Bollettino_Salesiano_201202

Bollettino_Salesiano_201202

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IL
FEBBRAIO
2012
Famiglia salesiana
Le case
di don Bosco
Forlì
Arte salesiana
Le tombe
di Valsalice
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Salesiani
nel mondo
Nigeria
Ghana
L’invitato
Monsignor
Savio Hon
Tai-Fai

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
Lo sgabuzzino
La storia
Nell’anno scolastico 1833-34, Giovanni Bosco era stu-
dente lavoratore a Chieri. Faceva il “garzone caffettiere”
nel Caffè Pianta dove il padrone, amico di famiglia, in
cambio del lavoro gli dava l’alloggio e la minestra. Gio-
vanni dormiva in uno sgabuzzino ricavato sopra il forno
cui si accedeva per mezzo di una scaletta. (Memorie
dell’Oratorio, Prima decade, 9).
Imiei giorni e le mie not-
ti trascorrevano vuoti e
polverosi. La città di Chieri
aveva una discreta vita not-
turna, che non mi sfiorava
neppure. Quando decisero
di aprire il Caffè Pianta proprio
in questo mio edificio, mi dissi:
«Finalmente un po’ di movi-
mento anche da queste parti!»
Sognavo di essere riempi-
to di bottiglie e barattoli
interessanti, ma passavano i
mesi e io continuavo ad essere
uno sgabuzzino vuoto, un bu-
gigattolo festonato di ragnatele.
Ero situato tra due vani.
Quello di sinistra era zeppo di
tavolini, affollati di gente che
chiacchierava e beveva. Quello
di destra era una sala da biliar-
do, tavoli di velluto verde illu-
minati da lampade a petrolio.
Colpi secchi di stecca contro
le biglie. Sotto avevo il forno
per la pasticceria. Il profumo
delle torte era l’unica cosa
buona della mia vita.
Un giorno, vidi arrivare il
padrone. Era accompagnato da
Giovanni Bosco, un giovane
studente che lavorava nel Caffè
come cameriere. Mi osservarono
attentamente, misurarono la mia
superficie, calcolarono l’altezza e
poi si strinsero la mano: l’affare
era concluso. Scricchiolavo tutto
in attesa della mia sospirata
utilità. Probabilmente sarei stato
presto riempito di sacchi di
caffè, cacao e zucchero.
Invece quella sera, quando
uscirono, traballando un poco,
gli ultimi avventori, arrivò
Giovanni Bosco. Sotto
la zazzera ricciuta, gli occhi
scintillavano e un sorriso a metà
tra rassegnazione e speranza gli
sfiorava le labbra. Era carico di
povere cose. Sistemò un mate-
rasso sul pavimento, con alcune
assi costruì un tavolino. Fece
un altro viaggio e tornò con
una pila di libri e una candela.
Accese la candela ed io ero al
colmo della felicità. Avevo
addirittura un inquilino!
Fine delle lunghe notti solitarie.
Già la prima sera si sedette sul
materasso e cominciò a leggere.
Sono così diventato la prima
casa di Giovanni Bosco. Non
ero il massimo della comodità,
per poco che Giovanni si fosse
allungato sul materasso, i suoi
piedi finivano fuori dell’apertura.
Arrivava stanchissimo, dopo
aver frequentato la scuola e
lavorato nel Caffè e nella sala
biliardo per tutto il giorno. Ma
studiava, stringendo i pugni,
finché il sonno non lo vinceva.
Quando si addormentava, io ve-
gliavo i suoi sogni, ascoltavo con
tutta la tenerezza dei miei vecchi
muri i battiti del suo cuore, viag-
giavo con lui sui suoi libri per
paesi lontani dove immaginava
quel suo futuro diverso, che gli
faceva brillare gli occhi.
Sono passati quasi 180
anni. Ma sono ancora
qui. Per raccontare ai visitatori
il ricordo e la presenza di quel
giovane e i suoi sogni.
I turisti commentano, si entusia-
smano, fotografano. Sono certo
che Giovanni Bosco continua
a dare un senso alla loro vita.
Come lo diede al mio vecchio
cuore di sgabuzzino inutile.
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IL
FEBBRAIO 2012
ANNO CXXXVI
Numero 2
IL
FEBBRAIO
2012
Famiglia salesiana
Le signore in giallo
Le case
di don Bosco
Forlì
Arte salesiana
Le tombe
di Valsalice
2 LE COSE DI DON BOSCO
Lo sgabuzzino
4 CONOSCERE DON BOSCO
6 LETTERE
8 SALESIANI NEL MONDO
Nigeria
11 SALESIANI NEL MONDO
Ghana
14 L’INVITATO
Monsignor Savio Hon Tai-Fai
17 MESSAGGIO A UN GIOVANE
18 FAMIGLIA SALESIANA
Le signore in giallo
20 FINO AI CONFINI DEL MONDO
22 I SALESIANI DISTRIBUITI PER NAZIONI
24 ARTE SALESIANA
Le tombe di Valsalice
26 A TU PER TU
Signor Egidio
28 COME DON BOSCO
30 FMA
Casa Main
32 NOI & LORO
34 LE CASE DI DON BOSCO
Forlì
37 RELAX
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Bullismo a Valdocco
40 I NOSTRI SANTI
42 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
43 LA BUONANOTTE
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Salesiani
nel mondo
Nigeria
Ghana
L’invitato
Monsignor
Savio Hon
Tai-Fai
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina:
Febbraio è il mese
del Carnevale. Rie-
voca cortili salesiani
brulicanti di ragazzi,
gioia e fantasia
(Foto Shutterstock).
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26
30
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
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Alessandra Mastrodonato, O.Pori
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Alberto Pellai, Silvio Roggia, Tania
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Diffusione e Amministrazione:
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DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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Periodica Italiana

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CONOSCERE DON BOSCO
PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA
Una casa, una famiglia,
un padre
L’importanza degli ambienti di vita e delle persone
nella formazione del giovane don Bosco
«Mi ricordo ed è il primo fatto del-
la vita di cui tengo memoria,
che tutti uscivano dalla came-
ra del defunto, ed io ci voleva
assolutamente rimanere.
“Vieni, Giovanni, vieni meco”,
ripeteva l’addolorata genitrice.
“Se non viene papà, non ci voglio andare”, risposi.
“Povero figlio, ripigliò mia madre, vieni meco, tu
non hai più padre”.
Ciò detto ruppe in forte pianto, mi prese per mano
e mi trasse altrove, mentre io piangeva perché Ella
piangeva».
Il primo ricordo di don Bosco è la mano di sua
madre. Quando conoscerà i giovani delle prigioni
di Torino dirà: «Se trovavano una mano benevo-
la che di loro si prenda cura si davano ad una vita
onorata, dimenticavano il passato, divenivano buoni
cristiani ed onesti cittadini. Questo è il primordio del
nostro Oratorio».
Rileggendo la propria esperienza giovanile e il
percorso che lo portò a realizzare la sua Opera,
don Bosco, nelle Memorie dell’Oratorio, ha mes-
so in luce il ruolo determinante degli educatori e
degli ambienti in cui si è svolta la sua formazione:
la famiglia, la comunità religiosa di Morialdo, la
scuola di Chieri, il Seminario, il Convitto; le cure
di mamma Margherita e di don Calosso, le atten-
zioni dei suoi insegnanti a Chieri, l’accoglienza e
i consigli del confessore, i buoni amici, l’esem-
pio stimolante di Luigi Comollo, l’impostazio-
ne disciplinare data dai superiori del seminario,
l’esemplarità pastorale e spirituale e gli insegna-
menti di don Cafasso e del teologo Guala.
Le radici della forza
Anche il contesto di povertà e la durezza del
mondo contadino in cui è cresciuto hanno avuto
un ruolo importante per stimolare in lui atteggia-
menti di confidenza in Dio, di laboriosità e tena-
cia, di sobrietà e di creatività. La contrapposizione
con Antonio, poi, non è stata del tutto negativa,
perché ha fatto crescere il desiderio e ha stuz-
zicato la sua inventiva per trovare, in situazioni
poco favorevoli, vie possibili, percorsi alternativi
utili a tradurre il sogno in realtà. Così anche le
resistenze incontrate nei primi anni dell’Oratorio
da parte del Vicario di Città, dei parroci, della
marchesa di Barolo, oppure la mancanza di ri-
sorse economiche, di spazi e di collaboratori non
sono stati solo degli ostacoli, ma sfide che hanno
stimolato la sua carità creativa e lo hanno portato
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a mettere in atto una strategia di
azione tutta sua. Si era creata in
lui una mentalità di adattamen-
to proattivo nel fare il bene, un
atteggiamento fiducioso che gli
veniva dalla confidenza in Dio e
lo portava ad attuare quanto era
fattibile, in attesa degli sviluppi
e delle opportunità future. Una
disponibilità al cambiamento
e all’adattamento tempestivo
di fronte agli imprevisti o agli
ostacoli, che sapeva aggirare con
amabilità e intelligenza. Svilup-
pò anche un modello relazionale
e comunicativo mirato all’infor-
mazione e alla sensibilizzazione
delle persone, al loro coinvolgi-
mento, che sarà determinante in
futuro.
Le persone che l’hanno amato
Soprattutto le persone che lo hanno formato, la
loro dedizione educativa, la loro cura, assistenza e
accompagnamento, il loro esempio e stimolo sono
stati per lui una risorsa importante. Infatti hanno
orientato il suo percorso formativo e nello stesso
tempo sono diventati un riferimento e un model-
lo di spiritualità, di scelta di vita, di relazioni pa-
terne, di cura e di assistenza, di dedizione che gli
hanno fornito un riferimento efficace su cui mo-
dellare il sistema preventivo e il suo modo ope-
rativo. A distanza di anni, riflettendo su queste
persone e sui loro atteggiamenti, don Bosco ha
tratto conseguenze importanti per il suo sistema.
Gli ambienti che l’hanno formato
Anche gli ambienti di vita in cui è avvenuta la
sua educazione sono stati una risorsa importante
per l’elaborazione del suo modello formativo: la
famiglia povera e laboriosa, la comunità conta-
dina solidale di Mondonio, l’ambiente scolastico
chierese (dove “la religione faceva parte fonda-
mentale dell’educazione”), la serietà disciplinare
e la tensione spirituale del Seminario, il clima
fervido del Convitto. Tutte queste esperienze
hanno contribuito concretamente a formare in lui
un’idea e una pratica della comunità educativa e
della comunità religiosa, delle relazioni umane e
dei ruoli formativi, del senso di appartenenza e di
collaborazione.
Una rete per diventare grandi
Nel pensiero e nella prassi di don Bosco non ci
può essere educazione se non all’interno di una
comunità regolata e laboriosa, serena e familia-
re, e in una rete di relazioni umane intessute da
educatori affettuosi e attenti, presenti accanto ai
giovani in modalità attiva e stimolante, capaci di
spalancare orizzonti, valorizzare talenti, plasmare
caratteri e condurre sui sentieri della vita interio-
re, con il metodo della ragione, della religione e
dell’amorevolezza.
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LA POSTA
I NOSTRI ESPERTI RISPONDONO
Mio figlio
mi tratta male
Sono la mamma di due ragazzi
di 16 e 13 anni. Il più grande è
sensato e discretamente studio-
so. Il più piccolo, due sere fa, mi
ha quasi spaventata. Insistevo
perché mettesse un po’ d’ordine
nelle sue cose che abbandona
dappertutto con assoluta non-
curanza. Lui mi ha guardata con
uno sguardo duro e ha gridato:
«Stai zitta tu, che non servi a
niente!». Ci sono rimasta malis-
simo. È sempre stato un ragazzo
mite ed affettuoso, ma da un
po’ di tempo si è trasformato: è
diventato provocatorio, ribelle e
anche offensivo. Cerco di essere
affettuosa e dolce, come sempre,
con lui e di venirgli incontro. Mio
marito sostiene che dovrei essere
invece molto più dura e severa.
Io non so che cosa fare. Voglio
tanto bene ai miei figli…
Luisa R.
Civitanova Marche
È il dilemma di tanti genito-
ri: ce l’hanno messa tutta
per non far mancare nulla
ai loro figli e poi si accor-
gono di essere diventati
il bersaglio preferito di
atteggiamenti ribelli e aggressivi. In
realtà, non è un fatto eccezionale.
Perché un ragazzo possa diventare
adulto deve affrancarsi da mamma
e papà. Per farlo ha bisogno di smi-
tizzare, in modo anche irrispettoso
i genitori, mettendo in discussione
i loro valori di riferimento, il loro
modo di pensare, per poi magari,
ricuperarli in seguito. E tanto più
mamma e papà sono stati adorati
dal bambino quando era piccolo,
tanto più forte sarà ora lo strappo
da loro. È da quando si taglia il
cordone ombelicale che il figlio si
stacca dal genitore, un processo
continuo che dura tutta la vita.
Troppa accondiscendenza negli ado-
lescenti deve sempre insospettire:
se il ragazzo non si oppone mai,
non rifiuta il genitore ma al contra-
rio continua ad adorarlo vuol dire
che non è in grado di staccarsi da
lui: non se la sente di averlo contro,
oppure non ne ha bisogno, perché
qualsiasi cosa chieda gli viene data.
In entrambi i casi si rischia una cre-
scita disarmonica, la personalità del
ragazzo rimane fragile, immatura,
incapace di fronteggiare il rapporto
con il mondo esterno e con l’auto-
rità in generale. Mettiamo invece in
conto la contestazione come un pas-
saggio obbligato della sua crescita e
che non c’entra nulla con l’amore. Il
rapporto affettivo, se è stato costrui-
to in precedenza, resta solido.
«Tredici anni è un’età difficile»,
spiega Marilena Zanardi, psicolo-
ga. «Da una parte i primi segnali
fisici dell’imminente maturazione
sessuale producono nei ragazzi
la convinzione di essere “troppo
grandi” per sottostare ancora a
vecchie regole. Dall’altra i genitori
continuano a vedere “il piccolo” di
casa. Presto o tardi il figlio si ribel-
lerà, mettendo in atto tattiche di
“guerriglia familiare” per obbligare
OGNI MESE
DON BOSCO
A CASA TUA
Il Bollettino Salesiano vie-
ne inviato gratuitamente a
chi ne fa richiesta.
Dal 1877 è un dono di don
Bosco a chi segue con sim-
patia il lavoro salesiano tra
i giovani e le missioni.
Diffondetelo tra i parenti e
gli amici. Comunicate su-
bito il cambio di indirizzo.
i genitori a riconoscere la sua nuo-
va realtà. Allora è inutile arroccarsi
in un autoritarismo sterile, che ri-
schia solo di inasprire lo scontro:
l’umiliazione di essere “ricacciato
nell’infanzia” scaverebbe un solco
difficile da ricomporre fra i genitori
e il ragazzo. Ma anche un eccesso
di indulgenza produce danni: ce-
dere o far finta di nulla è altrettanto
umiliante perché equivale a igno-
rarlo. La soluzione è entrare nel suo
gioco dandogli progressivamente
autonomia e pretendendo al con-
tempo che ne assuma fino in fondo
le conseguenze».
Cara Luisa, per esempio dovresti
prendere più in parola tuo figlio e
passargli tutte le incombenze “inu-
tili” che svolgi per lui: preparargli
la colazione, aiutarlo nei compiti,
accompagnarlo in macchina agli al-
lenamenti di calcio. Non come pu-
nizione ma come salutare contatto
con la realtà.
Elisa Bancon
Consulente familiare
Lettera ad un
chitarrista di chiesa
Caro chitarrista che suoni
in chiesa,
probabilmente sei dotato
di costanza e dedizione
nell’esercitare in chiesa
il tuo servizio. È altret-
tanto probabile che questo servizio
venga apprezzato sia dal parroco
sia dai fedeli (non tutti, ma una
buona parte di essi).
Immagino che ti sarai applicato per
un po’ di mesi allo scopo di impa-
rare la posizione dei principali ac-
cordi sullo strumento, in modo da
sentirti sufficientemente preparato
per accompagnare i canti.
Posso arguire che la scelta dei canti
sia stata fatta dal parroco, con l’e-
ventuale collaborazione di altri, te
compreso. Non so se tu ti renda
conto che i frequenti ritmi “sinco-
pati” presenti nei canti scelti da voi,
non vengano recepiti dall’assem-
blea che, se li canta, “corregge” i
ritmi sincopati con ritmi più “piani”
(un po’ sul tipo dei “corali”).
Non so se sai esattamente che cosa
sia la chitarra. Si tratta di uno stru-
mento nobile, di origine assai anti-
ca (se ne ha notizia fin da oltre un
millennio avanti Cristo). La nobiltà
di questo strumento deriva soprat-
tutto dalla bellezza del suono, deli-
cato, caldo ed espressivo.
Attualmente nei Conservatori di
Musica (ed in molte scuole musica-
li) si studia la chitarra. Per imparare
a suonarla bene, fino al diploma,
sono previsti dieci anni di studio:
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Se Dio ha
creato
l’uomo a sua
immagine, perché
siamo tutti un po’
cattivi?
Dio ha creato l’uomo a sua
immagine e noi siamo tutti un
po’ cattivi, allora anche Dio è un
po’ cattivo! Oppure l’uomo catti-
vo non è l’immagine di Dio! Che
problema...
Tra tutte le creature, soltanto
l’uomo è capace di conosce-
re Dio e di amarlo. È questo il
significato dell’essere creati a
immagine di Dio. Se gli uomini
sono tutti un po’ cattivi è perché
dimenticano il fine per cui sono
stati creati. Vanno nella direzione
opposta a quella della creazio-
ne: invece di amarsi, si odiano;
invece di cercare Dio, gli vol-
tano le spalle. Invece di essere
immagini di Dio, cioè testimoni
della presenza di Dio in loro, si
comportano come se Dio non
esistesse.
Noi non siamo stati creati cattivi;
non siamo nati con la testa piena
di piccole cellule di cattiveria.
Ma è così facile pensare soltanto
a se stessi! Quando scegliamo
di essere egoisti e malvagi, la
responsabilità è nostra. E ogni
volta deformiamo un poco ciò
che in noi è immagine di Dio:
l’amore.
Mamma Margherita
non vi è paragone rispetto ai pochi
mesi che tu le hai dedicato.
Le composizioni musicali per la chi-
tarra sono assai numerose. Non hai
mai sentito parlare dei compositori
Mauro Giuliani e Nicolò Paganini (il
sommo violinista ha composto molti
pezzi per chitarra), degli spagnoli
Fernando Sor, Francisco Tàrrega
e Andrès Segovia, del brasiliano
Heitor Villa-Lobos? Per non parlare
di numerosi altri autori, che hanno
lasciato composizioni per chitarra.
E tu, come suoni la chitarra in chie-
sa? È facile dedurre che esegui gli
accompagnamenti dei canti con
accordi a strappo ribattuti. Forse
non sai che i veri chitarristi (che
hanno studiato per parecchi anni)
guardano assai male il tuo modo di
suonare: lo considerano uno “svi-
lire” il loro strumento, ed ho avuto
modo di ascoltare da alcuni di essi
parole assai dure nei tuoi confronti.
Il tuo modo di suonare la chitarra
potrebbe essere paragonabile a co-
lui che utilizza un abito da sera per
metterlo sotto allo spazzolone, allo
scopo di pulire i pavimenti… Non è
per colpevolizzarti, ma solo perché
tu ti renda conto della scarsa cul-
tura musicale di cui sei provvisto
(in particolare nei confronti della
chitarra).
Ti sei mai chiesto se il suono nobile
e delicato della chitarra sia idoneo
a sostenere il canto di un’assem-
blea di fedeli? Probabilmente, per
ovviare a questo inconveniente, tu
“ci dai dentro” grattando con foga
sullo strumento, ma facendo ciò
riduci ulteriormente la nobiltà e la
bellezza sonora della chitarra.
Concludendo: non lamentarti se da
parte di molti musicisti (anche fa-
mosi, come il direttore d’orchestra
Riccardo Muti, o il violinista Uto
Ughi) sei menzionato come “strim-
pellatore”. Non è per cattiveria, ma
Meraviglie della Madre di Dio
Don Bosco faceva le cose
bene. La sua operetta sulle
meraviglie di Maria lo dimo-
stra. Di Gesù tutti si stupiva-
no e dicevano: «ha fatto ogni
cosa bene; fa udire i sordi e
fa parlare i muti» (Mc 7,37).
Ma anche di Don Bosco,
della sua splendida figura
sacerdotale, della fecondità
della sua opera educativa,
e anche dell’impegno per
la stampa cristiana di ca-
rattere popolare e divulga-
tivo, si doveva ammettere
che vi era del prodigioso.
Il 27 aprile 1865 veniva
posta la pietra angolare
della chiesa-santuario di
Maria Ausiliatrice in Torino-Valdocco, destinata a diventare centro
di religiosità popolare ed ecclesiale e fulcro dell’opera salesiana
nel mondo. Verrà consacrata solo dopo 3 anni, il 9 giugno 1868:
davvero sorprendente, come sempre le opere di Dio!
Il progresso straordinario nella costruzione dell’edificio sacro
fu frutto sia dell’insonne elemosinare di don Bosco, sia soprat-
tutto delle numerose grazie ottenute per intercessione della
Madonna invocata sotto il titolo di Ausiliatrice, di cui don Bo-
sco si faceva paladino e fiduciario. Don Bosco accompagnò
questi eventi con la pubblicazione di opuscoli che illustravano
l’evento, lo motivavano e stimolavano a collaborare all’opera
avviata. Tra questi spicca il libretto “Maraviglie della Madre di
Dio invocata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice”, che ripropo-
niamo a tutti i devoti di Maria Ausiliatrice e ai gruppi della Fa-
miglia Salesiana, come espressione della dimensione mariana
della storia, della pedagogia, della spiritualità del grande padre
e maestro dei giovani.
Una breve introduzione di don Pierluigi Cameroni, animatore
spirituale dell’Associazione di Maria Ausiliatrice, e un commen-
to teologico a cura di don Roberto Carelli aiutano ad apprez-
zare questo florilegio in onore della Madonna, che si inserisce
nell’illustre filone mariologico che va sotto il nome delle “glorie
di Maria”, in cui il vigore del pensiero e la devozione del cuore
sono una cosa sola.
è solo una constatazione fatta da
coloro che di musica se ne inten-
dono…
Franco Castelli
La lettera sulla musica dei giovani
pubblicata sul Bollettino di settem-
bre 2011 ha suscitato un bel nume-
ro di interventi, d’altra parte è un
argomento molto “salesiano”. Pub-
blicheremo ancora altri interventi. Il
dibattito è aperto a tutti. La musica
liturgica e religiosa è assolutamen-
te da vivificare.
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SALESIANI NEL MONDO
SILVIO ROGGIA
Nigeria,il gigante
giovane
dell’Africa
La Nigeria è un universo, più che un paese.
Purtroppo quel che se ne dice dall’esterno è
spesso limitato e limitante. Ciò che fa notizia
sono eventi tragici, resi ancora più drammatici
dai numeri alti di persone coinvolte.
L a Nigeria è grande e i problemi sono pro-
porzionalmente complessi e vasti. I dati
ONU del 2010 parlano di 158 423 000
abitanti; 80 milioni sono cristiani, 20 mi-
lioni i cattolici.
È un universo perché all’interno si in-
contrano costellazioni di storia, civiltà e culture
radicate nei secoli, in popoli che sono stati for-
zatamente congiunti per favorire interessi colo-
niali esterni. Continuano a convivere sotto una
stessa bandiera, che ha come maggiore fattore
di unificazione nazionale le risorse provenienti
dall’esportazione del petrolio, di cui la Nigeria è
attualmente al sesto posto nel mondo come volu-
me di esportazione giornaliera e al decimo come
riserve (circa 25 milioni di barili di greggio).
Il nord del Paese, da secoli sotto l’influenza del
mondo islamico, come lo è tutto il Nord Africa,
è confederato con il sud, a prevalenza cristiana
o animista. La Nigeria è infatti una repubblica
federale composta di 36 stati, con 510 lingue par-
late.
Economia, politica, etnicità e religione sono
anch’esse “confederate” dalla dipendenza dal
petrolio che ha soppiantato altre fonti di svilup-
po durante i lunghi anni di dittatura militare.
Il sistema di controllo di questo gigante è av-
venuto a rotazione tra i maggiori gruppi etnici:
Housa del Nord (al potere soprattutto durante i
regimi militari), Ibo del sud est, Yoruba del Sud
Ovest. Un nuovo corso è iniziato nel 2010, con
Goodluck Jonathan eletto presidente, appar-
tenente a un gruppo minoritario dell’area del
Delta del Niger, dove sono concentrati i pozzi
petroliferi.
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Le sfide principali che fanno notizia anche sul-
la stampa estera sono le tensioni causate da al-
cuni gruppi islamici estremisti del nord, di cui
il più tragicamente attivo è Boko Haram, e dai
movimenti armati al sud, dove lo sfruttamento
delle risorse petrolifere ha creato lungo i decenni
enormi squilibri ambientali e sociali. Amnesty
International sostiene che ogni anno il Delta del
Niger subisce un inquinamento pari a quello che
la Exxon Valdez causò nel 1989 sulle coste della
California: tra i 41 000 e i 119 000 m3 di greggio:
ed è così da 50 anni, senza che nessuno si sia pre-
so cura di significative bonifiche.
Ci si è subito resi conto che se «L’Africa è fatta per
don Bosco e don Bosco è fatto per l’Africa», come
don Viganò amava ripetere, questa è la verità sul-
la Nigeria al 100%.
Ne sono prova le tantissime associazioni cattoli-
che dedicate a don Bosco ben al di là delle zone
prossime a centri salesiani; ne è prova soprattutto
il numero consistente e crescente di giovani che
sono pronti a dedicare tutta la loro vita per essere
un dono come don Bosco per i loro coetanei.
E se in passato si continuava a sognare mentre
gradualmente si consolidavano le opere salesiane
già esistenti, a cui nel 2002 si è unita Ibadan, ne-
gli ultimi anni la realtà sembra superare speran-
ze e desideri: si è iniziata la presenza ad Abuja,
la capitale amministrativa; da Ottobre 2011 due
confratelli hanno dato il via alla nascente comu-
Secondo i dati
Onu, il 53,25
per cento dei
Nigeriani non ha
ancora compiuto
vent’anni. Il futuro
abita qui.
L’Africa è fatta per don Bosco
Ciò che fa meno notizia è la vita quotidiana di
questo gigante dell’Africa, soprattutto dei gio-
vani, che costituiscono la parte più ampia della
popolazione. Secondo i dati ONU già citati il
53,25% dei Nigeriani (84 210 000) non ha ancora
compiuto vent’anni.
I Salesiani hanno iniziato una prima duplice pre-
senza in Nigeria nel 1982, ad Akure e ad Ondo, a
cui è seguita l’apertura di Onitsha nel centenario
della morte di don Bosco.
La chiesa dei salesiani di Akure. Qui i salesiani hanno iniziato la
loro presenza nel 1982.
Febbraio 2012
9

