Bollettino_Salesiano_201205

Bollettino_Salesiano_201205

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IL
MAGGIO
2012
L’invitato
Le case di
don Bosco
FMA
Maìn
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Conoscere don Bosco
La colonna
Salesiani
nel mondo
Mladi za
Mlade

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
La tromba
La storia
Nel marzo del 1846, don Bosco deve abbandonare casa
Moretta e prende in affitto un prato dai fratelli Filippi.
Racconta lui stesso: «Ad un certo punto della mattinata
si dava un suono di tromba, che radunava tutti i giova-
netti, altro suono di tromba indicava il silenzio, che mi
dava campo a parlare…» (Memorie dell’Oratorio, Secon-
da decade, n. 20 ).
«Peperepepé!
Pepé ! Pepe-
repepé!» Il
mio corpo di
ottone lucci-
cava al sole di
primavera. Ce la mettevo tutta
e facevo vibrare l’aria con la
mia voce squillante. Il prato dei
fratelli Filippi fremeva di vita e
di allegria e le mie note potenti
vincevano lo scampanio della
domenica mattina.
Il mio giovane padrone sapeva
suonare solo due o tre melodie
elementari, ma con i suoi robu-
sti giovani polmoni riuscivo ad
arrivare in tutto il quartiere e
anche un po’ più in là.
Dal momento in cui le mani del
mio padrone mi tiravano fuori
dal mio triste astuccio incomin-
ciava la mia vera vita: scandire
la giornata di una schiera effer-
vescente di ragazzi che gioca-
vano e correvano, sorridevano
e pregavano sotto lo sguardo
di don Bosco, il giovane prete
ricciuto che mi aveva presa in
prestito insieme al mio padrone.
Fino a quel momento avevo
suonato solo per i ricordi di un
anziano suonatore di banda
e per suo nipote che voleva
imparare a suonare qualche
ballabile per tromba, ma era
troppo impaziente. I tempi in
cui giravo per le sale da ballo,
linda e luccicante, sembravano
definitivamente finiti per me.
Ma poi era arrivato don Bosco
e tutto era cambiato. Un gior-
no, aveva incontrato il nipote
del mio padrone che si affan-
nava a “fare le scale” (rompen-
do i timpani a tutto il vicinato)
e gli aveva detto: «Ho bisogno
di te per dare gli avvisi a tutti i
ragazzi!» Il mio padroncino era
arrossito: «Sono timido, non ho
il coraggio di parlare in pubbli-
co, mi metto a balbettare per
l’emozione». «Non aver paura.
Darai gli avvisi con la tua
tromba. Uno squillo significa
smettere di giocare, due squilli
per il silenzio e così via».
Da quel momento, mi trovai a
suonare nella più bella orche-
stra del mondo. Don Bosco
era il maestro e gli orchestrali
erano centinaia di ragazzi
che trovavano il loro Paradiso
terrestre in quell’Oratorio, la
cui volta e le cui pareti erano la
medesima volta del cielo.
«Perepé, perepé!». Uno squillo ra-
dunava tutti i ragazzi, due robu-
sti squilli ottenevano il silenzio,
tre squilli significavano: «È ora
di tornare a casa». E poi c’erano
le passeggiate, nelle quali stavo
in testa allo schiamazzante
corteo di giovani, guidando
allegramente la baraonda.
Quella era vita!
Un giorno, anche grazie a me,
don Bosco impose il silenzio
con un cenno di mano a quat-
trocento giovani che correvano
e strepitavano nel prato. Un
carabiniere che assisteva alla
scena esclamò: «Se questo prete
fosse un generale d’armata, po-
trebbe combattere contro il più
potente esercito del mondo».
Non durò a lungo. Qualche set-
timana dopo, i fratelli Filippi,
padroni del prato intimarono a
don Bosco di lasciare il prato.
Fu un momento triste per don
Bosco, ma non si scoraggiò: «Vi
è un cortile spazioso, una casa
con molti fanciulli, porticato,
chiesa, preti, chierici, tutto ai
nostri cenni». Il suo cuore e la
sua fede vedevano già tutto e
così, invece di suoni tristi, quel-
la sera intonai i più begli squilli
di gioia del mio repertorio.
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Maggio 2012

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IL
MAGGIO 2012
ANNO CXXXVI
Numero 5
IL
MAGGIO
2012
L’invitato
Don Achille
Loro Piana
Le case di
don Bosco
Taranto
FMA
Maìn
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Conoscere don Bosco
La colonna
Salesiani
nel mondo
Mladi za
Mlade
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 CONOSCERE DON BOSCO
6 LETTERE
8 ARTE SALESIANA
L'immagine di Maria Ausiliatrice
10 MEMORIE
12 SALESIANI NEL MONDO
Bosnia
14 L’INVITATO
Achille Loro Piana
14
17 RISPOSTA, NON PROBLEMA
18 FMA
Maìn
22 FINO AI CONFINI DEL MONDO
24 LE CASE DI DON BOSCO
Taranto
27 ANNO DELLA FEDE GIOVANE
28 COME DON BOSCO
18
30 RICORRENZE
Borgomanero
32 A TU PER TU
Cesare Bullo
34 MEMORIE
La lingua di don Bosco
36 NOI & LORO
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
32
41 RELAX
42 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
43 LA BUONANOTTE
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina :
L’immagine di
Maria Ausiliatrice
del santuario di
Valdocco è stata
voluta così da don
Bosco. È l’imma-
gine di Maria più
amata dai Salesiani
di tutto il mondo
(Foto Notario).
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Natale
Cerrato, Chiara Bertato, Pierluigi
Cameroni, Maria Antonia Chinello,
Cristiano Ciferri, Luca Crivellari,
Roberto Desiderati, Gianni Di Maggio,
Vaclav Klement, Tonino Lasconi,
Cesare Lo Monaco, Natale Maffioli,
Alessandra Mastrodonato, Francesco
Motto, Marianna Pacucci, José J.
Gomez Palacios, Pino Pellegrino,
Silvio Roggia, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Luciano Alloisio (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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CONOSCERE DON BOSCO
PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA
La colonna
La devozione a Maria Ausiliatrice
e il suo santuario nel cuore dell’opera salesiana
Una tiepida sera di maggio del 1862, con la
consueta abilità narrativa don Bosco rac-
contò: «Figuratevi di essere con me sul-
la spiaggia del mare, o meglio sopra uno
scoglio isolato, e di non vedere attorno a
voi altro che mare. In tutta quella vasta
superficie di acque si vede una moltitudine innu-
merevole di navi ordinate a battaglia, con le prore
terminate a rostro di ferro acuto a mo’ di strale.
Queste navi sono armate di cannoni e cariche di
fucili, di armi di ogni genere, di materie incendia-
rie e anche di libri. Esse si avanzano contro una
nave molto più grande e alta di tutte, tentando di
urtarla con il rostro, di incendiarla e di farle ogni
guasto possibile.
A quella maestosa nave, arredata di tutto punto,
fanno scorta molte navicelle che da lei ricevono
ordini ed eseguiscono evoluzioni per difendersi
dalla flotta avversaria. Ma il vento è loro contra-
rio e il mare agitato sembra favorire i nemici.
In mezzo all’immensa distesa del mare si elevano
dalle onde due robuste colonne, altissime, poco
distanti l’una dall’altra. Sopra di una vi è la sta-
tua della Vergine Immacolata, ai cui piedi pende
un largo cartello con questa iscrizione: “Auxilium
Christianorum”; sull’altra, che è molto più alta e
grossa, sta un’ostia di grandezza proporzionata
alla colonna, e sotto un altro cartello con le paro-
le: “Salus Credentium”.
Il comandante supremo della grande nave, che è
il Romano Pontefice, superando ogni ostacolo,
guida la nave in mezzo alle due colonne, quindi
con una catena che pende dalla prora la lega a
un’ancora della colonna su cui sta l’Ostia, e con
un’altra catena che pende a poppa la lega dalla
parte opposta a un’altra ancora che pende dalla
colonna su cui è collocata la Vergine Immacolata.
Allora succede un gran rivolgimento: tutte le navi
nemiche fuggono, si disperdono, si urtano, si fra-
cassano a vicenda».
Un nome nuovo e antico
Don Albera testimonia che proprio una sera di
dicembre di quell’anno, don Bosco dopo aver
confessato fino alle ore 23, scese a cena. Era so-
prapensiero. A un tratto gli disse: «Ho confes-
sato tanto e per verità quasi non so che cosa ab-
bia detto o fatto, tanto mi preoccupava un’idea.
Pensavo: La nostra chiesa è troppo piccola; non
capisce tutti i giovani o pure vi stanno addossati
l’uno all’altro. Quindi ne fabbricheremo un’al-
tra più bella, più grande, che sia magnifica. Le
daremo il titolo: Chiesa di Maria SS. Ausiliatri-
ce. Io non ho un soldo, non so dove prenderò il
denaro, ma ciò non importa. Se Dio la vuole si
farà» (MB 7, 333-334). Il progetto fu confidato
anche a don Cagliero: «Sinora abbiamo celebra-
to con solennità e pompa la festa dell’Immaco-
lata […]. Ma la Madonna vuole che la onoriamo
sotto il titolo di Maria Ausiliatrice: i tempi cor-
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rono così tristi che abbiamo proprio bisogno che
la Vergine SS. ci aiuti a conservare e difendere la
fede cristiana» (MB 7, 334).
Nei primi mesi del 1863 si mise all’opera per ot-
tenere i permessi; nel 1865 pose la pietra angolare
e nel 1868 l’opera era compiuta.
L’icona parlante
Nella scelta di don Bosco non ci sono solo motivi
di ordine pratico (avere una chiesa più ampia) o
politico religioso (l’ondata di feroce anticlericali-
smo che minacciava la Chiesa).
L’icona di Maria nel quadro del Lorenzone che
sovrasta l’altare maggiore esprime bene il senti-
mento intimo di don Bosco. La sua concezione
della storia della salvezza lo portava a collocare
la Chiesa nel cuore del mondo, e nel cuore del-
la Chiesa egli contemplava Maria Ausiliatrice, la
Madre onnipotente, la vincitrice del male.
La Madonna è stata sempre presente nella vita
di don Bosco. Nel sogno dei nove anni, Gesù si
presenta così: «Io sono il Figlio di Colei che tua
madre ti ammaestrò a sa-
lutare tre volte al giorno».
Ma la preferenza determi-
nante per il suo culto ha un
punto di riferimento preci-
so: il santuario di Valdoc-
co. «E questa – scrive E.
Viganò – rimarrà la scelta
mariana definitiva: il pun-
to di approdo di una inces-
sante crescita vocazionale e
il centro di espansione del
suo carisma di fondatore.
Nell’Ausiliatrice don Bo-
sco riconosce finalmente
delineato il volto della Si-
gnora che ha dato inizio
alla sua vocazione e ne è
stata e ne sarà sempre l’I-
spiratrice e Maestra».
Maria si è edificata la sua casa
Il santuario di Valdocco diventa il segno tangibile
e reale della presenza di Maria nella vita di don
Bosco e della Congregazione. È questa la “chiesa
madre” della Famiglia salesiana.
Il sentire popolare scopre immediatamente la
meravigliosa intesa tra Maria Ausiliatrice e don
Bosco: Maria Ausiliatrice è per sempre ormai la
«Madonna di don Bosco». E don Bosco è «il santo
dell’Ausiliatrice». Raramente è avvenuto che un
titolo mariano, pressoché sconosciuto, si diffon-
desse con tanta rapidità in tutto il mondo.
Umilmente don Bosco diceva: «Io non sono l’auto-
re delle grandi cose che voi vedete; è il Signore, è
Maria SS. che degnarono di servirsi di un povero
prete. Di mio non ci ho messo nulla: Aedificavit
sibi domum Maria (Maria si è edificata la sua casa).
Ogni pietra, ogni ornamento segnala una grazia».
Il santuario di Valdocco è la chiesa che i salesiani
di tutto il mondo vedono molto più con il cuore
che con gli occhi. Ed è qui che tutti si sentono “a
casa”.
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LA POSTA
I NOSTRI ESPERTI RISPONDONO
Caro il mio Bollettino
Salesiano
ti attendo con ansia e con gioia da
sempre. L’età avanza in fretta e, da
quando ho lasciato l’insegnamento,
ormai nel 1999, lontano da ragazzi e
ragazze, mi vado invecchiando ogni
giorno di più, restando giovane solo
spiritualmente.
I miei sedici lustri mi fanno com-
muovere quando leggo le storie
tue della prima e dell’ultima pagina
interna, le prime ad essere lette e,
spesso, anche più volte in attesa del
successivo numero.
Da exallievo salesiano è il dono più
bello che possa ancora ricevere da
don Bosco e dalla Famiglia Sale-
siana.
Molti mi hanno dimenticato, tu per-
sisti ad essermi vicino, come quando
sgambettavo nel mio grande oratorio
di Bari, contornato da don Morante,
don Castiglione, don Traversa, don
Cosato, dal padre spirituale don Gra-
nozio e tanti altri, prima e dopo.
Che Dio ti renda merito.
Ora sono nelle mani di Gesù, Maria
Ausiliatrice e don Bosco, il quale
ancora mi rassicura che non entrerà
in Paradiso se non dopo il suo ulti-
mo exallievo. Grazie e Cristo regni.
Exallievo
Leonardo Piscopo
Grazie. Quelli come te ci
danno la forza di conti-
nuare, nonostante tutto.
Come voleva don Bosco,
il Bollettino è la linfa
dell’albero salesiano.
Come posso dire
il “Padre nostro”?
La mia mamma mi ha cresciuta
sola. L’uomo che avrei dovuto chia-
mare “papà” è sparito prima che
io nascessi. Non so chi sia e non
mi interessa saperlo. Non ho mai
chiesto di lui a mia madre. Provo
soltanto una rabbia incontenibile
per quest’uomo che mi ha derubato
di metà dei miei sogni. Come pos-
so recitare il “Padre nostro”? Come
posso riconoscere Dio come Padre
se la mia immagine di Padre mi fa
solo soffrire?
Viviana D. Monza
Perfino monsignor Tarcisio
Bertone, il ‘vice papa’ ha
scritto che la «lacuna
di paternità è una delle
cause non marginali della
perdità d’identità e della
OGNI MESE
DON BOSCO
A CASA TUA
Il Bollettino Salesiano vie-
ne inviato gratuitamente a
chi ne fa richiesta.
Dal 1877 è un dono di don
Bosco a chi segue con sim-
patia il lavoro salesiano tra
i giovani e le missioni.
Diffondetelo tra i parenti e
gli amici. Comunicate su-
bito il cambio di indirizzo.
nevrosi diffusa che affligge il nostro
tempo». Il fatto di non aver cono-
sciuto tuo padre è indubbiamente
una dolorosa ferita, e tu hai ben ra-
gione di dolertene. E tuttavia questa
ferita ti induce a prendere contatto
con le potenzialità del tuo spirito, in
modo da ricuperare quell’immagine
di ‘padre’ che è radicata nel tuo in-
timo, come in quello di qualunque
creatura umana. Nel fondo della no-
stra anima noi sappiamo che cos’è
un buon padre. E ogni volta che en-
triamo in contatto con questa imma-
gine sentiamo come un sentimento
di nostalgia.
Scruta dunque in profondità la tua
anima, e cerca di scorgervi l’imma-
gine profonda del padre. Puoi sco-
prirla anche chiedendoti se qualche
figura paterna nella realtà – oppure
in un film o in qualche libro – ti
ha particolarmente colpito. Fa’ in
modo che questa immagine emer-
ga quasi concretamente in te, men-
tre ne cogli tutti gli aspetti positivi
che la definiscono. A questo punto
puoi abbracciare paternamente il
bambino abbandonato e ferito an-
cor sempre presente in te, sicché
l’immagine del padre divenga per te
sommamente significativa.
Un mezzo efficace per entrare in
Itinerario
sullo “stupore”
come risposta
all’Amore di Dio
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Cos’è
l’Angelus?
«L’angelo del Signore portò
l’annuncio a Maria». Così co-
mincia l’Angelus, parola che
in latino significa «angelo».
Questa preghiera ricorda che
un giorno, più di duemila anni
fa, una ragazza – di quindici
o sedici anni, indubbiamente
– ha ricevuto l’invito a diven-
tare la madre del Salvatore.
Ha risposto sì e «ha concepito
per opera dello Spirito Santo»,
continua la preghiera. «Ecco la
serva del Signore. Avvenga in
me secondo la tua parola. E il
Verbo si fece carne. E venne ad
abitare in mezzo a noi». Questo
è il cuore della fede cristiana.
Quest’ultima frase è tratta dal
Vangelo di san Giovanni. Il Ver-
bo è la parola di Gesù. La carne
è la nostra condizione umana.
L’Angelus è una delle preghiere
più popolari della cristianità.
Ancora oggi, molti la recitano
tre volte al giorno, su invito
della campana della chiesa. Se
fai attenzione, noterai che al
mattino, a mezzogiorno e alla
sera le campane suonano su
un ritmo particolare: tre colpi,
tre colpi, tre colpi e poi a di-
stesa. A Roma, il Papa intro-
duce l’Angelus ogni domenica
a mezzogiorno con una breve
meditazione.
Quando sentirai suonare le
campane, ricorda: «Dio ha tan-
to amato il mondo da dare il Fi-
glio unigenito» (Giovanni 3,16).
Sarà l’occasione per rallegrarti
di quest’audacia della nostra re-
ligione: Dio si è fatto uomo, ha
voluto essere profondamente
unito alla nostra umanità.
Mamma Margherita
contatto con il padre che portiamo in
noi, è l’incontro con alcune concrete
figure di padri. Sicuramente anche
tu hai conosciuto nella tua vita figure
paterne – “padri sostitutivi” – rap-
presentate, per esempio, da un non-
no, uno zio, un insegnante, un sa-
cerdote. Proietta queste esperienze
in Dio, e comprenderai abbastanza
chiaramente che cosa può significa-
re la paternità di Dio per te.
Oppure fa’ appello al tuo intimo de-
siderio di avere un padre, e orienta
questo desiderio verso Dio. Allora
le parole della Bibbia sulla pater-
nità divina toccheranno davvero il
tuo cuore, e la preghiera del Padre
nostro acquisterà per te un nuovo
significato. Potrai così fare espe-
rienza di Dio come di un Padre che
rimane accanto a te e mai ti abban-
dona, sta dalla tua parte e t’inco-
raggia a tenere saldo nelle mani il
timone della tua vita.
Americo Bejka - Eremita
Teleiseat
Un sito internet per un servi-
zio salesiano ai giovani
Rubriche :
A.N.M. filmati a tema per l’anima-
zione o il buongiorno dei giovani
S.L.G. slogan, detti, massime, afo-
rismi sull’uomo e su Dio (diapositive)
V.d.D. Vangelo della Domenica
(settimana corrente)
T.V.C. Temi di vita cristiana
S.P.T. Lo sport con messaggi
educativi per i giovani
F.S.G. Feste, santi e giornate de-
dicate dell’anno
5 × 1000
È il tuo dono per i ragazzi più sfortunati,
poveri, abbandonati
in tutte le parti del mondo
La Fondazione Don Bosco nel Mondo
ONLUS continuerà ad occuparsene
a nome tuo se firmerai nel riquadro CUD;
730/1 - bis redditi UNICO persone fisiche
indicando il Codice Fiscale:
97210180580
Non è
una scelta
alternativa
a quella
dell’8 × 1000
Contenuto delle Rubriche:
A.N.M. Questa rubrica contie-
ne dei filmati a tema della durata
di una dozzina di minuti che sono
un valido aiuto per tutti coloro che
all’inizio della giornata devono ri-
volgere ai giovani un pensiero di
animazione o di buongiorno.
S.L.G. contiene delle scritte, come
diapositive a colori, da proiettare su
una parete dove si radunano i giova-
ni in attesa…
V.d.D. Contiene il Vangelo della
Domenica, settimana corrente.
T.V.C. contiene dei filmati di 15
minuti sui principali temi della vita
cristiana che risultano un valido
auto agli insegnanti di religione
quando affrontano questi temi.
S.P.T. Questa rubrica contiene
brani di sport diversi, con messag-
gi scorrevoli nella parte bassa delle
immagini.
www.teleiseat.it
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ARTE SALESIANA
NATALE MAFFIOLI
Storia di
L’iconografia di Maria Ausiliatrice fissata dal
cuore di don Bosco e cara a tutta la famiglia
salesiana ha una sua piccola lunga storia
un’immagine amata
Con l’esecuzione della pala per
l’altare maggiore del nuovo
santuario torinese intitolato
a Maria Ausiliatrice, il pit-
tore Tommaso Lorenzone
fissava, per il futuro, un ri-
ferimento iconografico intangibile. Il
dipinto gli era stato commissionato da
don Giovanni Bosco, promotore della
fabbrica della chiesa, nel 1865 e, viste
le sue considerevoli dimensioni, fu ul-
timato nel 1868 in uno dei saloni di
Maria Ausiliatrice di T. Lorenzone.
Torino, Basilica di Maria Ausiliatrice.
Palazzo Madama, preso in affitto dal
pittore per l’occasione.
Don Bosco, dedicando la nuova chiesa
a Maria Ausiliatrice intendeva riaffer-
mare una devozione antica e l’imma-
gine che il Lorenzone aveva prodotto
si inseriva in una tradizione iconogra-
fica che aveva avuto origine nel Sei-
cento in Baviera: la Vergine raffigurata
come regina, coronata con uno scettro
regale retto con la destra mentre con
l’altro braccio sostiene il piccolo Gesù,
Maria Ausiliatrice di T. Carlone.
Torino, Chiesa di San Francesco da Paola.
lui pure coronato ma con la deroga del
globo sormontato dalla croce.
Sia il committente sia il pittore aveva-
no in Piemonte una devozione e una
iconografia di riferimento. In Torino
da due secoli, nella prima cappella la-
terale, vicina all’altare maggiore della
chiesa di San Francesco da Paola in via
Po, si venerava Maria sotto il titolo di
Ausiliatrice. Il cardinale Maurizio di
Savoia, nel 1654, aveva commissionato
la realizzazione dell’altare allo scultore
luganese Tommaso Carlone e ai figli
Giuseppe Maria e Giovanni Dome-
nico. L’opera è complessa, in marmi
colorati e preziosi; al centro una statua
marmorea di Maria con il braccio il
piccolo Gesù ornata con tutti gli at-
tributi iconografici dell’Ausiliatrice: la
corona sul capo di entrambi, lei regge
con la sinistra lo scettro e il piccolo
Gesù un globo sormontato dalla croce.
Le immagini di san Giuseppe e di san
Gioachino fiancheggiano la nicchia,
circondata da una cornice in legno do-
rato (forse aggiunta tardivamente).
Don Antonio Bosio, sacerdote torine-
se che visse per anni nella parrocchia
di San Francesco da Paola, descrive, in
un opuscolo del 1865: Divozione alla
Madonna Ausiliatrice in Torino – Cen-
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Maria Ausiliatrice di Ignoto pitto- Maria Ausiliatrice
re seicentesco. Torino, Chiesa di autore ignoto.
di San Francesco da Paola.
Torino, Portici di via Po.
Maria Ausiliatrice di Maria Nigra Bec.
Gerbido di Grugliasco.
Chiesa dello Spirito Santo.
ni Storici, sia la storia della devozione
all’Ausiliatrice, nata all’indomani della
battaglia di Lepanto e diffusa a Mona-
co di Baviera al tempo dell’assedio di
Vienna, sia la sua introduzione, nella
prima metà del ’600, in Torino forse ad
opera del cardinale Maurizio.
«Mama serva eum»
Nella sacrestia della stessa chiesa di
San Francesco da Paola è custodita
una tela, dipinta a monocromo da un
ignoto artista seicentesco, con raffigu-
rata l’Ausiliatrice. L’immagine è molto
didascalica: la Madonna è una bella e
prosperosa signora, avvolta in un manto
che le copre anche il capo, sormontato
da una corona regale; il piccolo e paf-
futo Gesù indossa una corta vestina,
ed è rannicchiato sul braccio destro
della madre. All’opposto un fanciullo,
in atteggiamento orante, con le braccia
incrociate sul petto, è insidiato dalla
coda del drago che la Vergine sta calpe-
stando. Il significato dell’immagine è
chiarito dalla scritta sul piedestallo del-
la figura: “MATER BONI AUXILIJ
ORA PRO NOBIS”, “MADRE DEL
BUON AIUTO PREGA PER NOI”.
Il piccolo Gesù tiene in mano il globo
sormontato dalla croce da cui parte
un cartiglio attorcigliato con la scritta
MAMA SERVA EUM”, “MAMMA
PROTEGGILO” e il ditino della sua
sinistra indica il fanciullo ritto al fian-
co di Maria; parimenti lo scettro della
Vergine è avviluppato da un altro car-
tiglio con la scritta: “EGO PROTEC-
TRIX TUA SUM” “IO SONO LA
TUA SOCCORRITRICE”.
Poco discosto dalla chiesa, sotto le vol-
te di via Po, in una nicchia è collocata
una statua (A. Bosio la dice in cotto)
che riprende liberamente l’immagine
conservata in sacrestia.
Un’ulteriore effigie anticipatrice si
conserva nella chiesa parrocchia-
le dello Spirito Santo al Gerbido di
Grugliasco (TO); si tratta di una
tela, eseguita da Maria Nigra Bec nel
1852, con una figura che nella forma
e negli attributi regali rimanda diret-
tamente alla tradizionale iconografia
dell’Ausiliatrice. La tela è firmata e
datata sul lato inferiore sinistro: “M.
Nigra Nce Bec 1852” ed è talmente vi-
cina a quella del Lorenzone che non
si può fare a meno di pensare che il
pittore, in cerca di un modello di rife-
rimento, abbia guardato sì alle imma-
gini dell’Ausiliatrice come si venerava
a Monaco di Baviera o a quelle più
vicine di san Francesco da Paola, ma
rivolse la sua attenzione soprattutto a
questa che ha le più convincenti affi-
nità con quella che avrebbe realizzato
per don Bosco.
L’immagine del Lorenzone si diffuse
rapidamente in Piemonte. Le tantis-
sime riproduzioni del dipinto, diffuse
per ogni dove in Italia dallo stesso don
Bosco sotto forma di immaginette,
corredate di un’invocazione e della sua
firma, hanno certamente contribuito
a farne conoscere l’immagine, mentre
la fedele riproduzione (di eguali di-
mensioni con un solo particolare che
la discosta dall’originale) dovuta al
pennello del pittore Giuseppe Rollini
nel 1897 e spedita in Bolivia, per esse-
re collocata sull’altare maggiore della
chiesa salesiana di Sucre ha diffuso
in America Latina la devozione per la
Madre di Dio, Aiuto del Popolo Cri-
stiano, conosciuta come “la Madonna
di don Bosco”.
Maggio 2012
9

