e rispettoso
dell’ambiente, ridurrà i rischi per la salute.
Riguardo alla realtà della pandemia, la fornitura
regolare di energia attraverso l’energia solare ga-
rantirà anche un flusso costante di acqua per la mi-
sura preventiva del lavaggio delle mani regolare per
Jordi C / Shutterstock.com
le migliaia di giovani che frequentano i vari centri
salesiani.
L’installazione di un sistema di pannelli alimenta-
ti a energia solare nei centri salesiani ha l’ulteriore
vantaggio di ridurre i costi elevati sostenuti dall’uso
di fonti di energia fossile per alimentare e manute-
nere i generatori.
L’impianto solare che il progetto prevede di installa-
re a copertura delle opere di Ibadan fornirà energia
regolare alla comunità, al refettorio, alla biblioteca,
alla cappella, alle lunghe strade del Centro Don
Bosco per motivi di sicurezza, alle aule, alla casa
di accoglienza per i bambini e i ragazzi di strada, al
Centro Giovanile e agli uffici del personale e con un
piano di monitoraggio e di valutazione ben struttu-
rato dal pdo (Planning and Development Office).
Con la direzione dei Salesiani di Don Bosco di
Ibadan si potrà verificare, durante lo sviluppo del
progetto, non soltanto la sostenibilità di un inter-
vento di natura tecnica, ma che si realizzi la volontà
salesiana di unirsi, nella Fede, alla vocazione am-
bientale della Chiesa universale descritta da papa
Francesco nella Lettera Enciclica Laudato si’ del 24
Maggio 2015: “Tutto è collegato, e che la cura au-
tentica della nostra vita e dei nostri rapporti con la
natura è inseparabile dalla fratellanza, dalla giusti-
zia e dalla fedeltà agli altri”.
Obiettivi
dei salesiani
sono le
attività
educative
di sviluppo
dei giovani,
la gestione
dei bambini
e dei ragazzi
di strada,
migliorare
i servizi e
i mezzi di
sussistenza.
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TEMPO DELLO SPIRITO
Carmen Laval
Cpeèrunn atesmcpeore
Una maestra di scuola d’infanzia
spiega pazientemente ai suoi
piccoli allievi che in questo mondo
tutti devono lavorare. «Tutti tutti?»
chiede Evelina, 4 anni. «Beh, quasi
tutti» risponde la maestra. «Allora,
io da grande farò “quasi”!»
conclude la bambina. Quante
persone, in questo mondo, si
accontentano di essere «quasi» ...
Una parabola paradossale racconta: «Per tut-
ta la vita ho vissuto in una noce di cocco.
Non è un posto meraviglioso per viverci?
C’era poco spazio ed era buio, soprattutto
la mattina quando dovevo farmi la barba. Ma ciò che
mi dispiaceva di più era che non avevo modo di met-
termi in contatto con il mondo esterno. Se nessuno
avesse trovato la noce di cocco o non l’avesse aperta,
sarei stato condannato a passare tutta la mia vita lì
dentro. Forse a morire lì dentro.
Morii in quella noce di cocco. Dopo un paio d’anni la
trovarono e l’aprirono; dentro trovarono me, rimpic-
ciolito e sgretolato. “Che peccato” dissero. “Se l’avessimo
trovato prima, forse avremmo potuto salvarlo. Forse ce
ne sono altri, chiusi dentro come lui”.
E andarono in giro e aprirono tutte le altre noci di cocco
che trovarono. Ma fu inutile. Fu tempo sprecato. Di
persone che scelgono di vivere in una noce di cocco ce
n’è una su un milione.
Non potei dir loro che ho
un cognato che vive in una
ghianda».
Il libro di Qoèlet, uno dei libri
sapienziali della Bibbia, afferma: «Tutto ha
il suo momento, e ogni evento ha il suo tempo sotto il
cielo. C’è un tempo per nascere e un tempo per morire,
un tempo per piantare e un tempo per sradicare quel che
si è piantato, ecc.»
C’è «un tempo per nascere». La vita è un
tempo di crisalidi. Viene per tutti il momento di
uscire dal bozzolo, dispiegare le ali e realizzare il
progetto che dormiva in noi. Significa prima di
tutto che il destino non è una questione di fortuna,
ma una questione di scelta. Non è qualcosa da
attendere, ma qualcosa da compiere.
Dobbiamo smettere di ragionare sul pas-
sato, di chiederci continuamente se siamo stati
nel giusto oppure se ci siamo macchiati di qualche
colpa. Confidando nel perdono di Dio, dobbiamo
perdonare noi stessi e smettere di ripensare a ciò
che è stato. Forse abbiamo anche commesso degli
errori. Ciò che conta è che diamo un’opportu-
nità a Dio. E Dio può rinnovare la nostra vita in
ogni istante.
Cominciamo allora da un “largo” e since-
ro perdono. Senza perdono non è possibile una
vera convivenza. Che lo vogliamo o no, ci feriamo a
vicenda: le offese reciproche possono logorarci fino
a farci sanguinare. Allora l’amore muore a poco
a poco. Se siamo pronti a perdonarci a vicenda,
tuttavia, le ferite non ci inchioderanno al passato,
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bensì ci spalancheranno un futuro più sincero e pie-
no d’amore.
Lasciamo che si spezzi la corazza che abbiamo
eretto intorno al nostro cuore. Eliminiamo i risen-
timenti e le voglie di rivalsa che si sono posati come
polvere fastidiosa sulle nostre relazioni e sgombria-
mo gli occhi dalle “travi”. Tornate a guardare con
amore e indulgenza chi vive con voi.
Troviamo il coraggio di Abramo. Aveva set-
tantacinque anni. Si era sistemato bene a Carran.
Aveva una moglie, servi e serve, e un grande gregge
di pecore. Poi, però, Dio lo chiamò e gli disse che
doveva andarsene dalla sua terra e dalla casa di suo
padre. E gli fece una promessa destinata ad accom-
pagnarlo lungo il cammino: «Farò di te una grande
nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome.
E possa tu essere una benedizione» (Gen 12,2).
Dobbiamo uscire dai legami che ci incatenano, dal-
le relazioni che ci limitano, dalle abitudini che ci
inchiodano.
Troppe persone sono esitanti. La vita, sem-
plicemente, scorre loro via tra le dita. Per questa si-
tuazione, Gesù ha raccontato una parabola che vuole
farci coraggio: «A che cosa posso paragonare il regno
di Dio? È simile al lievito, che una donna prese e
mescolò a tre misure di farina, finché non fu tutta
lievitata». La parabola è un incoraggiamento per il
cammino personale. Spesso abbiamo l’impressione
che la vita spirituale ci scorra via fra le dita. Non
sentiamo nessuna trasformazione. Allora la parabola
è un segno di speranza: prima o poi la farina dentro
di noi, sarà pervasa dal pizzico di lievito di Gesù
Cristo. E allora noi ci trasformeremo in pane che
nutre gli altri. Allora la nostra vita porterà frutto.
Diventerà una benedizione per gli altri. La maggior
parte di noi non vincerà i grandi premi della vita.
Non diventerà milionario, né presenterà il Festival
di Sanremo, non sarà eletto presidente, né vincerà il
Nobel. Ma possiamo goderci i piccoli piaceri della
vita. Una carezza sulla spalla. Un bacio sulla guan-
cia. La luna piena. Un posto libero in un parcheggio.
Un fuoco scoppiettante. Un bel tramonto.
A volte non è facile, ma la vita è disseminata di pic-
cole delizie. Ce ne sono in abbondanza per ognuno
di noi. Troppe volte ci rifiutiamo di vederle.
Oggi, come cristiani, ci sentiamo impo-
tenti di fronte al mondo secolarizzato. Ab-
biamo l’impressione di riuscire a fare ben poco in
questo mondo che vive secondo altre leggi.
Anche qui, però, la parabola del lievito vuole inco-
raggiarci a incominciare dalla nostra fede, a viverla,
a celebrare insieme la liturgia, anche se la schie-
ra dei fedeli diventa sempre più sparuta. Dobbia-
mo aver fiducia nel fatto che anche la nostra fede,
che cerchiamo di vivere tanto da soli quanto nella
comunità, si trasformi in lievito per la società. Là
dove incominciamo a vivere la riconciliazione ci
trasformiamo in lievito di riconciliazione per la so-
cietà. Là dove siamo pieni di speranza, nonostante
tutta la disperazione della nostra società, ci trasfor-
miamo in lievito di speranza per questo mondo.
Nel profeta Isaia c’è uno splendido passo sul nuovo
che è già insito in noi: «Non ricordate più le cose
passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io
faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non
ve ne accorgete?».
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L’INVITATO
O. Pori Mecoi
Viaggio nel cuore di
San Francesco di Sales
Incontro con don Gianni Ghiglione, salesiano, che da oltre
15 anni studia la spiritualità di San Francesco di Sales
e la traduce in libri e conferenze in varie parti del mondo.
Come è nata la tua vocazione?
Sono nato a Saluzzo (Cuneo) e la mia era una fami-
glia cristiana e, soprattutto per merito di mia mam-
ma, molto praticante. Il papà lavorava la campagna
ed era sovente assente e poi è morto in un incidente
stradale, travolto nella nebbia da un furgone, quan-
do io avevo appena 9 anni.
I mesi estivi li trascorrevo dai nonni Lovera a Cu-
neo e frequentavo l’Oratorio salesiano dal mattino
alla sera. Lì ho sentito parlare di don Bosco; lì ho
gustato la gioia salesiana fatta di gioco, passeggia-
te, preghiere, canti… Spesso tornavo a casa e non
cenavo: crollavo dal sonno! Ho incontrato, come
anche all’Oratorio di Saluzzo (che frequentavo di
meno), salesiani contenti, “laureati in Oratorio”
che, sebbene fossi piccolo, mi hanno affascinato e
fatto nascere nel cuore il desiderio di essere come
loro. Non immaginavo allora che in quei cortili e in
Don Gianni
con i suoi
studenti
malgasci.
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quella piccola chiesa di Cuneo avrei trascorso i pri-
mi 6 anni come sacerdote e animatore dei giovani
dai 15 anni in su: anni strepitosi e indimenticabili
durante i quali ho cercato di rifare le cose che ave-
vo imparato e visto da bambino di 8/10 anni!
La morte di mio papà, la figura di uno zio
salesiano coadiutore (il sig. Bartolomeo Lo-
vera, morto poi tragicamente ad Avigliana) mi
portarono a frequentare le scuole medie e il gin-
nasio a Chieri: 5 anni meravigliosi durante i quali
maturai la decisione di diventare salesiano.
Qual è la tua esperienza salesiana?
Sono salesiano sacerdote da quasi 50 anni e voltan-
domi indietro vedo che la mia vita è stata segnata
da tre grandi amori.
1.  La musica: avevo promesso a mia mamma, che
me lo chiedeva, che avrei imparato per farle pia-
cere l’Ave Maris Stella e, una nota dopo l’altra, ho
fatto buona parte del Conservatorio in Organo,
senza giungere al diploma per incompatibilità con
i successivi studi di Teologia. Ho amato la musica:
ho animato infinite celebrazioni e ancora oggi suo-
no per la mia Comunità e quando c’è bisogno da
qualche parte. La musica è stato un elemento per
attirare tante persone al canto in coro, all’impegno
per suonare durante le varie Messe. È stato anche
alimento della mia preghiera.
2. Gli universitari: ricordo che negli anni ’70, du-
rante la contestazione studentesca, organizzavo
gruppi del Vangelo negli appartamenti di gio-
vani universitari, giravo per Torino in bici e
andavo a trovarli lungo la settimana por-
tando loro qualcosa che “rubavo” in casa
a colazione. In quegli anni ho preso
il “virus universitario” che mi ac-
compagna ancora oggi! Gli studi
a Roma in Scienze dell’Educa-
zione mi hanno dato una solida
base per continuare il mio lavoro
con loro come incaricato della
Pastorale Giovanile. Per loro ho
inventato il Progetto Tartaruga che offriva e chie-
deva tre cose: impegno nello studio, belle amicizie
e cura della propria interiorità. Erano i tre pilastri
del Sistema Preventivo di don Bosco!
Indimenticabili le vacanze in bici a Venezia, As-
sisi, Roma, Napoli; e poi le vacanze in Sardegna,
all’isola d’Elba e in giro per l’Europa con i mitici
pulmini Iveco!
Per 20 anni ho offerto, come cuore della loro forma-
zione, un corso di Teologia per giovani della durata
di due anni che ha visto passare più di mille giovani.
Ho sperimentato quello che diceva il cardinal Balle-
strero: “Salvate i giovani e i giovani salveranno voi!”
3.L’incontro con S. Francesco di Sales.
«Spero con tutto
il cuore che
questo anno in
cui celebriamo
i 400 anni
dalla sua morte
segni per tutta
la Famiglia
Salesiana
una scoperta
gioiosa e un
progressivo
innamoramento
di Francesco di
Sales, delle sue
opere e della
sua spiritualità».
Sotto: San
Francesco di
Sales del pittore
Nino Musio.
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L’INVITATO
Lo spirito
salesiano
sembra
concentrato
in questa
espressione
di Francesco:
“La verità
che non è
caritatevole
sgorga da
una carità che
non è vera“.
Oggi sei uno dei massimi conoscitori
di S. Francesco di Sales. Come lo hai
incontrato e che cosa significa per te?
Questo è l’amore più recente. Alla vigilia dei 60 anni
sono stato otto mesi ad Annecy, patria di Francesco
di Sales. L’obiettivo non era quello di studiare le
opere di questo Santo, ma di prepararmi all’ultimo
quarto della mia vita. Anche perché non conoscevo
nulla di lui, non avendo avuto in tutti gli anni della
mia formazione un’ora sola sulla sua vita, sulle sue
opere o sulla sua spiritualità. Era un grande scono-
sciuto! A poco a poco ho letto e studiato gran parte
dei suoi scritti e allora ho capito quale grande dono
ha fatto don Bosco a tutta la Famiglia Salesiana,
indicandolo come nostro Modello e Patrono. Da
allora ho scritto, predicato, viaggiato molto e pur-
troppo ho capito perché sono un grande esperto:
perché gli altri ne sanno poco o nulla!
Spero con tutto il cuore che questo anno in cui ce-
lebriamo i 400 anni dalla sua morte segni per tut-
ta la Famiglia Salesiana una scoperta gioiosa e un
progressivo innamoramento di Francesco di Sales,
delle sue opere e della sua spiritualità.
Qual è l’essenza dello spirito
salesiano?
Lo spirito salesiano sembra concentrato in questa
espressione di Francesco: “La verità che non è carita-
tevole sgorga da una carità che non è vera”.
Due significative testimonianze ai processi di Bea-
tificazione: “Ascoltava con pazienza le difficoltà senza
mai montare in collera e senza proferire parole ingiu-
riose contro di loro, nonostante il fatto che detti eretici
si accaldassero nelle dispute e si servissero solitamente
di ingiurie, di canzonature o calunnie; egli manifesta-
va loro un amore molto cordiale, per convincerli che era
animato da nessun altro interesse che non fosse la gloria
di Dio e la salvezza delle anime”. “Non li spingeva mai
al punto da farli indignare e da sentirsi coperti di ver-
gogna e confusione; ma con la sua ordinaria dolcezza
rispondeva loro in modo giudizioso, piano, senza acre-
dine e disprezzo e con questo mezzo ne conquistava i
cuori e la benevolenza!”.
Un suo libro è uno dei “best seller”
del cattolicesimo.
Nonostante gli impegni legati al suo essere Vesco-
vo, la predicazione in varie parrocchie della Diocesi
e in Francia, gli incarichi diplomatici che il Duca
gli affida, Francesco trova il tempo per dedicarsi a
scrivere. Che cosa? Migliaia di lettere (oltre tren-
tamila dicono gli esperti; noi ne possediamo solo
poco più di duemila) a persone che chiedono la sua
guida spirituale, ai monasteri della Visitazione di
recente fondazione, a personaggi di spicco della no-
biltà o della Chiesa per tentare di risolvere proble-
mi, ai suoi famigliari ed amici.
Nel 1608 viene pubblicata l’Introduzione alla vita
devota: è lo scritto più noto di Francesco. Questo
libro ricevette un’accoglienza entusiasta che pos-
siamo riassumere nelle parole dell’Arcivescovo di
Vienne: “Monsignore, il libro che state pubblicando
mi ha rapito, estasiato, riscaldato talmente che non ho
né lingua né penna per esprimervi l’affetto che ho per
voi, come riconoscenza per il grande e singolare servizio
che rendete alla divina Bontà”. E questi sentimenti
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di stima e di ammirazione continuarono a crescere
con il tempo. “Gli scritti e le opere del santo erano in
così grande stima che i librai non riuscivano a tenerne
in quantità sufficiente per tutti quelli che ne facevano
richiesta. E tra i tanti elogi che essi stessi facevano, c’era
quello per cui non avevano mai visto un libro così utile
per la salvezza delle anime”.
E come trovava il tempo per l’attività
pastorale?
I problemi della diocesi non gli lasciavano respiro,
ma aveva riservato per sé un apostolato specifico.
Aveva chiesto ai suoi preti di indirizzare al suo
confessionale soprattutto le persone colpite da ma-
lattie infettive o che suscitavano ribrezzo.
Temeva che, a causa del loro stato ripugnante, ve-
nissero rifiutate dagli altri confessori. E se ciò ac-
cadeva, era suo dovere di vescovo supplire alla de-
bolezza dei suoi preti: «Sono le pecorelle predilette
– diceva – le voglio per me. È mio dovere provve-
dere ai loro bisogni materiali e spirituali».
Quanti aspetti lo avvicinano
a don Bosco!
L’altro privilegio che pretendeva, perché «gli dava
gioia», era quello di spiegare il catechismo ai
bambini. Ogni domenica, un giovane con una tu-
nica viola – che portava uno scudo sul petto e uno
sulle spalle, con impressi in oro i nomi di Gesù e di
Maria – percorreva, per suo ordine, le strade della
città, suonando un campanello e gridando ad ogni
angolo: «Venite, venite alla dottrina cristiana dove
imparerete a conoscere la via del Paradiso!».
Si formava allora un allegro e schiamazzante cor-
teo che andava a trovare il vescovo in cattedrale.
Egli spiegava, interrogava, chiariva la dottrina con
tanti e tanti esempi, premiava subito i più diligenti,
faceva loro cantare qualche inno in francese (spesso
composto da lui stesso) e distribuiva dei foglietti
scritti di sua mano, con i punti che i bambini do-
vevano imparare a memoria per la volta seguen-
te. Succedeva però che la cattedrale si riempisse
anche di adulti, anzi veniva ad ascoltarlo perfino
la sua vecchia madre. «Signora – le disse un giorno,
sorridendo – mi fate distrarre quando vi vedo al
catechismo con tutti i nostri bambini; perché siete
proprio voi che lo avete insegnato a me!».
Che cosa direbbe Francesco
alla Famiglia Salesiana, oggi?
Credo che il Rettor Maggiore con la splendida
Strenna abbia colto il messaggio che a 4 secoli di
distanza Francesco di Sales lancia alla Chiesa e in
particolare alla nostra Famiglia Salesiana: “Fare
tutto per amore”. È la prima ricetta che Francesco
scrive alla Baronessa di Chantal, di cui è diventato
guida spirituale. Essa indica la centralità del cuo-
re: “Come si impara a suonare il liuto suonandolo
e a ballare ballando, così si impara ad amare Dio
amandolo, volgendo a Lui il nostro sguardo come
fa il bambino con la mamma”. È via di santità sem-
plice, concreta, quotidiana, accessibile a tutti!
Il quadro di
san Francesco
di Sales che
si trovava
nella chiesa
a lui dedicata
da don Bosco
a Valdocco.
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IN PRIMA LINEA
Tadeáš Petrášek, Beáta Jarošová, Michaela Štubňová
Žilina, Slovacchia
30 anni a servizio dei giovani
In ogni angolo del mondo,
lo spirito salesiano agisce
nello stesso modo sorprendente,
come in questa casa della bella
e affascinante Slovacchia.
Storia di ottant’anni di una casa di don Bo-
sco. Anche quest’anno scolastico il Centro
di Formazione Professionale di san Giu-
seppe Lavoratore a Žilina, importante e
popoloso centro industriale, nel nord della Slo-
vacchia, apre le sue porte. Più di 1500 exallievi,
dei quali durante 30 anni si sono occupati circa
350 educatori.
Un vivo interesse dei ragazzi
Fa piacere che, in un tempo in cui l’interesse per i
mestieri classici nella Slovacchia sta calando ed alcu-
ni di loro lottano per sopravvivere, la scuola salesiana
di Žilina riempie al cento per cento le sue possibi-
lità di accogliere gli studenti. Che cosa si nascon-
de dietro questo interesse sempre vivo per la nostra
Foto della casa salesiana di Žilina: 1. Centro di Formazione Professionale “San Giuseppe Lavoratore”; 2. Collegio e campi sportivi
dell’Istituto; 3. Officine di meccanica d‘auto, falegnameria, muratura; 4. Parrocchia salesiana “San Giovanni Bosco”; 5. Casa salesiana,
Istituto filosofico “San Tommaso d‘Aquino”, Biblioteca dell’Istituto; 6. Oratorio “San Domenico Savio”.
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scuola? Quello che interessa i ragazzi è sicuramente
l’attrattività delle sezioni legate all’ampia possibili-
tà di applicazione sul mercato del lavoro e all’alta
professionalità che caratterizza l’offerta formativa. I
mestieri di elettrauto, meccanico, carrozziere grazie
alle moderne tecnologie aiutano i ragazzi a realiz-
zarsi attraverso il lavoro nel settore automobilistico.
Invece i ragazzi ai quali “piace il profumo del legno”
studiano per diventare falegnami in officine moder-
namente attrezzate sotto la guida di maestri artigia-
ni. Si dice che i muratori saranno necessari in ogni
epoca e così anche da noi questa sezione ha sempre
un buon numero di interessati. Infine la sezione che
negli ultimi anni suscita un grande interesse è la
grafica digitale. Diversi sono i motivi per i quali i
ragazzi vengono da noi. Gli allievi non apprendono
soltanto conoscenze e abilità, ma anche competen-
ze su come avviare un’impresa. Un valore aggiunto
della scuola è la collaborazione con le aziende del
territorio. Nel secondo anno di corso tutti gli stu-
denti trascorrono in azienda un periodo di tirocinio.
In questo modo i ragazzi a 15 anni hanno la pos-
sibilità di vedere come si lavora nelle aziende d’a-
vanguardia sul mercato. Tutte le sezioni partecipano
anche alla gestione della scuola. Sia che si tratti di
lavori pratici di riparazione o costruzione sia della
gestione del sito web o delle reti social, sono proprio
gli allievi protagonisti e corresponsabili nel sentire
la scuola come propria.
Professionalità
ma anche personalità
La professionalità è uno dei punti di forza della
nostra scuola, ma non è l’unico. Per i giovani e i
loro genitori è molto interessante anche il sistema
educativo di don Bosco. Questo viene realizzato e
proposto ai ragazzi attraverso i diversi progetti pa-
storali, le attività del tempo libero, i cammini spiri-
tuali ma anche le escursioni e lo sport. La presen-
za attiva con l’assistenza degli educatori nei cortili
della scuola crea delle relazioni e uno spazio molto
prezioso per la crescita professionale, spirituale e
personale. La proposta di educazione integrale dei
giovani è quindi un ideale che vede la collaborazio-
ne di salesiani, docenti, maestri ed altri educatori.
A questo scopo aiutano anche gli spazi esterni
dell’istituto, tutti a completa disposizione degli
studenti. Un centro moderno, dove crescono circa
cento ragazzi. Le aule, le officine dei falegnami, dei
meccanici d’auto, gli studi grafici sono attrezzati
con le più moderne tecnologie. Anche nel pome-
riggio i saloni del collegio, le sale da gioco, i cam-
pi sportivi, le palestre e i cortili dell’istituto sono
pieni di ragazzi. Tali spazi vengono utilizzati per
lo sport, l’animazione dei gruppi, per corsi di dan-
za e per il coro della scuola. Durante la pandemia,
quando per lunghi mesi la scuola era attiva con mo-
dalità a distanza, tante parti della scuola sono state
ristrutturate per adeguare gli spazi di una scuola
all’avanguardia.
Padre e figlio
Il profondo interesse per la scuola nasconde anche
un altro motivo. La spiritualità salesiana consiste
in un accompagnamento continuo, che si prolunga
spesso durante tutta la vita. La scuola rimane in
contatto con gli exallievi anche dopo aver concluso
gli studi. Il gruppo degli exallievi, anche con le pro-
prie famiglie, è coinvolto in modo attivo alle diver-
se attività dell’istituto. Attualmente frequentano la
scuola i ragazzi della seconda generazione, i loro
padri si sono diplomati da noi ed oggi frequentano
l’Istituto i loro figli o nipoti. Molte relazioni con
le agenzie del territorio si sono create grazie agli
exallievi, e tra maestri e docenti un numero signi-
Durante la
pandemia i
ragazzi della
scuola hanno
partecipato
e vinto con
il loro film
cortometrag­
gio “The
Bridge”
un festival
internazionale
FestiClip.
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IN PRIMA LINEA
Ritiro
spirituale
della classe.
ficativo sono stati alunni della scuola. Non si pos-
sono dimenticare anche diverse vocazioni religiose
sbocciate tra le gioie e fatiche della vita quotidiana.
Dalla storia
La casa salesiana di Žilina è stata fondata e costrui-
ta nel 1937. La comunità salesiana l’aveva usata fino
al 1950 e poi, dopo la caduta del comunismo, di
nuovo dal 1989. La presenza dei salesiani in que-
sta città, insieme con quella delle suore francescane
scolare è stata voluta negli anni trenta dal prelato
papale Tomáš Ružička. Costui aveva intuito che la
presenza in città di due comunità religiose dedite
all’educazione avrebbe fatto tanto del bene all’ac-
compagnamento della gioventù. Purtroppo il re-
gime comunista percepiva la chiesa cattolica come
il grande nemico. Nel 1949 il potere nazionale ha
trasformato la casa salesiana di Žilina nella sede
del Ministero degli Interni. Nella primavera del
1950 il Comitato Centrale del Partito Comunista
ha ordinato la liquidazione degli ordini religiosi.
La “Azione K” o la “Notte dei Barbari”, tra il 13
e 14 aprile ha portato all’occupazione dei tutti i
monasteri, all’espulsione dei religiosi dalle proprie
case e al sequestro di tutte le proprietà della chiesa.
I religiosi di tutta la nazione sono stati portati in
monasteri trasformati in campi di concentramento.
Sono stati anni duri di persecuzione della chiesa, di
carcere e lavori forzati per i religiosi, di torture, di
fughe all’estero…
La chiesa segreta
La persecuzione religiosa nella Slovacchia ha dato
vita a una chiesa nascosta, dove si operava nel silenzio
ma con tanto entusiasmo. Di nascosto continuavano
anche la vita religiosa, la formazione e le ordinazioni
dei sacerdoti. Ed è grazie a questa chiesa clandesti-
na che nella Slovacchia degli anni settanta sono sorti
piccoli gruppi di catechismo, con lo scopo di nutrire
la fede viva del popolo. Anche i salesiani hanno lavo-
rato nel silenzio. A Žilina e nei suoi dintorni c’erano
dei salesiani che vivevano da soli ma appartenevano a
una comunità e facevano riferimento a un direttore.
Una forma semplice di vita comunitaria in condizioni
nascoste è ripresa soltanto a partire dal 1984. I primi
salesiani erano Marián Valábek e Kamil Kutarňa che
hanno trovato sede in un quartiere popolare nell’ap-
partamento di una coppia di giovani salesiani coope-
ratori, insieme salesiani e laici hanno ricominciato al-
cune piccole attività pastorali. Così dopo l’anno 1989
con la primavera della chiesa slovacca si sono riavviate
gradualmente anche le attività pastorali dei salesiani
a Žilina. Con la restituzione da parte dello Stato delle
case religiose alle diverse congregazioni, nella città di
Žilina, i salesiani si sono trovati con una costruzione
molto grande e ampliata rispetto al passato. In questa
ampia struttura la giovane comunità di Žilina trovò il
coraggio nel 1991 di fondare una scuola superiore che
avrebbe dato un’educazione cristiana e un mestiere
onesto a tantissimi giovani della Slovacchia.
Filosofia ma anche lo sport
Oggi la casa salesiana a Žilina ospita tre comunità
salesiane. Oltre alla scuola c’è la comunità educativa
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QUATTRO DOMANDE AL PRESIDE
Igor Pecha, coadiutore (attivo nella scuola dal 2000 come assistente del collegio, docente di laboratorio, educazione fisica
e religione, preside della scuola)
Qual è la tua soddisfazione
più bella?
Che possiamo anche noi partecipare all’o-
pera di don Bosco per i nostri ragazzi.
Quali sono i punti di
forza della scuola?
Secondo me sono questi: un
buon gruppo di educatori, l’inte-
resse dalla parte degli studenti,
la qualità dell’educazione ed istru-
zione, il favore dei genitori e il so-
stegno degli exallievi.
Le difficoltà?
Penso che la nostra sfida sia avere ordine nella
vita e negli impegni di ogni giorno, ed essere
consapevoli e fedeli alle preziose situazioni quo-
tidiane.
Che cosa sogni per la scuola?
Che sia sempre vivo e presente lo spiri-
to di famiglia di don Bosco. E poi pen-
so che quello che ancora dobbiamo
un po‘ ai nostri ragazzi è il rifacimento
di un bel cortile interno, dove potreb-
bero incontrarsi e giocare insieme.
pastorale che si occupa della parrocchia e dell’ora-
torio. Attorno alla comunità salesiana c’è un ampio
gruppo di famiglie e di salesiani cooperatori che
partecipano alla missione. Sono soprattutto d’aiuto
in diverse feste e celebrazioni della parrocchia, ma
anche per il catechismo per tanti ragazzi e giovani
che si preparano per la prima comunione e la cre-
sima. Questi ragazzi spesso, terminato il percorso
d’iniziazione cristiana si inseriscono nell’Oratorio,
in diverse proposte come i gruppi per i coetanei o
le attività d’interesse. I salesiani hanno fondato il
primo Club Sportivo Cattolico che accoglie più di
cento ragazzi. Numerosi sono anche i gruppi corali
o musicali. Nella casa di Žilina c’è anche la comu-
nità formativa del postnoviziato con l’annesso Isti-
tuto filosofico “San Tomaso d’Aquino”, un centro
studi per il percorso formativo dei giovani salesiani
che studiano filosofia. I giovani salesiani svolgono
la loro attività apostolica sia nell’Oratorio sia nella
scuola. L’istituto “San Tomasso d’Aquino” propone
anche diversi corsi e conferenze spirituali per i laici
e dispone di un’ampia biblioteca al servizio di tutta
la comunità educativa pastorale. La casa salesiana di
Žilina, trovandosi nel centro nord della Slovacchia
sia per la sua posizione geografica, sia per gli ampi
spazi di tutto l’istituto e la possibilità di alloggio nel
collegio, è il posto preferito anche per tanti eventi
dell’Ispettoria. Si organizzano infatti corsi, campi,
incontri formativi e l’assemblea ispettoriale.
Riguardando la storia non possiamo dimenticare le
vittime della persecuzione della chiesa durante il
regime comunista. Soprattutto perché anche questa
sofferenza ha risvegliato in tante persone coraggio,
fermezza e volontà di seguire Cristo in ogni cir-
costanza. Fino ad oggi raccogliamo i frutti della
loro sofferenza e del loro sacrificio. Anche nella
casa salesiana di Žilina, negli spazi dove le perso-
ne erano imprigionate e crudelmente interrogate,
oggi giocano i ragazzi. Nei corridori e cortili dove
le persone avevano paura di passare, per timore di
essere torturate, oggi c’è una scuola, che accoglie
centinaia di giovani che si preparano per la vita.
Una vita nella libertà....
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LE CASE DI DON BOSCO
Paolo Terrana
DoGn Beoslcao nel cuore
del Mediterraneo
I magnifici frutti di una comunità
vivace, appassionata e ben
strutturata nella Sicilia salesiana.
La bella
statua della
Madonna
della chiesa.
A ll’inizio del 1898 don Rua sul Bollettino
Salesiano dava questo annuncio: “… La
Sicilia possiede ora due istituti salesiani
in più: uno a Pedara, alle falde dell’Et-
na… e l’altro a Terranova, ove i nostri Salesiani
dirigono un Ginnasio e un Liceo Municipale…”.
Quella presenza salesiana durò solo undici anni
dal 1897 al 1908, ed ebbe come direttore don Do-
menico Ercolini, una delle figure più rilevanti dei
Salesiani di Sicilia. Don Rua stesso visitò la casa di
Gela nel 1906 e regalò la bellissima statua di Maria
Ausiliatrice da poco restaurata e benedetta da don
Pascual Chavez, il 4 maggio 2019.
Terranova, era l’antico nome di Gela, ma quella
breve esperienza è stata fondamentale perché tra gli
entusiasti allievi dei salesiani ci fu Salvatore Aldi-
sio, futuro onorevole del ppi prima e della dc poi,
artefice della seconda venuta dei salesiani nel 1955.
Egli infatti così salutava il ritorno dei salesiani nel
dicembre 1955: “Il po’ di bene e di vita cristiana
che c’è a Gela lo si deve all’antico impulso dato dai
salesiani e specialmente dal direttore don Ercolini
che godeva di larghissima stima e venerazione per
la sua dottrina, per la sua bontà e per la carità che
usava con tutti”.
La nuova presenza si articola in tre settori: parroc-
chia, oratorio/centro giovanile, centro di formazione
professionale. Anche la collocazione è diversa, la pri-
ma nel centro storico della città, la seconda in un vil-
laggio di periferia sorto nell’immediato dopo guerra.
La zona periferica di Gela, vicina all’antica stazione
ferroviaria, denominata “Margie” per il sedimen-
to delle acque su terreno argilloso, per volontà di
Salvatore Aldisio, allora Ministro dei Lavori Pub-
blici (1948), fu destinata ad area fabbricabile con
la denominazione di “Villaggio Aldisio”. E questo
purtroppo (il terreno argilloso) è come l’origine dei
guai che a livello di strutture ci ritroviamo oggi.
La prima chiesa dedicata
a san Domenico Savio
Al centro di questo villaggio fu edificata l’attuale
chiesa dedicata a san Domenico Savio (1957-1962).
Probabilmente la prima al mondo ad esser dedicata
a Domenico Savio subito dopo la sua canonizza-
zione (1954).
Fu edificato anche un edificio denominato “Casa
del fanciullo”, dove doveva insediarsi un gruppo di
salesiani per iniziare il loro apostolato in mezzo alle
famiglie e ai giovani.
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La popolazione del villaggio Aldisio era formata
inizialmente da famiglie sfrattate dal centro stori-
co, soprattutto dalla zona della parrocchia S. Gia-
como. A queste ben presto si aggiunsero famiglie
rientrate in Italia dalla Libia e dalla Tunisia, da
dove i governi di allora li cacciarono via, non vo-
lendo la presenza di italiani nelle loro terre. Dagli
anni settanta si aggiunsero coloro che venivano a
lavorare negli stabilimenti dell’eni, che in quegli
anni aveva aperto il petrolchimico (1960-1965).
Oggi la popolazione del villaggio si attesta intorno
agli 8000 abitanti e conserva un forte carattere po-
polare, povero di servizi sociali, con caratteristiche
che lo identificano come zona a rischio (spaccio di
droga, malavita, bande minorili, con forme di de-
grado culturale, morale, sociale, urbano).
Nel 1955 i salesiani iniziarono con la scuola elemen-
tare e l’oratorio quotidiano. Come chiesa fu usata
la cappella rurale dell’Alemanna (dove secondo la
tradizione fu ritrovato un quadro in stile bizantino,
oggi custodito e venerato in Chiesa Madre).
Dopo un paio di anni si iniziarono anche i corsi di
formazione professionale per i ragazzi dell’avvia-
mento, con i corsi di tornitori e aggiustatori mecca-
nici. Ma l’esplosione dei corsi professionali si ebbe
negli anni settanta, quando, data la presenza del
petrolchimico, si impiantarono i corsi di saldatori
e tubisti. Dalla nostra scuola sono usciti i migliori
saldatori, che oggi sono diffusi in tutto il mondo.
E questo è un riconoscimento unanime che ci viene
dal mondo dell’industria ed è risaputo anche a livello
di istituzioni politiche e scolastiche della città e del
circondario. Negli anni seguenti si sono aggiunti i
corsi elettrico, segretariale, ristorazione, benessere.
Purtroppo dal 2015 in poi una forte crisi nell’ambito
della formazione professionale ha portato alla qua-
si estinzione di quello che era il fiore all’occhiello
dell’opera salesiana di Gela, e in questo anno forma-
tivo 2021-2022 ci ritroviamo con un solo corso.
Un vulcano di attività
La Parrocchia è stata eretta il 27 marzo 1956, nel
’57 si sono iniziati i lavori di costruzione, nel 1962
l’inaugurazione. Costruito su un terreno argilloso
e con cemento depotenziato, da alcuni anni l’edi-
ficio dà segni di cedimento strutturale, per cui l’8
settembre del 2020 si è deciso di chiuderlo al culto.
In questo anno ci siamo impegnati come comunità
ecclesiale a costruire una tenda per le celebrazioni
liturgiche, e abbiamo vissuto un po’ l’esperienza di
La chiesa
parrocchiale
dedicata
a san
Domenico
Savio.
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LE CASE DI DON BOSCO
La Comunità
Oratoriana
è molto
vivace e ben
strutturata,
c’è spazio
per tutti dai
piccolissimi
ai più grandi.
don Bosco agli inizi del suo oratorio: girovagare,
per trovare un luogo adatto per ritrovarci come as-
semblea di Dio.
Ma nonostante questo e le chiusure causate dal-
la pandemia, l’opera ha conservato la sua vitalità.
Nella nostra parrocchia sono presenti tutte le as-
sociazioni legate alla spiritualità salesiana: salesiani
cooperatori, exallievi, adma, laboratorio Mamma
Margherita, gruppo “Famiglie Don Bosco”. Inoltre
vari movimenti ecclesiali: Comunità Neocatecu-
menali, Rinnovamento nello Spirito, Guardie d’o-
nore, Gruppo Adonai, Comunità Delle Beatitudi-
ni, Gruppo Santa Marta. E per l’animazione della
vita della comunità, oltre al consiglio pastorale e la
cep dell’opera, sono attivi la commissione liturgica,
la consulta per la pastorale familiare e la Caritas.
Quest’ultima è da sottolineare che in questo pe-
riodo di pandemia ha reso un servizio di aiuto e
soccorso a tutta la città. Il centro di ascolto non si
è fermato neanche nei periodi di “chiusura totale”,
arrivavano telefonate dai servizi sociali del comune,
dalla protezione civile e dalla stessa croce rossa, per
portare i viveri a coloro che erano in quarantena, e
i nostri volontari sempre disponibili! E come per i
ragazzi di don Bosco ai tempi del colera, nessuno
fino ad oggi ha preso il covid 19.
L’oratorio: una famiglia in cortile
L’Oratorio, è per noi Salesiani ed Educatori, un
cortile dove si cresce in allegria e si diventa amici
di Gesù nella quotidianità! Questa è la sintesi più
bella di come viviamo e vediamo il nostro Oratorio
e di ciò che cerchiamo di fare nel quotidiano con
i bambini, i ragazzi e i giovani, specie quelli più
poveri... e capricciosi!
Ma in questo, oltre le attività educative ci aiuta la
nostra consueta “buona notte” delle 18.30: momento
centrale e celebrativo di tutto l’Oratorio, dove tutto
si ferma per incontrarsi in cortile come grande fa-
miglia ed elevare la preghiera a Dio, per riconoscere
la Bellezza di un Dio vicino ai giovani, attraverso il
pensiero dei nostri don.
La Comunità Oratoriana è molto vivace e ben strut-
turata, c’è spazio per tutti dai piccolissimi ai più
grandi: per i bambini tra 5 e 7 anni, Infanzia Missio-
naria, pomeriggi dal colore missionario, che attra-
verso attività creative, sensibilizza i piccolissimi e le
loro famiglie alla Carità verso gli altri. Per i bambini
tra 8 e 12 anni (fascia interamente coinvolta nella
Catechesi) si propone il Savio Club, cioè pomeriggi
ludico-ricreativi che coinvolgono più di un centi­naio
di ragazzini attraverso attività organizzate (calcio,
basket, pallavolo, chitarra, canto, art-attack, danza, hip
hop, social media, teatro, musical, …) e che ci danno la
possibilità sia di mettere a frutto i loro talenti sia di
presentare in maniera semplice e diretta la figura
di Domenico Savio, loro coetaneo; a seguire, subito
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3.3 Page 23