1.10 Page 10

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SALESIANI NEL MONDO
In Nigeria sono
moltissime le
associazioni
cattoliche dedicate
a don Bosco e il
lavoro di forma-
zione è seguito e
profondo.
nità di Lagos; con l’estate ragazzi si è raggiunta
Kintagora, nel Nord del paese: un primo passo in
vista dell’arrivo permanente di don Bosco anche
là. L’ottobre scorso il Rettor Maggiore ha fatto
della Nigeria una Delegazione della Visitatoria
del West Africa, comprendente anche Ghana,
Liberia e Sierra Leone.
Il campo è vastissimo e le promesse e prospettive
non meno ampie, giusto quanto grandi sono le
sfide da affrontare.
Tra tutte, quella che apre la lista come prima
e più importante, è la qualità della comunica-
zione dello spirito salesiano alle nuove genera-
zioni: come se fossimo in una staffetta dove si
è giunti al momento cruciale del passaggio del
testimone.
Se in passato la missione ha avuto bisogno di
container, muri, macchinari per i laboratori,
oggi l’appello più forte riguarda direttamente le
persone, a cominciare da chi si sta preparando
non solo a continuare a camminare sul sentiero
iniziato dai primi arrivati, ma a dare ali a un
carisma che ha qui il potenziale di trasformare
milioni di vite.
Se il rumore dell’albero che cade è colto anche
dalle antenne dei grandi media i cui sismogra-
fi registrano solo ciò che è sensazionale e spesso
segnato da distruzione e morte, c’è tutto attorno
un’enorme foresta che cresce, il cui impatto sarà
senz’altro notevolissimo sul futuro, non solo della
Nigeria, non solo dell’Africa.
“L’umanità dell’Africa polmone spirituale del
mondo” (Benedetto XVI) è, uno su sei, umanità
che cresce in Nigeria.
Farla crescere con don Bosco è una scommessa su
cui val la pena puntare tutte le risorse disponibili,
proprio come avrebbe fatto lui.
10
Febbraio 2012

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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SALESIANI NEL MONDO
ULLA FRICKE
Traduzione di Marisa Patarino, revisione di Silvio Roggia
Made in Ghana
Anche il Ghana, come altri paesi africani,
soffre per le profonde differenze tra chi gode
di maggiori possibilità per il luogo di nascita
e l’istruzione. Chi nasce al Sud gode di molte
più opportunità, mentre il Nord agricolo è
sempre più arido e via via più povero.
Due centri di formazione professionale
dei Salesiani di don Bosco si propongono
di far uscire i giovani loro affidati dalla
povertà e offrire loro una buona formazione
tecnica ed umana.
Ghana, Costa d’oro. Così si chiamava pri-
ma dell’indipendenza. Non senza ragione.
Il Ghana è ricco di oro ma, come capita
spesso con i tesori nascosti nel sottosuolo,
i benefici economici legati al loro sfrutta-
mento finiscono per la maggior parte lon-
tano dai confini della nazione che su quel suolo vive.
La popolazione del Ghana (24 392 000 abitanti,
dati ONU 2010) è per due terzi concentrata nel sud
del paese, dove c’è maggiore sviluppo economico.
Più si sale verso il Nord più la densità diminuisce,
come pure il ritmo dello sviluppo. Le ragioni sono
molteplici. La più evidente è quella climatica: an-
dare verso Nord significa passare dalla foresta
pluviale alla savana. L’agricoltura rima-
ne la risorsa principale di
sussistenza per la maggior
parte della popolazione:
il flusso migratorio è di
conseguenza da Nord ver-
so Sud, e dalle campagne
verso le città.
Il Brong Ahafo è la regione che fa da cerniera tra
Nord e Sud: 80% degli emigranti ghanesi che han
tentato la via del deserto e della Libia per l’Euro-
pa negli ultimi anni sono giovani dei villaggi del
Brong Ahafo, le cui famiglie già avevano migrato
dal Nord del Ghana verso il Sud.
La risorsa più preziosa
I due centri di formazione professionale iniziati
dai Salesiani in Ghana cercano di offrire ai gio-
vani alternative per l’oggi e per il domani, con una
ricca varietà di specializzazioni tecniche: un centro
a Sunyani, capoluogo regionale del Brong Ahafo e
uno ad Ashaiman, dove si è ammas-
sata la folla dell’immigrazione
povera verso la capitale.
Ashaiman è la città satel-
lite di Tema, zona portuale
e industriale di Accra.
Offrire ai giovani compe-
tenza professionale è semi-
nare futuro.
Offrire ai giovani
competenza
professionale è
seminare il futuro.
Febbraio 2012
11

2.2 Page 12

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SALESIANI NEL MONDO
Le scuole tecniche
del Ghana offrono
un ampio ventaglio
di possibilità
professionali.
I cortili salesiani
sono uguali in tut-
to il mondo: basta
uno spazio libero,
la voglia di correre
e un pallone.
Per la loro vita: possono costruire il loro doma-
ni qui, “sognando di restare” senza farsi preda di
illusioni di fortuna all’estero, che troppo spesso
terminano in tragedia prima ancora di arrivare
alle sponde del Mediterraneo.
La formazione professionale è un seme fecondo
di futuro per il Paese: la risorsa più preziosa non
è l’oro ma i figli e le figlie di questa terra. Se si dà
loro l’opportunità di sviluppare il potenziale di cui
sono portatori, le risorse di sviluppo e di crescita
che scaturiscono da ciascuno sono enormi.
Elettricità, elettronica, meccanica, saldatura, fa-
legnameria, agricoltura, edilizia, tecnologia del
freddo, informatica (software e hardware) con
la qualifica della International Computer Driving
Licence –, attività di segreteria e graphic design:
queste sono le proposte professionali offerte.
Un esempio di tecnologia che valorizza l’ambiente
viene dal settore dell’edilizia. Si utilizza la laterite,
la terra rossa che è abbondante ovunque nel suolo
in Ghana, come alternativa al cemento per la fab-
bricazione dei blocchi da costruzione, attraverso
un sistema di mixaggio, compressione ed essicca-
zione rallentata che rende il mattone solido senza
bisogno di cottura. Con questo nuovo sistema di
costruzione è stata realizzata una grande sala mul-
tifunzionale nel Don Bosco Centre di Sunyani. La
produzione dei blocchi di laterite e la realizzazione
di altre strutture edilizie con la stessa tecnologia si
stanno ora diffondendo nella zona.
Per gli allievi, la possibilità di apprendere sul
campo è un notevole vantaggio. Nelle scuole
tecniche salesiane il 60 per cento è applicazione
pratica e il 40 per cento è apprendimento teorico.
Ma la ricchezza di cui i giovani sono portatori va
al di là di quando possono produrre acquisendo
nuove competenze tecniche.
Il pesante impegno economico
Il terreno fertile su cui fiorisce la maturità umana,
oltre che professionale dei giovani ghanesi, è la loro
fede: indipendentemente dall’appartenenza a dif-
ferenti chiese o all’Islam il senso religioso della vita
è profondamente radicato, come lo sono il rispet-
to e la tolleranza reciproca. È un terreno generoso
dove semi buoni portano molto frutto.
Se tutto ciò dà speranza e spinge a moltiplicare gli
sforzi così da offrire le stesse opportunità a un nu-
mero sempre più grande di giovani, non mancano
tuttavia le sfide.
Per garantire una buona formazione, è necessario
sostenerne i costi: stipendi, attrezzature, materia-
li... Gli allievi delle scuole tecniche provengono
dalla fascia meno abbiente della popolazione; non
possono permettersi rette scolastiche impegna-
tive. Molti studenti frequentano grazie all’aiuto
esterno di borse di studio. Al termine dei corsi c’è
un sistema di microcredito che offre la possibilità
di ricevere un prestito in attrezzature o strutture
per iniziare a lavorare.
L’impegno economico è diventato sempre più pe-
sante negli ultimi anni e ha spinto i Salesiani a
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Febbraio 2012

