Bollettino_Salesiano_202109

Bollettino_Salesiano_202109

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Le nostre
guide
Alfred
Maravilla
Il pulpito
deRlla IBaCsilicOa MINCIAMO!
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
OTTOBRE 2021
Poster
NOI
CE LA
FAREMO!

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I FIORETTI DI DON BOSCO
B.F.
Don Bosco & Angeli
I
l 31 agosto 1844, la ricchis-
sima moglie dell’Ambascia-
tore del Portogallo a Torino,
buona cattolica, prima di un viaggio
volle confessarsi e si recò nella chiesa
di San Francesco d’Assisi, in centro
città.
Non conosceva nessuno in quella
chiesa, ma vide un giovane prete
ricciuto assorto in preghiera e si sentì
spinta a confessarsi proprio da lui
che, alla fine, le assegnò per peniten-
za una piccola elemosina da fare in
quello stesso giorno.
«Padre, non posso farla» rispose la
signora.
«Come? Lei che è così ricca?» La
signora rimase sbalordita: non aveva
mai parlato con lui e quella mattina
era vestita in modo molto dimesso.
Disse: «Padre, non posso farla questa
penitenza, perché oggi debbo andar
via da Torino».
«Ebbene, allora faccia quest’altra:
dica tre Angele Dei al suo Angelo
Custode perché l’assista e la preservi
da ogni male, e perché non abbia
da spaventarsi di quel che le accadrà
quest’oggi».
La signora restò ancor più colpita
di prima da queste parole; accettò
il suggerimento ben volentieri e,
ritornata a casa, recitò la preghiera
con la servitù, riponendo nelle mani
del suo Angelo Custode l’esito felice
del viaggio. Salita in vettura con la
figlia ed una cameriera, dopo un
lungo tratto di strada, felicemente
percorso a gran carriera, all’improv-
viso i cavalli si imbizzarrirono e si
lanciarono in una corsa sfrenata. Il
cocchiere fu scagliato a terra, la
vettura si ribaltò e la signora
finì travolta a terra mentre
i cavalli continuano a cor-
rere precipitosamente. In
quell’attimo, la signora
con quanto fiato aveva gri-
dò la preghiera: Angele Dei,
qui custos es mei... Di botto
i cavalli si fermarono, il
cocchiere, incolume,
li raggiunse, accorse
gente. Erano tutti
preparati al peggio,
ma videro madre
e figlia rialzarsi
da sé, tranquille, senza neanche un
graffio.
Tornata a Torino, andò a San Fran-
cesco d’Assisi e seppe che il giovane
prete si chiamava don Bosco e volle
ringraziarlo. Da quel momento di-
venne sua ammiratrice, e poi ferven-
te cooperatrice salesiana.
Don Bosco aveva un affetto scon-
finato per l’Angelo Custode. Una
domenica, nel distribuire ai giovani
una immaginetta che portava la
preghiera all’Angelo Custode, don
Bosco disse: «Abbiate divozione al
vostro buon Angelo! Se vi troverete in
qualche grave pericolo o di anima o di
corpo, invocatelo ed io vi assicuro che
esso vi assisterà o vi libererà».
Ad ascoltarlo c’era un garzone
muratore, che si infilò in tasca
l’immaginetta. Pochi giorni dopo,
lavorava sulle impalcature di una
casa in costruzione. Era all’altezza
del terzo piano, quando il ponte su
cui si trovava con due compagni si
sfasciò con tutto il carico degli assi,
delle pietre e dei mattoni, e piombò
rovinosamente nella via. Il giovane si
ricordò delle parole di don Bosco e
gridò: «Angelo mio, aiutatemi!».
Quella preghiera fu la sua salvezza.
I suoi due compagni morirono all’o-
spedale poche ore dopo, mentre lui,
appena la gente si avvicinò credendo-
lo morto, s’alzò in piedi perfettamen-
te sano senza aver riportata neppure
una scalfittura: e subito si rimise al
lavoro. La domenica seguente a San
Francesco, raccontò la sua avventura
ai compagni, ripetendo a tutti come
la promessa di don Bosco si fosse
avverata.
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OTTOBRE 2021