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TRE DOMANDE AL DIRETTORE
Quali sono le sue più belle soddisfazioni?
La più bella soddisfazione è stata il vedere come nonostante le due grandi difficol-
tà insorte (pandemia e chiusura della chiesa), la comunità non si è scoraggiata né
dispersa, anzi ha avuto la forza ed il coraggio di aprirsi a chi era più nel bisogno.
Un’altra è l’attaccamento alla congregazione e a don Bosco vivo nella gente, anche
di coloro che oggi non vivono più nell’ambito della parrocchia, ma che passati dal
cfp o dall’oratorio, o dalla stessa parrocchia, ritornano nelle grandi feste salesiane
ed esprimono la loro gioia e soddisfazione per essere cresciuti in questi ambienti.
Quali sono le difficoltà attuali?
Le più grosse difficoltà attuali sono quelle strutturali, perché i problemi che nella
chiesa si sono manifestati in maniera più accentuata si trovano dappertutto: oratorio,
centro di formazione professionale e negli stessi ambienti della comunità. Nel 2017,
si è dovuto abbattere quella primitiva “casa del fanciullo” che è all’origine dell’opera.
Quale il futuro dell’opera?
Il futuro è nelle mani di Dio, noi speriamo nei prossimi anni si possa rimediare ai problemi
strutturali e che in modo nuovo possa rifiorire il centro di formazione professionale.
dopo il percorso di Catechesi, si offre la possibilità
dei Gruppi Formativi (o gruppi post-cresima) a ca-
denza settimanale, per preadolescenti ed adolescenti,
che mirano alla formazione umana e spirituale ed
anche al servizio responsabile dei più piccoli con la
Scuola per Animatori in vista del Gr. Est. o di altre
esperienze di Carità e Servizio; e ancora, Giovani In
Cammino, luogo di confronto e di crescita umana
e spirituale per tutti i giovani del nostro ambiente e
non, dai 18 anni in su; per concludere, il gruppo per
Giovani Famiglie, spazio che offre la possibilità ai
genitori di mettersi a tu per tu con la Parola di Dio,
che permette il confronto su temi che toccano la vita
di coppia, l’educazione dei figli e che sensibilizza alla
familiarità con l’Oratorio.
In maniera trasversale anche altre Attività, Grup-
pi e Associazioni impreziosiscono la nostra Opera
Educativa e la nostra Missione: l’Assistenza allo
Studio (Doposcuola), i Volontari del Servizio Civi-
le, due Corali e la pgs. Il Gr. Est. o “Estate Ragazzi
è certamente l’attività che rappresenta l’occasione
per eccellenza di divertimento e crescita di tanti
bambini e ragazzi, riuscendo a coinvolgere anche
fino a 600 ragazzi. Attività che anche in piena
Pandemia ha coinvolto circa 180 ragazzi della città,
attuando i protocolli previsti: è stata dura ma il vol-
to di bambini felici che giocavano, pregavano e si
divertivano, ci ha ripagato di tutte le fatiche.
Il nostro segreto? Il Sistema Preventivo e lo Spirito
di Servizio. Collaborazione ma soprattutto la Gra-
tuità di ogni Educatore!
La comunità
dei Salesiani
rende un
grande
servizio
di aiuto
spirituale
e caritativo
alla città.
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3.4 Page 24