2.3 Page 13

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RIUSCIRE È POSSIBILE
cercare la collaborazione con il sistema scolastico
governativo. Si è ancora agli inizi, ma si sta lavo-
rando per far sì che lo stipendio degli insegnanti
sia coperto dal ministero della pubblica istruzione.
Facendo puff puff!
Per ora si dipende ancora largamente dal sostegno
che si riceve da benefattori e sponsor privati.
«Siamo impegnati dalle nostre convinzioni a fare
uso di tutti i mezzi a nostra disposizione per so-
stenere la priorità della persona rispetto all’econo-
mia, dedicare particolare attenzione ai più deboli
e al bene comune, affermare la gratuità contro il
potere del profitto. Proprio questo rende la forma-
zione professionale molto costosa», dice Jean-Paul
Muller, economo generale già responsabile della
missione don Bosco di Bonn, che sostiene da anni
il centro di formazione in Ghana.
È ugualmente importante lo sforzo che si fa
per l’autosostentamento soprattutto attraverso
i due laboratori di falegnameria (Sunyani) e mec-
canica per auto (Ashaiman).
In entrambi ci sono personale qualificato e una
buona strumentazione tecnica, con commesse di
produzione e riparazione dal circondario.
Ad Ashaiman c’è un progetto di collaborazione
con la Toyota: quando sarà realizzato, l’officina
sarà convenzionata. Come si suol dire, però, in
Ghana i mulini macinano lentamente.
Non va dimenticato che entrambi i centri sono
aperti ad un complesso di attività più ampie, che
include a Sunyani un centro per ragazzi senza
famiglia e ad Ashaiman un centro per l’alfabe-
tizzazione di giovani che non hanno mai avuto
l’opportunità di andare a scuola. Sono attività
splendide dal punto di vista della missione di don
Bosco, rivolte ai più poveri tra i poveri nel conte-
sto sociale delle due presenze: ma anche qui oc-
corrono costantemente fondi per poter continuare
ad offrire questo servizio educativo a tanti ragaz-
zi che, diversamente, resterebbero abbandonati a
loro stessi.
La storia di Joseph e Koffie
Joseph e Koffie. Due esperienze di vita tra le tante, che mettono una firma di
autenticità sul sistema educativo di don Bosco anche in Ghana: scommettere
sui giovani e investire sul loro futuro funziona e permette di raggiungere risul-
tati impensabili anche quando si parte dal minimo.
Joseph è arrivato a Sunyani dal Nord del paese quando aveva dodici anni,
emigrando dopo la morte del padre che ha reso impossibile la sopravvivenza
prima legata al piccolo fazzoletto di terra che lui coltivava.
Il camion su cui è salito si è fermato a Sunyani e la strada del mercato dove
Joseph è sceso dal camion diventa la sua casa e scuola. Vive di espedienti e
dorme vicino a un bidone della spazzatura.
Brother Lothar, salesiano coadiutore che dalla Germania è venuto missionario
in Ghana ed è responsabile della Don Bosco Boys Home, lo invita alla “casa
dei ragazzi”, dove vive un centinaio di ragazzi con storie simili a quella di Jo-
seph: alcuni abitano lì permanentemente, altri sono seguiti per la scuola e per
tutto il resto, pur dormendo con famigliari nelle vicinanze della Boys Home.
Dalla strada alla casa, dalla casa alla scuola. Joseph si impegna e riesce bene.
Oggi ha 26 anni e ha ottenuto un Master in Economia riconosciuto a livello
internazionale, terminando brillantemente gli studi a Berlino.
Koffie è arrivato alla Don Bosco Technical School di Sunyani con la nonna. «Ve
lo regalo». Nonostante le insistenze di Father Jorge, la nonna non sente ra-
gioni. La situazione familiare di
quel ragazzo gracile che non ha
ancora 14 anni è davvero dispe-
rata. Father Jorge cede. Koffie,
anche se è più piccolo degli altri
studenti che vivono nell’hostel,
fa della casa di don Bosco la
sua casa da quel momento in
poi. Riesce brillantemente nel
corso di agricoltura. Viene in-
coraggiato a continuare gli studi.
Si è laureato quest’anno in
agraria ad Accra e sta se-
guendo ora il nuovo progetto
di scuola e sviluppo agricolo
che sta nascendo in Bo, Sierra
Leone.
Questo è un problema fisiologico per la missio-
ne di don Bosco non soltanto in Ghana: trovare
un equilibrio tra le preoccupazioni dovute ai costi
che lievitano continuamente e il desiderio e la ne-
cessità di offrire una buona formazione al mag-
gior numero possibile di ragazzi, con le risorse a
disposizione. Agli inizi dell’oratorio a Valdocco
era la stessa musica. «Andiamo avanti facendo
puff puff» diceva don Bosco riferendosi alla mon-
tagna di debiti da pagare.
Almeno da questo punto di vista siamo sulla sua
stessa strada.
Febbraio 2012
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2.4 Page 14

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L’INVITATO
PIERLUIGI CAMERONI
Monsignor
Savio Hon Tai-Fai
«Vorrei essere un
costruttore di ponti con
la Cina. Quando parliamo
della Cina, la questione
si fa molto complessa.
Il papa beato Giovanni
Paolo II, anche lui uscito
da un paese comunista, ha
avuto un’intuizione che ho
fatto mia: quella di cercare
il dialogo, camminare
insieme, conoscere la
situazione del Paese,
far del bene alla Chiesa».
Lei è il volto nuovo
della Curia Romana.
Come ha saputo
del suo nuovo incarico?
Ci sono due momenti. Il momento
più chiaro è, praticamente, il gior-
no dell’annuncio della nomina, il 23
dicembre 2010. Però quasi 2 mesi
prima di questa data, qualcuno in-
contrandomi mi diceva che ero uno
dei possibili candidati. Io rispondevo:
“No, per carità! Per amor di Dio!”.
Perché avevo già sessant’anni e ad
Hong Kong a sessant’anni di età si va
in pensione! Poi, credo, che avrei fatto
molto di più restando ad Hong Kong
e tenendo questo collegamento con la
Cina, con la Chiesa. Quindi ancora
quindici anni di vita per impegnarmi
per la Chiesa e anche per la Cina. In
conclusione ho detto: “No!”.
Due mesi dopo, il 21 dicembre, gira-
va su Internet una notizia che diceva
che il nuovo segretario di Propaganda
fide, salvo le sorprese dell’ultima ora,
sarebbe stato Savio Hon Tai-Fai!! Due
giorni prima il vescovo di Hong Kong
viene a salutarmi e a farmi gli auguri.
Io rispondo: “Ma questo non è ancora
ufficiale!”. Il 23 dicembre verso le 7 di
sera, ho ricevuto una chiamata dal car-
dinale Bertone: “Fra un po’ di tempo,
un’ora e mezzo, facciamo questo an-
nuncio”. Quindi ho accettato.
Qual è il compito
del Segretario della
Congregazione per
l’Evangelizzazione
dei Popoli?
Questo è il mio primo anno. Lo consi-
dero come un anno di noviziato. Forse
dopo il noviziato saprò un po’ meglio!
Per ora so che il segretario, in stretta
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Febbraio 2012

2.5 Page 15

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collaborazione con il Prefetto, deve
prendersi cura delle Chiese in terra di
missione. Ad esempio, si occupa della
procedura per la nomina dei nuovi ve-
scovi di nostra competenza; conduce
le indagini relative e chiede chi po-
trebbe essere il nuovo pastore; si im-
pegna a far crescere le Chiese locali,
per quanto riguarda la formazione del
Clero e la cura dei seminari; ci pren-
diamo cura delle diverse Conferenze
Episcopali, visto che si parla molto di
collegialità. Inoltre riceviamo molte
notizie, lettere a cui rispondere. Poi ci
sono le riunioni, le udienze, i diversi
incontri ed appuntamenti.
Come vive il suo essere
vescovo da salesiano?
Sono salesiano da 42 anni. Forse la
prima cosa è che, come ha detto scher-
zosamente il mio ispettore, facendomi
gli auguri: “Ecco, non sei più sotto la
mia giurisdizione!”. Qui si parla di
giurisdizione, di obbedienza. Magari
adesso devo obbedire al Santo Padre,
che è anche il superiore supremo del-
la congregazione salesiana. Da questo
punto di vista io sono un po’ fuori del-
la congregazione salesiana. Non basta
una nomina per far scomparire tutto.
Poi qui dove abito, presso il Collegio
Urbano in Roma, vedo tutti questi
seminaristi, mi piace stare con loro e
conoscerli. Come Segretario potevo
avere un appartamento molto bello e
grande presso la congregazione, ma ho
detto: “Preferisco stare con i giovani
seminaristi, stare un po’ con loro!”.
Com’è nata
la sua vocazione?
Sono nato in una famiglia non cattoli-
ca. I miei genitori non dico che fossero
atei, no! Avevano una loro religione!
Negli anni ’49-50 sono stati profughi
per scappare dal regime comunista.
Sono scesi giù ad Hong Kong dove
sono nato io e dove l’educazione cat-
tolica è molto popolare. I miei geni-
tori hanno mandato tutti i figli alle
scuole cattoliche: mio fratello dai sa-
lesiani e due sorelle dalle canossiane.
Mio fratello maggiore, dieci anni più
vecchio di me, fu il primo a ricevere il
battesimo all’età di 16 anni. Quando
sono entrato nella scuola salesiana in
un anno circa ho subito imparato il
catechismo e ho ricevuto il battesimo
all’età di 10-11 anni. Guardando in-
dietro vedo la Provvidenza del Signo-
re. Le mie sorelle, infatti, andavano a
scuola molto presto e io dovevo uscire
insieme con loro. Arrivavo a scuola in
anticipo e vedevo che c’era una cap-
pellina e che degli studenti andavano
in chiesa. Così andavo anche io per-
ché ero arrivato molto presto! Parlo
di due, due ore e mezzo prima della
scuola!
Così il catechista salesiano che mi ha
visto, un sacerdote, credendo che io
fossi già battezzato, mi ha chiamato
a fare il ministrante. Io l’ho fatto una
volta e poi gli altri dicono: “Ma tu
non sei battezzato?”, “No, non sono
battezzato, però sono cattolico!”. Da
quel momento ho capito che per es-
sere cattolico devi ricevere anche il
battesimo. E così ho imparato il cate-
chismo e dopo ho ricevuto il grande
dono del battesimo e poi, forse poche
settimane dopo, il catechista mi ha
fatto la proposta di andare in aspiran-
tato. Io non sapevo che cosa rispon-
dere, essendo un ragazzino, e l’uni-
ca cosa che ho detto è stato: “Devo
parlare con mamma”. Io non ho osato
parlare con la mamma, forse perché
lei non capiva di che cosa si trattasse.
Il sacerdote era insistente, chiedeva,
chiedeva… Poi sono andato una volta
a chiedere a mia mamma di questa
possibilità di essere sacerdote e lei si
mise a ridere: “A tuo fratello maggio-
re, a lui piaceva andare all’internato
Il giovane Savio Hon Tai-Fai (primo da destra)
studente all’UPS durante una gita sui colli romani.
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2.6 Page 16

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L’INVITATO
Monsignor Savio tiene una conferenza nell’Uni-
versità salesiana di Gerusalemme. «La globaliz-
zazione ha cambiato il volto tradizionale dell’opera
missionaria».
e dopo tre mesi lui non ci è riusci-
to. E tu? Figurati!”. Quindi non ha
creduto che il Signore può fare gran-
di scelte. Dopo la scuola elementare
abbiamo avuto un campo scuola d’e-
state organizzato dal catechista per
ragazzi orientati vocazionalmente.
Mi ha chiamato. Io non sapevo che
si trattasse di un’esperienza di tipo
vocazionale. Sono andato e mi è pia-
ciuta la vita comunitaria. Per cui ho
chiesto di stare lì. Poi il Signore ha
preservato la mia vocazione.
E i rapporti con la Cina?
Lei ha detto: “Voglio
essere un costruttore
di ponti con la Cina”.
Qualcuno dalla Cina dice che “Savio
Hon non è il ponte con Cina”. Io ho
risposto: “Io non ho mai detto che
sono un ponte, ho detto che vorrei
essere un costruttore di ponti con la
Cina”. Ovviamente quando parliamo
della Cina, la questione si fa molto
complessa. Il papa beato Giovanni
Paolo II, anche lui uscito da un pae-
se comunista, ha avuto un’intuizione
che io ho fatto mia: quella di cercare
il dialogo, camminare insieme, co-
noscere la situazione del Paese, far
del bene alla Chiesa. Quando parlo
di costruttore mi riferisco sempre al
fatto di migliorare la situazione della
Chiesa in Cina, per quanto riguarda
la libertà religiosa, che non è una mi-
naccia, ma una forza e una grazia per
la nazione, la società e i singoli.
Qual è la storia
della presenza salesiana
in terra cinese?
I salesiani sono arrivati nel 1906.
Prima a Macao, dove hanno costrui-
to la scuola, e dopo 6 anni sono en-
trati in Cina. Soprattutto ai tempi
dell’ispettorato di don Carlo Braga,
oggi Servo di Dio, hanno aperto
molte case, soprattutto scuole per ra-
gazzi poveri e orfanotrofi. Poi come
si sa dagli anni ’49 fino al 1953 una
casa dopo l’altra è stata confiscata. I
salesiani stranieri sono stati espulsi,
mentre i cinesi sono stati messi in
prigione. Le opere salesiane si sono
concentrate tutte a Macao, Hong
Kong e poi anche a Taiwan. Oggi ci
sono dei salesiani che hanno grande
interesse per la Cina, vengono da noi
per studiare la lingua, prepararsi per
quello che il futuro ci può riservare!
Anche la nostra Università Salesiana
di Roma, rinomata per l’educazio-
ne, ha attirato l’attenzione di alcuni
intellettuali e professori di universi-
tà della Cina, promuovendo alcuni
scambi culturali e progetti riguar-
danti l’ambito educativo. In Cina su
13 persone 9 sono contadini, però in
questi ultimi 5 anni molti giovani
si trasferiscono nelle città. Tuttavia
non possono venire senza un’adegua-
ta preparazione. Quindi hanno biso-
gno di qualche preparazione specifi-
ca e noi potremmo dare un aiuto in
questa direzione.
A livello di Chiesa
Universale quali sono
oggi le grandi sfide
dell’evangelizzazione
e della missione?
La globalizzazione ha cambiato il vol-
to tradizionale dell’opera missionaria,
anche dal punto di vista geografico.
La sfida costante è sempre quella: la
conversione degli uomini perché que-
sta è la sfida più difficile, ma anche la
più grande.
C’è qualche desiderio/
progetto che ha
particolarmente a cuore?
Quando ho ricevuto la nomina a Se-
gretario della Congregazione per l’e-
vangelizzazione dei popoli la prima
cosa che ho fatto è stata quella di an-
dare in chiesa e pregare: “Voglio es-
sere un buon strumento del Signore”.
Ovviamente so che in questa nomina
c’entra anche il Santo Padre e mi sto
impegnando per conoscere meglio la
Curia, il pensiero del Santo Padre, la
Chiesa. Quindi, spero di poter essere
un buon strumento anche per miglio-
rare la Chiesa in Cina.
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2.7 Page 17