1.10 Page 10

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MEMORIE
PIERLUIGI CAMERONI
150 anni del
Sogno delle
due colonne
30 maggio 1862
di ghermire il Bambino,
insegue la Donna ovun-
que tenti di rifugiarsi. La
grande nave, che ha per
Il quadro di Mario Barberis che ricorda il “sogno delle due colonne”.
Si trova nella Basilica di Maria Ausiliatrice.
timoniere il Papa, solca il
mare in tempesta, è as-
salita e combattuta, ma
Tra i sogni di don Bosco, uno
dei più noti è quello conosciu-
to con il titolo di «Sogno del-
le due colonne». Lo raccontò
la sera del 30 maggio 1862.
Desideriamo richiamarlo, sia
giunge ad attraccarsi tra le due altissi-
me colonne sulle quali stanno rispet-
tivamente l’ostia eucaristica e la statua
dell’Immacolata con la scritta “Aiuto
dei cristiani”. Subito cessano gli attac-
chi e si fa una grande bonaccia.
perché ricorre proprio quest’anno il Se il papa beato Giovanni Paolo II
150° di questa visione profetica, sia ha guidato la barca della Chiesa an-
per l’interesse che ha sempre susci- corandola alle due colonne, in parti-
tato, in quanto il sogno presenta la colare con l’anno del Rosario e l’anno
guerra che in questi ultimi secoli è eucaristico durante il quale ha chiuso
stata scatenata contro la Chiesa al fine la sua grande missione, il papa Bene-
di affondarla. Sono impressionanti il detto XVI ammonisce e guida con la
dispiegamento di mezzi dei nemici di forza della verità la barca della chiesa
Cristo e della Chiesa e l’odio che li in questi tempi di prova e di persecu-
anima. Sullo sfondo si intravede la fe- zione. Alla vigilia della sua elezione
rocia del drago che, dopo aver tentato affermava: “Quanti venti di dottrina
abbiamo conosciuto in questi ultimi
decenni, quante correnti ideologiche,
quante mode del pensiero... La picco-
la barca del pensiero di molti cristiani
è stata non di rado agitata da queste
onde – gettata da un estremo all’altro:
dal marxismo al liberalismo, fino al
libertinismo; dal collettivismo all’in-
dividualismo radicale; dall’ateismo ad
un vago misticismo religioso; dall’a-
gnosticismo al sincretismo e così via.
Ogni giorno nascono nuove sette e si
realizza quanto dice san Paolo sull’in-
ganno degli uomini, sull’astuzia che
tende a trarre nell’errore (cf Ef 4, 14).
E consapevole delle prove interne
ed esterne che accompagnano la na-
vigazione della chiesa tra i flutti del
mondo ci ricorda: “Per la Chiesa il
Venerdì Santo e la Pasqua esistono
sempre insieme... La Chiesa – ed in
essa Cristo – soffre anche oggi. In
essa Cristo viene sempre di nuovo
schernito e colpito; sempre di nuovo
10
Maggio 2012

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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si cerca di spingerlo fuori del mondo.
Sempre di nuovo la piccola barca del-
la Chiesa è squassata dal vento delle
ideologie, che con le loro acque pene-
trano in essa e sembrano condannarla
all’affondamento. E tuttavia, proprio
nella Chiesa sofferente Cristo è vit-
torioso. Nonostante tutto, la fede in
Lui riprende forza sempre di nuovo”
(Omelia 29 giugno 2006).
La nave è – fin dagli inizi del cri-
stianesimo – immagine della Chiesa.
Ebbene, non c’è dubbio: per don Bo-
sco, l’Eucaristia e Maria Ausiliatrice
sono le due grandi devozioni che so-
stengono la Chiesa nella sua missione
e la difendono dai pericoli. Il sogno
ha una valenza ecclesiale di perenne
attualità. In successione, Cristo Ri-
sorto, presente nell’Eucaristia, Maria
assunta nella Gloria e a Lui associa-
ta nell’opera della salvezza, e il Papa
pastore e centro visibile di unità nella
fede, sono gli intramontabili punti
di riferimento per la Chiesa di tutti
i tempi. Lo sono oggi per l’educazio-
ne dei giovani nella fede, per una vita
spirituale viva, per l’efficacia della
nuova evangelizzazione, per l’autenti-
cità del nostro senso di Chiesa. Don
Bosco, sulla scia di numerosi santi, ci
ha insegnato che la Chiesa procede
sicura quando è saldamente ancorata
alle “due colonne” dell’Eucaristia e di
Maria. Insieme rappresentano un’u-
nità d’amore concreta: insieme rea-
lizzano la totalità di Cristo, che non
esiste senza la sua Chiesa; insieme rea-
lizzano la pienezza della Chiesa, che
non esiste senza il suo Signore; insie-
me sono il corpo di Cristo, perché la
Chiesa è generata dal Corpo eucari-
stico del Signore, ma questo è il corpo
che Maria ha generato e sacrificato.
Gesù e Maria per don Bosco sono
vivi e presenti nella storia, sono i due
risorti che intervengono potentemen-
te a favore della Chiesa. La Madonna
porta a Gesù. Ma il modo di presenza
reale di Gesù, a cui conduce Maria, è
quello del mistero eucaristico.
ESERCIZI SPIRITUALI
al SALESIANUM
Aperti a tutti
25-30/06/12
LA VITA BUONA DEL VANGELO
La gioia e la fatica di rinascere dall’alto: “La fede è radice di pie-
nezza umana, amica della libertà, dell’intelligenza e dell’amore”
Don Bruno Ferrero SDB
(numero max di partecipanti 40).
03-08/9/12
L’ESPERIENZA DEL DISCEPOLO E IL CAMMINO CON GESÙ
NEL VANGELO DI GIOVANNI
Don Giorgio Zevini SDB – Decano emerito della Facoltà di Teo-
logia dell’Università Pontificia Salesiana e Biblista (numero max
di partecipanti 28).
Gli Esercizi sono pubblicati sul calendario Fies ma il numero dei partecipanti è
limitato, pertanto Vi invito a riservare il Vostro posto quanto prima. Siamo a Vo-
stra disposizione per tutti i chiarimenti di cui avrete bisogno.
Potete contattarci all’indirizzo e-mail salesianum@sdb.org
NB: i corsi hanno inizio il lunedì mattina dal pranzo e si concludono il sabato mattina
prima del pranzo alle ore 12,00.
CASA di Esercizi: Casa Salesiana “Beato Michele Rua” – Salesianum - Via della Pisana 1111 Roma
Maggio 2012
11

2.2 Page 12

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SALESIANI NEL MONDO
CHIARA BERTATO
Mladi za Mlade
I giovani della Bosnia Erzegovina
I giovani di Zepce sono andata a trovarli in un weekend
di pioggia. Le nuvole erano basse tra le loro colline, ma
lasciavano vedere le case, piccole, bianche, rade le une
dalle altre. Poi c’era il cimitero, quello musulmano e quello
cristiano. Lì ci sono i nomi dei loro padri, zii, parenti morti
durante la guerra di quindici anni fa.
“Mladi za Mlade”
significa “giovani
per i giovani”.
Ridare speranza ai
giovani è la prima
necessità della
Bosnia.
Non è facile cancellare i segni del passato,
ancora oggi questi ragazzi si sentono dei
croati lasciati dai nuovi confini dentro
ad uno stato che non appartiene loro.
Sono orgogliosamente cristiani in una
patria che è musulmana e ortodossa.
La Bosnia Erzegovina è, dopo la Macedonia, il pae-
se più povero della ex Jugosla-
via. I giovani che dovrebbero
essere i protagonisti dello
sviluppo di un paese spe-
rano di andarsene, magari
in Germania. La disper-
sione giovanile è in ef-
fetti uno dei maggiori
problemi della città
di Zepce, come
d’altronde dell’in-
tero paese: una
stima fatta da
organizzazioni
internazionali e
non governative
calcola che il 67%
dei giovani della Bosnia Erzegovina ha abbando-
nato il paese dalla fine del conflitto ad oggi.
All’ingresso della casa ci aspetta a braccia aperte
una scultura di don Bosco, opera realizzata dalla
scultrice croata Marija Ujevic-Galetovic. Il com-
plesso, nuovissimo e bello, è stato costruito pro-
prio grazie ai fondi per la ricostruzione arrivati
nel dopoguerra. Investire sui giovani significa
allora creare le condizioni perché il paese rifiori-
sca: oratorio e scuole superiori sono le opere che i
salesiani hanno attivato a Zepce. Istituti tecnici e
professionali, liceo e centro sportivo per avere una
professione domani e oggi iniziare a stare assie-
me. Mladi za Mlade significa giovani per i gio-
vani e questo è l’ideale che muove tutta l’opera. I
giovani come centro, i giovani al centro fin dalla
prima pietra nel 1995.
Oltre la campanella
A inizio anno sono stati inaugurati i laboratori
scientifici della scuola. Aule di fisica, chimica e
12
Maggio 2012

