Bollettino_Salesiano_201201

Bollettino_Salesiano_201201

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IL
GENNAIO
2012
Salesiani
nel mondo
India
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Conoscere don Bosco
La chiamata di Dio
Progetto Europa
Il nostro cuore
è aperto
L’invitato
Monsignor
Mario Toso
I WANT YOU!
Ho bisogno di te!

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
La cucina
dell’Oratorio
La storia
Nel mese di maggio 1947 don Bosco ospitò nell’Oratorio
il primo ragazzo orfano. Mamma Margherita prima che
si addormentasse gli disse alcune parole affettuose. I
Salesiani hanno visto in questo sermoncino di Mamma
Margherita la prima «buonanotte», una breve parola del
capo della casa con cui si è soliti chiudere la giornata
nelle case salesiane, e che don Bosco giudicava «chia-
ve della moralità, del buon andamento e del successo»
(Memorie dell’Oratorio, 172-173).
Anche se ero solo una
cucina umile ero
sempre pulita. Il fuoco
schioppettava sempre
sotto una marmitta
borbottante di mi-
nestra e ogni giorno arrivava
qualche ragazzino smunto ma
di appetito gagliardo. Da don
Bosco non si andava mai via con
la pancia vuota. E neanche con
l’animo giù di corda. Ricordo
una sera di maggio. Pioveva a
catinelle. Don Bosco e sua ma-
dre avevano appena terminato la
cena, quando qualcuno bussò al
portone. Era un ragazzo bagna-
to e intirizzito, sui 15 anni.
«Sono orfano. Vengo dalla
Valsesia. Faccio il muratore, ma
non ho ancora trovato lavo-
ro. Ho freddo e non so dove
andare...».
«Entra», gli disse don Bosco.
Mamma Margherita gli preparò
un po’ di cena. Poi gli domandò:
«E adesso, dove andrai?».
«Non lo so. Avevo tre lire quan-
do sono arrivato a Torino, ma le
ho spese tutte». Silenziosamente
si mise a piangere. «Per favore,
non mandatemi via».
Mamma Margherita pensava ai
ragazzi che aveva già ospitato e
che avevano preso il volo all’alba
con tutte le coperte.
«Potrei anche tenerti, ma chi mi
garantisce che non mi porterai
via le pentole?».
«Oh no, signora. Sono povero,
ma non ho mai rubato».
Ero la cucina più felice del
mondo, quando accolsi sulle mie
pareti quella camicia inzuppata
e quei pantaloni rattoppati stesi
ad asciugare vicino al focolare.
Don Bosco era già uscito sotto
la pioggia a raccogliere alcuni
mattoni. Li portò dentro e fece
quattro colonnine su cui distese
alcune assi. Poi tolse dal suo
letto il pagliericcio e lo mise
lì sopra.
«Dormirai qui, caro. E rimarrai
finché ne avrai bisogno. Don
Bosco non ti manderà mai via».
Quella notte avrei avuto compa-
gnia. Raccomandai al mio buon
amico fuoco di darci dentro,
perché dalle fessure fischiava
il vento delle Alpi. Il ragazzo
divorò la minestra, il pane e il
formaggio. Poi si mise a letto.
Mamma Margherita gli rim-
boccò le coperte e lo invitò a
recitare le preghiere. «Non le
so», rispose.
«Le reciterai con noi» gli disse.
E così fu. Poi, guardandolo
con affetto, gli sussurrò poche
semplici parole che tengo come
il più bel ricordo nelle mie vec-
chie mura aduste: «Sii sempre
buono, lavora con responsabilità
e non dimenticare mai le pre-
ghiere che ti ha insegnato tua
madre. Buonanotte!».
Gli occhi di don Bosco brillava-
no di benevola furbizia quando
vide la mamma che chiudeva a
chiave la mia porta, perché non
si sa mai. Ma questo è un segre-
to che conosciamo solo noi tre.
E io so mantenere i segreti.
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Gennaio 2012

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IL
IL
GENNAIO
2012
GENNAIO 2012
Salesiani
nel mondo
India
ANNO CXXXVI
Numero 1
2 LE COSE DI DON BOSCO
La cucina dell’Oratorio
4 CONOSCERE DON BOSCO
La chiamata di Dio
6 LETTERE
8 SALESIANI NEL MONDO
India
12 L’INVITATO
Monsignor Mario Toso
15 MESSAGGIO A UN GIOVANE
Indignati!
16 PROGETTO EUROPA
Due missionari
19 OMAGGIO A DON BOSCO
20 FINO AI CONFINI DEL MONDO
22 FMA
La mia Africa
24 EVENTI
26 A TU PER TU
Don Umberto De Vanna
28 COME DON BOSCO
30 ARTE SALESIANA
32 NOI & LORO
34 LE CASE DI DON BOSCO
Montechiarugolo
37 RELAX
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Lettera al marchese
40 I NOSTRI SANTI
42 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
43 LA BUONANOTTE
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Conoscere don Bosco
La chiamata di Dio
Progetto Europa
Il nostro cuore
è aperto
L’invitato
Monsignor
Mario Toso
I WANT YOU!
Ho bisogno di te!
8
22
26
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina:
Gennaio è il mese
di don Bosco. Non
sia un ricordo solo
tradizionale, ma
un invito forte e
deciso per il futuro
(Disegno di Stefano
Pachì).
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
Tel./Fax 06.65612643
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web: http://biesseonline.sdb.org
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Maria Antonia Chinello,
Roberto Desiderati, Cristiana Dobner,
Vittorio Gherri, Pidi Giordano,
Cesare Lo Monaco, Alessandra
Mastrodonato, O. Pori Mecoi,
Francesco Motto, Marianna Pacucci,
José J. Gomez Palacios, Linda Peri-
no, Annegret Spitz, Carlo Terraneo,
Fabrizio Zubani, Sophie Woginger.
Diffusione e Amministrazione:
Luciano Alloisio (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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CONOSCERE DON BOSCO
PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA
La chiamata
di Dio
Le scelte di don Bosco sono
dettate dagli appelli di Dio,
Signore della storia
Nel cuore dell’Antico Testamento c’è una
chiamata. La chiamata di Dio a Mosè, il
giorno del roveto ardente. Il Signore disse:
«Ho osservato la miseria del mio popolo
in Egitto e ho udito il suo grido a causa
dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue
sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’E-
gitto e per farlo uscire da questo paese verso un paese
bello...» (Esodo 3,7-8).
«Ho osservato ho udito conosco sono sceso per libe-
rarlo». Sono i quattro verbi della paternità perfetta.
Dio non abbandona i suoi figli. Don Bosco è stato
chiamato per incarnare la paternità di Dio nel nostro
tempo.
Un tempo di lacerazioni
Don Bosco vive e opera in un periodo di rapi-
de trasformazioni epocali. Questa transizione fu
traumatica, soprattutto in ambito sociale ed ec-
clesiale. In particolare si accelerò il processo ini-
ziato con i Lumi che mise fine alla societas cristia-
na, attraverso il trionfo delle ideologie agnostiche
e anticristiane, la conclamata incompatibilità tra
ragione-scienza e fede, la progressiva disaffezio-
ne dei ceti medi e popolari dalle istituzioni ec-
clesiali (più rapida in città, graduale nelle cam-
pagne). In Italia la questione romana aprì una
grave lacerazione nell’animo dei credenti. Sotto
la pressione dell’intellighenzia laica anticlericale
e della borghesia imprenditoriale, che con l’arma
dell’editoria orientava opinione pubblica e stili di
vita, le nuove generazioni, formate in una scuola
progressivamente agnostica, rimanevano diso-
rientate, facile preda di idee e pratiche lontane
dal costume cristiano. Nello stesso tempo si ma-
nifestavano povertà nuove, massicce migrazioni
interne ed esterne, sradicamenti culturali, sfrutta-
mento lavorativo e abbrutimento morale dei ceti
più poveri.
Salvare i giovani
Proprio questo contesto storico, questi traumi
sociali e queste tensioni furono per don Bosco
stimolo e occasione preziosa di discernimento
della voce del Signore. Mentre altri polemizzava-
no, condannavano, si lamentavano della tristezza
dei tempi egli, portato a percepire Dio presente
e operante nella storia umana, formato a sentire
se stesso come pastore chiamato a lavorare per la
salvezza dell’umanità specialmente della gioven-
tù, si immerge criticamente ma amorosamente e
creativamente nel suo tempo, vivendone tutte le
vicende con partecipazione spesso sofferta, pron-
to a dare la propria vita per la missione di cui si
sentiva portatore, convinto che la grazia di Dio è
più forte di ogni umano ostacolo e sostiene effi-
cacemente chi lavora per diffondere nei cuori il
Regno di Cristo.
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Gennaio 2012

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La situazione dei giovani poveri che incontra nel-
la Torino degli anni ’40 e ’50, ma anche gli eventi
ecclesiali, politico-sociali e le nuove leggi, stimo-
lano e orientano operativamente la sua sensibilità
educativa, il suo zelo pastorale, i suoi doni natu-
rali e lo portano a operare un discernimento in
funzione proattiva e preventiva.
Cambieranno le situazioni nei decenni successivi,
nuovi problemi sorgeranno, ma questo atteggia-
mento mentale e questa disposizione spirituale
lo indurranno ad ampliare orizzonti, ad articolare
opere e proposte, a moltiplicare iniziative, coin-
volgendo schiere sempre più
ampie di discepoli, sostenito-
ri, benefattori e simpatizzanti.
Così l’espressione “giovani po-
veri e abbandonati” acquisterà
un significato sempre più vasto,
non solo socio-economico, ma
spirituale, culturale ed etico.
Sono buono a poco? Omnia possum in eo qui me
confortat. Ci sono spine? Con le spine cangiate in
fiori gli Angeli tesseranno per lei una corona in
cielo. I tempi sono difficili? Furono sempre così,
ma Dio non mancò mai del suo aiuto: Christus
heri et hodie» (25 ottobre 1878, Ceria, Epistolario
di S. Giovanni Bosco, III, 399).
Per noi è una lezione di speranza e di
coraggio, un invito a scuoterci e rinno-
varci nella fedeltà e nell’impegno, e nel-
la confidenza in Dio.
«Tutto posso in chi
mi dà la forza!»
La sua modernità sta qui: non
solo iniziative al passo con le
esigenze e i gusti dei tempi e dei
giovani, ma risposte tempestive
ed efficaci (perché lungimiranti
e frutto di discernimento e di
genuina carità) a nuovi proble-
mi, nuove sfide, nuovi bisogni,
nuovi attacchi “satanici”, a par-
tire da una fede granitica, da
una speranza incrollabile, da
una donazione assoluta a Dio
e ai fratelli, da una libertà in-
teriore frutto di purificazione
e distacco da sé. Scriveva a un
prete scoraggiato: «C’è da la-
vorare? Morrò sul campo del
lavoro sicut bonus miles Christi.
Quadro di don
Bosco nella chiesa
parrocchiale di
Rapallo (Foto
Mario Notario).
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LA POSTA
I NOSTRI ESPERTI RISPONDONO
Ma Dio
è vendicativo?
Scrivo anche a nome di alcune
colleghe insegnanti. Insieme,
quando ci è possibile, una volta
al mese cerchiamo di fare no-
stra la Parola di Dio, come ci
è suggerito dai nostri pastori,
leggendo qualche pagina della
Bibbia. Avendo trovato delle
schede bibliche nella libreria
cattolica della nostra diocesi,
ci siamo orientate per quest’an-
no sul libro del Deuteronomio.
Abbiamo cercato dei riferimenti
per la nostra vita, ma come mai
nell’Antico Testamento ad ogni
pagina si leggono interventi di
Dio miracolosi, parole di in-
coraggiamento, di rimprovero,
minacce di castighi, condanne
a morte… Ed ora Dio sembra
tanto lontano e assente dai no-
stri problemi. Quando poi Dio
si è presentato vendicativo e
quasi sadico nel minacciare ca-
stighi, siamo rimaste perplesse
specie confrontando questa
presentazione che Dio fa di sé
con quella di un Dio tutto mise-
ricordia del Nuovo Testamento
e poi Dio è immutabile, invisi-
bile, inamovibile e nell’Antico
Testamento è sempre presente?
A volte, per questi pensieri che
vengono in mente sembra di
bestemmiare: è così?
Molte domande ci venivano
consultando libri scolastici di
letteratura, dove gli episodi
della Sacra Scrittura vengono
proposti come miti alla pari dei
miti della Grecia, dell’Egitto, dei
popoli orientali. Conosce qual-
che libro che potrebbe servire
per chiarirci le idee? Per ora
abbiamo deciso di rivolgere il
nostro lavoro su altri libri non
storici (per quelli storici abbia-
mo capito che ci vorrebbe un
cardinal Ravasi tascabile) come
salmi e libri sapienziali… Per-
doni se ci siamo espresse con-
fusamente, ma leggiamo sem-
pre il Bollettino Salesiano che
una delle nostre colleghe riceve
avendo il marito exallievo di un
collegio salesiano. Nella spe-
ranza di una risposta, per tutte.
Ida Montaguti
Gentile signora Ida,
“fare nostra la Parola di
Dio”, come lei scrive,
vuol dire armarsi della
torcia della fede vissuta
nella Chiesa e munirsi di
idonei strumenti culturali che pos-
sano abilitarci nella comprensione
ed orientarci in un autentico gine-
praio fatto di mentalità, leggi, co-
stumi, tradizioni, linguaggi, modi di
essere diversi e lontani dalla nostra
realtà. Questo perché la Bibbia non
è stata scritta da angeli, ma da uo-
mini di diversa estrazione sociale e
culturale vissuti in un arco di tempo
che abbraccia oltre mille anni. I ge-
neri letterari da loro usati svariano
dalla storia alla raccolta di leggi, dal
genere profetico al poetico lirico, al
sapienziale, all’epistolare ed all’apo-
calittico. Gli autori sacri si esprimo-
OGNI MESE
DON BOSCO
A CASA TUA
Il Bollettino Salesiano vie-
ne inviato gratuitamente a
chi ne fa richiesta.
Dal 1877 è un dono di don
Bosco a chi segue con sim-
patia il lavoro salesiano tra
i giovani e le missioni.
Diffondetelo tra i parenti e
gli amici. Comunicate su-
bito il cambio di indirizzo.
no mediante paradossi, miti, alle-
gorie, parabole, racconti edificanti
e narrazioni, a volte, crudeli e ripu-
gnanti al nostro modo di vedere. Dio
nella Scrittura parla, come dice la
Costituzione dogmatica Dei Verbum
al numero 12, “per mezzo di uomini
ed alla maniera umana”. Di conse-
guenza, continua il testo conciliare,
“l’interprete della sacra scrittura…
deve ricercare con attenzione, che
cosa gli agiografi in realtà hanno
inteso significare e che cosa a Dio
è piaciuto manifestare con le loro
parole”. Questo comporta un fati-
coso lavoro di studio e di medita-
zione individuale portato avanti con
impegno ed umiltà, non nella soli-
tudine ma accompagnati e guidati
dal magistero della Chiesa. Nella
Bibbia si parla di santità e di pec-
cato, di odio e di perdono, di ven-
detta e di misericordia. In essa gli
episodi edificanti si accompagnano
a comportamenti obbrobriosi. Il
Dio dell’Antico Testamento spesso
fa suoi atteggiamenti e comporta-
menti, ben lontani dalla sua divina
bontà, che sorprendono e lasciano
perplessi. È il caso di Deuteronomio
23, 63-64 che lei cita. La Bibbia non
è l’agiografia di un dio buono ed im-
peccabile nelle sue relazioni, ma la
storia appassionata di Jahweh che
ama follemente il suo popolo e che
non esita, nell’educarlo, a fare suoi
comportamenti e modi di esprimersi
tipicamente umani per traghettarlo,
lungo i secoli, dalle sponde della
barbarie codificata nella legge del
taglione, a quelle del perdono, della
misericordia e dell’amore testimo-
niati da Gesù. Per avere “qualche
libro che potrebbe servire per
chiarire le idee” basta rivolgersi ad
una buona libreria cattolica, dove
troverà ampia possibilità di scelta
e persone in grado di consigliarla
adeguatamente.
Ermete Tessore
Docente di Filosofia
e di Religione
Sono ossessa?
Vorrei sapere con poche parole
chiare e precise dalla posta del
Bollettino di don Bosco alcune
cose che mi interessano. Chi
risponde alle domande che si
fanno alle carte divinatorie cioè
alla cartomanzia? Che rispon-
dono con precisione assoluta
a che cosa vogliamo sapere
sia del passato sia del presente
e del futuro? È vero che sono
spiriti che vagano nel cosmo
inquieti e sofferenti? O addi-
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Gennaio 2012