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FMA
Emilia Di Massimo
Quanto costa la
gentilezza?
Suor Scolastica Jung, coreana,
oggi è missionaria in Etiopia.
«Vivere con le ragazze 24 ore
su 24 è un grande dono; come
una mamma condivido le loro
difficoltà, le loro gioie e le loro
sofferenze. Un tratto della mia
storia è nella loro e viceversa».
voce che gentilmente mi chiamava con il mio nome
coreano: “Kyoung-Jin!”. Mi sono girata e ho visto
l’infermiera: era disponibile ad aiutarmi. Ho senti-
to una strana sensazione, mi sono chiesta come mai
non fosse inquieta con me sebbene nei suoi con-
fronti non mi fossi comportata bene.
In seguito ho riflettuto ulteriormente ed ho pensato
alla frase di Esopo: “Per quanto piccolo, nessun atto
di gentilezza è sprecato” ed ho iniziato a compren-
dere che davvero essa non ha prezzo. Dopo l’Esta-
te ragazzi avevo scoperto in me un amore grande
che mi accoglieva così come ero e mi amava con
tanta pazienza. Un amore aveva cambiato la mia
vita e aveva cominciato a dare forma ad un sogno:
seguirlo! Ho compreso sempre più che quell’amore
si chiamava Dio».
Suor
Scolastica
porta il suo
sorriso e la
sua tenerezza
nelle zone
più povere
d’Etiopia.
Una strana sensazione
«Sono stata battezzata a 5 anni, provengo da una
famiglia buddista in seguito diventata cattolica. Fre-
quentavo ogni domenica la parrocchia, era la mia se-
conda famiglia, ma quando sono entrata nel periodo
dell’adolescenza non ci volevo più andare, nonostan-
te ciò, quando avevo 16 anni, la mia mamma mi ha
costretta a frequentare l’Estate ragazzi dai Salesiani».
L’inizio di una storia così accattivante ci fa chiedere
a suor Scolastica Jung, coreana, di dirci il finale e
così prosegue il suo racconto: «Dai Salesiani non
ero contenta per niente, non mi piaceva, trovavo
tutto noioso. Inoltre ho avuto un incidente: mi sono
fatta male ad un piede e questo mi ha irritata an-
cora di più. Volevo tornare a casa. Una sera, prima
di cenare, avevo bisogno di sostituire la benda della
ferita, sono andata dall’infermiera e le ho chiesto
con arroganza se poteva cambiarmela; quando mi
ha risposto che potevo andare dopo cena ho ini-
ziato a bisticciare con lei. Al termine della serata,
mentre stavo andando in dormitorio, ho sentito una
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Imparare dai bambini
«Dopo l’università ho deciso di intraprendere la
formazione per diventare suora salesiana ed in
seguito missionaria, infatti nel 2012 sono partita
dalla Corea per camminare con Lui ovunque mi
avrebbe condotta, senza nessuna paura».
Negli anni successivi suor Scolastica è stata in Ita-
lia, a Malta, negli Stati Uniti, attualmente è in
Etiopia, a Gubrie. «Ogni nazione e ogni luogo
sono un incontro con Lui, ciascuno è stato speciale
e significativo per la mia vita religiosa. Ho impa-
rato che cosa significa essere missionaria all’orato-
rio di Malta da una bambina, un giorno nel quale
avevamo l’adorazione con i piccoli e con i ragazzi.
Il papà è venuto a prenderla mentre lei era in cap-
pella. Quando ha sentito che il padre la chiamava è
andata da lui e gli ha detto che non poteva andare
via perché c’era Gesù. Il papà si è inginocchiato ac-
canto a lei ed ha iniziato a pregare accanto alla sua
piccola.
In Etiopia svolgo la missione educativa con le ra-
gazze più povere e con le giovani che desiderano
diventare suore, ricordando sempre l’esperienza vis-
suta da adolescente, quella che vi ho raccontato, ed
accorgendomi che da quel giorno Gesù mi chiede
ogni giorno di amare come Egli mi ama. Vivere con
le ragazze 24 ore su 24 è un grande dono; come una
mamma condivido le loro difficoltà, le loro gioie e
le loro sofferenze. Un tratto della mia storia è nella
loro e viceversa. Anche Maria Mazzarello, Cofon-
datrice del nostro Istituto, ha fatto così quando vi-
veva con le giovani a Mornese: con amore paziente
faceva sentire a ciascuna il suo affetto conquistan-
done il cuore. Ovviamente sono consapevole che c’è
ancora molto strada da percorrere per diventare tra
le giovani un concreto segno del Suo amore preve-
niente», ci dice sorridente suor Scolastica.
«Prima di partire per la missione non ho sognato
di vivere quanto ho vissuto in questi dieci anni.
Non avevo mai pensato che sarei andata in diversi
paesi, che avrei incontrato tanta gente e che avrei
fatto diverse esperienze. Ogni volta che sono sta-
ta disponibile mi sono accorta che il Suo sogno
diventava realtà sia per me sia per la gente che
incontravo, infatti sono convinta che Egli conti-
nuamente compie il sogno che ha per me, per la
missione che mi affida. Ai giovani vorrei dire di
non aver paura di seguirlo ma di avere fiducia in
Lui: realizzerà promesse colme di un amore inim-
maginabile, fedele sempre e per sempre! Vi lascio
anche una frase scritta dalla giornalista Anne
Herbert su una tovaglietta di carta, in una tavola
calda della California, nel 1982 e che da allora ha
fatto e continua a fare il giro del mondo: “Pratica-
te gentilezza a casaccio e atti di bellezza privi di
senso non dimenticando mai che la gentilezza ge-
nerare gentilezza tanto quanto la violenza genera
violenza”».
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3.6 Page 26

