Bollettino_Salesiano_201203

Bollettino_Salesiano_201203

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IL
MARZO
2012
L’invitato
Creatività
salesiana
don Bosco
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Chiesa oggi
Il calo delle
vocazioni
Salesiani
nel mondo
Saltillo
A tu per tu
Monsignor
Tito Solari

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
Ldealgmabebiralo
La storia
Le Memorie Biografiche (I,119 ) raccontano: «Era in età
di dieci anni o in quel torno, e, preso un bel merlo, lo
chiuse in gabbia, lo allevò e lo addestrò al canto, zufolan-
dogli egli all’orecchio per lunghe ore alcune note finché
non le avesse apprese. Quell’augello era la sua delizia;
anzi talmente gli preoccupava il cuore, che egli quasi più
non pensava ad altro che al suo merlo, nella ricreazione,
nelle ore di studio, e fino nella scuola».
E ro una vecchia gabbia
per uccelli dimenticata
nella soffitta di una ca-
scina, isolata tra boschi
e prati. Ricordo benis-
simo quella mattina di
primavera. Due piccole mani
impazienti mi strapparono
dal letargo in cui vivevo. Un
ragazzino ricciuto e allegro mi
ripulì con cura e riparò le mie
sbarrette rovinate.
E poi avvenne il miracolo: il
mio silenzio di gabbia abban-
donata si riempì di vita.
Il ragazzino riccioluto amava
gli uccelli. Aveva preso dal
nido un merlo piccolo piccolo e
l’aveva messo dentro di me. Il
ragazzino si chiamava Giovan-
nino Bosco e ogni giorno in-
segnava al merlo a zufolare. Il
merlo imparò. Quando vedeva
Giovanni lo salutava con il fi-
schio modulato, saltava allegro
tra le mie sbarre, lo fissava con
l’occhietto nero-brillante. Un
merlo simpatico. Giovanni non
dimenticava mai di nutrirlo con
frutta, semi, insetti.
Ma una mattina il merlo non
gli mandò il suo fischio.
Nella notte, un gatto aveva
sfondato le mie sbarre e
l’aveva divorato. Avevo
gridato, pieno di orrore,
ma le gabbie non hanno
voce. Era rimasto solo
un ciuffo di piume
insanguinate. Giovan-
ni si mise a piangere.
Sua madre cercò di
calmarlo, dicendogli
che di merli nei nidi ne
avrebbe trovati ancora.
Ma Giovanni continuò
a singhiozzare. Non
gli importava niente
degli altri merli. Era
«quello lì », il suo
piccolo amico, che era stato
ucciso, che non avrebbe mai
più visto. Rimase triste alcuni
giorni, e nessuno riusciva a
farlo ritornare allegro.
Io rimasi desolatamente vuota.
In un attimo con il merlo an-
che la mia felicità era morta.
Poi Giovannino si asciugò
le lacrime, strinse i pugni, li
batté sul tavolo e disse ad alta
voce: «Non attaccherò mai più
il cuore a qualcosa di terreno».
Mi prese e mi portò nella
soffitta. Ma in fondo al mio
cuore di povera gabbia sapevo
che quel ragazzino tutto ricci
e con gli occhi luminosi non
avrebbe mantenuto il suo
proposito.
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Marzo 2012

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IL
MARZO 2012
ANNO CXXXVI
Numero 3
IL
MARZO
2012
L’invitato
Estrella Castalone
Dalla parte
delle donne
Creatività
salesiana
Supermercato
don Bosco
2 LE COSE DI DON BOSCO
La gabbia del merlo
4 CONOSCERE DON BOSCO
La cordata
6 LETTERE
8 GIORNATE SPIRITUALITÀ
12 SALESIANI NEL MONDO
Saltillo: qui il Rettor
Maggiore conobbe don Bosco
15 RISPOSTA, NON PROBLEMA
16 L’INVITATO
Dalla parte delle donne
20 FINO AI CONFINI DEL MONDO
22 LE CASE DI DON BOSCO
Viva Domenico!
26 A TU PER TU
Monsignor Tito Solari
28 COME DON BOSCO
30 CREATIVITÀ SALESIANA
Supermercato don Bosco
32 NOI & LORO
34 CHIESA OGGI
I molti perché
del calo delle vocazioni
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Non tutti erano dei
Domenico Savio
40 I NOSTRI SANTI
41 RELAX
42 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
43 LA BUONANOTTE
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Chiesa oggi
Il calo delle
vocazioni
Salesiani
nel mondo
Saltillo
A tu per tu
Monsignor
Tito Solari
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina:
Si celebra in Mar-
zo la Festa della
Donna. Una buona
occasione per una
riflessione più che
mai necessaria,
oggi. Intervista a
pagina 16 (Foto
Shutterstock).
16
26
34
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
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Bruno Ferrero
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Il Bollettino Salesiano
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numero: Agenzia Ans, Chiara
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CONOSCERE DON BOSCO
PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA
La cordata
Dall’impegno privato con i giovani alla
costruzione di una comunità-famiglia;
dal carisma personale al carisma condiviso
Il primo gesto “ufficiale” di Gesù: «Passando
lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea,
fratello di Simone, mentre gettavano le reti in
mare, erano infatti pescatori. Gesù disse loro: Ve-
nite dietro a me, vi farò diventare pescatori di
uomini» (Marco 1, 16-17).
Fin dagli anni del Convitto, don Bosco cerca
giovani “aiutanti”: «Sebbene mio scopo fosse di rac-
cogliere soltanto i più pericolanti fanciulli, e di pre-
ferenza quelli usciti dalle carceri; tuttavia per avere
qualche fondamento sopra cui basare la disciplina e
la moralità, ho anche invitato alcuni altri di buona
condotta e già istruiti. Essi mi aiutavano a conser-
vare l’ordine ed anche a leggere e cantare laudi sacre;
perciocché fin d’allora mi accorsi che senza la diffu-
sione di libri di canto e di amena lettura le radunanze
festive sarebbero state come un corpo senza spirito»
(MO ed. 2011, p. 130).
Per don Bosco il passaggio dall’iniziativa perso-
nale a un’azione coordinata corale avviene presto.
Il carisma personale rivela fin dall’inizio una vo-
cazione comunitaria e una propensione alla con-
vocazione.
Sperimentò una collaborazione operativa più re-
golare tra 1844 e 1846, quando venne affiancato
dal teol. Borel, don Pacchiotti e altri. Ma erano
cooperazioni saltuarie, legate a esigenze pratiche.
L’Oratorio decolla quando egli si insedia in casa
Pinardi con la madre, trasformando l’edificio, che
fino a quel momento era stato semplice sede di
attività, in una “casa”, una famiglia apostolica con-
sacrata alla missione, aperta giorno e notte all’ac-
coglienza dei giovani poveri e abbandonati. Da
quel momento l’opera sviluppa tutte le sue poten-
zialità, anche perché egli, abbandonato ogni altro
impegno, si consacra esclusivamente alla missione
giovanile. È in questa situazione che don Bosco
si preoccupa di radunare attorno a sé una comu-
nità di pastori-educatori, non più solo occasionale
o funzionale alle attività, che in lui riconosca il
padre, il punto di riferimento e il modello.
Non solo “aiutanti”
Soprattutto dopo la crisi del 1848-49, che allon-
tanò molti collaboratori, animati da altro spirito e
metodo, don Bosco si impegnò a costruire il proto-
tipo della comunità educativa “salesiana”, formando
giovani che non fossero solo “aiutanti”, ma “disce-
poli” e “figli”, parte viva di una famiglia legata da
vincoli affettivi e spirituali, con compiti e ruoli ben
definiti e complementari, che partecipassero del
suo carisma: Ascanio Savio, Rua, Cagliero, Buz-
zetti, Artiglia, Rocchietti, Bonetti. Essi viveva-
no nell’Oratorio, decisi a stare con don Bosco per
dedicare la loro vita alla missione giovanile. Erano
il frutto del lavoro formativo di don Bosco tra gli
oratoriani e della sua direzione spirituale. Non tutti
divennero religiosi. Molti continuarono a collabo-
rare negli oratori e nelle scuole, pur vivendo nelle
proprie case. Altri offrivano aiuti saltuari, soccorsi
economici e sostegno morale. Ma tutti si sentivano
parte attiva dell’opera salesiana, ne condivideranno
il metodo, gli obiettivi e i tratti carismatici.
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Marzo 2012

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Una “famiglia” che educa
Quell’esperienza ha dato vita a un modello cari-
smatico inconfondibile di comunità educativa-
pastorale. Nelle case salesiane la comunità dei
religiosi radunata attorno al direttore (vero padre
spirituale), coordinata nei ruoli e nei compiti, è il
cuore dell’opera; ma per la sua efficacia formativa,
ha bisogno di coinvolgere l’adesione cooperativa e
affettiva dei giovani migliori, quali attivi animatori
spirituali ed educatori dei compagni, e di costruire
una vasta rete di collaborazione operativa e morale,
a più livelli (a cerchi concentrici), tale da conferire
alle opere dinamicità, efficacia e continuità.
L’istituzione salesiana ha potuto estendersi al
mondo intero grazie a questa vocazione comu-
nitaria del carisma di don Bosco, il quale sape-
va che per ben educare i giovani bisogna essere
in tanti, affiatati attorno agli stessi ideali e allo
stesso spirito, nella fraternità, disposti a coopera-
re cordialmente con il direttore, a dare con gioia
tutto se stessi, ciascuno secondo il proprio stato
di vita. La storia dell’opera salesiana in ogni parte
del mondo ha dimostrato che i “liberi battitori”,
per quanto capaci o efficienti, se privi di apparte-
nenza e sganciati dalla comunità, hanno costruito
realtà caduche.
Invece le comunità salesiane unite nel lavoro e
nella fraternità, anche composte da persone sem-
plici, se ben radicate nel territorio e preoccupate
di coinvolgere e convocare, hanno portato avan-
ti con efficacia un lavoro dai profondi e fecondi
riverberi sulle comunità civili ed ecclesiali nelle
quali erano inserite.
Come affermano le Costituzioni dei
salesiani: «Vivere e lavorare insieme è
per noi salesiani una esigenza fonda-
mentale e una via sicura per realizzare
la nostra vocazione» (Articolo 49a).
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LA POSTA
I NOSTRI ESPERTI RISPONDONO
Devo ridurre la
paghetta a mio figlio
La crisi economica si sente anche in
famiglia. Non posso più dare ai miei
figli tutto quello che potevo conce-
der loro prima. Il ritornello però è
sempre quello, mentre li accompa-
gno a scuola: «Mi compri questo?
Mi compri quello?», «Sono l’unica
in classe senza le ballerine dorate!»
mi dice regolarmente la piccoletta.
Mi sento profondamente umiliato e
la vita in casa si è coperta di una
patina di insoddisfazione che si
riflette su tutto. D’accordo con mia
moglie abbiamo deciso di ridurre la
paghetta a tutti e tre i figli, perché
capiscano le difficoltà del momen-
to, ma non so come fare a dirglielo.
R.S. Imperia
Iragazzi non amano le prediche.
Preferiscono messaggi chiari
e diretti. I genitori non sono il
“bancomat” dei figli, sono le
uniche persone che possono
offrire loro una guida al mondo
con le sue altalene e i suoi imprevisti
e un metodo per affrontarli, tenendo
conto della loro età e delle loro ca-
ratteristiche precise.
Il problema non sono i figli, ma i
genitori. Padri e madri coltivano
spesso l’idea onnipotente di dare
ai figli tutto, il possibile e l’impos-
sibile, perciò la crisi li colpisce di
più. Dovrebbero invece accettarla,
smettere di provare un fastidioso
senso di inadeguatezza o di colpa
per quello che non si possono per-
mettere e vederla come un’occasio-
ne per educare “di più” e sul campo.
Un’esperta afferma: «Siamo abituati
a comprare cibi confezionati, torte,
merendine, e invece potremmo pre-
pararle noi. Siamo abituati a buttar via
anziché a riparare, per una forma di
gratificazione personale. Quanti bam-
bini sommersi da giochi complicati e
lussuosi scelgono poi una palla, sca-
tole di cartone e album da colorare?
Così, se arriva il momento di spiegare
che il nostro ménage cambia, faccia-
molo pure con sincerità, ma veden-
done l’aspetto affettuoso, di condi-
visione. Costruiamo un giocattolo,
dipingiamo una stanza. Prepariamo
insieme un dolce o un pupazzo con la
pasta di sale. Il necessario non deve
mancare, ma il superfluo è, appunto,
superfluo. E se non c’è necessità, non
c'è neppure vera rinuncia. C'è un de-
siderio indotto che non ci appartiene
e non sempre per i bambini è così im-
portante». Ma oggi già alle elementa-
ri si comincia a chiedere e a preten-
dere: vestiti nuovi, giochi, gadget. O
siamo noi che la vediamo così? «Ho
avuto in cura un bambino problema-
tico, di quelli che hanno tutto: scuola
privata, cavallo, sport costosi, un
guardaroba da piccolo lord, eppure
a otto anni bagnava ancora il letto. In
terapia è venuto fuori che il momento
più bello della sua vita non era legato
alla grande festa di compleanno, ma
a una corsa fatta con il papà sotto la
pioggia. Questo per spiegare che la
possibilità e il piacere di consumare
sono un elemento critico soltanto fino
a un certo punto. Il bambino non avrà
paura di possedere meno cose, se
non ne abbiamo paura noi per primi.
OGNI MESE
DON BOSCO
A CASA TUA
Il Bollettino Salesiano vie-
ne inviato gratuitamente a
chi ne fa richiesta.
Dal 1877 è un dono di don
Bosco a chi segue con sim-
patia il lavoro salesiano tra
i giovani e le missioni.
Diffondetelo tra i parenti e
gli amici. Comunicate su-
bito il cambio di indirizzo.
Troviamo le parole giuste: non di-
ciamo sbrigativamente ‘non ci sono
più soldi’, non parliamo di ‘sacrifici’,
ma di ‘priorità’, non di ‘rinunce’ ma di
‘scelte intelligenti’, non di ‘mancan-
za’, ma di ‘riorganizzazione’, di un
obiettivo da raggiungere». Ascol-
tiamo un notiziario insieme e tradu-
ciamolo in termini semplici. Anche
giocare a Monopoli può essere utile.
Facciamo parlare i bambini con i
nonni, che hanno visto e superato
tante altre crisi. Facciamo una lista
delle cose importanti. Se invitiamo
i figli a scrivere una lista sincera,
vedremo che le cose davvero im-
portanti sono poche. In momenti
come questi il legame familiare ha
un profondo significato. Valori con-
divisi, sostegno reciproco. Bisogna
ricordare ai figli (e a se stessi) che le
crisi passano, ma la forza di affron-
tarle e superarle resta. Farà parte del
loro patrimonio emotivo e delle loro
capacità per tutta la vita.
Elisa Bancon
Consulente familiare
La doppia vita
è perdonata?!
Reverendo Padre, grazie a Dio non
sono del tutto single, convivendo
con mia madre che a 88 anni è an-
cora piuttosto in gamba. Tuttavia,
nonostante non possa lamentar-
mi del mio lavoro di insegnante,
sono sempre più deluso e tutt’altro
che felice e molto irritato. Quindi-
ci anni or sono cominciarono per
me traversie piuttosto antipatiche
a causa della separazione, divorzio
e annullamento di un matrimonio
con una ragazza straniera rivelatasi
squilibrata. Ho cercato di reagire
positivamente appoggiandomi alla
religione, collaborando ad attività
missionarie e partecipando a gruppi
di preghiera. Proprio in chiesa ho
conosciuto una signorina già matura
che pareva proprio una brava ragaz-
za, che frequenta rosari e sacramenti
che ha dimostrato interesse nei miei
confronti per poi rivelare una doppia
vita totalmente immorale. Questo ha
compromesso il mio rapporto con la
religione. Come è possibile che io
abbia dovuto soffrire tanto per met-
termi “in regola”, mentre personaggi
come questa signorina conducono
una vita notturna dissoluta e poi se
ne vanno in chiesa con la mamma
facendosi benedire e comunicando,
naturalmente dopo essersi confes-
sate. Tutto ciò è uno schifo. Da un
lato si rifiuta di dare la comunione
ai divorziati, che non fanno del male
a nessuno o ai conviventi che però
sono una famiglia, dall’altro individui
con doppia vita frequentano tranquil-
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Marzo 2012