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rittura anime dannate? Dico
questo perché essendo sola
da quarant’anni e avendo come
aiuto morale solo la preghiera,
avevo anni fa la passione di fare
il gioco delle carte da sola, ma
poi per diversi giorni sentivo
dentro di me una grande sof-
ferenza. Perché? Mentre se an-
davo da una cartomante non mi
sentivo tormentata da questo
dolore. Perché è male o peccato
fare il gioco divinatorio? Un fra-
te sensitivo che ho interpellato
più volte mi ha detto che ero
tormentata e ossessa da ben tre
spiriti maligni; e anche la mia
casa era disturbata. Lui ha fatto
di tutto per liberarmi nel nome
di Dio, della Madonna e di san
Michele Arcangelo e pare ci sia
riuscito, facendomi fare gros-
se penitenze e tante preghiere.
Però non sono ancora del tutto
tranquilla. Il mio sonno è spes-
so tormentato da incubi. È forse
il peso e il vuoto della solitudi-
ne, insieme alle molte sofferen-
ze passate?
Bianca
Gent.ma Signora Bianca,
lei chiede poche e chia-
re parole su una serie
di questioni a dir poco
scottanti: ci provo! Cosa
dire della cartomanzia,
cioè del gioco delle carte per co-
noscere il futuro? Le rispondono
due famosi maghi italiani. Mago
Otelma: per lui il 92% dei maghi
Un magnifico regalo
per bambini e ragazzi
Un amico impareggiabile e fedele appariva accanto a san Gio-
vanni Bosco nei momenti più difficili della fondazione della sua
opera. Un amico speciale e misterioso. Non mangiava e non
beveva, appariva e spariva all’improvviso, anche quando le
porte erano chiuse.
Era un magnifico cane grigio.
Un giorno, una signora domandò a don Bosco che cosa pen-
sava in fondo del Grigio. «Eh, beh… Dire che in fondo è un
angelo, suonerebbe strano, no?»
Ma chi meglio del Grigio poteva raccontare la storia del santo
dei giovani?
Bruno Ferrero t Nicoletta Bertelle
LA STORIA DI DON BOSCO
raccontata dal cane Grigio
sono falsi. Per Gennaro Brianti ben
il 98% sono imbroglioni e ladri.
Perché tanti maghi, cartomanti e
via dicendo? Semplice: è un me-
stiere che rende molto a spese di
ingenui e creduloni che, per motivi
diversi, cercano di prevedere il futu-
ro proprio o di altri. In chi ricorre a
pratiche magiche c’è la convinzione
che esistano delle forze occulte, mi-
steriose e potenti in grado o di farci
del male, o di favorirci nella vita:
ovviamente pagando salatamente la
prestazione del medium eviteremo il
male e otterremo il beneficio.
È bene ricordarci sempre che il cri-
stiano non può credere in queste
banalità. La vera fede è fidarsi del
Signore: è lui la certezza della nostra
vita e del nostro futuro.
Esistono anime vaganti nel cosmo?
Altra domanda cui risponde un no-
tissimo esorcista, p. Amorth: non
si danno anime vaganti di defunti
perché o sono in paradiso o in pur-
gatorio, oppure – speriamo di no –
all’inferno. Inoltre, gli eventuali de-
funti che si presentano nelle sedute
spiritiche o le anime di defunti che
sarebbero presenti in esseri viventi
per tormentarle, non sarebbero altro
che demoni. In ogni caso, secondo
il p. Amorth, si tratta di situazioni
così strane su cui è difficilissimo
far luce.
La signora Bianca prospetta anche
l’ipotesi che la sua frequentazione
del gioco delle carte sia all’origine
di strane forme di sofferenze fisiche
e psicologiche, nonché di sonno
disturbato e di incubi. E per di più,
aggiunge, nella sua casa succede-
vano cose fuori dal nomale. Che
cosa dire della sua eventuale os-
sessione? Gli esorcisti di grande
esperienza sono molto cauti nelle
risposte. Non negano, anzi prendo-
no molto sul serio l’esistenza di os-
sessioni, di possessioni diaboliche,
così come di infestazioni demonia-
che di abitazioni e di altri luoghi. Al
tempo stesso, però, sanno che certe
manifestazioni fuori dal normale,
e apparentemente riconducibili a
qualcosa di demoniaco, o sono
causate da situazioni di solitudine,
di vicissitudini dolorose passate o
presenti, oppure sono vere e proprie
patologie da sottoporre a un buon
psichiatra o ad altro specialista. In
questa materia bisogna andare con
i piedi di piombo. In ogni caso, se
uno, ad esempio, avverte in sé fe-
nomeni umanamente inspiegabili
tipo malattie e disturbi strani che
resistono a medici e medicine è
saggio rivolgersi ad un buon esor-
cista che non mancherà di aiutarlo
a fare chiarezza nella sua situazione
personale e, se il caso, a combattere
con le armi della preghiera l’even-
tuale presa del maligno.
Niente risposte risolutive, bensì
qualche suggerimento. Anzitutto
stare alla larga da oroscopi, maghi,
chiromanti, indovini, come pure
da sedute spiritiche e cose simili:
fa bene al portafoglio e soprattutto
allo spirito. Queste pratiche spesso
aprono la strada a spiacevoli con-
seguenze. In secondo luogo, se
viviamo bene da cristiani frequen-
tando i sacramenti e pregando di
cuore il Signore, difficilmente ce-
deremo alla tentazione di andare a
bussare ad altre porte che non sia-
no quelle del cuore misericordioso
di Dio Padre.
Sabino Frigato
Docente di teologia morale
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SALESIANI NEL MONDO
ANNEGRET SPITZ - FOTO DI ANDREAS MESLI
Traduzione di Marisa Patarino
India
La speranza si chiama
“don Bosco TECH”
Nell’India che sta galoppando verso la
supremazia mondiale, chi si trova in una
situazione svantaggiata a livello sociale
sembra che abbia la strada segnata:
difficilmente avrà l’opportunità di acquisire
una buona formazione e probabilmente le
sue prospettive si limitano a un duro lavoro
come addetto a giornata o collaboratrice
domestica e una vita in povertà.
I salesiani di don Bosco si impegnano per
aiutare i giovani a uscire da questo vicolo
cieco: con il “Don Bosco Tech” gestiscono
un centro di formazione professionale in
rete per tutto il paese.
«Quando ho ricevuto la convocazione, stentavo a
crederci», spiega. «Per me è come se fosse comin-
ciata una nuova vita».
Il sogno di Natalis
Fino a pochi anni fa, per una ragazza come lei
un lavoro adeguatamente retribuito sembrava
un sogno irrealizzabile e pareva che una vita in
Natalis è davanti al computer in un uf-
ficio che si trova nel centro agricolo
di Shillong, nell’India nord orientale,
e si cimenta con il telefono. Comincia
la sua giornata lavorativa di impiegata
amministrativa. Per la ragazza, il suo
posto di lavoro è sempre una piccola meraviglia.
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povertà fosse la strada segnata. Natalis, però, ha
avuto fortuna. La sua vita, che all’inizio non sem-
brava godesse della protezione di una buona stel-
la (ben presto ha dovuto cominciare ad aiutare i
suoi genitori, entrambi lavoratori a giornata, nella
loro attività, e per molto tempo non ha potuto
frequentare la scuola), ha sperimentato una svolta
decisiva. Che cosa ha fatto la differenza? «La mia
formazione professionale», risponde senza esitare
la ventenne indiana. «Se non avessi avuto la pos-
sibilità di frequentare una scuola e poi di seguire
un corso professionale riguardante l’ambito am-
ministrativo presso il “Don Bosco”, la mia vita si
sarebbe svolta tra pulizie e bucato».
Natalis vive nell’India nord orientale, vicino alla
città di Shillong. Anche i suoi genitori e i suoi
tre fratelli abitano qui. «Quando ero piccola, mio
padre lavorava come bracciante agricolo. Guada-
gnava pochissimo, ma per noi quelle risorse erano
sufficienti». Natalis frequentava la scuola, finché
una sera suo padre fu portato a casa. Si era seria-
mente ferito lavorando.
«Da quel giorno fu costretto a rimanere a letto.
Non poteva più pensare al lavoro», spiega Nata-
lis. La ragazza abbandonò la scuola per contri-
buire all’economia familiare. Aveva undici anni
e frequentava la quinta elementare. Cominciò a
sgobbare dalla mattina presto alla sera tardi in va-
rie case in cui era ingaggiata come collaboratrice
domestica.
«I miei compiti consistevano nel cucinare, lava-
re, pulire e contemporaneamente badare ai bam-
bini». Questo lavoro era molto pesante e Nata-
lis promise a se stessa che prima o poi avrebbe
trovato un modo per uscire da quella vita e dalla
povertà. «Ma non avevo acquisito una formazione
professionale», aggiunge.
La ragazza conobbe per caso, tramite una sua vi-
cina, i salesiani di don Bosco. «Improvvisamente
mi si presentò la possibilità di partecipare a corsi
scolastici». Cominciò a frequentare la scuola per
due ore al giorno, continuando le attività dome-
stiche di sera. Nonostante il carico di lavoro, por-
tò avanti il suo impegno, ricuperò il tempo in cui
non aveva frequentato la scuola e terminò il corso
in un tempo più breve del previsto.
Il suo fratello maggiore trovò poi un lavoro mi-
gliore e così la famiglia non aveva più assoluto
bisogno dello stipendio della ragazza. «Ho co-
minciato subito a frequentare un corso di for-
mazione riguardante l’ambito dell’amministra-
zione presso la Don Bosco Technical School e
ho potuto abitare presso il pensionato annesso
alla scuola». Non ha dovuto pagare nulla per il
corso di formazione, il vitto e l’alloggio e due
I giovani che si
preparano nelle
scuole profes-
sionali salesiane
hanno la quasi
certezza di trovare
un posto di lavoro
qualificato.
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1.10 Page 10

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SALESIANI NEL MONDO
Ogni anno migliaia
di giovani termina-
no il loro percorso
presso i 125 centri
di formazione
professionale “Don
Bosco” distribuiti
in 25 stati federali
indiani.
anni dopo ha conseguito il diploma a pieni voti.
«Per fortuna, presso il Don Bosco ho imparato
anche a propormi per una candidatura per un la-
voro. E, grazie a una certa pratica acquisita du-
rante il corso di formazione, ho potuto già avviare
contatti con alcune aziende e apprezzare il lavoro
quotidiano», spiega.
La priorità è sem-
pre data ai giovani
che difficilmente
avrebbero l’oppor-
tunità di ricevere
una formazione
scolastica e profes-
sionale.
Una rete che facilita
l’inizio del lavoro
Per padre Joseph Aikarachalil, una storia come
quella di Natalis non è insolita. Ogni anno decine
di migliaia di giovani terminano il loro percorso
presso i 125 centri di formazione professionale
Don Bosco distribuiti in 25 stati federali diversi,
con un diploma in mano e un lavoro che li at-
tende. Qual è la ricetta del successo alla base di
questa realtà?
«Come rete, siamo notevolmente più forti rispet-
to a quanto accadrebbe se ogni centro professio-
nale lavorasse da solo. Costituiamo il più grande
centro di formazione del paese, che è noto come
tale. Le aziende apprezzano la notevole capaci-
tà pratica dei nostri allievi», spiega padre Joseph,
che da quattro anni è direttore del Don Bosco
Tech India, una rete che aggrega tutti i centri di
formazione professionale Don Bosco dell’India.
«Nell’ambito aziendale e amministrativo, siamo
partner molto richiesti. In molte sedi si avverte la
mancanza di lavoratori qualificati. Coinvolgiamo
tempestivamente le imprese con il loro know-
how nella formazione, e ne beneficiano entram-
be le parti: le aziende trasmettono competenze
e capacità importanti, e i nostri giovani avviano
rapidamente contatti utili. Questo facilita suc-
cessivamente l’ingresso nel mercato del lavoro».
La Toyota, la Siemens e anche il produttore di
sanitari tedesco Grohe sono importanti partner
del Don Bosco Tech India. Dal 2010, la rete ha
avviato con il ministero indiano per lo sviluppo
un ampio programma per la qualificazione pro-
fessionale e l’integrazione nel mercato del lavoro
nelle regioni rurali. Entro due anni, oltre 50 000
giovani di ambo i sessi seguiranno questo pro-
gramma di formazione.
10
Gennaio 2012

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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Un’opportunità per chi
non ha prospettive
Che cos’ha di speciale la formazione presso il
Don Bosco? «Adottiamo un approccio formati-
vo diretto alla persona nella sua globalità. Questo
significa che i giovani che si preparano con noi
non acquisiscono solo nozioni tecniche, ma anche
competenze sociali», spiega padre Joseph. La pro-
mozione della formazione globale della persona
è un obiettivo centrale della pedagogia del Don
Bosco e un ingrediente fondamentale dell’in-
segnamento proposto. L’autostima, che presso
i giovani che si trovano in una situazione svan-
taggiata nella società indiana è molto indebolita,
viene rafforzata. Altri temi considerati sono la
responsabilità, la gestione dei conflitti e il lavoro
in team. «Queste peculiarità non solo aiutano i
giovani a livello privato, ma sono anche tratti del
carattere importanti che le aziende apprezzano
nei loro collaboratori. Attività sportive e ricreati-
ve per il tempo libero completano il programma.
E hanno sempre la priorità i giovani che altrove
difficilmente avrebbero l’opportunità di ricevere
una formazione scolastica o professionale.
I giovani che costruiscono la loro formazione pro-
fessionale presso il Don Bosco possono guardare con
fiducia al futuro. «Con lo stipendio che guadagno,
finalmente cammino con le mie gambe e, insieme ai
miei fratelli che hanno trovato a loro volta un buon
lavoro, posso aiutare i miei genitori», spiega Natalis
con orgoglio. «Anche i miei fratelli più giovani ades-
so vanno a scuola e non sono obbligati a lavorare».
Natalis ha già anche progetti per il futuro: «Vorrei
una casa, e per questo ho già cominciato a risparmia-
re», ride. Poi aggiunge: «Vorrei anche sposarmi e qua-
si sicuramente potrei offrire ai miei figli un ingresso
nella vita migliore di quello che ho avuto io».
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2.2 Page 12

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L’INVITATO
PIDI GIORDANO
Monsignor Mario Toso
«Giustizia e pace
sono la mia missione»
“Justitia et pax”. È il nome di un
importante organismo ecclesiale,
che Giovanni Paolo II ha ridefinito
come “Pontificio Consiglio della
Giustizia e della Pace”.
Dal 22 ottobre 2009 ne è Segretario
il vescovo salesiano monsignor
Mario Toso, già Rettore Magnifico
dell’Università Pontificia Salesiana,
apprezzato studioso e autore di
numerosi saggi su tematiche
sociali, economiche e politiche.
Grazie alla sua nota competenza
in ambito socio-politico ha offerto
un significativo contributo alla
redazione definitiva dell’enciclica
Caritas in veritate” di Benedetto
XVI e al sostanzioso “Compendio
della dottrina sociale della Chiesa”.
Il Bollettino Salesiano lo ha
raggiunto nella sua sede in
Trastevere.
Come è nata la sua
vocazione “salesiana”?
In modo molto normale. Da ragaz-
zo frequentavo l’Oratorio della mia
parrocchia a Mogliano Veneto (Tv).
L’Oratorio era affidato all’animazione
dei Salesiani, operanti primariamente
nel quasi contiguo collegio dell’A-
stori. Offrivano proposte formative e
cammini educativi, specie mediante
Di fronte alla sofferenza dell’umanità, il Vangelo
ritrova la sua dimensione più importante.
12
Gennaio 2012