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SENZA CONFINI
Kirsten Prestin, foto: Don Bosco Mission Bonn / Melis Boasi
Il maledetto
sudore del fango
La miniera di Rubaya, nella Repubblica
Democratica del Congo, è uno dei più
importanti giacimenti di coltan di tutto
il mondo. Molti bambini e giovani devono
lavorarvi senza dispositivi di protezione,
in cambio di pochi Euro. I Salesiani
di don Bosco vogliono spezzare il circolo
vizioso della povertà e dello sfruttamento
attraverso l’istruzione.
Tayo, otto
anni, lavora
con la sua
famiglia nella
miniera di
Rubaya.
L a miniera di Rubaya si trova in alto, sulle
montagne della regione di Masisi. Vi si tro-
vano minerali e terre rare, come il coltan.
Dato che nella zona vulcanica piove spesso
e intensamente, il coltan è trascinato a valle dalla
montagna attraverso i corsi d’acqua e si raccoglie
poi nel letto del fiume. Il coltan è un’importante
materia prima per i telefoni cellulari ed è quindi
molto richiesto in tutto il mondo.
Qui nella stagione delle piogge il terreno è umido
e pesante. Tayo, un bambino di 8 anni, non riesce
a sollevare una pala piena. Deve però continuare a
lavorare per estrarre dalla terra la ricchezza del
Congo: materie prime come il coltan e la cassite-
rite. Sta con i piedi nudi nel fango per molte ore, a
volte per tutto il giorno. Accanto a lui lavorano altri
bambini e ragazzi. I piccoli sbrigano commissioni.
Molti di loro non sono mai stati a scuola. Nella Re-
pubblica Democratica del Congo il lavoro minorile
è vietato, ma i controlli sono rari e dunque il divieto
è rispettato in misura limitata.
Anche il padre di Tayo scava alla ricerca del pre-
zioso minerale ed è immerso fino alle ginocchia
nel fango, calzando stivali di gomma. Il minatore
scava un canale nel letto del fiume e posa pietre
sul bordo. I minerali sono lavati in questo modo.
L’uomo cerca nel fango e mostra alcune pietre
scintillanti nel palmo della mano: è coltan. Que-
sto minerale assicura la sopravvivenza della sua
famiglia.
Una vita in estrema povertà
Per le famiglie della regione del Kivu Nord spesso
l’unica opportunità di guadagno consiste nel lavoro
nelle miniere a cielo aperto. Sebbene in Congo il
lavoro minorile sia proibito, nella miniera lavora-
no anche molti minori, in condizioni spaventose.
Lavorare nelle miniere è molto pericoloso. Ogni
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Secondo l’unicef, l’organizzazione internazionale
per l’aiuto all’infanzia, nel 2021 è stato registrato
un aumento del numero di bambini che lavorano,
che in tutto il mondo ha raggiunto la cifra di 160
milioni. Il loro numero era in calo, ma è ora au-
mentato per la prima volta a causa della pandemia
di coronavirus. In Africa la situazione è partico-
larmente drammatica. Qui un bambino su cinque
deve andare a lavorare. Si teme che entro la fine
del 2022 potrebbero essere costretti al lavoro mi-
norile fino a 46 milioni di bambini in più in tutto
il mondo. In molti Paesi poveri le famiglie doveva-
no lottare per la sopravvivenza anche prima della
pandemia di coronavirus. Il coprifuoco ha ulterior-
mente peggiorato la situazione. Molti genitori non
possono più mantenere la loro famiglia. Per questo
i ragazzi e le ragazze che devono lavorare invece di
andare a scuola sono sempre più numerosi.
anno si verificano frane che uccidono anche bam-
bini. Nonostante le preziose risorse minerarie di
cui dispone, il Congo è uno dei Paesi più poveri
del mondo. La maggioranza della popolazione del
Paese centrafricano vive in condizioni di estrema
povertà.
L’abbondanza di materie prime
è una maledizione
L’abbondanza di materie prime in Congo è anche
la sua maledizione. Da molti anni il sogno di rapidi
guadagni ha innescato una spirale di violenza nella
parte orientale del Paese. La gestione della sicurez-
za è precaria. Milizie e bande in competizione sono
Stremati: la
pausa dura
sempre
pochissimo.
 mSiigclaialciaodlai
che nelle miniere lavorino
minorenni. Molti sono
impegnati fino a otto ore al giorno.
Molte famiglie non possono pagare le tasse scola-
stiche per i propri figli. Per questo mandano i bam-
bini nelle miniere in tenera età. I salari sono gene-
ralmente bassi e bastano solo per acquistare gli abiti
e qualcosa da mangiare. Normalmente i bambini
sono pagati meno degli adulti. Si calcola che nelle
miniere lavorino migliaia di minorenni. Molti sono
impegnati fino a otto ore al giorno.
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SENZA CONFINI
Molti genitori non possono più mantenere la loro famiglia.
Per questo i ragazzi e le ragazze che devono lavorare invece di
andare a scuola sono sempre più numerosi.
impegnate in sanguinose battaglie a spese della
popolazione civile. Rubaya era un piccolo e sonno-
lento villaggio di montagna a circa 60 chilometri a
ovest della capitale della provincia congolese orien-
tale, Goma. La popolazione viveva principalmente
di agricoltura, quando fu individuata la presenza
del minerale di coltan. Con l’aumento della do-
manda di computer e telefoni cellulari negli anni
’90, sempre più persone si sono riversate a Rubaya
per lavorare alla ricerca del prezioso minerale. Gli
scavi per la ricerca di questa materia prima ne im-
pegnano ora decine di migliaia.
I Salesiani di Don Bosco offrono programmi di so-
stegno e aiuto alle famiglie povere. In futuro 400
bambini e giovani che vivono nelle aree minerarie
avranno accesso all’istruzione. «Il circolo vizioso
della povertà e dello sfruttamento può essere spez-
zato solo con l’istruzione», afferma don Jean-Pierre
Muhima Mutaka, responsabile dell’ufficio progetti
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3.9 Page 29