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MESSAGGIO A UN GIOVANE
BRUNO FERRERO
Intraprendere Questomondoèpienodigente
che aspetta. Aspetta e se la
prende con il resto del mondo
perché le cose non cambiano.
Il venditore ambulante imparò quello
è un verbo
che molti oggi neanche comprendo-
Imparate no: “Tutti gli ostacoli e le crisi sono
un’opportunità per migliorare la
dalla vite nostra condizione”.
Il filosofo Arthur Schopenhauer di-
ceva: «La gente comune si preoccupa
per avvertire gli automobilisti.
unicamente di passare il tempo, chi
Poi cominciò a tentare di rimuovere ha un qualche talento pensa invece a
il masso. Dopo molta fatica e sudore utilizzarlo». Dunque, è ora di mettersi
riuscì finalmente a muovere la pietra all’opera: i giovani sono pieni
spostandola al bordo della strada.
di talenti che chiedono solo
Proprio in mezzo ad una
strada, un mattino, comparve
una grossa pietra. Era decisa-
mente visibile e ingombrante:
gli automobilisti comincia-
rono a girarle intorno per
Mentre tornava verso il suo camion-
cino notò che c’era una grossa busta
attaccata alla pietra, sul lato che prima
poggiava sull’asfalto.
La busta conteneva un grosso assegno
e una lettera con l’intestazione della
di essere scoperti e utilizzati.
Ora è il tempo dei creativi, che non
sono i buffi inventori di roba stram-
palata, ma le persone serie che hanno
una visione e creano lavoro per sé
e per gli altri. Nonostante tutte le
evitarla. Dovevano frenare, mettersi più importante industria del Paese difficoltà.
in coda, ma lo facevano brontolando che diceva che l’assegno era per la
Nella sala d’ingresso di un’industria
e suonando il clacson. Alle undici
persona che avesse rimosso la pietra vinicola famosa in tutto il mondo
del mattino si era già formato un
dalla strada, con annessa l’offerta per sono esposte alcune rocce.
corteo di cittadini che protestavano l’incarico di vicepresidente esecutivo «Cosa sono?» ho domandato. «Sono
davanti al municipio, a mezzogiorno della Compagnia.
pezzi del calcare che costituisce il ter-
i sindacati annunciarono uno scio-
reno della zona», mi hanno risposto
pero di tre giorni e tutti gli studenti
con orgoglio. «Per poter sopravvi-
scesero in piazza per dimostrare. Alle
vere in un terreno ghiaioso, le radici
quattro del pomeriggio gli indignati
delle viti devono faticare molto per
occuparono la piazza principale e
raggiungere l’acqua; di conseguenza i
Striscialanotizia mandò i suoi inviati a
grappoli hanno un sapore più intenso
casa dell’assessore. Nacque immedia-
e, come ogni produttore sa bene, un
tamente il movimento “No Sass”.
buon vino inizia da una buona uva.»
Alle diciotto, passò sulla strada un
Lo stress non è piacevole, ma
venditore ambulante di verdura con il
sono convinto che la forza che
suo camioncino sgangherato. Si fermò
agisce sulle viti possa scatenare
a lato della strada con i lampeggian-
la medesima alchimia anche su
ti accesi e collocò diligentemente il
un’intera generazione di giova-
triangolo rosso a distanza di sicurezza
ni professionisti.
Febbraio 2012
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2.8 Page 18

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FAMIGLIA SALESIANA
O. PORI MECOI
Le signore in giallo
Incontro con la signora Maritza Valentiner,
presidente dell’associazione Damas Salesianas
Dinamiche, efficienti, coraggiose
e soprattutto organizzate,
le Dame Salesiane fanno parte
della Famiglia Salesiana dal 1989.
Com’è incominciata
l’avventura dell’Asociacion
Damas Salesianas?
L’ADS fu fondata a Caracas, Venezue-
la, il 13 maggio del 1968, dal salesia-
no spagnolo, Don Miguel González
García. Il padre González, cresciuto
nella Spagna della guerra civile, fu
ordinato prete nel Salvador (Centro-
america) e fu pure incarcerato ed espul-
so dalla Cuba di Fidel Castro. Arrivò
in Venezuela nel 1961, convinto della
necessità di una svolta nell’attenzione
verso i gravi problemi di emargina-
zione dei paesi dell’America latina. Fu
l’artefice della costruzione del tempio
di Don Bosco, nel quartiere di Alta-
mira, a Caracas (oggi parrocchia, con
quattro vicari), con l’aiuto entusiasta di
diverse famiglie e donne laiche volon-
tarie. Una volta inaugurato il tempio,
Don Gonzalez volle approfittare di
uno spazio, una specie di scantinato,
sotto il tempio per prestare servizi di
salute agli emarginati di Caracas.
Perciò, chiamò le stesse signore che
l’avevano già aiutato, per continuare a
lavorare in modo volontario in que-
sto nuovo progetto. Le prime Dame
Salesiane nacquero così. Inzialmente
erano una quarantina. Con grande
entusiasmo aprirono un centro di as-
sistenza che fu all’origine della nostra
ADS. Oggigiorno, quel primo cen-
tro, chiamato “Complejo Social Don
Bosco”, può vantare 30 specialità me-
diche a bassissimo costo e serve più di
600 pazienti al giorno.
Qual è la situazione
attuale?
Attualmente, l’ADS conta 32 centri
nel Venezuela e 96 centri in altri 22
paesi in Sudamerica, Spagna, Filippi-
ne, Caraibi, Centro America e Stati
Uniti, con 3588 membri della fami-
glia ADS. La nostra costituzione, o
Ideario, è la norma che ci accomuna.
L’ADS fu concepita fin dall’inizio
come un’organizzazione composta es-
senzialmente di donne laiche, antici-
pando le attuali tendenze della Chie-
sa, ma conta sempre sull’assistenza e
la consulenza dei nostri Consiglieri
Spirituali, sacerdoti salesiani che
sono un inestimabile appoggio per i
nostri centri.
La signora Maritza Valentiner con Madre Yvonne
Reungoat.
Com’è nata la sua vocazione?
È nata nel 1986, quando mi chiamò
una mia vicina di casa, la signora Leo-
nor Garcia-Lujan e mi invitò ad una
riunione per fondare un nuovo Cen-
tro ADS nella parrocchia di El Ha-
tillo, a Caracas. Lì, cominciai a leg-
gere la vita e l’opera di don Bosco.
Rimasi meravigliata del suo carisma,
del suo amore e della generosità verso
i giovani più bisognosi del suo tempo.
Volli seguire i suoi passi e, in qual-
che modo, imitarlo ed avere un cuore
come il suo. Feci la Promessa come
Dama Salesiana nel gennaio del 1988.
Com’era la sua famiglia?
Ero sposata con Harald Valentiner,
commerciante, e avevo cinque figli.
18
Febbraio 2012

2.9 Page 19

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La più grande, Adriana, era già all’u-
niversità, come suo fratello, Alejan-
dro. Gli altri tre, Elena, Eduardo e
Fernando (il più piccolo) frequenta-
vano diversi livelli di scuola. Ciò mi
permise di dedicarmi all’ADS per
lavorare all’educazione di bambini
e giovani meno abbienti e poter così
ripagare il Signore per tante benedi-
zioni avute nella mia vita.
Perché ha deciso di entrare
nell’Associazione Damas
Salesianas?
Ho deciso di entrare a lavorare all’ADS
perché è un’organizzazione che, come
qualunque impresa o società laica,
permette di abbordare con spirito im-
prenditoriale la soluzione ai problemi
di educazione e salute dei settori meno
abbienti. Sentivo che attraverso l’ADS
potevo dare risposta alle mie tensio-
ni di tipo sociale e così intervenire in
modo efficiente nei quartieri adiacenti
all’Hatillo, in gran parte popolati da
emarginati. Attualmente, nel nostro
Centro ‘”Gustavito Garcia-Lujan”,
fondato a quei tempi, ricevono educa-
zione e istruzione 495 adolescenti.
Minga Guazu, Paraguay; Granada,
Nicaragua) i salesiani sdb ci han-
no donato diverse strutture (collegi,
scuole), oppure le hanno cedute per
farle amministrare dall’ADS.
Com’è organizzata?
Abbiamo il privilegio di contare tutto-
ra sul nostro Fondatore, che continua
ad essere attivo, orientandoci in ogni
senso. A capo dell’organizzazione c’è
il Directorio Internacional, con sede a
Caracas, composto da 12 “Conseje-
ras”. Ogni paese, a sua volta, ha il suo
Directorio Nacional, composto di 12
“Consejeras” ed ogni Centro ADS ha
il suo Directorio Local, composto di 12
“Consejeras”. Ogni Centro ADS è au-
tonomo dal punto di vista amministra-
tivo e per la raccolta fondi deve tendere
ad essere autosufficiente. Le grandi
decisioni devono essere prese consul-
tando il rispettivo Directorio Nacional.
Quali sono i vostri
progetti attuali?
Stiamo alla ricerca di nuove vocazio-
ni. Abbiamo dato il via ad un nostro
progetto chiamato “uno por uno”,
per il quale ogni Dama si impegna
a trovare una nuova volontaria, che
diventi a sua volta Dama. Stiamo an-
che stringendo alleanze con imprese
internazionali (Microsoft, Procter &
Gamble) per trovare fondi, oppure
cercando donazioni per l’educazione
di un maggior numero di giovani.
In corso, abbiamo pure il progetto
iniziato l’anno scorso con l’Università
Nova Southeastern di Fort Lauderda-
le, Florida, Stati Uniti, per mandare
studenti di medicina ad appoggiare i
programmi di salute, inizialmente del
nostro Centro di Piura, in Perù e pre-
sto in Bolivia.
Il vostro messaggio alla
Famiglia Salesiana d’Italia
Cerchiamo di avvicinarci, di cono-
scerci tra di noi, tutti i gruppi del-
la Famiglia Salesiana; lavoriamo in
progetti comuni, nei nostri Paesi e
a livello mondiale, e seminiamo con
amore, efficienza ed umiltà lo spirito
e l’identità salesiani, con un solo cuo-
re, quello di don Bosco.
L’ADS possiede
case e strutture?
Ogni centro ADS è tenuto ad avere
la propria sede. Se non in proprietà,
almeno in affitto o comodato. In cer-
ti casi (per es. Bariloche, Argentina;
Foto ufficiale della Quinta Assemblea delle Damas
tenuta a Caracas, dall’11 al 15 luglio del 2011. Al
centro, Don Miguel González García fondatore
dell’ADS. L’Assemblea Generale internazionale si
celebra ogni sei anni per rivedere la situazione
dell’organizzazione a livello mondiale e stabilire
strategie comuni.
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2.10 Page 20

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FINO AI CONFINI DEL MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
MOLDAVIA
Una casa
per bambini
che non hanno
casa
SPAGNA
Piattaforme
Sociali
Salesiane
(ANS - Chisinau)
– Nel giorno dell’Immacolata, giovedì 8
dicembre, la comunità salesiana di Chisinau
ha festeggiato l’apertura di una casa famiglia
che ospiterà i minori orfani o in situazione
di rischio sociale. La struttura, intitolata a
Mamma Margherita, la mamma dei primi
poveri aiutati da don Bosco, si trova accanto
all’oratorio e può ospitare un massimo di 11
ragazzi, ai quali vengono offerti un alloggio
sicuro e il sostegno di un gruppo di adulti:
un salesiano, due educatori, uno psicologo e
un cuoco che si prendono cura di loro come
se fossero in una famiglia vera. “Spesso ci
chiedono il perché di una casa per così pochi
bambini! – racconta don Sergio Bergamin,
direttore dell’opera di Chisinau – noi rispon-
diamo che vogliamo creare un modello e
uno stile di lavoro familiare e accogliente per
questo settore disagiato”.
ARGENTINA
Riconoscimento
per l’educazione
al rispetto dei
Diritti Umani
(ANS - Buenos Aires)
– In segno di gratitudine
per l’opera educativa svolta,
lo scorso 24 novembre
i salesiani dell’Argentina
hanno ricevuto una targa-
riconoscimento da parte del
Ministero per le Relazioni
Estere, il Commercio Inter-
nazionale e il Culto. Il Vice-
cancelliere della Segreteria
del Ministero, signor Alberto
d’Alotto, ha presieduto la
cerimonia, nella quale sono
stati premiati anche altri
istituti scolastici di diverse
espressioni religiose. Il
dott. D’Alotto ha ringraziato
tutti i presenti per il lavoro
e l’impegno quotidiani nella
promozione di un’“istruzione
basata sull’inclusione, la
pacifica convivenza e il
rispetto dei diritti umani”.
Il riconoscimento è stato
consegnato ai rappresen-
tanti delle opere educative
di entrambe le Ispettorie
salesiane dell’Argentina e
della Casa della Procura.
(ANS - San Juan de Aznalfarache) – Oltre
70 volontari ed educatori si sono incontrati
a San Juan de Aznalfarache, tra la fine di
novembre e l’inizio di dicembre, per la XX
edizione delle Giornate di inclusione sociale
e lavorativa delle Piattaforme Sociali Sale-
siane. Nel corso della riunione si è riflettuto
sulle conseguenze e i cambiamenti che la
crisi globale – non solo economica – sta
comportando nei vari progetti portati avanti
dalle piattaforme, per cercare di identificare
e analizzare delle esperienze innovative che
possano ispirare i nuovi programmi delle
piattaforme. Particolarmente significati-
vi sono stati i confronti tra imprenditori,
lavoratori delle piattaforme e destinatari dei
progetti di inclusione socio-lavorativa, che si
sono confrontati sulle diverse prospettive e
aspettative.
20
Febbraio 2012

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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HAITI
Premio
“Notre Dame”
a monsignor
Kébreau
SIERRA LEONE
Da 25 anni
nell’educazione
dei bambini
e dei giovani
(ANS - Cap Haïtien) – L’8 dicembre 2011, a
Cap Haïtien, monsignor Louis Kébreau, sdb,
arcivescovo della città, è stato insignito del Pre-
mio “Notre-Dame”, concesso dall’Università
statunitense di Notre Dame alle personalità
che si sono distinte nel servizio civico verso i
cittadini dell’America Latina. L’arcivescovo,
dal 2005 anche Presidente della Conferenza
Episcopale di Haiti, ha operato con fervore per
la ricostruzione materiale e umana del Paese
dopo il terremoto del 2010 e ha contribuito al
progetto “Proche” per la ricostruzione rapida e
trasparente degli edifici di culto. “In tutta la
sua carriera, l’arcivescovo Kebreau è sempre
stato un difensore dei poveri e si è dedicato a
promuovere opportunità per i bambini haitia-
ni, affinché avessero accesso ad un’educazio-
ne di qualità – ha detto don John I. Jenkins,
Rettore dell’Università – Dopo il terremoto ha
aiutato gli haitiani a ricostruire le scuole e le
chiese danneggiate e si è anche preso cura dei
loro bisogni fisici e spirituali”.
INDIA
Aspirantato
missionario
“Monsignor
Humberto
D’Rosario”
(ANS - Sirajuli) – È stato
ufficialmente inaugurato,
lo scorso 22 novembre,
l’Aspirantato missionario
“Monsignor Humberto
D’Rosario” di Sirajuli, India,
il 13° della Congregazione e
il primo a sorgere al di fuori
dell’Europa. La struttura
servirà le Ispettorie indiane
di Guwahati, Dimapur, Cal-
cutta, Mumbai e New Delhi
ed attualmente accoglie il
direttore don Paul Lyngot, 2
sacerdoti, 2 tirocinanti – un
chierico e un coadiutore –
13 prenovizi e 40 aspiranti.
All’inaugurazione monsignor
Michael Akasius Toppo,
vescovo di Tezpur, nella cui
diocesi sorge l’aspirantato,
ha affermato: “Sirajuli era
un posto sconosciuto, come
Nazareth, ma ora diventa
un epicentro d’animazione
missionaria. (...) Abbiamo
seminato un piccolo seme,
che crescerà e diventerà un
grande albero”.
(ANS - Lungi) – La
comunità salesiana in Sierra Leone ha festeg-
giato nel 2011 il 25° anniversario di presenza.
Giunti nel 1986 a Lungi, i Figli di Don Bo-
sco eressero nel 1994 un’opera anche a Free-
town. Nella prima opera la comunità salesiana
ha aperto una serie di scuole che sorgono nei
territori da Tintafor a Tagrin. La presenza di
Freetown, molto attiva nel recupero dei bam-
bini di strada, possiede invece un programma
di animazione mobile – il “Don Bosco Mobil”
– uno residenziale e per il rintracciamento delle
famiglie, un convitto per ragazze, un numero
d’emergenza, un centro giovanile, la parrocchia
e l’oratorio. “Molto è stato fatto finora, ma la
strada davanti a noi è ripida – commenta don
Jorge Crisafulli, Superiore dell’Ispettoria Afri-
ca Occidentale Anglofona, cui appartiene la co-
munità del Sierra Leone. – La nostra missione è
più che offrire riparo, cibo, vestiario e educazio-
ne; è lavorare per la salvezza dei bambini e dei
giovani, con la bontà di san Francesco di Sales”.
Febbraio 2012
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3.2 Page 22

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I SALESIANI DISTRIBUITI PER NAZIONI
nessun salesiano
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Febbraio 2012

3.3 Page 23

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Dove siamo? E quanti siamo? Ecco come sono
distribuiti i salesiani (sdb) nelle nazioni del mondo.
I dati sono tratti da Salesiani 2012.
Russia 53
· jiri 8
sr
Egitto
, Iran 3 I
J Pakìstan s
Angola 78
anda 14
anda 55
rundi 14
agascar96
Mauritius4
/
Mongolia Il
Guam 3
Australia 79
.Salomone 6
Samoa li
Fiji 13
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3.4 Page 24