2.3 Page 13

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la catechesi e la presenza in mezzo
a noi. Frequentando la vita della mia
parrocchia e dell’Oratorio ho impara-
to ad ascoltare la voce del Signore e a
rispondervi giorno per giorno, a co-
noscere don Bosco. Nella scelta della
scuola media, un salesiano veneto, che
lavorava in Piemonte, mi diede l’op-
portunità di studiare presso l’Istituto
salesiano di Novi Ligure e successiva-
mente nell’aspirantato di Canelli. Lì
ho incontrato validi accompagnatori
spirituali. Tra di essi mi piace ricor-
dare don Carlo Filippini, direttore,
successivamente anche ispettore, re-
centemente scomparso.
E la sensibilità verso
la dimensione sociale
e politica?
Anche qui c’è stato un iter naturale.
Innanzitutto ha influito l’impostazio-
ne dell’impegno pedagogico coltivato
nella nostra Congregazione salesiana,
fondata da un “Santo sociale”. Poi è
venuto il periodo degli studi univer-
sitari di filosofia presso l’Università
Cattolica del Sacro Cuore di Milano,
ove ho avuto modo di approfondire,
specie con la mia tesi, il pensiero di
Etienne Gilson. Il pensatore francese,
con i suoi studi, oltre ad aver contri-
buito a rivalutare la cultura medie-
vale, assieme a Jacques Maritain e
ad Emmanuel Mounier, ha riflettuto
sulla necessità di una nuova presenza
dei cattolici nella società, nella pro-
spettiva di un Umanesimo integrale,
elaborando l’ideale storico e concreto
di una democrazia ispirata dal Vange-
lo. E, poi, c’è stato l’insegnamento di
don Giuseppe Gemmellaro, fondato-
re della Facoltà di Filosofia dell’ups,
assistente ecclesiastico di importanti
istituzioni sociali (icas, acli), do-
cente di filosofia sociale, che ho gra-
dualmente sostituito.
È stato difficile il “salto”
verso il ruolo di Segretario
di un organismo così
importante come il
“Pontificio Consiglio
Justitia et pax”?
In verità avevo già lavorato pres-
so il Pontificio Consiglio per più di
20 anni, come “consultore” e, quindi,
l’ambiente non mi era del tutto nuo-
vo. E, tuttavia, la notizia dell’incarico
di Segretario mi ha provocato un’im-
mediata sensazione di sproporzione
rispetto al compito affidatomi. Ri-
coprire un posto di responsabilità in
un Dicastero della Chiesa universale
– importante per la delicatezza e la
complessità dei problemi sociali – non
porta a svolgere un ruolo qualsiasi: oc-
corre avere una grande preparazione e
uno sguardo a trecentosessanta gradi,
ma soprattutto una notevole capacità
Monsignor Toso durante una conferenza e (sotto)
durante la nostra intervista.
di discernimento, di disponibilità nei
confronti dello Spirito.
Ha qualche rimpianto
della vita nella comunità
salesiana?
Di tanto in tanto ne provo nostalgia.
La ricordo come insieme di esperien-
ze di lavoro intenso, di familiarità con
i confratelli, di condivisione di gioie
e di speranze, di impegno a portare i
pesi gli uni degli altri.
Quali sono i compiti
dell’organismo ecclesiale
di cui è Segretario?
Un quadro dettagliato è riportato nel
sito del Pontificio Consiglio (www.
justpax.it). È centrale l’impegno ad
elaborare un nuovo pensiero in cam-
po economico, sociale, finanziario,
politico, dal punto di vista dell’ispi-
razione cristiana. Insieme è urgente
l’abbozzo di una nuova progettua-
lità che miri a tradurre le grandi
proposte offerte dalle encicliche.
Non va dimenticato il lavoro di
studio, aiutati dai membri e dai
consultori, da esperti di valore
mondiale, su tematiche impor-
Gennaio 2012
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2.4 Page 14

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L’INVITATO
«La politica appare attualmente subalterna alle
logiche economiche e finanziarie sovranazionali:
c’è una sproporzione intollerabile».
che, ponendo quest’ultime al servizio
del bene comune. È l’appello offerto
da Benedetto XVI: costituire un’au-
torità politica mondiale che abbia la
capacità di far crescere le singole au-
torità dei singoli Stati.
tanti come la speculazione finanzia-
ria relativa anche a beni alimentari,
la povertà, le condizioni climatiche,
il debito internazionale, la distribu-
zione della terra, il disarmo, il neoco-
lonialismo delle nuove potenze eco-
nomiche ed altre questioni cruciali,
insomma, sugli obiettivi del terzo
millennio.
Quali sono le caratteristiche
di un credente che sente di
impegnarsi in politica, da
professionista e non solo in
modo generico?
La Dottrina sociale della Chiesa le ha
presentate più volte e gli stessi vesco-
vi, nei loro documenti, continuano a
richiamarle. Una prima caratteristica
concerne senza dubbio la preparazio-
ne intellettuale e morale, specie con
riferimento al bene comune. Chi si
impegna a servizio della società non
può ignorare la realtà politica nella
sua essenza morale, scambiandola,
ad esempio, per quella economica. Il
politico, rivestendo un ruolo che lo
espone pubblicamente, deve carat-
terizzarsi per una vita irreprensibile,
buona, in modo da essere credibile di
fronte ai compiti assunti, alle promes-
se fatte alla gente e alle comunità di
cui è rappresentante.
La politica ha ceduto potere
e risulta succube della
finanza?
Lo dimostrano i fatti. La politica, al-
meno quella dei singoli Stati, appare
attualmente subalterna alle logiche
economiche e finanziarie sovrana-
zionali. Le realtà economiche e fi-
nanziarie mostrano di essersi orga-
nizzate sul piano sovranazionale più
di quanto non siano riusciti a fare i
vari Stati dal punto di vista politi-
co. C’è, quindi, una sproporzione di
strutture. Il compito che ci attende,
se si vuole che l’economia sia a ser-
vizio dell’intera famiglia umana, è
quello di adeguare le strutture e isti-
tuzioni politiche a quelle economi-
A un giovane che volesse
impegnarsi nella politica,
che cosa suggerirebbe?
Suggerirei di coltivare questo desi-
derio aggrappandosi a Gesù Cristo.
Perché è da Lui che nasce questo
desiderio. È Lui che spinge a servi-
re il bene comune con amore, là dove
questo bene è posto in gioco. Poi c’è
bisogno di guide, persone che possa-
no accompagnare nella realizzazione
degli ideali. Urgono, inoltre, ambienti
di vita ove rafforzare ed educare, me-
diante itinerari culturali ed esperien-
ziali, il desiderio di servire le persone
del proprio territorio.
E ad un giovane che, invece,
ha perso la fiducia nella
politica e rifiuta anche
l’impegno del voto perché
“intanto non cambia nulla”?
Disinteressandoci di ciò che ci acca-
de attorno, anche la nostra vita viene
intaccata e danneggiata. Non si può
immaginare di estraniarci dalla vita
politica e nello stesso tempo presu-
mere di coltivare il proprio bene in-
tegrale: la qualità della vita personale
è strettamente connessa con la qualità
della vita di tutti.
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Gennaio 2012

2.5 Page 15

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MESSAGGIO A UN GIOVANE
CARLO TERRANEO - carloterraneo@libero.it
Indignati!
L a parola dell’anno?
Indignati o se suona meglio
Indignados!
Fosse il titolo di un libro,
sarebbe da best seller.
Fosse un film sarebbe da Oscar.
Qualche mese fa era primavera (non
solo araba): stagione solo annuncia-
ta? Voce senza seguito?
La generazione dei giovani ha tra-
smesso in etere il suo S.O.S.
Dove sono gli adulti? Evasori anche
nei confronti del futuro dei figli?
Non basta essere laureato, frequenta-
re corsi uno dopo l’altro, fare la coda
davanti agli sportelli della burocrazia.
Convocarsi “cliccando” nelle piaz-
ze, davanti alle istituzioni, agli enti
pubblici, non è sufficiente. Andare
altrove, lasciare il paese come 60 anni
fa non è più possibile.
È questo il nostro futuro?
Il pianeta giovani fa da diapason a
tutte le inquietudini in atto.
Non vorrei essere una voce fuori dal
coro.
I giovani non sono solo indignati.
Sono spaventati, come lo sono i nau-
fraghi buttati a mare.
Si sentono defraudati: il futuro è un
miraggio, è un agguato.
Vanno risarciti per le aspirazioni
infrante, per i traguardi interdetti,
per uno scontro per cui non sono
attrezzati.
Historia docet: i grandi
dichiarano guerra, ma
a morire sono sempre i
giovani.
La storia non si costrui-
sce con i se.
Il futuro non può atten-
dere.
Se è futuro sarà matto-
ne su mattone, risorsa
su risorsa, giovane su
giovane.
Avere 18 anni e non
sentirsi responsabili è
anti sociale.
L’ideologia del denaro
e del profitto ad ogni
costo va accantonata.
Non possiamo dividerci
in bulimici e anoressici.
Ricchi e poveri ci sono
stati sempre nella storia.
Un pezzo di pane (stipendio) non lo
si nega a nessuno.
I nostri figli non sono eroi se sfascia-
no vetrine e lanciano sampietrini a
piazza San Giovanni.
Viceversa, non sono antieroi se si
fanno sentire con i loro slogan e car-
telli senza arrivare allo scontro.
Che fare? Ti offro una terna vincente:
Volo:
sei fatto per puntare in alto e non
razzolare come anatroccolo tutta la
vita.
Volto:
non è solo questione di una con-
sonante (t) in più. Sei chiamato a
puntare su qualcuno che ti assicuri
un volto degno della tua vita.
Voto:
togli pure una sola l da volto. Prima
o poi sarai trascinato a dire il tuo “sì”,
tradotto il tuo voto, nel momento in
cui sei invitato a fare le tue scelte.
Questo è il sito che ti fa navigare
senza paura di naufragare:
www.futuro.com
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2.6 Page 16

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PROGETTO EUROPA
SOPHIE WOGINGER - FOTO: KATHBILD/DON BOSCO
Traduzione di Marisa Patarino
Ventiquattro ore
con due missionari
molto speciali
Che immagine vi si
presenta davanti agli
occhi, quando pensate ai
missionari? Immaginate
intrepidi eroi con croce
e Bibbia nel profondo
della foresta? Tre anni
fa, i salesiani di don
Bosco hanno preso la
decisione “internazionale” Il Don Bosco Magazin ne ha incontrati due nella Casa
Don Bosco di Vienna: Praaven Antony (25 anni), indiano,
di mandare d’ora in poi e Simplice Tchoungan (30 anni), proveniente dal Camerun.
giovani confratelli anche
nella “giungla urbana”.
Sophie Wöginger ha trascorso una giornata con loro e
ha imparato qualcosa in più sullo yoga, l’arte di contrattare
al mercato e la burocrazia.
16
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2.7 Page 17

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Ore 6,20
I salesiani cominciano la giornata con
la preghiera comune. Dopo partecipano
alla messa. Sono riuniti nella cappella
19 fedeli: confratelli, cooperatori sale-
siani e ospiti della Casa Don Bosco.
Ore 8,30
Mentre Simplice svolge i suoi eserci-
zi di lingua tedesca, Praaven si avvia
verso l’ambasciata spagnola. Lo ac-
compagna il suo confratello Michael
Lutz, per aiutarlo nel caso di even-
tuali difficoltà con la lingua. In me-
tropolitana spiega come si svolge la
sua vita in Austria: «Imparo come un
bambino in questa nuova cultura. Mi
sono piaciuti molto la neve e lo sci, lo
scorso inverno».
Ore 9,20
Dato che per ora il suo permesso di
soggiorno non è ancora stato rinno-
vato, per sicurezza Praaven presenta
la richiesta di un visto per la Spagna,
perché intende recarsi a Madrid per la
giornata mondiale della gioventù con
il Movimento Giovanile Salesiano.
La gentile collaboratrice dell’amba-
sciata promette di aiutarlo. Praaven
deve comunque rispondere a molte
domande. Le pratiche burocratiche
richiedono molto tempo. Ha dovuto
attendere un anno, per avere il visto
d’ingresso in Austria. Praaven ha però
fatto buon uso di quel periodo e ha
imparato il tedesco. Il tamil è la sua
lingua madre e naturalmente parla
l’inglese.
Praaven e Simplice con i loro piccoli amici di Vien-
na: «Ogni terra è un campo di missione, perché
Dio e il Vangelo non hanno confini».
Ore 10,50
Di ritorno alla Casa Don Bosco,
Praaven bussa alla porta di Simplice.
Questo sobrio spazio è indicativo del
mondo del salesiano multiculturale:
sopra il letto si trovano una foto dei
suoi genitori e una croce. Si vedono
poi immagini dei missionari salesiani
don Caravario e monsignor Versiglia,
che furono uccisi in Cina, e un’altra
foto in cui è ritratta Madre Teresa.
Sulla scrivania sono disposti ordina-
tamente testi di grammatica tedesca.
Che cosa pensano i salesiani della
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2.8 Page 18

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PROGETTO EUROPA
loro opera missionaria? La conside-
rano una chiamata, a cui segue una
scelta di vita. Entrambi sono però ri-
masti sorpresi, quando sono stati in-
vitati a partire per l’Europa. Simplice
ha detto: «Ogni terra è un campo di
missione, perché Dio e il Vangelo non
hanno confini». Praaven ha aggiunto:
«E don Bosco ha rafforzato molto il
nostro rapporto. Una volta ha det-
to che lo rappresentiamo ovunque ci
prendiamo cura dei giovani».
Ore 11,30
Oggi padre Rudolf Osanger ha invita-
to i due giovani salesiani a partecipare
a un’ora di chitarra. L’ispettore non
è solo responsabile dell’andamento
dell’ispettoria: l’altra sua passione è la
musica. Insieme a Praaven e Simplice,
suona con la chitarra un brano di mu-
sica religiosa dopo l’altro.
Ore 12,00
I salesiani interrompono il loro lavoro
per 15 minuti di adorazione e silen-
ziosa contemplazione. Oggi Praveen
guida la preghiera. Alla fine tutti reci-
tano insieme un’Ave Maria.
Ore 14,00
Nel pomeriggio comincia per Praa-
ven il servizio presso il campo spor-
tivo. Questo salesiano venticinquen-
ne in piena forma può giocare con i
bambini, motivarli, ma anche inter-
venire, se necessario. Qui si trova nel
suo elemento. Lo spiritoso e sempre
allegro Praveen diventa serio, mentre
dice: «Al corso di tedesco che seguo
ho incontrato alcuni profughi. Noi
non abbiamo il loro problema. Sia-
mo entrambi privilegiati, perché Dio
ci dà tutto. Siamo dunque respon-
sabili di trasmettere qualcosa. Ad
esempio, cerco di essere paziente e
gentile con i bambini al campo spor-
tivo, anche quando inveiscono e sono
grossolani».
Ore 14,20
All’università, Simplice prende il mo-
dulo di pagamento per l’immatrico-
lazione. A ottobre comincia per lui e
per Praaven lo studio della teologia
in qualità di uditori. La registrazione
dei rispettivi titoli sembra complessa.
È difficile comprendere quali condi-
zioni debba soddisfare un cittadino
non europeo per poter studiare in un
paese dell’UE.
Ore 14,30
Simplice si reca di nuovo in tram al
corso di tedesco e riferisce: «In Ca-
merun ho studiato l’inglese e il fran-
cese». Inoltre capisce anche l’italiano,
lo spagnolo e un po’ di portoghese.
A Ebolowa, la sua città natale, la sua
famiglia parla bulu e bamilike. «Sia-
mo una squadra di calcio. Io sono il
penultimo di undici figli. Comples-
sivamente ho 32 nipoti». Simplice ha
incontrato i salesiani nella sua parroc-
chia da bambino. «Io sono il primo
missionario della nostra ispettoria».
Simplice accenna solo per inciso che
ha già avviato una scuola.
Ore 15,05
Nella scuola di tedesco di fronte al tea-
tro dell’opera di Vienna comincia la
lezione di lingua di oggi. Il salesiano
è apprezzato dall’insegnante Anna e
dai suoi compagni di corso. Simplice
svolge egregiamente gli esercizi; vuole
imparare bene in breve tempo la lin-
gua della sua nuova terra.
Ore 17,45
Preghiera della sera in ispettoria.
Dopo, Praaven recita ancora il Rosa-
rio. È un momento molto importante
per lui.
Ore 17,50
Per la fine del corso, Simplice e la sua
collega Valentina visitano insieme alla
loro insegnante lo spazio dedicato alla
“giornata dell’Africa” sull’Isola del
Danubio. Gli studenti hanno dovuto
incontrare l’ostilità nei confronti de-
gli stranieri? No, i viennesi sono stati
molto disponibili e gentili. In mezzo
a quel variopinto andirivieni, il gio-
vane missionario si trova bene. Pie-
no di gioia, si reca a uno stand in cui
sente musica del suo paese. Simplice,
però, non riesce a capire una cosa: «Io
contratterei subito sul prezzo. Questa
scultura non merita più di sette euro e
ne costa dieci».
Ore 22,30
Ritorno alla Casa Don Bosco. La
giornata sta per concludersi. I due
giovani missionari salesiani telefo-
nano regolarmente ai loro genitori a
casa, rispettivamente in Camerun e in
India. Con Internet, tramite Skype,
il costo è molto contenuto. Praaven
ha imparato a comunicare in questo
modo già in India. Anche in Austria
svolge i suoi esercizi di meditazione:
«Sono utili per trovare momenti di
tranquillità. Buona notte».
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2.9 Page 19