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SPERANZA PER I BAMBINI DELLE MINIERE
I Salesiani di Don Bosco sono attivi
nella megalopoli di Goma, in Con-
go, fin dagli anni ’80: 19 tra colla-
boratori e collaboratrici di strutture
di Don Bosco sono impegnati ad
aiutare i bambini che lavorano nel-
la miniera di Rubaya e le loro fami-
glie. Centinaia di bambini delle mi-
niere rimasti orfani, abbandonati o
in fuga trovano una nuova casa al
Centro Don Bosco Ngangi di Goma.
Lezioni scolastiche presso il centro
Don Bosco a Goma: anche i bambini
delle miniere presto dovrebbero poter
guardare al futuro con spirito positivo.
Don Bosco a Goma. Invece di lavorare nelle mi-
niere, i bambini lavoratori dovrebbero partecipare
a lezioni o corsi di recupero. Molti bambini lavora-
tori non hanno mai frequentato una scuola. Presso
i Salesiani sono previsti anche corsi di formazione
professionale per offrire l’opportunità di un futuro
migliore agli ex bambini lavoratori.
Molti bambini lavoratori non hanno
mai frequentato una scuola. Molte
famiglie non possono pagare le tasse
scolastiche per i propri figli.
le istituzioni di Don Bosco in Congo hanno ela-
borato un piano per salvare i bambini. Quest’opera
richiede soprattutto perseveranza. Sono necessarie
molte discussioni per convincere le comunità dei
villaggi che i bambini debbano stare a scuola e non
in miniere a cielo aperto. «Dobbiamo convincere
i genitori dell’opportunità che i loro figli vadano
a scuola invece di lavorare. E dobbiamo mostrare
loro prospettive», ha detto don Jean-Pierre.
Hanno
abbandonato
i villaggi per
scavare come
formiche alla
ricerca del
Coltan.
Vari rappresentanti locali della società civile ac-
colgono con favore l’iniziativa dei Salesiani di
Don Bosco. Il loro lavoro è un passo importante
per riportare i bambini a scuola e consentire loro
di seguire un percorso di formazione professionale
per sperare in un futuro migliore lontano dalle aree
minerarie.
«Il fatto che i bambini debbano lavorare nelle mi-
niere richiede un intervento urgente da parte delle
organizzazioni umanitarie», afferma don Batun-
di Hangi dell’organizzazione “Miniere del Kivu
Nord”. È una delle numerose associazioni con cui
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3.10 Page 30

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I NOSTRI GRANDI
Vicente Santilli
L’uomo chiamato
“Stella del mattino”
«Cominciai a risiedere tra gli Achuar, e a vivere
con loro, secondo il loro sistema di vita, nella
misura in cui ciò era compatibile con il Vangelo
e la mia condizione di religioso salesiano».
Il magnifico
sorriso di
padre Luigi
Bolla.
Ho incontrato padre
Luis Bolla – chia-
mato Yànkuam
‘Jintia’ in Achuar
– a Quito, Ecuador, un
pomeriggio del dicem-
bre 1979. Il suo sguar-
do rivelava un grande
amore per Cristo e per i
fratelli Achuar per i quali stava dando tutta la sua
vita. Abbiamo parlato a lungo della sua missione.
Parlava con un tale entusiasmo che da quel primo
momento ho avuto la sensazione di incontrare un
missionario diverso, straordinario, un uomo ricco
di idee e progetti, un missionario che aveva rotto gli
schemi tradizionali per iniziare un nuovo cammino
secondo gli orientamenti del Concilio Vaticano II.
Quello fu l’inizio del mio apprezzamento e della
mia amicizia con padre Luis. Più tardi, quando si
trasferì in Perù nel 1984, quell’amicizia divenne
sempre più forte.
Dal freddo delle Alpi
alla calda Amazzonia
Padre Luigi era nato a Schio-Vicenza (Italia set-
tentrionale) nell’agosto 1932. Fin da piccolo aveva
frequentato l’oratorio salesiano, un centro che of-
friva ai bambini e ai giovani un’educazione umana
e cristiana quotidiana. In questo ambiente, che per
lui era una seconda casa, si sentiva accolto, speri-
mentava la presenza di buoni educatori che lo gui-
davano, e poteva vivere nella gioia, con tanti amici.
Quando aveva 12 anni, nel mezzo della guerra,
sentì una voce che lo chiamava.
«Ho sentito una voce chiara che mi diceva: tu sarai
missionario nella giungla tra le tribù indiane e da-
rai la mia parola a questa gente. Camminerai molto
durante tutta la tua vita». Ogni volta che si ricor-
dava di questa chiamata, non poteva nascondere la
sua commozione.
Dopo la scuola secondaria, entrò nel noviziato sa-
lesiano. Espresso spesso ai suoi superiori il deside-
rio di andare in India come missionario. Ma solo
dopo aver finito il liceo fu assegnato alle missioni
in Ecuador nel 1953. Il 22 novembre dello stesso
anno lasciò il porto di Genova per l’Ecuador. Ave-
va 21 anni.
Mentre la nave lasciava il porto di Genova, il gio-
vane Luigi fece una preghiera che sarebbe diven-
tata una vera profezia: “Signore, lascio la mia cara
famiglia, i miei amici, la mia terra, le mie belle
montagne, solo per te e per farti conoscere a molte
persone che non hanno ancora avuto la grazia di
conoscerti. Metto tutto nelle tue mani. Farai tutto
bene”. E se ne partì pieno di gioia.
Dopo alcuni mesi trascorsi nella città di Cuenca per
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4.1 Page 31

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Padre Bolla
“in cattedra”
nella sua
scuola.
familiarizzare con lo spagnolo, fu inviato nell’A-
mazzonia ecuadoriana. Poi vennero gli anni della
teologia che lo aprirono completamente al mondo
missionario. Ordinato sacerdote il 27 ottobre 1959,
fece la sua prima esperienza sacerdotale, seguendo
in parte lo stile tradizionale di evangelizzazione,
con l’etnia Shuar. Ma gli si spezzò il cuore quando
vide la difficile situazione degli Achuar, perché vi-
vevano in terribili lotte tribali.
Di nuovo il Signore bussò alla porta del suo cuore
e gli disse: “Se vuoi, datti interamente a questo po-
polo”. Aveva allora 28 anni.
Dopo il Concilio Vaticano II, i suoi superiori lo
mandarono a Roma all’Università Gregoriana per
un “aggiornamento” sul Concilio. Ha riflettuto
sulla missiologia e l’antropologia. Furono anni di
grazia che aprirono un panorama molto bello per
l’evangelizzazione delle popolazioni indigene. Tor-
nato in Ecuador, dopo una profonda riflessione e
molta preghiera, chiese al suo superiore di permet-
tergli di dedicare la sua vita all’evangelizzazione
del popolo Achuar che era molto abbandonato.
Quando il vescovo e il suo superiore gli chiesero a
quali condizioni sarebbe andato a lavorare con que-
sto popolo indurito, disse solo tre cose: 1. Non ho
intenzione di acquisire terra, poiché la terra appar-
tiene agli Achuar. Né ho intenzione di avere edifici
o collegi. Vivrò semplicemente come ospite nel ter-
ritorio Achuar. 2. Che mi sia permesso di vivere in
stile Achuar. Vestirsi, mangiare, avere una casa, la-
vorare come il popolo Achuar, senza perdere la mia
identità di sacerdote e religioso. 3. Metterò tutta la
mia fiducia nella Provvidenza del Signore, che mi
darà ciò di cui ho bisogno donandomi totalmente
per amore di Dio. E, per questo, rinuncio al so-
stegno finanziario della Congregazione Salesiana e
del Vicariato Apostolico.
Ricevuto il permesso, riempì il suo zaino solo con lo
stretto necessario. E con il cuore traboccante d’amo-
re per Gesù e Maria Ausiliatrice, andò a vivere con il
popolo Achuar nella comunità di Wichim. Là cercò
di conoscere la gente, la loro lingua, le tradizioni, i
miti, i fiumi e l’intricata foresta che arrivò ad amare
come il suo paese. Gli Achuar lo “battezzarono” con
il nome di Yánkuam (stella del mattino).
Dopo alcuni anni, vedendo che nessun missionario
si occupava degli Achuar del Perù, chiese ai suoi
superiori di conoscere anche la zona peruviana.
Con Antuash (padre Domenico Bottasso) fece un
viaggio in territorio peruviano che durò 4 mesi.
GENNAIO 2022
31

4.2 Page 32

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I NOSTRI GRANDI
I due dovettero sopportare incomprensioni e rifiu-
ti, pericoli di ogni tipo, malattie, fame. Tuttavia,
poterono conoscere i luoghi e i costumi del popolo
Achuar del Perù.
Nel 1984 padre Bolla era già in Perù. Il vescovo di
Yurimaguas, lo accolse e lo mandò a lavorare con
gli Achuar.
Padre Bolla
nella sua sala
da pranzo
e nella sua
cattedrale.
Identificato con gli Achuar
fino a rischiare la sua vita
In Perù, il suo primo atteggiamento consistette nel
vedere, osservare e conoscere. Poi, a poco a poco,
adottò la forma di inculturazione del Vangelo ini-
ziata in Ecuador. Il vescovo gli diede tutta la sua
fiducia e facilità per portare avanti il progetto di
inculturazione del Vangelo nell’etnia Achuar.
Scelse Kuyuntsa e Sanhiick come residenza, ma
non mancò di visitare le altre comunità Achuar e
altri gruppi etnici. Fece lunghi viaggi a piedi, in
canoa e in barche a motore, sotto il sole o sotto la
pioggia. Senza perdere mai gioia ed entusiasmo.
Non si arrese di fronte agli ostacoli e alle calunnie
che i trafficanti di droga, i taglialegna, le compa-
gnie petrolifere, i militari e altre persone di cattiva
volontà gli mettevano sulla strada. Accusato di es-
sere una spia, dimostrava con i fatti che la sua unica
preoccupazione era quella di umanizzare, educare
ed evangelizzare, portando uno sviluppo alternati-
vo all’etnia Achuar. Minacciato di morte, diventò
ancora più forte e denunciò davanti alle autorità
militari e all’ufficio del difensore civico gli indici-
bili abusi e oltraggi che gli affaristi usavano contro
gli indigeni.
Per più di 17 anni dovette vivere da solo tra gli
Achuar. Tuttavia, dalle sue labbra non uscì mai
la minima lamentela sul perché la Congregazione
lo avesse lasciato solo. La sua unica preoccupazio-
ne era portare la Parola di Dio al suo popolo. Nel
1996, insieme a Juan Juàrez (Tsere), che lo aveva
accompagnato per un anno e che andò a vivere
definitivamente con lui l’anno successivo, e al ca-
meraman Christian Castillejos, gli facemmo visita
a Kuyuntsa. Era molto contento, disse, perché ero
stato il primo salesiano dell’Ispettoria peruviana a
visitarlo. In quell’occasione mi confidò: “Sono mol-
to felice. Con il passare degli anni, sento che l’entu-
siasmo missionario, invece di diminuire, aumenta.
Questo è un dono del Signore...”.
32
GENNAIO 2022