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Le nostre
guide
Alfred
Maravilla
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
OTTOBRE 2021
Poster
NOI
CE LA
FAREMO!
Il pulpito
deRlla IBaCsilicOa MINCIAMO!
OTTOBRE 2021
ANNO CXLV
NUMERO 09
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
La copertina: Tutto sommato i libri sono una
bella cosa (Foto di Nikvart/ Shutterstock).
2 I FIORETTI DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 DON BOSCO NEL MONDO
Pakistan
10 TEMPO DELLO SPIRITO
12 LE NOSTRE GUIDE
Alfred Maravilla
16 IN PRIMA LINEA
Siria
20 LA CASA DI MARIA AUSILIATRICE
Il pulpito della Basilica
22 POSTER
24 FMA
Koko Lucie
26 L’INVITATO
Monsignor Divasson
30 LA FAMIGLIA SALESIANA
Alejandro Guevara & l’adma
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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24
26
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 66
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
Tel./Fax 06.65612643
e-mail: biesse@sdb.org
web: http://bollettinosalesiano.it
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Joaquim
Antunes, Tim Bex, Pierluigi Came-
roni, Monica Cibrario, Roberto Desi-
derati, Ángel Fernández Artime, Flor
Greco, Sarah Laporta, Carmen Laval,
Cesare Lo Monaco, Natale Maffioli,
Alessandra Mastrodonato, Francesco
Motto, Marcella Orsini, Pino Pellegri-
no, O. Pori Mecoi, Markus Schauta,
Luigi Zonta, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Giampietro Pettenon (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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livello internazionale che tutelano le foreste, l’ambiente
e i lavoratori.
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Ángel Fernández Artime
Dopo lo tsunami
La pandemia ha cambiato il modo
in cui ci relazioniamo con il mondo,
con gli altri e con noi stessi.
Abbiamo bisogno di ricostruire
e rinascere con più solidarietà e
consapevolezza per riprenderci
da una calamità silenziosa,
segnata dal dolore, dal confino,
dal lutto, dalla paura.
Che cosa farebbe don Bosco oggi?
Inizio da un piccolo racconto sapienziale: Un fu-
nambolo aveva steso una corda, ad una discreta al-
tezza, sull’ampio mercato. Dapprima si erano esi-
biti alcuni giocolieri, ma il loro spettacolo era durato
più a lungo del previsto e la piazza era stata avvolta
dall’oscurità. L’esibizione dell’equilibrista si sarebbe
svolta sotto la luce di un riflettore.
Nella penombra, l’artista non si accorse che un ra-
gazzino lo aveva tranquillamente seguito su per la
scaletta e quando mosse i primi passi sulla corda se lo
trovò dietro.
«Che cosa fai qui?» gli chiese. «Voglio venire
con te sulla corda». «Non hai paura?»
«Finché sto con te, no». Gli spettatori
trattenevano il fiato.
Il funambolo si prese il bam-
bino a cavalcioni sulle spal-
le e per distrarlo dall’al-
tezza, dall’oscurità e dal
pericolo delle vertigini,
gli disse: «Guarda come
sono belle le stelle lassù!
Tieni gli occhi puntati sulle stelle!» E finché il ragazzo
guardò il bagliore delle stelle scintillanti, non pensò al
pericolo dei passi esitanti sulla corda sottile, alla pro-
fondità sotto di loro e si lasciò trasportare sulla corda per
tutta la larghezza della piazza.
Don Bosco sarebbe il primo a “salire sulla corda”
con i ragazzi e i giovani. Sarebbe il primo ad esse-
re presente, facendo uso di tutta la sua creatività,
capacità, competenze per muovere, preventivamen-
te, i giovani alla speranza, credendo in loro stessi,
offrendo protagonismo, parlando a ciascuno della
gioia di vivere e di crescere in armonia, formandoli
all’impegno coraggioso con e per gli altri, soprat-
tutto i più bisognosi.
Ecco la speranza in questo tempo: l’opportunità di
crescere e imparare insieme come squadre di stu-
denti, famiglie, insegnanti e specialisti. Dobbiamo
valorizzare quanto abbiamo guadagnato da questa
crisi (ambiente migliore, vita più lenta, stare insieme
come famiglia) e quanto creativi e innovativi sia­no
stati tanti educatori nel rispondere rapidamente ed
efficacemente, per esempio con il digitale.
Le cose saranno diverse e noi le vogliamo diverse.
Niente è come prima: la vita, i legami, lo spazio
e il tempo. Non vogliamo tornare dove eravamo,
ma vogliamo cambiare in meglio, innovare, creare,
credere in noi stessi, nelle nostre risorse, nell’edu-
cazione come fattore di cambiamento.
Abbiamo bisogno di creatività per creare nuovi pa-
radigmi e nuove risposte. L’audacia di una vita che è
portatrice di qualcosa di veramente nuovo. Abbiamo
bisogno di un sogno di una nuova vita che diventi
realtà, perché il compito è arduo e durerà a lungo.
Non richiede improvvisazioni ma la sicurezza di una
testimonianza, la gioia della nostra speranza, la si-
curezza del nostro accreditamento. Più che mai, la
nostra presenza e la nostra testimonianza sono ne-
cessarie. E più che mai i giovani che non possiamo
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lasciare soli (mai, ma ancor meno ora!) ci aspettano,
a braccia aperte, per vivere ancora una volta la loro
vita, con la forza di un amore capace di superare tut-
to, perché in tutto questo, solo l’amore può trionfare!
Dobbiamo sognare di nuovo il sogno dei giovani.
Spero che abbiamo imparato ad essere più consa-
pevoli della connessione umana, più determinati ad
educare bene tutti i bambini e i giovani, più consa-
pevoli del potere della gentilezza umana e più con-
centrati a lavorare con le famiglie e le organizzazio-
ni per educare al futuro.
Con metodo salesiano, che significa:
Accoglienza completa e cordiale. I dialoghi di
don Bosco con i giovani rivelano la sua capacità di
accoglienza piena e cordiale, elemento fondamentale
della relazione educativa salesiana. In un modello di
comunicazione informale, situazionale e amichevo-
le, don Bosco arriva al cuore, superando le barriere
di “distanziamento sociale”: “Fai che tutti quelli che
ti parlano diventino tuoi amici” (MB X, 1085) e in
questo modo tutti si sentono accolti e amati (ogni
ragazzo si sentiva “il preferito di don Bosco”). Nella
crescita umana, l’importante è che l’individuo sia il
protagonista della sua vita e della sua storia.
Sintonia e apertura empatica. Don Bosco rac-
comanda ai suoi salesiani la vicinanza ai giovani,
ricca di attenzioni e gentilezza.
Conoscenza del giovane e delle sue possibilità.
Secondo la pedagogia di don Bosco, il giovane può
sempre trovare dentro di sé delle risorse personali
che, messe in gioco, insieme alla “grazia”, lo porta-
no a proporre e raggiungere nuove mete di miglio-
ramento e conquista di sé.
Esperienza educativa e pastorale nella vita quo-
tidiana. L’accompagnamento educativo si realizza
nella vita quotidiana del cortile, per esempio, lo spa-
zio (informale) per eccellenza per conoscere e accom-
pagnare i giovani. Lo straordinario avviene nell’or-
dinario: nei momenti di vita quotidiana, educatore
e studente si impegnano in frequenti conversazioni,
condividono momenti di lavoro e di svago in un rap-
porto di conoscenza reciproca, spesso anche di inten-
sa amicizia, che prepara alla fiducia, alla dedizione e
alla docilità (“Fatti amare, non temere”).
Ambiente educativo e stile familiare. Cercan-
do di imitare ciò che sperimentava nella propria
famiglia, don Bosco volle trasferire questo spirito
familiare alla vita quotidiana di Valdocco. La con-
vivenza tra gli educatori e i bambini doveva essere
simile a quella tra genitori e figli.
La tecnologia non può sostituire gli insegnan-
ti; l’educazione rimarrà (e dovrebbe) un’attività ad
alta intensità di interazione umana. In futuro, la
sfida principale sarà quindi quella di trovare il giu-
sto equilibrio tra sostenere l’adozione di strumenti
digitali e continuare a investire nel fattore umano.
La prevenzione come sistema. Il concetto di
“prevenzione” trattato da don Bosco non è di natu-
ra puramente “assistenziale” e “protettiva”. È “pro-
mozionale”, mira al “potenziamento” per superare i
fattori negativi che possono distruggere la persona.
Nel caso di covid-19, sono necessarie nuove stra-
tegie educative per sensibilizzare e preparare gli stu-
denti, che saranno i prossimi nuovi cittadini, a cer-
care soluzioni che tengano conto del rispetto della
vita, dello sviluppo sostenibile e dell’impegno etico.
L’accompagnamento personale come direzio-
ne spirituale: la santità. L’educatore di don Bosco
non si limita all’umano, ma va allo spirituale. Il suo
fine è la felicità totale (“il Paradiso”). E per que-
sto fine va “fino alla temerarietà”: camminare sulla
corda è sempre difficile e rischioso, ma sulle spalle
di don Bosco andiamo senza paura verso il futuro.
Tenendo gli occhi fissi sulle stelle del Cielo.
OTTOBRE 2021
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DON BOSCO NEL MONDO
Marcella Orsini
I Salesiani in
Pakistan
Perché i giovani possano
costruirsi un vero futuro.
La presenza dei Salesiani
di don Bosco in Pakistan
risale a 22 anni fa ed è oggi
una presenza in continua crescita.
Don Gabriel e
i suoi giovani.
Sono cristiani
cattolici,
di altre
confessioni e
musulmani.
Nessuno
è escluso
dal carisma
salesiano.
L a Delegazione ispettoriale del Pakistan ap-
partiene all’Ispettoria Filippine Sud con la
quale mantiene un solido vincolo per quanto
concerne la formazione dei futuri Salesiani
di don Bosco e la cura delle vocazioni.
La Delegazione è costituita dalle due piccole co-
munità di Quetta e di Lahore, ognuna è animata
soltanto da due salesiani, mentre gli altri membri
delle comunità sono fuori dal Paese, impegnati nel-
la formazione e nello studio. La missione dei pochi
salesiani presenti si svolge a Lahore attraverso un
istituto tecnico, una scuola elementare, un convit-
to, laboratori e corsi di formazione per le ragazze e
un centro giovanile, mentre a Quetta attraverso una
scuola e due convitti, uno maschile e uno femminile.
Dal 2018 è Delegato del Pakistan don Gabriel de
Jesús Cruz Trejo, lo abbiamo incontrato e ci ha spie-
gato quale sia il fulcro della sua missione in un paese
tanto distante e differente dal suo di origine, il Mes-
sico. Don Gabriel afferma che “Il carisma salesiano
nasce dalla necessità di servire i giovani più bisogno-
si del mondo, affinché, attraverso la presenza della
vita consacrata salesiana, possano percepire l’amore
di Dio e migliorare le loro condizioni di vita”. Que-
sta è la genesi vocazionale di ogni azione per la cre-
scita di una presenza missionaria rivolta ai bambini e
ai giovani pakistani, cristiani, ma non solo.
Pace e accoglienza
I servizi educativi dei salesiani per i bambini e i gio-
vani che versano in difficili condizioni economiche
e che appartengono a nuclei familiari con limitato
accesso a un reddito sicuro sono rivolti sia ai ragazzi
cristiani, cattolici e di altre confessioni cristiane sia
ai ragazzi musulmani, portando nella vita di tutti i
giorni una pratica di pace e di accoglienza reciproca.
Don Gabriel nel nostro incontro ha sollevato la te-
matica della difficoltà di operare in contesti mul-
ticulturali e interreligiosi, tuttavia rassicura che
“l’interculturalità non è mai stata un ostacolo per
la Chiesa cattolica, di per sé universale, né per la
nostra Congregazione”.
La comunità stessa dei salesiani in Pakistan è inter-
nazionale e, in un Paese per il 96% musulmano, ciò
costituisce un punto di forza per riflettere “il vero
senso – cattolico – della nostra missione tra i giovani,
in modo che il messaggio di rispetto e d’inclusione
raggiunga tutti. Il dialogo interreligioso ha più im-
patto quando le parole diventano atti di servizio, di
Testimonianza di vita, quando si ama e educa con
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OTTOBRE 2021