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ARTE SALESIANA
NATALE MAFFIOLI
La tomba di don Bosco
a Valsalice
A ll’indomani della morte di
don Bosco si presentò il
problema della sua sepol-
tura. Lo si voleva seppellire
nella basilica di Maria Au-
siliatrice, ma le disposizioni
comunali creavano notevoli difficoltà.
Si ricorse allora al ministro Francesco
Crispi, che negli anni difficili della
sua permanenza da esiliato a Torino
(1849-1853) era stato aiutato da don
Bosco e questi suggerì di seppellire il
corpo del Santo a Valsalice, in zona ex-
traurbana non soggetta alle normative
di polizia cimiteriale. Dopo i funerali
del 2 febbraio, il feretro fu trasportato
a Valsalice e tumulato il giorno 6, in
una tomba costruita in tutta fretta. Il
luogo si trovava sul pianerottolo della
rampa che conduceva dal giardinetto
superiore al cortile inferiore, ed era
stato lo stesso don Bosco a indicare a
don Barberis, in modo misterioso, il
luogo della sua sepoltura.
Da subito cominciarono i lavori per
creare attorno al semplice loculo una
cappella decorosa, su disegni dell’ar-
chitetto Carlo Maurizio Vigna. Ter-
minato, l’edificio fu benedetto il 22
giugno del 1889, ne dà notizia il Bol-
lettino Salesiano in questi termini: “Il
modesto mausoleo, (…) che gli amorosi
figli di Don Bosco vollero dargli, desti-
nandolo a racchiudere la salma del caro
loro Padre, (…) si compone di due pia-
ni: l’inferiore contiene l’urna funeraria
e la salma di Don Bosco, il superiore una
cappelletta con altare in marmo, arric-
A sinistra: La commovente Pietà dipinta da Giu-
seppe Rollini per la Cappella della Tomba di don
Bosco. In alto: L’elegante struttura nel cortile di
Valsalice. «D’ora in avanti starò io qui alla custo-
dia di questa casa» aveva predetto don Bosco.
chita di un affresco sul piccolo abside a
semicerchio, che rappresenta una Pietà,
opera dell’egregio pittore Giuseppe Rol-
lini, nostro antico alunno.
Un’ampia scala dal portico del corti-
le sottostante mette adito al piano della
tomba, la quale in corrispondenza della
nicchia più internata, contenente la sal-
ma, porta scolpita sulla faccia anteriore
l’effigie del venerato defunto, rivestito
degli abiti sacerdotali e disteso come en-
tro si ritrova”.
L’esecuzione della lastra di chiusu-
ra del loculo fu affidata allo scultore
Pietro Piai.
Sotto la lastra del Piai fu collocata
una lapide, in seguito sostituita da un
altare, dove si leggeva, in latino: “Qui
è stato composto nella pace di Cristo
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Febbraio 2012

3.5 Page 25

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il sacerdote Giovanni Bosco, padre
degli orfani, nacque a Castelnuovo
presso Asti il 16 agosto 1815. Morì a
Torino il 31 gennaio 1888”.
Nel 1907, in occasione dell’inizio del-
la causa di beatificazione e canoniz-
zazione di don Bosco, si iniziarono
i lavori di abbellimento della tomba.
Lastre marmoree sostituirono le de-
corazioni in stucco e le volte della
cappella inferiore furono rivestite di
decorazioni floreali su fondo oro e
mosaici di schietto gusto paleocri-
stiano, il tutto su progetto del pittore
Francesco Chiapasco.
Marmi colorati furono impiegati per
decorare le due rampe di scale che dal
luogo della sepoltura conducono alla
cappella superiore, con un altarino in
marmi colorati e mosaici, sormontato
da una Pietà ad affresco del pittore
Giuseppe Rollini. Notevole è la can-
cellata di chiusura di questa cappella,
decorata con spighe e grappoli d’uva,
tutto in ferro battuto, realizzata dai
giovani delle scuole salesiane.
Fu curato anche il portico di ingresso
alla tomba, nelle lunette si raffigura-
rono, con la tecnica del graffito, alcuni
La lastra di
chiusura del loculo
dello scultore
Pietro Piai “porta
scolpita l’effigie del
venerato defunto,
rivestito degli abiti
sacerdotali e diste-
so come entro si
ritrova”. Il corpo di
don Bosco rimase
qui fino al 1929.
degli edifici più significativi fondati da
don Bosco.
Accanto alla sepoltura di don Bosco
furono inumati anche i primi due suoi
successori, don Michele Rua (1837-
1910) e don Paolo Albera (1845-1921).
«Starò io qui alla
custodia di questa casa»
Il 13 settembre 1887, al termine di una
seduta del Capitolo Generale tenutosi
a Valsalice “erasi deliberato di cambia-
re destinazione al collegio di Valsalice,
sostituendo ai nobili convittori i chie-
rici studenti di filosofia. Tolta la se-
duta capitolare, don Barberis, rimasto
solo con lui (don Bosco), gli domandò
Le tombe del
Beato Michele
Rua e di don
Paolo Albera.
I primi due
successori
di don Bosco
furono inizial-
mente inumati
accanto a don
Bosco.
con tutta confidenza come mai, dopo
essere stato sempre contrario a quel
mutamento, avesse poi cambiato pare-
re. Rispose: «D’ora in avanti starò io
qui alla custodia di questa casa». Così
dicendo teneva sempre gli occhi rivolti
allo scalone, che mette dal giardinetto
superiore al porticato del grande corti-
le inferiore. Dopo un istante soggiun-
se: «Fa’ preparare il disegno». Poiché il
collegio non era interamente costruito,
don Barberis credette che volesse far
terminare l’edificio; quindi gli rispose:
«Bene, lo farò preparare; quest’inver-
no glielo presenterò». Ma egli: «Non
quest’inverno, ma la prossima prima-
vera; non a me, ma al Capitolo presen-
terai il disegno». Continuava intanto
a guardare verso lo scalone. Solo cin-
que mesi dopo don Barberis cominciò
a comprendere il pensiero del Santo,
quando cioè lo vide sepolto a Valsa-
lice e precisamente nel punto centrale
di quello scalone; lo comprese final-
mente del tutto quando, preparato il
progetto del monumento da erigersi
sulla sua tomba, fu nella primavera
presentato senza che egli avesse mai
ancora detto nulla della conversazio-
ne di settembre. (Memorie Biografiche
18, 384-385).
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25

3.6 Page 26

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A TU PER TU
O. PORI MECOI
Un secolo
Il signor Egidio Brojanigo,
il patriarca della Casa
Generalizia ha compiuto
cent’anni.
tutto per don Bosco
Egidio dal cuore fanciullo che
batte ancor oggi con ritmo
gioioso e sereno a novant’anni
inoltrati.
I compleanni e gli onomastici del si-
gnor Egidio Brojanigo, della comuni-
tà della Pisana, sono stati segnati da
graziose ballate come questa di don
Omero Paron, allora Economo Gene-
rale della Congregazione, che cantano
la sua vita, con il felice tocco dell’anti-
ca Valdocco.
Tenevi il lapis con molto sussiego
all’orecchio, pesavi la mercé nel
cavo della mano e azzeccavi di
getto o sbagliavi di poco: così ac-
quisivi prestigio sui tuoi coetanei.
Dopo le scuole, trovai lavoro presso un
negozio di alimentari. Riuscivo molto
bene e avevo anche un buon stipendio:
il mio papà era molto contento. Così
fino a 22 anni.
E ancora batteva quel cuore
fanciullo quando il parroco,
un giorno vedendoti, ragazzo
spensierato ed onesto ti volle
nel Circolo delegato aspiranti.
Ragazzi a frotte ti correvano
attorno con stridule grida nei
giochi in cortile; per loro cantavi
e danzavi nei gruppi all’aperto.
Conquistati li avevi ed erano al
catechismo attenti, più ancora in
preghiera tra i banchi di chiesa.
Ero felice di essere attivo in parroc-
chia, soprattutto nell’Azione Cattolica
e mi trovavo bene con i ragazzi.
Quando un giorno UNO passò
e ti disse: “se vieni con me, avrai
tutta la vita un cuore fanciullo
così che tu possa diffondere gioia
serena”. Non esitasti un istan-
te: ebbe inizio così l’avventura
della tua vita salesiana.
Il mio entusiasmo e il sincero spirito
apostolico colpirono il mio parroco
che mi convinse a scrivere a Cumiana,
vicino a Torino, dove c’era una scuola
agricola salesiana.
Conosceva già i salesiani?
No. Ma la Provvidenza si muove per
strade tutte sue.
Come fu il primo impatto?
Arrivato a Cumiana, mi fecero una
specie di test: mi chiesero di raccontare
il ciclo della semina del grano e della
mietitura, ma io non ne sapevo molto.
Venivo dal commercio. Dopo tre anni
mi ammisero al Noviziato di Villa Mo-
glia con un anno di anticipo e là feci la
Prima Professione. Avrei dovuto torna-
re a Cumiana, ma l’Ispettore mi chiese
di andare a Gaeta dove rimasi sei anni e
cominciai a fare il cuoco.
E scoppiò la guerra.
La guerra rese tutto più difficile. E io
avevo 140 persone da nutrire. A loro
non mancò mai nulla, neanche il sale e
neanche lo zucchero. Mi chiamavano
don Rua, perché risparmiavo e riuscivo
a dare tutto. Cominciarono i rastrel-
lamenti dei tedeschi che cercavano
uomini da deportare in Germania e
fui salvato dal vescovo salesiano mon-
signor Guerra. Quando arrivarono i
soldati tedeschi, monsignor Guerra
affermò: «Questo è il mio attenden-
te!» e mi lasciarono stare. Poi mi fece
vestire con una veste da prete e riuscii
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3.7 Page 27

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a scappare fino a Novi Ligure, dove
ricominciai a cercare di sfamare ragaz-
zi e confratelli. Riuscii a nutrire tutti,
con abbondanza. Era tempo di guerra
e fu un vero miracolo!
Davvero quell’UNO mantenne
la sua promessa? / Chi accanto
a te è vissuto lo può assentire. /
Continuasti ad essere il “ delegato
aspiranti”, / animatore di giova-
ni ed adulti, / in aspirantato, in
noviziato, nelle case coi ragazzi.
/ E quando ti tolsero i giovani,
continuasti a diffondere gioia
serena / negli uffici, nel refettorio
tra i frati, / all’Università e nella
Casa Generalizia.
Queste strofe sono un po’
la sintesi della sua vita
salesiana?
Mi sono sempre trovato bene. Feci an-
cora il cuoco in Noviziato a Villa Mo-
glia per nove anni. Chi arrivava
da altre case diceva: «Ma qui
sono in Paradiso!». Diven-
ni autista per i professori del
Pedagogico e anche l’or-
tolano. Poi don Fedele
Giraudi, Economo
Generale, mi chia-
mò a “sostenere” i
confratelli addet-
ti alla costruzione
dell’UPS e poi della
Pisana. Facevo un po’ di
tutto. Ero diventato famo-
so perché allevavo conigli
che vendevo e soprattut-
to cucinavo. Alla Pisana
sono ancora oggi. Ho
fatto il cuoco finché sono arrivate le
suore. Poi sono passato all’“Ufficio po-
stale” con il signor Renato Celato, con
il quale abbiamo servito i superiori a
tavola per trentacinque anni fino a che
l’attuale Rettor Maggiore ci ha solle-
vati da questo servizio. Ma abbiamo
continuato con la posta. Quante notta-
te passate a spedire in tutto il mondo i
documenti dei Capitoli!
Ma è quasi proverbiale la
sua vivace convivialità.
Come canta la ballata:
Non disdegnavi riproporre i
tuoi giochi: i piatti che ballano
in terra, / le danze abbracciato
alla sedia al suono stonato
d’armonica. / Non mancava
la barzelletta con un po’ di
pepe dentro che permetteva
ai presenti di fingere scandalo. /
Quel cuore fanciullo continuava
Mi chiamavano
don Rua
a tifare la “Juve” / e non c’era
problema se l’orario del gioco
coincideva col rosario alla
radio vaticana. / A fine decina
ti sintonizzavi subito con la
partita per ritornare quasi subito
al mistero seguente…
Ricordo con affetto il Rettor Maggiore
don Viganò, che era tifoso del Milan, e
quindi ci trovavamo sempre in compe-
tizione. E quando tornava da qualche
viaggio chiedeva sempre a me le noti-
zie del Campionato. E quando la Juve
batteva il Milan era festa doppia.
Che cosa vorrebbe dire
ai salesiani di oggi?
Io sono stato sempre pienamente fe-
lice in tutto quello che ho vissuto e
ringrazio ogni giorno don Bosco e
Maria Ausiliatrice per tante belle
cose che mi hanno dato.
Possiamo allora concludere
con la sua bellissima
preghiera alla Vergine:
Prendimi dunque, Ausiliatri-
ce bella, / quando il mio tempo
avrà raggiunto il sommo, / però
non prima, così tranquillo dor-
mo! / E tu sii ancora e sempre la
mia stella. / E mentre, sciolto
dai pensieri vani, io salgo ver-
so te, Madonna santa, / l’anima
mia di te tutta s’ammanta...
Vi porto nel mio cuore, sale-
siani!
Febbraio 2012
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3.8 Page 28

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COME DON BOSCO
ALBERTO PELLAI - BARBARA TAMBORINI
Mi piaccio
Molti pensano che soltanto
i bellissimi possano avere
una buona autostima
corporea. In fin dei conti,
il loro fisico è invidiato da
così come sono tuttieguardandociòdicui
madre natura li ha dotati...
beh, è automatico provare
nei loro confronti una certa
Il mondo è pieno di bellissimi che
non si considerano tali e ogni gior-
no quotidiani e riviste riportano
notizie relative a modelle, attori
e attrici da tutti considerati inar-
rivabili, che si sottopongono a in-
piccolo neo e un’imperfezione della
pelle che, secondo me, deturpano l’e-
stetica del mio viso. In questo secondo
caso, il problema è che io del mio cor-
po riesco solo a vedere gli aspetti nega-
tivi e di me racconto a me stesso solo
invidia. Invece non è così.
maggioranza della popolazione fem-
minile. E la situazione è resa ancora
più grave dal fatto che quasi tutte le
immagini riferite al corpo femmini-
terventi di chirurgia plastica ed este- ciò che percepisco come limite e de- le, oggi disponibili nei media, sono
tica per apparire più belli.
bolezza, ignorandone i punti di forza. spesso il risultato di un potente ritoc-
Per percepirsi belli bisogna avere de- L’autostima corporea, l’avrete intuito, co operato da programmi di grafica
positato nella propria mente un’imma- si fonda sulla capacità di accettarsi per quali Photoshop.
gine sufficientemente buona e realisti- come si è, senza rincorrere un’imma- Crescere i nostri figli in una società
ca di sé e averla dotata di pensieri che, gine ideale troppo lontana da quella dominata dall’ossessione dell’imma-
nel percorso autonarrativo di ciascuno reale che ci restituisce lo specchio. gine e affollata di adulti che costan-
di noi (le spiegazioni che diamo a noi
temente vivono con insoddisfazione
stessi rispetto a quello che ci capita), la Che cosa impedisce
qualificano come tale.
Io posso mettermi davanti allo spec-
di accettarsi come si è
chio e, pur avendo un naso grosso, un Questo aspetto della nostra vita in-
po’ di pancia e qualche altra imperfe- trapsichica e della nostra identità è
zione corporea, guardarmi con simpa- oggi messo profondamente in crisi dai
tia e dire a me stesso: «È vero, potrei modelli e dagli stereotipi proclamati
anche essere cento volte più attraente come vincenti dalla società dell’im-
di così... ma ho un bel sorriso, la gente magine in cui tutti siamo immersi.
mi considera simpatico e sono sempre È difficile per una donna sentirsi a
pieno di amici». Questo significa avere posto nel e con il proprio corpo se il
una buona autostima corporea.
95% delle donne presenti nei media,
Al contrario, potrei essere alto un me- che quindi rappresenta e cumula l’i-
tro e novanta, con un fisico da urlo e deale di bellezza cui ispirarsi, è dota-
passare le giornate a vivisezionare un to di una fisicità irraggiungibile dalla
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3.9 Page 29