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LA NOSTRA FESTA
Omaggio a don Bosco
di Paul Claudel
Scritto il 31 gennaio 1938
Il celebre scrittore e diplomatico Paul
Claudel nota lo stesso giorno sul suo dia-
rio, che ha scritto questo poema «quasi di
getto» e senza sapere che era la festa di
questo santo e il cinquantesimo anniversa-
rio della sua morte.
Don Bosco è uno di quei
santi a cui, come si dice, si
darebbe la comunione senza
previa confessione.
(Non mi sento di dire altret-
tanto di aureolati e volontari
della medesima professione).
Subito vedi che non è solo un santo,
ma un onest’uomo.
Chiaro come un mattino di maggio,
rubizzo come una mela.
Mi piacciono quei folti capelli crespi
sulla fronte e l’impressione di forza e
agilità ch’egli emana.
Dovunque mette mano don Bosco là
senti presenza di autorità.
Autorità e dolcezza, amore di Dio
e amore di giovani senza padre, che
sono suoi.
Dovunque sono ragazzi poveri,
questi sono suoi.
Gioventù, povertà, con la stella del
mattino sulla fronte.
Ecco, era quella la Chiesa dei suoi
desideri.
Una Chiesa grezza di magli e
martelli, che crede e lavora e canta a
squarciagola.
Come Mosè in mezzo a tutti, lui con
saggezza e ordine e parole e conforto
e sacramenti.
A riformare – egli sa come – il
mondo.
Tenetevi le vostre teorie, voialtri, le
dispute e i governi.
Io mi stringo a questo popolo di
ragazzi che cresce e apprende con me
il buon Dio.
Questo popolo che apprende con me
a leggere, e adoperare le dita.
«Il Padre opera senza sosta in me, e
io nel Padre».
Uditemi, figli, queste sono le parole
di Gesù Cristo.
Il lavoro, ecco ciò che nessuno può
fare senza gli altri.
Sforzo comune per prolungare insie-
me la creazione, la nostra.
«Voi tutti che lavorate e faticate –
dice il Signore – venite a me».
La croce e il mio corpo, quando
vorrete mangiarne...
Io ve l’avrei detto se vi fosse stato di
meglio.
Perciò, quando è finito il giorno e la
settimana è finita e domani è dome-
nica,
sporco di ferro e d’olio l’operai si
lava, indossa la camicia bianca;
e rivantando le cose apprese come
suo pane e sua acqua,
come un figlio, come un ragazzino, si
restituisce alle braccia di don Bosco.
Padre, eccoti tra le braccia quest’uo-
mo, fatto di semplicità, di confiden-
za, di meccanica.
Dimmi se è vero che andremo tutti
in cielo, e che nostra sarà la repub-
blica...
Padre, anche se so lavorare ora, e mi
è cresciuta la barba sul mento,
questa non è una ragione perché tra
le tue braccia io non sia più il tuo
ragazzo!
Apro a te il cuore, la bocca, e tu, Padre,
chiedi a Dio
che con il pane quotidiano mi sfami,
e che a tutti i miei compagni dia
giustizia perché siamo cristiani.
Abbiamo ripreso a credere in Dio, a
ritrovare nella Chiesa qualcuno più
forte.
Abbiamo ritrovato smarrite certezze
sulla vita e sulla morte.
Essere vecchi non è una ragione per
smettere di sentirsi ragazzi.
Ragazzi e uomini e donne non sono
che aspetti d’un tutt’uno.
Tutto ribolle e sospinge e collima e
vuole insieme. Ed è tutto inizio.
Giovanni Bosco, patrono dell’eterna
adolescenza, prega per noi.
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2.10 Page 20

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FINO AI CONFINI DEL MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
URUGUAY
Inaugurazione
dello
stabilimento
industriale
di “Ñandé”
(ANS - Montevideo) – Il 2010 è stato l’anno
di nascita dell’impresa socio-produttiva
“Ñandé”, promossa dall’Ispettoria salesiana
dell’Uruguay per la costruzione di case pre-
fabbricate in legno. Nel corso del 2011 l’im-
presa si è dotata dell’impianto di produzione
di Casavalle (Montevideo) e il 25 ottobre è
stato inaugurato lo stabilimento industriale.
“Ñandé”, che in guaraní significa “noi” o “tra
di noi”, si definisce come un’impresa social-
mente impegnata, che con i suoi artefatti
in legno vuole rendere possibile l’accesso
all’abitazione a quei cittadini tradizionalmen-
te marginalizzati, attraverso un sistema par-
tecipativo e inclusivo. L’impresa ha tra i suoi
compiti anche quello di finanziare progetti
sociali e sostenere la Scuola di Artigianato
Don Bosco del Movimento Tacurú, offrendo
la possibilità di formazione ed educazione ai
giovani che lì studiano.
INDIA
Formazione
dei bambini per
un futuro da
parlamentari
(ANS - Vilathikulam) –
Nei giorni del 13 e 14
novembre, l’ONG salesia-
na Vembu ha organizzato
a Vilathikulam, India, un
programma di formazione
denominato “Bambini
Parlamentari”, attraverso
il quale 71 bambini delle
aree rurali sono stati in-
centivati ad informarsi e a
far rispettare i propri dirit-
ti. Il programma ha previ-
sto delle lezioni dettagliate
sull’origine, la motivazio-
ne e i benefici prodotti dal
“Parlamento dei bambini”.
Inoltre, per comprende-
re il funzionamento di
quest’organo, si sono
tenute varie sessioni di
simulazione delle attività e
delle visite ai “Parlamenti
dei bambini” dei paesi
vicini. Gli esempi raccolti
hanno motivato i bambini
partecipanti a realizzare
il prima possibile dei
“Parlamenti dei bambini”
nei loro villaggi.
ETIOPIA
La realtà di
Pugnido: lavoro,
cura pastorale,
solidarietà
(ANS - Pugnido) – La comunità di Pugnido
è una presenza salesiana nei pressi di Gam-
bela ed è in prima linea nelle attività mis-
sionarie. Negli ultimi mesi dell’anno scorso
ha inaugurato la nuova chiesa di “Pochalla”,
dedicata agli Apostoli Pietro e Paolo, ed ha
rinnovato il convitto per gli studenti. Grande
impegno lo dedica anche alle attività agri-
cole e di ri-forestazione, e a quelle pastorali.
Sono sempre di più i giovani che si avvici-
nano all’opera e frequentano le sue attività
e cresce pure il numero dei battesimi e delle
stazioni missionarie periferiche, arrivate a
7. Nonostante le prospettive economiche
incerte, inoltre, i fedeli della parrocchia, grati
al Signore per aver avuto un buon raccolto,
hanno realizzato una colletta in favore delle
popolazioni colpite dalla siccità in Etiopia,
Kenya e Somalia.
20
Gennaio 2012

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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GUATEMALA
Le Sante
Missioni
Popolari
tra gli indigeni
Q’eqchí
(ANS - San Pedro Carchá) – La missione
salesiana di San Pedro Carchá è interamen-
te dedicata all’apostolato tra gli indigeni di
etnia Q’eqchí, discendenti dai Maya, in una
parrocchia di 250 000 abitanti e 350 villaggi.
Dalla fine di ottobre 2011 i missionari della
parrocchia hanno iniziato le “Sante Mis-
sioni Popolari”, un’iniziativa di animazione
spirituale tra gli indigeni resa possibile grazie
all’aiuto del Rettor Maggiore, Don Chávez,
e del suo Consiglio, i quali hanno finanziato
il progetto. Don Vittorio Castagna, sdb, mis-
sionario italiano, si è impegnato nel preparare
dei ritiri in grado di offrire ai laici collabora-
tori nelle Sante Missione Popolari delle forti
esperienze spirituali. Tali esperienze di ritiro,
ripetute a cascata negli altri villaggi della
parrocchia di don Castagna, hanno anche il
merito di solidificare la relazione tra la Chie-
sa locale e i laici alla guida dei villaggi.
POLONIA
Incontro
di scuole
e centri
di recupero
salesiani
(ANS - Szczecin) – Dal
4 al 6 novembre si è
svolta a Szczecin
l’iniziativa denominata
“Ritorno a Valdocco”
a cui hanno parteci-
pato 340 giovani, 17
educatori e 13 salesiani
provenienti da scuole
e centri di recupero dei
giovani dell’Ispettoria di
Piła (PLN).
L’evento è stato organiz-
zato dall’Associazione
Salesiana per l’Educa-
zione dei Giovani di Piła
ed è stato animato dai
ragazzi del Movimento
Giovanile Salesiano.
Durante le giornate i
partecipanti hanno potu-
to svolgere varie attività
artistiche, sportive, di
riflessione e preghiera
e hanno anche avuto
modo di incontrare don
Stefan Sieradz, missio-
nario salesiano nello
Zambia.
GIAPPONE
La Festa
della
Gioventù
Salesiana
(ANS - Chofu) – Domenica 6 novembre
a Chofu, si è svolta la Festa della Gioventù
Salesiana. I 400 giovani partecipanti, prove-
nienti da 7 parrocchie delle aree urbane di
Tokyo e Yokohama, hanno iniziato la giorna-
ta con una vivace danza, seguita dalla messa,
anch’essa molto partecipata e gioiosa. Quindi
i rappresentanti di tre gruppi del Movimen-
to Giovanile Salesiano hanno condiviso le
esperienze vissute durante l’estate: il primo
gruppo ha fornito un allegro resoconto della
propria partecipazione alla Giornata Mon-
diale della Gioventù di Madrid; il secondo
ha raccontato dell’esperienza di volontariato
vissuta a Tetere, nelle Isole Salomone; il terzo
ha manifestato la soddisfazione sperimentata
nel rendersi utili tra i superstiti del terremo-
to e dello tsunami dello scorso 11 marzo. Il
pomeriggio è stato dedicato a vari giochi e
dinamiche che, alla maniera salesiana, hanno
divertito e fatto riflettere.
Gennaio 2012
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3.2 Page 22

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FMA
MARIA ANTONIA CHINELLO
La mia Africa «Credevochevivere
questa esperienza di
volontariato fosse un
desiderio come un
altro e, in quanto tale,
destinato a svanire una
volta realizzato. Invece
è accaduto qualcosa
di strano perché la
voglia di tornare là e
farsi presenza per quei
bambini cresce ogni
giorno di più».
Grazia, volontaria Vides,
dopo un mese di missione
nella Zambia, racconta la
sua esperienza. Un pezzo
di Africa narrato con le
pennellate dell’amore dato
e ricevuto. Luci senza nascondere
le ombre. Per non dimenticare, per
scuoterci dall’indifferenza, per ope-
rare la giustizia e “restituire” un oggi
che non sia amaro, ma colmo
di speranza.
«L’unico cielo che guarda tutta la
terra appare diverso. La bellezza
toglie il fiato, i colori sono più vivaci,
sembra voler compensare il grigiore
della povertà.
Che bello il cielo d’Africa, lo stesso
eppur diverso.
Sotto quel cielo si muove la vita fatta
di sacrificio e gioia, povertà e ric-
chezza, semplicità e complessità, di
assenza e di Presenza.
È questa l’Africa che si è mostrata ai
miei occhi, ricca di contraddizioni e
di dicotomie. La bellezza del cielo e
del tramonto e il degrado dei com-
pound, la ricchezza dei centri turistici
e la povertà degli angoli. Ma la vera
Africa, quella degna di essere cono-
sciuta e vissuta fino in fondo, non è
terra e cielo ma è essere umano.
Grazia, volontaria Vides, e i piccoli dello Zambia.
«Le mani dei bambini africani cercano le tue, le
afferrano scegliendoti come compagno di un breve
tratto di cammino e da quella stretta fluisce tutta la
forza dell’amore».
L’Africa è un bambino
Chiudo gli occhi, penso all’Africa e
appare nitido un bambino. Mi soffer-
mo, lo osservo e la mia attenzione si
rivolge ai suoi piedi, alle sue mani, ai
suoi occhi e alla sua bocca.
I suoi piedi sono ispessiti dal diffici-
le cammino compiuto ogni giorno,
sovente senza scarpe. Sono piedi che
divorano chilometri per raggiunge-
re la scuola o il luogo di lavoro, che
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Gennaio 2012

3.3 Page 23

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CITY OF HOPE
scalano cumuli di spazzatura, che si
bagnano in pozze d’acqua stagnante,
che soffrono per il freddo. Sono piedi
sofferenti ma anche fonte di gioia.
Piedi che corrono dietro un pallone
da calcio, che ballano al ritmo festoso
della musica, che rimangono per ore
sospesi dal ramo più alto di un albero,
saliti, forse, nel tentativo di raggiun-
gere il cielo. Piedi, lo spero con tutto il
cuore, diretti verso un futuro migliore.
Le sue mani. Sono mani che lavorano,
spaccano pietre, puliscono “casa”, tra-
sportano pesanti taniche, impastano
terra e acqua per fare mattoni. Sono
mani che scrivono su un quaderno,
che stringono un rosario, che si passa-
no la palla per preparare il tiro miglio-
re e fare centro nel canestro della vita.
Mani che timidamente accennano
una carezza sul tuo viso, affondate per
ore nei tuoi capelli, che cercano le tue,
le afferrano scegliendoti come com-
pagno di un breve tratto di cammino
e da quella stretta fluisce tutta la forza
dell’amore.
I suoi occhi. Occhi che hanno visto la
violenza, che hanno pianto la perdita
di un caro, che fissano i tuoi e l’inten-
sità di quello sguardo arriva in fondo
al cuore. Occhi che timidamente
chiedono attenzione e affetto, che di-
scretamente osservano i tuoi gesti, che
cercano, dipinto sul tuo volto, un sorri-
so per loro. Occhi che sanno sprizzare
gioia alla vista di pochi colori e fogli di
carta consunti. Occhi rivolti al cielo
e che, carichi di speranza, guardano
oltre il cancello colorato.
E infine la bocca. Bocca che mangia
poco, che conosce appena il gusto
del cioccolato e delle buone torte
Grazia Pellicanò ha 31 anni e vive a
Reggio Calabria dove è nata. Laurea-
ta in Discipline Economiche e Sociali
e abilitata alla professione di Dottore
Commercialista, si occupa dell’ammi-
nistrazione di un’associazione e colla-
bora presso uno studio commerciale.
Oltre al lavoro, si ritaglia spazi di tempo per gli altri: attività di volontariato locale, cura e
visite degli ammalati, attenzione ai poveri e alla catechesi degli adolescenti in parrocchia.
L’anno scorso, dopo lunga riflessione, ha deciso di andare in Africa non da turista, ma come
volontaria. Ha condiviso un mese di vita con i ragazzi e le ragazze accolti dalle Figlie di Maria
Ausiliatrice alla City of Hope di Lusaka (Zambia).
Sono 7 le suore che compongono la comunità: suor Ryszarda, la direttrice, è di origine
polacca, le altre provengono da differenti paesi dell’Africa.
City of Hope è un’opera inserita in un difficile contesto di povertà e di miseria, dove i tanti
bambini, per la maggior parte orfani a causa dell’HIV e della malaria, vivono per strada, esposti
ad ogni sorta di pericolo. In 15 anni, le FMA hanno sviluppato un progetto che offre loro prote-
zione, cura ed educazione. Il Centro offre:
– un orfanotrofio per circa 50 tra bambine e ragazze e alle quali vengono assicurati l’istru-
zione, l’alimentazione e le cure necessarie
– una scuola, frequentata da circa 800 bambini che quotidianamente vi affluiscono rimanen-
do fino al pomeriggio e ai quali viene garantito, oltre all’istruzione, anche un pasto giornaliero
– uno Skill Center, centro di formazione professionale, dove i giovani possono imparare a
cucire, cucinare, utilizzare il computer
– laboratori artigianali che offrono lavoro ad alcune famiglie
– la fattoria e l’orto per il sostentamento della comunità.
ma che incessantemente canta inni di
gioia. Bocca che prega e che forte-
mente ringrazia. Bocca che proferisce
poche parole, rispettosa del fatto che
non vengono ben comprese da un
musungu.
L’Africa è
un luogo dell’anima
L’Africa è il bambino incontrato nel
cammino, preso per mano, guardato
nel profondo oltre l’apparenza e con
il quale parli il linguaggio del cuore.
Bambino amato per quello che è:
innocente creatura vittima di un de-
stino poco generoso; umile creatura
che vive nella semplicità e non ha
pretese; errante creatura che anela
all’amore; genuina creatura che si
stupisce e apprezza ciò che gli viene
donato; riconoscente creatura che,
nonostante le difficoltà della vita,
ha sempre un grazie da dirti.
L’Africa per me è il luogo dell’anima,
sorgente dell’amore offerto: semplice,
puro, pieno, silenzioso, ma anche
bacino dell’amore ricevuto: limpido,
totalizzante, timido, immeritato.
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3.4 Page 24