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zelo. I nostri fratelli musulmani se ne rendono conto
e apprezzano il nostro lavoro. E ci rispettano”.
Il Pakistan è una repubblica islamica, dunque il
contesto sociopolitico di riferimento è fortemente
permea­to dalla religione e dalla religiosità, nell’at-
tuazione della Shari’ah, la Legge di Dio. Sarebbe in-
sostenibile operare senza tenere presente il legame tra
cammino stabilito da Dio e scelte e comportamenti
sia individuali sia collettivi. Comprendere e impara-
re a gestire l’interreligiosità in Pakistan, così come
avviene per i Figli di Don Bosco, vuol dire esercitare
una pastorale particolarmente dialogica e sostenibile.
Per una nuova generazione
Per quanto riguarda il lavoro con le bambine e le
ragazze, particolare attenzione è rivolta alle azioni
finalizzate alla riduzione dell’abbandono scolasti-
co per occuparsi della famiglia e alla diffusione dei
matrimoni precoci e forzati, molto comuni e prati-
cati all’interno delle comunità etniche dei villaggi,
ma anche nei centri urbani, nella convinzione che
costituiscano una soluzione per la povertà econo-
mica, a discapito della tutela dei diritti umani delle
bambine e delle ragazze.
Per circa 50 ragazze ogni anno, cattoliche, cristia-
ne e musulmane, i salesiani in Pakistan realizza-
no percorsi di promozione sociale, programmi di
formazione ai diritti con l’obiettivo di creare e dif-
fondere tra tutte e tutti i giovani consapevolezza
e autodeterminazione e corsi per l’acquisizione di
conoscenze e competenze orientate a imparare un
mestiere finalizzato all’emancipazione dalla tiran-
nia economica esercitata dagli uomini adulti.
In particolare, a Lahore, nel Punjab, al confine con
l’India, una delle più grandi metropoli del mon-
do, sono presenti bisogni urgenti soprattutto per le
ragazze e i ragazzi privi di accesso all’istruzione e
a una formazione professionale di qualità. Qui, la
comunità salesiana, cui appartiene il Delegato don
Gabriel, opera soprattutto in quest’ultimo ambito,
al fine di creare una generazione di giovani prepa-
rati professionalmente e umanamente, dedicati allo
sviluppo del Paese.
Il Pakistan non è un Paese pacifico. Ci sono alcuni
nodi problematici, come l’instabilità politica, il ter-
rorismo, il basso reddito delle famiglie, le tensioni
interne come quella tra sciiti e sunniti. Rimane irri-
solta (e anzi, si fa sempre più acuta) la questione del
Una
generazione
di giovani
preparati
professional­
mente e
umanamente,
dedicati allo
sviluppo
del Paese.
Questo uno
degli obiettivi
dei Salesiani.
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DON BOSCO NEL MONDO
Per quanto
riguarda il
lavoro con
le bambine
e le ragazze,
particolare
attenzione
è rivolta
alle azioni
finalizzate
alla riduzione
dell’abban­do­
no scolastico
per occuparsi
della famiglia
e alla diffu­
sio­ne dei
matrimoni
precoci e
forzati.
Kashmir, la regione di confine contesa con l’India.
Inoltre, il vicino Afghanistan porta flussi incessanti
di profughi, oltreché infiltrazioni terroristiche.
A Lahore, nel quartiere di Youhanabad, sorge la
casa salesiana. Qui sono concentrati molti cristiani,
un’esigua minoranza considerata di minore impor-
tanza e con poche opportunità d’inserimento nella
società. La maggioranza dei cristiani discende dagli
Hindu, la popolazione ritenuta di livello inferiore,
quella rimasta asservita al Regno Unito anche du-
rante la conquista dell’Indipendenza nel 1947 e che
ancora oggi rappresenta la parte economicamente
più debole dell’intera popolazione pakistana.
«Un mestiere per il mio futuro»
Le scuole in Pakistan sono molte, ma di bassa
qualità. Soprattutto, sono molto rare le scuole che
offrono una formazione professionale orientata
all’inserimento lavorativo e che in più attuino pro-
grammi formativi per lo sviluppo integrale della
persona in tutte le sue dimensioni e facoltà.
In questa prospettiva, con la Fondazione Don Bosco
nel Mondo i Salesiani della Delegazione del Paki-
stan promuovono il progetto “Un mestiere per il mio
futuro” presso il Don Bosco Technical and Youth
Centre di Lahore. L’Istituto rappresenta un’eccellen-
za a livello nazionale, è al servizio di molti giovani
e gode di un notevole prestigio, tuttavia, l’impegno
per la sua sostenibilità richiede interventi di suppor-
to mirato, attraverso specifici progetti.
Obiettivo generale del progetto “Un mestiere per
il mio futuro” è l’inclusione lavorativa e sociale
dei ragazzi cristiani e musulmani in difficoltà e a
rischio di marginalizzazione. Obiettivi specifici
sono il potenziamento dei servizi educativi per una
formazione professionale di qualità e il consolida-
mento degli insegnamenti tecnici.
Ogni anno il Don Bosco Technical and Youth
Centre di Lahore è frequentato da 150 ragazzi in
situazione di povertà economica e che spesso ven-
gono resi vulnerabili da alcuni pregiudizi, resistenti
e discriminanti, legati all’appartenenza etnica e re-
ligiosa.
Il progetto mira a garantire la continuazione dei
corsi di formazione professionale, sia di quelli
triennali (dae) sia di quelli annuali (per elettricisti,
saldatori, tecnici della refrigerazione degli ambien-
ti, idraulici, fabbri, falegnami e operatori al pc) sia
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IL SESTO STATO PIÙ POPOLOSO DEL MONDO
Attualmente in Pakistan vivono 196 milioni di persone (ma
alcune stime parlano anche di 199 milioni). Un numero im-
portante, che pone il paese al sesto posto nella lista dei paesi
più popolosi del mondo. Il paese ha sempre vissuto la piaga
della povertà, ma negli ultimi decenni il PIL (anche nominale)
è cresciuto, facendo entrare il Pakistan nel novero dei trenta
stati più ricchi del mondo.
Un paese molto giovane. Non solo il Pakistan ha un buon nu-
mero di abitanti, ma la loro età media è anche molto bassa.
Secondo le stime della CIA, essa si attesta attorno a 23,4 anni.
di quelli brevi pomeridiani (per barbieri, estetiste
e sarte). Non si tratta solo di garantire la soprav-
vivenza dei corsi, ma anche il potenziamento della
loro qualità, attraverso la formazione degli inse-
gnanti, l’acquisto dei beni e dei materiali di consu-
mo e la sostituzione delle attrezzature obsolete. La
continuazione dei corsi è la condizione essenziale
per consentire lo sbocco lavorativo degli studenti e
delle studentesse.
Molti di loro provengono da altre città e dai vil-
laggi intorno a Lahore, ma hanno bisogno di una
residenza per la frequenza, data la distanza dalle
abitazioni di origine. Per questa finalità, accanto
al Don Bosco Technical and Youth Centre sorge
il convitto che ospita 150 ragazzi da sostenere nei
bisogni primari di cibo, vestiario, alloggio e cure
mediche. Per i più bisognosi sono previste borse di
studio e in molti casi capita anche di dare acco-
glienza ai ragazzi costretti dall’indigenza a uscire
dal nucleo familiare, per trovare una sistemazione
altrove. Vengono così accolti dai salesiani a condi-
zione che siano collaborativi e dimostrino impegno
nell’apprendimento professionale.
Presso il Don Bosco Technical and Youth Centre
tutto concorre al conseguimento di un intero pro-
getto di vita che passa dalle competenze tecniche
per consolidarsi in processi partecipati di responsa-
bilizzazione e di creazione della fiducia in se stessi.
La presenza salesiana a Lahore è fortemente segna-
ta dalla testimonianza di Akash Bashir, exallievo
del Don Bosco Technical e Youth Centre, morto
martire il 15 Marzo del 2015 per impedire a un
attentatore suicida di entrare nella chiesa di San
Giovanni nel quartiere di Youhanabad piena di fe-
deli raccolti nella messa domenicale e commettere
una strage. L’attentatore si fece esplodere causando
la morte di venti persone, compresa quella del ra-
gazzo il cui esempio rimane oggi a guida e modello
per tante ragazze e ragazzi, ma per la crescita stessa
della missione salesiana in Pakistan.
Il Paese, pur non essendo in conflitto armato, ri-
chiede un particolare impegno in termini di ri-
conciliazione e di riduzione delle discriminazioni,
tuttavia, per utilizzare le parole di don Gabriel, “il
futuro di don Bosco in Pakistan è promettente”,
poiché sono le ragazze e i ragazzi pakistani stessi
ad aver accolto il modello pedagogico salesiano con
gioia e partecipazione e, animati anche dall’esem-
pio di Akash Basir, desiderano costruire un presen-
te e un futuro di speranza e di pace.
Con la
Fondazione
Don Bosco
nel Mondo
i Salesiani
della
Delegazione
del Pakistan
promuovono
il progetto
“Un mestiere
per il mio
futuro”
presso il
Don Bosco
Technical and
Youth Centre
di Lahore.
Sulle orme di Bashir
Nel corso della pandemia di Covid-19 i ragazzi
sono stati protagonisti di iniziative solidali e di
prossimità alle famiglie più bisognose, distribuendo
kit alimentari e dispositivi di protezione individua-
le per contrastare la diffusione del virus all’interno
della comunità del quartiere di Youhanabad.
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TEMPO DELLO SPIRITO
Carmen Laval
pI rgeesgtihdieellara
Esprimiamo con
il corpo i nostri
sentimenti più
profondi: il nostro
amore, il nostro
stupore, la nostra
speranza, il nostro
bisogno, la nostra
fiducia, la nostra paura, la nostra
impotenza e il nostro desiderio. Lo stesso
avviene nei confronti di Dio. Con il corpo
comunichiamo, con il corpo anche preghiamo.
istockphoto.com
Un celebre professore di famiglia ebraica ha
scritto: «Mio padre pregava non per dovere,
ma perché Dio era là, vicino a lui. Due
volte al giorno, per una ventina di minuti,
sussurrava in ebraico parole che comprendeva
appena, sulle quali non rifletteva mai, parole che per
lui erano una musica del cuore. Due volte al giorno,
immancabilmente, al mattino e alla sera, inqua-
drando i momenti della notte, fecondi e pericolosi, si
metteva in piedi, – il mattino rivestito dal suo scialle
di preghiera, con i filatteri sul braccio e la fronte, e la
sera con lo stesso libro di preghiere usato, ingiallito.
Era il suo solo messaggio. Nessun proselitismo, nes-
suna ingiunzione. Mio padre non mi ha mai rimpro-
verato perché non pregavo. Non ci ha mai spiegato
la preghiera, né la sua necessità. Non si giustificava
né si gloriava. Ci dimostrava solamente, con i suoi
appuntamenti quotidiani, in tutta umiltà, ritirato
in un angolo della casa, il suo amore personale per
Dio. Non lo condivideva né se ne vantava. Non si
lamentava né se ne rallegrava. Non era un obbligo,
né ragione di fierezza. Era come l’aria che respirava».
Il nostro corpo siamo noi e nel nostro corpo rispec-
chiamo la nostra anima. Il nostro corpo non riesce
a nascondere nulla: parla anche se la nostra bocca
tace. Il corpo allora non è solo uno specchio, ma
anche un magnifico strumento per comunicare con
gli altri e con Dio. Ecco alcuni esempi di gesti che
esprimono ed aiutano la preghiera.
Gridare
Quando ci troviamo in una situazione, sentendoci
totalmente impotenti a uscirne, istintivamente gri-
diamo. Il salmo 129, che risuona da secoli nella boc-
ca dei credenti, comincia proprio così: «Dal profon-
do a te grido, o Signore». Ogni Messa comincia con
un grido: «Kyrie eleison (Signore, abbi pietà di me)!»
È magnifico, liberante. Pregare insieme a voce alta
che risuona è sentirci solidali, uniti, più forti.
Cantare
«Nel canto si forma la comunità, favorendo con la
fusione delle voci, quella dei cuori, eliminando le
differenze di età, di origine, di condizione sociale,
riunendo tutti in un solo anelito nella lode a Dio»
(San Paolo VI).
10
OTTOBRE 2021