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IL LIBRO
la loro dimensione corporea significa
esporli fin da piccoli a un fattore di
rischio che mina, nel profondo, le basi
per l’acquisizione di un buon modello
di autostima corporea.
Tra l’altro, nel passaggio da infanzia ad
adolescenza, tutti i ragazzi e le ragazze
vivono con molto disagio i cambiamen-
ti corporei e, anche quando sono dotati
di un fisico molto bello, ciò nonostante
è per loro quasi fisiologico sperimen-
tare una profonda insoddisfazione per
come sono fatti e per come appaiono
agli occhi dell’altro.
Il ruolo dei genitori
Noi genitori abbiamo il dovere educa-
tivo di aiutarli a guardarsi allo spec-
chio con occhi indulgenti e autoaccet-
tanti, e testimoniare con le parole e con
i fatti che il corpo è l’involucro di una
seconda dimensione che, molto più di
ciò che appare, definisce chi siamo e
che valore abbiamo. Insomma, se l’oc-
chio superficiale di chi ci vive intorno
può rimanere colpito da ciò che vede al
primo sguardo, solo l’occhio profondo
di chi ci vuole conoscere davvero per
quello che siamo e per il valore che
abbiamo può cogliere l’intima uni-
cità che ci connota e che deriva dalla
miscela irripetibile di corpo e psiche,
aspetto e contenuto, per dirla con i fi-
losofi, forma e sostanza.
Ecco allora che potenziare l’autostima
corporea dei nostri figli fin dalla più
tenera età, aiutandoli a vedersi dotati
di un corpo che non può essere tutto
bello o tutto brutto, ma che presen-
ta una miscela di connotazioni che ci
rendono unici davanti agli altri, è un
bisogno educativo che, come madri e
padri, dobbiamo presidiare. La libertà
di diventare davvero se stessi, oggi più
che in passato, è un dono che un figlio
può ricevere all’interno della relazione
educativa intrafamiliare, ma solo se i
genitori sanno regalargli lo sguardo
che vede il cuore e non due occhi che
scrutano il corpo per vedere se aderisce
a standard e stereotipi limitati, quasi
sempre dettati da chi detiene il mer-
cato della dietetica o della cosmetica.
Apprezzare sé
per apprezzare gli altri
È fondamentale anche per noi adul-
ti pensare a come sappiamo prenderci
cura del nostro corpo, della sua salute
e non solo della sua immagine. Quan-
ti di noi sono stati intrappolati dal
messaggio «magro è bello» e magari
combattono ogni giorno a tavola contro
un’alimentazione sana e nutriente pre-
ferendone una deprivante, con l’unico
obiettivo di perdere peso? Perché fac-
ciamo sport con il solo scopo di metter-
ci sulla bilancia per constatare i grammi
Alberto Pellai, medi-
co psicoterapeuta, e
Barbara Tamborini,
psicopedagogista,
marito e moglie con
quattro figli, hanno
scritto questo libro
interessante e so-
prattutto utilissimo
e praticabile con
riflessioni, suggerimenti per il dialogo e
giochi da fare in famiglia.
persi e non lo viviamo invece come un
momento di benessere in cui ci sentia-
mo dotati di un corpo vivo e vitale?
E come mai sostiamo davanti allo
specchio alla ricerca spasmodica di
rughe che potrebbero raccontare agli
altri l’avanzare della nostra età, senza
pensare che invece proprio i segni del
tempo sul nostro viso possono dire
agli altri che viviamo, stiamo vivendo
e abbiamo vissuto la migliore vita di
cui siamo stati dotati? Davvero è bello
vedere donne di 40, 50, 60 e 70 anni
che in TV hanno tutte la stessa faccia
e le stesse espressioni appiattite dai
trattamenti al botulino e da lifting
che tirano il volto, incorniciando uno
sguardo fisso e poco mobile?
Insomma, come avrete capito i temi
che sono cruciali per potenziare l’au-
tostima dei nostri figli risultano an-
che di importanza fondamentale per
noi adulti che li aiutiamo a crescere.
Perché lo sguardo in cui si riflette
l’immagine corporea di nostro figlio,
che da noi può ottenerne approvazio-
ne, forza e indulgenza, è lo stesso
sguardo che autosserva davanti allo
specchio il corpo di cui siamo dotati.
E spesso, proprio con noi che lo vo-
gliamo usare in modo sano ed educa-
tivo con i figli, quello sguardo è pieno
di disapprovazione e rifiuto.
Febbraio 2012
29

3.10 Page 30

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FMA
MARIA ANTONIA CHINELLO
Questa è la
Lavoro minorile, povertà
e violenza. L’infanzia è
negata per molti in Bolivia.
nostra casa Siincominciaalavorare
prestissimo: a cinque, sei
anni. Se alcuni approdano
alla scuola, la maggioranza
ACasa Main le ragazze ospita-
te sono 110, dai 5 ai 18 anni.
Vengono inviate diretta-
mente dal Tribunale dei Mi-
nori e provengono da tutte le
parti della Bolivia. La casa
si trova alla periferia della città di
Santa Cruz.
Nove suore, tre delle quali assisten-
ti a tempo pieno. Accanto a loro, un
«Gioia e dolore sono realtà che si alternano
durante il cammino con le nostre ragazze. Fanno
parte del percorso di totale condivisione della loro
situazione. Facciamo di tutto per voler loro bene
con i fatti, più che con le parole, con i gesti più
che con grandi discorsi».
manipolo di educatrici che collabora-
no per il mantenimento della casa, il
servizio psicopedagogico e il lavoro
didattico e tanti benefattori e amici
sparsi in Bolivia, in Spagna e in Italia,
a cui dire grazie per l’aiuto e il soste-
gno. E poi, un progetto a tre tappe:
l’accoglienza e il primo adattamento
all’ambiente; l’accompagnamento per
la formazione, il recupero e il reinse-
rimento familiare e, per chi non ha
questa possibilità, la terza fase verso
il pieno reinserimento sociale, con un
piano di studio e di lavoro personaliz-
zati. Ne parliamo con suor Inés Mo-
rales, animatrice della comunità.
non sa cos’è. E sono le
bambine e le ragazze quelle
più esposte ai rischi.
Le Figlie di Maria
Ausiliatrice hanno aperto
Casa Main per dare una
possibilità di uscire da una
realtà di prevaricazione e
vivere pienamente il loro
essere donne.
Quale storia porta con sé
chi arriva a Casa Main?
Storie di violenza innanzitutto. Le
bambine e le ragazze hanno dietro di
loro una scia di conflitti che, spesso,
inizia con la nascita. Alcune sono or-
fane, altre vivono con un solo genito-
re, altre ancora sono state abbandona-
te. Molte sono malate, perché hanno
subito abusi sessuali, sono state sfrut-
tate, rese schiave nel lavoro.
Accogliete anche ragazze
con particolari disturbi?
Sì, ci facciamo carico anche di chi sof-
fre di disturbi e ritardi mentali, di chi è
30
Febbraio 2012

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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affetto da Sindrome di Down. Per noi
non è sempre facile, poiché necessitano
di attenzioni particolari e di persona-
le specializzato in grado di seguirle in
maniera adeguata. Il Tribunale, però,
ce le affida lo stesso perché non sempre
riesce a individuare strutture che vera-
mente le accolgano, oltre a curarle.
Che cosa offrite?
Cerchiamo di dar loro tutto
l’affetto che prima non hanno
avuto. Le accettiamo così come
sono: cariche di rabbia e di do-
lore. Spesso manifestano atteg-
giamenti aggressivi e scaricano
su di noi le loro frustrazioni, ma
sappiamo che, annidato in loro, c’è un
bisogno d’amore. Nella comunità edu-
cante ci sforziamo di creare un clima
familiare, per far sì che, a poco a poco,
riacquistino fiducia in loro stesse. È il
primo passo per guarire le ferite.
E una volta conclusa la
permanenza a Casa Main,
che futuro spetta loro?
Il reinserimento nel mondo del lavoro.
C’è anche chi forma una sua famiglia,
basata sulla convinzione di non com-
mettere con i figli gli errori che sono
stati commessi con loro. Sono molto ri-
conoscenti verso quanto hanno ricevu-
to e vissuto: sanno che Casa Main non
chiuderà mai loro la porta, sarà sempre
la loro “casa”. Per questo tornano spes-
so a trovarci, anche dopo diversi anni.
E poi, purtroppo, c’è anche chi scappa,
scegliendo nuovamente la strada per-
ché lì – in un certo senso – la vita è più
facile e soprattutto non hanno regole,
possono fare ciò che vogliono.
La gioia e la sofferenza
più grandi che vivi accanto
a loro...
Gioia e dolore sono realtà che si alter-
nano durante il cammino con le nostre
ragazze. Fanno parte del percorso di
totale condivisione della loro situazio-
ne. Facciamo di tutto per voler loro
bene con i fatti, più che con le parole,
con i gesti più che con grandi discorsi.
Quando penso che vivono su di loro le
ferite di Cristo, sperimento la gioia di
guarire le “sue” ferite con la pazienza.
Siamo felici quando cogliamo piccoli
segni di cambiamento: riprendono a
sorridere, a guardare in volto, a essere
autonome. È un continuo esercizio di
incoraggiamento, di proposta di felici-
tà perché la padrona di Casa Main è la
Madonna: lei guida, guarisce, si pren-
de cura e difende dai pericoli.
Tu sei di passaggio in Italia…
Ho frequentato il Corso di perfezio-
namento per Tecnico della preven-
zione della violenza all’infanzia e
«Le ragazze sono molto riconoscenti verso quan-
to hanno ricevuto e vissuto: sanno che Casa Main
non chiuderà mai loro la porta, sarà sempre la
loro “casa”. Per questo tornano spesso a trovarci,
anche dopo diversi anni».
all’adolescenza, attivato dalla Facoltà
«Auxilium» di Roma in collaborazione
con il Centro Studi Sociali sull’Infanzia
e l’Adolescenza «don Silvio de Annuntiis»
di Scerne di Pineto (TE). È la prima
esperienza italiana di formazione spe-
cialistica in materia di prevenzione e
di contrasto al disagio ed alla violenza
all’infanzia. Sono stati due mesi inten-
si di scuola, solo al venerdì pomeriggio.
L’obiettivo era formare ad operare con
i bambini e con le loro famiglie all’in-
terno di contesti sociali ed educativi
come servizi sociali, consultori, centri
diurni, scuole, comunità educative. Ri-
parto arricchita e più consapevole che
la violenza non è inevitabile: molto si
può fare per prevenirla, in quanto le
cause possono essere contrastate per
generare una società più sana e vivibile
per tutti.
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31

4.2 Page 32

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NOI & LORO
ALESSANDRA MASTRODONATO
LA FIGLIA
Smascherati
dall’amore
Gli psicologi ripetono spesso che
tutti, nella società in cui viviamo,
tendiamo, più o meno consape-
volmente, ad indossare delle ma-
schere ed aggiungono che questa
tendenza appare più marcata du-
rante l’adolescenza, quando l’inquieta ricerca
di un’identità non ancora matura e definita, spinge
ad esplorare diverse versioni del “”, a sperimentare
stili, linguaggi e atteggiamenti differenti, nel tenta-
tivo di individuare quelli più aderenti al proprio “io”.
La maschera esprime, infatti, il desiderio di essere
diversi, di nascondere quel che si è, di celare quella
parte di se stessi che si fa più fatica ad accettare.
Ma può anche essere un modo di svelare aspetti
inediti della propria personalità, di dar voce alla
parte più autentica e vera dell’io, che spesso, per
paura, imbarazzo o timidezza, gli adolescenti non
riescono a manifestare, se non protetti dietro lo
schermo rassicurante di una maschera.
Ed ecco, dunque, che tanti ragazzi e ragazze diven-
tano esperti nel fabbricarsi la maschera più adatta ad
ogni situazione: una per quando sono a casa, una
per la scuola, una per risultare simpatici e divertenti
quando sono con gli amici. E ancora, una per quan-
do sono imbarazzati, una per nascondere con cura i
momenti di tristezza e di fragilità, una per sentirsi
uguali agli altri quando sono in gruppo e tante e
tante altre da indossare persino quando sono da soli
con se stessi, nella speranza di trovarne almeno una
che li faccia sentire davvero a proprio agio.
In alcune culture, una delle funzioni della masche-
ra è quella di rendere irriconoscibile chi la indossa
per proteggerlo dagli spiriti maligni e per infonder-
gli forza e coraggio nelle prove della vita. Ma non
è, forse, la medesima funzione che gli adolescenti
attribuiscono alle tante maschere che portano quo-
tidianamente e che sembrano cambiare con estrema
disinvoltura, a seconda del contesto in cui si trovano
e delle persone con cui si relazionano?
Certo, per gli adolescenti di oggi, gli spiriti mali-
gni sono altri rispetto a quelli delle culture tradi-
zionali. Essi incarnano ciò che più fa loro paura:
il timore di essere giudicati, di essere feriti, di non
essere accettati, e amati, semplicemente per quel-
lo che sono. Da cui il bisogno, per vincere l’insi-
curezza e sentirsi meno indifesi e vulnerabili, di
nascondersi dietro una corazza di falsa arroganza
e indifferenza, oppure di mostrarsi esattamente
come gli altri vorrebbero che fossero, di compor-
tarsi come tutti si comportano, di omologarsi, di
indossare una maschera che li faccia somigliare
agli altri, anche a costo di soffocare la loro iden-
tità e i loro desideri più autentici. Fino a corre-
re il rischio di non riuscire più a “riconoscersi”, di
perdere di vista ciò che sono realmente e di non
riuscire più a scrollarsi di dosso quelle maschere
così ingannevoli e ingombranti.
Forse per riuscire a liberarsi da tutte queste ma-
schere, per pervenire alla costruzione di un’i-
dentità più matura e imparare ad essere se stessi,
gli adolescenti hanno semplicemente bisogno di
sentirsi amati, accolti ed accettati esattamente per
quello che sono.
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Febbraio 2012

4.3 Page 33

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MARIANNA PACUCCI
Gli adulti spesso lamentano la dif-
ficoltà di comprendere i giova-
nissimi, perché hanno di fronte
a sé persone acerbe e fluttuanti,
che appaiono diverse a seconda
dei loro stati d’animo, delle espe-
rienze che vivono, delle situazioni che
affrontano, degli interlocutori che han-
no come compagni di viaggio.
Genitori, insegnanti, catechisti spesso entrano in
conflitto fra loro, quando devono educare i giova-
nissimi, poiché dispongono di elementi differenti
di percezione e valutazione del loro modo di pen-
sare e di fare, spesso incoerente e labile.
La maggior parte degli adolescenti indossa più
personalità a seconda che si trovi a giocare il ruolo
di figlio, alunno, membro di un gruppo parroc-
chiale… Perfino fra mamma e papà spesso capita
di dover discutere animatamente perché in casa
i figli mostrano profili instabili o vere e proprie
maschere. A squinternare del tutto la necessaria
armonizzazione del percorso della crescita ci si è
messo, poi, il social network, che moltiplica all’in-
finito, nel tempo e nello spazio, l’immagine di un
individuo, confondendo realtà e virtualità.
La sensazione che gli adulti hanno nei confronti
dei giovani è che vivano in un carnevale quoti-
diano: metafora dell’uno, nessuno e centomila,
ciascuno di essi sembra talora divertirsi a mettere
a soqquadro le aspettative dei grandi, altre volte
sconvolto dal proprio essere irrisolto e incompiu-
to. D’altronde, come potrebbero le cose andare
diversamente?
Quante volte, in famiglia o a scuola o perfino in
parrocchia gli adulti suggeriscono ai ragazzi di
adattarsi al mondo circostante rinunciando alla
propria autonomia di pensiero, di giudizio e di
comportamento; quante volte si pretende da loro
che siano la fotocopia di un altro piuttosto che
sforzarsi di pensare con la propria testa; quante
volte li si respinge perché esprimono con trop-
pa sincerità i propri sentimenti e stati d’animo;
Non può essere
sempre
carnevale
La maggior parte degli
adolescenti indossa più
personalità a seconda che
si trovi a giocare il ruolo
di figlio, alunno, membro
di un gruppo parrocchiale.
quante volte si dimostra loro
con le parole e con i fatti che
la vita quotidiana può essere
affrontata con successo soltanto
indossando una pluralità di ma-
schere per sembrare quello che non si è….
Per amore di questi ragazzi che troppo spesso
vengono frettolosamente convinti che non c’è al-
tra scelta che abitare in un mondo fatto di ma-
schere e che sono spinti da molti adulti ad una
rottura irreparabile fra l’essere e l’apparire, vale
la pena che tutti gli educatori tornino a ricordare
a se stessi che il carnevale è solo un periodo ben
delimitato dell’anno, che non merita di essere re-
plicato all’infinito.
Soprattutto, che esso è solo una parentesi forse
piacevole, ma non sempre significativa, nel flus-
so di senso che va dall’esperienza di un Dio che
si è fatto uomo perché l’uomo possa diventare
veramente persona, all’umile accoglienza di una
salvezza che nasce dalla croce di Cristo, che ha
scelto di morire per non immiserirsi nelle men-
zogne e nelle finzioni di un mondo che ha paura
dell’autenticità.
LA MADRE
Febbraio 2012
33

4.4 Page 34

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LE CASE DI DON BOSCO
TANIA ROMUALDI
Nel cuore di Forlì
don Bosco è più vivo che mai
Uno scorcio della
casa salesiana di
Forlì. Fu fondata
da don Pietro
Garbin nel 1942.
L’opera salesiana di Forlì è il cuore
pulsante del centro storico.
«La scuola che vorrei la immagino
così, piena di fantasia, con molte
culture» scrive Nouzi Azzedine
su Il Gallo, il giornalino del centro
di formazione professionale. «Più
o meno come la scuola che fre-
quento: poca teoria e molta pratica, perché la teoria
è noiosa e le ore diventano più lunghe. Mi sarebbe
piaciuto non essere un allievo ma il proprietario o
un insegnante per trasmettere le poche ma impor-
tanti cose che so o saprò.
La mia scuola immaginaria la vorrei con un bel
colore allegro che rende le persone sorridenti. Io ci
vorrei anche molto sport, in particolare mi piace-
rebbe avere una squadra della mia scuola nella serie
A, come il Milan.
La vorrei con stanze molto grandi, ma è solo un
sogno... Ma io non perdo la speranza che in futuro
si avveri il mio sogno».
E il sogno, nella casa salesiana di Forlì, è una real-
tà. L’opera assomiglia ad un alveare in cui tutti
hanno un compito.
Fondata da don Pietro Garbin nel 1942, nei suoi
quasi 70 anni di vita, l’opera ha mantenuto la sua
configurazione, pur rimanendo attenta al bisogno
dei giovani e alle nuove esigenze del tempo.
Il carisma salesiano ha offerto inizialmente il suo
contributo ai giovani di Forlì e alle loro famiglie
fin dall’immediato dopoguerra. L’oratorio San
Luigi e la parrocchia di San Biagio sono stati
punto di riferimento per molti nella città e hanno
aiutato generazioni di giovani a vivere secondo
l’insegnamento di don Bosco: “buoni cristiani e
onesti cittadini”. I salesiani che si sono succeduti
hanno saputo interpretare la richiesta del mondo
dei giovani e sono entrati nella loro vita per non
uscirne più. Numerosi exallievi della prima ora
ritornano all’oratorio e desiderano, nonostante la
loro veneranda età, comunicare alle generazioni
successive il grande tesoro che ha animato la loro
vita.
Con il passare del tempo i salesiani hanno saputo
mantenere vivo lo spirito dei primi tempi e, fedeli
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Febbraio 2012