4.3 Page 33

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almeno
 aVi omrireeii
poter
figli e
trasmettere,
a quelli che amo
nell’anima, la fortuna che ho avuto
e poter gridare a tutti: ho incontrato
un cristiano! Ci sono! Sì, un mondo
migliore è possibile!
(José Arnalot, aiutante di padre Bolla per due anni)
Fu molto felice quando la Congregazione Salesiana
del Perù decise di assumere la missione di Datem del
Marafión, che copre un territorio di più di 42 000
km quadrati. I salesiani formarono poi una comunità
a San Lorenzo, ma lui rimase nella giungla con la
sua gente, con la quale si è sempre profondamente
identificato. Era amato e rispettato da tutti, anche
dai membri di altre religioni, perché vedevano in lui
un uomo integro che incarnava il Vangelo.
Il vescovo del Vicariato Apostolico di Yurimaguas
lo visitava ogni anno, ogni volta in luoghi diver-
si, per poter conoscere le diverse comunità cristia-
ne che stavano nascendo: «Abbiamo visto come il
popolo lo amava e rispondeva alla Parola di Dio.
La sua presenza, le sue parole e la gioia di sentire
che era uno del popolo ci hanno riempito di gioia e
di speranza. Abbiamo visto in lui un vero apostolo
che, come Paolo, aveva fondato una nuova Chiesa,
originale, autoctona, inculturata nella mentalità del
popolo Achuar».
Ricercatore e scrittore
Durante il tempo trascorso a Kuyuntsa e Sanchiik,
si dedicò a comprendere la visione mentale e reli-
giosa del popolo Achuar: le loro tradizioni e miti, il
loro rispetto per la natura, i loro elementi culturali,
la difesa delle loro terre. Tutto questo gli valse la
simpatia e il riconoscimento del popolo Achuar e
di molte istituzioni nazionali e internazionali. Ri-
cordo la stima e l’amore che il vecchio Peas Kan-
tash, un uomo di 72 anni, cieco, ma molto saggio
e di grande influenza tra gli Achuar, aveva per lui.
Durante una visita mi disse: «Ho dato tutto il mio
sapere a Yánkuam che amo come un vero fratello».
Yánkuam, consapevole che la cultura orale era desti-
nata a scomparire nel tempo, con le sue conoscenze
di antropologia, etnologia, filologia, storia e geogra-
fia, creò la scrittura affinché i bambini e i giova-
ni Achuar potessero imparare a scrivere e studiare
nella loro lingua. A questo scopo realizzò diverse
pubblicazioni: libri liturgici in Achuar, enciclopedie
di animali, piante e pesci, un dizionario Achuar, e
Achuarà!, il Nuovo Testamento in lingua Achuar.
Nel campo dell’evangelizzazione, non ha fatto pro-
seliti. Ha proclamato il Vangelo,
ma ha lasciato tutti liberi. Solo
dopo 9 anni, nel 1994, ha ammi-
nistrato i primi battesimi ad al-
cune persone di Panintsa e a due
famiglie di Kuyuntsa. Oggi, cen-
tinaia di cristiani Achuar hanno
scoperto il Vangelo e si sono in-
namorati di Gesù.
Ha lavorato molto per formare
catechisti Achuar. Le comuni-
tà cristiane Achuar hanno ora
5 diaconi permanenti e ci sono
altri che si stanno preparando
con entusiasmo a ricevere il
diaconato. Seguendo le linee guida del
Concilio e in accordo con il suo vescovo, inculturò
la celebrazione dei sacramenti affinché tutti potes-
sero essere in sintonia con il mistero di Dio senza
grandi difficoltà.
Nel 2005, padre Diego Clavijo (Kiakua), venuto
dall’Ecuador, si è unito a padre Luis nella missio-
ne di Sanchiik, per servire gli Achuar della zona.
Padre Luis si rallegrò, perché non sarebbe stato
più solo in questa missione con gli Achuar. E con
paziente dedizione ammaestrò il suo compagno
nella lingua e nella cultura locale. Nel 2007, un
altro salesiano si è unito a loro, padre Nelso Vera
(Ikiam). In questo modo si rafforza il sogno di Pa-
dre Luis, affinché l’opera che aveva iniziato avesse
continui­tà.
Il libro che
racconta la
vita di padre
Bolla.
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4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
Le malattie dell’educazione 1
La figliolite La malattia che schiaccia
la crescita dei figli.
L a ‘figliolite’ è la malattia dei genitori che non
si decidono mai a tagliare il cordone ombe-
licale. Brillante è la descrizione che ne fa il
noto pediatra Marcello Bernardi: “I genitori
ammalati di ‘figliolite’ non vogliono essere soltanto le
fondamenta: vogliono essere tutto, fino all’ultima tego-
la. Vogliono essere genitori per sempre, genitori in ser-
vizio permanente effettivo, per usare un gergo milita-
resco. Controllano tutto: cibo, vestito, amicizie, giochi,
carriere scolastiche, comportamenti, le conseguenze di
un simile atteggiamento, se non si vedo-
no subito, si vedranno certo nel periodo
dell’adolescenza. Come farà un ragazzo
ad affrontare la vita, se non ha mai im-
parato a vivere? Se tutto è sempre stato
deciso da altri, preparato da altri, scelto
da altri, guidato da altri?”. Quasi che
tutto ciò non bastasse, la ‘figlio-
lite’ è anche la malattia dei
genitori che stravedono per i figli, li proteggono, li
difendono, comunque! Subito qualche esempio.
Erano ammalate di ‘figliolite’ le madri di Ronco
Scrivia che divennero furibonde ed insultarono
l’allenatore di calcio che, giustamente, aveva ri-
chiamato i loro figli.
una
c oTsuattcehleeivl ofilgteliochpeuòfafcacrieamdao
noi
solo,
gli rubiamo un pezzo di vita.
Era ammalata di ‘figliolite’ quella
mamma che, per cancellare le prove
della colpevolezza del figlio, bruciò
ben sette capolavori del famoso pittore
spagnolo Pablo Picasso, rubati dal ra-
gazzo al museo di Rotterdam (Olanda)
nel Luglio 2013.
Era ammalata di ‘figliolite’ quella
madre dei Parioli di Roma che,
convocata dall’insegnante per
avvertirla che se non si fosse im-
pegnata di più, la figlia avrebbe
rischiato la bocciatura, le urlò
in faccia: “Questa è una scuo-
la privata! Io pago. Lei non
deve seccarmi!. Era gra-
vemente ammalata di
‘figliolite’ quella madre
di Forlì che denunciò
per furto il professore che ritirò
il telefonino al figlio di terza
media perché, invece di prestare
attenzione alla lezione, continuava
a guardare un sito pornografico!
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GENNAIO 2022

4.5 Page 35

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IL SEME DI UN DITTATORE
Non avrete problemi a identificarli: da chi si mette in
piedi sull’autobus e si butta sul sedile libero, allo zoti-
cone che fruga tra i popcorn al cinema, all’autista che
parcheggia in doppia fila davanti al panificio senza
preoc­cuparsi del traffico... Tutti quelli che lo psicologo
Didier Pleux chiama “tiranni adulti”. Personalità cen-
trate su se stesse, indifferenti o quasi indifferenti al
prossimo, e il cui numero si dice sia in aumento.
Una insegnante di economia che analizza la sua espe-
rienza, ha individuato un aumento di questi difficili
temperamenti: «Gli adolescenti a cui insegno da quin-
dici anni non hanno mai imparato a tenere conto degli
altri, il collettivo non ha alcun significato ai loro occhi.
Sono incapaci di mettersi in discussione. Ci troviamo
di fronte a un fenomeno preoccupante, di cui è giunto
il momento di prendere coscienza. Tanto più che una
parte di loro sta raggiungendo l’età adulta».
Il tiranno adulto è in una dinamica di piacere come un
bambino che ha dimenticato di crescere. Non ha mai
veramente interiorizzato i limiti del possibile. Ecco per-
ché non sopporta di sentirsi dire “no”. Solo la realtà,
quando si scontra con essa, può fermarlo. Né psicotico
né perverso, deve cominciare a piangere il suo deside-
rio di onnipotenza e accettare i suoi difetti per potersi
evolvere. Il tiranno adulto non è una vittima, è in una
scelta esistenziale, a cui può decidere di rinunciare.
La gravità della ‘figliolite’ sta nel fatto che è una
maledizione per i figli. Il figlio troppo protetto si
illude d’essere infallibile, perfetto, insindacabile: ed
ecco la premessa per un futuro despota, un futuro
rompiscatole prepotente!
I danni della ‘figliolite’ non si fermano qui.
Da essa nascono i cosiddetti ‘figli prolun-
gati’: i figli, cioè, che non si decidono mai a lasciare
la famiglia, per andarsene a vivere in proprio.
La psicologa Maria Rosa De Rita ci dà questo con-
siglio: “A 27 anni, al massimo, buttateli fuori di casa,
come ho fatto io. Un giorno vi ringrazieranno!. Se
non possiamo arrivare a tanto d’ora in poi, alme-
no, quando a sera torna a casa il ‘cucciolone’ di 35
anni, non sforniamogli più i sofficini. Sì, perché,
diciamocelo chiaro: non è forse vero che talora
siamo proprio noi a non volere che il figlio se ne
vada di casa? Siamo noi che, a conti fatti, non ab-
biamo imparato ad amarlo.
Chi ama i fiori non li calpesta né li coglie per sé,
ma li lascia crescere, liberi e belli, nel campo. In
termini più pedagogici: amare davvero il figlio è
liberarlo del nostro bisogno di aiuto. Amare il figlio
è desatellizzarlo, è liberarci dalla ‘figliolite’.
Forse sarà bene “occuparci”
un po’ di più dei figli e
“preoccuparci” di meno.
Che fare per liberarci dalla insidiosa ‘fi-
gliolite’?
II successo dipende dalla vittoria sul cosiddetto
‘complesso del bagnino’. II bagnino – si sa – teme
sempre che qualcuno anneghi. Purtroppo mai come
oggi tale complesso ha avuto tanta fortuna. Dice
bene l’esperto della situazione infantile italiana
Domenico Volpi: “C’è in Italia un piagnisteo sui peri-
coli dei bambini che rasenta l’idiozia!. È vero: i rischi
dei piccoli non sono un’invenzione, ma neanche
devono diventare un tormento, un’ossessione!
Non lasciare – per portare un esempio – che il fi-
glio vada a scuola e torni a casa da solo, è una delle
tante paure esagerate!
Non lasciare che il figlio vada a scuola da solo, è
privarlo di un’occasione eccellente per acquistare
sicurezza, per rinforzargli l’autostima, per aiutarlo
ad integrarsi con le persone del quartiere.
In breve, è aiutarlo a desatellizzarsi. Bene è anche
non sbucciargli l’arancia quando ha ormai cinque
anni. Bene è smettere di insaponarlo il più presto
possibile.
Bene è stimolarlo a preparare e spreparare la tavola
(anche se i bicchieri e i piatti tremano!). Bene è dar-
gli responsabilità proporzionate alle sue capacità di
onorarle.
Bene è non fare mai ciò che il figlio è in grado di
fare da solo! Sarebbe rubargli un pezzo di vita! Sa-
rebbe farne un figlio prolungato.
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4.6 Page 36

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LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
Prigionieri della
tirannia dei “se”
Nessuna esperienza si rivela
completamente inutile nel
cammino dell’adultità e anche
i fallimenti più dolorosi ci
insegnano sempre qualcosa,
ci aiutano a crescere, ci rendono
più coscienti delle nostre risorse
e dei nostri limiti.
P arole non dette, abbracci non dati, treni non
presi, relazioni non coltivate, occasioni non
colte ed esperienze non vissute fino in fon-
do, scivolate via come impalpabili granelli
di sabbia nella clessidra inesorabile di un tempo che
ormai non è più. Il cammino in salita che dai pro-
getti ambiziosi e inquieti dell’adolescenza conduce
alla ponderatezza e al pragmatismo dell’età adulta
è spesso disseminato di amari rimpianti, del ram-
marico per le tante possibilità perdute per sempre,
dell’assillo insistente dei “se” che finiscono inevita-
bilmente per alimentare frustrazioni e pentimenti.
Quando si volgono a riconsiderare il passato, non è
raro che i giovani adulti sperimentino un senso di
impotenza nel ripensare a ciò che avrebbe potuto
essere e invece non è stato, alle decisioni prese con
superficialità o in maniera frettolosa e impulsiva
che però hanno condizionato in misura rilevante
la direzione della propria esistenza, alle non-scelte
dettate dalla paura di uscire dalla propria zona di
comfort, o peggio ancora dalla pigrizia, che hanno
Tutte le cose che non ho capito
sono figlie di tutti i momenti
in cui non ho vissuto.
Tutte le volte che non ho tentato
sono tutti i ricordi
che non ho accumulato.
Tutti i silenzi che non ho provato
sono padri di tante parole
che non mi servivano.
Tutti i paesi in cui non sono stata
sono spine nel fianco a una donna
che non è cresciuta…
Tutti i sorrisi che non ho indossato
sono giorni in cui ho perso il presente
e ha vinto il passato.
Tutti gli ostacoli che ho superato
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GENNAIO 2022