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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Stare in piedi
Lo stare in piedi è il gesto originario della preghie-
ra umana, gesto diffuso in tutti i popoli. Anche la
Bibbia conosce lo stare in piedi come l’atteggia-
mento normale dell’orante.
Stando in piedi, i primi cristiani sperimentano che
essi sono risorti con Cristo e perciò possono stare in
piedi. Nella risurrezione Dio ci ha messi in piedi e
ha posto i nostri piedi su una roccia sicura, così che
nessun avversario ci può più far cadere.
volto di Dio. Con questo gesto facciamo risplendere
il volto di Dio sulle persone. Nella liturgia questo ge-
sto viene raccomandato nella recita del Padre nostro.
Mani giunte
Congiungere le mani è un gesto largamente praticato
presso molti popoli. In ambito cristiano viene usato
solo a partire dal ix secolo. Con le mani giunte si
offrono dunque a Dio i propri servizi, e allo stesso
tempo ci si sottomette alla sua volontà.
Le mani come ciotola
Iniziamo l’esercizio del gesto delle mani stando in
piedi eretti. Apriamo poi le nostre mani in avanti
piegando le braccia ad angolo, così da formare con
le mani una ciotola. Stiamo per qualche momento
in questa posizione davanti a Dio. È un atteggia-
mento di apertura, di offerta, tendiamo a Dio le no-
stre mani vuole, perché sia lui a riempirle. In questo
atteggiamento potremmo pronunciare lentamente
la preghiera che i cappellani di Lubecca, davanti ai
nazisti, hanno recitato prima della loro esecuzione
capitale: «Signore, ecco le mie mani. Deponi in esse
ciò che tu vuoi. Prendi da esse ciò che tu vuoi. Por-
tami dove tu vuoi. In tutto sia fatta la tua volontà».
L’orante
Dall’atteggiamento della ciotola passiamo a quel-
lo dell’orante, come viene rappresentato di conti-
nuo nelle catacombe. Portiamo le braccia verso
l’alto, teniamole ampiamente distese all’altezza
delle spalle, le mani aperte verso l’alto. In questo
atteggiamento possiamo lodare e glorificare Dio.
Avvertiremo un’ampiezza interiore e una grande
libertà. Non siamo più concentrati su noi stessi, ma
guardiamo a Dio.
Abbassiamo poi le braccia a formare con i gomiti un
angolo, lasciando le mani aperte in avanti. Ci ritro-
viamo allora nel gesto di benedizione, come viene pra-
ticato presso tutti i popoli da millenni. Nelle diverse
religioni questo gesto ha ricevuto di volta in volta in-
terpretazioni diverse. Le mani diventano specchio del
Il Rosario
«Preghiera dei poveri di tutti i
tempi, dei piccoli ovunque.
In questo stesso momento,
pregato da fratelli e so-
relle negli ospedali,
nelle profondità delle
prigioni, nel lontano
Nord come nella sa-
vana africana. Una pre-
ghiera infinitamente le-
nitiva, un profumo sulle mie
innumerevoli ferite, si conden-
sa in questi due Nomi, attorno
ai quali ogni parola ruota,
come attorno al loro centro
di gravità: Maria... Gesù.
Sì, Maria, dacci il potere
di pronunciare il Nome
sopra tutti i nomi,
come bisognava sus-
surrarlo la notte di
Natale e ai pie-
di della croce. E
Tu, Gesù, nostro
Gesù, dammi di
chiamare Tua madre
con questo nome che solo
Tu dovevi pronunciare
al massimo dell’Amore»
(Daniel-Ange).
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OTTOBRE 2021
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2.2 Page 12

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LE NOSTRE GUIDE
Joaquim Antunes
P. Alfred Maravilla
«Anche l’Europa e i centri urbani
sono “terre di missione”»
Originario delle Filippine, padre Alfred Maravilla è missionario
in Papua Nuova Guinea dal 1985. Conosce sette lingue:
spagnolo, francese, inglese, italiano, ilonggo, un dialetto
filippino, pijin, un creolo della Papua Nuova Guinea, e filippino.
È stato eletto Consigliere del Rettore Maggiore per le Missioni
nell’ultimo Capitolo Generale. Crede che oggi
le missioni non possano essere viste solo
in termini geografici, ma anche in termini
sociologici, culturali e persino digitali.
«La sfida è
dare priorità
al primo
annuncio.
Il primo
annuncio
avviene
attraverso la
testimonianza
di vita o
iniziative
pastorali che
catturano
l’interesse e
l’opzione per
la persona di
Gesù».
Qual è stato il tuo primo pensiero
quando sei stato eletto?
La mia elezione è stata qualcosa che non ho mai so-
gnato né voluto. Ma il passo della Evangelii Gau-
dium n. 279 mi ha dato pace interiore e mi accompa-
gna nel mio servizio di promuovere in tutta la nostra
Congregazione “lo spirito e l’impegno missionario”.
Come dicono le nostre Costituzioni: “Lo Spirito
Santo agisce come vuole, quando vuole e dove vuo-
le... Noi sappiamo solo che il dono di noi stessi è
necessario... Andiamo avanti, diamo tutto, ma che
sia Lui a far fruttare i nostri sforzi come gli sembra”.
Qual è il tuo “Curriculum Vitae”
salesiano?
Sono filippino e vengo da una famiglia molto pra-
ticante. I miei genitori volevano che io e mio fra-
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OTTOBRE 2021

2.3 Page 13

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tello minore facessimo gli studi secondari presso i
Salesiani. La loro presenza con noi nel cortile è ciò
che mi ha colpito e mi ha attratto alla vita sale-
siana. Poi i salesiani mi hanno invitato ad impe-
gnarmi nel centro giovanile e questo mi ha portato
a fare discernimento con loro durante i miei studi
universitari in scienze dell’educazione. Il resto è
storia. Ho fatto i miei studi teologici a Cremisan,
Israele; una laurea civile in Scienze dell’Educazio-
ne e ho ottenuto un certificato in Studi Islamici
al Pontificio Istituto di Studi Arabi ed Islamistica
di Roma. All’Università Gregoriana ho ottenuto la
licenza in missiologia, un’altra licenza in teologia
dogmatica e un dottorato in teologia fondamentale.
Sono stato missionario in Papua Nuova Guinea dal
1985, lavorando nelle scuole e come docente presso
il Centro di Studi Intercongregazionali. Dal 2002
al 2006 sono stato direttore del Centro Liturgico-
Catechistico della Conferenza Episcopale. Provin-
ciale dal 2017, sono stato anche eletto presidente
della Federazione dei religiosi e delle religiose della
Papua Nuova Guinea e delle Isole Salomone fino
all’elezione al CG28.
I giovani, nati nelle società avanzate
di oggi, sono ancora disponibili per
avventure notevoli?
Sì, i giovani europei sono ancora aperti a notevoli
avventure. Ma con un atteggiamento molto diverso
da quello di Magellano, Colombo e tanti altri. I
giovani aspirano alla globalità, capiscono almeno
due lingue e molti di loro hanno viaggiato in altri
paesi. Al contrario, i giovani che non hanno queste
esperienze, e ce ne sono, si rifugiano nell’intolle-
ranza, nel razzismo e nell’estremismo.
La fede cristiana è ancora così
stimolante e seducente?
Non si nasce cristiani, lo si diventa! La fede è una
scelta personale per Gesù Cristo. In passato c’erano
paesi considerati “cattolici” o “cristiani” per tradi-
zione o per cultura. Oggi, anche in contesti di an-
tica tradizione cristiana, la fede trasmessa in molte
famiglie non è adeguata a essere un fondamento per
una robusta fede personale. Alcuni abbandonano
Gesù Cristo dopo averlo conosciuto. Oggi nell’Eu-
ropa secolarizzata, e nei centri urbani di tutti i con-
tinenti, la stanchezza della fede cristiana e il senso
di saturazione del cristianesimo sono evidenti. In
questo contesto vediamo, soprattutto tra i giovani,
o una riscoperta della fede e delle pratiche religiose,
o il fenomeno di una religiosità fluida, che si espri-
me nell’essere spirituale ma non religiosa o nel cre-
dere senza appartenere. La sfida, quindi, è quella di
dare priorità al primo annuncio. Il primo annuncio
avviene attraverso la testimonianza di vita o inizia-
tive pastorali che catturano l’interesse e l’opzione
Padre Alfred
con i ragazzi
di Ivrea e
gli aspiranti
salesiani in
Papua Nuova
Guinea.
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2.4 Page 14