2.3 Page 13

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Alcuni dei giovani
di Zepce: «La
cosa più bella è
stare tutti insieme
e condividere. Ci
sentiamo come
una famiglia».
biologia, costruiti grazie all’aiuto di un’organiz-
zazione non governativa italiana, il VIS – Volon-
tariato Internazionale per lo Sviluppo – e grazie
ai fondi della Conferenza Episcopale Italiana.
Molto positivi i commenti degli studenti del Don
Bosco: “I laboratori sono tanti e ognuno può tro-
vare qualcosa che gli interessa. Ma la cosa più
bella è stare tutti insieme e condividere queste
esperienze. Ci sentiamo come una famiglia” rac-
conta Martina.
Non solo le scienze, l’istituto offre anche una pre-
ziosa risorsa letteraria. L’unica biblioteca pubblica
è poco fornita, pertanto i ragazzi fanno riferi-
mento al Centro Scolastico Educativo Don Bo-
sco che offre 6000 titoli.
fa provare i guantoni ai ragazzi. Anche i libri di
grammatica italiana si trovano in oratorio perché
i giovani salesiani che hanno studiato in Italia
danno qualche lezione.
Durante l’estate poi, tutto si riempie di vita e le sedie
non bastano più. Ragazzi e bambini da tutti i paesi
limitrofi arrivano al centro Don Bosco per alcune
settimane di giochi, bans, laboratori.
Sedie colorate
Tante sedie colorate sono la prima cosa che ti col-
pisce entrando all’oratorio. Sono moderne e soffi-
ci. Servono per bere un caffè all’italiana o per fare
un cerchio con il gruppo. Ma all’oratorio non si
sta solo seduti, anzi!
Don Mikovil, incaricato dell’oratorio da due
anni, ha appeso in palestra il suo sacco da boxe e
Maggio 2012
13

2.4 Page 14

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L’INVITATO
O. PORI MECOI
Più giapponese
dei giapponesi Incontrocon
don Achille Loro
Piana, parroco
di Tokyo Meguro
Sei partito per il Giappone
che eri molto giovane…
Avevo 19 anni quando sono partito
per Hong Kong, dove frequentai il
corso di filosofia. In Giappone arrivai
tre anni dopo, nel 1969. L’essere gio-
vane mi permise di far mia la lingua e
la cultura giapponese con naturalezza
e facilità. Furono poi gli anni trascor-
si presso l’Università Pontificia Sale-
siana che mi fornirono una mentalità
giustamente critica che mi permette
di vedere la realtà giapponese da di-
versi punti di vista.
Chi ti ha raccontato per
primo la storia di Gesù?
Fu il parroco don Primo Zanotti
di buona memoria che ogni
giovedì pomeriggio con
diapositive e filmine ci fa-
ceva conoscere il Vecchio e
il Nuovo Testamento. Non
È in Giappone
dal 1969. A don
Achille Loro Piana
mancano solo gli
occhi a mandorla.
ricordo molto della teologia biblica
studiata prima del sacerdozio, ma
quello che mi ha insegnato don Pri-
mo rimane ancora fresco fresco nel
mare dei ricordi.
Come hai conosciuto
i salesiani?
Fu un’immagine di Domenico Savio
che mi spinse a interessarmi dei sa-
lesiani.
Qual è la storia
della tua vocazione?
Frequentavo l’avviamento professio-
nale nel paese vicino quando inco-
minciai a pensare di seguire Gesù
come sacerdote. Fu mia sorella Da-
ria, che mi aiutò nel discerni-
mento e mi indirizzò ai sale-
siani. Daria voleva diventare
suora del Cottolengo, ma non
poté perché divenne ammala-
ta e lo fu per molto tempo.
Fu solo in seguito che
venni a sapere che
aveva offerto lunghi
anni di preghiere
e sofferenze per la mia vocazione.
Dopo la mia entrata nell’aspirantato
di Chieri subì un lungo interven-
to chirurgico, guarì perfettamente
e così poté anche lei seguire la sua
vocazione religiosa. Ancora oggi è
membro attivo in una piccola con-
gregazione religiosa.
I salesiani sono in
Giappone da molti anni.
Che cosa significa questa
presenza?
I salesiani sono in Giappone dall’i-
nizio del 1926 quando i primi nove
confratelli approdarono nel porto di
Moji, in Kyushu, guidati dal venera-
bile don Vincenzo Cimatti. I primi
tempi, specialmente gli anni della
grande recessione, furono veramente
difficili. Ma un po’ per volta, spe-
cialmente nel dopoguerra l’ispettoria
giapponese si consolidò e si può af-
fermare che è diventata un punto di
riferimento molto apprezzato nella
chiesa e nella società giapponese per
ciò che fa a favore di tanti giovani di
questo paese.
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Maggio 2012

2.5 Page 15

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È possibile dare un volto
giapponese a don Bosco?
Il sistema educativo di don Bosco è
una realtà universale che può essere
vissuta in qualsiasi parte del mondo.
Penso che sia soprattutto compito
dei confratelli giapponesi trovare le
modalità concrete per coniugare la
grandezza del cuore di don Bosco
con la ricchezza della cultura giap-
ponese. Si tratta di un processo di
inculturazione che vedo appena ini-
ziato.
Quali sono le necessità
più urgenti del Giappone
e dei giovani giapponesi?
Dopo lo sfacelo della guerra, per circa
mezzo secolo il Giappone ha dimo-
strato una ripresa economica che non
ha paralleli nella storia dell’umanità
tanto da diventare la seconda potenza
mondiale. Il fenomeno è evidente-
mente dovuto alla diligenza, discipli-
na e laboriosità di tanti giapponesi.
Ma alla fine degli anni Novanta la
bolla dell’economia è scoppiata ed
è iniziata una discesa che, dopo l’a-
pocalittico terremoto, il catastrofico
tsunami e l’emergenza nucleare non
risolta dell’11 marzo dell’anno scorso,
sta cambiando il volto del Giappone.
È grave che diminuiscano il prodot-
to lordo e l’occupazione, ma è molto
più grave che diminuiscano le nascite,
i giovani e le loro possibilità di rea-
lizzarsi. C’è un rilevante numero di
lavoratori stranieri, ma le difficoltà e
gli insuccessi che incontrano provano
che integrarsi nella società giappo-
nese è molto arduo e molti non ce la
fanno.
I giovani soffrono di questa situazione
anche perché vorrebbero entrare tutti
in università prestigiose e poi lavorare
in aziende facoltose, ma questo non fa
che fomentare uno spirito di compe-
tizione molto deleterio. I giovani che
entrano nelle nostre scuole chiedono
anzitutto di essere aiutati a entrare
in buone università. Ma gli educato-
ri, specialmente i salesiani, svolgono
il loro compito di educare i giovani
non solo nella sfera intellettuale, ma
anche nella loro formazione umana,
nelle loro domande, ideali, aspettati-
ve e nelle loro potenzialità spirituali.
Quali sono le sfide
più rilevanti delle opere
salesiane e della tua
in particolare?
Penso che la sfida più rilevante delle
nostre opere sia quella di arrivare al
Tutti in kimono per la festa dell’estate.
cuore dei giovani per poterli aprire
alla sfera del trascendente. Purtrop-
po non ci sono scorciatoie per arriva-
re al cuore di un giapponese, anche
se è giovane. Come un po’ in tutti i
paesi del cosiddetto primo mondo i
giovani sono folgorati da ideali im-
mediati e mondani. In Giappone i
cristiani, anche includendo i lavora-
tori stranieri ormai più numerosi dei
giapponesi, non raggiungono l’uno
per cento della popolazione e il rac-
contare la storia di Gesù non è facile,
anzi.
Un’altra sfida è la diminuzione delle
vocazioni locali e il conseguente au-
mento dell’età media dei confratelli.
Penso tuttavia che il compito più rile-
vante dei salesiani sia quello di susci-
tare nei giovani quella gioia, speranza
Maggio 2012
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2.6 Page 16

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L’INVITATO
e fiducia che viene dall’incontro con
Cristo e non dalla notorietà o dal suc-
cesso economico. Penso che proprio
la mancanza di ideali e di speranza
sia la prima causa degli oltre 30 000
suicidi annui che abbruttiscono il vol-
to della società giapponese.
Come vedi il futuro
della Chiesa in Giappone?
La Chiesa in Giappone sta vivendo
un momento di stasi. Numericamen-
te i cristiani giapponesi non stanno
aumentando e la pastorale per gli
stranieri presenta difficoltà rilevan-
ti a causa specialmente di una certa
riluttanza ed evidente impreparazio-
ne da parte del clero locale. Tuttavia
personalmente sono ottimista perché
sono convinto che se ci fosse un po’
più di entusiasmo e decisione da parte
del clero, dei consacrati e dei cristia-
ni impegnati lo Spirito Santo farebbe
miracoli.
Che cosa pensi della Chiesa
in Europa?
Conosco un po’ la situazione della
chiesa in Europa grazie alla lettura
dei documenti sul “Progetto Euro-
pa” salesiano che come coordinatore
ho passato a tutti i delegati ispetto-
riali di animazione missionaria della
nostra regione Est Asia Oceania. Mi
pare di constatare che al Cristianesi-
mo in Europa capiti un po’ quello che
da decenni capita al Buddismo e allo
Shintoismo, che, in Giappone, fatta
qualche debita eccezione, sono ormai
per lo più relegati al rango di interes-
santi tradizioni e innegabili fenomeni
sociali.
L’artistica chiesa
di Himonya (Tokyo
Meguro), la parrocchia
di don Achille.
E della
Congregazione
Salesiana?
Sta di fatto che il
numero dei salesia-
ni sta diminuendo
in molte parti del
mondo, ma non di-
minuiscono le opere,
il gran bene che si fa e
l’amore verso don Bosco.
Recentemente sono stato in Africa
per predicare gli Esercizi Spirituali ai
confratelli e sono stato colpito dalla
vitalità della Congregazione in quel-
la regione. Anche in India, Vietnam,
Corea, Est Timor la Congregazione
sta crescendo. Cambia la geografia,
ma si consolida la storia. Come de-
legato dei cooperatori salesiani noto
con gioia che l’albero della Famiglia
Salesiana si sta infoltendo sensibil-
mente e occupa un posto non indiffe-
rente nella Chiesa Universale.
Hai qualche progetto
che ti sta particolarmente
a cuore?
Sono da poco direttore e parroco a
Tokyo Meguro, dove i salesiani han-
no una chiesa bellissima e molto co-
nosciuta anche fuori del mondo cri-
stiano. Vorrei riuscire a formare un
gruppo di catechisti che mi aiutino
nella preparazione al battesimo dei
catecumeni e nel dare un volto vera-
mente missionario alla parrocchia che
è gemellata con quella di Tetere nelle
Isole di Salomone.
L’incontro e la persona
che più ti hanno colpito.
Una persona che mi ha colpito in
modo particolare è il cardinale Zen,
vescovo emerito di Hong Kong. Ho
sempre ammirato la sua personalità
fin da quando era nostro insegnan-
te di Filosofia negli anni Sessanta.
È una persona che ha fantastiche
capacità di mente e di cuore che gli
consentono tra l’altro una visione glo-
bale e oggettiva della situazione della
Chiesa in Cina.
L’incontro con cinque giovani viet-
namiti missionari in Giappone, che
mi hanno poi avuto come maestro
in noviziato, si è trasformato in una
bellissima esperienza di vita comu-
nitaria intrisa di vera fiducia e gioio-
sa amicizia. Con questi giovani con-
fratelli ho ancora un bel rapporto che
penso continuerà vita natural duran-
te e oltre.
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Maggio 2012

2.7 Page 17

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RISPOSTA, NON PROBLEMA
LUCA & SILVIO
Il grande Joe
La risposta non problema di questo mese viene da Joe,
che ha fatto dei giovani la sua scommessa per 50 anni:
a Padova, in Brasile e in Ghana.
Giuseppe Contessi è un france-
scano conventuale missionario
per diversi anni in Brasile e da
più di trent’anni in Ghana.
Brother Joe è stato e continua
ad essere un formidabile ani-
matore di giovani, con responsabilità
a livello diocesano e nazionale che lo
han reso presente nella vita di tante as-
sociazioni: meglio, è lui che ha dato il
via a tantissimi gruppi e iniziative.
Quando si lavora per il padrone della
messe il raccolto si moltipica a dismi-
sura. E se si va indietro con la me-
moria all’umiltà delle origini si sente
profumo di miracolo.
Il bosco degli spiriti
Una delle prime esperienze di Ghana
che Brother Joe ha fatto pochi mesi
dopo il suo arrivo è stata la prigione.
Erano anni di duro governo militare
e per aver rifiutato di pagare una tan-
gente si è ritrovato dietro le sbarre... La
sua gente si è organizzata ed è arriva-
ta in processione, con croce e cande-
le, sotto le finestre del colonnello che
governava Takoradi esigendo la libera-
zione immediata del loro frate/fratello.
A Techiman c’era un bosco degli spiriti
dove nessuno osava inoltrarsi, posto di
sacrifici umani e altre ‘abomination’ che
l’han reso tabù. Bro Joe è rimasto affa-
scinato dalla bellezza delle rocce, degli
alberi secolari, delle colline e ha lancia-
to l’idea di trasformare quel luogo ma-
ledetto in una sorgente di benedizioni.
È diventata la grotta di Lourdes della
fascia centrale del Ghana. Soprattutto
a febbraio e ad Agosto ‘Grotto’ diventa
la meta di decine di migliaia di perso-
ne: si accampano sotto le stelle per tre o
quattro giorni... migliaia di confessio-
ni, celebrazioni eucaristiche in Twi, in
inglese e francese: una piccola Lourdes
nel cuore dell’Africa.
Il difficile è cammino
Disoccupazione giovanile: perché non
provare a inventare qualcosa di nuovo?
Grazie a Brother Joe è partito il pro-
getto della coltivazione di funghi usan-
do la segatura pressata. Di villaggio in
villaggio la funghicoltura si sta dif-
fondendo, migliorando la vita di tante
famiglie sia come integratore proteico
della dieta in casa sia come integratore
economico del ‘raccolto’ mensile.
Progetti realizzati, gruppi giovanili nati
in tante regioni, iniziative di ogni tipo:
la lista potrebbe continuare a lungo.
Scelgo una tra le tante testimonianze
condivise dopo la comunione, durante
la Messa del cinquantesimo. Quando
i problemi sembravano troppo gran-
di e anche i più coraggiosi stavano per
gettare la spugna, Brother Joe reagiva
esattamente nella direzione opposta: i
problemi han sempre moltiplicato le sue
energie dandogli lo sprint necessario
per riuscire a galvanizzare anche i più
timidi. Dall’unione la forza, si comin-
cia dal poco e si continua a costruire,
mattone su mattone, come Francesco a
san Damiano. “Non è il cammino che
è difficile; è il difficile che è cammino”.
Risposte, non problemi. È una linea
di azione, una filosofia di vita che ha
dalla sua l’evidenza di cinquant’anni
spesi sempre e tutti per i giovani, in
tre continenti.
Brother Joe è un granello che continua
a diventare foresta perché è della qua-
lità della senape del Vangelo: una fede
schietta e profonda nel Signore della
vita e nella vita dei suoi figli.
Se hai altre storie di vita in armonia
con questa stessa musica regalale a tutti su
rispostanonproblema@gmail.com
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2.8 Page 18

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FMA
MARIA ANTONIA CHINELLO
Maìn.
La casa
della felicità
Esce Maìn. La casa della felicità, il nuovo film
su Maria Domenica Mazzarello, cofondatrice
dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Fotogrammi di bellezza e di poesia, che
traducono il messaggio di una donna semplice,
che ha donato la sua vita a Dio per le giovani.
Intervista a
Caterina Cangià
L’appuntamento per la “prima”
è per il 4 maggio, alla Sala
Petrassi dell’Auditorium Par-
co della Musica di Roma. E
poi a Torino, il 14 maggio, al
Cinema Massimo, collegato
con il Museo del Cinema.
Ne parliamo con suor Caterina Can-
già, che ha scritto la sceneggiatura e
ha prodotto il film, seguendo la pre-
parazione, produzione e post-produ-
zione. Lo ha fatto con lo sguardo, il
cuore e la passione di una figlia.
«Ad agosto, quando uscirà il DVD del
film, saranno
tre anni che
vivo con que-
sto pensiero.
Un pensiero a volte assillante, che è di-
ventato ricerca e lettura delle biografie,
lettere, studi e che ora è una “compa-
gnia”. Maria Domenica stessa si è fat-
ta vicina a quanto stavo progettando e
realizzando».
Suor Caterina, docente di Didattica
delle Lingue Moderne e di Tecniche
espressive alla LUMSA e all’Univer-
sità Pontificia Salesiana di Roma, è
nella sua coloratissima «Bottega d’Eu-
ropa», la scuola dove bambini e ragazzi
dai 4 ai 18 anni imparano l’inglese con
le nuove tecnologie e facendo teatro.
Ricorda l’emozione di quando ma-
dre Yvonne Reungoat le ha affidato
il progetto, che andrà a coronare i fe-
steggiamenti per il 140° di fondazio-
ne dell’Istituto che ricorre appunto
quest’anno. È stato subito chiaro che il
film avrebbe dovuto avere un linguag-
gio rispondente all’oggi, per arrivare ai
tanti laici e laiche, ragazzi e ragazze,
giovani che, in tutto il mondo, voglio-
no conoscere e incontrare la vita e il
messaggio di madre Mazzarello. Una
scelta coraggiosa per comunicare e far
vedere, con il linguaggio più capito
dalla gente, un carisma straordinario
declinato nell’oggi. Suor Caterina si è
occupata personalmente della stesura
della sceneggiatura ed è stata produt-
18
Maggio 2012