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Che cos’è
la con-
fessione?
Che cosa si deve
dire al sacerdote?
Dio, come tutti coloro che amano
veramente, è sempre disposto a
perdonare. Nel Vangelo vediamo
che più volte Gesù concede il
perdono di Dio: «I tuoi peccati
sono perdonati», dice.
È così anche oggi: Gesù ci ha
dato un segno, uno dei sette
sacramenti, il sacramento della
«penitenza» o «riconciliazione».
Così possiamo essere sicuri che
Dio ci perdona. È sempre il sa-
cerdote che dà il perdono di Dio,
come è sempre lui che presiede
alla Messa. Per noi, come già i
primi apostoli, egli rappresenta
Gesù, lo rende presente.
Nella celebrazione della peniten-
za, tutti quelli che vogliono pos-
sono recarsi dal sacerdote e dirgli
i peccati di cui sono pentiti e di
cui vogliono chiedere perdono.
Non si tratta di dire i propri difetti
(«Sono bugiardo, sono pigro»)
né di raccontare la propria vita,
ma di dire le mancanze specifiche
di cui ci si sente colpevoli. Nelle
celebrazioni comunitarie gene-
ralmente il sacerdote aiuta a fare
l’esame di coscienza, altrimenti ci
sono ottimi sussidi (fogli, libretti)
che rendono facile tale esame.
Un modo molto semplice per
sapere che cosa dire è chiedersi
se si è vissuti da veri figli di Dio,
nelle nostre relazioni con Lui e
con il prossimo.
Mamma Margherita
lamente i sacramenti. Ovviamente
non mi stacco dalla Chiesa, ma cer-
tamente mi sono allontanato.
(Lettera firmata)
Gentile signore, since-
ramente mi dispiace
constatare tutta la sua
amarezza che la spin-
ge a definirsi “deluso
e tutt’altro che felice e,
certamente, molto irritato”. Capi-
sco la delusione e la tristezza che
scaturiscono dal prendere atto della
sua fallimentare esperienza di vita
matrimoniale. Mi sfugge, invece, la
causa che innesta la sua profonda
irritazione nei confronti del prossi-
mo e della chiesa stessa. Forse che
questo suo stato d’animo particola-
re non è altro che un meccanismo
inconscio di difesa che scatta den-
tro di lei a motivo della sua carente
autostima che la spinge ad assu-
mere un atteggiamento aggressivo
nei confronti della vita? La scarsa
fiducia nella sua persona, accom-
pagnata da un giudizio non del
tutto positivo a riguardo dei suoi
obiettivi esistenziali raggiunti, non
possono scaturire dal divorzio o
dall’annullamento del matrimonio,
in quanto lei stesso scrive che la
sua ex consorte si è rivelata essere
una “squilibrata”. Neppure derivano
dal suo lavoro di insegnante di cui
non si lamenta affatto. Mi illudo
di poter cogliere il motivo del suo
attuale stato d’animo nella scarsa
qualità umana dei sentimenti che
lei nutre nei riguardi dell’amore in
genere e del prossimo in partico-
lare. L’amore non può mai essere
strumentalizzato. Non ci si sposa
“per colmare il desiderio d’affetto”.
Nessuno può essere funzionale ai
bisogni di un altro. L’amore umano
Vinci la paura!
Monsignor GianCarlo Maria Bregantini invia un "messaggio" a
tutti i ragazzi e giovani che frequentano la scuola.
Anche quest'anno ha offerto agli studenti un originale racconto,
che porta in sé un pro-
gramma di vita, una
strada da percorrere
individualmente e in-
sieme, per creare o rin-
novare una società più
solidale e più onesta, e
invitandoli a superare
le difficoltà... “vincen-
do ogni paura! ”.
Monsignor GianCarlo Maria Bregantini, trenti-
no di origine, è nominato a soli 45 anni vescovo di Locri Gerace
(RC). Subito si fa amare dalla sua gente per la semplicità e tra-
sparenza dei modi, la forza vibrante dei suoi scritti, la vicinan-
za agli ultimi, delle cui problematiche si fa carico senza filtri e
senza riserve.
Attualmente è arcivescovo metropolita della diocesi di Campo-
basso-Boiano e, dal 2011, è presidente della Commissione Epi-
scopale per i Problemi Sociali e il Lavoro, la Giustizia e la Pace.
non deve essere finalizzato per col-
mare una mancanza, piuttosto deve
celebrare una presenza. La sua vera
natura è quella di integrare e com-
pletare il rapporto di coppia che,
per un cristiano, è testimonianza
reale dell’amore divino nei nostri
confronti. L’amore è il segreto che
ci aiuta a trasformare la pulsione
dei sensi in tenerezza, il desiderio
in rapporto di comunione esisten-
ziale profondo, la passione in em-
patia di sentimenti ed emozioni.
Mi sembra che nel suo atteggiarsi
nei confronti dell’allegra, secondo
lei, signorina che tanto l’ha ferito e
deluso, si possano cogliere alcu-
ne sfumature che caratterizzano il
comportamento del fratello mag-
giore nella parabola evangelica del
Padre misericordioso. Blindato nel-
la sua autoreferenzialità è incapace
di capire il perdono, totale e disin-
teressato, nei confronti del fratello
minore scapestrato e dissoluto.
Gesù nel Vangelo perdona sempre
e non giudica mai.
Ermete Tessore
Docente di Filosofia
e di Religione
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EVENTI
Le gloriose La trentesima edizione delle Giornate di
Spiritualità della famiglia salesiana sono state
un momento di entusiasmo e di speranza
quattro giornate
I ragazzi di un
oratorio romano
arricchiscono la
serata in famiglia.
Il vero protagonista di queste giornate è stato
il sorriso. Trecentottanta sorrisi, quanti erano
i partecipanti, appartenenti a 23 gruppi della
FS e provenienti da 31 paesi del mondo.
Il Vicario del Rettor Maggiore, don Adriano
Bregolin, avvia il tutto sul binario della cor-
dialità, del calore e della festa. È il modo tutto
salesiano di fare le cose più serie.
«È questa un’edizione del tutto particolare, per
diversi motivi! Innanzitutto tale iniziativa compie
in questo 2012 il suo trentesimo anno di vita. È
stata vissuta sempre come un’esperienza di comu-
nione e di formazione, che nel corso degli anni ha
assunto modalità e forme diverse, risultando sem-
pre più gradita ai membri di tutta la Famiglia Sa-
lesiana. Oggi appare particolarmente consolidata
nella partecipazione, sempre molto numerosa e
qualificata, di gruppi e di persone. La proposta
formativa oltre ad estendersi a quanti sono mate-
rialmente presenti, qui a Roma, raggiunge diretta-
mente o indirettamente, attraverso la diffusione in
rete di contenuti e video, gran parte della Famiglia
Salesiana di tutto il mondo».
È un vortice di preghiere, canti, danze e momenti
di riflessione in cui si rincorrono alcune parole
in cui tutti si ritrovano e sembra un miracolo di
Pentecoste. E don Bosco è presente. Soprattutto
quando il Rettor Maggiore intona il ritornello:
«Me basta que seais jovenes para amaros, me ba-
sta y mi vida yo os daria» insieme ai ragazzi di
Biancavilla (Catania) che sono la colonna sonora
delle giornate. E tutti si sentono “un cuor solo ed
un’anima sola”.
«Abbiamo bisogno di conoscere don Bosco, fino
a farlo diventare la nostra mens, il nostro punto di
vista, il nostro agire di fronte ai bisogni dei giova-
ni. Vi invito ad amarlo. Ecco la mia esortazione:
conoscerlo, amarlo, imitarlo perché siamo tutti
quanti eredi e trasmettitori del suo spirito». Que-
sto invito, pronunciato da don Pascual Chávez la
sera della sua elezione a Rettor Maggiore, è stato
il motivo trainante del suo ministero, riproposto
nella Strenna di quest’anno.
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Marzo 2012

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Alcune parole sono risuonate in modo
particolare:
Memorie del futuro
Il libro Memorie dell’Oratorio è stato messo al cen-
tro fin dall’inizio. Non è una raccolta semplice di
ricordi e di dati storici, ma una visione di futuro.
Don Bosco, attraverso il racconto dell’inizio e de-
gli sviluppi della propria vocazione oratoriana, in-
tende presentare il senso di un’esperienza globale,
formulare un «programma di azione» e mettere in
risalto le finalità volute da Dio. Egli fa una rilet-
tura del passato in chiave religiosa e pedagogica.
Le Memorie risultano così il suo libro più ricco di
contenuti e orientamenti “preventivi”, un manua-
le di pedagogia e di spiritualità raccontata.
Le Memorie dell’Oratorio sono dunque una pre-
sentazione narrativa della spiritualità, dell’identi-
tà e del metodo salesiano.
L’interpretazione provvidenziale fatta da don Bo-
sco di una vocazione divina realizzata nella realtà
storica concreta mette in luce due nuclei dinamici
della vocazione salesiana: il dono incondizionato di
sé a Dio in risposta ad una missione ricevuta, inne-
stato su un nativo atteggiamento positivo, cordiale e
affettuoso verso il mondo giovanile.
Sogno
Don Bosco si caratterizza tra i santi anche per es-
sere un sognatore. Di fatto il nome di don Bosco e
la parola sogno sono correlati. La vita di don Bosco
è un intreccio di avvenimenti meravigliosi e di so-
gni che alimentarono la sua convinzione di vivere
sotto l’ispirazione divina e lo sostennero nelle sue
imprese.
Senza i sogni non si spiegherebbero alcuni linea-
menti caratteristici della religiosità di don Bosco
e dei Salesiani. Il fatto è che nei suoi sogni don
Bosco si immergeva nel mistero di Dio, ne intra-
vedeva i progetti, ne intuiva la volontà. Essi erano
come «un ponte lanciato verso il soprannaturale».
In senso metaforico, si può dire che don Bosco ha
portato nel suo animo un unico grande sogno. Tut-
ti i sogni di don Bosco sono, in fondo, un unico
sogno; hanno per oggetto il medesimo tema, mo-
dulato su variazioni diverse: la salvezza dei giovani.
Pastore
La fede trasforma don Bosco in pastore dei gio-
vani, perché si radica nel progetto di un Dio che è
Padre e Pastore. Il salesiano non può rendere culto
a Dio, né celebrare il suo nome, né testimoniar-
lo efficacemente, se non accetta il suo compito di
guida e di compagno, di capo e di servo,
di maestro e di amico della gioventù,
«questa porzione la più delicata e la
più preziosa dell’umana società».
Essere nato dal cuore di un “Dio
Pastore” impone una precisa me-
todologia, come dovette imparare
Il magnifico calei-
doscopio della no-
stra famiglia nella
foto di gruppo.
Papi, a destra,
al secolo Daniel
Federspiel,
parroco salesiano
di Parigi, anima la
serata finale.
Marzo 2012
9

1.10 Page 10

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LE CASE DI DON BOSCO
assai presto don Bosco: «non colle percosse, ma
colla mansuetudine e colla carità dovrai guada-
gnare questi tuoi amici». Avere un “Dio Pastore”
come origine obbliga ad accettare la sua carità di
pastore come motivo della propria vita.
È la forma salesiana di rendere presente Dio tra i
giovani, il modo concreto di essere salesiano.
La nostra
carta d’identità
Una delle giovani
presenti alle
Giornate: un tocco
spumeggiante di
entusiasmo.
Giovani
In questo tempo, che si caratterizza per l’assenza
della figura del padre, don Bosco si offre a noi
come modello per amare con tutta l’amorevolezza
del Sistema Preventivo e con tutta la propositività
del “Da mihi animas”, sapendo che i giovani han-
no bisogno in primo luogo di amore, ma che ciò
si traduce nell’educazione, in modo che possano
maturare e affrontare con successo la vita, sempre
più competitiva.
Famiglia Salesiana
Avere don Bosco come padre e maestro significa
lasciare che sia don Bosco a guidare la nostra vita
e sforzarci perché la sua esperienza spirituale gui-
di la nostra. Accettare il magistero di don Bosco,
la sua paternità, è il modo salesiano di sentirsi
amati da Dio. Qui si radica la capacità di alle-
gria, tipica del modo salesiano di realizzare la
santità.
Figli di un sognatore, possiamo accogliere le
parole di una canzone di Jacques Brel:
Vi auguro sogni a non finire
la voglia furiosa di realizzarne qualcuno
vi auguro di amare ciò che si deve amare
e di dimenticare ciò che si deve dimenticare
vi auguro passioni
vi auguro silenzi
vi auguro il canto degli uccelli al risveglio
e risate di bambini
vi auguro di resistere all’affondamento,
all’indifferenza, alle virtù negative della nostra
epoca.
Vi auguro soprattutto di essere voi stessi.
Un momento solenne e atteso al termine
delle Giornate di Spiritualità: il Rettor
Maggiore consegna la Carta d’Identità
della Famiglia Salesiana
Una Famiglia aperta
La Famiglia Salesiana, che si configura come
un grande Movimento per la salvezza dei gio-
vani e si esprime in varietà di forme per l’apo-
stolato nelle missioni, negli ambienti popolari,
nella comunicazione sociale e nella cura delle
vocazioni, è aperta ad altri Gruppi che chiedano
ufficialmente il riconoscimento del Rettor Mag-
giore.
I criteri essenziali per essere riconosciuti nella Fa-
miglia Salesiana sono:
1. La partecipazione alla “vocazione salesiana”:
ossia la condivisione, in qualche aspetto rilevan-
te, dell’esperienza umana e carismatica di don
Bosco. Egli infatti rimane, per tutti i Gruppi, l’i-
spiratore originario di un particolare cammino di
discepolato e di apostolato; in quanto tale, è fonte
di ispirazione e punto di convergenza.
10
Marzo 2012

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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CHI SIAMO
I Gruppi formalmente iscritti alla Famiglia Salesiana sono i seguenti:
1. La Società di San Francesco di Sales
(Salesiani di Don Bosco)
2. L’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice
3. L’Associazione dei Salesiani Cooperatori
4. L’Associazione di Maria Ausiliatrice
5. L’Associazione degli Exallievi e delle
Exallieve di Don Bosco
6. L’Associazione delle Exallieve e degli
Exallievi delle Figlie di Maria Ausiliatrice
7. L’Istituto delle Volontarie di Don Bosco
8. Le Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria
9. Le Salesiane Oblate del Sacro Cuore di Gesù
10. Le Apostole della Sacra Famiglia
11. Le Suore della Carità di Gesù
12. Le Suore Missionarie di Maria
Ausiliatrice
13. Le Figlie del Divino Salvatore
14. Le Ancelle del Cuore Immacolato di Maria
15. Le Suore di Gesù Adolescente
16. L’Associazione Damas Salesianas
17. I Volontari Con Don Bosco
18. Le Suore Catechiste di Maria
Immacolata Ausiliatrice
19. Le Figlie della Regalità di Maria
Immacolata
20.I Testimoni del Risorto
21. La Congregazione di San Michele
Arcangelo
22.La Congregazione delle Suore
della Risurrezione
23.La Congregazione delle Suore
Annunciatrici del Signore
24.The Disciples
25.Cançao Nova
26.Le Suore di San Michele Arcangelo
o Micaelite
27. Le Suore di Maria Ausiliatrix
28. La Comunità della Missione di Don Bosco
29.Le Suore della Regalità di Maria
Immacolata
30. Visitation Sisters Of Don Bosco
2. La partecipazione alla missione giovanile e/o po-
polare salesiana. Questo significa che ogni Gruppo,
tra i suoi fini specifici, include qualche elemento
tipico della missione salesiana, pur declinato in
forme e modalità particolari.
3. La condivisione dello spirito, del metodo educa-
tivo e dello stile missionario, ossia del patrimonio
spirituale e pedagogico di don Bosco.
4. La vita evangelica secondo lo spirito salesiano,
vale a dire una vita ispirata ai consigli evangelici
quale via alla santità; essa si concretizza sia nella
professione dei voti propria della consacrazione
religiosa, sia nelle diverse forme di promesse o di
impegno che definiscono la fisionomia di ogni
singolo Gruppo.
5. Una fraternità attiva che porta ogni gruppo a
collegarsi e ad operare in sintonia e sinergia con
gli altri gruppi della Famiglia Salesiana.
6. In forza della loro comunione apostolica di
natura carismatica, i Gruppi che costituiscono la
Famiglia Salesiana riconoscono nel Rettor Mag-
giore, Successore di don Bosco, il Padre e centro
di unità della Famiglia stessa.
cifiche, hanno arricchito la comunione e allargato
la missione salesiana.
Agli occhi di tutti è evidente quanto è cresciuta la
Famiglia, come si è moltiplicato il lavoro aposto-
lico in diversi Paesi del mondo e come si è esteso
il campo di azione a beneficio di tanti giovani e
adulti. Ciò invita non solo a rendere grazie a Dio,
ma suscita pure la consapevolezza di una maggio-
re responsabilità: infatti la vocazione della nostra
Famiglia è, come ogni altra vocazione, a servizio
della missione, in modo particolare per la salvez-
za della gioventù, specie la più povera, abbando-
nata e pericolante.
La sapiente e
geniale visualizza-
zione dei temi ha
arricchito di fanta-
sia le Giornate.
Una Famiglia in crescita
La Famiglia Salesiana, in questi ultimi decenni,
ha conosciuto un’autentica primavera. Ai Gruppi
originari si sono uniti, sotto l’impulso dello Spi-
rito Santo, altri Gruppi che, con vocazioni spe-
Marzo 2012
11