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LE NOSTRE GUIDE
I giovani
coltivatori
di riso della
scuola
agricola
salesiana
delle Isole
Salomone.
per la persona di Gesù o la rivitalizzazione della
fede in Lui. Qualsiasi tentativo di evangelizzare
senza il primo annuncio sarà sterile.
Sei stato missionario “ad vitam”
in Papua Nuova Guinea. Come hai
deciso di lasciare il tuo paese?
Eravamo nel periodo in cui il Progetto Africa era
fiorente. Alcuni fratelli della nostra Provincia era-
no partiti per l’Etiopia. Viganò, Rettore Maggiore,
aveva affidato alla nostra Provincia delle Filippine
la responsabilità di iniziare una nuova presenza in
Papua Nuova Guinea. I primi salesiani sono arriva-
ti lì nel 1980. Anch’io ho presentato la mia dispo-
nibilità missionaria e sono stato inviato lì nel 1985
come tirocinante di 23 anni.
Pensi che l’entusiasmo
del primo invio rimanga?
C’è molto entusiasmo missionario nella Congre-
gazione, specialmente in Africa, Asia e America.
Infatti, la generosità missionaria è stata una delle
ragioni della buona salute e dell’espansione della
nostra Congregazione, perché ci aiuta a superare il
pericolo dell’imborghesimento e la mentalità della
conservazione, facendo nascere l’entusiasmo voca-
zionale. C’è anche una crescita dei Volontari Mis-
sionari Salesiani in molte Ispettorie.
Continuano ad arrivare alla Sede
centrale richieste di giovani salesiani
e laici per diventare missionari?
Ogni anno una media di 35 richieste missionarie ar-
riva alla sede centrale. Non tutti poi partono. I can-
didati missionari sono accompagnati più da vicino a
discernere la vocazione missionaria con criteri e un
cammino graduale e progressivo con l’aiuto della gui-
da spirituale, del direttore e dell’équipe formativa.
Si dice che alcuni chiedono di andare
in missione con l’idea di sperimentare
nuovi modi di vita e scoprire luoghi
esotici. Succede?
Il desiderio di scoprire paesi esotici, la ricerca
dell’avventura e l’incapacità di integrarsi nella vita
e nell’apostolato della comunità in cui ci si trova
sono chiare controindicazioni della vocazione mis-
sionaria. Un salesiano o un laico con questa menta-
lità non può essere un missionario!
Dicono che le attuali terre
di missione sono le metropoli
d’Europa e d’America.
Oggi le “missioni” non possono essere intese solo in
termini geografici, di spostamento in “terre di mis-
sione” come ai tempi di Magellano o Cagliero, ma
anche in termini sociologici, culturali e persino di
presenza nel continente digitale. La ‘terra di missione’
non è solo l’Africa, l’Asia o l’America. Oggi ‘terra di
missione’ è dove c’è bisogno di proclamare il Vangelo
o dove Gesù non è ancora conosciuto. Quindi, anche
l’Europa e i centri urbani sono “terra di missione”!
Oggi le spedizioni missionarie hanno
dei ’Cagliero’?
Il missionario non è solo colui che dà, ma so-
prattutto colui che riceve; non solo insegna, ma
soprattutto impara dalle persone che serve, che
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OTTOBRE 2021

2.5 Page 15

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non sono solo i destinatari passivi dei suoi sforzi.
Cerca di mantenere vivo il loro ardore per la san-
tità dando generosamente di sé fino a quando non
si consuma. I missionari salesiani di oggi devono
avere l’audacia e lo zelo di Cagliero, ma con una
visione rinnovata delle missioni. Non c’è posto per
un missionario paternalista!
Ci sono correnti teologiche e
antropologiche che insistono
sull’inculturazione di coloro che sono
inviati a popoli con altre culture e
costumi. Qual è la tua opinione?
L’inculturazione è un processo lento che non può
mai essere raggiunto completamente. Attraverso
il dialogo interculturale il missionario apprezza
i valori e le tradizioni locali e si lascia arricchire
dalla cultura locale. Nel frattempo continua ad ap-
profondire la sua comprensione alla luce della fede
cristiana e del carisma salesiano. D’altra parte, la
presenza dei missionari nella Provincia rafforza
l’inculturazione perché i Fratelli locali hanno una
prospettiva sulla loro cultura che i missionari non
hanno, mentre i missionari offrono prospettive di
cultura che i Fratelli locali non hanno. Infatti, una
Provincia composta solo da Fratelli della stessa
cultura rischia di essere meno sensibile alla sfida
dell’interculturalità e meno capace di vedere oltre i
confini del proprio mondo culturale.
Se dovessi parlare ad un’assemblea
di giovani che cosa proporresti?
Guardati intorno. Chiediti come puoi conosce-
re meglio Gesù; che cosa puoi fare per aiutare il
migrante vicino a casa tua. È più facile raccoglie-
re denaro per un popolo lontano che fare un gesto
concreto di carità a chi sta bussando alla tua porta.
Lo spirito missionario comincia in casa tua!
La festa
di don Bosco
in Africa.
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2.6 Page 16

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IN PRIMA LINEA
Markus Schauta dal Don Bosco Magazin
Siria
La speranza
sconfigge
la paura
(traduzione di Marisa Patarino)
I Salesiani di Don Bosco non hanno
abbandonato Damasco negli anni
della guerra. Nonostante i rischi,
il Centro Don Bosco è rimasto
aperto nella capitale siriana.
Oggi circa 1200 bambini e ragazzi
frequentano la struttura ogni
settimana.
«Benvenuti a Damasco!» Don Munir
Hanachi preme sull’acceleratore e
guida abilmente l’autobus Don Bo-
sco attraverso gli stretti spazi libe-
ri nel traffico intenso. Sembra che la vita proceda
come al solito, nella capitale della Siria. Il traffico
si è fermato, in un locale si arrostiscono spiedini di
carne alla griglia, la sera si possono bere birra liba-
nese e cocktail americani nei bar del quartiere di
Bab Touma. Gli scontri a Damasco sono comincia-
ti dieci anni fa. Nel mese di luglio del 2012 scop-
piarono aspri combattimenti tra l’esercito siriano e i
ribelli nelle periferie della città. La direzione ispet-
toriale domandò ai Salesiani se volessero lasciare
la Siria. «Abbiamo deciso di restare», ha detto don
Hanachi, Direttore della Comunità salesiana di
Damasco.
Negli anni che sono seguiti, il conflitto non è mai
cessato. «L’aspetto più difficile era la paura», dice il
sacerdote. Molti giovani che frequentano il Centro
Don Bosco vivono in zone lontane della città. Il
percorso dalle loro case al centro non era sicuro,
perché c’era il rischio di attacchi. E anche nella casa
Don Bosco non era escluso che un colpo di mortaio
potesse colpire il cortile in qualsiasi momento. D’al-
tra parte, frequentare il centro ha aiutato i giovani
a distrarsi dal pensiero della guerra. Qui potevano
incontrare gli amici e giocare insieme: alcune ore di
pausa dalla catastrofe in cui erano precipitate le loro
vite. Ogni volta don Hanachi ha dunque dovuto
decidere se correre il rischio di mandare l’autobus
Don Bosco a prendere i giovani.
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2.7 Page 17