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EVENTI
LINDA PERINO
Al più grande degli
Araucani
Un monumento al beato Zeffirino Namuncurá
nell’Istituto Salesiano Villa Sora di Frascati
Sul viale d’ingresso dell’edificio
scolastico è stato inaugurato il
monumento equestre del beato
Zeffirino, opera dello scultore
Roberto Scardella, docente
dell’Istituto. Il giovane argentino
Zeffirino Namuncurá, figlio del
cacico della tribù mapuche, fu
allievo di Villa Sora nel 1904-05,
anno della sua morte.
Proclamato beato nel 2007, è
un modello educativo con il
suo programma di vita: “Voglio
studiare per essere utile alla mia
gente”.
Il cardinale Tarcisio Bertone,
Segretario di Stato, nella
cerimonia di inaugurazione
del monumento ha tracciato
un magnifico profilo del Beato
Zeffirino Namuncurá.
Zeffirino – lo sappiamo bene –
nasce da una famiglia fiera e
generosa della forte tribù degli
Indios Araucani, della terra di
Patagonia. Se la santità ha po-
tuto fiorire in lui, è perché ha
trovato un fertile terreno nelle qualità
umane proprie della sua terra e della
sua stirpe.
Un’immagine molto conosciuta del beato Zeffirino
Namuncurá. Gli piacevano moltissimo le cavalcate
nella sua amata Pampa.
Chi entra nella Basilica Vaticana può
vedere in alto, nell’ultima nicchia a
destra della navata centrale, una gran-
de statua di san Giovanni Bosco, che
indica l’altare e la tomba di san Pietro.
Accanto a lui stanno due giovani, uno
dalle fattezze europee e l’altro con i
tipici tratti somatici della gente suda-
mericana. È evidente il riferimento ai
due giovani santi: Domenico Savio e
Zeffirino Namuncurá. È l’unica raf-
figurazione di ragazzi presente nella
Basilica Vaticana. Rimane così, fissato
nel marmo, nel cuore della cristiani-
tà, l’esempio della santità giovanile, e
insieme rimane fissata la perenne va-
lidità delle intuizioni pedagogiche di
don Bosco: in un secolo e mezzo, in
Patagonia, come in Italia e in tante al-
tre parti del mondo, il sistema preven-
tivo ha maturato frutti quasi insperati,
ha formato eroi e santi.
Come Domenico
Zeffirino non ha mai dimenticato di
essere mapuche: l’ideale supremo per
lui era quello di essere utile alla sua
gente. Ma l’incontro con il Vangelo
ha fatto nascere in lui una prospettiva
nuova, un’aspirazione fondamentale:
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Gennaio 2012

3.5 Page 25

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“mostrare” ai suoi fratelli mapuches “la
via del cielo”.
Zeffirino aveva scelto come modello
un santo: Domenico Savio, il qua-
le – come sappiamo – aveva adottato
una “ricetta semplice” per realizzare
una vita robusta di autentico cristia-
no; quella stessa ricetta che gli aveva
consegnato un giorno don Bosco e
che dice più o meno così: “Sii sempre
allegro; fai bene i tuoi doveri di studio
e di pietà; aiuta i tuoi compagni”.
L’allegria, anzitutto. “Sorride con gli
occhi”, dicevano di Zeffirino i suoi
compagni. Era l’anima delle ricreazio-
ni, a cui partecipava con creatività ed
entusiasmo,talvolta perfino con irruen-
za. Sapeva fare dei giochi di prestigio,
che gli meritarono il titolo di “mago”.
Organizzava diverse gare e istruiva i
suoi compagni sulla maniera migliore
di preparare gli archi e le frecce, per ad-
destrarli poi al tiro al bersaglio.
Il Cardinale Tarcisio
Bertone, Segretario
di Stato Vaticano,
ha voluto inau-
gurare e benedire
l’opera anche per
testimoniare la sua
personale devozione
al Beato Zeffirino.
Il singolare mo-
numento equestre
opera dello
scultore Roberto
Scardella, inse-
gnante nell’Istituto
Salesiano di Villa
Sora.
Quanto ai doveri di studio e di pietà,
ricordiamo Zeffirino presente in que-
sto stesso collegio di Villa Sora. Egli
– che pure incontrava qualche diffi-
coltà con la lingua italiana – giunse in
pochi mesi ad essere il secondo della
classe. Nella pagella scolastica spicca
l’ottima riuscita nel latino: era un re-
quisito importante per diventare sa-
cerdote…
La pietà di Zeffirino era quella carat-
teristica degli ambienti salesiani, ra-
dicata robustamente nei Sacramenti,
e in particolare nell’Eucaristia, con-
siderata “la colonna” del sistema pre-
ventivo. Per questo Zeffirino assume-
va volentieri l’incarico di sagrestano.
Durante i mesi del suo soggiorno a
Torino, lo si vedeva sostare per ore nel
Santuario di Maria Ausiliatrice, in
dialogo intimo con Gesù.
stessi amici degli altri ragazzi e ragazze
come lo fu lui; di essere amici molto
più interessanti e credibili di quelli che
consumano le loro menti e le loro gior-
nate senza ideali e fantasia. Voi giovani
fatevi coraggio e siate in mezzo agli al-
tri giovani i leaders di un progetto ricco
di futuro e di speranza».
Il monumento dedicato al beato Zeffi-
rino Namuncurá, posto in questo luo-
go dove la vita si svolge nell’impegno
educativo sotto varie forme, compresi
lo studio, la ricreazione, la vita di pie-
tà, ve lo faccia sentire amico. Il beato
Zeffirino vi dia la voglia di essere voi
Gennaio 2012
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3.6 Page 26

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A TU PER TU
O. PORI MECOI
Don Umberto De Vanna
e il “caso”
dossier catechista
Don Umberto De Vanna, già direttore del Bollettino
Salesiano, dirige oggi la rivista Dossier Catechista,
conosciuta e utilizzata in tutte le parrocchie italiane.
Un successo senza precedenti in un momento delicato
per la catechesi italiana.
Dossier Catechista è oggi
la più diffusa rivista
per catechisti del mondo.
In Italia è presente
in ogni parrocchia.
Quali sono le ragioni
di questo successo?
La rivista è stata accolta bene sin
dall’inizio, oltre 25 anni fa. Nulla
però di ciò che pubblichiamo è scel-
to a caso. Il nostro obiettivo è quello
di accompagnare i catechisti con dei
sussidi pratici, utilizzabili subito e fa-
cilmente.
I catechisti italiani sono tantissimi,
probabilmente da 200 a 300 mila, ma
i parroci ogni anno devono ricompat-
tare le fila e riqualificarli. Noi ci met-
tiamo al loro servizio e li aiutiamo in
questo compito.
Sei consapevole che
trasmette e influisce di più
una rivista come Dossier
Catechista di una facoltà
universitaria?
Mi sembra troppo, ma se fosse così,
questo ci responsabilizza. Del resto
ognuno ha il suo compito. Noi co-
munque facciamo abitualmente ri-
ferimento alle riflessioni che fanno i
teorici della catechesi, per mediarle e
farle giungere al vasto mondo dei ca-
techisti parrocchiali.
Chi sono i lettori?
Dossier Catechista raggiunge gran
parte delle parrocchie italiane. Oltre
ai singoli catechisti, sono i parroci che
abbonano tutti i loro catechisti per fa-
vorirne la formazione, per facilitare il
loro compito e come segno di ricono-
scenza per il loro servizio.
La catechesi è l’ultima
frontiera della Chiesa
in Italia?
In Italia, ma anche un po’ ovunque in
molte zone nel mondo, la catechesi è
sicuramente una delle manifestazioni
più vitali dell’evangelizzazione eccle-
siale. Mentre la famiglia è sempre più
estranea alla prima evangelizzazione
dei figli, il cosiddetto «primo annun-
cio» ai ragazzi passa ormai quasi solo
attraverso la catechesi. Ma tocca ai
parroci e ai catechisti anche il «secon-
do annuncio», quello destinato agli
adulti, in modo speciale ai genitori,
perché riscoprano insieme ai loro figli
la bellezza della vita cristiana.
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Gennaio 2012

3.7 Page 27

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Quali sono i punti di forza?
Direi che tutto è nelle mani di questo
enorme numero di catechisti che cre-
de nella propria missione e si impegna
con entusiasmo tra ragazzi sempre
meno motivati e interessati. Spesso
facendo catechesi in ambienti poco
adatti e con pochi strumenti. Essi la-
sciano nei loro ragazzi una bella testi-
monianza e ricordi incancellabili.
Quali i punti di debolezza
e i pericoli?
L’anello debole probabilmente sono
ancora i catechisti, perché i nuovi
orientamenti che i vescovi tracciano
attraverso i loro documenti, poi non
trovano in tutti i catechisti la neces-
saria preparazione per realizzarli. Ma
mi pare che anche le parrocchie (e a
volte le stesse diocesi) fanno fatica ad
accogliere le linee catechistiche nuove
promosse dai vescovi italiani.
C’è uno stile salesiano
di fare catechismo
e la rivista lo rispecchia?
Don Bosco ha dato inizio alla sua at-
tività tra i ragazzi con un catechismo.
I salesiani hanno continuato a farlo e
spesso sono stati in prima fila nel favo-
rire il rinnovamento catechistico nella
Chiesa italiana. Il Centro catechistico
della Elledici e l’Università salesiana
hanno preparato per le diocesi italiane
tanti responsabili della catechesi.
Dossier Catechista si rifà a questa sto-
ria, con una grande attenzione alle di-
rettive dell’Ufficio catechistico nazio-
nale, che sono spesso un passo avanti
rispetto alla vita delle comunità locali.
Come senti la tua missione
di salesiano nel campo
catechistico?
Sono salesiano per evangelizzare i
giovani, e le pagine di Dossier Ca-
techista – pur in modo indiretto e
attraverso i catechisti – raggiungono
La rivista Dossier
Catechista cono-
sciuta e utilizzata
da tutti i catechisti
delle parrocchie
italiane.
almeno un milione di ragazzi ogni
mese. È un impegno in cui si può cre-
dere e che dà senso al proprio lavoro.
Puoi riassumere
la tua carriera?
Gli anni più belli della mia vita li ho
vissuti tra i ragazzi e i giovani all’o-
ratorio e a scuola. Ma ricordo con
particolare piacere gli otto anni tra-
scorsi a Roma, a dirigere il Bolletti-
no Salesiano. Ho potuto conoscere in
particolare bellissime esperienze mis-
sionarie e tanti magnifici missionari.
Com’è nata la tua vocazione
salesiana?
È nata nel centro giovanile dell’orato-
rio Michele Rua di Torino. Ho voluto
continuare a respirare come salesiano
quel clima familiare e gioioso che mi
aveva affascinato da giovanissimo.
In realtà ho poi trascorso molta par-
te della mia vita salesiana nella carta
stampata a servizio della pastorale e
della catechesi.
Quali sono gli obiettivi
futuri che ti poni per la
rivista?
Se i catechisti sono 300 mila, c’è an-
cora spazio per crescere nella diffusio-
ne. Vogliamo continuare ad affiancare
ogni catechista nel difficile compito
di trasmettere l’annuncio cristiano a
ragazzi sempre meno evangelizzati e
meno disponibili. Immagino adesso
che con la sua enorme diffusione, an-
che il Bollettino Salesiano con questa
intervista ci darà una mano per farci
conoscere da altri parroci e da altri
catechisti.
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3.8 Page 28

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COME DON BOSCO
BRUNO FERRERO
«Non ci indurre in tentazione»
L’autocontrollo
Forse possiamo anche dirlo: buona parte della crisi
finanziaria attuale è dovuta al colossale fallimento
vuole scioglierlo, può farlo perché non
esiste più una pressione sociale capace
di impedirglielo. Anche i più giovani
dell’autocontrollo di un’intera generazione. sono presi nel vortice dell’abbuffata
generale. Frastornati dalla girandola
delle offerte, sono spesso incapaci di
concentrazione, volubili e con un labile
senso del limite.
Soffriamo molto questa cri-
si perché c’eravamo abituati
a una tranquilla democrazia
dell’eccesso, in un paesaggio
pullulante di tentazioni. È dif-
ficile controllarsi in un mondo
che non fa che sollecitare i nostri “ap-
petiti”, un mondo che sembra un gi-
gantesco “buffet”. Ci si è messa anche
la tecnologia. Ha abbassato i prezzi di
molte merci e stuzzica le nostre voglie,
tempestandoci di lusinghe a portata
di mano. Il motto di un sito internet
molto frequentato è «La vita è breve.
Fatti l’amante». Basta un clic e tutte
le voglie si possono soddisfare, soprat-
tutto grazie al magico cartoncino in-
ventato dalle banche per facilitare ogni
sorta di acquisto, con scarsissimo senso
del futuro. Il cambiamento più grande
è avvenuto dentro di noi. E consiste
in una maggiore propensione a privi-
legiare su tutto la felicità individuale.
Chi non è soddisfatto dal suo legame e
La domanda del nostro
tempo è: dove sono
gli adulti?
Il primo passo che si deve fare è ca-
pire quanto sia forte il condiziona-
mento dell’ambiente e imparare a
governarlo. Specialmente i genitori di
preadolescenti devono tenere conto
del contesto e, quando sia possibile,
mantenerlo sotto controllo, finché i
figli non sono in grado di farlo essi
stessi. Del resto anche un adulto deve
imparare a “fuggire le occasioni”. Il
sistema preventivo non è per niente
permissivo, ma crea un’impalcatura di
sostegno che consente alla persona di
“solidificarsi”.
In un collegio avevano comprato un
po’ di mele fresche e belle, e ne avevano
collocato il canestrino accanto alla fine-
stra della dispensa. Ed ecco, d’un tratto,
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Gennaio 2012

3.9 Page 29

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tutte le mele scomparse! La direttrice
vede don Bosco, l’avvicina e gli dice:
«Sa’, Padre, che cosa ci han fatto i
giovani questa mattina? Avevamo
provveduto un po’ di belle mele per
il pranzo dei forestieri (era un giorno
di festa per il collegio), e ce le hanno
rubate tutte!».
Ed egli, colla calma abituale:
«Il torto non è dei giovani, ma vostro.
Chiamate il prefetto, e ditegli che don
Bosco ha detto di far subito apporre
un’inferriata a quella finestra... Ricor-
datevi di non mettere mai i giovani in
occasione di poter commettere una
mancanza; ecco il sistema preventivo
di don Bosco!» (Memorie Biografiche
X, 649).
Educare l’autocontrollo
L’autocontrollo è per natura sua un
enigma. Dipende da molti fattori. As-
suefazioni, dipendenze, compulsioni,
abitudini un tempo definite viziose
hanno trovato un alibi. Sono conside-
rate malattie: dal gioco d’azzardo, allo
shopping, alla cocaina, all’abuso di al-
col, ai videogame, a Internet. Significa
ipotizzare che la volontà dell’indivi-
duo non conta più. È come abdicare
dall’umanità. Ciò che ci rende umani
è la capacità di disobbedire ai nostri
impulsi e integrarli in una forma più
completa di carattere.
Questo ha un prezzo che sempre
meno persone hanno l’intenzione di
pagare: lo sforzo. La lotta per la con-
quista dell’autocontrollo è eccitante
proprio perché si tratta di una lotta.
La forza di volontà è un muscolo: si
può potenziare con l’esercizio quoti-
diano. Si tratta quindi di insegnare ai
bambini le “buone abitudini”, quelle
del tipo «conta fino a venti prima di
arrabbiarti, non si mangia fuori pasto,
alle ventuno si va a dormire ecc.».
Oggi a molti bambini viene diagno-
sticato un deficit di attenzione, ma in
parecchi casi, anche se non in tutti, la
ragione dei loro disturbi è semplice-
mente che non hanno mai imparato a
esercitare l’autocontrollo.
È necessario agire d’anticipo. E co-
struire un’architettura della scel-
ta. Questo dipende dalla “visione”:
l’autocontrollo consiste nel riuscire
a guardare oltre l’oggi, a rinviare, se
necessario, la gratificazione istanta-
nea per perseguire la realizzazione
di obiettivi più importanti. Chi non
ha una meta da raggiungere si lascia
facilmente catturare dalle tentazioni.
Controllare l’ambiente, significa per
esempio organizzare il proprio lavoro
in modo tale da facilitarne l’esecuzio-
ne. Uno studio ha dimostrato che ba-
sta una finestra dell’aula affacciata su
un giardino per aumentare del 20 per
cento la disciplina fra gli alunni. Qual
è il ragazzo che riesce a studiare se c’è
un televisore acceso a qualche metro
di distanza?
Lo specchio magico
Ma la cosa più importante è che
l’autocontrollo si impara “in com-
pagnia”. Se qualcuno ci guarda ten-
diamo a comportarci in modo diver-
so. Gli esperimenti hanno dimostrato
che basta semplicemente mettere uno
specchio in un ambiente perché le
persone si comportino meglio, per
esempio lasciando i soldi del gior-
nale all’edicola anche quando il ge-
store non c’è. L’installazione di uno
specchio nel settore dolciumi di un
supermercato ha fatto diminuire fra i
bambini di oltre il 70 per cento i furti
dei dolci.
Per i bambini, i genitori sono lo
specchio indispensabile: lo specchio
dell’anima. Sono “lo specchio ma-
gico sulla parete” che dice se quel
comportamento, quella parola, quel-
la bugia servono a costruire una bella
persona o sono solo distruttivi. La
loro approvazione o disapprovazio-
ne conta moltissimo. Genitori poco
presenti hanno figli con scarsissima
autodisciplina.
L’erosione della dimensione comuni-
taria è la conseguenza peggiore della
vita moderna.
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3.10 Page 30