2.2 Page 12

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SALESIANI NEL MONDO
ANTONIO MARTINEZ
Qui il Rettor Maggiore
conobbe don Bosco
Il Colegio México di Saltillo
che accolse un giorno il piccolo
Pascual Chávez Villanueva
è una stupenda realtà salesiana
Facciata del
Colmex di Saltillo:
un’opera comples-
sa e molto stimata.
«Una scuola per i figli dei miei
operai». Questa fu l’ispirazione
che mosse Isidro López Zertu-
che, entusiasta uomo d’affari e
benefattore della città di Saltil-
lo, città capitale dello stato di
Coahuila, in Messico, nel 1948.
Si mise subito all’opera. Coinvolse nel progetto il
vescovo della città, presentandogli il progetto det-
tagliato suggerito dalla sua mente e dal suo cuore.
Il vescovo gli consigliò di esporre piano e preoccu-
pazioni al Rettor Maggiore dei Salesiani don Pie-
tro Ricaldone, in Italia.
Isidro López partì per Torino ed ebbe una rispo-
sta pienamente positiva e incoraggiante: i sale-
siani potevano iniziare l’opera che sarebbe stata
chiamata “El Colegio México”.
Un allievo particolare
Qui arrivò un giorno un ragazzino speciale per
proseguire negli studi delle elementari: Pascual
Chávez Villanueva, l’attuale Rettor Maggiore dei
Salesiani. Il piccolo Pascual incontrò dei buoni
maestri come don Ignacio Arias e don Andrés Ve-
lazco e cominciò a distinguersi per la sua vivacità
intellettuale, la fede semplice e sincera, l’impegno
nello studio e il carattere gioioso ed espansivo con
coetanei e insegnanti.
Prima di terminare gli studi decise di entrare nell’A-
spirantato perché aveva sentito la chiamata del Si-
gnore che, come a Giovannino Bosco, indicava una
missione speciale per i giovani di tutto il mondo.
Ecco come, in una intervista, don Pascual stes-
so racconta questo momento: «Ero allievo in una
scuola salesiana, ma la mia vocazione è stata fortui-
ta. Mia madre si ammalò gravemente, un giorno
andai a trovarla e lei mi disse: “Ho pregato tanto il
buon Dio di avere un figlio sacerdote, ma nessuno
dei tuoi fratelli lo è diventato...”. “Allora lo farò io”,
risposi. Tre giorni dopo mia madre morì. E così en-
12
Marzo 2012

2.3 Page 13

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trai nel noviziato salesiano. Di
questo colloquio con mia ma-
dre, i miei parenti non seppero
nulla fino al giorno della mia
ordinazione sacerdotale, quan-
do spiegai loro quale fu l’origine
della mia vocazione».
Fin dall’inizio dei suoi studi, aspirò ad essere
«una persona preparata, profonda, pragmatica e
brillante», rimanendo figlio di una «sensibilità
latinoamericana che struttura la lettura cristiana
della vita dell’uomo sulla realtà quotidiana. Così
si formò nella scienza di Dio, di Gesù Cristo e di
don Bosco, che ha saputo trasmettere nelle sue
parole e nelle sue azioni per un mondo migliore»
testimoniò l’Ispettore di El Salvador, alla ceri-
monia per la consegna al Rettor Maggiore della
Laurea Honoris Causa nell’ottobre del 2011.
Un albero carico di frutti
Oggi, la prima carissima scuola salesiana del
Rettor Maggiore continua la sua missione, ispi-
rata alla spiritualità e alla pedagogia di don Bo-
sco, con l’obiettivo di aiutare
gli alunni alla scoperta e alla
realizzazione del personale
progetto di vita. Da più di ses-
sant’anni prepara i giovani ad
essere uomini di bene, impe-
gnati e responsabili, che lavo-
rano nelle società e nelle imprese più importanti.
Innumerevoli sono state le vocazioni alla vita sa-
lesiana e per le diocesi del Paese.
Attualmente il «Colegio México» di Saltillo ac-
coglie allievi dal Prescolare al Baccellierato.
Cinque anni fa lo stesso Rettor Maggiore ha
benedetto e inaugurato l’Istituto Superiore Tecno-
logico don Bosco, estensione del “Colegio”, con la
possibilità di accogliere 800 alunni.
Il buon seme piantato da Isidro López Zertuche,
grazie anche all’aiuto incondizionato dei suoi ni-
poti, è diventato un albero che continua a dare
frutti magnifici, stimato da tutti come una delle
più promettenti e incoraggianti realtà della pre-
senza dei figli di don Bosco in questa meraviglio-
sa terra messicana.
Uno dei cortili
interni del Colmex
durante una festa.
Cinquant’anni con i Mixes
Una magnifica avventura che continua rinnovandosi
IMixes sono un fiero popolo che abita le alture
orientali dello stato messicano di Oaxaca.
Nessuno è mai riuscito a sottometterli con la
forza. Hernán Cortés li cita in una sua lettera
destinata al re di Spagna, affermando che le
province di Zapotechi e Mixe erano le uniche
che rimanevano da conquistare: «Nell’intero ter-
ritorio, da un mare all’altro, i nativi obbediscono
senza protestare, salvo due province; gli abitanti
di queste due province sono chiamati Zapotechi
e Mixe. La loro terra è talmente
rocciosa da non poter essere at-
traversata neanche a piedi, avendo
io mandato dodici persone a con-
quistarli, ma che non riuscirono
nell’impresa a causa della difficoltà
del terreno, e perché i loro guerrieri
sono molto feroci e ben armati».
Su queste alture, nel 1962, arrivaro-
no dopo non poche peripezie quattro
Marzo 2012
13

2.4 Page 14

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SALESIANI NEL MONDO
stato di Coahuila
stato di Oaxaca
Ragazzi mixes
nei tradizionali
costumi della
regione. Sono un
popolo cordiale e
gioioso.
salesiani: due sacerdoti, Braulio Sánchez Fuentes
e Antonio Flores Arredondo, e due coadiutori,
José Expedito Aguiñaga e Austreberto Velasco
Sandoval. Il viaggio da Oaxaca, capitale dello
stato, a Tlahuitoltepec durò dodici ore a dorso
di mulo. Là passarono la prima notte. «Abbiamo
dormito» scrisse uno dei missionari «in una specie
di garage squassato dal vento che si infilava dalle
fessure e dal tetto portando raffiche di polvere».
Ma furono accolti con grande cordialità e gioia
dalla popolazione.
Il lavoro apostolico dei salesiani nella terra mixe
è stato strepitoso.
Oggi, la regione è una prelatura presieduta dal
vescovo salesiano Héctor Guerrero Córdova e
consta di una costellazione di presenze, parroc-
chie, scuole, centri giovanili, dispensari medici.
Nell’omelia per la celebrazione dei 50 anni di
presenza salesiana, il Consigliere per le missioni,
don Klement, si è congratulato con tutti i pre-
senti per mantenere vivo lo spirito della missione
“ad gentes” e ha sottolineato che l’Ispettoria di
Messico-México è una delle 8 Ispettorie salesiane
che hanno la grazia di avere una zona designata
dalla Chiesa come vicariato o prelatura. Don
Klement ha parlato anche delle sfide del lavoro
missionario, della necessità di apprendere dalle
culture e di preparare laici, catechisti e apostoli
convinti. In conclusione ha chiesto una preghiera
per i Salesiani e per quanti animano i gruppi mis-
sionari, ritenuti una grazia per la Chiesa.
Don Klement ha visitato il convitto salesiano di
Matagallinas, nella Sierra Mixe di Oaxaca, dove
è stato ricevuto dalla comunità scolastica, con i
ragazzi che indossavano il tradizionale costume
della regione. La banda musicale dei seminaristi
diocesani ha dedicato alcuni brani a don Klement,
che ha contraccambiato invitando i seminaristi ad
essere fedeli alla missione.
Nell’Istituto salesiano di Cecachi durante la mes-
sa solenne, monsignor Guerrero Córdova, don
Klement e l’Ispettore hanno presentato ufficial-
mente alla comunità don Joseph Nguyen N., sa-
lesiano vietnamita, inviato dal Rettor Maggiore
come missionario in Messico.
Perché i Salesiani, come don Bosco, non mollano
mai.
14
Marzo 2012

2.5 Page 15

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RISPOSTA, NON PROBLEMA
LUCA & SILVIO
Cominciamo dalla storia
di Alice e Fabrizio
Luca, educatore specializzato e counselor
ad Arezzo; Silvio, missionario salesiano in
Ghana: scriveremo in tandem questa ru-
brica, che è un invito a raccontare con noi
la vita vera dei giovani che abbiamo incon-
trato e con cui stiamo vivendo...
Guardiamo i giovani con gli occhi di don Bosco.
Per lui e per noi i giovani sono la risposta,
sono il futuro, non il problema.
A lice, 24 anni, laureata in
scienze dell’educazione e Fa-
brizio, 24 anni, laureato in
giurisprudenza.
Dopo aver vissuto esperien-
ze di volontariato nell’orato-
rio salesiano San Luigi di Chieri, con
amici disabili all’università di Torino
e con i missionari comboniani, nel
2011 sono arrivati a Lima. Per nove
mesi il carcere minorile Maranguita
è stato la loro ‘famiglia’, cooperando
nel Progetto di Giustizia Giovanile
Riparativa.
I ragazzi hanno commesso un’infra-
zione, anche grave, della legge pena-
le: quando il magistrato concede loro
l’opportunità d’intraprendere un ac-
compagnamento educativo fuori dal
carcere minorile, entrano in gioco gli
avvocati e gli educatori del Progetto
di Giustizia Riparativa, al centro del
quale c’è anche, ove possibile, il per-
corso di mediazione con la vittima.
Per Alice e Fabrizio il 2011 è stato
un anno di immersione nella barac-
copoli molto violenta de El Agustino,
all’interno di un contesto di famiglie
decisamente disfunzionali, di forte
marginalità socioeconomica, in cui
le pandillas (gangs giovanili) fan da
padrone. Alice e Fabrizio sono sta-
ti testimoni del cambio radicale che
hanno visto in molti di questi adole-
scenti in conflitto con la legge penale.
Il fatto di poter lavorare in équipe con
colleghi peruviani di grande profes-
sionalità è stato per loro un privilegio
enorme e fonte di grande arricchi-
mento interiore.
Educatori e stranieri: unici occiden-
tali in un quartiere marginale di una
metropoli latino americana di die-
ci milioni di abitanti, con un livello
molto alto di violenza giovanile. “Ci
siamo sentiti amati e questo ci ha
permesso di essere costantemente ‘al
posto giusto nel momento giusto’”.
Entrati in un vortice “umanamente
intensissimo” prendono energia da
questa esperienza per il loro lavoro
all’interno del mondo del sociale a
Torino.
Quel contesto e quella modalità di in-
tervento, incontrati a Lima, vengono
ora raccontati attraverso dei laboratori
dinamici e partecipativi, in collabora-
zione con il Kerigma Studio, all’in-
terno di scuole ed enti di diverso tipo
www.kerigmastudio.net (sezione “la-
boratori”): contattateli per incontrarli e
farli incontrare ai vostri gruppi.
Raccontaci la speranza che i giovani ti
stanno regalando. Usa questa finestra per
farla diventare dono a chi come te e come
noi vuole guardare alla gioventù con gli
occhi di don Bosco: la risposta, non il
problema! Scrivi a rispostanonproble-
ma@gmail.com
Marzo 2012
15

2.6 Page 16

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L’INVITATO
MARIA ANTONIA CHINELLO
Dalla parte delle donne.
Coi fatti Intervistaa
Estrella Castalone
Figlia di Maria Ausiliatrice dal
1978, suor Estrella è nata a
Canlubang (Filippine) nel 1949.
Diplomata in Teologia presso
l’Università Pontificia Salesiana,
per molti anni ha lavorato tra i
giovani della sua terra. Nel 2003,
diventa Segretaria esecutiva
dell’AMRSP (Association of
Major Religious Superiors in the
Philippines).
È l’inizio di una missione che via
via la affianca ad altre donne per
la difesa delle donne e dei minori
coinvolti nel traffico di persone.
Dal 2010, è Coordinatrice della
Rete Internazionale della Vita
Consacrata contro la tratta.
Sorride mentre ci dice che
il leit-motiv della sua vita è
proprio quello di Talitha Kum:
«Fanciulla, alzati! Profeti di
speranza per le giovani donne».
Un programma non solo per l’8
marzo, ma anche per gli altri 364
giorni dell’anno.
Che cos’è Talitha Kum?
È la Rete Internazionale della Vita
Consacrata contro la Tratta delle Per-
sone, costituita dall’UISG (Unione
Internazionale Superiore Generali) nel
2009. Trae origine da un progetto av-
viato qualche anno prima insieme con
lo IOM (International Organization
on Migration) e finanziato dal Bureau
of Population, Refugees and Migration
of United States dell’Ambasciata sta-
tunitense presso la Santa Sede. La
finalità è di condividere e ottimizzare
le risorse che la vita religiosa possiede
per favorire interventi di prevenzione,
sensibilizza-
zione, denun-
cia del traffico
di persone e
per la protezio-
ne e l’assistenza
delle vittime.
Perché le religiose
si interessano della tratta
di esseri umani?
Ci siamo sentite interpellate da questa
“schiavitù moderna”. Come religiose è
Suor Estrella Castalone, salesiana.
urgente prendere posizione con i fatti
e promuovere la dignità di ogni per-
sona creata a somiglianza di Dio. La
risorsa più grande della vita religiosa
sono proprio le religiose, impegnate a
fianco di tutte le forme di povertà e di
emarginazione: tocchiamo con mano
l’umiliazione, la sofferenza, il tratta-
mento inumano e degradante inflitto a
donne, uomini e bambini. Le organiz-
zazioni criminali che sfruttano sono
altamente organizzate e ben collegate
tra loro. Per questo era necessario unire
le forze e costruire una rete, altrettanto
strutturata, che mettesse in collega-
mento chi lavora nei paesi di origine
del traffico con quelli del transito e
della destinazione. Solo così si può
prevenire e denunciare perché la per-
sona non diventi “merce di scambio”.
16
Marzo 2012