4.7 Page 37

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avuto conseguenze profonde sulla costruzione del
proprio percorso di vita.
L’immobilismo, l’inerzia della non-scelta pesano,
infatti, sul nostro cuore più delle decisioni sbagliate
e degli errori commessi. Sono come un tarlo mo-
lesto che ci consuma dall’interno, impedendoci di
affrontare serenamente il presente e di riconoscere
un valore positivo al nostro procedere. Sono alibi
ben costruiti che nell’immediato mettono a tacere
il nostro timore di fallire, ma che a posteriori sve-
lano tutta la loro inconsistenza quando ci rendiamo
conto che non stiamo vivendo appieno la nostra
esistenza e che stiamo rinunciando in partenza ad
esperienze preziose e irripetibili.
È vero, infatti, che di fronte ad ogni bivio che la
quotidianità ci pone davanti c’è sempre il rischio di
non riuscire a discernere i segnali che ci indirizza-
no verso ciò che può renderci autenticamente felici
e di imboccare pertanto la strada sbagliata, finendo
irrimediabilmente con il perderci. Ma la soluzione
non è certo restare seduti nel mezzo dell’incrocio,
lasciando che la vita ci scorra accanto senza avere
mai il coraggio di metterci in gioco. Anche quando
non siamo sicuri che il sentiero intrapreso sia quello
più giusto per noi, vale la pena di provare a percor-
sono alibi fatti di scuse
che non ho trovato...
Se vivere forte fa male,
sognare fa male, pensarti,
non me ne frega niente.
Se osare fa male,
volare è cadere,
provare è sbagliare,
non me ne frega niente...
Continuerò ad andare controvento,
comincerò a lottare contro il tempo!
Se vivere a volte fa male,
io vado controvento...
Ogni attimo di sole nuovo
è un angolo in cui mi ritrovo,
è l’infinito che non è finito.
Controvento, controvento...
Continuerò ad andare controvento,
comincerò a lottare contro il tempo!
Se vivere a volte fa male,
io vado controvento...
(La Camba, Controvento, 2021)
rerlo, concedendoci anche la possibilità di rivedere
in itinere i nostri obiettivi e le nostre priorità e, ma-
gari, di cambiare rotta se verifichiamo che stiamo
camminando nella direzione errata.
Del resto, nessuna esperienza si rivela completa-
mente inutile nel cammino dell’adultità e anche i
fallimenti più dolorosi ci insegnano sempre qual-
cosa, ci aiutano a crescere, ci rendono più coscienti
delle nostre risorse e dei nostri limiti, dotandoci di
strumenti più efficaci per affrontare con consape-
volezza e competenza le scelte che ci aspettano in
futuro. E non è raro che una strada che in un pri-
mo momento poteva sembrare impervia e irta di
ostacoli, al punto da apparire sconsigliabile, riservi
poi sorprese inaspettate a chi abbia il coraggio di
avventurarvisi, regalando angoli di sole tanto più
preziosi in quanto faticosamente conquistati.
Piuttosto che vivere nel rimpianto di decisioni non
prese e occasioni mancate, prigionieri della tirannia
dei “se”, vale allora la pena di osare scelte contro-
corrente, accettando il rischio di inseguire i propri
sogni!
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
Un terzo don Bosco
a Valdocco
Un convegno in occasione
del centenario dalla morte
“Io e te faremo a metà!” avrebbe detto don
Bosco al ragazzino Michele Rua. Ed ef-
fettivamente i due collaborarono in pieno
per la fondazione della Congregazione
del Rettor Maggiore,
don Paolo Albera.
cerchie di opinione pubblica di varie città, non
salesiana, fino al punto che don Bosco lasciò correg- esclusa la laicissima Parigi. Di tale voluta “somi-
gere dal giovane Rua quelle stesse Costituzioni che glianza” era ben cosciente lo stesso don Albera, al
trovavano difficoltà ad essere approvate da Roma. punto da farsi fotografare in pose che richiamavano
Don Rua poi fu il primo successore di don Bosco e espressamente quelle, molto diffuse, di don Bosco.
lo imitò al punto da meritarsi la qualifica di “un altro
don Bosco” (anche se la storiografia più recente ci ha Il Rettor Maggiore
restituito un don Rua “altro” da don Bosco).
meno conosciuto
Ma nel 1892 la Francia restituiva a Valdocco “un Oggi don Albera è probabilmente il meno cono-
petit don Bosco” nella persona di don Paolo Albe- sciuto fra i dieci successori di don Bosco. Forse che
Don Francesco
Motto apre
il convegno
internazionale
dedicato a
don Paolo
Albera.
ra (1846-1921). “Piccolo” non certo nel senso della
statura – era più alto di Bosco – ma nel senso di
essere un’immagine semplice, umile, riservata del
don Bosco storico che in terra francese pochi anni
prima era stato semplicemente osannato da vaste
a “danneggiarlo” in tal senso è il fatto che si trova
collocato fra due rettori maggiori beati, don Rua e
don Filippo Rinaldi? Non direi. Piuttosto tale re-
lativa “dimenticanza” è da attribuirsi al tristissimo
evento cui dovette far fronte: quasi metà dei suoi
undici anni di Rettorato è coincisa con la prima
guerra mondiale (1914-1918) con tutte le conse-
guenze del caso. Prima fra tutte, quella di essere al
vertice di una Congregazione costituita per lo più
da confratelli in età militare, che da compagni di
scuola o di noviziato o residenti nella stessa casa,
paradossalmente furono chiamati in massa a com-
battere, talvolta con le baionette, gli uni contro gli
altri! Per non dire dei bombardamenti e delle re-
quisizioni di numerose case, dei molti orfani accolti
gratuitamente, della difficile situazione economica
e sociale post bellica, dell’impossibilità di aiutare le
missioni…
Eppure don Albera non è una figura di secondo
piano nella storia della Congregazione salesiana. In
essa ha ricoperto ruoli di responsabilità per ben 50
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GENNAIO 2022

4.9 Page 39

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anni: direttore per 10 anni a Genova (1871-1881),
primo ispettore di Francia per 11 anni (1881-1892),
direttore spirituale della Società salesiana per 18
anni (1892-1910), Rettore maggiore per 11 anni
(1910-1921). Un cursus honorum di tutto rispetto,
non inferiore ai Rettori maggiori che lo hanno pre-
ceduto e seguito.
Una preparazione a distanza
Don Bosco aveva visto giusto quando ad inzio degli
anni sessanta per una fotografia in cui doveva ap-
parire attorniato da ragazzi che volevano confessar-
si, chiese che il ragazzo che gli sussurrava all’orec-
chio i suoi peccatucci fosse proprio Paolino Albera.
Non per nulla ancora studente quattordicenne, don
Bosco lo aveva invitato a sottoscrivere la richiesta
al vescovo monsignor Luigi Fransoni di dare una
prima approvazione alle Costituzioni salesiane.
A contatto diretto con don Bosco, don Albera aveva
vissuto gli anni dell’adolescenza e della giovinezza,
dai 14 ai 26 anni; per altri 17 anni il loro rapporto,
per quanto saltuario, non venne mai meno, grazie
soprattutto a vari incontri a Torino, in Liguria e
in Francia. Era dunque pronto ad assumere, a suo
tempo, dopo don Rua, il compito di Rettor Mag-
giore della congregazione salesiana. Del resto era
stato lo stesso don Bosco a “profetizzare” che sareb-
be stato lui il “suo secondo” [successore], e non don
Rinaldi che pure, da Prefetto-Vice Rettor Maggio-
re nel 1910, era in pole position per essere immedia-
tamente eletto al suo posto.
Un convegno provvidenziale
In occasione del centenario della sua morte è stato
dunque provvidenziale il Convegno, in presenza e
on line, promosso dal Rettor Maggiore don Ángel
Fernández Artime ed affidato per la realizzazione
all’Istituto Storico Salesiano con sede nel campus
della Pontificia Università Salesiana di Roma.
Nella due giorni di studio (30-31 ottobre 2021) è
emersa anzitutto la figura di un prudente uomo di
governo che, in un lasso di tempo particolarmente
difficile, ha saggiamente gestito una società in cre-
scita internazionale e in ricerca di un nuovo equili-
brio istituzionale con l’Istituto delle Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice. Inoltre si è dimostrato illuminato
maestro di spiritualità per migliaia di Salesiani e
Figlie di Maria Ausiliatrice, incontrati di persona a
Valdocco e nei suoi numerosi viaggi di animazione,
o attraverso la stampa (lettere circolari, manuale del
direttore, Bollettino Salesiano…).
In tal modo, per quanto costretto per causa di for-
za maggiore a moderare l’impressionante sviluppo
dato alla congregazione salesiana dal lungo rettora-
to del predecessore, alla morte don Albera la lasciò
in buona salute, pronta a riprendere lo slancio delle
origini. Scriverà alla sua morte il successore don
Rinaldi:
“E il Signore gli diede a consolazione di veder bene-
dette le sue fatiche, nel numero dei soci aumentato
durante il suo Rettorato di 705, nonostante i vuoti
causati dalla guerra; nel numero delle case aumenta-
te di 103, nelle nuove missioni aperte in Africa (nel
Congo belga), in Asia (nella Cina) e nell’Assam, nel
Chaco Paraguayo [e nel Matto Grosso]; nelle nuove
case di noviziato, e nei nuovi fiorenti oratorii festi-
vi, che aggiunsero nella solennità del suo accompa-
gnamento funebre (che nella sua imponenza devota
richiamava alla mente quelli di don Bosco e di don
Rua) una nuova nota di commovente edificazione”.
Don Albera: un Rettor Maggiore che ha gestito
il presente della Famiglia salesiana in fedeltà al
passato carismatico del fondatore ne ha preparato
il futuro. Gli Atti del Convegno ce lo conferme-
ranno.
Studi e
convegni
hanno
riscoperto la
personalità e
l’importanza
del secondo
successore di
don Bosco.
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni  postulatore generale
 Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulatore@sdb.org
 Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di gennaio preghiamo per la Canonizzazione
del beato Michele Rua, di cui quest’anno ricorre il 50° della
Beatificazione (29 ottobre 1972)
Nato a Torino il 9 giugno 1837,
Michele ancora fanciullo incon-
trò don Bosco il quale con un
gesto simbolico gli preannun-
ciò che nella vita avrebbe fatto
a metà con lui. Membro, con
Domenico Savio, della Com-
pagnia dell’Immacolata, fu un
allievo modello e apostolo tra i
compagni. Nel 1855 emise i pri-
mi voti; ancora suddiacono, fu
scelto come direttore spirituale
della nascente congregazione.
Venne ordinato sacerdote nel
1860 e successivamente fu no-
minato direttore di Mirabello,
prima casa salesiana fuori Tori-
no. Divenuto successore di don
Bosco (1888), manifestò fedeltà
creativa alle ispirazioni e inizia-
tive apostoliche del fondatore;
ne assunse l’attraente paterni-
tà; ne sviluppò le opere, prolun-
gandone l’ardore apostolico a
favore dei giovani, adattandole
alle mutate situazioni sociali.
Durante i 22 anni del suo ret-
torato compì numerosi viaggi
per consolidare e sostenere il
lavoro dei confratelli. Frequen-
temente li incoraggiò con le
sue numerose Lettere circolari
e personali che costitui­scono
un’interpretazione autorevole
dello spirito del fondatore. Si
spense a Torino il 6 aprile 1910.
Paolo VI lo annoverò tra i beati il
29 ottobre 1972.
Ringraziano
È nostro profondo desiderio
ringraziare con tutto il cuore
san Domenico Savio e il suo
prodigioso abitino. Dopo 5 anni
di tentativi e cure varie il padre
salesiano che ci ha sposato ci
ha regalato il libricino con la
novena, le preghiere e l’abitino
di san Domenico Savio. Tutte le
sere io e mio marito abbiamo
recitato assieme la novena e la
preghiera per chiedere la grazia
della maternità. A un mese esat-
to abbiamo scoperto di aspetta-
re un bambino. Per tutti i nove
mesi ho recitato la preghiera
della mamma in attesa e ho af-
fidato al Padre Celeste e a Maria
la nostra creatura e ho custodito
sotto il cuscino l’abitino di san
Domenico Savio. La nostra crea­
tura ha da poco compiuto un
anno; è un vivace maschietto
che ha portato nei nostri cuori
tanta gioia e amore. Presto vor-
remmo che la nostra diventasse
una famiglia più grande e più
gioiosa e affidiamo il nostro
cuore e i nostri desideri nuova-
mente a san Domenico Savio e
alla Vergine Maria che interce-
dano per noi affinché possiamo
nuovamente sperimentare la
gioia della maternità.
Loredana Giovanni e Dante
Casonato
A mia moglie Maria Piera, che ha
novant’anni, è stata diagnosti-
cata una cataratta in ambedue
gli occhi nell’autunno del 2019.
Preghiera
Dio nostro Padre,
al Beato Michele Rua sacerdote,
erede spirituale di san Giovanni Bosco,
hai dato la capacità di formare nei giovani
la tua divina immagine;
concedi a noi, chiamati a educare la gioventù,
di far conoscere il vero volto di Cristo, tuo Figlio.
Ti supplichiamo di voler glorificare il tuo servo,
e di concederci, per sua intercessione,
la grazia che ti chiediamo...
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Questa si era molto sviluppata
nel tempo e la situazione della
cornea risultava piuttosto criti-
ca, come pure quella del nervo
ottico (pericolo di glaucoma). Ho
pregato tanto, richiedendo l’aiu-
to del venerabile don Giusep-
pe Quadrio, che ha dedicato la
sua vita accademica con la voca-
zione all’insegnamento e all’a-
postolato più ampio, sia sul pia-
no personale, sia su quello della
comunicazione scritta e orale,
pure nelle ultime fasi della sua
vita, in cui fu colpito da una
lunga e dolorosa malattia sop-
portata con esemplare parteci-
pazione alle sofferenze di Gesù
Cristo e grande donazione di sé.
Ho raccomandato al venerabile
di trovarmi l’equipe più adatta
per il delicato intervento sia per
la capacità professionale, sia per
la qualità delle dotazioni tecni-
che. Questa ricerca, nonostante
il lungo periodo di lockdown da
Covid 19, ha portato ad una so-
luzione molto convincente, per
le prospettive sia a breve sia a
lungo termine. Il risultato delle
due operazioni, svoltesi nell’ar-
co di un anno (2020) è stato
giudicato molto soddisfacente
sia dai medici operatori sia da
mia moglie.
Pietro Calzolari – Milano
Il 13 novembre 2020, dopo una
settimana di febbre che saliva
e scendeva, ero scoraggiato e
mortificato perché non riuscivo
a sconfiggere il Covid 19. A un
amico che mi chiedeva come
stavo gli rispondevo: “Io mi tro-
vo in compagnia del Covid 19.
Oggi iniziamo la seconda setti-
mana. Mi affido al beato Arte-
mide Zatti.” E volevo scrivere “e
a Francesco Convertini”. Ma mi
sembrava di essere un po’ trop-
po “bizzoco”…
Ma guardando la statua di pa-
dre Francesco Convertini che ho
nella mia stanza ho detto ad alta
voce e un po’ stizzito (tanto ero
solo in quarantena) “Francè ti
vuoi muovere per favore…!!!”.
Sembrerà strano…, ma in quel
momento mi è passato tutto: la
febbre, i dolori muscolari, l’as-
senza dell’olfatto e del gusto, la
spossatezza e la malinconia…
Solo non riuscivo a parlare con
nessuno, neanche al telefono,
perché scoppiavo a piangere…
Non riuscivo a darmi una spie-
gazione… e mi chiedevo cosa
mi fosse accaduto.
La sera celebrando la mia eu-
carestia, da solo, nella stanza
ho ringraziato per il dono della
guarigione.
Don Angelo Draisci
40
GENNAIO 2022