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ARTE SALESIANA
O. PORI MECOI
Paolo Giovanni Crida,
il pittore
di don Bosco
Nei ricordi della figlia Silvana, le avventurose tappe di vita dell’austero
pittore di Graglia che negli anni ’30 vinse il concorso per un ritratto di
don Bosco. Da allora non smise di occuparsi di lui e di soggetti salesiani.
Dalla Cappella Pinardi, a San Francesco di Sales alla Basilica di Maria
Ausiliatrice, ai mille quadri e affreschi sparsi per il mondo.
“Paolo Giovanni Cri-
da nacque a Graglia
(Biella) il 30 novem-
bre 1886. Giovanni-
no, quinto nato, era
da piccolo biondo e
ricciuto; nacque povero perché il padre
già aveva sperperato le ricche sostanze
della sua famiglia ed era partito con
amici gaudenti per l’Africa setten-
trionale. A soli sette anni di età ven-
ne mandato a Chambéry, in Francia,
presso il fratello Luigi per imparare
una professione, a causa della difficile
situazione venutasi a creare dopo l’ab-
bandono della famiglia da parte del
padre. Dichiarando, già in così tenera
età, di volere divenire pittore, il fratello
lo mandò presso un costruttore di car-
rozze a fare il verniciatore.
In breve tempo dimostrò la sua innata
attitudine e venne incaricato dell’esecu-
zione dei filetti e dei motivi di decora-
zione delle vetture di lusso. La perma-
nenza in Francia durò però soltanto un
anno, perché le autorità francesi non
permettevano il lavoro ai bambini.
Ritornato in Italia, fu mandato a Tori-
no con i gragliesi (selciatori, muratori
e pittori stagionali), che conducevano
povera vita alloggiando in gruppi nel-
le soffitte torinesi. Il suo desiderio era
però di apprendere l’arte del pennello
ed all’età di otto anni si presentò ad
una ditta di decoratori in qualità di ap-
prendista. A tredici anni, accanito let-
tore di romanzi di avventura, con un
amico di nome Vigile decise di partire
per l’America a piedi: seguendo i bi-
nari della ferrovia, partirono da Tori-
no per Genova, dopo avere annunciato
alle rispettive famiglie la loro decisio-
ne. Per limitare le spese, decisero di
utilizzare quale rifugio una imbarca-
zione abbandonata, ma l’alta marea
li sorprese nel sonno e nel trambusto
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Gennaio 2012

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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persero soldi e documenti. Fermati dai
carabinieri, vennero portati in caserma
per accertamenti. Giovanni, nell’attesa
di notizie dal paese, propose ai cara-
binieri di aiutare l’imbianchino che
stava tinteggiando alcuni locali della
caserma ed avutane l’autorizzazione si
occupò del soffitto dell’ufficio, che de-
corò con l’immagine del Re, copian-
done l’effigie da una moneta”.
Così racconta Silvana Crida, profes-
soressa di disegno in pensione, figlia
del pittore, morto ottantenne nel 1967,
poche ore dopo avere interrotto, per la
consueta pausa del pranzo in famiglia,
una natura morta che è ancora lì sul
cavalletto nell’accogliente studio di
Graglia, tappezzato dai suoi quadri e
conservato con amore dalla figlia.
“La tentata avventura americana fu
buona lezione per il ragazzo che, dopo
pochi giorni presso la madre, tornò a
Torino e riprese il lavoro e lo studio
con nuova serietà” continua Silvana.
Studiò con impegno, si sposò, fu pa-
dre e marito arguto, affettuoso e uomo
di cultura, amico di artisti come lui,
torinesi di nascita o di adozione.
Crida amava la sua famiglia, voleva di-
scorrere con la moglie e le figlie nelle
pause del suo lavoro intenso, metodi-
co, appassionato. Ricordandolo, Silva-
na dice: “Papa ha dipinto da quando
è nato fino al giorno della sua morte”.
E la storia, nelle parole della figlia,
continua: “Le sue opere difficilmente
rimanevano giacenti nello studio. Le
tecniche pittoriche conosciute ed il
momento storico da lui vissuto fecero
sì che la sua attività abbracciasse tanti
campi. Affrescò chiese e palazzi, di-
pinse pale di altari, ritratti, paesaggi e
nature morte. Fu esperto nella pittura
ad affresco, tempera, olio, acquerello,
pastello ed ultima conobbe la pittura
acrilica. La sua attività di artista gli
fece avvicinare uomini illustri, grandi
personalità del mondo scientifico e po-
litico, grandi prelati e uomini di cultu-
ra. A Torino negli anni ’30 i Salesiani
erano nel momento di una fioritura
senza precedenti. Costruirono chiese
ed istituti e bandirono un concorso per
l’effigie di don Bosco, il loro fondatore.
La grande pala dell’altare di don Bosco nella Basilica
di Maria Ausiliatrice è una delle opere più conosciu-
te di Giovanni Paolo Crida. (Foto Mario Notario)
Crida lo vinse e la sua attività di arti-
sta rimase legata alla figura di questo
santo”.
Per molti di noi, le immagini di don
Bosco, Mamma Margherita, Ma-
dre Mazzarello e dell’Oratorio di
Valdocco, moltiplicate in milioni di
cartoline, manifesti ed immaginette,
sono legate all’arte e alla fantasia di
Giovanni Paolo Crida.
Alcune delle numerose
opere rimaste nello
studio di Crida.
A pagina precedente:
Un autoritratto del
pittore e la figlia Silvana
che custodisce con
infinita cura i ricordi
del padre.
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31

4.2 Page 32

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NOI & LORO
ALESSANDRA MASTRODONATO
LA FIGLIA
Il letargo degli
adolescenti
Sembra proprio che la condizione
esistenziale di molti ragazzi e ragazze
trovi uno specchio fedele nell’opacità e
nell’abulia di un inverno perenne.
Da sempre la vivacità e l’irrequietezza
dell’adolescenza è stata paragonata al
frizzante fiorire della primavera. Il ri-
sveglio festoso della natura, il suo acerbo
palpitare sotto i raggi del sole di marzo,
il fermento e la sfrontatezza dei primi
germogli che sbocciano in tutto il loro splendore
sfidando gli ultimi strascichi della passata stagio-
ne, parevano alludere vividamente alla salutare
inquietudine degli adolescenti, metafora del loro
primo affacciarsi alla vita con tutto l’entusiasmo e
la curiosità propri della loro età.
Negli ultimi anni, tuttavia, sembra proprio che
la condizione esistenziale di molti ragazzi e ra-
gazze trovi uno specchio più fedele nell’opacità
e nell’abulia di un inverno perenne. Adolescenti
addormentati, annoiati, apatici, indolenti, con le
emozioni e i sensi ovattati, come se una spessa
coltre di neve ricoprisse impietosamente le loro
giovani vite, isolandoli dal resto del mondo e ren-
dendoli indifferenti a tutto e a tutti. Adolescenti
che, chiusi nel loro guscio coriaceo e impenetra-
bile, sembrano già stanchi di vivere.
Qualcuno si chiede se i ragazzi di oggi non siano
già morti dentro. Ad uno sguardo più attento ci
si accorge che sono solo “in letargo”. E, proprio
come piccoli animali in letargo, scelgono – più
o meno consapevolmente o guidati da una sorta
di istinto di sopravvivenza – di vivere “a rispar-
mio energetico”. Obiettivo primario: conseguire il
massimo risultato possibile con il minimo spreco
di energie e, magari, anche con il minimo coin-
volgimento emotivo e psicologico.
Eppure, dietro questa apparenza fredda e inerte,
sotto il languido torpore che spesso li pervade, si
cela, talvolta molto ben nascosta da sguardi indi-
screti, una viscerale sete di vita; un intimo desi-
derio di felicità che aspetta solo di essere liberato
e risvegliato dal sonno per potersi esprimere in
tutta la sua forza vitale.
Non bisogna, infatti, dimenticare che anche die-
tro l’ingannevole volto di morte dell’inverno, la
vita continua silenziosamente a pulsare: sotto
terra, nelle tane degli animali in letargo, sotto la
corteccia degli alberi addormentati. Ed esatta-
mente la stessa cosa avviene anche nel cuore degli
adolescenti.
Sta allora agli adulti aiutare i ragazzi di oggi a
ridestarsi dal loro letargo, a sciogliere quel blocco
di ghiaccio che spesso li attanaglia, impedendo-
gli di esprimere liberamente le loro emozioni e di
dar voce ai loro desideri più autentici. Spetta agli
adulti il difficile, ma bellissimo compito di spro-
nare gli adolescenti a non essere semplici spet-
tatori, ma protagonisti attivi e consapevoli della
loro quotidianità, ricordando loro ogni giorno le
immense potenzialità insite nel loro essere seme e
germoglio di vita nuova.
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Gennaio 2012

4.3 Page 33

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MARIANNA PACUCCI
Com’è difficile per i giovani vivere l’in-
verno! Tutto, in questa stagione, appare
contrario alla loro sensibilità e agli abi-
tuali stili di vita; tanti sono gli elementi
che sfuggono ai desideri e alle esigenze
dei ragazzi di oggi.
Il freddo si oppone alla ricerca di calore utile a
scaldare il cuore di una generazione che soffre or-
mai endemicamente una condizione di solitudi-
ne. Il grigiore del cielo e l’apparente sterilità della
terra accentuano la difficoltà di un contatto con la
vita che sia generativo di ulteriore vita. Il silenzio
della natura rende quasi insopportabile il bisogno
di rumori e di suoni che possano far compagnia
a chi ha continuamente bisogno di presenze e di
stimoli per crescere.
L’inverno è, per gli studenti, il periodo di maggio-
re fatica scolastica: ormai lontani dall’entusiasmo
dell’inizio e ancora troppo distanti dal confronto
con i risultati finali, sembrano quasi intrappola-
ti in una quotidianità noiosa e ripetitiva che non
sempre assume il giusto ritmo. Anche per i giovani
lavoratori (fortunati agli occhi di tutti, ma talvolta
frustrati da attività precarie e inadeguate rispetto
alle loro aspettative e competenze) i mesi invernali
sono quelli peggiori: alzarsi la mattina quando è
ancora buio, affrontare temperature glaciali e anti-
patiche piogge, tornare di corsa a casa dopo il tra-
monto e spesso senza prospettive di uscite serali:
come è possibile vivere la maggior parte della gior-
nata chiusi in un guscio? Può bastare il desiderio
che al più presto giunga la primavera?
Nonostante tutte queste difficoltà e condiziona-
menti, l’inverno non può essere liquidato come
una stagione inutile. Occorre però darsi da fare,
soprattutto in famiglia, perché questo tempo pos-
sa divenire congeniale alle nuove generazioni. Il
ritrovarsi insieme in casa può diventare l’occasio-
ne per rianimare le relazioni fra le generazioni,
che non possono restare confinate nella sfera di
un’affettività dovuta, ma meritano di divenire
storie d’amore volute intensamente.
Il faticoso
inverno
L’inverno offre ai giovani e agli adulti
istruttive prove di laboriosità, efficaci
esercizi di pazienza, possibilità feconde
di tolleranza all’interno di una rinnovata
voglia di compagnia.
Troppo spesso, dopo le feste natalizie che rischia-
no di coincidere con una ritualità forzata, c’è bi-
sogno di tornare ad una ferialità familiare, in cui
i tempi e gli spazi della casa diventano l’occasione
preziosa di condividere fatiche e speranze, dolori
e inquietudini, sogni e bisogni. L’inverno offre ai
giovani e agli adulti istruttive prove di laboriosità,
efficaci esercizi di pazienza, possibilità feconde di
tolleranza all’interno di una rinnovata voglia di
compagnia; ciascuno può imparare a riconoscere
quanto è importante accogliersi reciprocamente
nella comune esigenza di sperare nel futuro. Stare
un po’ di più insieme, essere più pronti nella dispo-
nibilità, sostenersi l’un l’altro nella faticosa esperien-
za del seme che sta morendo per rinascere.
LA MADRE
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4.4 Page 34

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LE CASE DI DON BOSCO
VITTORIO GHERRI
Montechiarugolo
Qui ci pensano gli exallievi
L’Istituto Salesiano di Montechiarugolo (PR),
oggi Scuola secondaria di primo grado “Don
Lazzero”, da 90 anni al servizio dei ragazzi,
è totalmente gestito da un gruppo di exallievi.
90 anni… ma non li dimostra
Salesiani di campagna. Così sono sempre stati
definiti i salesiani dell’Istituto di Montechiaru-
golo per distinguerli simpaticamente da quelli
di Parma che fanno capo all’Istituto cittadino di
“San Benedetto”.
E, in effetti, la campagna domina tutt’intorno e
preme lungo le mura di cinta della casa con i suoi
campi ordinati, i suoi filari, i suoi orti e i suoi ca-
nali pieni d’acqua.
Ed è proprio la ricerca di questa campagna il
principale motivo per il quale all’inizio del se-
colo scorso i salesiani acquisiscono questo antico
complesso, inizialmente convento cinquecentesco
dei frati Minori di san Francesco, per fondare una
colonia agricola a favore dei figli dei contadini.
Fu una delle primissime scuole agrarie gestite
dalla congregazione salesiana, la quale, muoven-
dosi con l’intuito tipico delle persone abituate al
“fare”, fu convinta che non bastasse solo formare
agricoltori abili e capaci, ma anche crescere figli
retti, seri e buoni.
Furono direttamente don Rua e don Dorando a
trattare con i proprietari di allora il passaggio del-
la casa e del terreno: ne presero possesso nel 1914
ma i primi salesiani (direttore Don Pietro Gulli-
no) vi poterono entrare solo l’11 novembre 1919.
Non è difficile immaginarli arrivare, un po’ spae-
sati, la tonaca impolverata per il tragitto compiu-
to a piedi o su di un carretto di fortuna, la valigia
con l’essenziale, varcare il portone e cominciare a
prendere possesso degli ambienti.
Veduta aerea
dell’Istituto di Mon-
techiarugolo (foto
Benini Fabio).
Una magnifica semina
Nonostante le difficoltà di ogni genere, dovute
anche alle condizioni disagiate della popolazio-
ne a seguito della prima guerra mondiale, all’in-
curia dei locali e alla trascuratezza degli spazi
aperti, nei primi anni di vita si riuscirono ad
avere risultati promettenti fino a giungere alla
festosa inaugurazione ufficiale dell’aprile del
1922 presenti le massime autorità civili, politi-
che e religiose.
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Gennaio 2012

4.5 Page 35

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Una classica foto di
gruppo negli anni
Trenta. Don Lazzero
è al centro. Fu di-
rettore dal 1933 al
1947 e poi parroco
di Montechiarugolo
dal 1947 al 1964.
La Scuola così avviata, nata come vera e propria
succursale dell’Istituto cittadino “San Benedetto”,
applicava e sperimentava il metodo “solariano”,
tanto caro al reverendo don Carlo Maria Baratta,
basato sulla rotazione delle colture che consen-
te uno sfruttamento maggiore del terreno e una
maggiore produzione.
I ragazzi cominciavano ad arrivare, dapprima dal-
le province di Parma e di Reggio Emilia e poi,
via via, da sempre maggiore distanza: imparavano
i rudimenti della chimica, della fisica, dell’eco-
nomia agraria; apprendevano l’arte dell’innesto,
l’utilità della concimazione e dell’irrigazione e,
non ultimo, sotto lo sguardo attento dei salesiani,
imparavano a diventare “buoni cristiani ed onesti
cittadini”.
La scuola, com’è naturale, fu in continua evoluzio-
ne e si adeguò ai tempi per essere più accoglien-
te e funzionale. Le più profonde trasformazioni
e migliorie dal punto di vista sia organizzativo
sia strutturale furono promosse sotto la direzio-
ne di don Giuseppe Lazzero, piemontese DOC
e grande educatore, direttore dal 1933 al 1947,
nonché parroco di Montechiarugolo dal 1947 al
1964 anno della sua morte. Per suo espresso in-
teressamento, la Chiesa annessa all’Istituto che
oggi ospita le sue spoglie, fino a quel momento
conosciuta come l’Oratorio, fu eretta a Santua-
rio Diocesano intitolato a Maria Ausiliatrice nel
1962 con grande entusiasmo e partecipazione di
popolo.
La strada era ormai segnata, la consolidata tra-
dizione educativa continuava a dare buoni frutti
anche grazie ad una schiera di educatori salesiani
di prim’ordine quali don Remo Zagnoli, il prof.
Giovanni Battista Zancanaro, don Dante Inver-
nizzi (quest’ultimo valente missionario partito da
Montechiarugolo per raggiungere, da pioniere, la
Bolivia dove rimase per quarant’anni) tanto per
citarne alcuni. Tutti hanno lasciato una traccia in-
delebile nel cuore degli allievi e della gente che li
ha conosciuti.
Ma non si scoraggiarono
Dopo la fine delle scuole di avviamento agrario,
nel 1964 prese naturale avvio la scuola media. Tra
gli anni ’80 e ’90 gli allievi raggiunsero il picco
massimo di 140 iscritti. Dal 1975 si aprì la scuola
anche alle ragazze: era l’unica scuola media mista
dell’Ispettoria Lombardo-Emiliana.
Gennaio 2012
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4.6 Page 36