2.7 Page 17

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Quali Reti formano
Talitha Kum?
Attualmente i network collegati sono
21 e rappresentano tutti i continenti.
Sono religiose che operano in Irlan-
da, Australia, Portogallo, Canada,
Nigeria, Repubblica Dominicana,
Albania, Indonesia, Brasile, Olanda,
Romania, Sud Africa, Italia, Thai-
landia, India, Filippine, Germania,
Kenya, Senegal, Perù.
Su quali fronti
si concretizza l’impegno
di Talitha Kum?
È molto differenziato perché variega-
te sono le realtà che vengono toccate
dal fenomeno della tratta di persone:
stabilire contatti e lavorare in rete con
le altre organizzazioni sociali, civili,
religiose e politiche che si interessano
della tratta; ottimizzare e condividere
le risorse per rafforzare la prevenzione,
la sensibilizzazione e la denuncia del
traffico di persone e la protezione di
chi ne cade vittima; operare sul fronte
educativo e formativo per risvegliare
la coscienza dell’opinione pubblica ri-
guardo a questo fenomeno; sostenere e
intensificare le iniziative in atto di for-
mazione, denuncia, assistenza.
pratiche, esperienze, risorse umane e
materiali nel contrasto della tratta e
offrire al pubblico informazioni utili
sulle varie attività e iniziative. Anco-
ra, prendere posizione e fare dichia-
razioni pubbliche in concomitanza
di eventi internazionali che incidono
sulla mobilità delle persone. A que-
sto riguardo, significativa è stata la
Campagna contro la tratta che abbia-
mo lanciato in occasione dei mondiali
di calcio svoltisi in Sudafrica. Infine,
sostenere le iniziative attivate a livello
locale dalle religiose per sensibilizza-
re al fenomeno, lavorare sulla preven-
zione e denunciare il traffico.
Chi fa parte del team
di Talitha Kum?
Il team dei formatori è composto da re-
ligiose e da un laico, Stefano Volpicelli,
rappresentante dell’OIM. Per l’anima-
zione, si lavora in stretto contatto con
esperti laici e laiche del settore che
apportano contributi di ricerca, me-
todologie e strategie di azione, di in-
tervento giuridico. La sfida principale
della Rete è coordinare e sostenere i
programmi dei membri data la limi-
tatezza delle risorse sia finanziarie
sia di personale. Per cui, se qualcu-
no vuole venire ad aiutarci la porta
è aperta! È, invece, ancora un sogno
tutto da concretizzare la collabora-
zione attiva e fattiva con i religiosi e
i sacerdoti.
Quali sono le cifre del
traffico di esseri umani?
Nel 2010, il Rapporto sul Traffico in-
ternazionale di persone delle Nazio-
ni Unite stimava che, ogni anno, da
800 mila a 2 milioni di persone sono
vittime della tratta: il 66% sono don-
ne, il 12% uomini e il 22% bambini/
minori. Lo sfruttamento sessuale è la
forma più comune (79%), seguito dal
lavoro forzato (18%), dall’accattonag-
gio e dal traffico di organi.
Suor Estrella con il team dei formatori. La sfida
principale della Rete è coordinare e sostenere i
programmi.
Come si attua tutto questo?
Fondamentale è la formazione delle
religiose per abilitarle a intervenire in
modo strategico sulle cause e sugli ef-
fetti della tratta. Si sono già realizzati
16 Corsi di formazione a livello inter-
nazionale cui hanno preso parte più
di 600 suore. Poi è importante assi-
curare la comunicazione tra i membri
e la condivisione di ricerche, buone
Marzo 2012
17

2.8 Page 18

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L’INVITATO
Un discorso a parte,
è il traffico di minori…
Il traffico di bambini è purtroppo
la terza più grande attività crimina-
le nel mondo. Le forme più comuni
sono i rapimenti per adozioni inter-
nazionali illecite, matrimoni forzati,
Fondamentale è la formazione delle religiose per
abilitarle a intervenire in modo strategico sulle
cause e sugli effetti della tratta.
azioni militari e di guerra, lavori do-
mestici, pratiche occulte. Nell’ottobre
scorso, sono stati circa 400 i bambini
che dall’Uganda venivano portati in
Europa a scopi di stregoneria! È ne-
cessario proteggere i minori quando
si verificano calamità naturali oppure
quando in famiglia uno, in particolare
la madre, oppure entrambi i genitori
emigrano per motivi di lavoro. Que-
sto ‘restare a casa soli’ rende i minori
più vulnerabili, bisognosi di affetto e
di attenzioni, più propensi ad affidar-
si a persone, anche sconosciute, che
offrono loro ciò che manca.
Come mai, c’è ancora
chi non sa e cade vittima
del traffico di persone?
Sembra un controsenso, ma è così.
Un primo elemento da considerare è
la difficoltà ad aiutare proprio le ‘vit-
time’, in quanto con fatica cooperano
nel denunciare quanto è loro accaduto.
Si sentono piuttosto “colpevoli”. Altro
aspetto, l’innovazione digitale. Con
Internet tutto è più facile: il commer-
cio, la comunicazione, l’educazione,
gli scambi culturali, il mercato, i viag-
gi e purtroppo anche il traffico delle
persone. Se alcuni anni fa, i traffican-
ti erano visibili fisicamente, oggi mi-
gliaia di persone vengono ‘scambiate’
nell’anonimato che la Rete favorisce.
Quali aspetti tenere
presenti per contrastare
la tratta in un’ottica
preventiva dell’educazione?
Il sogno è quello di sradicare questa
schiavitù moderna. Ma, purtroppo,
lo scenario mondiale ci conferma che
non vi è una significativa riduzione sia
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Marzo 2012

2.9 Page 19

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LA VERGOGNA
da parte dell’“offerta” (persone traffi-
cate) sia nella “domanda” (coloro che
sfruttano): la vulnerabilità di uomini,
donne e bambini si accresce sempre
più. Solo interventi più efficaci sulla
linea della prevenzione potrebbero
contenere i rischi. Invece, gran par-
te del coinvolgimento delle religiose
in questo campo di apostolato è ri-
volta alla protezione, all’assistenza
e alla riabilitazione delle vittime. Ci
sembra infatti di essere sempre sulla
linea dell’uscita, quasi che il nostro
lavoro sia un ‘pulire i pasticci’ causati
dai trafficanti contro la dignità del-
la persona. Si tratta di proporre non
solo di ‘uscire’ dalla tratta, ma di dare
Il Protocollo delle Nazioni Unite Prevent, Suppress and Punish Trafficking in Persons, Espe-
cially Women and Children supplementing the Convention Against Transnational Organized
Crime definisce come tratta di persone: «il reclutamento,
il trasporto, il trasferimento, l’alloggio o
l’accoglienza di una o più perso-
ne, usando mezzi illeciti ai fini
dello sfruttamento». Sempre
secondo la medesima fonte,
lo sfruttamento comprende:
«la prostituzione, altre forme
di sfruttamento sessuale, il
lavoro o i servizi forzati, la
schiavitù/la servitù le pratiche
analoghe alla schiavitù, il traf-
fico di organi».
opportunità perché migliorino le con-
dizioni di vita sia nei villaggi sia nelle
città, perché i genitori e le famiglie
possano ‘proteggere’ i loro bambini
e ragazzi. Infine, nei programmi dei
nostri centri educativi e nelle scuole è
urgente includere argomenti che trat-
tino questo fenomeno, informare con
chiarezza riguardo a ciò che sta dietro
questa piaga moderna.
Casa per ferie - Centro Congressi
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Via della Pisana, 1111 00163 Roma - tel: +39 06658751 - E-mail: salesianum@sdb.org - www.salesianum.it
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2.10 Page 20

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FINO AI CONFINI DEL MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
MESSICO
Primo piano sui
giovani volontari
(ANS - Los Mochis)
– Tredici giovani vo-
lontari dell’Ispettoria
di Guadalajara (MEG) si sono incontrati dal
10 al 13 gennaio a Los Mochis per riflettere
sul significato del loro anno di servizio. I
giovani hanno riletto il lavoro compiuto nei
primi 6 mesi e hanno dato una prima valuta-
zione del loro impegno nelle opere salesiane.
La condivisione delle esperienze maturate,
la discussione sulle possibili migliorie e la
programmazione dei successivi 6 mesi sono
state alcune delle attività realizzate, arric-
chite, l’11 gennaio, dalla celebrazione di un
ritiro spirituale. Molto apprezzata da tutti è
stata la possibilità di raccontarsi apertamente,
che ha permesso di potenziare gli strumenti
pedagogici e di dare una maggior solidità
al loro impegno di volontari. Per raccontare
la loro esperienza i giovani hanno deciso di
realizzare un video in comune.
SPAGNA
Un sito tematico
dedicato
a don Bosco
(ANS - Madrid) – Nell’am-
bito del triennio di prepara-
zione al Bicentenario della
nascita di don Bosco, i Sa-
lesiani della Spagna hanno
aperto un sito (www.
conoceadonbosco.com)
che mira a diventare
il punto di riferimento
in lingua spagnola per
chiunque voglia conoscere
il santo della gioventù. Tra
i materiali disponibili, ci
sono un radio-racconto
su don Bosco, alcuni
suoi scritti, risorse per la
pastorale, musical, video,
foto, materiali per la liturgia
della festa di don Bosco,
alcuni studi storici su di lui,
un itinerario di alcuni dei
luoghi dove visse e si for-
mò, giochi e suggerimenti
per incontri di gruppo che
possano aiutare a cono-
scere la storia del santo.
Sul sito si potrà seguire la
peregrinazione dell’urna
di don Bosco, che nei
prossimi mesi passerà per
le Ispettorie spagnole.
ITALIA
I 20 anni
dell’Associazione
“Carlo Marchini
Onlus”
(ANS - Brescia) – Nel 2012 compie 20 anni
l’Associazione “Carlo Marchini Onlus”, che
opera al fianco dei Salesiani e delle Figlie
di Maria Ausiliatrice in vari paesi, specie
in Brasile. Nata per ricordare il giovane
volontario Carlo Marchini, morto acci-
dentalmente in Amazzonia, ha contribuito
a realizzare numerosi progetti in favore
dei bambini e dei giovani più bisognosi.
Le prime attività dell’associazione furono
sviluppate a Barbacena, dove i volontari
avevano già buoni rapporti con i salesiani
e gli interventi apparivano alla portata di
un’associazione che stava muovendo i primi
passi. Molte strutture sono sorte poi in altre
località del Brasile, nello stato del Goiàs,
del Pará, dell’Amazzonia e del Mato Grosso
e altri progetti sono stati avviati in Africa,
con le missioni salesiane in Eritrea e Burki-
na Faso. Accanto alla costruzione di opere,
altre attività tradizionali dell’associazione
sono le adozioni a distanza.
20
Marzo 2012

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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INDIA
Il Festival
del Turismo
“Ethnique 12”
(ANS - Jorhat) – Nel
fine settimana dal 6 all’8 gennaio, presso
l’opera salesiana “Don Bosco-Life Plus” di
Jorhat, si è svolta la I edizione del Festival
del Turismo “Ethnique 12”. Centosessanta
giovani della tribù indigena Mising – che
hanno abbandonato gli studi scolastici,
ma che vengono tuttavia educati grazie
ai progetti del programma salesiano per
la cultura e lo sviluppo rurale “I-Card” –
hanno animato varie attività culturali e
ludiche, con danze, esibizioni musicali e
teatrali della loro tradizione. Per l’occasio-
ne sono state predisposte anche una mostra
fotografica e la proiezione di documentari,
e la ristorazione offerta all’interno dell’o-
pera ha proposto specialità locali. L’evento,
che si ripeterà ogni anno durante il pri-
mo fine settimana di gennaio, oltre a far
conoscere ai visitatori le loro tradizioni e
culture, è servito a favorire il protagonismo
dei giovani Mising.
CINA
Il Sistema
Preventivo:
criterio
d’efficienza
scolastica
(ANS - Macao) – Oltre 50
docenti e amministratori
scolastici hanno parteci-
pato ad una conferenza
sull’utilità del Sistema
Preventivo per la gestione
scolastica. Don Simon
Lam, Superiore dell’Ispet-
toria cinese, ha illustrato
come l’interiorizzazione
dello spirito del Sistema
Preventivo, insieme ad un
atteggiamento fiducioso
verso i ragazzi, alla co-
struzione di un ambiente
familiare e alla religione
possano largamente
contribuire a realizzare
un’amministrazione scola-
stica d’eccellenza. Il prof.
Chan Tak Hang, un ex
preside, a partire dalla sua
esperienza ha offerto altri
spunti di riflessione.
BRASILE
Il MGS si
prepara
alla GMG
2013
(ANS - Recife) – Da settembre 2011 è in
corso in Brasile la peregrinazione della
Croce e dell’icona mariana della Giornata
Mondiale della Gioventù (GMG). I due
simboli religiosi stanno visitando molte cit-
tà di tutto il paese e i giovani che frequen-
tano le opere salesiane stanno partecipando
con gioia alle iniziative proposte. A Recife,
lunedì 16 gennaio, monsignor Fernando
Saburido, arcivescovo di Olinda e Recife,
ha presieduto un’Eucaristia nel santuario
di Nostra Signora di Fatima, alla quale
hanno partecipato molti giovani del Movi-
mento Giovanile Salesiano, guidati da don
Deyvson Soares, Delegato per la Pastorale
giovanile dell’Ispettoria di Recife. Nel
centro della città, inoltre, ha avuto luogo un
grande concerto musicale, durante il quale
si è esibito anche don João Carlos Rodri-
gues Ribeiro, sdb, ex Ispettore, noto perché
unisce la musica all’annuncio della Parola.
(www.padrejoaocarlos.com.br).
Marzo 2012
21

3.2 Page 22

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LE CASE DI DON BOSCO
TIZIANA GIUFFRÈ
Viva Domenico!
Il 9 marzo di
155 anni fa moriva
san Domenico Savio.
Ci sono tre
luoghi concreti
che conservano
in modo particolare
il suo ricordo
1. L’unica basilica del mondo
dedicata a san Domenico Savio
Cortile dell’ora-
torio salesiano di
Lecce accanto alla
Basilica dedicata
a San Domenico
Savio.
Domenico urla ancora oggi a tutti gli adolescen-
ti la bellezza e la preziosità della vita, come dono
stupendo di Dio, da far fruttificare in purezza e
amore, testimoniando in questo modo che la vera
gioia è originata dalla grazia divina e che il servizio
più esaltante è proprio l’apostolato tra i coetanei.
Nel mondo esiste un’unica Basilica dedicata a
questo giovane santo. Essa si trova a Lecce, dove
salesiani qualificati, coscienti della crisi esisten-
ziale di questo XXI secolo, con la collaborazione
di laici, accompagnano e supportano i genitori
nell’educazione dei loro figli; offrono, inoltre,
l’opportunità ai giovani di diventare protagonisti
della loro stessa vita, nella consapevolezza di vo-
ler costruire, in un’ottica progettuale, la propria
identità di uomini e cristiani; infine permettono
loro di acquisire una coscienza critica, sviluppan-
do un forte senso di appartenenza all’oratorio e
alla comunità, ed allacciando legami di servizio e
di collaborazione con essi.
Oggi, l’attività pastorale di Lecce è un continuo
ribollire di iniziative in favore dei giovani e del-
le famiglie. I Salesiani si propongono di offrire
alla società degli onesti cittadini e alla chiesa dei
bravi cristiani, ricchi dell’entusiasmo che è sta-
to e rimane sempre la nota caratteristica dei figli
di don Bosco, tenendo naturalmente presente un
vero modello da incontrare, conoscere, amare e
seguire, san Domenico Savio.
Domenico Savio pur essendo definito il santo
dei giovani, è anche il protettore delle mamme in
attesa, di tutte le coppie senza tralasciare quelle
non fertili ma feconde nello spirito, degli anzia-
ni specialmente in difficoltà, degli ammalati con
22
Marzo 2012

3.3 Page 23

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2. La casetta
di Riva presso Chieri
Un centro di spiritualità costruito e gestito
da exallievi e cooperatori
particolare riguardo a coloro che, scoraggiati, per-
dono la speranza e di tutti coloro che rischiano di
perdere la propria anima e la “vera vita” (Dome-
nico, infatti, diceva: «se riesco a salvare un’anima
potrò essere sicuro dell’anima mia»).
La spiritualità di questo adolescente di famiglia
modesta, assetato d’infinito, prende sul serio la
vita, non si accontenta del banale e del superficia-
le, ma è da sempre in cerca di ciò che dà senso e
significato alla sua stessa esistenza.
Per Domenico, la santità non è mai stato qualco-
sa di utopistico: è possibile diventare santo attra-
verso il vivere sanamente il proprio quotidiano,
nell’impegno costante e generoso del proprio do-
vere, nel far del bene agli altri, ma soprattutto,
nell’allegria e nella gioia.
Il più grande sogno di Domenico era quello di
diventare sacerdote: egli, però, non poté mai rea-
lizzare quel sogno; tuttavia realizzò ampiamente
un altro suo sogno, cioè quello di guadagnare la
sua anima al Signore e unirne alla sua una molti-
tudine, cosicché poté attuare la frase che lo aveva
turbato e conquistato: «Da mihi animas, coetera
tolle». La sua vita diventa per ogni genitore e per
ogni educatore una sorgente da cui attingere indi-
cazioni e orientamenti per offrire agli adolescen-
ti, nel non facile accompagnamento educativo in
questo XXI secolo, valide ragioni di vita e forti
motivi di speranza. Una santità giovanile, quella
di Domenico, che vale la pena di conoscere e stu-
diare, per donarla nella sua originale freschezza
alla gioventù disorientata e spaventata.
Nel 1979, don Felice Rizzini, Ispettore della al-
lora Ispettoria Centrale chiamò il delegato degli
Exallievi e Cooperatori e fece una proposta: «A S.
Giovanni di Riva presso Chieri c’è la Casa natìa
di S. Domenico Savio e l’annesso complesso agri-
colo dei Gastaldi, assai fatiscente e da anni non
più in attività, da ristrutturare, e possibilmente
gestire come casa di spiritualità... L’Ispettoria è
impegnata nel Progetto Africa e per il momento
non può impegnarsi in altro. Noi pensiamo all’ac-
quisto, voi – exallievi e cooperatori – pensate al
resto...».
Si incominciò così, sensibilizzando anzitutto la
Famiglia Salesiana, amici, conoscenti, in Pie-
monte, in Italia, all’estero.
Ben presto ci trovammo coinvolti in un “gruppo-
ne” di ragazzi e ragazze, mamme e papà, disposti
In alto a sinistra :
Interno della
Basilica di San
Domenico Savio.
Fu onorata con
questo titolo
dieci anni dopo
la consacrazione,
il 16 aprile 1984.
Sotto: L’ingresso
del Centro di
Spiritualità di Riva
presso Chieri.
Marzo 2012
23