4.5 Page 35

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al carisma del fondatore, offrire un contributo che
ancora oggi è rilevante.
L’oratorio e la parrocchia continuano il loro servi-
zio a favore della comunità. I tempi sono cambia-
ti, le esigenze sono diverse. I salesiani hanno però
saputo corrispondere al bisogno di spiritualità e
di accompagnamento spirituale odierni verso tut-
ti i fedeli con particolare attenzione ai giovani e
alle famiglie.
Dagli anni ’70 i salesiani accolgono i ragazzi che
frequentano l’Istituto Tecnico Aeronautico “Fran-
cesco Baracca” e da qualche anno anche gli univer-
sitari. L’unicità e la qualità della scuola superiore
e di alcune facoltà universitarie sul territorio na-
zionale richiamano giovani da ogni parte d’Italia.
Tale condizione richiede, da parte delle famiglie
che vedono il loro figlio uscire di casa a partire dai
tredici anni, un ambiente nel quale il ragazzo pos-
sa sentirsi a “Casa”, come voleva don Bosco. Oggi i
ragazzi che abitano nel Convitto salesiano trovano
un ambiente sereno che li aiuta a crescere e a ma-
turare come uomini e come cristiani. Imparano a
diventare responsabili di se stessi e della comunità.
Sono invitati a mettersi in relazione con chi è più
piccolo offrendo un aiuto quando è richiesto. At-
tualmente i ragazzi presenti nel convitto sono 110
e provengono da tutte le regioni d’Italia.
Attivissima, all’interno dell’opera e nella città
è la Sala della Comunità San Luigi. Con le sue
moderne attrezzature e strumenti cura la comu-
nicazione sociale promuovendo incontri culturali,
proiezioni, spettacoli, eventi per un pubblico gio-
vanile e popolare secondo le finalità del progetto
educativo di don Bosco.
26 nazionalità diverse
Dal 1957 l’opera salesiana è impegnata nel Centro
di Formazione Professionale (CNOS-FAP). I sa-
lesiani di Forlì, grazie alla professionalità raggiun-
ta in diversi anni di servizio, offrono la possibilità
ai giovani di inserirsi gradualmente nel mondo del
lavoro attraverso corsi di meccanica e di autoripa-
razione con competenza e serietà. Molti ex allievi
ricordano gli insegnamenti ricevuti in quegli anni.
Diversi hanno intrapreso un’impresa e sono oggi
collaboratori del centro nell’accogliere i
giovani per gli stage previsti dal percor-
so formativo. Attualmente i giovani
che frequentano il centro appar-
tengono a 26 nazionalità
e per metà sono extra-
comunitari.
Il Centro si occupa di
organizzare i corsi per
la formazione profes-
sionale per i ragazzi
ancora in obbligo for-
mativo, in età compresa
tra i 15 e i 18 anni. In parti-
Veduta aerea
dell’Opera Sale-
siana. A destra in
basso la bellissima
chiesa parrocchia-
le di San Biagio.
Un gruppo dei
ragazzi durante un
recital. Nel Centro
di Formazione
Professionale gli
allievi appartengo-
no a 26 nazionalità
diverse.
Febbraio 2012
35

4.6 Page 36

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LE CASE DI DON BOSCO
colare, i corsi si occupano della preparazione al con-
seguimento della qualifica di Costruttore su Mac-
chine utensili, Montatore Meccanico di Sistemi e
Operatore dell’Autoriparazione.
Oltre alla formazione di base, il centro offre un
corso post qualifica per Tecnologo di prodotto-
processo nella meccanica, un corso per Over 18,
rivolto a coloro che hanno superato l’obbligo for-
mativo e che desiderano acquisire competenze
circa la lavorazione alle macchine utensili, il corso
Etnicamente rivolto a persone extracomunitarie
disoccupate che desiderano cimentarsi nello studio
delle macchine utensili, e la formazione per i Cassa
Integrati (Politiche attive per il lavoro) e Welfare
to Work i quali, attraverso una segnalazione del
Centro per l’Impiego e dalla provincia di Forlì Ce-
sena, accedono a corsi personalizzati per un massi-
mo di 300 ore, sempre nel settore meccanico.
Il progetto Incipit
Con l’utenza più svantaggiata si sono attiva-
ti percorsi di tirocinio sul progetto Incipit che
prevedono percorsi in aula e percorsi di lavoro
in azienda. Da sottolineare l’impegno di alcuni
allievi del Centro di Formazione Professionale
nelle attività di doposcuola presso l’Oratorio che
comprendono, tra le altre, l’affiancamento dei
bambini delle scuole primarie nello svolgimento
dei compiti a casa.
La vocazione al lavoro ha fatto sì che negli anni il
centro creasse una rete di imprese con le quali la
collaborazione si è fatta sempre più proficua ed in-
tensa. Una parte di attività, infatti, che rappresenta
senza dubbio il fiore all’occhiello, è l’organizzazio-
ne degli stage nelle aziende che coinvolgono tutti
gli studenti e l’attivazione dei tirocini estivi presso
le stesse aziende metalmeccaniche.
Casa per ferie - Centro Congressi
Relax, Natura, Benessere
Via della Pisana, 1111 00163 Roma - tel: +39 06658751 - E-mail: salesianum@sdb.org - www.salesianum.it
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4.7 Page 37

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
L’angelo dei bisognosi
Molto prima che don Bosco venisse assunto come cappellano e aiu-
to del teologo Borel, la fama di benefattrice della XXX già superava
i confini del Piemonte. Nata come Giulia Colbert in Vandea, regione
della Francia, dopo la Rivoluzione francese aveva frequentato la corte
di Napoleone e conosciuto il futuro marito Carlo Tancredi. Non ebbero
figli e, pur potendo godere del lusso e dei piaceri che la loro condizione
agiata gli avrebbe permesso, rivolsero le loro attenzioni ai bisognosi.
Giulia, in particolare, era animata da una profonda generosità e carità
e la prima opera in cui si impegnò fu la riforma delle carceri femminili
torinesi, giudicate tra le peggiori d’Europa per le terribili condizioni del-
le detenute. Ella sosteneva il principio che il carcere non deve punire
ma redimere e preparare l’individuo a reintegrarsi nella società. In seguito fondò il cosiddetto
“Rifugio”, un centro che si proponeva il duplice obiettivo di educare le ragazze a rischio e le ex de-
tenute offrendo loro un ambiente familiare e un lavoro. Tra le tantissime iniziative meritevoli, istituì,
primi in Italia, un asilo infantile e un ospedale pediatrico per ragazze disabili e successivamente
diversi ordini religiosi come la Congregazione delle Figlie di Gesù Buon Pastore. Ma una delle
più importanti opere fu l’Ospedaletto di Santa Filomena
per le bambine rachitiche (trasferitosi pochi anni dopo
da Moncalieri a Torino) dove don Bosco fu assunto dalla
Colbert come direttore spirituale e dove diede inizio al suo
oratorio salesiano. L’opera di questa straordinaria donna
continua ancora oggi attraverso svariate attività caritative,
all’Ospedaletto, in particolare, è succeduto l’ambulatorio
dell’Associazione Camminare Insieme che offre assisten-
za sanitaria ai disagiati. Attualmente è in corso il processo
di beatificazione della nobildonna.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. La lascia il mo-
toscafo - 4. Mistero - 9. Lo zio della
vecchia fattoria - 14. Nell’’800 scatenò
una furiosa “corsa” - 16. Se ne cerca-
rono le sorgenti per decenni - 18. Lo
sono cocker e setter - 19. A noi - 20.
Coseno (abbr.) - 22. Iniziali di Bocelli
- 23. Precede Vegas e Palmas - 25. Vi
si bevono caffè in piedi - 26. Il condu-
cente indiano di elefanti - 29. Una bella
canzone di John Lennon - 33. XXX -
35. I confini della Svizzera - 37. Il lago
di Como - 38. Fu capitale dell’Assiria
- 40. Diventò Telecom - 42. La zona
del porto dove vengono riparate le navi
- 44. Gli elementi alla base del sistema
binario - 45. Un tipo di raccomandata
- 46. Il Sandler attore di Mr. Deeds -
48. Il centro di Torino - 49. Lo colpi-
sce uno sfortunato tiro in porta - 51. Al
luna park può essere “a segno” - 53. Il
battello che va a caccia di capodogli -
54. Composizioni di legni diversi.
VERTICALI. 1. Società, in breve -
2. Indispensabile in caso di forature - 3.
Conta per l’egoista - 5. Il radon - 6.
L’agenzia di spionaggio Usa - 7. È in...
il lunedì dopo Pasqua - 8. Negazione -
10. Onde Corte - 11. La biblica Torre
che doveva arrivare al cielo - 12. Istituto
Nazionale Assicurazioni - 13. Slancio,
spinta - 15. L’autore di Lord Jim - 17.
A 19 anni scrisse Bonjour tristesse - 20.
Il circolo ricreativo dei lavoratori (sigla)
- 21. Sono dedicati ai caduti - 23. Rela-
tive alle labbra - 24. La stella visibile più
luminosa - 27. La Muti attrice (iniz.) -
28. Seguito da eleison è una invocazio-
ne religiosa - 30. Cadde dal cielo - 31.
Innovazione - 32. Porto etiope sul Mar
Rosso - 34. La dea dell’Aurora - 36.
Opera di Verdi - 39. Compiono gesti di
grande coraggio - 41. La via del celebre
romanzo di Molnàr - 43. Pancia - 45.
È “... poetica” quella di Orazio - 47. Mes-
sina - 50. Siede a Montecitorio (abbr.)
- 52. Un verbo brevissimo!
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37

4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Bulli a Valdocco!
Non è certamente un mistero per i più attenti conoscitori La violenta collutazione
della “realtà viva” di Valdocco e non solo “ideale”
o “virtuale”, che la vita quotidiana in una struttura
Nell’autunno 1861 la vedova del pit-
tore Agostino Cottolengo, fratello
del famoso (san) Benedetto Cotto-
decisamente ristretta per accogliere 24 ore su 24
e per molti mesi all’anno varie centinaia di bambini,
lengo, dovendo collocare i suoi due
figli, Giuseppe e Matteo Luigi, nella
capitale del neonato Regno d’Italia
ragazzi e giovani eterogenei per età, provenienza, dialetto, per motivi di studio, chiese al co-
interessi, poneva problemi educativi e disciplinari non
gnato, can. Luigi Cottolengo di
Chieri, di individuare un collegio
indifferenti a don Bosco e ai suoi giovani educatori.
adatto. Questi suggerì l’oratorio di
In questo e nel prossimo numero del BS riportiamo due
don Bosco e così il 23 ottobre i due
fratelli, accompagnati da un altro zio,
episodi significativi al riguardo, per lo più sconosciuti. Ignazio Cottolengo, frate domenica-
no, entrarono al Valdocco a 50 lire
mensili di pensione. Prima di Natale
il quattordicenne Matteo Luigi era
però già ritornato a casa per motivi
di salute, mentre il fratello maggiore
Giuseppe, ritornato a Valdocco dopo
le vacanze natalizie, un mese dopo fu
allontanato per causa di forza mag-
giore. Che cosa era successo?
Era successo che il 10 febbraio 1862,
Giuseppe, sedicenne, era venuto alle
mani con un certo Giuseppe Chicco,
di nove anni, nipote del can. Simo-
ne Chicco di Carmagnola, che pro-
babilmente ne pagava la pensione.
38
Febbraio 2012
La vita quotidiana di centinaia di bambini,
ragazzi e giovani eterogenei per età, provenienza,
dialetto, interessi, poneva problemi educativi e
disciplinari non indifferenti a don Bosco e ai suoi
giovani educatori.

4.9 Page 39

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Nella colluttazione, con tanto di ba-
stone, il bambino ovviamente ebbe la
peggio, restandone seriamente ferito.
Don Bosco si premurò di farlo rico-
verare presso la fidatissima famiglia
Masera, onde evitare che la notizia
dello spiacevole episodio si diffon-
desse in casa e fuori casa. Il bambino
venne visitato da un medico, il quale
redasse un referto piuttosto pesante,
utile “per chi di ragione”.
L’allontamento
provvisorio del bullo
Per non correre rischi e per ovvi mo-
tivi disciplinari don Bosco il 15 feb-
braio si vide costretto ad allontanare
per qualche tempo il giovane Cotto-
lengo, facendolo accompagnare non a
Bra a casa della madre che ne avreb-
be sofferto troppo, ma a Chieri, dallo
zio canonico. Questi, due settimane
dopo, chiese a don Bosco delle condi-
zioni di salute del Chicco e delle spese
mediche sostenute, onde risarcirle di
tasca propria. Gli chiese altresì se era
disposto a riaccettare a Valdocco il
nipote. Don Bosco gli rispose che il
fanciullo ferito era ormai quasi com-
pletamente guarito e che per le spese
mediche non c’era in alcun modo da
preoccuparsi perché “abbiamo da fare
con onesta gente”. Quanto a riaccet-
targli il nipote, “s’immagini se mi ci
posso rifiutare”, scriveva. Però a due
condizioni: che il ragazzo ricono-
scesse il suo torto e che il can. Cot-
tolengo scrivesse al can. Chicco, onde
chiedergli scusa a nome del nipote e
pregarlo di “dire una semplice paro-
la” a don Bosco perché riaccogliesse
a Valdocco il giovane. Don Bosco gli
garantiva che il can. Chicco non solo
avrebbe accolto le scuse – gli aveva già
scritto al riguardo – ma aveva già fat-
to ricoverare il nipotino “in casa di un
parente per impedire ogni pubblicità”.
A metà marzo entrambi i fratelli
Cottolengo venivano riaccolti a Val-
docco “in modo gentile”. Matteo Lui-
gi vi rimase però solo fino a Pasqua
per i soliti disturbi di salute, mentre
Giuseppe fino al termine degli studi.
Un’amicizia consolidata
e un piccolo guadagno
Non ancora contento che la vicenda si
fosse conclusa con comune soddisfa-
zione, l’anno successivo il can. Cotto-
lengo insistette nuovamente con don
Bosco per pagare le spese del medico
e delle medicine del bambino ferito. Il
can. Chicco, interpellato da don Bo-
sco, rispose che la spesa complessiva
era stata di 100 lire, che però lui e la
Anche a Valdocco, don Bosco si trovò ad affron-
tare problemi disciplinari provocati dalla vivacità
dei ragazzi. E la soluzione non era sempre facile.
famiglia del bambino non chiedevano
nulla; ma se il Cottolengo insisteva
nel voler saldare il conto, devolvesse
tale somma “a favore dell’Oratorio di
S. Francesco di Sales”. Così dovette
avvenire.
Dunque un episodio di bullismo si
era risolto in modo brillante ed edu-
cativo: il colpevole si era ravveduto,
la “vittima” era stata ben assistita,
gli zii si erano uniti per il bene dei
loro nipoti, le mamme non ne ave-
vano sofferto, don Bosco e l’opera di
Valdoccco, dopo aver corso qualche
rischio, avevano guadagnato in ami-
cizie, simpatie… e, cosa sempre gra-
dita in quel collegio di ragazzi pove-
ri, un piccolo contributo economico.
Far nascere il bene dal male non è da
tutti, don Bosco ci è riuscito. C’è da
imparare.
Febbraio 2012
39