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LE CASE DI DON BOSCO
La casa (in alto a
destra) è sempre
la stessa, come le
stesse sono l’al-
legria, l’attenzione
e l’impegno per
i ragazzi di oggi
(foto sotto).
Ma come spesso capita e la vita
quotidiana ci insegna, anche le
cose belle hanno un termine.
Così quando i Superiori ridi-
segnano i profili dell’Ispettoria
non c’è più spazio per Monte-
chiarugolo. Pur continuando la
scuola media, comincia dal 1994
una lenta agonia che porterà alla
chiusura della casa e al ritiro de-
gli ultimi due salesiani alla fine
di agosto del 2002.
Dopo un primo momento di scoraggiamento, un
gruppo di persone formato da exallievi, genitori
di allievi, benefattori, amici e simpatizzanti che
già negli anni precedenti si erano costituiti in As-
sociazione con il fine di aiutare i salesiani nella
gestione operativa della Scuola, accetta una nuova
sfida: quella di proseguire la Scuola mantenen-
dola nel solco della tradizione salesiana e con lo
scopo di non disperderne il carisma e l’esperienza
educativa.
Tra momenti di entusiasmo, di timori e di sacrifi-
ci, viene costituita l’immobiliare “Amici dell’Ope-
ra Salesiana” incaricata di trattare con l’Ispettoria
l’acquisto dell’immobile posto in vendita nel frat-
tempo. L’aiuto di tanti sostenitori nonché l’indi-
spensabile protezione dall’alto di don Bosco e di
don Lazzero hanno permesso al grande sforzo
messo in campo di trasformarsi ancora una volta
in buoni frutti.
Si poté riaprire la scuola media da subito affidan-
done la gestione alla neonata “Cooperativa Scuo-
la Don Lazzero”che continua tutt’oggi un prezio-
so servizio educativo per le famiglie, formando i
ragazzi ai valori umani e cristiani con il metodo
preventivo di don Bosco. Gli insegnanti, spesso, a
loro volta, exallievi salesiani hanno a cuore le sor-
ti dell’Istituto e accompagnano ciascun ragazzo
nel cammino personale di maturazione, condivi-
dendo con lui molte ore della giornata scolastica,
giocando con lui, ascoltandone le confidenze e
incoraggiandolo, in un’età particolarmente im-
portante per la sua crescita. Continua così, espe-
rienza unica in Italia nel panorama delle scuole
salesiane, l’attività di questa scuola che, oltre ad
offrire lezioni nelle normali discipline currico-
lari integrate con attività di laboratorio, dispone
di un servizio di mensa interna, che consente ai
ragazzi di fermarsi per l’attività di doposcuola e
di studio guidato senza dimenticare l’importanza
delle attività di svago intraprese sia sul verde dei
campi sportivi sia sul bianco delle piste da sci con
l’impegno di tutti affinché quel portone, varca-
to dai primi salesiani novant’anni orsono, possa
continuare a rimanere aperto.
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4.7 Page 37

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Il primo posto stabile
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
La tettoia diventò chiesa
Nel marzo del 1846 don Bosco si trovò ad
dover affrontare una difficile situazione:
con un preavviso di soli quindici giorni
i tre fratelli Filippi gli avevano disdetto il
fitto del loro prato. La domenica seguente
don Bosco non avrebbe saputo dove dare
appuntamento ai ragazzi, che diventavano
sempre più numerosi. Egli scrisse poi che
molti pensieri lo angosciavano, e per la sa-
lute malandata e lo scoramento non riuscì
a trattenere le lacrime. Ma il cielo e la buo-
na sorte gli vennero in aiuto. A distanza di
poco tempo un tale, Pancrazio Soave, gli si
presentò e gli disse di aver saputo che aveva bisogno di un luogo per fare un laboratorio. Don Bosco
rispose invece che era di un oratorio di cui aveva bisogno e, chiarito l’equivoco, si recarono insieme
a vedere lo spazio, distante appena trecento metri da dov’erano. Percorsero una stradina, che a
quell’epoca si chiamava via della Giardiniera, e giunsero a una casupola con piano terreno e primo
piano. Il proprietario indicò una tettoia-baracca sul retro dell’edificio: era uno stanzone adibito a
lavatoio in cui le lavandaie della città potevano lavare e accumulare i panni da stendere poi nel vicino
prato. Don Bosco non poteva ancora immaginarlo, ma da quel modesto locale, che attualmente è
la XXX, si sarebbe sviluppata tutta la sua opera. Appena entrarono il proprietario gli disse che se
avesse voluto quello sarebbe diventato il suo laboratorio. “Io non ho bisogno di un laboratorio, ma
di un oratorio cioè di una piccola chiesa dove portare i ragazzi a pregare, però il soffitto è troppo
basso” ribatté Don Bosco. “Allora possiamo ribassare il pavimento di mezzo metro e rivestirlo di
legno. Sarà perfetto. Ci tengo ad avere una chiesa!” Rispose entusiasta il proprietario. Per 300 lire
l’anno fu siglato l’accordo per il fitto del locale e del terreno intorno dove far giocare i ragazzi.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Ci abbiamo
passato i primi mesi di vita - 5. Cul-
mine - 9. I confini del Laos - 11. Ae-
ronautica Militare - 13. Il dollaro di
taglio minore - 14. Bei fiori da balcone
- 16. Lavora meno della formica - 18.
Non Dichiarato (abbr.) - 19. La compie
il satellite girando intorno ad un astro -
20. Ingannati da false promesse - 21.
Il decimo cielo, sede di Dio e dei beati
- 23. Una breve storia a fumetti - 24.
Iniziali di Raffaello - 25. XXX - 28.
Burroni - 29. Le tabelle esposte nelle
stazioni - 30. Due romani - 32. La
prende il cacciatore - 33. L’isola in cui
Calipso trattenne Ulisse per otto anni
- 34. Non frequente - 36. Qualità,
virtù - 37. Donna d’altri pianeti - 38.
Pietro, leader storico socialista - 39.
Un metallo ottimo conduttore elettrico
- 40. Nel caso in cui - 41. Il fiume che
tocca Berna.
VERTICALI. 1. Insieme - 2. Equi-
vale a 0,1 - 3. Articolo per signore - 4.
Il Menenio che placò la plebe - 5. Lo
spirito de La tempesta di Shakespeare
- 6. Malattie, disfunzioni - 7. Com-
pagnia assicurativa italiana nata nel
1912 - 8. A noi - 9. Regione dell’A-
sia minore, per molti studiosi patria
degli etruschi - 10. Rendere visibile,
svelare - 11. Si accompagnano agli
“uni” - 12. Granturco - 15. Subiro-
no la Shoah - 16. Pesce marino dal-
le carni pregiate - 17. Soldati senza
soldi - 19. O invece - 20. Graz ne è
il capoluogo - 22. Lo è ogni sposo -
23. Vi regnano i Borboni - 26. Se le
dà il presuntuoso - 27. La dea della
caccia - 31. È, in letteratura, un sot-
togenere del giallo - 33. Colmo, solo
al centro! - 35. L’acido che contiene
le informazioni genetiche di un essere
vivente (sigla) - 36. La nota detta an-
ticamente ut - 37. Iniz. di Albanese,
attore comico - 38. Congiunzione
che nega.
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Lettera al marchese
CaMvichoelue r
Concluso il 150° dell’Unità d’Italia, in cui
anche il BS ha cercato di tracciare un breve
panorama della multiforme azione salesia-
na per fare dei giovani italiani, lungo le va-
rie stagioni del Paese, dei “buoni cristiani
e degli onesti cittadini”, si ha ora davanti
un anno in cui il Rettor Maggiore ci invita
a conoscere meglio la storia di don Bosco.
Non manca certo una vasta e moder-
na letteratura su don Bosco, ma ci sono
ancora tante sue vicende che non sono
conosciute nella loro veridicità; ci sono
addirittura alcuni suoi importanti scritti,
che rischiano di essere noti solo agli “ad-
detti ai lavori”.
Ecco che allora quest’anno faremo cono-
scere alcuni di questi scritti.
I ncominciamo con un testo
antichissimo, del 13 marzo
1846, esattamente un mese
prima che don Bosco tra-
sferisse il suo “oratorio vo-
lante” alla casetta Pinardi.
Si tratta di una lettera inviata al mas-
simo responsabile della città di Tori-
no, il vicario generale di politica e di
polizia, Michele Cavour, padre del
famoso statista Camillo Benso e del
religiosissimo suo fratello, il marchese
Gustavo, ben noto a don Bosco.
Don Bosco, con un’intraprendenza
pari alla destrezza, traccia al Vicario,
che loda per il suo interesse al “buon
ordine pubblico civile e morale” e
“al bene della gioventù”, una breve
relazione sul suo “Catechismo”, ini-
ziato con altri sacerdoti al Convitto
nel 1841 e dal 1844 trasferito presso
l’Opera del Rifugio della marchesa
Barolo a Valdocco. Qui, d’accordo
con l’arcivescovo, un locale era stato
trasformato in sala di catechismo e
cappella per la celebrazione dei sacra-
menti dei ragazzi. Dato però il loro
numero eccessivo, le autorità cittadi-
ne lo avevano autorizzato a trasferirsi
alla chiesa di San Martino ai Molassi.
Solo che poco dopo l’autorizzazione
inspiegabilmente venne annullata, per
cui gli oltre 250 giovani nell’inverno
1845-1846 dovettero radunarsi in
ambienti presi in affitto.
Fortunatamente ai primi di marzo
era riuscito ad affittare dal sig. Pinardi
per 280 lire “una camera grande, che
può servire di Oratorio, più altre due
camere con sito aderente”. La famosa
“tettoia Pinardi”…!
Raccontati così i fatti, don Bosco vie-
ne al dunque (che ci interessa molto).
Indica che la finalità del suo “Catechi-
smo”è semplicemente una:“raccogliere
nei giorni festivi quei giovani che ab-
bandonati a se stessi non intervengono
ad alcuna Chiesa per l’istruzione, il che
L’Oratorio di don Bosco era tenuto d’occhio dalle
autorità, che distaccavano sempre qualche poliziot-
to per sorvegliare l’attività del “prete di Valdocco”.
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Gennaio 2012

4.9 Page 39

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si fa prendendoli alle buone con paro-
le, promesse, regali, e simili”. Quan-
to all’insegnamento esso si riduceva
semplicemente a questo: “1º Amore al
lavoro. 2º Frequenza dei Santi Sacra-
menti. 3º Rispetto ad ogni superiorità.
4º Fuga dai cattivi compagni”.
Notiamo che in poche parole, in quei
timidi inizi della sua Opera, don Bo-
sco ha già chiaro nella sua mente il
programma educativo della futura so-
cietà salesiana: la formazione religiosa
dei giovani (frequenza ai sacramenti),
l’impegno nel proprio dovere (lavoro),
l’ubbidienza alle leggi (rispetto alle
autorità), il buon uso del tempo libero
(fuga dai cattivi compagni).
Nel prosieguo della lettera intelligen-
temente si premura di mettere in luce
i positivi risultati di un triennio di
azione catechistica, tanto in ambito
religioso che civile; ambito, quest’ul-
timo, cui era particolarmente interes-
sato il “vicario di città”: si trattava di
ragazzi e adolescenti dai 10 ai 16 anni
“senza principii di religione, e di edu-
cazione, la maggior parte in preda ai
vizii, e in procinto di dar motivo di
pubbliche lagnanze, o di essere posti
nei luoghi di punizione”. L’esperienza
delle carceri fatta da don Bosco du-
rante i suoi studi teologici al Convitto
ha qui lasciato il segno!
Con simili premesse, don Bosco ha
buon gioco a chiedere al suo illustre in-
terlocutore, che nuovamente gratifica
di persona dal “cuor buono, e amante
di tutto quello che ridonda al pubblico
bene civile e morale”, di proteggere la
sua opera, magari di sostenerla econo-
micamente, estranea come è “ad ombra
di lucro”, ed intesa “solo a guadagnar
anime al Signore”.
Sicuro del fatto suo don Bosco con-
clude invitando il Cavour a chiedere
conferma di tutto al ben informato
conte di Collegno ed eventualmen-
te a concedere al “direttore spirituale
del Rifugio” (don Bosco stesso) e ai
sacerdoti suoi colleghi quell’udienza
che essi desiderano tanto.
Che cosa poteva rispondere il Vicario
di città, se non riceverlo “volentieri”
nel suo ufficio, dopo essere stato assi-
curato dall’arcivescovo e dal conte di
Collegno circa “il vantaggio” dei sud-
detti Catechismi. Del resto il Cavour
poteva stare tranquillo: sulla corag-
giosa azione del giovane don Bosco
vegliavano due autorevolissimi e sti-
matissimi sacerdoti della città, come
don Borel e don Cafasso.
La casetta Pinardi all’arrivo di Mamma Margherita
e la sua prima trasformazione. Come un alveare da
cui sciamarono alacri apostoli in tutto il mondo.
Nell’importante e programmatica let-
tera qui ricordata non si ha traccia
alcuna della drammatizzazione dei
fatti raccontata da don Bosco nelle sue
Memorie dell’Oratorio. Con il marche-
se Cavour tutto sembra essersi svolto
serenamente, per lo meno nel 1846;
ma anche per l’anno successivo don
Bosco potrebbe aver calcato la mano,
così come in altre simili circostanze.
Anche la malattia e morte del Cavour,
dopo un minaccioso colloquio con don
Bosco, ha troppo il sapore di quel “chi
mi tocca ha la peggio” da don Bosco
applicato a quanti non lo sostenevano
(don Tesio, la sua serva, il segretario
dei Molini in quegli stessi anni, il mi-
nistro Luigi Carlo Farini nel 1860…).
Il diffuso immaginario collettivo di
autorità torinesi ostili a don Bosco
perché preoccupate dei rischi di un’o-
pera per la gioventù come la sua, va
forse temperato, attenuato.
Il municipio di Torino, come per al-
tro scrive lo stesso don Bosco, “ci fu
sempre favorevole, fino al 1877”, ma
anche dopo, ovviamente nei limiti del
possibile e delle leggi.
Gennaio 2012
39