3.4 Page 24

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LE CASE DI DON BOSCO
Sotto: La casa
natia di san
Domenico Savio.
In alto a destra :
Cortile ed edifici
del Centro di
Spiritualità gestito
da un gruppo
di exallievi e
cooperatori.
a fare di tutto. Arrivarono in-
tanto anche i primi soldi della
Provvidenza: il sufficiente per
iniziare.
Ad ogni fine settimana gli abi-
tanti della borgata si abituaro-
no, dapprima un po’ sorpresi, a
vedere questo numeroso grup-
po di giovani allegri e attivi.
Ben presto la curiosità si tra-
sformò in amicizia e in colla-
borazione. Una reciproca stima
che dura tutt’oggi.
Il 3 Maggio 1987, il sogno era
diventato realtà. Fu inaugurata
“La Casetta, Centro di spiritualità S. Domenico
Savio”.
I locali ampi, luminosi, belli e completi di ogni
mobilio; i giardini e i prati rimessi a nuovo, un
verde campetto per il gioco, l’abitazione di san
Domenico Savio risanata e adornata, con la cap-
pellina, l’esposizione di un piccolo museo che ri-
cordava l’attività del padre, quadri, documenti e
testimonianze su Domenico Savio.
Da allora la casa non ha mai smesso di fun-
zionare. Sono migliaia i ragazzi che vi hanno
trascorso qualche giorno, sui passi di san Do-
menico Savio, dall’Italia e dall’estero. A gestir-
la è stata costituita un’Associazione formata da
membri laici della Famiglia Salesiana e da un
sacerdote salesiano, con un presidente eletto e
responsabile anche sotto l’aspetto civile. Il cuo-
re del movimento è costituito da un gruppo di
exallievi e cooperatori che si sono incontrati nei
Campi Scuola estivi e che hanno fatto della Ca-
setta il punto di incontro.
Non mancano difficoltà, come dappertutto. Ma
una cosa ci consola, che la Provvidenza è sempre
largamente presente, forse per premiare anche la
sincera e buona volontà di tanti, la gratuità del
servizio; forse per la fedeltà a mantenere vivo e
operante il significato dell’opera.
www.casettasandomenicosavio.it
24
Marzo 2012

3.5 Page 25

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PER UNA FANTASTICA GITA
3. Il santuario di Chamois,
2500 metri
Anche se è quasi sconosciuto sorge su
uno dei pianori più incantevoli delle Alpi,
di fronte al Cervino
Nel 1970 il signor Amato Gorret di Valtournen-
che letteralmente affascinato da don Bosco e da
Domenico Savio fece costruire, con l’aiuto dei ra-
gazzi dell’Istituto Salesiano di Sesto san Giovan-
ni, una cappella sul displuvio del Col Clavalité
sopra Chamois a 2500 metri di altitudine.
La cappella ha la forma di semibotte con la porta
di accesso verso Chamois.
È stata benedetta dal vescovo di Aosta monsignor
Ovidio Lari nel 1974 e dedicata a san Domenico
Savio. La cura dell’edificio è in carico al parroco
di Chamois e in parte ai nipoti di Amato Gorret.
Le chiavi per accedervi le conservano il parroco
di Chamois (che attualmente è il salesiano don
Benito Strizzolo) e di Valtournenche.
Ogni anno il 2 di agosto, avviene un incontro di
amicizia e di preghiera con i fedeli di Chamois, di
Valtournenche e i numerosi villeggianti.
Tradizionalmente alle ore 11,00 si celebra la santa
Messa. Nei primi anni si celebrava all’interno della
Le vie di accesso sono due.
Da Valtournenche attraverso il versante di Cheneil con il tempo di percorrenza
di poco più di un’ora.
Da Chamois: a piedi lungo l’erta in un’ora e trenta minuti e da tre anni a questa
parte anche in seggiovia con partenza dal centro del paese in due tronconi.
Chamois è il comune più alto della Valle d’Aosta e uno fra i più alti d’Italia.
Il paese è raggiungibile solo mediante una funivia che parte da Buisson, fra-
zione di Antey-Saint-André; esiste peraltro una mulattiera percorribile in circa
due ore, che permette di
giungere a Chamois a piedi
o in bicicletta.
In questa località non cir-
colano le vetture: il paese
ha mantenuto intatte tutte
le caratteristiche di piccolo
borgo alpino, con le abi-
tazioni in legno e pietra e
le piccole stradine che lo
attraversano.
cappella contenente una cinquantina di persone, ma
da diversi anni si celebra all’aperto sul lato est della
costruzione dato il notevole afflusso dei pellegrini.
Al termine dell’eucaristia segue il pranzo all’a-
perto preparato di comune accordo dai rappre-
sentanti di Chamois e di Valtournenche.
Nel primo pomeriggio si recita ancora insieme il
santo Rosario prima di rientrare alle proprie case
o ancora intraprendere qualche escursione verso il
col di Nana.
Il santuario al Col
Clavalité, 2500
metri. Ogni anno,
il 2 agosto, qui si
celebra un incon-
tro di preghiera
nel nome di san
Domenico Savio.
Marzo 2012
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3.6 Page 26

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A TU PER TU
CHIARA BERTATO E MATTEO RUPIL
Monsignor Tito Solari
Cscoocmhmaebtatemsbuai giovani raccontalasuaBolivia
In questo momento la prima sfida
per la Chiesa è quella di essere
elemento di unione nel Paese,
diviso al suo interno da due modi
differenti di concepire la politica.
Come don Bosco ha toccato
il suo cuore?
Io credo che il Signore mi abbia fatto
salesiano mediante lo spirito di fami-
glia che si viveva nel collegio di Tol-
mezzo, dove ho vissuto per cinque
anni. Quell’ambiente mi ha affascinato,
mi ha preso tanto che mi sono chiesto:
“Ma perché non potrei continuare a vi-
vere qui?”. Ha molto più senso spende-
re la vita per educare i giovani piuttosto
che fare orologi come mio padre.
Come è nato in lei il sogno
di andare in missione?
Non ho mai avuto il desiderio di
andare in missione. Mi sono solo
chiesto: se la vocazione salesiana im-
plicasse la disponibilità ad andare in
qualsiasi luogo, a mettersi a dispo-
sizione in modo totale? Quando c’è
stato bisogno di un salesiano per la
Bolivia, io ho accettato.
Quali sono le sfide politiche
e sociali che in Bolivia
vedono la Chiesa in prima
linea?
In questo momento la prima sfida
per la Chiesa è quella di essere ele-
mento di unione nel paese, diviso al
suo interno da due modi differenti di
concepire la politica. Altro compito
è quello di approfondire e rinnovare
l’Evangelizzazione.
La Chiesa cerca di porsi anche come
elemento critico di fronte a certe scel-
te politiche che ha assunto il governo,
come le alleanze con Castro e Chavez
e la teoria della “decolonizzazione”,
che prevede di liberarsi da tutto ciò
che è stato introdotto durante il pe-
riodo coloniale. In questo processo
26
Marzo 2012
«In questo momento la prima sfida per la Chiesa
è quella di essere elemento di unione nel Paese».

3.7 Page 27

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TITO SOLARI
si combatte quindi anche contro la
Chiesa e la religione. Noi, davanti a
queste scelte, ci poniamo in modo cri-
tico e sopportiamo anche la persecu-
zione, perché l’essere perseguitati si-
gnifica avvicinarsi sempre più a Gesù.
Non ci scoraggiamo.
Il governo ha adottato anche alcuni
provvedimenti positivi, rinnovando la
Costituzione, in modo da garantire
maggiori opportunità di partecipa-
zione. Inoltre si sono nazionalizzate
le miniere e il gas naturale, non nel
senso di togliere la proprietà a chi la
deteneva, ma facendo in modo che le
imprese che sfruttano tali risorse inca-
merino solo il 18% degli utili a diffe-
renza dell’82% che ottenevano in pre-
cedenza.
Prima la Bolivia era onerata da un
pesante deficit, ora ha un surplus di
milioni di dollari, che permetterebbe
di intraprendere grandi iniziative a
carattere sociale, come l’assicurazione
sanitaria ai bambini ed alle mamme e
di fornire una pensione.
Ha mai paura
per la sua vita?
Alcune volte mi sono trovato di fronte
a situazioni di violenza. Ma non ho
mai avuto paura, veramente paura no,
mai. Dicono che non ho paura per-
ché non sono cosciente del rischio che
corro, ma io ho fiducia nel Signore,
mi affido a Lui. Lui disporrà per il
meglio, fosse anche conveniente che
io venissi pestato.
Tito Solari, nato nel 1939
in provincia di Udine, è
stato ordinato sacerdote
salesiano nel 1966.
Dal 1974 vive in
Bolivia, dove è sta-
to parroco e ispettore dei salesiani. Ordinato
vescovo nel 1987, dal 1999 è arcivescovo di
Cochabamba.
Il rischio che corro deriva da una situa-
zione di insicurezza generale del paese.
La Bolivia è uno stato a rischio, non
c’è più garanzia di sicurezza da parte
della polizia e della magistratura.
Si fa ampia diffusione del
concetto di emergenza
educativa. Che cosa vede
lei nei ragazzi d’oggi?
Io voglio tanto bene ai giovani: sono
la ragione della mia vita, mi attirano
dal profondo. Sento che sono dispo-
nibili ad accogliere persone che hanno
scoperto il senso della vita, si lasciano
portare da queste, le seguono docil-
mente. Nei giovani scopro la tenerez-
za, la meraviglia, il desiderio di vivere
in pienezza, il fascino di ricercare e
scoprire l’Amore di Dio, l’innocenza,
la miseria che ha bisogno di miseri-
cordia. Vi sono davvero tante cose che
mi commuovono nei giovani.
Qual è la “sete” che
percepisce in un giovane
boliviano ed in un giovane
italiano?
La sete più grande dei giovani in
Bolivia è realizzarsi, poter studiare,
avere una professione. I giovani qui
fanno enormi sacrifici per studiare.
I ragazzi nati in un contesto di ab-
bondanza credo, invece, si domandi-
no che senso abbia la vita e vogliano
scoprirlo senza lasciarsi ingannare da
immagini fasulle.
Può esprimere
un desiderio...
Vorrei chiedere al Signore la Grazia
che molti giovani scoprano il teso-
ro di una vocazione, il senso di una
vita resa dono, la bellezza di seguire
Gesù per incontrarsi in un mare di
comunione, in un mondo colmo del-
le meraviglie di Dio, per vivere felici.
Auguro a tutti di scoprire quanto don
Bosco ci vuole felici!
«La sete più grande dei giovani è realizzarsi, poter
studiare, avere una professione».
Marzo 2012
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3.8 Page 28

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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Che ne dite? Ilnotopedagogista
autore di moltissimi libri
sull’educazione comincia
con questo articolo
la sua collaborazione
al Bollettino Salesiano
Foto Shutterstock
1. Le coccole
Tutti i bambini del mondo nascono
ammalati di una dolce malattia: la
Coccolite.
Tutti amano essere abbracciati, vez-
zeggiati, avviluppati nel tepore di
qualcuno.
Un bambino privo di coccole, molto
facilmente, sarà, domani, un adulto
apprensivo, ansioso, incerto, incapace
di serenità e di sicurezza.
Le coccole fanno bene! Su questo, or-
mai, nessuno discute più!
Con le coccole, infatti, mandiamo
mille messaggi tutti positivi al bam-
bino: “Ti vogliamo bene. Siamo contenti
che ci sia. Tu ci importi. Sei prezioso!”.
Non per nulla la parola ‘carezza’ deri-
va dal latino ‘carus’ nel senso di ‘caro’
e ‘prezioso’.
La carezza è sempre una dichiarazione
d’amore, diceva Piero Balestro, autore
di un prezioso lavoro: Parole d’amore.
La terapia delle coccole.
Le coccole fanno così bene che alcuni
psicologi propongono il «metodo del-
la mamma canguro».
Il contatto pelle a pelle tra il bambi-
no e la madre è terapeutico: giova alla
crescita, previene le malattie, miglio-
ra l’umore, stabilizza le funzioni car-
diache, fa passare la ‘bua’…
A parte questo, il valore delle coccole
sta, soprattutto, nel fatto che sono un
vero e proprio nutrimento affettivo:
proiettano sul bambino calore, dol-
cezza, piacere. Gli danno una gioia
totale. Cinque secondi di carezze lan-
ciano più messaggi che cinque minuti
di parole.
A questo punto diventa chiaro che
coccolare non è viziare, non è arren-
dersi al bambino. Coccolare è ama-
re allo stato puro: è baciare l’anima.
Gesù stesso ha praticato il linguaggio
dell’abbraccio (Mt 10,16). Dunque,
passiamo alle coccole! È urgente!
Lo psicologo colombiano Carlos Re-
streps nel suo studio Il diritto alla te-
nerezza sostiene che noi Occidentali
siamo sempre più analfabeti in fatto
di tenerezza.
Possiamo dargli torto?
2. Il benessere:
conquista o trappola?
A mio figlio non deve mancare nul-
la…!”: è una specie di ritornello di
tanti genitori.
E così la distanza tra il desiderio e la
sua realizzazione è diventata, via via,
sempre più breve, fino ad azzerarsi.
Sono scomparse l’attesa e la conquista
che erano stati efficaci ormoni della
crescita psicologica. Il desiderio ha
perso la sua spinta creativa.
Tutto è lì pronto. L’uomo trova tut-
to, meno lo sforzo. Il che è come dire:
l’uomo non trova più l’Uomo. Quan-
do la persona umana non ha da fati-
care, da combattere, da raggiungere,
da costruire, da battersi per qualcosa
e per qualcuno, è come se fosse morta.
Il benessere: una conquista o una
trappola?
28
Marzo 2012

3.9 Page 29

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3.10 Page 30

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CREATIVITÀ SALESIANA
ANGELIKA LUDERSCHMIDT - FOTO DI GREGORY P. GUGALA
Traduzione di Marisa Patarino
Un supermercato
come scuola
Sistemare scatolette, scaffali, banchi.
Ad Aschau am Inn, in Baviera, Andreas
Erhard svolge il suo percorso di formazione
lavorando nel campo della vendita.
Il supermercato “Don Bosco” di Edeka,
una nota catena distributrice di prodotti
alimentari, sotto il patrocinio dell’Ispettoria
tedesca dei Salesiani di Don Bosco si
impegna ad aiutare i giovani svantaggiati.
Andreas vi lavora dal settembre scorso.
Il Don Bosco magazin l’ha accompagnato
al lavoro.
“Non ho ancora com-
preso tutto dell’or-
ganizzazione, ma
faccio progressi”.
Andreas Erhard ri-
de con un’aria fur-
ba mentre sistema una confezione di
formaggio da spalmare nel frigorife-
ro. Poco fa il diciottenne Andreas ha
indossato la sua uniforme, una polo
blu che riporta a sinistra il logo rosso
“Don Bosco”.
Il regno di Andreas comincia nel retro
del grande supermercato. Qui si trova
bene e si impegna volentieri. Solo ra-
ramente la sua disabilità lo ostacola nel
lavoro. Fin dalla nascita, Andreas sof-
fre di una paralisi al lato destro. «Ma
posso fare tutto. Qualche volta il mio
handicap mi ostacola, ma accadrà forse
ogni tre mesi», dice. Poi cambia subi-
to argomento. Quando parla del suo
lavoro, Andreas usa i termini tecnici
della vendita al dettaglio, come un la-
voratore di lunga data di questo setto-
re. «Gli articoli devono essere sistema-
ti sugli scaffali in ordine decrescente di
date di scadenza», spiega, mentre con
la mano sinistra dispone nella sede op-
portuna una confezione di yogurt. Ol-
tre alla sistemazione dei vari articoli,
tra i suoi compiti si annoverano anche
il controllo dell’assortimento e il rior-
dino delle merci.
Da settembre dell’anno scorso,
nel supermercato “Don Bo-
sco” di recente costruzione
Andreas sistema i surgelati nel
freezer. Tra i suoi compiti si
annoverano anche il controllo
dell’assortimento e il riordino
delle merci.
21 giovani di Aschau seguono il loro
percorso di formazione che li porterà
a diventare venditori o commercianti
al dettaglio. Per il gestore, l’Ispettoria
tedesca dei Salesiani di Don Bosco,
questo punto vendita Edeka apposita-
mente avviato è un progetto pilota.
In precedenza, Andreas e gli altri ap-
prendisti seguivano il loro percorso
in una piccola drogheria della super-
30
Marzo 2012