2.9 Page 19

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SIMONE SPADA, IL REGISTA
Simone Spada è nato a Torino, ma vive e lavora a Roma. Nel
1999 segue uno stage di regia presso la USC Film School di Los
Angeles. Tornato in Italia, lavora, come aiuto regia nel cinema
e nella fiction, con le più importanti produzioni italiane e con
numerosi registi. Come regista ha girato diversi documentari e
cortometraggi partecipando a diversi festival.
«Prima di incontrare suor Caterina non conoscevo Maria Do-
menica Mazzarello. Sono stato affascinato dalla figura di questa
donna forte e carismatica, impressionato dalla forza della storia.
Ho accettato subito, cercando, in un continuo lavoro di scam-
bio di idee con suor Caterina, di raccontare la storia attraverso
immagini eleganti che non tradissero mai l’aspetto reale. Fare un film è sempre una grande
scommessa, ma farlo su una figura così importante come Maria Domenica diventa una prova
ancor più grande, perché obbliga al confronto con una figura storica di rilievo spirituale e uma-
no. Sapevo di avere una grande responsabilità, ma sono certo che siamo riusciti, grazie a un
gruppo di lavoro di primo livello, a non tradire le aspettative.
Durante le fasi della preparazione del film ho pensato a lungo alla cifra visiva migliore per
raccontare questa storia. Ho deciso di spostare l’asse visivo verso una dimensione di natura,
di luce, approfittando delle suggestioni che ho avuto durante le mie visite a Mornese e alla
Valponasca. Abbiamo girato il film nei dintorni di Roma, ma siamo riusciti a dargli una cre-
dibilità storica e di luoghi.
Fare un film è come fare un viaggio. Quando si torna a casa, se si è lavorato con passione, si
torna arricchiti. È stata una bella esperienza professionale, ma soprattutto umana. Durante i
sopralluoghi, ogni Figlia di Maria Ausiliatrice che incontravo mi suggeriva o mi raccontava
con amore e passione la storia di Maria Domenica e spero che questo amore torni a loro
attraverso il nostro film».
trice esecutiva del film, dall’ideazione
all’uscita, lavorando in stretto contatto
con il Consiglio generale.
«Il film, prodotto dalla nostra società
Multidea di Roma, è una biografia di
Maria Domenica. È la storia di Maìn,
come veniva chiamata in famiglia. Nel
titolo, Maìn. La casa della felicità, ho vo-
luto “tradurre” una frase che lei amava
ripetere: Mornese era la “casa dell’amo-
re di Dio”. Casa dice relazione, amore
che circola. E la felicità è frutto dell’a-
more. Non solo Mornese era “casa”, ma
Maria Domenica è diventata “casa” per
le ragazze che le si sono affidate. E ha
insegnato, ieri alle prime sorelle, e oggi
a noi sue figlie, ad essere casa per le gio-
vani di ogni tempo e di ogni luogo».
Quali valori hai voluto
evidenziare attraverso
la narrazione del film?
Il film si rivolge a tutti, e proprio per
questo deve costruirsi con chiarezza,
immediatezza di lettura, informazio-
ne, formazione ed emozione. Oggi
vi è fame di amore e di relazione in-
terpersonale. Ho voluto sottolineare
questo bisogno traducendolo con il ri-
spetto, l’ascolto, il dialogo: il rapporto
aperto e semplice di Maìn con i suoi
genitori, in particolare il padre; tra lei
e Felicina, la sorella; con Petronilla,
l’amica di una vita; don Pestarino,
il suo direttore spirituale, e poi don
Bosco. Ma anche con le donne del
paese prima e poi con le ragazze al
Collegio, con le giovani che arrivano
a Mornese e che diventano le sue pri-
me collaboratrici nell’opera educativa:
Emilia Mosca, Caterina Daghero,
Enrichetta Sorbone. Maìn ha saputo
promuoverle, ha investito il futuro di
un Istituto su di loro, ha ascoltato e
dato risposte alla loro fame di amore.
È un film che mostra una santità per
l’oggi, feriale, semplice perché affon-
da le radici nella grandezza di Dio.
La produzione di un film
implica un lavoro
di squadra…
La nostra è stata una bella squadra.
Ho lavorato con tante persone. In tut-
ti, dall’attrezzista al regista, ho trovato
serietà e professionalità, impegno a co-
noscere la storia di Maìn e a renderla
A pagina precedente : Il manifesto del film
e il sorriso di suor Caterina Cangià.
A destra: Una scena del film.
Maggio 2012
19

2.10 Page 20

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FMA
GAIA INSENGA, MAÌN
al meglio. Ho individuato in Simone
Spada il regista. Sono stata affiancata
da Berenice Vignoli, aiuto-regista, dal
direttore della fotografia, Alessandro
Pesci, da fonici, costumisti, scenografi,
tecnici… Sul set si è creata una grande
famiglia e abbiamo respirato gioia, sere-
nità: un clima veramente salesiano. Le
riprese sono durate dall’8 agosto al 12
settembre 2011, in otto location diverse.
Ci spostavamo con sette grandi camion
del cinema. A volte, durante le riprese
con i bambini e le ragazze, mi sembrava
di essere a un camposcuola, perché alle
comparse si aggiungevano anche figli e
figlie delle persone della troupe.
… e tempi differenziati
di lavoro
Sì, vi è la pre-produzione, la produzio-
ne vera e propria, quando si gira il film,
e la post-produzione, la fase che porta
alla conclusione. Nella pre-produzione
si preparano i costumi, si cercano gli
oggetti, si organizzano le tabelle di
marcia per le riprese, si stabiliscono
le location, si costituisce il cast tecnico
e artistico e così via. In questo perio-
do, gli ambienti della scuola d’inglese
Maìn è stato il suo primo film da protagonista.
Dopo il diploma presso l’Accademia Naziona-
le d’Arte Drammatica, ha lavorato al cinema e
in televisione con registi di diversa formazio-
ne, ricoprendo sempre ruoli importanti.
«Quando Simone Spada, il regista del film,
mi ha chiamata dicendomi che ero stata scel-
ta per interpretare Maria Domenica… mi si è
riempito il cuore di gioia, come sempre suc-
cede nel nostro mestiere, fatto di precarietà, imprevisti, e attese.
Solo dopo ho realizzato che il compito che mi era stato affidato aveva qualcosa di speciale.
Quando sono venuta nella vostra casa, ho avuto modo di conoscere un mondo nuovo, fatto
di semplicità e voglia di sorridere. Suor Caterina mi ha abbracciata e mi ha semplicemente
guardata negli occhi. Mi ha detto poche parole rassicuranti e regalato immediatamente,
senza filtri o freni, la sua fiducia. Mi ha poi spinta a guardarmi dentro e a cercare di fare miei
gli insegnamenti di Maria Domenica.
Prima che iniziasse il film ho letto le sue lettere, mi sono documentata sul periodo storico,
ho fatto tutto quello che normalmente si fa per avvicinarsi a un personaggio. E a poco a poco
il mio sguardo è cambiato: amare non per il desiderio di essere ricambiati; combattere per
chi non ha la forza di farlo; condividere, perché insieme si è più forti. E credere. Solo così si
possono cambiare le cose... E Maria Domenica per me è sempre stata una rivoluzionaria. Ha
combattuto con fede e speranza, con il coraggio negli occhi e nel cuore.
Il set è diventato una casa in cui rifugiarsi e condividere un’esperienza di vita. Maria Dome-
nica mi ha regalato il suo sorriso e credo che mi rimarrà addosso per sempre. Ma la sua
forza è e rimarrà solo ed esclusivamente la sua. Mi piacerebbe conservarne almeno un po’...
Mi passano davanti agli occhi ricordi e sensazioni vivissime che mai dimenticherò: il giorno
in cui suor Caterina mi ha aiutata a indossare l’abito da suora, quello in cui Simone ha detto
per la prima volta “azione”, quello in cui il direttore della fotografia mi ha presa in disparte e
mi ha abbracciata… Quante risate... quanta passione c’è stata in questa casa della felicità!
Per tutto questo non posso che dire: grazie!».
erano proprio una “bottega”. Abbiamo
anche organizzato un camposcuola di
15 giorni con i ragazzi e le ragazze du-
rante il quale hanno imparato a dan-
zare la “monferrina”, a giocare a barra
rotta, a cucire e a ricamare…
Attorno al film si è
creato interesse, hai
mobilitato partecipazione,
corresponsabilità
Dai genitori dei ragazzi e delle ragaz-
ze della «Bottega d’Europa» ho avu-
to la disponibilità a fare da figuranti
volontari, ma anche dai miei studenti
all’università, da amici e collaboratori.
Questo, a conti fatti, significa un bel
risparmio sui costi delle comparse. La
storia di Maìn ha davvero affascinato
grandi e piccoli. Per esempio, dopo
aver parlato ai bambini della «Botte-
ga d’Europa» del film, una sera, ho
trovato sotto alla porta dello studio
un foglio con scritto: «Sister, ho finito
di leggere un libro su Maria Mazza-
rello ed è pure a disegni. Te lo pre-
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Maggio 2012

3 Pages 21-30

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LA MADRE
MARIA DOMENICA MAZZARELLO
Il film su Maìn trasmette la bellezza di una
vita che si svolge sotto lo sguardo di Dio e
si apre ai grandi orizzonti della fede e dell’a-
more, diventando feconda e propositiva per
tanti giovani, non solo del suo tempo. Nei
contesti attuali ricchi di stimolazioni, dove
però sono deboli i riferimenti valoriali e,
soprattutto, le testimonianze, la ripropo-
sta della vita di Maria Domenica Mazza-
rello rappresenta uno sprazzo di luce e di
speranza, un segno credibile del Vangelo
vissuto, un faro che addita la rotta verso
la felicità vera, la solidarietà universale, la
sobrietà come stile di vita. (Suor Yvonne
Reungoat, Superiora generale delle fma)
Nata nel 1837, Maria Domenica Mazzarello cresce nell’ambiente semplice di Mornese, pae-
sino dell’Alto Monferrato. Nel 1864, conosce san Giovanni Bosco e con lui fonda le Figlie di
Maria Ausiliatrice, chiamate anche “Salesiane di Don Bosco”, che si diffondono ben presto
nei cinque continenti per l’educazione delle giovani. Muore nel 1881, lasciando alle sue
figlie, ormai arrivate in Francia e nella remotissima America, una solida tradizione educativa.
Donna ricca di fede e audacia, aperta agli orizzonti del mondo, continua a parlare anche oggi
alle giovani e ai giovani del nostro tempo, proponendo una via semplice ed esigente verso la
felicità, nello stile della santità giovanile.
Il 2012 segna il 140° di fondazione dell’Istituto, di cui è stata la prima Superiora, scelta da
don Bosco stesso.
sto. Smack! Firmato Sofia Nicolai»
(9 anni). L’indomani Sofia mi porta
il libro illustrato e nel consegnarmelo
mi dice: «Ti piacerà, parla di suore e
di Maria Domenica e poi tu sei una
sua discendente. Quando lo cominci a
leggere?» E io: «Questa sera. Non vedo
l’ora». Sofia è stata poi scelta per inter-
pretare Maìn da piccola. E ora si stupi-
sce e, emozionata, mi confida che… in
molti le stanno chiedendo l’autografo.
Parlaci di Gaia Insenga,
il volto di Maìn nel film
Gaia è una giovane attrice di teatro.
Non si è accontentata della sceneggia-
tura, ma ha voluto approfondire Maìn
con la lettura delle sue lettere e della
biografia. La sua è un’interpretazio-
ne interiorizzata e profonda, non solo
recitata. Prima delle riprese, ci incon-
travamo sul set e insieme condivide-
vamo le scene previste per la giornata
e prima di iniziare le dicevo: «Tutto il
mondo vedrà Maìn attraverso i tuoi
occhi, i tuoi gesti…». Penso che ci sia
riuscita: il suo sorriso raggiungerà il
cuore di molti.
I numeri del film
3 anni di lavoro
40 giorni di riprese
15 attori principali
15 attori secondari
200 comparse
56 persone nel cast tecnico
600 costumi
8 location
2 unità di ripresa
7 le lingue del doppiaggio: inglese, fran-
cese, spagnolo, portoghese, tedesco,
polacco, giapponese
9 lingue dei sottotitoli: vietnamita, slo-
veno, coreano, croato, slovacco, ceco,
arabo, thailandese, fiammingo
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FINO AI CONFINI DEL MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
BANGLADESH
Nuova presenza
missionaria
(ANS - Lokhikul) –
Il 5 febbraio scorso
è stata avviata ufficialmente a Lokhikul la
seconda presenza missionaria salesiana in
Bangladesh. Due i salesiani che vi operano:
don Emil Ekka, responsabile della presenza,
e don Pawel Kociolek, di origine polacca.
Nella regione di Rajshahi, dove operano i
due salesiani, il tasso di mortalità infantile è
molto elevato (oltre il 10% dei bambini non
arriva ai 5 anni) e circa il 67% della popo-
lazione è analfabeta. Nell’area vivono tre
comunità tribali: Oraon, Santal e Pahan.
La gente si mantiene con l’agricoltura e un
po’ di terziario, manca un’attività industriale;
solo le strade principali sono asfaltate e le
abitazioni sono fatte per lo più di lamiere,
legno e argilla. I salesiani condividono con la
popolazione lo stile di vita semplice e povero:
per la corrente elettrica si servono di batterie
che vanno ricaricate in un negozio distante
2 miglia. Ma alla ristrettezza dei mezzi
fanno da contorno la cordialità e la simpatia
della gente, che ha accolto ben volentieri i
missionari.
INGHILTERRA
Gli allievi
di Bootle
incontrano
la Regina
(ANS - Londra) – Lunedì
12 marzo alcuni allievi
della scuola salesiana “All
Saints” di Bootle hanno
partecipato alla celebrazio-
ne del Commonwealth alla
presenza della Regina Eli-
sabetta II d’Inghilterra. Nel
corso della cerimonia, dopo
alcuni esibizioni artistiche,
Alaya Girvin, di 10 anni, al-
lieva della scuola salesiana,
ha raccontato ai presenti
la gioia provata nel giorno
della sua Prima Comunio-
ne, ricevuta nella parroc-
chia salesiana “St James”
e Charlie Fitzimmons, di
8 anni, che frequenta la
stessa parrocchia, ha avuto
l’incarico di consegnare
un bouquet di fiori alla
Contessa del Wessex.
Tornando a Bootle, i piccoli
allievi hanno riflettuto sul
senso di appartenenza ad
una comunità più ampia,
come quella del Com-
monwealth o quella della
Famiglia Salesiana.
BRASILE
Giovani
portatori
di un sorriso
(ANS - Araxá) – Un gruppo di alunni e
collaboratori del collegio salesiano “Dom
Bosco” di Araxá, dell’Ispettoria di Brasile-
Belo Horizonte (BBH), svolge attività di
volontariato presso le strutture sanitarie
“Santa Casa Misericórdia”, “Asilo São
Vicente de Paula” e “Centro de Hemodiálise”.
Il progetto denominato Salvo (Salesiani
Volontari), avviato nel 2008, incoraggia tra
gli alunni la cultura del volontariato e della
solidarietà e promuove l’umanizzazione de-
gli ambienti ospedalieri attraverso quattro
aree d’intervento: attività di clown terapia,
attività di lettura, attività di riflessione
spirituale e attività di gioco, danza e canto.
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3.3 Page 23