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO E` BENEDIZIONE
Antonio Labanca - Missioni Don Bosco
Don José Carbonell Llopis
morto a El Campello, il 22 aprile 2021, a 94 anni
Quando don José Carbonell
incontrò i suoi confratelli, dopo
essere partito dalla Spagna per
le Filippine, gli fecero osser-
vare che i suoi occhi si erano
stretti all’orientale e perfino la
sua pelle aveva preso tonalità
gialle: era l’evidenza di un mis-
sionario calatosi con tutto se
stesso nella cultura locale.
Nato ad Alcoy nella provincia di
Alicante, dopo la professione
salesiana a 19 anni i suoi supe-
riori lo mandarono a formarsi
a Torino, per studiare filosofia
a Rebaudengo e poi teologia
alla Crocetta. Nella città di don
Bosco si nutrì delle memorie
salesiane fino a che fu ordinato
sacerdote nella Basilica di Maria
Ausiliatrice: un curriculum che
lo destinò, una volta rientrato
in Spagna, a occuparsi della for-
mazione dei giovani confratelli e
in breve ad assolvere all’incarico
di ispettore a Valencia.
Fu chiamato nelle Filippine,
dove approdò nel 1975. “Tutti
conosciamo il suo dinamismo
giovanile, le sue straordinarie
doti di governo, la sua profon-
da formazione salesiana, il suo
tatto e la sua comprensione, la
sua esemplarità religiosa, la sua
dedizione totale all’ispettoria e
ai fratelli” scrisse il Rettor Mag-
giore don Luigi Ricceri nell’affi-
dargli la massima responsabili-
tà salesiana in quel Paese.
Per lui fu la scoperta nel gran
continente asiatico di un popo-
lo speciale, l’unico a professare
a gran maggioranza il cristia-
nesimo. Con vero entusiasmo
spiegava che “l’opera di Don
Bosco ha un grande sviluppo
nelle Filippine, e i salesiani
sono inseriti perfettamente”.
La collaborazione, sincera e
simpatica, dei laici era un ele-
mento decisivo: “La gente è ge-
nerosa fra tutte le classi sociali,
risponde al 100 per 1 sotto tutti
gli aspetti. In ogni sede c’è un
gruppo di ragazzi che si forma-
no per essere catechisti. Le par-
rocchie danno l’insegnamento
di religione nelle scuole”.
I salesiani si impegnavano a non
lasciare nessuno sulla strada:
giovani e adulti descolarizzati
erano invitati a frequentare dei
corsi accelerati per abilitarsi ad
un lavoro professionalizzato nei
settori della marina mercantile,
della meccanica e della saldatu-
ra, dell’elettronica, della cucina
e dell’ospitalità alberghiera:
1600 diplomati ogni anno.
Questa capillare attività sociale
e pastorale era attraente per
i giovani Filippini, fra i quali
maturarono molte vocazioni re-
ligiose che di lì a poco si sareb-
bero proiettate in un numero
consistente di nuovi missionari
diretti in Tailandia, Etiopia, Pa-
pua. Un fermento che portò lo
stesso don José ad avvedersi di
nuove opportunità di evange-
lizzazione fuori dalle Filippine.
Da ispettore decise così di aprire
la missione salesiana in Papua
Nuova Guinea, guidando lui
stesso l’avanguardia composta
da don Valeriano Barbero (ita-
liano), da don Rolando Fernán-
dez (filippino) e dal coadiutore
José Kramar (jugoslavo). Lascia-
ti questi pionieri, inviò successi-
vamente altri tre confratelli.
Lo spirito di don José non pote-
va limitarsi a gestire l’esistente,
convinto che le Filippine fossero
un trampolino verso tutta l’A-
sia. Dieci anni dopo il suo arri-
vo a Manila, prende il volo per
l’Indonesia, dove sarà il primo
missionario salesiano. Questo
Paese presenta un quadro reli-
gioso inverso a quello lasciato
alle spalle: la stragrande mag-
gioranza dei 190 milioni di abi-
tanti, sparsa su 14 000 isole, è
islamizzata da molti secoli men-
tre alcune isole sono a maggio-
ranza buddhista. “I musulmani
hanno a Jakarta una enormità di
centri” osserva don José, “Io non
mi spiego come possa essersi ra-
dicato così tanto l’Islam in quelle
terre. Qui c’è come un “Vaticano”
di dimensioni colossali”.
Ma scoprì che don Bosco era
già arrivato in Indonesia prima
di lui. Venne accompagnato a
visitare una vecchia scuola pro-
fessionale dei fratelli di Nostra
Signora di Lourdes. Percorren-
do un corridoio, don José vide
lasciata in un angolo a impolve-
rarsi una statua del Santo: “Che
ci fai qui?” domandò istintiva-
mente a voce alta. Gli sembrò
di udire una risposta: “Ti stavo
aspettando”. Lo stesso giorno
fu invitato a pranzo da una fami-
glia. In attesa di sedersi a tavola,
diede uno sguardo alla televisio-
ne che in quel momento stava
trasmettendo un programma
religioso. Qui la seconda inat-
tesa visione: una statuetta di
Maria Ausiliatrice appoggiata
sullo scatolone catodico. Non
ebbe la sfrontatezza di rivolgere
la stessa domanda del mattino,
ma ugualmente sentì dentro di
sé la stessa risposta.
Il confronto stretto con altre reli-
gioni porta don José a riflettere
sulla sua identità di sacerdote.
Quando un musulmano o un
buddhista gli chiedevano di ce-
lebrare il sacramento del perdo-
no, lui non si sottraeva e conclu-
deva il rito dicendo: “Che Dio ti
perdoni come io ti benedico”. In
un ambiente ecumenico straor-
dinario, i suoi colloqui personali
e le sue conferenze da teologo
annunciavano la bontà e la mi-
sericordia di Dio.
Ormai anziano, don José rientrò
in Spagna. Tornò a gustare final-
mente quei peperoni rossi ri-
pieni di riso, carne e pomodoro
che gli erano tanto mancati du-
rante la sua lunga migrazione, i
“bajocchi farciti” tipici della sua
Alcoy. Nel suo cuore però conti-
nuava a pensare alle nuove fron-
tiere missionarie in Russia e in
Cina, come confidò una volta al
Rettor Maggiore Juan Edmundo
Vecchi. Il quale gli rispose: “Pen-
sa all’Indonesia”.
La sua speranza allora fu di tor-
nare in estremo Oriente, la terra
da dove per noi sorge il Sole, da
dove proviene, nelle tradizioni
spirituali, l’illuminazione divina.
Non poté attuarla fisicamente
ma con la preghiera sì: con la
gratitudine per aver incontrato
i popoli generosi che abitano
quelle terre e con la convinzio-
ne che da loro sorgeranno quei
missionari che in futuro potran-
no dare nuovo vigore ai fedeli in
Europa.
Con questi pensieri don José si
è spento il 22 aprile del 2021,
all’alba di un nuovo giorno.
GENNAIO 2022
41

5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
Roberto Desiderati
Scoprendo don Bosco
La soluzione nel prossimo numero.
UNA VITA IN PERICOLO
La strada che don Bosco aveva scelto di percorrere, la completa
dedizione ai ragazzi bisognosi, toglierli dalla strada, sottrarre i
maltrattati alle ingiustizie, diffondere la parola di Dio, lo esposero
a continue pressioni per farlo desistere dalla sua opera e anche ad XXX. Gli esplosero colpi d’ar-
ma da fuoco, cercarono di accoltellarlo, lo malmenarono. Una volta, attirato con l’inganno nella
casa dove vivevano dei protestanti e in cui pareva vi fosse un moribondo da comunicare, per un
soffio evitò di bere del vino avvelenato, che con la forza gli era offerto. Solo la sua prontezza e
la presenza di un giovane seminarista che l’accompagnava gli permise di allontanarsi da quel
luogo e da quei malintenzionati. In un altro caso fu salvato dall’intervento deciso del grosso e
fido cane chiamato il Grigio che, come un’ombra, lo seguiva ovunque e che mise in fuga due
energumeni che avevano cominciato a picchiare il Santo. L’azione sociale di don Bosco gene-
rò malumori contro il sacerdote in diversi ambienti: dagli anticlericali ai valdesi, a certi ambiti
padronali, e tutto questo provocò una serie di attentati nei suoi confronti, dai quali però uscì
sempre indenne. Per 160 lire fu mandato, non si sa da chi, un uomo, un esagitato armato di col-
tello ad uccidere don Bosco. Ma i numerosi giovani presenti nell’oratorio riuscirono a bloccarlo
dietro un cancello e poi a consegnarlo ai gendarmi. Ancora, per confessione di un ex studente,
Soluzione del numero precedente
iscrittosi alla massoneria, si venne a sapere che il Santo
era stato condannato a morte da quella setta. Inoltre,
accadde che in seguito alla pubblicazione delle Letture
Cattoliche, l’opera che stava riscuotendo molti consensi,
don Bosco dovette sostenere continui dibattiti in difesa
delle idee sue e del cattolicesimo. Al termine di uno di
questi confronti, l’interlocutore di don Bosco gli disse,
con aria cupa: “Se esce di casa, è sicuro di rientrare?”.
DEFINIZIONI
ORIZZONTALI. 1. Non si chiede alle
signore - 3. Vi alloggia il turista - 9.
Un collo di pelliccia - 13. Gorizia (si-
gla) - 14. Taverne simili alle trattorie
- 15. L’attore Castellitto (iniz.) - 16.
Il liquore che si ottiene dalla canna
da zucchero - 17. Una memoria del
computer - 19. Il titolo del Pampu-
rio dei fumetti - 20. Ciliegie adatte
alla marmellata - 22. Vi fanno capo
tutte le filiali - 24. Breve afferma-
zione - 26. Simpatico marsupiale
? australiano - 27. Il centro di Vien-
na - 28. XXX - 32. Nella tragedia
di Sofocle è la figlia di Edipo - 33.
Le ha dispari il bisonte - 34. Anno
Domini - 36. L’inizio del vicolo! -
37. Discorso con un senso implicito
talvolta minaccioso - 40. Rovesciati
- 43. Liquidi densi e untuosi - 45.
L’appellativo del parlamentare - 46.
Vuole averla il litigante.
VERTICALI. 1. Il Sig. sulla busta - 2.
Il tramezzino cotto - 3. Acconsentire,
annuire - 4. Alto senza testa! - 5.
L’obiettivo a cui si mira - 6. Articolo
romanesco - 7. Ruscello - 8. Geno-
va (sigla) - 9. È fatta di gradini - 10.
Sono 24 in un giorno - 11. Finestra
a forma di mezzaluna - 12. Ridente
come può essere una località - 15. Si
applicano sulle unghie - 18. Il gol del
rugby - 20. American on Line (sigla) -
21. Sono simili ai tortellini - 23. John
cantautore folk rock molto popolare
negli anni ’70 - 25. Andato in poesia -
26. Nota cittadina della Normandia -
28. Un parassita che nell’uomo causa
allergie - 29. A te - 30. Vano, inutile
- 31. Un mare italiano - 35. Precede il
don e il dan - 38. Tribunale regionale
- 39. Nebbia inglese - 41. Al centro
del cavolo - 42. La Ventura della TV
(iniz.) - 44. Le vocali di sempre.
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GENNAIO 2022

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.Disegno di Fabrizio Zubani
Il balsamo
S
i chiamava «Bella come l’aurora», viveva
serenamente in un piccolo villaggio di
pescatori sulle rive del Fiume Azzurro, e
fu chiesta in moglie dal più ricco dei pescatori del
fiume.
I primi anni della giovane coppia furono veramen-
te felici e spensierati. Ma tutta quella felicità in-
fastidiva e irritava sempre di più la suocera di Liu,
che era stata rapidamente spodestata dal cuore del
figlio, dei famigliari e dei servi dalla bella nuora.
Così cominciò a tormentarla in ogni modo e a
diffondere le più orribili dicerie sul suo conto.
Esasperata, la bella Liu decise di vendicarsi ucci-
dendo la suocera. In preda a questa cupa decisione,
si recò da uno stregone per procurarsi un filtro di
morte.
Lo stregone l’ascoltò attentamente e poi le diede
una fiala che conteneva un liquido rosa da mesco-
lare ogni giorno nel tè della suocera, poi le propo-
se, per stornare da sé ogni sospetto, di praticare
ogni mattino sulle spalle, la nuca e la fronte della
suocera un massaggio dolce e rilassante con il bal-
samo color corallo, contenuto in un altro vasetto.
«In questo modo la morte la sorprenderà
lentamente nel giro di sei mesi» le disse lo stregone.
Liu, paziente e ostinata, per mesi versò regolar-
mente gocce di liquido rosa nel tè della suocera e
praticò con la stessa pazienza il dolce massaggio
ogni giorno con il balsamo color corallo.
Il massaggio quotidiano cominciò a tessere una
rete nuova tra le due donne, che divennero ami-
che. Il loro cuore cambiò. La suocera notò quanto
la nuora fosse gentile e generosa oltre che bella.
Liu riscopriva ogni giorno il cuore materno della
suocera.
Dopo qualche mese, Liu aveva praticamente
dimenticato il motivo delle quotidiane visite, delle
gocce di liquido rosa nel tè e del massaggio alla
suocera: tutto questo era
diventato una tranquilla e piacevole abitudine,
fatta anche di complicità, di lunghe chiacchierate
e di tenerezza.
Ma un giorno, all’improvviso, fu costretta a ricor-
darsene.
La suocera innocentemente disse: «Stiamo così
bene insieme. Che peccato che io debba morire
molto prima di te…».
Liu si alzò e corse dallo stregone per avere l’anti-
doto al veleno della fiala. Si gettò in ginocchio e
lo supplicò, spiegandogli quello che era successo
e come fosse cambiato il suo cuore.
Lo stregone sorrise: «Alzati, mia bella figliola.
Il liquido che ti ho dato è soltanto acqua di petali
di rosa. Il vero antidoto al veleno dell’odio che in
realtà era dentro di te è stato il massaggio quoti-
diano con il balsamo color corallo».
Sorridendo, lo stregone aggiunse: «Se guardi una
persona negli occhi, le stai vicino, parli con lei non
potrai più odiarla».
Se guardi una persona mentre dorme
non potrai più odiarla.
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