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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ficie di 150 metri quadrati ubicata
vicino alla farmacia del centro, che al
momento è chiusa. La superficie del-
lo spazio di vendita del nuovo punto
vendita è pari a 600 metri quadrati.
«Il lavoro che posso svolgere qui è più
interessante rispetto a quanto accadeva
nel vecchio negozio. Qui posso parlare
con i clienti e dare loro consigli», dice
Andreas, tirando leggermente verso
l’alto i suoi jeans un po’ larghi.
Nel supermercato Don Bosco-Edeka,
Andreas è responsabile del reparto
prodotti freschi e surgelati, come lo
era nella drogheria. «I clienti sono
molto gentili e si rapportano in modo
positivo a noi. Solo a volte qualcuno
si mostra un po’ seccato, quando non
trova qualcosa». Andreas saluta ami-
chevolmente una cliente che spinge
un carrello della spesa.
«Qui al supermercato i giovani
acquisiscono competenze utili
per la vita sociale e hanno un
contatto diretto con i clienti. È
una formazione costruttiva».
(Hans Kiefl, responsabile del
progetto)
Accanto alla cucina, al primo piano
del supermercato, si trova anche la
sala-studio. Ogni martedì Andreas
deve trovarsi qui insieme a quattro
suoi compagni di classe del terzo anno
per studiare. Fanno parte del piano di
studi la contabilità e la matematica.
Inoltre, per tutta la giornata di giovedì
sono proposte le lezioni del centro di
formazione professionale “Waldwin-
kel”. Nel pensionato annesso al centro,
Andreas vive insieme a 260 altri ap-
prendisti con necessità specifiche. Poi-
Fin dalla nascita, Andreas soffre di una paralisi al
lato destro. «Ma posso fare tutto», dice.
ché il lunedì, il mercoledì e il venerdì
non ci sono lezioni, Andreas può effet-
tuare il primo turno di lavoro, dalle 6
alle 15,30, come oggi.
Circa mezz’ora dopo la fine dell’orario
di lavoro, Andreas torna al pensionato
e vi trascorre due ore di tempo libero;
seguono poi un’altra ora di studio e
quindi la cena. Nei momenti liberi dal-
lo studio e dal lavoro, Andreas ascolta
musica e si dedica al suo hobby prefe-
rito: visitare siti Internet di automobili.
I suoi occhi brillano, quando guarda il
calendario appeso a una parete della
sua camera su cui sono raffigurate auto
veloci e potenti in bella mostra.
Al termine della prossima estate, il
diciottenne completerà il suo percorso
di formazione per diventare venditore
al minuto.
I responsabili del percorso di formazio-
ne che si svolge al supermercato sono
Nel pensionato annesso al centro di formazione
professionale “Waldwinkel” il diciottenne Andreas
si sente a casa. Dopo la fine dell’orario di lavoro,
il ragazzo torna qui a trascorrere il tempo libero.
contenti di lui. E anche gli insegnanti
di “Waldwinkel” immaginano un fu-
turo positivo per questo giovane con il
gel tra i capelli arruffati e un piercing
all’orecchio. «Andreas percorrerà la sua
strada», dice Hans Kiefl, il responsa-
bile del progetto. «Il terzo anno è im-
portante per il suo cammino verso la
maturità. Qui al supermercato i giova-
ni acquisiscono competenze utili per la
vita sociale e hanno un contatto diretto
con i clienti. È una formazione costrut-
tiva». Il docente che si trova accanto a
lui concorda e aggiunge: «Prima della
fine del corso, Andreas deve ancora
imparare ad arginare la sua esuberanza
e studiare». Presto comincerà l’impor-
tante fase della preparazione all’esame.
Inizierà poi anche la parte applicativa
finalizzata a imparare a presentare la
propria candidatura per un impiego.
Quando gli si domanda dove gli pia-
cerebbe lavorare, Andreas ha la ri-
sposta pronta: «Vorrei impegnarmi
nell’ambito tecnico. Sarebbe magnifi-
co, se trovassi un lavoro in un centro
vendita di articoli per l’informatica o
la telefonia cellulare».
Marzo 2012
31

4.2 Page 32

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NOI & LORO
ALESSANDRA MASTRODONATO
LA FIGLIA
Il fratello
mancante
Sono sempre di più le coppie che,
per i motivi più vari, scelgono di
avere un unico figlio su cui ri-
versare tutto il proprio affetto,
le proprie attenzioni e le proprie
aspettative per il futuro. Ma
come si cresce senza fratelli?
Un figlio per due genitori più quattro nonni. Uno
per sei. Solo in una folla di adulti. È il dilagare
dei figli unici, delle “famiglie verticali”, quelle del
formato a tre: mamma, papà e un solo figlio, la
maggioranza ormai, come confermano tutte le
statistiche degli ultimi anni. Già, perché anche in
Italia, come nella maggior parte degli altri Paesi
occidentali, sono sempre di più le coppie che, per
i motivi più vari, scelgono di avere un unico figlio
su cui riversare tutto il proprio affetto, le proprie
attenzioni e le proprie aspettative per il futuro. Ma
come si cresce senza fratelli? Che adolescenti di-
ventano questi bambini che non
dividono la loro stanzetta
con nessuno, cuore, centro e anima di genitori,
nonni e zii, tutti protesi unicamente verso di loro?
Essere figli unici significa, infatti, sperimentare
solo la “dimensione verticale” dei rapporti fami-
liari, quella che regola le relazioni con il mondo
degli adulti. Il rischio più alto? Indubbiamente
quello della solitudine, ma anche quello di crescere
in un ambiente familiare iperprotettivo ed ecces-
sivamente carico di aspettative e di investimenti
affettivi da parte di troppi adulti, da cui diventa
difficile emanciparsi per conquistare una maggiore
autonomia e un proprio spazio di libertà.
La presenza di fratelli e sorelle consente, al con-
trario, di fare esperienza fin da piccoli anche della
“dimensione orizzontale” delle relazioni; di avere
a fianco qualcuno con cui giocare, confrontarsi,
competere, interagire e, perché no, anche litigare;
di imparare sin da subito a relazionarsi con la di-
versità e a saper gestire i conflitti; di comprendere
che il mondo non ruota intorno a sé e che talvolta
è necessario ridimensionare le proprie esigenze e le
proprie pretese per andare incontro a quelle degli
altri. Un fratello o una sorella sono la prima pale-
stra di vita per un bambino e possono rivelarsi un
dono tanto più prezioso per un adolescente.
È vero che tra fratelli e sorelle, soprattutto negli
anni difficili dell’adolescenza, i rapporti sono spes-
so tutt’altro che idilliaci e che le liti per affermare
la propria personalità e i propri diritti o, magari,
per conquistarsi una fetta più grande dell’attenzio-
ne dei genitori sono all’ordine del giorno. Per non
parlare delle beghe infinite che scoppiano quando
uno dei figli è convinto di subire un’ingiustizia da
parte dei genitori, di ricevere un trattamento di-
verso rispetto ai propri fratelli o sorelle, di essere
il “capro espiatorio” cui vengono immancabilmen-
te addossate tutte le colpe e le responsabilità dei
propri fratelli. Ma spesso avere un fratello o una
sorella può significare, per un adolescente, avere
qualcuno con cui condividere sogni, paure e aspira-
zioni, un complice fidato con cui stringere alleanze
per contrattare permessi e spazi di libertà.
32
Marzo 2012

4.3 Page 33

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MARIANNA PACUCCI
F are figli è sempre più difficile: è
vero. Intervengono condiziona-
menti pesanti, quali la precarietà
del lavoro, la crisi economica, i
funambolismi per conciliare nel-
la stessa giornata impegni diver-
si, ma anche le fragilità affettive della
coppia, la solitudine con cui spesso si
affronta una maternità, la crescente in-
competenza educativa dei genitori.
L’elenco delle cause oggettive che scoraggiano la
generazione della prole si allunga se a tutto questo
si aggiungono anche motivazioni meno serie, ma
forse altrettanto corrosive: il non voler rinuncia-
re a interessi e ritmi di vita poco compatibili con
le esigenze di un bambino; l’inserimento acriti-
co in una cultura edonistica e consumistica che
considera una perdita secca i sacrifici necessari
per crescere un figlio; l’insidiosa quanto diffusa
sfiducia nel futuro, che allontana gli adulti da un
investimento affettivo di lungo periodo.
Per tutte queste motivazioni, le famiglie riduco-
no al minimo la procreazione, ma non sembrano
voler rinunciare del tutto a questa esperienza: di
qui la “tentazione” del figlio unico. Desiderato,
vezzeggiato, viziato all’interno di una volontà
di autorealizzazione che supera di gran lunga la
consapevolezza del farsi dono nell’amore coniu-
gale per fare dono della vita ad una nuova crea-
tura. E quando arriva il secondo figlio, spesso lo
si definisce con superficiale disinvoltura “un in-
cidente di percorso”. Alle coppie più sfortunate,
che arrivano a concepire il terzo figlio, amici e
parenti quasi fanno le condoglianze, invece di
condividere la gioia grande di una nuova mater-
nità e paternità.
Così va il mondo: ma a fare le spese di questo
orientamento problematico sono proprio loro, i
figli unici, per lo più condannati ad una solitudi-
ne che nessuna amicizia potrà davvero colmare;
chiusi in un egocentrismo che condizionerà forse
irrimediabilmente il loro percorso di crescita; pri-
Non avrai LA MADRE
altro figlio
all’infuori di me
vati della possibilità di condividere giochi e litigi,
confronti e solidarietà paritarie con un fratello;
in qualche caso perfino limitati nella costruzione
della loro identità dalla mancanza di un rapporto
ravvicinato con l’altro sesso.
Non è un caso che tanti bambini, forse più ma-
turi degli adulti, quasi invochino dai loro genitori
il regalo di un fratellino o di una sorellina, pur
sapendo che questa gioia molto spesso verrà
loro negata o arriverà magari troppo tardi,
quando ormai questa presenza nuova vie-
ne percepita come un intruso che rompe
equilibri affettivi e stili di vita cristal-
lizzati nel loro egoismo. Ed è altret-
tanto significativo che, nelle famiglie
spezzate e ricostruite, tanti ragazzi e
ragazze in fondo accettino più facil-
mente la figura di fratellastri e sorel-
lastre rispetto a quella di un padre
o una madre surrogati, che tentano
di affiancare o sostituire i legami di
sangue ed educativi consolidati.
Qualcuno dice, lavorando su dati
statistici e proiezioni sociologiche,
che questa tendenza sta gradual-
mente modificandosi. Sarà vero?
Si attendono segnali di spe-
ranza, insieme a motivazioni
autentiche e non solo auto-
centrate, nella disponibilità a
generare figli con gioia.
Marzo 2012
33

4.4 Page 34

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CHIESA OGGI
FRANCO GARELLI
I molti perché
del calo delle
vocazioni
Quali sono le ragioni
del calo delle vocazioni?
Quali oggi i principali
ostacoli alla scelta
di una vita sacerdotale
o religiosa?
Nell’ultima ricerca
del professor Garelli
la gente non individua
un fattore prevalente, ma
chiama in causa una serie
di ragioni concomitanti.
Giovani novizi
salesiani in pre-
ghiera. La scelta
della consacrazio-
ne religiosa è una
sfida sempre più
ardua.
La maggioranza della popolazione si sente
lontana dalla figura che nella nostra so-
cietà più rappresenta un ponte tra uomo e
Dio, tra chiesa e territorio. La caduta di
popolarità del clero è un evidente indizio
della crisi di riconoscimento sociale che
coinvolge il ruolo del prete nella modernità avan-
zata, come emerge anche dall’andamento delle
vocazioni religiose negli ultimi decenni.
I dati dell’Annuarium Statisticum Ecclesiae foto-
grafano infatti una forte curva discendente: se
nel 1978 i sacerdoti diocesani in Italia erano
41627, nel 2006 essi sono scesi a 33 409, circa
il 25% in meno. Il calo dei sacerdoti religiosi è
stato anche maggiore: dai 21 500 nel 1978 sono
passati a circa 13 000 nel 2007, circa il 40% in
meno. Il 60% del totale dei preti è stato ordinato
prima del 1978 e, quindi, l’età media del clero
diocesano già nel 2003 era di 60 anni, di cui
il 13% formato da ultraottantenni e solo meno
del 19% con un’età inferiore ai 40 anni. Tutto
ciò si riflette ovviamente in un turnover nega-
tivo per i sacerdoti, con le nuove vocazioni che
non compensano i decessi, per non parlare degli
abbandoni. Nel 2006, ad esempio, si sono avute
in Italia 473 nuove ordinazioni, a fronte di 708
decessi e di 28 persone che hanno lasciato il mi-
nistero. In altri termini, per ogni due nuovi sa-
cerdoti ordinati se ne perdono circa tre. Il clero
34
Marzo 2012

4.5 Page 35

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in Italia, dunque, ha sempre meno effettivi ed è
sempre più vecchio.
I principali ostacoli
Quali sono le ragioni del calo delle vocazioni?
Quali oggi i principali ostacoli alla scelta di una
vita sacerdotale o religiosa? Nel rispondere a que-
sta domanda, la gente non individua un fattore
prevalente, ma chiama in causa una serie di ra-
gioni concomitanti. Tra queste, due spiccano con
maggior evidenza: il «non potersi sposare e avere
figli» (sottolineata dal 34,6% dei casi) e il dover
«rinunciare a troppe cose» (32,8%). L’etichetta
della rinuncia è dunque fortemente appiccicata
alla condizione del prete o alla vocazione religio-
sa, sia per la norma della chiesa di Roma che pre-
vede il celibato del clero, sia per il minor grado di
libertà e di autonomia in genere attribuito a chi
compie questa scelta di vita. L’idea di sacrificare
una parte vitale di se stessi – vuoi rinunciando a
un legame affettivo, a una vita di coppia, all’e-
sperienza della paternità, vuoi limitandosi nelle
proprie possibilità espressive – risulta assai ostica
alla sensibilità attuale, che mira a un modello di
realizzazione vario e articolato, orientato a non
precludersi opportunità in tutti i campi dell’esi-
stenza.
Ma la rinuncia non è l’unica «palla al piede»
attribuita alla vita sacerdotale e religiosa. Altri
elementi negativi o problematici vengono indi-
viduati nell’aver a che fare con una scelta di vita
totalizzante, «che impegna per sempre», nel peso
della responsabilità connessa a questo tipo di
vocazione, nella condizione di solitudine a cui
vanno incontro «gli uomini e le donne di Dio».
Ognuno di questi aspetti è sottolineato da circa
il 20% della popolazione. Si precisano così ulte-
riormente le riserve culturali oggi prevalenti nei
confronti di una scelta sacerdotale o religiosa che
molti ritengono controcorrente rispetto alle ten-
denze prevalenti. Ciò in quanto essa si presenta
anzitutto come il frutto di una decisione irrever-
L’etichetta della
‘rinuncia’ è forte-
mente collegata
alla condizione del
prete e alla voca-
zione religiosa.
Marzo 2012
35