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SIERRA LEONE
Una linea
d’ascolto
per bambini
(ANS - Freetown) –
Nel mese di marzo
l’opera salesiana “Don Bosco Fambul” di
Freetown ha avviato ufficialmente una linea
telefonica d’ascolto e consulenza a livello
nazionale rivolta specificatamente ai bam-
bini. Operativa tutti i giorni, per 24 ore al
giorno, la linea d’ascolto “116” vede alter-
narsi al telefono assistenti sociali, avvocati
e infermieri che offrono informazioni,
consulenza e aiuto pratico ai bambini biso-
gnosi. Le chiamate sono gratuite e vengono
trattate in modo anonimo e confidenzia-
le. Il Direttore del Don Bosco Fambul, il
salesiano coadiutore Lothar Wagner, ripone
grandi speranze in questa iniziativa: “Con
tutti i nostri progetti cerchiamo di essere
presenti per bambini e ragazzi che devono
fronteggiare crisi personali. (…) Con questo
progetto vogliamo dare sostegno e forni-
re loro possibili soluzioni perché in breve
tempo riprendano il controllo della propria
vita”.
SPAGNA
Premio Alma
2012 per la
Cooperazione
Internazionale
(ANS - Madrid) – In una
cerimonia celebrata venerdì
9 marzo a Madrid, la Pro-
cura Missionaria Salesiana
ha ricevuto il Premio Alma
2012 per la Cooperazione
Internazionale, promosso
dalla Fondazione Real-
Madrid in riconoscimento
dell’impegno e del contri-
buto offerti alla società.
A consegnarlo è stata l’on.
Ana Botella, sindaco di
Madrid, che ha elogiato il
lavoro svolto dalla Procura:
“da oltre un secolo presenti
negli angoli più depressi
del pianeta… dove c’è
bisogno di una mano che
insegni, educhi e incoraggi
le giovani generazioni”. Don
Agustín Pacheco, direttore
della Procura delle Missioni
Salesiane in Spagna, ha
ringraziato la Fondazione
per il conferimento di que-
sto premio e tutti i collabo-
ratori che quotidianamente
si adoperano in favore dei
minori in difficoltà.
NICARAGUA
Premio
Nazionale
per una scuola
salesiana
(ANS - Masaya) – Il Ministero dell’Educa-
zione del Nicaragua ha assegnato al Centro
Scolastico “San Juan Bosco” il premio di
miglior scuola del paese. La cerimonia di
assegnazione si è tenuta il 24 febbraio presso
l’Università Nazionale. La scuola è gesti-
ta dal salesiano coadiutore sig. Fernando
Murillo, anch’egli vincitore di un premio,
come miglior direttore scolastico. Dotato
di moderne infrastrutture e con una popo-
lazione scolastica di 1750 allievi, il centro
salesiano è caratterizzato dal protagonismo
degli studenti, che con numerosi comitati
di bambini e bambine, ragazzi e ragazze, si
occupano responsabilmente di molti settori
della vita scolastica. Visitando la scuola si
rimane impressionati dalla pulizia, l’ordine,
la disciplina, la creatività, la gioia e l’ottimi-
smo che dominano in tutti gli ambienti. “Il
dinamismo degli studenti è la vita dell’isti-
tuto ed è quello che voleva don Bosco” ha
espresso il sig. Murillo.
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LE CASE DI DON BOSCO
CRISTIANO CIFERRI
Don Btroasciodue mari
La presenza salesiana a Taranto
I ragazzi dell’Isti-
tuto Salesiano in
visita ad una delle
grandi navi mili-
tari che sostano
nell’importante
porto di Taranto.
Il Piemonte, si sa, non è terra di mare e forse
don Bosco il mare l’avrà visto solo nei suoi
lunghi e faticosi viaggi. Probabilmente non
avrà mai assaporato un gustoso piatto di ca-
vatelli con le cozze o di fegatini alla brace, né
tantomeno di pettole ripiene.
Eppure, chiudendo per un attimo gli occhi, im-
maginiamoci un don Bosco “marinaio”, guardia-
molo mentre, dopo essere passato accanto alle
imbarcazioni del porto turistico, scende dal treno
alla stazione e cammina tra i vicoli accanto a un
ipogeo del Borgo Antico, alla volta del Castello
Aragonese e transita su quel miracolo di ingegno
Taranto è una città fortemente
legata alla presenza salesiana.
Attualmente i salesiani animano una
parrocchia intitolata a san Giovanni
Bosco, un oratorio-centro giovanile
ed un liceo scientifico
umano che è il Ponte Girevole al quale è affida-
to il compito di unire il Mar Piccolo con il Mar
Grande. Lo vediamo proseguire su Viale Virgilio
dove i suoi monelli sono già impegnati a cresce-
re da protagonisti in una scuola da vivere per un
futuro da costruire: nella vita le difficoltà ci sono
sempre, ma imparare ad affrontarle aiuta a trarre
il buono che c’è in ogni vicenda umana. Prima
però una sosta in via Umbria, dove fervono i pre-
parativi per la festa dell’oratorio che ci sarà quella
sera e dove già si susseguono le attività parroc-
chiali.
E sì, se don Bosco fosse stato un marinaio, sareb-
be nato a Taranto!
Taranto è una città fortemente legata alla pre-
senza salesiana. Attualmente i salesiani animano
una parrocchia intitolata a san Giovanni Bosco,
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Maggio 2012

3.5 Page 25

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I magnifici cortili
e i campi da gioco
dell’oratorio e del
liceo sono il cuore
dell’opera: luoghi
di accoglienza e
coinvolgimento.
un oratorio-centro giovanile ed un liceo scien-
tifico. Ma nel corso degli anni hanno condotto
l’animazione di altre due parrocchie, della scuola
elementare e media e del liceo classico. Inoltre,
occorre aggiungere che nella stessa città sono pre-
senti le Figlie di Maria Ausiliatrice con due pre-
senze (oratori, scuola materna, primaria e media,
corsi professionali, animazione di strada…).
Insomma, don Bosco nella città di Taranto ha
vissuto e continua a vivere nel cuore di tanti che
con gioia si riconoscono appartenenti a un’unica
grande famiglia.
Parrocchia che evangelizza
La parrocchia “S. Giovanni Bosco” è collocata
in una zona centrale della città. Gli abitanti sono
circa 11 500: una parrocchia popolosa e popola-
re, proprio come la vuole don Bosco. Nel terri-
torio sono presenti l’Istituto Salesiano e l’Istituto
FMA, scuole statali materne, elementari, medie e
superiori. In realtà nel corso degli anni i salesiani
hanno animato anche altre due parrocchie: quella
di S. Giuseppe e quella del Sacro Cuore.
La vita parrocchiale pullula di attività e anche la
partecipazione ai sacramenti e alle celebrazioni è
significativa, sia per gli adulti sia per i giovani.
C’è molto lavoro grazie anche ai numerosi col-
laboratori laici che prestano il proprio servizio di
volontariato come catechisti o nei numerosi grup-
pi e movimenti: il Centro Catechistico, il Cen-
tro Liturgico, la Caritas, l’associazione Fratres, i
Salesiani Cooperatori, gli Exallievi, l’ADMA, i
Testimoni del Risorto, l’Azione Cattolica, le Co-
munità Neocatecumenali, il gruppo del Rinno-
vamento nello Spirito, la Corale parrocchiale, il
gruppo Pax Christi, la formazione delle giovani
coppie, il Centro di ascolto, il Laboratorio Mam-
ma Margherita…
La formazione cristiana è garantita con incontri
periodici sia di tipo assembleare per tutta la Co-
munità Educativa Pastorale sia per ogni singolo
gruppo o realtà.
È attiva poi la Consulta locale della Famiglia
Salesiana che riunisce i rappresentanti dei vari
gruppi della FS per progettare insieme le strate-
gie migliori e per venire incontro alle esigenze dei
nostri giovani: un vero lavorare “in rete” perché
don Bosco sia vivo con i suoi mille volti.
Cortile dove incontrarsi
L’attenzione dell’Oratorio-Centro Giovanile è ri-
posta soprattutto sul popolatissimo cortile come
luogo di accoglienza e di coinvolgimento. Ragaz-
zi di scuola elementare e media, ma anche della
scuola superiore e giovani trovano in esso un luo-
go importante di crescita e di confronto. L’atten-
zione ai ragazzi va di pari passo con la formazione
degli animatori, dei preanimatori e degli operato-
ri, non solo a livello locale ma anche zonale. Nel
corso degli anni si sono consolidate le attività for-
mative dei gruppi, grazie anche alla guida costan-
te nel tempo del direttore dell’oratorio, e ne sono
nate delle altre ancora più coinvolgenti, come l’at-
tività del sabato pomeriggio “C’è posto per te!”:
un vero e proprio itinerario ludico-ricreativo ma
anche formativo che dura tutto l’anno.
Tra i vari gruppi attivi in oratorio sono da ricor-
dare i gruppi formativi per tutte le fasce di età
dalla terza media ai giovani, il gruppo di Ani-
mazione Missionaria, il gruppo Ministranti, l’at-
Maggio 2012
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3.6 Page 26

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LE CASE DI DON BOSCO
Uno dei gruppi
sportivi dell’ora-
torio. Con i gruppi
di animazione
musicale e teatrale
sono i segni di
una straordinaria
vitalità salesiana.
Il liceo scientifico
paritario è strut-
turato in maniera
nuova a somi-
glianza delle high
school americane.
tività polisportiva del CNOS Sport, il gruppo di
animazione musicale e i gruppi teatrali.
Ultimamente si è provveduto al rifacimento dei
campi da gioco e ora si sta provvedendo alla ri-
strutturazione di una sala Auditorium che sarà
intitolata a Paola Adamo, giovane tarantina allie-
va dell’oratorio morta in concetto di santità.
Insomma, un vero cortile dove ognuno possa cre-
scere grazie all’incontro con gli altri e sviluppan-
do le proprie potenzialità.
Scuola che avvia alla vita
L’Istituto di Taranto ha la sua fondazione nel
1935 ed ha ottenuto il prestigioso riconoscimen-
to della Medaglia d’Oro della Repubblica Italia-
na nel 1963. Nel corso degli anni è stato scuola
elementare, scuola media, liceo classico e liceo
scientifico. Attualmente la proposta formativa è
quella del “Don Bosco High School”, un liceo
scientifico paritario strutturato in maniera nuova
a somiglianza delle high school americane. È una
proposta innovativa che, forte del proprio motto
“Celeres gaudentibus horae”, mette insieme didatti-
co ed extradidattico per una formazione globale
del ragazzo. La scuola è gemellata con altre due
scuole salesiane, una inglese (“Salesian School”
di Chertsey) e l’altra americana (“St John Bosco
High School” di Bellflower, California). Inoltre,
il progetto “Cuore dell’educazione è l’educazione del
cuore” fornisce ai ragazzi un percorso didattico e
curricolare che li accompagna nella formazione di
sé, nelle relazioni con gli altri, nella crescita della
propria affettività e delle relazioni, nell’affrontare
criticamente gli snodi della bioetica.
È inoltre attivo uno sportello di ascolto psico-
pedagogico per ragazzi, genitori e docenti.
Le strutture (campi sportivi rinnovati, laboratori
multimediali, scientifici, linguistici e informatici,
il registro on-line), un corpo docente formato e
motivato, un’équipe di educatori competenti e co-
stantemente presenti in mezzo ai ragazzi consen-
tono la creazione di un clima davvero familiare
in cui i ragazzi hanno un ruolo da protagonisti
nell’organizzazione scolastica.
Un sogno che continua…
Tanti sono i sogni ancora in cantiere. L’opera si
sta rinnovando anche strutturalmente, sia nell’o-
ratorio sia nell’istituto e per poter fare questo
occorrono molti fondi. Ma la Provvidenza non
farà mancare il proprio sostegno ricompensando
il bene che tanti a Taranto fanno nel nome di don
Bosco per i ragazzi e i giovani di questa città e
siamo certi che in molti ci aiuteranno a dare vita
ai nostri sogni.
L’opera salesiana ha il suo sito:
www.donboscotaranto.it. Nel portale c’è an-
che la sezione web-radio-tv “Salesound”, piaz-
za virtuale di animazione sociale dove i giovani
dell’oratorio e della scuola hanno la possibilità di
esprimersi e che ha anche il compito di trasmet-
tere in diretta streaming gli eventi principali del-
la comunità. Chiunque quindi, in ogni parte del
mondo, può entrare in contatto con noi e sognare,
come don Bosco, assieme a noi.
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Maggio 2012

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ANNO DELLA FEDE GIOVANE
TONINO LASCONI
La nostalgia di
uno sguardo buono
All’invito di Gesù: “Vieni!
Seguimi!” (Mt 19,21), il giovane
se ne andò triste, ritenendo le sue
molte ricchezze, più importanti di
ciò che Gesù poteva offrire.
Gli evangelisti non parlano più
di questo giovane, perciò non
sappiamo che fine abbia fatto.
A me piace pensare che, dopo
il rifiuto, abbia continuato
a seguire il Maestro, stan-
do attento a non farsi vedere, per poi
decidere, dopo avere assistito alla sua
passione e agli effetti della sua risurre-
zione, di entrare tra i coraggiosi della
prima comunità cristiana che mette-
vano i loro beni a disposizione degli
apostoli per distribuirli “a ciascuno
secondo il suo bisogno” (At 4,34-35).
Se fosse accaduto così, significherebbe
che quell’invito di Gesù gli era rima-
sto dentro e l’aveva aiutato pian piano
ad arrivare a una valutazione diversa
tra ricchezza vera e apparente. Io cre-
do sia andata così, perché quel giovane
se ne era andato via “triste”. Vuol dire
che lo sguardo carico di simpatia che
Gesù aveva fissato su di lui (Mc 10,21)
gli era rimasto dentro, e al tempo op-
portuno aveva portato i suoi frutti.
E i nostri giovani che rispon-
dono picche all’invito della
Chiesa? Si può sperare che arrivino
un giorno a valutare diversamente le
ricchezze che attualmente non hanno
il coraggio di lasciare? Perché questo
accada è necessario che, dopo l’inevi-
tabile allontanamento o allentamento
della preadolescenza (11-14 anni) e
dell’adolescenza (che oggi si prolunga
fino ai 26-30 anni: laurea, un lavoro
avviato, un “fidanzamento” impegna-
tivo), sia rimasta la nostalgia di uno
“sguardo buono e amico” da parte di
chi ha loro proposto di seguire Gesù:
la famiglia, la parrocchia. Natural-
mente lo sguardo buono e amico più
importante è quello della famiglia,
perché è lì che si verifica l’imprinting.
Di questo però parleremo la prossima
volta. Adesso ci domandiamo: che
cosa può dare oggi la parrocchia ai
bambini e ai ragazzi, affinché in loro
rimanga la nostalgia di uno sguardo
buono da ricercare e da ritrovare? Fino
a cinquanta, sessanta anni fa, per la
stragrande maggioranza dei bambini
e dei ragazzi italiani la parrocchia (o
l’oratorio) era l’unico luogo di aggre-
gazione alternativo alla strada, con il
campetto di calcio, di basket, di pal-
lavolo; il pingpong, il calciobalilla, il
teatrino, il cinema a passo sedici, il
flipper e poi anche la televisione…
Offerte che non avevano un nesso di-
retto con la fede, ma che, se gestite
da sacerdoti ed educatori intelligenti,
riuscivano a creare un ambiente ami-
chevole e fraterno in grado di far re-
spirare i valori cristiani.
Oggi tutto questo i ragazzi lo trovano
altrove con offerte “professionali” con
le quali le parrocchie non possono
competere. L’unica esperienza che le
parrocchie offrono a bambini e ragaz-
zi è il catechismo, che non si risolve
più in pochi mesi prima dei sacra-
menti, ma si prolunga per sei, sette,
otto anni. Se questa “offerta” è una
sofferenza fastidiosa, se i ragazzi ar-
rivano alla Cresima con la sensazione
di essersi liberati da una tortura, ad-
dio nostalgia. Le parrocchie che non
accettano di rinnovare la catechesi e
di trasformarla in un’esperienza di
vita bella, e insistono caparbiamente
con il catechismo “lezione”, nell’illu-
sione di poter insegnare la fede, sono
avvertite.
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3.8 Page 28

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Che ne dite?
Il pensiero televisivo
Avete presente i cani da pastore?
Appena viene dato il largo alle peco-
re, i cani si mettono a rincorrere una
pecora, poi l’altra, poi una terza…
senza concludere nulla.
Così certe trasmissioni televisive,
passano da un pensiero all’altro, sen-
za approfondire nulla, senza chiarire
nulla.
Guai se ci si attarda in un ragiona-
mento serio: il conduttore
ti toglie subito la parola per
timore che il pubblico si an-
noi o sia incapace di andare
oltre la battuta incisiva, vi-
gorosa, emotiva.
Ecco: prima ancora d’essere
un insulto alla morale, mol-
te trasmissioni sono un in-
sulto alla logica, al cervello.
Per fortuna non tutti gli
spettatori sono come i cani
da pastore!
Ad un certo punto vi sono
spettatori che fanno fare
uno scatto intelligente al te-
lecomando: chiudono audio e
video e si mettono a leggere!
È vero: vanno più adagio, però
vedono più a fondo, vedono ‘den-
tro’: sono ‘intelligenti’ (da ‘intus-
legere’).
Saggi gli spettatori che tagliano le
unghie alla televisione!
Saggi e preziosi: ricordano che una
testa ben fatta vale più di cento teste
ben piene!
La pubblicità
Oggi è facile vivere!
Basta lasciarsi guidare da quello che
ti dicono gli altri!
Meglio: da quello che ti dice un’altra:
la pubblicità.
La pubblicità ti prende in braccio dal
mattino alla sera: ti programma la
giornata offrendoti i biscotti giusti
con il caffelatte giusto quando ancora
sei a letto, fino alla sera quando ritor-
ni a letto, con la sua camomilla della
dolce notte.
Ti prende per mano, la pubblicità, e
non ti lascia più andare.
E attento a non seguirla! Non sei ag-
giornato, non sei importante, odori
di alito cattivo, ti vengono i brufoli,
soffri di adiposi…
Solo con lei puoi vincere la forfora sui
capelli, solo con lei puoi far brillare
la biancheria grigia, solo con lei puoi
sconfiggere la cellulite!
Evidentemente il buon Dio mi ha
congegnato male!
Per fortuna c’è lei, la pubblicità, ad
aggiustarmi dai capelli alle scarpe…
Perché guai a piacere a me stesso,
guai a complimentarmi con il mio
naso, con le mie labbra!
Tutto è da rifare!
Oh, terribile, subdola, violenta pub-
blicità!
Disubbidirti è la mia serenità!
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Maggio 2012