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spe raMnozalt.i
giovani hanno perso ogni
La guerra ha rubato sogni
familiari e professionali.
Dany Kerio
Nella primavera del 2018 l’esercito siriano ha preso
il controllo delle ultime periferie. La guerra però
non è del tutto cessata. I soldati effettuano decine
di controlli ai posti di blocco militari della città e
Israele lancia ripetutamente missili contro obiettivi
militari nell’area metropolitana di Damasco.
bini ridono e scattano foto con i loro smartphone. Si
forma presto una lunga fila. Tutti vogliono una foto
che li ritragga come se fossero angeli.
Tre volte alla settimana Hanoun va ad aiutare i Sa-
lesiani impegnandosi nel ruolo di animatrice. La
giovane, che ha venticinque anni, vive con i suoi ge-
nitori a Maarat Sednaya, un insediamento cristiano
a nord di Damasco. Con le sue coltivazioni di uva
e olivi e i tetti di tegole arancioni delle case, que-
sta zona ricorda la Toscana. Hanoun spiega che nel
corso della guerra alcune volte sono avvenuti scontri
anche qui. Regnava una grande incertezza. «Grazie
al cielo, la casa della mia famiglia e il nostro quar-
tiere non sono mai stati colpiti da armi da fuoco»,
aggiunge la giovane. Per studiare Hanoun doveva
andare a Damasco. «Ho frequentato il primo anno
di università nel 2012, al culmine dei combattimen-
ti». Molte volte i suoi genitori non le permettevano
di recarsi nella capitale. Hanoun ha dunque perso
varie lezioni e non ha sostenuto puntualmente alcuni
esami. «Ho perso due anni», dice. Hanoun soffriva
molto per quelle limitazioni. Era sempre triste, non
Il cortile e il
pianterreno
della casa
salesiana
sono gremiti
di bambini e
ragazzi.
Toscana siriana
La Casa Don Bosco, intonacata di bianco, circondata
da un piccolo giardino e con una recinzione in ferro
battuto, si trova in una tranquilla strada laterale nel
quartiere Al Salheya. Attraversando uno stretto via-
letto, don Hanachi conduce l’autobus al cortile per
il gioco ubicato dietro l’edificio. Il cortile e il pian-
terreno della casa sono gremiti di bambini e ragazzi.
Sul palco dell’Aula Don Bosco, due ali d’angelo di
cartone sono montate su pali. Manar Hanoun è il
primo a salire sul palco e a collocarsi tra le ali, che
ora sembra siano cresciute sulla sua schiena. I bam-
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2.8 Page 18

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IN PRIMA LINEA
e in altri Paesi», spiega Hanoun. Anche lei sta anche
pensando di lasciare il Paese.
Con padre
Dany Kerio si
può esprimere
felicità anche
danzando.
aveva voglia di fare nulla. «I giorni passavano, tut-
to diventava insignificante». A Sednaya, i Salesia-
ni gestiscono un luogo di incontro per i giovani. Là
Hanoun incontrò don Hanachi. «Quell’incontro ha
cambiato la mia vita», dice oggi la giovane. Il sacer-
dote ha saputo suscitare in lei l’interesse per le idee di
don Bosco e Hanoun ha iniziato a impegnarsi come
animatrice. «Questo incarico mi ha aiutata ad acqui-
sire una visione positiva». Oggi a Maarat Sednaya le
case sono in maggioranza vuote. «La maggior parte
della popolazione è emigrata in Australia, in Canada
La guerra ha distrutto i sogni
«Molti giovani hanno perso ogni speranza», dice il
salesiano Dany Kerio, che ha organizzato un ballo
nel cortile. Al suono della musica agitava le braccia
come se fossero state ali, saltava avanti e indietro e
i ragazzi lo seguivano. Il salesiano dice che sebbe-
ne i giovani qui siano allegri e ridano, non si deve
dimenticare che quasi tutti hanno subito tragiche
perdite. I nove anni di guerra hanno rubato tanti
sogni professionali e familiari.
Il futuro non sembra roseo nemmeno per la Siria.
Secondo la Società tedesca per la cooperazione in-
ternazionale (Gesellschaft für Internationale Zu-
sammenarbeit, giz), le risorse economiche della Si-
ria sono ora pari solo a un ottavo rispetto al livello
prebellico. Le sanzioni imposte dagli Stati dell’U-
nione Europea e dagli Stati Uniti continuano a
contribuire al protrarsi dell’emergenza economica.
Il governo di Assad si sente obbligato a impegnare
parte delle proprie risorse per i suoi alleati. La Rus-
sia, ad esempio, si è assicurata una partecipazione
agli utili dei giacimenti di petrolio e gas e dell’e-
strazione di fosfati. La crisi sta riducendo il valo-
re della sterlina siriana. Il reddito mensile medio
è pari a circa 50 dollari e l’affitto di un’abitazione
costa il doppio. Chi può svolge un secondo lavoro.
Il salesiano Kerio si impegna però a fare il possibile
affinché i giovani rimangano in Siria. Per creare pro-
spettive concrete, i salesiani concedono microprestiti.
A sei giovani è stato offerto un aiuto economico fino a
un massimo di 3000 dollari statunitensi, che ha per-
messo loro di avviare un’attività in proprio. Il progetto
proseguirà nel 2020 e sarà esteso alla città di Aleppo.
micropre  sI tsitailepseirancriecaornecperdoosnpoettive
per i giovani. Sei giovani hanno già
ricevuto un aiuto.
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2.9 Page 19

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DON BOSCO A DAMASCO
Attualmente nella sede dei Salesiani di Don Bosco
di Damasco, fondata nel 1992, vivono tre sacerdoti
e un coadiutore. Circa 1200 giovani frequentano
il centro ogni settimana. I più giovani sono in età
scolare, i più grandi frequentano le scuole superiori
o hanno già completato il loro corso di studi. Circa
60 adolescenti e giovani adulti aiutano i salesiani
impegnandosi come educatori e animatori.
Noleggiare invece di acquistare
Le difficoltà economiche obbligano le persone a
cercare alternative. Rita Zukhen ha potuto realiz-
zare la sua idea grazie a un microcredito dei sale-
siani: offre abiti a noleggio. «Molti non possono più
permettersi il lusso di acquistare un costoso abito
da sera da indossare in una sola occasione», affer-
ma. La venticinquenne presenta la sua collezione di
abiti da sera e gli accessori coordinati in una vetri-
na. Noleggiare un abito costa tra i 12 e i 25 dollari.
Acquistare un abito da sera nuovo costerebbe 100
dollari o anche di più. I suoi guadagni non sono
ancora sufficienti a permetterle di vivere del pro-
prio lavoro e per questo Rita vive ancora con i suoi
genitori, ma è fiduciosa. Per incrementare la sua at-
tività durante l’inverno, quando tradizionalmente
si celebrano pochi matrimoni, Rita vuole ampliare
la gamma delle sue offerte, proporre più accessori e
anche jeans e magliette.
questa zona, non lontano da Jeramana, un sobborgo
cristiano da cui proviene la maggior parte dei ragazzi
che frequentano il centro di Damasco. Il centro è
ormai diventato troppo piccolo, per il gran numero
di giovani che vi si recano. Oltre a uno spazio per
il gioco e alla chiesa, il nuovo centro offrirà ai gio-
vani un percorso di formazione professionale. «Dai
corsi per idraulici a quelli per sarti e per progettisti
di siti web, saranno offerte molte opportunità di for-
mazione», ha detto il sacerdote. Il sole pomeridiano
conferisce all’erba una tonalità verde intensa. Don
Hanachi guarda con fiducia il terreno appena acqui-
stato: «Il centro di formazione permetterà ai giovani
di ricostruire la Siria dopo nove anni di guerra».
Sotto: Rita
Zukhen ha
fondato la
sua attività
grazie al
microcredito
dei Salesiani.
In basso: Il
terreno su cui
dovrà sorgere
il nuovo centro
salesiano.
Il centro Don Bosco si espande
L’autobus Don Bosco solleva molta polvere, mentre
attraversa un insediamento abbandonato ai margini
di Ghouta, una cintura verde di oasi che circonda
la capitale e dove prima della guerra si coltivavano
frutta, verdura e riso. Le case in rovina testimoniano
degli scontri che sono stati combattuti qui fino al
2018. Le persone che vivevano qui sono fuggite, in
altre zone della Siria, in Libano, in Europa. I lavori
di ricostruzione sono solo sporadici, se non del tut-
to assenti. I campi si estendono dietro le rovine. I
salesiani hanno acquistato un terreno edificabile in
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2.10 Page 20

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LA CASA DI MARIA AUSILIATRICE
Natale Maffioli
Il pulpito della Basilica
Come tanti altri arredi presenti nel Santuario, è in gran parte
opera dei ragazzi dell’Oratorio. E don Bosco ne andava
giustamente fiero.
Sono davvero pochi gli elementi che ancora
sussistono nella basilica di Maria Ausilia-
trice e che risalgono all’epoca di don Bosco:
la grande pala dell’altare maggiore, opera di
Tommaso Lorenzone, la pala dell’altare di S. Giu-
seppe, pure essa un lavoro del Lorenzone e la men-
sa dello stesso altare, alcuni affreschi nella cappella
di San Domenico Savio e nella cappella di Santa
Maria Domenica Mazzarello entrambi opera di
Giuseppe Rollini e nulla più.
Trasformazioni successive hanno alterato di molto
il ‘volto’ della chiesa come era stata voluta da don
Bosco.
Ma questo non è stato un male anzi. I successori di
don Bosco hanno migliorato la struttura e l’arredo
spinti non dal desiderio di alterare ciò che avevano
ricevuto ma di modificare per uno scopo: fare del
santuario un monumento non solo all’Ausiliatrice
ma allo stesso don Bosco.
Esiste però nella basilica un’altra opera, risalente
alla fondazione e attualmente non più in uso ma
molto importante quando la chiesa fu edificata: il
pulpito.
Così lo descrive lo stesso don Bosco in una sua ope-
ra, una sorta di guida al santuario: “Il pulpito è as-
sai maestoso; il disegno è parimenti del cav. Anto-
nio Spezia; la scultura con tutti gli altri lavori sono
opera dei giovanetti dell’Oratorio di san Francesco
di Sales. La materia è di noce lavorata e le tavole
sono ben connesse. La posizione del medesimo è
tale, che da qualunque angolo della chiesa si può
vedere il predicatore”.
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OTTOBRE 2021