4.6 Page 36

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CHIESA OGGI
L’idea della
solitudine affettiva
e sociale e l’isola-
mento connesso
al ruolo religioso
che non gode più
della considera-
zione che aveva
nel passato sono
altre difficoltà
per la vocazione
religiosa.
sibile, come una scelta totale di vita, che si smarca
dalla tendenza di molti giovani a procrastinare
le decisioni di fondo dell’esistenza o a non ope-
rare opzioni definitive. L’accenno al carico di re-
sponsabilità evidenzia invece la difficoltà attuale
ad assumere ruoli socialmente impegnativi, nei
quali la dedizione e il sacrificio, gli oneri e i do-
veri, sembrano di gran lunga prevalenti rispetto
alle possibilità di realizzazione personale. Inoltre,
l’idea della solitudine chiama in causa non solo
la sfera affettiva, ma anche quella sociale, per un
ruolo religioso che conduce chi lo sceglie al di
fuori delle normali relazioni di vita e che – nella
società secolarizzata – può essere oggetto di scar-
so riconoscimento pubblico. Non c’è dunque solo
una solitudine dovuta alla mancanza di una pro-
pria famiglia, ma anche l’isolamento connesso a
un ruolo religioso che nella società contempora-
nea non gode più della considerazione che aveva
nel passato.
Da ultimo, altre difficoltà attuali nel farsi pre-
te o nel consacrarsi a Dio vengono indicate nel
vincolo dell’obbedienza, nella convinzione che
si tratti di opzioni di vita che trovano ostacolo
nella mentalità corrente, nella consapevolezza
che questa non è l’unica via o forma in cui si può
attuare un impegno religioso. Questi tre fattori
negativi vengono segnalati da una quota di po-
polazione che oscilla dall’11 al 16% dei casi. La
disposizione all’obbedienza è comunque l’aspet-
to meno richiamato dalla gente comune nello
spiegare lo scarso appeal che la vita sacerdota-
le o religiosa esercita sui giovani d’oggi; segno
questo non soltanto che per la condizione qui
analizzata si ritengono più rilevanti altri vincoli
e impedimenti (quelli prima esposti), ma anche
che l’«obbedienza» (al vescovo o ai superiori reli-
giosi) viene considerata come una regola costitu-
tiva della vita sacerdotale o religiosa. Per contro,
è più diffusa l’idea che si possa fare del bene o
esprimere l’impegno religioso anche in forme
diverse dal sacerdozio o dalla vita consacrata, in
linea con quella valorizzazione della presenza dei
laici credenti nel mondo che è stata una delle
conquiste del Concilio Vaticano II.
Il credente solitario
Ecco dunque – a detta degli italiani – le ragio-
ni della crisi del clero e della vita religiosa che
sta indebolendo la presenza e l’organizzazione
della chiesa nelle nazioni occidentali. La perdi-
ta di prestigio e di consenso del farsi prete o del
professare i voti religiosi può essere alla base della
distanza sempre più crescente che si registra tra
gli italiani e gli operatori del sacro. Già in pre-
cedenza s’è visto che ben il 45,2% della popola-
zione è ormai convinto di poter fare a meno dei
preti e delle figure religiose nel proprio rapporto
36
Marzo 2012

4.7 Page 37

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RELIGIONE ALL’ITALIANA
Il professor Franco Garelli inse-
gna Sociologia dei processi cul-
turali e Sociologia della religio-
ne nell’Università di Torino. Con
le sue ricerche si è guadagnato
la stima di tutto il mondo ac-
cademico italiano ed estero. È
exallievo salesiano ed è stato a
lungo collaboratore del Centro
di Pastorale. Tra i volumi pub-
blicati con il Mulino: «Forza
della religione e debolezza
della fede» (1996), «Sfide per la chiesa
del nuovo secolo» (2003), «L’Italia cattolica nell’epoca
del pluralismo» (2006) e «La Chiesa in Italia» (2007).
con Dio, idea questa significativamente diffusa
anche tra i molti italiani che continuano a di-
chiararsi cattolici (39,1%). Anche in una nazione
a lunga tradizione cattolica sembra dunque affer-
marsi il profilo del «credente solitario» di cui ha
parlato Peter Berger nei suoi studi sulla situa-
zione americana, tipico di un fedele che in luogo
di accettare il ruolo di mediazione tra uomo e
Dio svolto dal clero e dalla chiesa si affida sempre
più al «fai da te» religioso.
Un’ulteriore conferma di questa tendenza sembra
individuabile nel fatto che non più del 23% degli
italiani dichiara di aver parlato con un sacerdote
dei propri problemi personali nell’ultimo anno;
e ciò pur in un contesto in cui la chiesa e il per-
sonale religioso hanno ancora una presenza assai
disseminata sul territorio, la pratica religiosa della
popolazione è ancora consistente, così come è as-
sai elevato il ricorso ai riti religiosi di passaggio.
Per ampie quote di popolazione il prete è più un
operatore di servizi religiosi che una figura di ri-
ferimento spirituale o morale. Di qui i contatti
essenziali o la scarsa propensione a instaurare con
un sacerdote o con un religioso/religiosa un rap-
porto di confronto e di arricchimento sui temi
personali e spirituali.
Diverso invece è ciò che accade per quote limi-
tate di italiani, che frequentano con maggior
assiduità gli ambienti ecclesiali e hanno mag-
gior familiarità con gli operatori del sacro. È il
caso, ad esempio, dei cattolici «convinti e attivi»,
il 55,5% dei quali dichiara di aver parlato nell’ul-
timo anno con un sacerdote dei propri problemi
personali. Del resto, l’84% di questo insieme di
cattolici più impegnati considera il clero come
una categoria ecclesiale vicina alla propria condi-
zione di vita, segno questo di assonanza sui valori
e di condivisione di esperienze.
L’insieme di queste indicazioni meglio illustra i
confini della crisi del clero nella società italiana.
I preti sembrano aver perso il consenso globale
di cui godevano nel passato, mentre mantengo-
no uno specifico riconoscimento all’interno del
mondo cattolico più impegnato. Man mano che
ci si allontana da questo zoccolo duro del cat-
tolicesimo, diminuisce l’importanza assegnata a
queste figure, che vengono considerate più per le
funzioni che svolgono o per i sacramenti che of-
frono che come punti di riferimento religioso o
spirituale. Ciò non toglie che una parte dei preti
venga valorizzata anche da persone appartenen-
ti a fedi religiose non cattoliche, soprattutto per
l’azione solidale e caritativa che essi compiono a
favore degli ultimi e degli immigrati stranieri. In
effetti, tra i credenti non cattolici, il 18% dichiara
di sentire i sacerdoti cattolici vicini a sé e il 13%
di aver parlato con un prete di questioni persona-
li nell’ultimo anno.
Opinione sui principali fattori-motivi che spiegano il calo
delle vocazioni (valori percentuali; possibili più risposte)
Non potersi sposare
34,6
Bisogna rinunciare a troppe cose
32,8
Una scelta che impegna per sempre
21,7
II peso della responsabilità
19,2
La solitudine
19,3
Oggi ci sono altre possibilità per un impegno religioso
16,4
È la mentalità corrente che ostacola questo tipo di scelte
13,0
II vincolo dell’obbedienza
11,0
Numero di casi
3160
Marzo 2012
37

4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Non tutti erano dei
Domenico Savio
Un’interessantissima
lettera che apre uno
spiraglio sul mondo
di Valdocco
Se nel numero scorso del BS
abbiamo accennato ad un
episodio di bullismo avvenu-
to nella Valdocco di don Bo-
sco, questa volta presentiamo
un caso ancor più grave, che
di nuovo può essere istruttivo per i
genitori e gli educatori di oggi alle
prese con ragazzi difficili e ribelli.
Ecco il fatto. Nel 1865 un certo Car-
lo Boglietti, schiaffeggiato per grave
insubordinazione dall’assistente del
laboratorio di legatoria, il chierico
Giuseppe Mazzarello, denuncia il
fatto alla pretura urbana di Borgo
Dora, che avvia un’inchiesta, con-
vocando l’accusato, l’accusatore e tre
ragazzi quali testimoni. Don Bosco,
nel desiderio di sciogliere la questio-
ne con minori disturbi delle autorità
pensa bene di rivolgersi direttamente
e preventivamente per lettera al pre-
tore stesso. Come direttore di una
casa educativa crede di poterlo e do-
verlo fare “a nome di tutti […] pronto
a dare a chi che sia le più ampie sod-
disfazioni”.
Due importanti
premesse giuridiche
Nella sua lettera anzitutto difende il
suo diritto e la sua responsabilità di
padre-educatore dei ragazzi a lui af-
fidati: fa subito notare che l’articolo
650 del codice penale, chiamato in
causa dall’atto di convocazione, “sem-
bra interamente estraneo all’oggetto
di cui si tratta, imperciocché inter-
pretato nel senso preteso la pretura
urbana si verrebbe ad introdurre nel
Regime domestico delle famiglie, i
genitori e chi ne fa le veci non potreb-
bero più correggere la propria figlio-
lanza neppure impedire un’insolenza
ed un’insubordinazione, [cose] che
tornerebbero a grave danno della mo-
ralità pubblica e privata”.
In secondo luogo ribadisce che la fa-
coltà “di usare tutti que’ mezzi che si
fossero giudicati opportuni […] per
38
Marzo 2012

4.9 Page 39

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tenere in freno certi giovanetti” gli
era stata concessa dall’autorità gover-
nativa che gli inviava i ragazzi; solo
nei casi disperati – invero “più volte” –
aveva dovuto far intervenire “il brac-
cio della pubblica sicurezza”.
L’episodio, i precedenti
e le conseguenze
educative
Quanto al giovane Carlo in questio-
ne, don Bosco scrive che, di fronte
a continui gesti ed atteggiamenti di
ribellione, “fu più volte paternamente,
inutilmente avvisato; che egli si dimo-
strò non solo incorreggibile, ma insul-
tò, minacciò ed imprecò il ch. Maz-
zarello in faccia a’ suoi compagni”, al
punto che “quell’assistente d’indole
mitissima, e mansuetissima ne rimase
talmente spaventato, che d’allora in
poi fu sempre ammalato senza aver
mai più potuto ripigliare i suoi doveri
e vive tuttora da ammalato”.
Il ragazzo era poi scappato dal collegio
e tramite la sorella aveva informato i
superiori della fuga solo “quando seppe
che non si poteva più tenere nascosta
la notizia alla questura”, cosa che non
si era fatto prima “per conservargli la
propria onoratezza”. Purtroppo i suoi
compagni avevano continuato negli
atteggiamenti di protesta violenta,
tanto che – scrive ancora don Bosco –
“fu mestieri cacciarne alcuni dallo sta-
bilimento, altri con dolore consegnarli
alle autorità della pubblica sicurezza
che li condussero in prigione”.
Le richieste di don Bosco
A fronte di un giovane “discolo, che
insulta e minaccia i suoi superiori” e
che ha poi “l’audacia di citare avanti
le autorità coloro che per il suo bene
[…] consacrano vita e sostanze” don
Bosco in linea generale sostiene che
“l’autorità pubblica dovrebbe sempre
venire in ajuto dell’autorità privata e
non altrimenti”. Nel caso specifico
poi non si oppone al procedimento
penale, ma a due precise condizioni:
che il ragazzo presenti preventiva-
mente un adulto che paghi “le spese
che possono occorrere e che si faccia
responsabile delle gravi conseguenze
che forse ne potrebbero avvenire”.
Per scongiurare l’eventuale processo,
che indubbiamente sarebbe stato stru-
mentalizzato dalla stampa avversa, don
Bosco calca la mano: chiede preventi-
vamente che “siano riparati i danni che
In mezzo a tanti bravi ragazzi, a Valdocco non man-
cavano giovani “avanzi di galera” che davano filo da
torcere a don Bosco e ai suoi giovanissimi educatori.
l’assistente ha sofferto nell’onore e nella
persona almeno finché possa ripigliare
le sue ordinarie occupazioni, “che le
spese di questa causa siano a conto di
lui” e che né il ragazzo né “il suo paren-
te o consigliere” sig. Stefano Caneparo
non vengano più a Valdocco “a rinnova-
re gli atti d’insobordinazione e gli scan-
dali già altre volte cagionati”.
Conclusione
Come sia andata a finire la triste vicen-
da non è dato sapere; con ogni probabi-
lità si venne ad una previa conciliazio-
ne fra le parti. Resta però il fatto che è
bene sapere che i ragazzi di Valdocco
non erano tutti dei Domenico Savio,
dei Francesco Besucco e neppure dei
Michele Magone. Non mancavano
giovani “avanzi di galera” che davano
filo da torcere a don Bosco e ai suoi
giovanissimi educatori. L’educazione
dei giovani è sempre stata arte impe-
gnativa non aliena da rischi; ieri come
oggi, c’è bisogno di stretta collabora-
zione fra genitori, insegnanti, educato-
ri, tutori dell’ordine, tutti interessati al
bene esclusivo dei giovani.
Marzo 2012
39

4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A CURA DI PIERLUIGI CAMERONI postulatore generale
Il dono di un figlio
Sono una insegnante di filosofia e
storia e sono sposata da due anni.
Con mio marito faccio parte di un
gruppo Neocatecumenale, senza
del quale non ci saremmo mai
sposati, né riusciremmo a vivere
cristianamente il nostro matri-
monio. Appena sposati ci siamo
aperti alla vita, ma per un anno
e mezzo il bimbo non è arrivato.
Personalmente ho vissuto questo
periodo nella tristezza e tribolazio-
ne: ho preso coscienza delle mie
debolezze e ho sperimentato pure
la forza e la consolazione che solo
la preghiera possono dare. Con-
sigliata da un sacerdote a procu-
rarmi l’abitino di san Domenico
Savio, all’inizio di gennaio 2011
lo richiesi. Ricordo bene quella
mattina quando lo ricevetti per
posta: confidavo tanto nell’inter-
cessione del santo. Nei mesi suc-
cessivi continuai a indossare l’abi-
tino, nonostante si succedessero
timori e delusioni. Io e mio marito
eravamo piuttosto rassegnati,
finché il primo di marzo abbiamo
avuto conferma che Dio è grande,
fedele e misericordioso. Oggi (30
maggio) sono felicemente giunta
al termine del quarto mese di gra-
vidanza. Affido al Signore la vita di
mio figlio che, se è nella volontà di
Dio, nascerà a novembre.
Brai Marici, Uta CA
Pioggia di grazie
da san Domenico Savio
Mi chiamo Rosina; da sempre
devota di san Domenico Savio,
voglio raccontare le grazie rice-
vute per sua intercessione. Mio
nipote era in preda a forte febbre.
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
Appena mi resi conto della grave
situazione, pregai san Domeni-
co Savio, affinché illuminasse i
genitori a portarlo immediatamen-
te al pronto soccorso. La mattina
seguente decisero di accompa-
gnarlo all’ospedale dove gli fu dia-
gnosticata una broncopolmonite,
successivamente curata con esi-
to positivo. Qualche anno fa mio
cognato fu colpito da aneurisma
cerebrale; mi rivolsi allora con fi-
ducia a san Domenico Savio con
la promessa di rendere pubblica
la grazia, se fosse guarito. In po-
chi giorni mio cognato si riprese,
non riportando danni permanenti.
Anche mia figlia ha ricevuto grazie
da san Domenico Savio: deside-
rava avere un bambino dopo che
ne aveva perso uno. Procuratosi
un abitino, poco tempo dopo ri-
mase incinta. Recitava ogni sera
la preghiera della mamma in at-
tesa. Nonostante una gravidanza
difficoltosa, nel febbraio 2009
partorì la sua bambina Arianna.
Rimasta poi priva di latte, a motivo
del parto cesareo, ne ebbe preoc-
cupazione; ma dopo un giorno di
preghiera a Mamma Marghe-
rita fu in grado di allattare la sua
bambina. Un’ultima grazia intendo
segnalare, ottenuta lo scorso anno
da mia cognata, allorché, subìto
un intervento, guarì da emorragia
interna, dopo che io mi ero rivolta
con fiducia a san Domenico Savio.
Cosco Rosina, Rivalta TO
Un cordiale
ringraziamento
a Maria Ausiliatrice
Da parecchi anni soffrivo di ma-
lessere, senza saperne la causa. Il
24 maggio mi trovai a Torino per
la processione in onore di Maria
Ausiliatrice. Anche quella sera
non mi sentivo bene. Mi rivolsi
con fiducia a Maria Ausiliatrice
chiedendole che venisse trovata la
causa del mio malessere. Promisi
che avrei fatto pubblicare la gra-
zia. Trovandomi in seguito ancora
afflitta dal dolore, che durava da
due giorni, mi sottoposi a visita
medica. Fu riscontrata una disfun-
zione cardiaca – fibrillazione – che
attualmente sto curando: il miglio-
ramento è soddisfacente.
Vogliano Graziella,
Cossano Canavese TO
“Si chiamerà Emanuele”
A luglio 2008 scopro con immen-
sa gioia di essere incinta; ma la
felicità mia e di mio marito finisce
ben presto, poiché all’inizio del
terzo mese la gravidanza si inter-
rompe. Tristi, ma non scoraggiati
abbiamo pensato di aspettare per
un certo periodo. Nel frattempo
sono venuta a conoscenza dell’a-
bitino di san Domenico Savio;
ne ho fatto richiesta e l’ho appeso
al letto, pregando il santo. Non
molto tempo dopo scoprii di esse-
re nuovamente incinta; ma anche
questa volta rimasi delusa per l’in-
terruzione della gravidanza. Scon-
fortata e presa dalla paura di non
riuscire a realizzare il mio desi-
derio di diventare mamma, decisi
di appendermi al collo l’abitino di
Domenico Savio e di recitare ogni
giorno la novena con la preghiera
della mamma in attesa. Un giorno
appena entrata in chiesa sentii
pronunciare dal sacerdote questa
espressione: “Il figlio che nascerà
sarà grande e si chiamerà Ema-
nuele”. Da quel momento io e mio
marito, di comune accordo, abbia-
mo deciso che se ci fosse nato un
bambino gli avremmo dato il nome
di Emanuele. Nel settembre 2010
mi ritrovai incinta per la terza vol-
ta: la paura era tanta, ma maggiore
la speranza e la fiducia nella pre-
ghiera. Il 17 maggio 2011 ho dato
alla luce il mio bambino Emanuele,
sanissimo e bellissimo.
Testa Laura, Roma RM
Mamma fuori pericolo
All’inizio del 2011 la signora Renai
stava aspettando un bambino. Per
un incidente d’automobile aveva
subìto danni interni, per cui le ave-
vano dovuto asportare la milza.
In tale condizione la gravidanza
risultava rischiosa per lei e anche
per la creatura che sarebbe nata.
Appena mi giunse la notizia che
Renai era in ospedale molto am-
malata le mandai lo scapolare con
l’annesso libretto di preghiere di
san Domenico Savio. I medici
erano preoccupati per la signora
Renai che, malgrado il grave pe-
ricolo di morte, voleva mettere al
mondo la sua creatura. Per questo
tenne con sé lo scapolare e, unita
a famigliari ed amici, pregava san
Domenico Savio affinché tutto
andasse bene. Il 2 marzo 2011 è
nata la sua bambina molto sana,
di nome Tameeka. Renai era assai
debole, poiché soffriva di varie e
gravi complicazioni, come una va-
sta coagulazione intervascolare,
ma finalmente poté riprendersi e
trovarsi fuori pericolo.
Sr. Irvine Maureen, Scoresby
(Australia)
Pace dopo l’angoscia
Mi trovavo in uno stato di pro-
fonda angoscia, a motivo di di-
scordie familiari. Casualmente ho
trovato un’immagine della beata
suor Eusebia Palomino, alla
quale subito mi sono raccoman-
data implorandola con tanta fede.
In breve tempo è ritornata la pace.
Ringrazio infinitamente la beata e
anche Maria SS. Ausiliatrice a cui
affido me stessa e la mia famiglia.
Curti Teresa, Genova
40
Marzo 2012