3.9 Page 29

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I SANPIETRINI PEDAGOGICI IL MANIFESTO DEI GENITORI SALMONI
I Sanpietrini sono blocchetti di basalto tra-
dizionalmente usati per lastricare le strade
e le piazze.
Anche l’arte di educare ha i suoi sanpie-
trini che non stanno in cielo, ma sono la
base sulla quale possiamo camminare sul
sicuro.
Eccone una seconda manciata:
1. La parola è suono, l’esempio è tuono.
2. Dare tutto al figlio significa prepararlo
a non gustare più niente: ‘il passero
ubriaco trova amare anche le ciliegie’
(Proverbio).
3. Mamma, meno calorie, più calore!
4. Giocare è il modo migliore di imparare.
5. Presenti sì, pesanti no!
6. Talora ignorare è un’ottima strategia.
7. Il bambino impara molto di più spian-
doci che non ascoltandoci.
8. Briglia sciolta, un po’ alla volta.
9. La correzione fa molto. L’incoraggia-
mento di più!
10. Aiutare davvero il figlio, è liberarlo dal
bisogno di aiuto.
Vi sono due categorie di genitori: i genitori
replicanti ed i genitori salmoni.
I replicanti seguono la logica del ‘così fan
tutti’.
I genitori salmoni vanno controcorrente; lo
dice il loro limpido manifesto.
I genitori salmoni
Sanno che amare significa sostenere il
figlio, non cadergli ai piedi.
Sanno che ‘buona potatura, buoni grap-
poli assicura’.
Sanno che, talora, appartenere all’1% è
una fortuna.
I genitori salmoni
Lasciano che il bambino se la cavi al più
presto da solo.
Non lo fanno crescere con il sedere nel
burro.
Non lo eleggono a capo famiglia.
I genitori salmoni
Non ammettono che il bambino abbia la te-
levisione personale nella sua cameretta.
Non trasformano il primo giorno di scuola
in una sfilata di moda.
Non perdono la testa per la festa del com-
pleanno.
I genitori salmoni
Rifiutano che il bambino sia spremuto da
tanti Corsi.
Preferiscono che sia felice, più che famoso.
I genitori salmoni
Credono nell’alto valore pedagogico del-
l’educazione religiosa.
Si impegnano perché il figlio diventi
‘grande’, non solo ‘grosso’.
I genitori salmoni
Hanno la collera buona.
Sono convinti che oggi, per fare passi
in avanti, occorre fare passi indietro, per
non fare passi falsi.
Sanno che il tempo delle parole è scadu-
to. L’ora dell’impegno è ora!
La lezione viene
dal passato
Ferruccio Parri fu il primo Presi-
dente del Consiglio alla guida di
un governo di unità nazionale, in
un’Italia ridotta in macerie dalla
grande guerra.
Di Ferruccio Parri (1890-1981) il
grande giornalista Indro Montanelli
raccontò che da presidente del Consi-
glio dormiva su una branda da campo
nella stanza vicina al suo studio; per i
pasti si accontentava di panini al sa-
lame; non voleva scorte, tanto meno
auto blu di rappresentanza. Ogni sera
andava a comprare i francobolli per
la sua posta privata. Anche quando,
nel 1963, fu nominato senatore a vita,
viaggiava di notte per risparmiare i
soldi dell’albergo…
Questa è l’Italia che piace. Questa è l’I-
talia da far conoscere ai giovani per dire
che non hanno tutti i torti coloro che
sostengono che per fare passi avanti, so-
vente bisogna fare passi indietro, per non
fare passi falsi.
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3.10 Page 30

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RICORRENZE
GIANNI DI MAGGIO
Don Bosco Borgomanero
cent’anni, per cominciare...
In alto: Una pano-
ramica dell’Istituto
di Borgomanero.
A destra: La faccia-
ta. Borgomanero
è uno dei polmoni
della devozione a
Maria Ausiliatrice.
450 ragazzi, 44 insegnanti,
più di 800 famiglie, 12 salesiani,
2 presidi laici, 1 chiesa e 100 anni
di vita: questa è la Borgomanero
salesiana oggi
Qui don Bosco ha certamente posato il suo
sguardo, andando dall’abate Rosmini
nella non lontana Stresa, ma qui i suoi
figli hanno iniziato a sognare. O meglio
un suo figlio. Tutto ha inizio infatti nel
1908 quando don Giuseppe Tacca, sa-
lesiano della zona, è in famiglia per accudire la
madre. Su richiesta del comune di Borgomanero,
offre la disponibilità per un po’ di aiuto nel Col-
legio civico “Manzoni”, ma gradualmente prende
forma la possibilità di una comunità salesiana.
Giungono così i primi confratelli. Dobbiamo
aspettare il 1912 e la decisione di don Paolo Al-
bera per avere la presenza ufficiale: da allora don
Bosco respira pienamente anche in questa città
nella provincia di Novara, oggi di 21 000 abitan-
ti, posta tra il Lago Maggiore e quello di Orta.
Sarebbe bello poter rivivere in ciascuno di noi la
forza dei sentimenti che attraversavano l’animo
di don Giuseppe Tacca mentre avviava, con i suoi
confratelli e con i collaboratori della primissima
ora, un cammino che avrebbe portato al raggiun-
gimento di grandi e preziosi risultati. Proprio a
lui infatti nel 1918 le autorità governative attri-
buiranno la medaglia d’oro, motivando e ricono-
scendo che “l’educazione nella casa salesiana della
città era ispirata ai più nobili ideali, alla gloria
della religione, alla grandezza dell’Italia”.
Quel sogno non si è mai interrotto: nel 1929 si
costruisce il nuovo istituto e negli anni Quaranta
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Maggio 2012

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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si avviano il Liceo Classico e la Scuola Media.
Nel 1958 spuntano il teatro e una nuova ala sco-
lastica, nel 1970 la chiesa e nel 1975 la palestra.
Attendiamo il 1981 per vedere le ragazze negli
ambienti del Liceo Classico e il 1987 in quel-
li della Scuola Media. A partire dal 1996 si ha
l’avvio del Liceo Linguistico Europeo ad indiriz-
zo Giuridico ed Economico, che dal 2010 viene
gradualmente sostituito dal Liceo delle Scienze
Umane-opzione Economico Sociale, mentre il
Liceo Classico prosegue la sua pluridecennale
tradizione, ma con il potenziamento nelle mate-
rie scientifiche. Oltre alle tre scuole, la casa vede
anche la frequentata chiesa, polmone della de-
vozione all’Ausiliatrice e, per il sacramento della
confessione, ristoro prezioso per molti fedeli. Da
decenni, una ventina di pullman si reca alla veglia
di Valdocco il 23 maggio.
Da almeno quarant’anni, generazioni di fedeli si
mettono sotto il suo manto, non dimenticando la
protezione celeste e i benefici ottenuti durante la
seconda guerra mondiale.
Ieri come oggi, i giovani qui trovano una fami-
glia che educa con il Vangelo e la cultura, e vi
percorrono le tappe che separano l’essere cristiani
dall’esser credenti.
Che cosa significa celebrare un centenario?
Per il direttore della casa è un momento di “ri-
nascita”: «Celebrare il centenario significa, per la
nostra casa, rinnovare la dedizione e l’inventiva
di chi ha portato qui don Bosco. È riconoscere il
lavoro fecondo di molte persone che nelle aule e
nei cortili hanno riversato attese e insegnamenti.
Vuol essere un ringraziamento al Signore per il
bene che si è potuto diffondere».
Fiaccolate e pellegrinaggi
Le iniziative principali? «Il 2012 è per noi co-
stellato di appuntamenti che divengono ora gra-
titudine, ora ricordi, ora celebrazioni. Dopo un
mese salesiano avviato con un concerto di musica
classica e coronato con l’eucaristia musicata dal
preside dei Licei, abbiamo applaudito il musical
realizzato dalla Scuola Media, per poi immer-
gerci nella lettura del libro che racconta la storia
della nostra casa. Prima di aggiungere una pagi-
na preziosa negli annuali dell’opera – la visita del
Rettor Maggiore nel mese di settembre – ci sia-
mo messi fisicamente in cammino. Insieme alle
famiglie, abbiamo raggiunto il Colle don Bosco;
ci ritorneremo con i più giovani per una fiaccolata
podistica, così da arrivare puntuali il pomeriggio
del 2 giugno alla festa della famiglia e al conve-
gno degli exallievi. Con gli universitari andremo
nel mese di agosto in Terra Santa, per chiedere la
fede dei primi discepoli, quelli che hanno visto
Gesù. Intanto continuiamo a cercare il Suo Volto
nei ragazzi e nelle persone che ogni giorno vivo-
no nei nostri ambienti. Lì don Bosco cercherebbe
il futuro, lì attenderebbe Dio, per poterlo donare
ancora».
Studenti in una
delle classi del
liceo che gode
di una grande
tradizione e di
una stima incondi-
zionata.
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A TU PER TU
VACLAV KLEMENT
Il signor Cesare Bullo
Giubileo d’oro
di un missionario
Ricordi il tuo primo viaggio
dall’Italia al Vietnam?
All’aeroporto di Saigon, il 24 febbraio
del 1962, fui avvolto da un caldo tor-
rido che non avevo mai conosciuto. In
poche ore ero passato dal freddo inver-
no del Nord Italia all’estate perenne
dei tropici. Il Vietnam all’epoca era un
posto dove esistevano già comunità sa-
lesiane, come quella dove cominciai a
operare anch’io, a Go-Vap, periferia di
Saigon, in mezzo a una folla di bam-
bini e ragazzi dagli occhi a mandorla
e dal sorriso che non si spegneva mai.
Mi sembravano tutti uguali: “Come
farò a riconoscerli?”, mi dicevo. Il gior-
no dopo, ero già in classe per insegnare
disegno tecnico. Ho disegnato e poi ho
detto «chep» che significa «copiate». E
lo hanno fatto!
Poi è arrivata la guerra?
All’inizio feci l’insegnante (falegna-
meria e disegno tecnico), poi iniziai
quella che sarebbe diventata la mia at-
tività definitiva, il responsabile dell’e-
conomato. Sembrava potesse essere
un’attività tranquilla, ma nel giro di
pochi anni quel luogo si sarebbe tra-
sformato nel teatro di una delle più
orribili pagine del ventesimo secolo,
e i miei compiti sarebbero andati ben
oltre la semplice amministrazione di
una scuola. Gli americani iniziarono
ad arrivare, all’inizio alla spicciolata,
poi sempre più numerosi. E cominciò
l’inferno delle armi di distruzione di
massa. Ricordo che i villaggi intorno
a Saigon furono bombardati giorno e
notte, per mesi, e nella nostra comuni-
tà cominciarono ad arrivare ogni gior-
no migliaia di madri, con i loro bambi-
ni, in condizioni disperate. Nei cortili
della nostra missione erano stipate
quasi diciottomila persone, ci furono
anche periodi di coprifuoco, e i bom-
bardamenti parevano non aver fine.
Per quella povera gente sembrava dav-
vero essere arrivata la fine del mondo.
Invece non fu il mondo a finire, ma la
Il giovane coadiutore Cesare Bullo nella sua
scuola in Vietnam: è l’inizio della sua splendida
avventura salesiana.
guerra, nel 1975. Iniziarono però allo-
ra altri problemi per i Salesiani. Il go-
verno di Hanoi costrinse a uscire dal
Paese tutti gli stranieri finché anche
noi fummo “invitati ad uscire”.
Come sei finito in Africa?
Tornai quindi a Roma nella speranza
di poter ripartire prima possibile, per
continuare la mia opera in qualsiasi
parte del mondo. Dopo pochi mesi
mi venne fatta la proposta di unirmi
al primo gruppo di Salesiani in Etio-
pia, un irlandese e un americano, per
iniziare l’attività missionaria in quella
nazione molto povera. Venni scelto
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Maggio 2012

4.3 Page 33

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perché conoscevo l’inglese, e io accet-
tai volentieri. Arrivai lì il 19 marzo
1975, festa di San Giuseppe.
Com’è nata la tua vocazione
missionaria?
Sono nato nel 1941 a Chioggia, che
all’epoca era il centro di una delle zone
più povere del Veneto. Forse era già
scritto in quei luoghi il mio destino
che trascorro fra persone disagiate e
dignitose. I Salesiani dell’Oratorio di
Chioggia colpirono subito la mia fan-
tasia. Davano molto agli altri, aiutava-
no tutti, soprattutto i più poveri fra i
poveri, e quella generosità fece breccia
nel mio cuore. Cercai di entrare all’O-
ratorio già a cinque anni, io fremevo,
ma la mia domanda fu rifiutata: dove-
vo essere iscritto alla prima elementare,
mancava un anno che durò a lungo. Poi
entrai, e da allora la mia vita ha preso
la direzione che mi ha portato fin qui.
Nel 1954 cominciai la scuola e nel
1957 iniziai il noviziato in provincia
di Verona, ad Albarè. Anche lì ci fu
una svolta: spesso venivano missio-
nari da ogni parte del mondo e i loro
racconti sapevano di vita vera, parla-
La barba e i capelli sono brizzolati, ma anche in
Etiopia lo spirito è sempre lo stesso.
Non ho mai
rimpianto di
essere salesiano
missionario.
vano di luoghi lontani dove portare il
messaggio di Nostro Signore, fatto
di amore e solidarietà. Sentii imme-
diatamente che era quella la vita che
volevo.
Etiopia significava di nuovo
prima linea!
La missione stavolta era ancora più
stimolante. A differenza che in Viet-
nam, in Etiopia non c’era nemmeno
una missione salesiana, si trattava di
cominciare da zero. Già dall’inizio
degli anni ’60 il vescovo di Adigrat
desiderava i Salesiani nella sua Dio-
cesi per istituire una scuola tecnica (la
prima in quell’ampia zona a nord del
Paese), a Makalle. Addirittura inco-
raggiò alcuni dei suoi preti diocesani
a farsi Salesiani. Il caso volle che uno
di questi dopo poco tempo diventasse
suo successore e così riuscì a portare i
Salesiani in Etiopia.
Quindi fui di nuovo in mezzo ai bam-
bini e ai ragazzi, i preferiti del nostro
Santo Fondatore, e ritrovai la gioia
della mia missione. Purtroppo anche
in questo caso era in arrivo un’altra
terribile tragedia, che colpì gran par-
te del Corno d’Africa nel 1984/85: la
siccità. Fu, come molti di voi ricorde-
ranno, una strage terribile, che scosse
profondamente anche l’Occidente.
Ricordo quel periodo con grande
chiarezza, perché è stato uno dei più
importanti della mia vita.
In quella situazione tragica, dato che
spostarsi per l’Etiopia era diventato
quasi impossibile – il Paese era scon-
volto dalla guerra e percorso da co-
lonne di convogli militari – decisi di
affittare un aereo, un Pilatus per spo-
starsi rapidamente da una città all’al-
tra e portare cibo di prima necessità,
medicine e spostare negli ospedali
donne incinte e alcuni malati in con-
dizione disperata.
Il tuo impegno
è stato riconosciuto.
Il mio impegno in quel terribile bien-
nio 1984/85 è stato riconosciuto me-
ritevole nel 1988 del premio “Buon
Samaritano” concessomi dalla Con-
ferenza Episcopale Americana, e nel
1991 per lo stesso motivo mi è sta-
to conferito il titolo di “Cavaliere al
merito della Repubblica Italiana”. La
cosa mi ha fatto piacere soprattutto
perché, tramite me, veniva ricono-
sciuta l’instancabile opera dei Sale-
siani.
Qual è il tuo sogno
per il futuro?
Non voglio che questo anniversario
sia una fine, e nemmeno l’inizio di
una fine. Sento di avere ancora mol-
to da dare, e voglio ringraziare tutti
quelli che mi hanno aiutato e che mi
aiuteranno a farlo. La barba e i capelli
sono bianchi, ora, il corpo è invec-
chiato, ma lo spirito di quel ragazzo
che è arrivato a Saigon nel 1962 è an-
cora dentro di me. Si ricomincia.
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MEMORIE
NATALE CERRATO
Che lingua parlava
don Bosco
Il piemontese fu la lingua
in cui don Bosco parlò
abitualmente almeno
per 50 anni della sua vita,
e che non abbandonò mai
nella conversazione anche
dopo aver introdotto l’uso
dell’italiano all’Oratorio
di Torino.
Nel maggio del 1887 don Bo-
sco andò a Roma, e fu l’ul-
tima volta, per la Consacra-
zione della Chiesa del Sacro
Cuore, monumento perenne
del suo amore al Papa. Era
ormai alla fine di una lunga vita ope-
rosa. Che la costruzione di quel tem-
pio aveva contribuito ad abbreviare.
La domenica 8 maggio venne dato un
ricevimento in suo onore con la parte-
cipazione di personalità ecclesiastiche
e civili, italiane e straniere. Alla fine
del ricevimento molti invitati presero
la parola in lingue diverse. Nacque al-
lora in qualcuno la curiosità di sapere
quale fosse la lingua che più piaceva a
don Bosco. Egli, sorridendo, rispose:
“La lingua che più mi piace è quella
che m’insegnò mia madre, perché mi
costò poca fatica ad esprimere le mie
idee, e poi non la dimentico tanto fa-
cilmente come le altre lingue!”. L’ilari-
tà generale ed un applauso accolsero la
sua risposta (cf. MB 18, 325).
Le parole di don Bosco in quella cir-
costanza non rivelano soltanto la fine
prudenza del Santo, ma aiutano a ca-
pire meglio il prete dei Becchi. Giunto
al termine della vita, egli tornava vo-
lentieri con il pensiero alle sue origini,
alla terra di cui era figlio, al ceppo su
cui era cresciuto, affermando candida-
mente che in lingua piemontese egli
riusciva più facilmente ad esprimere le
sue idee. Non per nulla fu detto che
noi pensiamo nella lingua ricevuta
dalla famiglia in cui siamo nati.
I toni e Gianduja
A Valdocco il piemontese fu per molti
anni la lingua di tutti i giorni non solo
nelle conversazioni del cortile e del re-
fettorio, ma anche nelle prediche dal
pulpito e nei sermoncini serali. Poi, la
situazione creatasi con l’unificazione
nazionale e l’afflusso sempre crescente
da tutte le regioni d’Italia di giovani
che, a studi compiuti, sarebbero torna-
ti nelle loro terre, decise don Bosco ad
insistere sull’uso della lingua italiana.
Così facendo, don Bosco non rinnega-
va l’amore per la sua lingua, né si pre-
stava al gioco di coloro che volevano
demonizzare il piemontese nel nome
dell’unità nazionale, ma provvedeva
alle esigenze dei tempi.
Sino alla fine della vita egli continuò,
in casa e fuori, a parlare in piemon-
tese soprattutto nell’intimità del col-
loquio personale con i figli della sua
terra. Anche nei suoi numerosi viaggi
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4.5 Page 35