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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E poi aggiunge una nota che dimostra quanto il
nostro fosse grato a coloro che lo aiutarono nella
fondazione della chiesa: “Questo è dono di una pa-
trizia Torinese”.
Si diceva altrove che don Bosco non aveva soldi da
spendere per gli interventi suntuari nella sua chie-
sa, ecco allora che si avvaleva del lavoro dei ragazzi
dell’oratorio; già dal 1856 era in funzione un la-
boratorio di falegnameria, i ragazzi imparavano il
mestiere, sotto la guida di un salesiano, e produ-
cevano, come nel nostro caso, oggetti di uso per la
casa e doveva essere un laboratorio funzionante al
meglio se lo stesso don Bosco tesse le lodi alle opere
di scultura presenti sul pulpito.
La struttura del pulpito è quella tradizionale, an-
corato ad uno dei pilastri della cupola con una
piattaforma destinata ad ospitare il predicatore,
contornata da un parapetto decorato con l’agnello
apocalittico dorato e affiancato da lesene arricchi-
te con ghirlande verticali pure queste dorate. Lo
schienale è formato dalla portina di accesso ed è
decorato con fogliame di olivo e da un ostensorio.
Il paracielo è arricchito da una frangia con elementi
a forma di pigna dorati e, al vertice, da ghirlande
floreali, da stelle e dal monogramma di Maria, il
tutto sapientemente dorato. Il mobile, benché non
sia più in uso, è bello a vedersi, don Bosco lodando
il manufatto lo definiva di “noce lavorata e le tavole
sono ben connesse”. Le venature del legno di noce
sono messe giustamente in evidenza da una lucida-
tura a stoppino.
La base, elegantissima, è fatta da un supporto orna-
to con foglie di acanto dorate e con una forte bac-
cellatura al di sopra della quale compare la scritta
a caratteri capitali dorati: “Maria Ausiliatrice per
Grazia”.
L’elegante pulpito della Basilica di Maria
Ausiliatrice è uno dei pochi elementi
risalenti a don Bosco ed è stato realizzato
dai suoi ragazzi artigiani.
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NOI
CE LA
FAREMO!

3.3 Page 23

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Shutterstock.com

3.4 Page 24

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FMA
Tim BEX (da DON BOSCO magazine)
Koko Lucie
Nella Repubblica Democratica
del Congo una suora salesiana
belga ha insegnato a leggere
e scrivere a migliaia di persone.
Una piccola casa su un terreno
vuoto è diventata una scuola
per 3000 bambini.
CHI È LUCIE GEYS?
Nata a Hechtel-Eksel (Limburgo, Belgio) il 3 agosto
1937 divenne una suora di don Bosco e si trasferì
nella Repubblica Democratica del Congo nel
1966. Ha lavorato per oltre 20 anni nella
zona di Lubumbashi e dintorni. Si è tra-
sferita a Kinshasa il 31 gennaio 1988,
dove ha combattuto l’analfabetismo tra
i bambini di strada per più di 30 anni.
Ètornata in Belgio da un
anno per riposarsi un po’.
Prima Suor Lucie Geys è
stata missionaria per non
meno di 54 anni nella Repub-
blica Democratica del Con-
go. Koko Lucie è come la
chiamano lì. “Koko” signi-
fica madre. Usano questo
termine quando hanno
un grande rispetto per
qualcuno. Non sor-
prende, perché per ol-
tre mezzo secolo Suor
Lucie ha donato nuova speranza ai giovani svan-
taggiati.
Ciò che è iniziato come una scuoletta sotto un al-
bero è cresciuto fino a diventare una scuola in cui
più di 3000 alunni stanno seguendo un’istruzione
di ottimo livello.
Appesa all’attaccapanni
«Non riesco a stare ferma, voglio avere un’occupa-
zione». Queste sono più o meno le prime parole che
mi dice l’83enne suor Lucie. Questa è stata la ca-
ratteristica di tutta la sua vita.
“Sono nata e cresciuta a Hechtel-Eksel. Prima sono
andata a scuola a Eksel, poi a Overpelt. Ma non
potevano tenermi da nessuna parte. Non mi piace-
va imparare e disturbavo troppo gli altri. All’asilo,
una suora mi ha addirittura appesa all’attaccapanni
perché non riusciva a gestirmi. Ero un terremoto e
lo sono ancora. Stare ferma? Non fa per me».
Quando Lucie fu mandata all’internato salesiano di
Groot-Bijgaarden, le si spalancò un nuovo mondo.
«Un giorno mi è stato chiesto se non volevo diven-
tare suora» racconta. «Qualcosa di cui ho riso all’i-
nizio. Io? Suora? Assolutamente no. Ma alla fine
ho iniziato a pensarci, ed ecco qui... Quando ero
suora di Don Bosco da pochi anni, siamo andate in
ritiro a Groot-Bijgaarden.
La superiora dell’Ispettoria ha detto che stavano
cercando una suora missionaria per il Congo. Alla
fine del ritiro non avevano ancora trovato un candi-
dato. Così mi sono offerta. Mi sono stati dati quat-
tordici giorni per prepararmi”.
Inseguita dai ladri
Il 21 settembre 1966, Suor Lucie partì per Kafu-
bu, una regione a sud-est di Lubumbashi. «Dovevo
assistere gli alunni nei loro studi e aiutare con le
lezioni di cucito, ma presto ho capito che questo
non era il posto giusto per me. Dopo cinque anni
a Kafubu, sono andata a Mokambo. Lì ho iniziato
un laboratorio di cucito per ragazze. Ma anche lì
non era facile, perché il problema più grosso erano
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OTTOBRE 2021

3.5 Page 25

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i furti. Ricordo ancora il furto delle nostre nuove
macchine da cucire. Fingemmo di pagare il riscat-
to: confezionammo un pacco con soldi falsi e in alto
mettemmo un po’ di banconote autentiche. Quan-
do i ladri si sono resi conto di quello che gli era
successo, abbiamo dovuto scappare. Ma abbiamo
riavuto le nostre macchine da cucire».
Nel 1988, Suor Lucie iniziò una nuova avventura.
Fu come un segno dall’alto, perché era il 31 gen-
naio (festa di don Bosco). Si traferì a Kinshasa e
iniziò qualcosa di incredibile nel quartiere ‘Sanga
Mamba’. «Quando siamo arrivate, non c’era niente»
racconta Suor Lucie. «Un pezzo di terra di circa
quattro ettari. Completamente vuoto. Siamo stati
in una piccola casa senza acqua né elettricità ed era-
vamo completamente da sole. Ma passo dopo passo
abbiamo iniziato a cercare sostegno e abbiamo rea-
lizzato i primi progetti».
Quella che era iniziata come una piccola casa con
tre stanze è cresciuta lentamente fino a diventare
una scuola con laboratorio di cucito, panetteria,
scuola per acconciatrici e diverse aule.
«Piccola donna, grande signora»
Un’organizzazione di volontari ha sempre sostenu-
to il lavoro di Suor Lucie. L’ammirazione per lei è
enorme. «Quando è arrivata a Kinshasa, le è stato
dato un pezzo di terra desolata e hanno vissuto per
due anni senza acqua ed elettricità» dice Lieve Gie-
len. «Grazie a lei, grazie al suo lavoro, ora c’è una
scuola dove vengono educati più di 3000 bambini.
Il missionario che ha visitato il suo lavoro ha detto
anni fa che Lucie è «una piccola donna, ma una
grande signora» e non posso che essere d’accordo.
La sua motivazione e la sua perseveranza sono ine-
sauribili e, grazie alle sue iniziative, molti giovani
hanno avuto l’opportunità di una vita realizzata.
«Sono una mendicante» afferma Suor Lucie. «È solo
presentando progetti, inviando lettere e chiedendo
supporto ovunque siamo stati in grado di realizzare
tutto questo. Ma l’obiettivo è sempre rimasto lo
stesso: combattere l’analfabetismo. Penso di aver
La cosa più bella è vedere come
i giovani imparano a reggersi sui loro
piedi da soli
insegnato a leggere e scrivere a migliaia di persone;
ragazze, ragazzi, vecchi, ... Il denaro non aveva im-
portanza per me. Chiunque avesse voluto impara-
re era il benvenuto, anche se alcuni non potevano
permettersi la quota di iscrizione. Penso che questa
sia la cosa più bella dei miei 54 anni in Congo: vede-
re come i giovani entrano senza prospettive e se ne
vanno con le proprie gambe. Alcuni vanno a studia-
re all’università o al college, altri trovano un lavoro e
sono in grado di vivere in modo indipendente».
Il momento più triste è stato il ritorno “forzato” in
Belgio nell’aprile 2020. Con un sospiro profondo
dice: «La mia salute non mi ha permesso di restare
più a lungo». Continua con voce tremante: «Alle 10
di sera, mi hanno detto che dovevo essere sull’aereo
alle 10 del mattino del giorno dopo.
Solo con una valigetta. Ho dovuto lasciare là quasi
tutte le mie cose. Le suore hanno detto che un mis-
sionario mi porterà il resto un giorno. Ma perché?
Per accumulare qui? Penso che possano fare un uso
migliore del mio le mie cose laggiù. E i ricordi?
Sono nella mia testa e nel mio cuore».
Si è ritirata in Belgio, ma non molla il Congo. «Io
attualmente sto ancora lavorando su un progetto
finale. Voglio ancora portarlo a termine» confessa
caparbiamente.
Come ben sapete, Suor Lucie non riesce a stare
ferma.
Hanno detto
che Lucie è
«una piccola
donna, ma
una grande
signora».
La sua
motivazione
e la sua
perseveranza
sono
inesauribili
e, grazie alle
sue iniziative,
molti giovani
hanno avuto
l‘opportunità
di una vita
realizzata.
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3.6 Page 26