4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
MARIA ANTONIA CHINELLO
Una madre nel paese
delle betulle
E rano pronte, lei e le sue sorelle,
a sopportare il freddo di quel
paese lontano. Quando suor
Laura Meozzi e altre cinque
FMA arrivano in Polonia il 5
novembre 1922 ad aspettarle,
a Oświęcim, trovano i salesiani, che
da 24 anni sono presenti nel “paese
delle betulle”.
“Madre” Laura, come sarà sempre
chiamata, ha 49 anni ed è originaria di
Firenze. Con lei, viaggiano suor Ma-
ria Mazzoli e suor Francesca Baruc-
co, italiane, suor Anna Walenga, suor
Anna Ścisłowska e suor Anna Juzek,
FMA polacche.
La novità di questa “spedizione mis-
sionaria, decisa dal Capitolo generale
dell’Istituto delle Figlie di Maria Au-
siliatrice del 1922 per celebrare i 50
anni della fondazione, sta proprio qui.
Ad accompagnare le prime missiona-
rie, ci sono già alcune giovani sorelle
autoctone. Madre Laura Meozzi, in-
fatti, pur essendo ritenuta la “pionie-
ra”, al suo arrivo in Polonia trova 15
FMA formate all’estero. Erano gio-
vani che avevano respirato il carisma
salesiano grazie alla sapiente direzio-
ne spirituale dei confratelli e attra-
verso la lettura del «Bollettino Sale-
siano». Avevano deciso di “inseguire
il sogno” e sul finire dell’Ottocento,
clandestinamente, lasciano la propria
patria, raggiungono Torino e chiedo-
no alle Superiore di far parte dell’Isti-
tuto. Non tutte rientrano in Polonia
all’arrivo delle suore: molte resteran-
no come missionarie in altri paesi.
Attorno a tre verbi può essere scritta la
vita di madre Laura Meozzi che, nel
pieno delle forze, dà l’avvio alla presen-
za femminile del carisma salesiano
in Polonia. Sono 30 gli anni che
vivrà nel paese, dal 1922 al
1951. Anni che abbracciano
un periodo preciso: in questa
parte di Europa la Storia scri-
Le prime missionarie in Polonia
(1922) (davanti, da sinistra): Maria
Mazzoli, Laura Meozzi, Anna Walenga;
(dietro, da sinistra): Anna S´cisłowska,
Anna Juzek, Francesca Barucco.
ve forse le sue pagine più buie. Anche
le Figlie di Maria Ausiliatrice vivono
dal di dentro questa Storia e ne scri-
vono con i fatti una loro, a lettere non
meno maiuscole perché dettate dall’a-
more.
Costruire
I primi anni, le FMA concentrano
la loro presenza nell’orfanotrofio di
Różanystok, dove accolgono 80 bam-
bini. La vita della piccola comunità è
semplice e, ben presto, arrivano i primi
rinforzi: sei giovani nel giro di pochi
mesi chiedono di condividere la vita
delle suore. Così, nel 1924, è possibi-
le aprire una seconda opera a Wilno e
poi a Laurów. Il sorriso e la bontà di
madre Laura vincono le resistenze dei
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Febbraio 2012

5 Pages 41-50

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bambini e delle bambine che, per espe-
rienze precedenti, temevano le suore
e avevano paura degli abiti neri. È in
questi anni che madre Laura si impe-
gna a studiare il polacco per capire il
cuore delle ragazze e delle suore. Le
difficoltà comprensibili non arresta-
no il processo di apertura: alla vigilia
della II Guerra Mondiale, le FMA in
Polonia sono 82 distribuite in 8 case,
mentre 33 giovani sono impegnate nel
cammino di formazione.
Lasciare
Dal 1939 al 1945, la guerra chiede un
conto molto alto alle Figlie di Maria
Ausiliatrice: sono costrette a lasciare
le case e ad abbandonare le opere. È il
tempo dello spogliamento e della dia-
spora: si cerca di salvarsi come si può,
rifugiandosi presso famiglie, nelle case
dei salesiani, lavorando, aiutando gli
altri. Le missionarie italiane sono ri-
mandate in patria, mentre madre Laura
resiste, a costo della vita, con suor Ma-
ria Mazzoli sul territorio della Polonia
occupata. Condivide la sorte di chi le è
affidato: la morte di suor Wanda Kra-
sowska e di suor Aniela Szczerbińska
sotto i bombardamenti di Varsavia;
l’arresto di 10 sorelle incarcerate dai te-
deschi e dai russi, l’invio ai lavori forzati
in Germania di altre 6 FMA.
Dopo la chiusura dell’orfanatrofio di
Laurów, si trasferisce in una fattoria
abbandonata chiamata “Krynica” e
qui prega incessantemente il Cuore
di Gesù, mentre fa di tutto per tene-
re i contatti con le suore disperse, a
cui preventivamente aveva dato l’in-
dirizzo della Casa Madre di Torino,
perché in qualsiasi luogo si trovassero
potessero mettersi in contatto con la
Superiora generale.
Nonostante il dolore e la sofferenza,
sperimenta la presenza e la protezione
del Signore. Un giorno, nella fattoria
“Krynica” vede giungere un camion di
soldati sovietici. L’intenzione è chia-
ra: espropriare casa e persone. Madre
Laura intensifica la preghiera e man-
tiene la calma, continuando a sbuccia-
re le patate con altre due anziane. Ina-
spettatamente, i soldati fanno dietro
front e non torneranno mai più.
Ricominciare
Le frontiere della Polonia, alla fine
della Guerra, vengono ridisegnate.
Dal 1941, le suore erano ritornate a
Laurów, come semplici impiegate,
protette da un salesiano che fingeva
di essere a capo dell’opera assisten-
ziale. Ma non è più possibile restar-
ci, in quanto la cittadina era ormai in
territorio lituano, annesso all’Unione
Sovietica.
Madre Laura decide di riportare gli
orfani in Polonia. Nel maggio 1945,
carica più di 100 bambini, 26 suore e
3 postulanti nel treno dei rimpatriati e,
affidandosi alla Provvidenza, li ricon-
duce in patria. Alla stazione di Łódź,
c’è in serbo la gioia di poter riabbrac-
ciare le suore che dai sei anni non la
vedevano.
Allievi dell’orfanotrofio di Laurów.
È il tempo del nuovo inizio. E madre
Laura ricomincia. Nel gennaio 1946,
partecipa a un incontro con il primate
di Polonia, il cardinale August Hlond,
salesiano, che chiede alle famiglie reli-
giose di impegnarsi a livello pastorale
nelle cosiddette “terre recuperate”. La
risposta delle FMA è molto generosa:
solo in quell’anno, madre Laura vi apre
6 case: Pogrzebień, Połczyn Zdrój, Lu-
binia Wielka, Nowa Ruda, Wrocław,
Wschowa; a cui si aggiungono l’anno
seguente Dzierżoniów, Wrocław, Śro-
da Śląska, Pieszyce. E a Pogrzebień
madre Laura è testimone del ritorno
delle suore dai lavori forzati in Siberia,
dal confino di Wilno, dall’Italia.
Il tempo si fa breve. Madre Laura si
spegne il 30 agosto 1951, nella pienez-
za del suo essere “guida”, ma soprattut-
to “madre” che non ha concesso sconti
all’amore e al dono di sé.
La Chiesa, il 27 giugno 2011, ricono-
sce l’eroicità della sua vita, conferman-
do la validità del carisma salesiano da
lei vissuto nel “paese delle betulle”, cui,
alla sua morte, lascia una ricca eredi-
tà: 122 suore, 30 novizie e 26 case.
Un amore quello di madre Laura che,
dopo 90 anni, continua a vivere. Oggi
le FMA in Polonia sono 418, le novi-
zie 9, distribuite in 42 comunità.
Febbraio 2012
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5.2 Page 42

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
DON DUSAN STEFANI
Morto a Mestre il 12 giugno 2011 a 92 anni
Non c’è chiesa in Italia in cui non
si esegua uno dei suoi canti. È
stato l’artefice instancabile di
quella raccolta La casa del Padre,
che è entrata in tutte le parroc-
chie italiane ed è stata assunta
dai vescovi italiani come base del
repertorio liturgico italiano.
A chi gli chiedeva che cosa si-
gnificassero per lui il canto e la
musica, rispondeva: «la musica è
una cosa misteriosa che ti nasce
dentro e ti trasforma. È “extasis”.
È “trasfigurazione”, spesso lega-
ta a un’esecuzione estetica di fi-
nezza, ma non necessariamente.
Insomma mi avete capito: il can-
to come vita dell’anima, il canto
come qualcosa di vivo che ti ri-
nasce nel cuore. È per questo che
il nostro cantare non ci stancava.
E gli anni sono scivolati via senza
che io abbia mai alterata la voce
o espresso qualche lamentela.
Le esecuzioni (con i ragazzi) non
erano perfette, ma noi nel canto
non cercavamo la perfezione,
cercavamo la vita».
Dusan era nato a Villa Decani
di Capodistria, attualmente in
Slovenia ad appena 3 km dal
confine di Trieste, e allora da po-
chi mesi annessa all’Italia, dopo
la sconfitta dell’Austria. Era un
paese agricolo di origine serbo-
slovena. Il papà Ivan Stefancic
era capomastro e la mamma,
Anna Obat, casalinga. Il papà,
reduce della guerra sul fronte
russo della Galizia, senza lavoro
e malato, aveva dovuto ipotecare
la sua bella casa per far fronte
alle spese dell’ospedale.
La mamma intanto portava
avanti la famiglia con la vendita
al minuto di olio, passando casa
per casa nei paesi tra l’Istria e
Trieste. Parlando della mamma,
Dusan la definisce «un’eroina
autentica! Lei fu la nostra Prov-
videnza di Dio. Era la fede che
la sosteneva nelle sue fatiche e
preoccupazioni, ma ne parlava
poco, sia per il suo tempera-
mento riservato, sia per il poco
tempo. Anche per le preghiere
era sbrigativa. Ma la sua vita era
per noi un insegnamento che va-
leva più di tante parole».
Nel 1929 per esigenze di lavoro,
la famiglia si trasferì a Trieste
nella zona della Maddalena, a
cinque minuti di strada dall’ora-
torio salesiano. Dusan incomin-
ciò a frequentare l’oratorio di via
dell’Istria e presto divenne la sua
seconda casa. In chiesa serviva
la messa come chierichetto e in-
camminarsi sulla via del sacer-
dozio gli sembrava la cosa più
naturale del mondo.
Fin dal ginnasio Dusan si appli-
cò al pianoforte, seguito da un
grande maestro di musica sale-
siano, don Angelini, e acquistò
sempre più pratica ed entusia-
smo per la musica. La musica
gli era congeniale, facile.
«L’anima mia ha sete
del Dio vivente»
Nel 1946 fu ordinato sacerdote e
iniziò un lungo cammino di studi
musicali. Furono nove anni di
studio intenso e sacrificato che
lo portarono al Diploma di Mae-
stro Compositore e Direttore
d’Orchestra.
Passò poi a Torino «Crocetta»
come insegnante di gregoriano,
musicologia liturgica e polifonia,
succedendo a grandi maestri
come don Grosso, don Pagella,
don De Bonis.
Erano gli anni del rinnovamento
conciliare della musica liturgi-
ca e don Dusan fu coinvolto in
gruppi di studio e di sperimen-
tazione presso la Elledici. Furo-
no anni di intenso lavoro da cui
nacque la realizzazione del nuo-
vo repertorio nazionale di canti
liturgici che in breve ebbe gran-
de diffusione. Gli furono affidate
la rivista musicale e in genere
le pubblicazioni liturgiche della
Elledici.
La permanenza di 15 anni a To-
rino gli diede anche l’opportu-
nità di lavorare come assistente
al gruppo degli Scout. Assie-
me a Luciano Ferraris fondò i
“foulards bianchi”: settore dello
Scoutismo Cattolico che svolge
il proprio servizio a Lourdes e
nei Santuari Mariani nello spi-
rito di Santa Bernadette.
Dopo due anni nella nuova sede
dell’UPS di Roma, nel 1969
chiese di rientrare in Veneto,
dove svolse la sua attività di
insegnante di educazione mu-
sicale e animazione del canto
nelle case di Mogliano «Asto-
ri» (1969-1970), Udine (1970-
1974), Trieste (1974-1981), Gori-
zia (1981-1986) e ancora Udine
(1986-2010). Da pochi mesi si
trovava nella Casa «Artemide
Zatti» di Mestre (2010-2011).
In uno scritto in cui riassume in
breve la parabola della sua esi-
stenza scrive: «Posso aggiunge-
re solo questo: ogni mio passo,
ogni mio respiro oggi è un grazie
a Dio per avermi dato una vita
lunga, serena, piena, tutta lu-
minosa. Lasciando stare i miei
difetti che tutti vedono, se ho
qualcosa di buono lo devo: alla
mia famiglia, particolarmente
alla mamma, povera di mezzi, ma
ricca nello spirito; a don Bosco e
ai miei confratelli che mi hanno
sempre circondato di affetto, di
stima, di pazienza; e aggiungo,
anche alla mia duplice etnia, sla-
va e triestina (alla slava, con la
fantasia e la sensibilità, special-
mente in musica, tipica di quella
cultura – e alla triestina col suo
ottimismo e cordialità) ».
Don Dusan conclude il suo te-
stamento spirituale e musicale
con le parole del salmo da lui
musicate: «L’anima mia ha sete
del Dio vivente: quando vedrò il
suo volto?».
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Febbraio 2012

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
La storia del mondo
C’era una volta una topoli-
na che voleva diventare
la regina degli animali.
Si fece costruire un
trono di mollica di pane
e una corona con la carta
dei cioccolatini poi dichiarò: «Sono
la regina degli animali! Quadrupedi,
bipedi, alati e striscianti sono tutti
invitati a rendermi ubbidienza, ono-
re, omaggi e a farmi un regalo per il
mio compleanno!». La notizia si dif-
fuse in fretta, perché gli animali sono
dei grandi pettegoli. Le prime ad
arrivare furono le api che, in fretta e
furia, omaggiarono alla regina un po’
di miele ronzando e borbot-
tando: «Con tutto quello che
abbiamo da fare! Ci mancava
anche questo! Comunque noi
abbiamo dato e chi s’è visto
s’è visto…..».
Due tortore color caffelatte
non riuscirono a trattenere
una risatina: «Una regina con
i baffi!»
Pian piano arrivarono altri
animali, che non avendo
niente di meglio da fare, pre-
starono omaggio alla regina.
Giunse anche una bella volpe
rossa, che invece di fare la
riverenza alla regina, sogghi-
gnando se la pappò. E già che
c’era si mangiò anche il trono.
Poi si fece fare un bel trono
di legno scolpito dai castori
e dichiarò: «Adesso la regina sono
io!». Le scimmie adulatrici gridarono:
«Urrà!»
Dopo qualche giorno arrivò una
grossa tigre dall’aria sorniona che ad
andatura felpata si avvicinò a Regina
Volpe, sorrise melliflua e la sbranò.
Poi si voltò e con gli occhi che man-
davano lampi d’oro proclamò: «Il re
sono io! Cominciate pure a portare i
regali!»
Dopo un po’ di tempo, con un fracas-
so formidabile, arrivò alla reggia un
mastodontico elefante che, giunto da-
vanti alla tigre, la schiacciò. E appiattì
anche il trono. Poi barrì minaccioso:
«Il re sono io! Tutti i miei sudditi fac-
ciano tre urrà per Elefante I Magno!».
E si fece costruire un trono di pietra
adeguato al suo enorme posteriore.
Gli uomini della savana si accorsero
di tutto il trambusto provocato dagli
animali e arrivarono per curiosare.
Quando seppero che l’elefante si era
proclamato re, lo attaccarono con
lance e spade, lo fecero a pezzi, che
arrostirono e mangiarono con le
patate dolci. Poi misero sul trono
il loro capo.
Gli uomini del mare ne sentirono
parlare e arrivarono in forze, gridan-
do: «Noi siamo i più forti! Dobbiamo
regnare noi!». Gli uomini della savana
si schierarono a difesa del loro re e ne
venne fuori una battaglia con morti e
feriti. Vinsero gli uomini del mare e il
loro capo divenne re.
Gli uomini del deserto, selvatici e
crudeli, arrivarono quasi subito con i
loro cammelli e le lunghe scimitarre e
fecero strage degli uomini del mare.
Il loro capo si sedette sul trono e fu
acclamato re. Il suo regno durò poco.
Gli uomini delle città si coalizzarono
e mossero contro il regno degli uomi-
ni del deserto. Questa volta la batta-
glia fu terribile. Rimasero solo pochi
sparuti abitanti che misero un bambi-
no sul trono e dissero: «Il re sei tu!»,
ma in quel momento davanti al trono
passò una topolina, il Re Bambino si
spaventò e scappò via piangendo.
La topolina salì sul gran trono vuoto,
si sedette e disse: «Sono la regina
degli animali!».
Dopo tanto sangue e tanti morti tutto
tornò come all’inizio.
Ne valeva la pena?
Febbraio 2012
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5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Conoscere don Bosco
La cordata
Dal carisma personale
al carisma condiviso
Salesiani nel mondo
El Saltillo
Qui ha studiato
il Rettor Maggiore
L’invitato
Monsignor
Charles Maung Bo
Arcivescovo di Yangon,
Myanmar
FMA
Dalla parte delle
donne. Coi fatti
Intervista a Estrella Castalone
Chiesa Oggi
I molti perché del calo
delle vocazioni
Una ricerca del Professor
Franco Garelli
Le case di don Bosco
Lecce e la Basilica
di San Domenico Savio
Dal testamento di don
Senza di voi
Bosco per i benefattori
Senza la vostra carità io avrei
non possiamo
potuto fare poco o
nulla; con la vostra
carità abbiamo invece
cooperato con la
fare nulla!
grazia di Dio
ad asciugare molte lagrime e
a salvare molte anime.
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612658
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.