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per l’Italia e all’estero, tutte le volte
che incontrava amici piemontesi, di
qualsiasi classe sociale, si rivolgeva
subito a loro nella propria lingua e la
gustava come un ritorno alla propria
casa. Nella sua permanenza a Roma
nel 1858 partecipò ad un pranzo of-
ferto dal conte Rodolfo De Maistre. I
commensali conversavano in italiano
e in francese, ma don Bosco continuò
a discorrere con il Conte in piemonte-
se. Qualche invitato, sorpreso, chiese
di che lingua si trattasse e il Conte ri-
spose scherzosamente che si trattava
del sanscrito (cf. MB 5, 905).
Per don Bosco il piemontese, ben co-
nosciuto anche dal Conte, era tutt’al-
tro che sanscrito e lo parlava, soprat-
tutto prima del ’60, più naturalmente
dell’italiano e del francese. La lingua
materna era davvero quella in cui egli
pensava.
Ci restano non pochi frammenti del
piemontese di don Bosco. Si tratta di
spunti di conversazione, espressioni
dialettali nel suo epistolario, poesie
piemontesi sull’Almanacco “Il Galan-
tuomo”, prediche giovanili manoscrit-
te. Grande uso poi fece don Bosco del
piemontese di “Gianduja”, la nota ma-
schera della regione, per il suo spetta-
colo educativo. Ne dispose in tutte le
occasioni con i cosiddetti “tòni”, mac-
chiette, dialoghi e commedie impo-
state sulla maschera piemontese. È la
lingua del cuore che inavvertitamente
sbotta quando nel contesto italiano
affiora prepotente l’affetto. Ne emer-
ge, per chi se ne può accorgere, un
don Bosco più vivo e parlante, come
se lo vedessimo in persona.
L’italiano era per lui una lingua appre-
sa con amore alla patria grande, ma la
lingua in cui pensava era quella di sua
madre. Scrisse un ammiratore del San-
to, citando qualche sua espressione af-
fettuosa: “Quant’è dolcemente pater-
no, stringente come un abbraccio, quel
Car ij me fieuij (Miei cari figliuoli)’”.
La traduzione la impoverisce di forza e
di significato, mentre il piemontese in
cui fu tante volte pronunciata, ne ren-
Sopra: Il libro che raccoglie gli arguti proverbi
piemontesi di Mamma Margherita. Sotto: il pano-
rama dei colli che vedeva Giovannino Bosco.
de tutta la portata. Gli exallievi di don
Bosco non la dimenticarono mai.
Si capisce allora quale attrazione egli
esercitasse su di loro, appunto perché li
amava e spendeva per il loro bene tutte
le sue energie. Essi se ne accorgevano,
si fidavano di lui, lo riamavano e non
riuscivano più a staccarsi da lui.
Qual era il suo segreto? Un giovane gli
chiese come facesse a conoscere l’avve-
nire e a fare tante cose. Dopo averlo
fatto sospirare un po’, don Bosco gli
rispose: “Ascoltami. Il mezzo è questo,
e si spiega con ‘òtis, bòtis, pìja tutis’”;
sai cosa significano queste parole? La
frase sapeva un po’ di greco; il giovane
non ne capiva il significato e insisteva
per averne la spiegazione. Don Bosco,
alla fine, gli disse scherzosamente in
lingua piemontese: “Quand ch’at dan ed
bòte pije tute” (“Quando ti danno delle
botte, pigliale tutte”). Tutti i presenti
scoppiarono dalle risa a tale conclusio-
ne (cf. MB 6, 424).
Ma il loro vero significato è facile im-
maginarlo.
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4.6 Page 36

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NOI & LORO
ALESSANDRA MASTRODONATO
LA FIGLIA
Tutta la vita
davanti
Che valore dare alla propria vita? Come
viverla intensamente, senza sprecarne e
buttarne via nemmeno un istante? Meglio
bruciare le tappe o cercare di gustarne
ogni singolo frammento, anteponendo la
qualità dell’esistenza alla quantità delle
esperienze vissute?
Per gli adolescenti la vita è spesso un
grandissimo mistero, che li affascina, li
spinge a porsi mille domande, ma che,
al tempo stesso, può anche divenire fonte
di inquietudine e di malessere; una forza
che li attrae, ma che, a volte, può anche
suscitare in loro apatia o persino
repulsione, nella misura in cui
vivono in bilico tra la tenta-
zione di considerarla come
semplice bene di consumo
e la consapevolezza che si
tratta della risorsa più au-
tentica di cui dispongono.
Già, perché, al di là della
pretesa di affermare il pro-
prio possesso della vita, an-
che nel cuore dei più giovani
si affaccia, di tanto in tanto, il
sospetto che in realtà si trat-
ti di un regalo che hanno
ricevuto senza meriti,
frutto di un atto di
amore e di assoluta
gratuità.
Spesso, però, questa percezione resta vaga e ine-
spressa o si fa addirittura problematica, soprat-
tutto quando la crescita rende faticosa e poco gra-
tificante l’esistenza quotidiana. Forse è per questa
ragione che tanti adolescenti manifestano più o
meno esplicitamente il rifiuto di vivere o dan-
no alla propria esistenza un valore così relativo
da metterla seriamente a rischio con esperienze
estreme o autodistruttive. Per non parlare di tutti
quei ragazzi che, nel tentativo di mettersi al ripa-
ro da possibili fallimenti e delusioni, si mostrano
a priori rinunciatari di fronte alla fatica, e insieme
alla bellezza, di vivere e preferiscono rifugiarsi
nel cinismo e in una quotidianità piatta e schiac-
ciata sul presente, piuttosto che coltivare il valore
della speranza e della progettualità.
Diventa allora essenziale che gli adole-
scenti possano incontrare sulla propria
strada adulti capaci di testimoniare loro
– con la propria vita, più che con le parole
– l’unicità e l’irripetibilità dell’esistenza,
che li aiutino a comprendere che la vita è un dono
prezioso e non negoziabile e, come tale, non va
sprecata o “stiracchiata”, ma deve essere vissuta
intensamente, accolta ed amata per quello che è,
con le sue gioie e le sue difficoltà, i suoi traguardi
e le sue delusioni. È, inoltre, importante che i ra-
gazzi capiscano che l’unico modo per dare valore
e qualità alla propria vita è viverla con pienezza e
dignità e, soprattutto, condividerla con gli altri,
in un’ottica di comunione e di servizio.
Un’esistenza stretta gelosamente nelle proprie
mani, vissuta in maniera egoistica e autoreferen-
ziale, centrata unicamente su se stessi e sui propri
bisogni rischia, infatti, di rivelarsi insignificante,
oltre che insoddisfacente. Al contrario, se diven-
ta occasione di incontro e di solidarietà, se viene
vissuta alla luce dell’opzione etica dell’amore, si ar-
ricchisce di un significato e di un valore inediti ed
è in grado di offrire speranza e un nuovo orizzon-
te di senso anche a chi fatica ad apprezzare e ad
amare la propria vita.
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4.7 Page 37

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MARIANNA PACUCCI
Lo scorrere del tempo sicuramente rivelerà
a quel padre e a quella madre che il rega-
lo più grande che essi possono giorno per
giorno mettere a disposizione dei propri
figli è la vita stessa e il suo incommensura-
bile valore, che resiste all’usura dell’impa-
zienza e della delusione, al dolore della malattia e
degli amori traditi.
Si tratta di confermare un modo di essere, di pen-
sare e di fare che oggi sta sfuggendo di mano alla
cultura sociale e che, spesso, disorienta soprattut-
to i più giovani: non è più scontato accettare e
condividere l’idea che la vita è un bene prezio-
so, che non può essere ridotto alla dimensione
dell’individualità e del privato, trascurato o addi-
rittura rifiutato a partire da una malintesa fame
di felicità.
Peraltro anche molti adulti fanno fatica
ad assumere fino in fondo la responsa-
bilità di custodire, promuovere e amare
la vita, senza se e senza ma. E così talvolta
risulta molto carente la testimonianza della fa-
miglia nell’accogliere una vita nascente non pro-
grammata (è ancora così difficile misurarsi con
l’esperienza di ragazza-madre della propria fi-
glia!); nel portare avanti con senso di solidarietà
parentale una gravidanza che rischia di far nasce-
re un disabile grave; nell’affrontare il declino do-
loroso degli anziani del proprio nucleo domestico.
Sono proprio queste, invece, le occasioni più
importanti in cui il valore della vita può essere,
attraverso le storie familiari, proposto, ricono-
sciuto e valorizzato dall’intera comunità sociale
e trasmesso responsabilmente di generazione in
generazione.
E si dimentica anche che, senza questa consa-
pevolezza, tutto diventa più complicato nel-
la relazione educativa che lega genitori e figli:
la partecipazione degli adulti alla costruzione
dell’identità giovanile rischia di dimostrarsi
inefficace; ogni esperienza diventa effimera e
finalizzata alla mera affermazione dell’indivi-
Voglio farti
un regalo
Quando nasce un bambino, ogni coppia si
chiede qual è il regalo più bello che potrà
offrirgli, perché la sua esistenza si svolga
felicemente. E per tutti gli anni in cui quel
frugoletto crescerà e lotterà per diventare
uomo o donna, i suoi genitori continueranno
a interrogarsi sulla consistenza del
patrimonio ideale che gli consegneranno
come eredità durevole e resistente ad ogni
tentativo di sottrazione o dissipazione.
duo; la quotidianità si fa povera di senso e viene
inquinata dalla smania del successo; il futuro
viene condizionato da paure e pretese che non
aiutano ad affrontare con gioia, coraggio e
amore la fatica di vivere.
L’accoglienza della vita, in tutte le sue mani-
festazioni, ha bisogno di uomini e donne di-
sponibili a mettersi in gioco nello sperimen-
tarsi sul crinale della gratuità e della
generosità e pronte a rifiutare l’in-
differenza. L’amore per la vita è
il raggio di sole posto al confine
fra la fine dell’inverno e i primi
germogli della primavera; l’im-
pronta di Dio nel tempo uma-
no; il gusto dell’eternità nella
trama impalpabile che tie-
ne insieme persone che
si sforzano giorno per
giorno di diventare
famiglia.
LA MADRE
Maggio 2012
37

4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Quella birichinata
che a Giovannino
poteva costare cara
Alzi la mano chi di voi
vivendo in campagna
non è salito su un al-
bero.
Tutti, bene. Ora alzi la
mano chi di voi non è cadu-
to almeno una volta da qualche albe-
ro. Una metà. Bene; fra loro ci sono
anch’io che scrivo e soprattutto siamo
in buona compagnia: con noi c’è Gio-
vannino Bosco, il quale però 140 anni
fa s’è dimenticato di raccontarlo nelle
famosissime Memorie dell’Oratorio [di
Valdocco] che quest’anno il Rettor
Maggiore ci ha invitati a leggere.
Il titolo, invero, suona un po’ falso,
visto che all’Oratorio dedica solo un
terzo del manoscritto, in quanto gli
altri due terzi sono la storia un po’ ro-
manzata dei primi 30 anni della sua
vita. Una vita affascinante, coinvol-
gente, commovente, ricca di vicen-
de affascinanti, cui si sono intessuti
romanzi, fiction, film, DVD… Ma
della temeraria avventura, fortunata-
mente a lieto fine, che sto per raccon-
tarvi è rimasto solo il titolo… Strano,
ma vero.
Un ragazzo
pieno di coraggio
Attorno ai 10 anni, come tutti i ra-
gazzi di campagna, Giovannino an-
dava volentieri in cerca di nidi per
prendere gli uccellini appena nati.
La maggior parte delle volte gli
riuscì e tornò a casa con un ricco bot-
tino; ma quella volta la fece grossa e
rischiò la pelle. Su un ramo di una
quercia vicino a casa, ai Becchi, ave-
va visto uno di questi nidi e pensava,
come suo solito, di metterci le mani.
Incoraggiato dai suoi compagni un
giorno s’arrampicò sull’alto albero.
Salendo vari metri lungo il tron-
38
Maggio 2012

4.9 Page 39

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co arrivò facilmente all’altezza del
ramo, inclinato verso il basso, su cui
ad una certa distanza dal tronco vi
era il nido. Abituato a camminare su
una corda, passo dopo passo riuscì ad
arrivarvi, prese gli uccellini dal nido,
se li mise dentro la camicia e tentò di
risalire dal ramo verso il tronco. Non
ci riuscì anche perché sotto il suo
peso il ramo, non troppo grosso, si
era piegato ancor di più verso il bas-
so. Cerca di camminare all’indietro,
ma non ce la faceva; ritentò ma sci-
volò, restando appeso nel vuoto per
i piedi e con le mani, con la schiena
rivolta verso terra.
Che fare?
La situazione era pericolosissima,
data la notevole altezza del ramo. Ci
pensò su un attimo e con un forte
colpo di reni tento di raddrizzarsi so-
pra il ramo, ma non vi riuscì, perché
fece un giro di 360 grandi e si trovò
nella posizione di prima. I compagni
lo incoraggiarono a ritentare, ma non
vi riusciva. E così alla fine, dopo un
quarto d’ora di quella insostenibile
posizione – il sangue gli dava ormai
alla testa – si lasciò andare testa in
giù. Cadendo ebbe però la presenza
di spirito di mettersi le mani sopra
la testa onde rimettersi in posizione
verticale e non cadere con la testa in
giù. Cadde in effetti sui piedi, ma
il colpo fu così forte che rimbalzò
per ricadere violentemente sul sede-
re, rimbalzando di nuovo, scrive lui
stesso, “un metro”. Spaventatissimi
i compagni gli domandarono subito
come si sentisse e alla sua riposta di
sentirsi bene, gli chiesero di distri-
buire loro gli uccellini. Sulle prime
Giovannino si rifiutò – gli erano co-
stati ben cari quegli uccellini! – ma
poi, sentendosi venire meno mentre
s’incamminava verso casa e pensando
ai prevedibili rimproveri di mamma
Margherita, li consegnò tutti a loro.
Arrivato alla casetta, si mise subito a
letto. Gli girava la testa e sentiva un
gran caldo. La botta presa era stata
fortissima.
La sincerità
premia sempre
La mamma, accorsa, gli preparò una
tisana ma non vedendolo riprendersi
chiamò il medico, il quale ad una pri-
ma visita non diagnosticò l’origine del
male. Venuto il giorno dopo, lo visitò
in assenza della madre ed allora Gio-
vannino gli confidò la triste avventu-
ra che gli era capitata. Poté così essere
curato adeguatamente, anche se riuscì
a guarire solo dopo oltre due mesi.
Ovviamente, come ogni ragazzino,
continuò ad andare a cercare i nidi,
forse con maggior prudenza, tanto
più che – come confesserà più tardi –
passando accanto a quell’albero senti-
va i brividi in tutto il corpo.
Da adulto, diventato don Bosco, sem-
pre temerariamente, sarebbe andato
a cercare altri “uccellini”, per lo più
orfani, “poveri ed abbandonati”, non
sugli alberi, ma nella periferia di To-
rino, per portarli a casa sua, a Val-
docco, da sua madre per farli crescere
“onesti cittadini e buoni cristiani”. La
passione della caccia, ma delle anime,
gli era rimasta dall’infanzia.
Maggio 2012
39