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
Il custode di Maria e del neonato Gesù
È venerato come santo dalla Chiesa cattolica e da quella orto-
dossa, di lui Matteo e Luca ci dicono che era un discendente del
re Davide ed abitava nella piccola città di Nazareth e secondo
il Nuovo Testamento è lo sposo di Maria e il padre putativo di
Gesù (dal latino puto, “credo”, cioè colui “che era creduto” suo
padre). I Vangeli e la dottrina cristiana affermano che il vero
padre di Gesù fu Dio stesso: Maria lo concepì miracolosamen-
te per intervento dello Spirito Santo. XXX, messo al corrente
dell’accaduto da una visione, accettò di sposarla e di riconosce-
re Gesù come proprio figlio. Insieme a Maria e Gesù Bambino
sono anche collettivamente riconosciuti come Sacra famiglia.
La sua professione viene nominata quando si dice che Gesù
era figlio di un téktón, termine greco interpretato in vari modi,
infatti, oltre alla traduzione di carpentiere e falegname alcuni hanno voluto accostare quella di scal-
pellino. Gesù a propria volta praticò il mestiere del padre e quando iniziò la sua vita pubblica molto
probabilmente quegli era già morto. Infatti non è più citato dai Vangeli e Gesù morente in croce
affida la Madonna al discepolo Giovanni che “da quel mo-
mento la prese nella sua casa”, questo non sarebbe stato
necessario se il padre di Gesù fosse stato in vita. A tutt’og-
gi non sappiamo dove si trovi la tomba del santo, si hanno
alcune indicazioni, ma nulla di certo: forse a Nazareth o
forse a Gerusalemme, nella valle del Cedron. L’8 dicem-
bre 1870 è stato dichiarato Patrono della Chiesa Cattolica
sotto il pontificato di papa Pio IX. Nel Santuario di Maria
Ausiliatrice di Torino-Valdocco gli è dedicato l’unico altare
rimasto come lo volle don Bosco.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Aalto, celebre ar-
chitetto - 5. In America vale pochi gram-
mi - 10. Sacerdote del sinedrio che fece
arrestare Gesù - 14. Tristi lamenti... poe-
tici - 15. L’animatronic che valse l’Oscar
per gli effetti speciali a Rambaldi - 17.
Effimera - 19. Un codice bancario - 20.
L’argento in chimica - 21. Katherine, se-
sta moglie di Enrico VIII - 23. L’accento
musicale - 25. Io allo specchio - 26.
Ciò che si mette o si dice in più - 29. Lo
sono Tirreno ed Egeo - 30. Buoni Frut-
tiferi - 32. XXX - 34. A te - 35. Cento
- 37. Incisi senza dispari - 38. Il monte
sulla cui cima Mosè ricevette le Tavole
della Legge - 39. Quantità imprecisa-
ta - 40. Uno strumento indispensabile
in auto - 41. Tribunale che giudica i ri-
corsi - 43. Fiume della Svizzera - 44.
Ripida salita - 45. Vi aderiscono gli atleti
universitari - 46. Permette di avvistare
velivoli a distanza - 48. Centro Servizi
Amministrativi - 50. Città senza inizio
né fine! - 51. Narrò l’ira del pelide Achille
- 52. La Jnifen, showgirl tunisina - 53.
Coltivazione foraggera.
VERTICALI. 1. Si usa per distillare -
2. Il jet... che si accusa negli spostamenti
aerei - 3. Un po’ di virtù - 4. Successe a
Jimmy Carter - 6. Non Classificato - 7.
Una pianta grassa - 8. Idem (abbr.) - 9.
Ripetuto è un ultimatum - 10. Grosse
funi - 11. Intercity (sigla) - 12. L’agen-
zia dell’Onu che si occupa di agricoltura e
nutrizione - 13. Autorizzato a una profes-
sione - 16. Padre, Figlio e Spirito Santo -
18. Personaggi di contorno dei film - 21.
Pari di Pegaso - 22. La condensa del
mattino - 24. Scoccano ogni 60 minuti
- 27. Un mezzo sì - 28. Il continente più
vasto - 31. Lo conduce la Dalla Chiesa -
33. Regolamenta l’aviazione civile - 34.
Ilary Blasi è sua moglie - 36. Dipartimen-
to francese con capoluogo Beauvais - 39.
Il gioco detto anche “filetto” - 42. Si con-
trappose alla Luftwaffe - 46. Gli estremi
del reato! - 47. Tra do e mi - 49. Arezzo.
Marzo 2012
41

5.2 Page 42

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
DON CARLO FILIPPINI
Morto a Roma il
25 maggio 2010 a 81 anni
Il motto della sua prima Messa era
stato: “A disposizione di Dio e de-
gli uomini”. Negli ultimi tempi ri-
peteva: «Se dovessi riscriver-
lo, metterei semplicemente:
“A disposizione”».
Disposizione: come essere a
servizio di tutti, non a orari. Don
Carlo ha declinato la salesianità
come «disponibilità», e questo
senza danno per la dimensione
contemplativa, di preghiera.
Pur essendo religioso di vita at-
tiva, egli coltivava nel suo spirito
una dimensione quasi monastica.
Non era l’uomo dell’apparenza re-
ligiosa, delle formalità, ma aveva
interiorizzato sia la vita comuni-
taria sia la vita di unione con Dio,
secondo la dinamica stabilita dalle
Regole, per cui voleva essere fe-
dele alla preghiera.
La dimensione della sua dispo-
nibilità subì un salto di qualità,
allorché la Congregazione lo
chiamò ad occupare posizioni
di prima linea. Due esperienze
per tutte: la Scuola Apostolica di
Torino e «Terra Nuova», presso
le Catacombe di San Tarcisio.
La prima esperienza traduceva in
progetto la cura delle vocazioni
salesiane, passando da un’edu-
cazione più generale che avve-
niva in tutte le case, ad una più
mirata e specifica.
Un ultimo cenno su don Carlo
ispettore. Al di là di quelle che fu-
rono le decisioni, prese in seguito
al ridimensionamento dell’Ispet-
toria novarese-elvetico-alessan-
drina, di cui era responsabile,
quello che egli avvertì con chia-
rezza fu la dimensione profetica
dell’esercizio dell’autorità. Sino
quasi alla fine della sua vita, egli
ebbe la percezione profonda delle
varie responsabilità direttive af-
fidategli dai Superiori, a partire
dall’età di 34 anni. Egli fu tra i pri-
mi a comprendere la necessità di
un ripensamento della struttura
territoriale della Congregazione
in Italia.
DON GIAN PAOLO BORRONI
Morto il 17 dicembre 2011
a Passirana di Rho (MI)
a 70 anni
È stato direttore a Milano
Sant'Ambrogio, Milano San Do-
menico Savio e Como. Circon-
dato dalla stima e dal fortissimo
affetto di confratelli e allievi. Tutti
quelli che l’hanno conosciuto ri-
conoscono in lui un modello ma-
gnifico di insegnante educatore.
Questo il toccante ricordo di un
suo exallievo. «Quando la mag-
gior parte di noi ha appreso della
sua malattia – tra i componenti
di questa classe si è liberata una
meravigliosa energia, una sor-
ta di solidarietà propulsiva.
Forse in alcuni momenti anche
un po’ invadente nei confronti dei
membri della sua famiglia.
Intorno a lei e alla sua sofferenza
si è immediatamente ripristinato
lo spirito di unione di un gruppo
di persone che ha condiviso 5
anni di una porzione strategica
della vita dove lei è stato un atto-
re chiaramente fondamentale per
qualità di modello, per capacità
maieutica, per genuinità, per coe-
renza e per impronta.
Le riconosciamo di aver lavo-
rato non direi ad insegnarci ma,
piuttosto, a far emergere in noi
la consapevolezza di cosa è la
cultura, la storia della letteratu-
ra, l'iperlinguaggio, la poetica,
la salvezza e tanto altro (tutte
questioni per cui molti di noi sof-
frono tuttora di incubi notturni)
ma soprattutto ha contribuito a
costruire il nostro cammino sul-
la strada che porta un giovane a
diventare uomo. Trent'anni dopo,
siamo un'antologia di professio-
nalità espresse in campi i più
variegati: nessuno cerebralmen-
te omologato, tutti con un unico
corredo di cromosomi.
Domenica sera, quando mi è sta-
to chiesto di “autocandidarmi”
per offrirle il pensiero della nostra
classe, mi sono immediatamente
tuffato tra libri che giacciono sul
mio comodino nell'affannosa ri-
cerca di un'idea originale: dopo
qualche istante ho sentito forte
il suo sguardo vivo come a dire
“non vorrai mica copiare anche in
questa circostanza vero?...”.
Non ci siamo sostanzialmente
mai visti in questi trent’anni ep-
pure, quando ci siamo ritrovati,
abbiamo riconosciuto recipro-
camente di non aver mai perso
traccia gli uni degli altri. Tra di
noi compagni e noi compagni
individualmente con lei. Abbiamo
come nuotato in corsie parallele
consapevoli di condividere la
stessa acqua e di trarre energia
dalla stessa fonte.
Quando domenica mattina ho an-
nunciato a mia moglie che il mio
professore di italiano aveva final-
mente fatto l'incontro della sua
vita, il commento di mio figlio di
sette anni che ha colto nella mia
comunicazione un tono appa-
rentemente distaccato è stato “è
morto qualcuno, ma sembra che
non sia morto nessuno”.
Ed ecco messo a fuoco il punto
chiave: non è morto nessuno.
Nessuno è morto. Lei, caro don
Borroni, non è mai morto in que-
sti trent'anni: anzi, ci è stato ap-
presso col suo colbacco e para-
orecchie, con i suoi mutismi per
una banale firma falsificata, con
le sue pose a pelle di leone sul-
la scrivania, col suo baritonale
“Ma è possibile???”. Lei c'era
– e come se c'era – a constatare
ogni azione buona o a prendere
le distanze da ogni scemenza. È
vissuto e vivrà in noi come mae-
stro e ispiratore. Come model-
lo di pensiero ed espressione,
di qualità senza compromessi,
come capacità di analisi raffi-
nata e puntuale, come talento di
amore e (uso una sua espressio-
ne) come vinavil esistenziale».
42
Marzo 2012

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Tre figli
Quando fu assunto come
redattore in una importante
rivista nazionale, gli sembrò
di toccare il cielo con un
dito. Telefonò a mamma,
papà e naturalmente alla dol-
ce Monica alla quale disse semplice-
mente: «Ho avuto il posto! Possiamo
sposarci!».
Si sposarono e negli anni nacquero
tre vispi bimbetti: Matteo, Marta
e Lorenzo.
Sei anni durò la felicità, poi la
rivista fu costretta a chiudere. Il
giovane papà si impegnò a trovare
un altro posto come redattore in
un giornale locale. Ma anche quel
giornale durò poco. Questa volta
la ricerca fu affannosa. Ogni sera
la giovane mamma e i tre bambini
guardavano il volto del papà, sempre
più rabbuiato.
Una sera, durante la cena, l’uomo si
sfogò amareggiato: «È tutto inutile!
Nel mio settore non c’è più niente:
tutti riducono il personale, licenzia-
no…».
Monica cercava di rincuorarlo, gli
parlava dei suoi sogni, delle sue in-
dubbie capacità, di speranza…
Il giorno dopo, il papà si alzò dopo
che i bambini erano già usciti per
la scuola. Con il suo peso sul cuore,
prese una tazza di caffè e si avvicinò
alla scrivania dove di solito lavorava.
Lo sguardo gli cadde sul cestino
della carta. Alcuni grossi cocci di
ceramica rosa attirarono la sua at-
tenzione. Si accorse che erano i pezzi
dei tre porcellini rosa che i bambini
usavano come salvadanaio. E sul suo
tavolo c’era una manciata di mone-
tine, tanti centesimi e qualche euro
e anche alcuni bottoni dorati e sotto
il mucchietto di monete un foglio di
carta sul quale una mano infantile
aveva scritto: «Caro papà, noi credia-
mo in te. Matteo, Marta e Lorenzo».
Gli occhi si inumidirono, i brutti
pensieri si cancellarono, il coraggio
si infiammò. Il giovane papà strinse i
pugni e promise: «La vostra fede non
sarà delusa!»
Oggi, sulla scrivania di uno dei più
importanti editori d’Europa c’è un
quadretto con la cornice d’argento.
L’editore la mostra con orgoglio di-
cendo: «Questo è il segreto della mia
forza!». È solo un foglio di carta con
una scritta incerta e un po’ sbiadita:
«Caro papà, noi crediamo in te!…».
«Io credo in te» è molto più di
una dichiarazione d’amore.
È la forza più pura che esiste. Per
questo Gesù ha detto: «Se aveste
almeno una fede piccola come un
granello di senape, voi potreste dire
a questa pianta di gelso: Togliti via
da questo terreno e vai a piantarti
nel mare! Ebbene, se aveste fede,
quell’albero farebbe come avete
detto voi» (Vangelo di Luca 17,6).
Marzo 2012
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Conoscere don Bosco
Il fuoco deve propagarsi
Rispondere ai bisogni
dei "giovani poveri e
abbandonati" in tensione
salvifica globale
Salesiani nel mondo
Missione Siberia
I Salesiani nella Repubblica
Sakha - Yakutiya
L’invitato
Monsignor
Charles Maung Bo
Arcivescovo di Yangon,
Myanmar
Le case di don Bosco
I giovani di
Donboscoland
Il sito giovanile più cliccato
d'Italia
Arte salesiana
L'enigma dei
bassorilievi della
Basilica di Maria
Ausiliatrice
Dal testamento di don
Senza di voi
Bosco per i benefattori
Senza la vostra carità io avrei
non possiamo
potuto fare poco o
nulla; con la vostra
carità abbiamo invece
cooperato con la
fare nulla!
grazia di Dio
ad asciugare molte lagrime e
a salvare molte anime.
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612658
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.