4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
CRISTIANA DOBNER
Mathilde Salem
Una donna siriana, orientale, una manager indiscussa nel suo
campo e ricca di humor, una donna moderna e “Serva di Dio” che,
presto, vorremmo vedere beatificata, proprio come aveva predetto,
il 27 febbraio 1961, l’arcivescovo Fattal quando Mathilde si spense:
«Vai con Dio, Santa Mathilde!».
Vivere e operare politicamente
non significa, in primo luogo,
schierarsi con un partito o
un’ideologia di regime, signi-
fica posare lo sguardo sulla
polis, sulla comunità in cui si
vive, sulle sue esigenze concrete e spiri-
tuali: Mathilde Salem così visse per la
sua patria, la Siria oggi dilaniata. Seppe
dare impulsi e costruire una nuova ci-
viltà, non solo profondendo a dismisu-
ra la ricchezza che segnava la sua fami-
glia di nascita e quella in cui entrò per
via di matrimonio, ma pagando con la
propria vita, in un cammino tutt’altro
che facile e morbido che, nella sua ul-
tima fase si trovò a combattere con un
doloroso e crudo cancro.
Di primo acchito la reazione di
Mathilde fu un atto di fede sponta-
neo: «Mio Dio, grazie!», che dovette
però fare i conti con una realtà che
si profilava sempre più ardua e a cui
Mathilde reagì anche con violenza
incontrollata, perché della sua pro-
pria pelle si trattava, ma si placò nella
preghiera rivolta a Colei che l’accom-
pagnò in tutta la sua vita: Maria, la
Madre di Gesù.
Nella buona
e nella cattiva sorte
Siriana orgogliosa e fiera, donna
orientale attaccata ai costumi della sua
stirpe, Mathilde Chelhot nata da agia-
ta famiglia nel 1904 ad Aleppo, studiò
dalle Suore Armene dell’Immacolata
Concezione cui fu sempre grata per
l’educazione ricevuta. Giovane sposa
diciottenne di Georges Elias Salem,
intraprendente industriale, visse una
vita di coppia felice, di reciproca stima
e di innamoramento sincero. Il grande
dolore dei coniugi Salem, che vivevano
una vita sociale ad alto livello, viaggia-
vano in Europa e frequentavano
i grandi ambienti legati alle
loro ditte, fu l’impossibilità
di avere figli per il grave
diabete di Georges.
Mathilde seppe confor-
tare il suo sposo, stargli
accanto anche quando
il suo carattere risentiva
La scuola dei salesiani ad Aleppo
e (a pagina seguente) la tomba dei
coniugi Salem nella chiesa della
scuola.
degli sbalzi di umore e della fatica
di una vita professionale cui all’in-
traprendenza e alla capacità del fiu-
to commerciale non corrispondeva
uno stato fisico adeguato. Ebbene,
Mathilde, donna siriana per usi an-
cestrali e gusto proprio, con al vertice
la leggendaria ospitalità orientale, si
trasformò in una manager di successo,
non rampante in proprio ma sempre
al fianco del marito diventandone la
consigliera e l’esecutrice dei progetti,
con rigore tecnico e sguardo lungo
sugli esiti di imprese commerciali az-
zardate o poco chiare.
Non mancarono delle prove che la di-
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Gennaio 2012

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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visero dall’amata famiglia Chelhot, in
cui mai prevalse l’astio o il rancore, il
cuore di Mathilde rimase libero e sof-
ferente, attento alle esigenze dei suoi
familiari Salem, dei nipoti che affian-
cò ed aiutò nelle loro rispettive scelte
con affetto tenero e perspicace.
L’accumulo della fortuna però non
fu l’obiettivo dei Salem, troppo vivo
era il loro senso sociale di condivi-
sione, animato da una fede cristiana
e da una vita di preghiera intensa che
non li distoglieva dai divertimenti ti-
pici del loro censo, gioco incluso, in
cui Mathilde eccelleva, guadagnando
piuttosto che perdendo…
Il doloroso distacco dall’amato Geor-
ges Elias divenne per Mathilde, in-
consolabile ma serena, uno squarcio
su di una realtà che avrebbe rivelato la
sua profonda chiamata nella vita che
le restava davanti: rifiutò ottimi parti-
ti, con inclusa la possibilità di diven-
tare madre vista ancora la sua giovane
età, e si aprì invece ad una dedizione
senza limiti verso i poveri, i bisognosi
senza distinzione religiosa o di etnia.
I salesiani e la scuola
professionale
Una carità moderna la sua, non di
un’elemosina, sempre preziosa ma
chiusa in se stessa, ma costruttiva e
capace di auto educare, perché, os-
servando la situazione della popola-
zione siriana, capì che il futuro della
gioventù sarebbe stato contrassegna-
to da una competenza professionale:
solo il lavoro degno e sicuro avrebbe
plasmato diversamente il futuro della
sua patria.
Allo scadere del «mandato francese» in
Siria, nel 1945, i Fratelli Maristi do-
vettero abbandonare il loro bel colle-
gio di Aleppo, che ospitava 800 allievi.
Tramite l’Arcivescovo cattolico, Ma-
tilde spinse il consiglio di amministra-
zione della Fondazione a comprarlo:
sarebbe stata la sede della futura scuola
professionale. Poi partì per Torino, e
trattando direttamente con il Rettor
Maggiore dei Salesiani, don Pietro Ri-
caldone, chiese che i figli di don Bosco
venissero a gestire la scuola.
Mathilde, pur vivendo una vita oran-
te intensa seppe coniugare le diverse
sfaccettature della sua personalità: ricca
proprietaria, manager acuta, madre per
i piccoli orfani che lavava e pettinava,
viaggiatrice attenta, donna elegante ed
ospite gradevolissima e generosa.
Terziaria francescana si spogliò di
ogni suo bene, dopo aver elargito
somme favolose, e morì in una casa
che più non era sua.
Nel 1947 la “Fondazione Georges Sa-
lem” passò nelle mani dei figli di don
Bosco, che ancora oggi gestiscono l’o-
pera educativa e trapassano nei loro
allievi quanto a Mathilde stava più a
cuore: l’amore di Dio che trasforma la
vita di ciascuno.
L’ultimo tratto della sua vita su uno
spogliamento, una kenosi totale, molto
sofferente per il cancro che la divorava,
mantenne un atteggiamento sereno e
GRAZIE
Senza fede per noi cristiani
non c’è vita
Quattro anni fa, appena sposata, rimasi in-
cinta. Gioia immensa per me trentaduenne
e per i miei familiari. Nell’ottobre 2003 ven-
ne a mancare mio papà. A questo lutto si
aggiunse la perdita della mia bimba Maria
Chiara Pia, nata il 31 ottobre 2003, per una
gestosi sopravvenuta alla 28a settimana. Fu
un dolore immenso per me e per mio mari-
to. Le nostre speranze diminuirono sempre
di più dopo due aborti spontanei all’ottava
settimana. Fu allora che, dopo tanto pen-
sare a vuoto per scoprire la causa di questi
nostri dispiaceri, mi decisi di richiedere,
tramite il B.S., l’abitino di san Domenico
Savio. Appena invocai questo santo, rimasi
incinta per la quarta volta, ma il 29 luglio
2007 ebbi un altro aborto spontaneo. Mio
marito ed io attraversammo un momento di
grande sconforto e di sfiducia nei confronti
del Signore. Ma io mi rivolsi di nuovo a san
Domenico Savio e a Maria Ausiliatrice, af-
finché venissero in nostro soccorso. A no-
vembre rimasi di nuovo incinta. Recitai con
fede la novena al santo e portai l’abitino,
mentre per tutti i nove mesi rivolgevo la mia
preghiera personale a Maria Ausiliatrice. Il
14 luglio 2007 finalmente, con parto cesa-
reo, è nata Anna Maria Domenica Camilla.
Ora ho messo nella sua culla l’abitino di
Domenico Savio e la medaglietta di Maria
Ausiliatrice, affinché proteggano sempre la
piccola Anna.
Greco Erminia Rita, Montesilvano PS
Per la pubblicazione non si tiene
conto delle lettere non firmate
e senza recapito. Su richiesta si
potrà omettere l’indicazione del
nome.
abbandonato, in lucido dono per l’uni-
tà dei cristiani e la santificazione dei
preti; volle essere sepolta vicino all’a-
mato consorte nella “Fondazione” in
cui aveva profuso con infaticabile ser-
vizio, tutta la sua energia.
Gennaio 2012
41

5.2 Page 42

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
DON GIORGIO GOZZELINO
Morto a Torino l’11 maggio 2010, a 80 anni di età.
«Il Signore risorto, cui don Gior-
gio consegnò la sua vita serven-
dolo soprattutto nella docenza
della teologia, nella formazione
spirituale dei nostri giovani con-
fratelli e di tantissime persone
consacrate, è venuto a prenderlo
perché possa stare dove Egli sta.
Don Giorgio lascia non soltanto
una riflessione teologica e spi-
rituale assai preziosa, ma anche
una testimonianza luminosa di
piena dedizione al Signore» ha
dichiarato don Pascual Chávez.
Personalità di grande statura
spirituale, culturale e pastorale,
con un carattere mite, dolce, dal
sorriso accogliente, don Gior-
gio ha profuso le sue migliori
energie nel campo della ricerca
teologica e dell’insegnamento
riscuotendo l’universale e con-
corde stima di generazioni di
allievi. È stato un vero maestro
di tanti sacerdoti, consacrati
e laici. Ha vissuto la sua mis-
sione salesiana principalmente
nell’ambito della Facoltà di Teo-
logia dell’UPS, come docente
ordinario di teologia sistema-
tica (per ben 43 anni) e per 9
anni anche come Preside della
Sezione di Torino. Il suo ricco
ministero sacerdotale ha trovato
dunque un’espressione privile-
giata nell’insegnamento accade-
mico, attraverso cui ha offerto a
generazioni di studenti i risultati
di un itinerario accademico di
ricerca complesso e articolato.
Don Giorgio Gozzelino era nato a
Torino l’8 aprile 1930, figlio uni-
co di papà Prospero e di mamma
Fey Teresa. Ancora ragazzo, a 12
anni, entrò nell’Aspirantato sale-
siano di Ivrea, dove frequentò i
corsi ginnasiali, rivelandosi uno
studente intellettualmente do-
tato e spiritualmente ricco. Qui
sbocciò la vocazione di stare con
don Bosco, avendo per ideale “la
comunicazione della conoscenza
di Dio a tutti coloro che o non lo
conoscono ancora o sono mem-
bri indegni del suo Corpo misti-
co” (domanda di ammissione al
Noviziato).
Ordinato presbitero il 1° luglio
1956, affidò il ministero sacer-
dotale alla Madonna per le mani
di don Bosco: «Tutta la ragione
della mia speranza è la Madonna.
A Lei devo la mia vocazione e la
perseveranza. Don Bosco mi ot-
tenga la grazia di essere sempre
un sacerdote veramente salesia-
no e santo».
Nella nuova stagione
della teologia
Don Gozzelino è vissuto infatti in
una stagione della teologia che
è stata ricca, ma anche tormen-
tata: la stagione che ha visto il
passaggio da un’impostazione di
stampo neoscolastico – che egli
aveva assorbito negli anni della
sua formazione – ad un’imposta-
zione profondamente nuova, di
carattere esistenziale e persona-
listico. Don Giorgio si è inserito
nel travaglio laborioso di questi
cambiamenti con grande viva-
cità, sentendosi a suo agio nella
ricerca di una riflessione sulla
fede attenta alla sensibilità e alle
domande dell’uomo contem-
poraneo e saldamente radicata
nella genuina tradizione della
Chiesa. Per questo, fuori da ogni
provincialismo culturale, ha
saputo aprirsi agli influssi dei
maggiori teologi del Novecento
di area tedesca (Rahner, Baltha-
sar, Ratzinger, Kasper) e france-
se (Martelet, Manaranche), te-
nendosi a distanza da posizioni
che erano solo mode passeggere
e che sacrificavano ad una fuga-
ce attualità il patrimonio della
dottrina della Chiesa. Nella sua
ricerca teologica, ha coltivato
soprattutto le questioni ineren-
ti l’antropologia teologica, con
un’attenzione privilegiata per il
tema della predestinazione in
Cristo, che ha assunto come
punto cardine di un pensiero
squisitamente cristocentrico.
Ma la sua competenza spazia-
va dalla teologia del ministero
ordinato e della vita consacrata
alla mariologia e alla teologia
spirituale per estendersi fino alle
domande relative al sacramento
dell’unzione degli infermi e al
tema del male e della sofferenza.
In ognuno di questi ambiti ha la-
sciato un contributo importante,
attraverso una serie cospicua di
pubblicazioni, tra cui spiccano
in particolare i suoi Manuali, che
hanno conosciuto una larga ac-
coglienza presso diverse Facoltà
e seminari in tutta Italia.
Il fascino
di un professore
Chi ha avuto la fortuna di aver-
lo come Professore non potrà
dimenticare il fascino della sua
parola, la freschezza delle sue
immagini, la profondità del suo
pensiero, ma soprattutto l’afflato
spirituale di una teologia che na-
sceva dall’assidua frequentazio-
ne di Dio, e non solo dei libri che
ne parlano.
Ottimo direttore spirituale e con-
fessore, infondeva in tutti corag-
gio e prospettava nei casi proble-
matici soluzioni sempre rigorose
e coerenti, invitando a mettere le
difficoltà e le situazioni difficili
nelle mani di Gesù con vera e
filiale confidenza. Brilla in lui la
totale disponibilità al servizio de-
gli altri, cominciando, fin quando
la salute glielo permise, dalla sua
comunità della Crocetta che tan-
to amava e per la quale ha dato
mente e cuore, facendosi tutto a
tutti, senza risparmio di energie e
di tempi.
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Gennaio 2012

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
La meravigliosa storia delle
dolcicoccole
Una volta, tanto tempo fa, c’era
una terra, dove la gente viveva
felice. Tutti erano amici, si vo-
levano bene, giocavano insie-
me e si aiutavano. Erano gen-
tili, cordiali, premurosi. Anche
per la strada, anche quando c’era la
coda da fare all’ufficio postale e anche
nell’atrio della scuola. Naturalmente
c’era un segreto. Allora, alla nascita,
ogni bambino riceveva un sacchetto
pieno di dolcicoccole. Le dolcicoccole
erano molto apprezzate. Tutti quelli
che le ricevevano si sentivano pieni di
dolcezza e di calda simpatia. Coloro
che non ne ricevevano, finivano per
prendersi il mal di schiena, appassiva-
no, talvolta morivano.
In quel tempo, però, era facile pro-
curarsi delle dolcicoccole. Quando
uno ne aveva voglia, si avvicinava a
un altro e domandava: «Vorrei una
dolcecoccola!». L’altro tuffava la
mano nel suo sacchetto e ne traeva
una dolcecoccola.
Chi la riceveva la strofinava dolce-
mente sul cuore, sulle guance o sulle
braccia e subito si sentiva invadere
da un’ondata di calore e di benessere
piacevole nel corpo e nell’anima. La
gente si scambiava continuamente
dolcicoccole e, dal momento che
erano assolutamente gratuite, se ne
potevano avere a volontà. Così quasi
tutti vivevano felici, e si
sentivano teneri e caldi.
«Quasi» tutti. C’era qualcuno
che non era affatto contento di
vedere la gente scambiarsi dolci-
coccole. Si chiamava Belzefà, una
strega perfida e perennemente
rabbiosa, che architettò un piano
diabolico.
Un mattino, piombò nel mezzo
di una famigliola. Si accostò al
papà che leggeva il giornale e gli
indicò la moglie che stava coccolando
la bambina più piccola.
«Non vedi tutte le dolcicoccole che
tua moglie sta donando alla bambi-
na? Se va avanti così, non ce ne sa-
ranno più per te!», sussurrò Belzefà.
L’uomo si preoccupò: «Vuoi dire che
a forza di donarle agli altri non ci
saranno più dolcicoccole nel nostro
sacchetto?».
«Certo», rispose la strega. «A un
certo punto f ine, stop, the end!».
E ripartì ghignando a cavallo della sua
turboscopa. Il papà prese sul serio le
parole di Belzefà. Da quel momento,
ogni volta che vedeva la moglie dare
dolcicoccole ai bambini si sentiva
triste e inquieto. E se la strega aveva
ragione? Ne parlò alla moglie. E anche
lei si spaventò. Bisognava assoluta-
mente economizzare le dolcicoccole.
Uomini, donne e bambini smisero di
sorridersi, di essere gentili, di aiutarsi.
Ma successe un fatto straordinario.
Una fanciulla arrivò in quel triste
paese. Pareva proprio che non avesse
mai sentito parlare della perfida stre-
ga e distribuiva dolcicoccole a piene
mani, senza paura che le venissero a
mancare. Le offriva gratuitamente,
anche se nessuno gliele domandava.
I bambini la amavano tantissimo, per-
ché si sentivano davvero bene con lei.
E si misero a distribuire dolcicoccole
tutte le volte che ne avevano voglia.
I grandi fecero una legge per im-
pedire di sprecare le dolcicoccole
a destra e a sinistra. Ma i bambini
continuarono. E continuano.
E siccome sono più numerosi dei
grandi, forse riusciranno a vincere
loro.
Per saperlo, dovete solo guar-
darvi intorno.
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5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Conoscere don Bosco
Una casa, una famiglia,
un padre
L’importanza degli
ambienti di vita e delle
persone nella formazione
del giovane don Bosco
Salesiani nel mondo
Made in Ghana
Le scuole professionali
L’invitato
Monsignor Savio Hon Tai
Segretario della
Congregazione per
l’Evangelizzazione
dei Popoli
Famiglia Salesiana
Le Signore in giallo
Numeri
Quanti sono i salesiani
nelle nazioni del mondo
Arte salesiana
Le tombe di Valsalice
Dal testamento di don
Senza di voi
Bosco per i benefattori
Senza la vostra carità io avrei
non possiamo
potuto fare poco o
nulla; con la vostra
carità abbiamo invece
cooperato con la
fare nulla!
grazia di Dio
ad asciugare molte lagrime e
a salvare molte anime.
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612658
e-mail:donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.