4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A CURA DI PIERLUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Nelle mani di Donna
Dorotea Chopitea
Una nostra amica Teresa soffriva
di ictus cerebrale. Dopo un insie-
me di contrattempi e interventi
medici, risultati vani per risolvere
il suo grave problema, è rimasta
per circa due anni in uno stato
praticamente vegetativo. Tranne
una breve parentesi di alcuni gior-
ni, durante i quali ricuperò la co-
noscenza, trascorse lunghi mesi
senza dare il minimo segno di
risposta conoscitiva. Fu degente
presso vari ospedali e sottoposta
a numerosi interventi, ma senza
ottenere esiti positivi. Noi, suoi
amici che la visitavamo, usciva-
mo con il cuore straziato dopo
aver visto quel corpo un tempo
pieno di vita, ed ora giacente
nella più assoluta inerzia, con gli
occhi fissi, che non guardavano
da nessuna parte e non davano
segno di riconoscerci. Più d’una
volta ci siamo detti, con un sen-
so di disperazione: “È meglio che
Dio se la porti via quanto prima,
piuttosto che restare in questo
stato…”. In questo quadro di pes-
simismo risaltava l’azione di suo
marito. Giorno e notte era al suo
fianco, curandola in tutte le sue
necessità, facendole da infermie-
re, parlandole come se nulla fosse
accaduto, e spiegandole quello
che lui faceva e perché lo faceva.
Uomo profondamente religioso,
mise nelle mani di Donna Dorotea
Chopitea il caso della sua sposa.
A lei raccomandò la sua guari-
gione, e senza venir meno al suo
servizio e alla preghiera, perseve-
rava nel lavoro, dando esempio di
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
ottimismo anche nei momenti più
oscuri, quando non si intravede-
va nessuna soluzione. L’inferma
fu sottoposta ad una ennesima
operazione, per regolarizzare la
valvola cerebrale. Poco dopo, sor-
prendentemente, Teresa cominciò
a rientrare in sé: inizialmente con
momenti molto brevi e isolati, poi
più frequenti; fino al giorno d’oggi,
in cui il suo livello di comunica-
zione è praticamente normale. Ha
ricuperato il movimento di braccia
e mani, è autonoma nell’assume-
re alimenti e sostiene la conver-
sazione con i suoi interlocutori.
Le manca solo la mobilità delle
gambe, quasi atrofizzate e prive
di muscolatura, a causa del lungo
periodo di inerzia. Grazie al lavoro
dei fisioterapisti e alla sua volontà,
riuscirà a camminare. Un miraco-
lo di Donna Chopitea? I famigliari
e gli amici di Teresa credono che
l’intercessione di Donna Chopitea
abbia favorito il processo di ri-
torno alla sua vita cosciente e ne
sono riconoscenti.
Benés Javvier,
Barcellona - Spagna
Prodigi dell’abitino
Dopo aver subìto due aborti, di cui
uno alla 21a settimana di gravidan-
za che mi ha veramente devastata
fisicamente e psicologicamente,
ho dovuto sottopormi a molteplici
analisi, che hanno accertato una
trombofilia congenita. Ciò signi-
ficava che in occasione di future
gravidanze avrei dovuto sottopormi
a terapie anticoagulanti. Mi sono
affidata ad un professore esperto
nella cura di gravidanze a rischio
e ho potuto affrontare la mia terza
gravidanza, che fin dall’inizio si
rivelò travagliata. Più volte pres-
so il pronto soccorso ho dovuto
fronteggiare minacce di aborto;
fui sottoposta a cerchiaggio cervi-
cale per prolungare la gravidanza.
Pochi giorni dopo essere stata
dimessa dall’ospedale venivo
nuovamente ricoverata per com-
plicazioni sopravvenute. Durante
tutte queste tristi vicissitudini ho
sempre tenuto con me il prezioso
abitino di san Domenico Savio.
Qualche giorno dopo una visita di
controllo, venni nuovamente rico-
verata per forti contrazioni uterine
che rischiavano di compromettere
irreversibilmente gli effetti precau-
zionali del cerchiaggio. L’intervento
medico e la terapia farmacologica
non valsero a bloccare le contrazio-
ni uterine; perciò alla 31a settimana
di gestazione fui sottoposta a un
cesareo praticato d’urgenza. È nata
una bambina di 1900 grammi, cui
ho dato nome Beatrice, “colei che
rende beati”. Durante la degenza
ospedaliera, protrattasi quasi un
mese, la bambina ha dimostrato
subito una forte vitalità. Il Signo-
re ha voluto che Beatrice venisse
dimessa dall’ospedale il giorno 6
maggio, festa di san Domenico
Savio. Se oggi sono una mamma
felice, lo debbo a quell’abitino pro-
digioso del santo delle culle.
Massa Lucia, Roma
Caro abitino stretto
tra le mani
Quando io e mio marito abbiamo
saputo che ero in attesa del se-
condo figlio, provammo grande
gioia e insieme stupore, dato che
arrivava cinque anni dopo il primo
fratellino, anche lui tanto deside-
rato; ma questa volta mi sentivo
irrequieta. Ne parlai a un sacerdo-
te, che mi mise sotto la protezione
di san Domenico Savio e mi
fece giungere l’abitino del santo.
Lo tenni sempre con me giorno e
notte, anche durante il parto che
avvenne alla 34a settimana. Quella
notte io e mio marito lo tenemmo
stretto fra le nostre mani. Si erano
rotte le acque troppe ore prima del
parto. Ciò aveva causato infezioni
all’apparato respiratorio della no-
stra bambina, rimasta tra la vita
e la morte. Ma tante sono state le
preghiere di tutti e così ardente il
nostro attaccamento a quell’abiti-
no, che dopo 20 giorni abbiamo
felicemente portato a casa la no-
stra piccola Martina, sana e viva-
ce, che con il fratellino Federico
illumina i nostri giorni.
Olivieri Albina, Verona
Pace dopo l’angoscia
Mi trovavo in uno stato di pro-
fonda angoscia, a motivo di di-
scordie familiari. Casualmente ho
trovato una immagine della beata
suor Eusebia Palomino, alla
quale subito mi sono raccoman-
data implorandola con tanta fede.
In breve tempo è ritornata la pace.
Ringrazio infinitamente la beata e
anche Maria SS. Ausiliatrice a cui
affido me stessa e la mia famiglia.
Curti Teresa, Genova
Due doni meravigliosi
Nel 2008 desideravo avere un
bimbo, ma i miei tentativi risulta-
rono vani. Dopo aver parlato con
mia zia, mi decisi a richiedere l’a-
bitino di san Domenico Savio.
Appena lo ricevetti, lo indossai e
iniziai a pregarlo con devozione
ogni giorno. Dopo qualche mese,
scoprii con gioia di essere incinta.
Trascorsi bene la gravidanza e nel
settembre 2009 è nato Leonardo
Emanuele. Io continuai a pregare e
affidai il mio bimbo al santo delle
culle. Nel 2010 decisi di provare
ad avere un altro bimbo. Indossai
nuovamente l’abitino e dopo qual-
che mese scoprii di essere nuova-
mente in attesa. Prospettandosi
una gravidanza difficile recitavo
ogni giorno il rosario e la novena
a san Domenico Savio. Per l’inter-
cessione del santo e con l’aiuto di
persone buone che mi sono state
vicine, nell’agosto 2011 ho dato
alla luce Giorgia Benedetta. Sono
riconoscente a san Domenico
Savio per questi due doni mera-
vigliosi.
Trevisan Katy, Brendola, VI
40
Maggio 2012

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
Un’opera d’arte densa di significati
Nel 1865 don Bosco commissionò al pittore Tommaso Andrea Loren-
zone un imponente quadro di 7 metri per 4 per la chiesa di Santa Maria
Ausiliatrice di Torino. Nell’immaginazione di don Bosco il quadro do-
veva contenere delle scene grandiose di cori d’angeli, apostoli, schiere
di martiri, profeti e rappresentanze dei popoli del mondo; il tutto so-
vrastato dalla figura della Vergine e dei simboli delle sue vittorie. Lo-
renzone, però, manifestò il suo scetticismo sulla fattibilità del progetto
e propose una versione più sintetica, ma altrettanto incisiva. Alla fine
della lavorazione, durata tre anni, il risultato fu talmente apprezzato
che la fama del pittore si legò quasi esclusivamente a questo dipinto.
Gli elementi innovativi introdotti sono molteplici e molti di questi sono
oggetto di riflessione per la loro portata simbolica. La Madonna, per
cominciare, che domina il centro della raffigurazione, è presentata in
piedi, poggiante su delle nubi, anziché seduta come si può osservare
in altri dipinti dell’epoca e precedenti. La sua posizione verticale è da
leggersi come un simbolo mariano ed esprime l’ascensione verso la sfera divina. La testa di Maria è
esaltata da una doppia incoronazione, il diadema regale e la
corona di dodici stelle, ella ha nella destra lo scettro e regge
con la sinistra il Bambino. Intorno alla Madonna, gli Apostoli
e gli evangelisti sono tutti accompagnati dai simboli che li
identificano, come San Marco con il XXX, San Luca con il
XXX, San Giovanni e l’XXX, San Pietro con le chiavi del Re-
gno di Dio, oppure dagli oggetti che diedero loro il martirio,
come la lancia per san Tommaso, la scure che decapitò san
Giuda, il sasso che rappresenta la lapidazione di san Mattia,
poi la sega con cui fu ucciso san Simone e molti altri.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Canicola, ca-
lura (XXX) - 7. Military Police - 9.
Il più famoso personaggio creato
da Lewis Carroll - 13. In lega con il
carbonio può formare acciaio o ghisa
- 14. Fa parte dell’equipaggio - 16.
Iniziali dello scrittore Aleardi - 18. An-
data in poesia - 19. La maggiore città
del Canada (XXX) - 20. Non Classi-
ficato - 22. Acido ribonucleico - 24.
Non credente - 26. Porzione latina -
27. Firenze - 28. Sorci - 30. Abita
nel capoluogo abruzzese (XXX) - 32.
Comanda un plotone (abbr.) - 33. An-
santi - 35. La città di Abramo - 36.
Una grande azienda italiana nel set-
tore energetico - 37. Slancio, rincor-
sa - 38. Servono a tesare - 39. Una
metà dello stormo! - 40. La sfortunata
Armata Italiana in Russia - 41. Sen-
timenti affettivi - 42. Percorre la città
sui binari - 44. Regge un convento -
45. Celebre frase pronunciata da Giu-
lio Cesare - 46. Colpevole.
VERTICALI. 1. Esclusa dalla sele-
zione - 2. Low Frequency - 3. Si usa
tra estranei - 4. Ripida salita - 5. Pre-
giato pesce di mare - 6. Negazione - 7.
Può essere anche Rosso o Nero! - 8.
Combustibile gassoso - 9. Spelonca -
10. Confina con il Vietnam - 11. Un-
dici - 12. Assegnare un incarico - 14.
In alcune regioni è usato per intendere
“adesso” - 15. Vani, inutili - 17. Così è
una missiva non firmata - 19. Un “giro”
turistico - 21. Del colore della cenere
- 23. L’aperitivo inventato da Giuseppe
Barbieri - 25. Capacità di giudicare con
imparzialità - 29. Di buon umore - 31.
Voce del dizionario - 32. Isola dell’ar-
cipelago della Sonda - 34. Un delfino
di fiume - 37. Piante dette anche gigari
o pan di serpi - 39. È musqué quello
dalla pelliccia pregiata - 40. La Pop di
Andy Warhol - 43. L’indimenticato Ca-
rosone (iniz.) - 44. Pubblica Sicurezza.
Maggio 2012
41

5.2 Page 42

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
DON MARIO COGLIANDRO
MORTO A MESSINA l’11 gennaio 2012 a 86 anni
Nel 1967 don Mario aveva 42
anni, sacerdote da 17, e la canzone
Dio è morto, cantata dai Noma-
di, divideva le coscienze laiche e
cattoliche del tempo. Il pezzo, ri-
tenuto blasfemo dalla Rai e subito
censurato, venne invece messo in
onda da Radio Vaticana scuotendo
la morale cattolica dell’epoca. Non
tutti accolsero con favore la scelta
di quella trasmissione radiofonica,
ma don Mario fu uno dei primi a
far cantare in chiesa, durante le
funzioni, dai giovani palermitani
del Ranchibile, quella canzone.
Questa “presa di posizione” ha
caratterizzato la sua vita umana e
sacerdotale.
Già nel 1966, sempre a Palermo,
aveva aperto le porte del Ranchibi-
le alla città inaugurando il cineclub
Don Bosco, dopo 45 anni ancora
oggi attivo, proponendo film come
La Bibbia di John Huston accanto
a Fahreneit 451 di François Truf-
faut. Prese di posizione, culturali e
intellettuali, alimentate dalla voca-
zione religiosa.
Quando nella notte tra il 14 e il 15
gennaio di 44 anni fa, era il 1968,
il Belice venne scosso da un ter-
remoto disastroso che provocò
una carneficina radendo al suolo
interi paesi, don Mario non se lo
lasciò dire due volte e fu tra i primi
religiosi ad intervenire sul luogo
della tragedia coinvolgendo, nella
sua azione, i “suoi” giovani allievi
e l’intera struttura del Ranchibile.
Fece trasformare la palestra della
casa salesiana in area di prima
ospitalità per cento famiglie terre-
motate coinvolgendo l’intera co-
munità in una corsa agli aiuti.
Un missionario
irrefrenabile
Era nato a Cannitello di Villa San
Giovanni (RC), il 26 luglio 1925
da Domenico ed Accurso Eugenia.
Dal 2° al 5° ginnasio studiò al S.
Luigi di Messina, da interno, ed
affascinato dalla testimonianza
di vita religiosa ed apostolica dei
suoi superiori giunse alla determi-
nazione che il suo futuro era quello
di salesiano, come loro. Nel 1940
scoppiò la seconda guerra mon-
diale. Al Seminario di Reggio fece
gli studi teologici ma non chiese di
essere ammesso agli Ordini Sa-
cri, per essere libero di seguire la
sua vocazione salesiana, come gli
consigliava il direttore spirituale.
Finalmente, raggiunta la maturità a
21 anni, presentò la domanda per
il noviziato, che fece a Modica gui-
dato da don Giardina, e dove, fatta
la professione, restò per un anno
come assistente.
Dal ’47 in poi lo vediamo assisten-
te e professore al San Paolo di Pa-
lermo, al Cibali di Catania. A San
Gregorio completa gli studi di teo-
logia, e viene ordinato Presbitero
nel 1950. Dal 1950 al 1962 è ca-
techista ed insegnante dei chierici
a S. Gregorio. Si laurea in lettere
classiche divenendo insegnante
di italiano e storia. Nel 1959 la sua
vita cambia totalmente, in quanto
viene chiamato a fare il delegato
dei Cooperatori della Sicilia orien-
tale ed Assistente delle Volontarie
di Don Bosco. Dal 1964 al 1973
diviene delegato della Famiglia Sa-
lesiana della Sicilia Orientale.
Nel 1973 la sua vita subisce un’ul-
teriore sterzata: il Rettor Maggiore
Don Ricceri lo chiama a Roma per
nominarlo Delegato mondiale dei
Cooperatori. Gli anni che verranno
sono molto fecondi: avvia subito la
revisione del Regolamento dei Coo-
peratori composto da don Bosco; e
poi inizia i suoi viaggi per il mondo
fino al 1988. Egli dice “Non sono
stato soltanto in Cina, Giappone e
Corea, poi dovunque.”
In America avvia la missione dei
Cooperatori a Trelew, in Argentina.
È un missionario irrefrenabile.
Dal 1988 al 1990 è responsabile
del Salesianum a Roma Pisana ed
infine torna nella sua Calabria, con
sede a Vibo Valentia, come Dele-
gato dei Salesiani Cooperatori.
Tutti lo ricordano come uno che
sapeva cogliere lo spirito dei tem-
pi, con i piedi ben piantati in terra
per dire, con la sua stessa postura,
quello che la voce gli aveva im-
pedito. Eppure, non scoraggiato
da questa permanente difficoltà,
non smetteva mai di comunicare,
dialogare, incoraggiare, sostenere,
coinvolgere, anche al di là di ogni
ragionevole posizione. Arrivava
anzi a sfidare le rendite di posizio-
ne, cercando di capire le ragioni di
chi aveva davanti, ma non ferman-
dosi dinanzi alle difficoltà.
Ricordava nel 2000, l’anno del
suo cinquantesimo di sacerdozio,
che la sua opera più impegnativa
era stata l’istituzione negli anni ’70
dell’Oratorio Santa Chiara a Paler-
mo, un “oratorio di trincea”, diceva
così, in un quartiere quasi esclusi-
vamente extracomunitario e con la
presenza palpabile della mafia.
Nell’omelia della celebrazione
di commiato furono ricordate le
parole scritte da don Mario nella
domanda per essere ammesso
alla Professione perpetua: «Mos-
so unicamente dal desiderio di
salvarmi l’anima, domando umil-
mente di essere ammesso alla
Professione perpetua per legarmi
indefettibilmente alla Congrega-
zione Salesiana».
Don Mario con il diacono Salvatorangelo Spano e altri amici.
42
Maggio 2012

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
San Pietro
e la Madonna
E ra da un po’ di giorni che il
Signore non faceva un giro
per il Paradiso; una mattina
quindi si svegliò deciso a
controllare se tutto lassù fi-
lava per il verso giusto. Con
sua grande sorpresa, vide, in mezzo
a un gruppetto di persone, un tipo
che in vita sua non aveva mai con-
cluso niente di buono, era un gran
lazzarone, indolente e poco pio.
«Come ha fatto un individuo del
genere a entrare in Paradiso? San
Pietro dovrà rendermi conto di que-
sto!», si indispettì il Signore.
Continuò il giro di controllo ed
ecco che scoprì tra gli altri beati
una donna che in vita sua ne aveva
combinate di tutti i colori.
«Anche lei qui?», esclamò sbalordi-
to. «Ma chi controlla l’ingresso tra
le anime beate? San Pietro dovrà
spiegarmi anche questa!».
Girando qua e là, s’imbatté in
altre persone che non si aspettava
proprio di incontrare in Paradiso.
A passi decisi, con un viso che
prometteva tempesta, il Signore si
avviò verso l’ingresso. Lì, a fianco
del portone, con le chiavi in mano,
stava san Pietro.
«Non ci siamo, non ci siamo
proprio!». Lo
affrontò severa-
mente il Signore.
«Ho visto gente
qui intorno, che
del Paradiso non
è proprio degna!
Che custode sei?
Non sarà che
ti addormenti
mentre sei in
servizio?».
«Eh no! Io non
dormo proprio!»,
rispose risentito
san Pietro. «Io
alla porta ci sto, e
con gli occhi ben
aperti anche. È che sopra di me,
c’è una piccola finestra. Di là, ogni
tanto la Madonna fa scendere una
corda e tira su anche quelli che io
avevo allontanato. A questo punto
è proprio inutile che io faccia il
portinaio! Do le dimissioni!».
Il volto del Signore si distese in
un grande sorriso. «Va bene, va
bene», disse bonariamente, cingen-
do le spalle di san Pietro con un
braccio, come ai vecchi tempi, in
terra. «Quello che fa la Madonna
è sempre ben fatto. Tu continua a
sorvegliare la porta e lasciamo che
al finestrino ci pensi lei».
Quando furono tutti sulla
barca, incerti ancora di usci-
re da quel pericolo, presi il
comando di capitano e dissi
ai giovani: «Maria è la Stella
del mare. Essa non abbando-
na chi in Lei confida: mettia-
moci tutti sotto il suo manto;
Ella ci scamperà dai perigli e
ci guiderà a porto tranquillo»
(Don Bosco nel Sogno della zattera.
Memorie Biografiche VIII, 276).
Maggio 2012
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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Conoscere don Bosco
La galassia si espande
Dall'oratorio alla casa
annessa alle scuole
artigianali e ai collegi
Salesiani nel mondo
Il Centro dei giovani
Don Bosco Ngangi
a Goma
Dare di più a chi ha
ricevuto meno dalla vita
L’invitato
Don Francesco Cereda
Regolatore del
Capitolo Generale 27°
Le case di don Bosco
Lombriasco
Gloria e missione dei campi
Arte salesiana
Le Catacombe
di San Callisto
«Le più auguste e le più
celebri catacombe di Roma»
Memorie
Don Bosco e i cani
Dal testamento di don
Senza di voi
Bosco per i benefattori
Senza la vostra carità io avrei
non possiamo
potuto fare poco o
nulla; con la vostra
carità abbiamo invece
cooperato con la
fare nulla!
grazia di Dio
ad asciugare molte lagrime e
a salvare molte anime.
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612658
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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