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L’INVITATO
Monica Cibrario e Flor Greco di Missioni Don Bosco
«Tutto quello che abbiamo
è la speranza»
Monsignor José Ángel Divasson
Cilveti, salesiano che è stato per
quasi vent’anni Vicario apostolico
nella città amazzonica di Puerto
Ayacucho e ora risiede nella
capitale, conferma purtroppo la
condizione di estrema debolezza
della popolazione di fronte alla
condizione sociale e politica.
Il Rettor
Maggiore
con
monsignor
Divasson.
Si può presentare?
Una vita semplice, la mia. Sono nato in Spagna,
sono venuto come missionario in Venezuela a sedici
anni, appena finito il noviziato, e tutta la mia vita è
stata qua in Venezuela, eccetto gli anni di teologia
fatti a Torino, al teologato della Crocetta, e poi per
qualche viaggio a Roma.
Ho lavorato molto nella pastorale giovanile, ho in-
segnato nelle scuole, ma poi sono stato nominato
superiore della provincia per 6 anni, finiti i quali, mi
hanno fatto vescovo di Puerto Ayacucho, vicariato
apostolico affidato ai salesiani nel 1933. Sono an-
dato là nel 1996 e ci sono stato per 20 anni. Adesso
sono vescovo emerito e vivo in una casa salesiana.
Come vede la situazione
del Venezuela?
Ci sono difficoltà dappertutto. I problemi sono im-
pensabili, la gente soffre. C’è fame, c’è molta fame.
C’è la mancanza assoluta di medicine: ci sono, ma
assolutamente non a portata della maggior parte
delle persone. I salari sono troppo bassi. La mia
pensione non arriva a un dollaro al mese. In comu-
nità ci aggiustiamo. La gente povera no. La situa-
zione è umiliante.
Oggi stesso parlavo con una persona dell’Amazzo-
nia, di Puerto Ayacucho, che era stata la direttrice
di tutta l’educazione dello Stato, una donna, molto
preparata, molto valida diceva: “Non posso com-
perare le medicine, devo fare un esame medico e
non so come pagarlo”. Perciò una persona che ha 72
anni che continua a lavorare perché è stata sempre
molto generosa, non ha niente da poter vivere. La
sofferenza è grave.
Come reagisce la gente?
Il Venezuela negli ultimi cinque anni ha perso oltre
cinque milioni di abitanti a causa dell’emigrazione,
persino più della Siria sconvolta dalla guerra civile.
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OTTOBRE 2021

3.7 Page 27

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Oltre alla perdita di un gran numero di abitanti, si
è potuto assistere ad una rivoluzione demografica
in cui ora predominano donne, anziani e bambini,
situazione tipica delle zone ad alta emigrazione, in
cui le persone in età lavorativa, soprattutto di sesso
maschile, sono costrette ad andare a lavorare all’e-
stero per mantenere i famigliari rimasti in patria.
Pensare di avere una casa propria è roba da matti,
e poi le cose che qui risultavano semplici, come la
benzina, sono scomparse. A Puerto Ayacucho, ogni
litro costa 2 dollari: impossibile, perché la gente
non li ha.
Ci sono anche cause internazionali?
Il 12 febbraio, la relatrice Speciale delle Nazioni
Unite sulle misure coercitive unilaterali e sui diritti
umani, Alena Douhan, ha esortato gli Stati Uniti,
l’Unione Europea e altri Stati a ritirare le sanzioni
unilaterali imposte contro il Venezuela. Douhan,
nelle sue conclusioni preliminari, dichiara che “le
sanzioni hanno esacerbato le calamità preesistenti,
provocando una crisi economica, umanitaria e di
sviluppo, con un effetto devastante sull’intera
popolazione del Venezuela, in particolare ma
non solo sulle persone che vivono in condizioni
di estrema povertà: donne, bambini, operatori
sanitari, persone con disabilità o malattie croniche
e popolazioni indigene”.
Una concele­
bra­zione
di salesiani
venezuelani.
Sotto: Si
riparte dai
più piccoli
e dalla loro
felicità,
nonostante
tutto.
OTTOBRE 2021
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3.8 Page 28

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L’INVITATO
«La gente
ha scoperto
la capacità
di donarsi
cose da
condividere, di
aiutare. Così
come ci sono
delle persone
che se ne
approfittano
per avere di
più, allo stesso
tempo ci sono
persone con
una grande
capacità di
condivisione.
Di solidarietà».
La politica non si muove?
La realtà è taciuta o distorta dall’informazione
pubblica, sotto il controllo del potere nazionale
che “non vuole che si dicano certe cose, né all’in-
terno né al di fuori del Paese, e cerca di presentare
un’immagine tutto rosa e fiori” ci spiega il nostro
interlocutore. È difficile il tentativo di far emer-
gere la protesta e la proposta. “Tutti dicono di cer-
care il dialogo, e teoricamente siamo tutti d’accor-
do. Ma questa strada non si può più praticare”. Il
governo ha vanificato anche l’opera di mediazione
della Santa Sede, che tre anni fa propose preci-
si impegni di ciascuna parte politica quale con-
dizione per proseguire nel dialogo. “Il segretario
di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, ha
riconosciuto che mentre i rappresentanti dell’op-
posizione hanno rispettato gli impegni presi, gli
esponenti del governo non hanno mantenuto la
parola. No, non c’è volontà di un cambio di passo:
ma se non c’è questa volontà politica, che cosa può
fare il dialogo? La Conferenza episcopale vene-
zuelana l’ha denunciato in tutti i toni parecchie
volte, non solo negli ultimi quattro o cinque anni
ma già da prima, perché era evidente che quanto
stava facendo il potere a Caracas non era morale,
era fuori dalla grazia di Dio”.
C’è almeno qualche segno di futuro?
C’è un atteggiamento interessante delle persone.
C’è la fede: questo cambierà tutto. C’è la capaci-
tà di dare. La gente ha scoperto la capacità di do-
narsi cose da condividere, di aiutare. Così come ci
sono delle persone che se ne approfittano per avere
di più, allo stesso tempo ci sono persone con una
grande capacità di condivisione, di solidarietà. Si
vede e si scopre un atteggiamento stimolante, che
invita alla speranza. Non si è persa la speranza.
Non si è persa.
Dobbiamo fare in modo che questo desiderio non
sia un’illusione: fare i cambiamenti che si possono
fare, ma non perdere mai la speranza.
Abbiamo ricevuto molta solidarietà, anche dal di
fuori. Ci sono molte persone dappertutto che so-
lidarizzano, che vogliono aiutare, anche se ci sono
molti ostacoli.
Ma non vi siete scoraggiati...?
Tutta questa situazione non ci ha tolto l’allegria,
si procura di far del bene, si accompagna molto, si
ascoltano le persone, c’è un gran bisogno di parlare,
di dire, di cercare qualcuno che ti ascolti, che con-
divida le situazioni che abbiamo. La Chiesa ha fat-
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OTTOBRE 2021

3.9 Page 29

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In mezzo alle difficoltà, come farebbe don Bosco,
i salesiani continuano ad aiutare e a infondere spe-
ranza nella popolazione.
to un lavoro in questo senso senza perdere la visione
che questo deve cambiare, questo è ingiusto, questo
è assolutamente illecito, sono usurpazioni. Hanno
preso, sono entrati legalmente e poi c’è stata tutta
un’utilizzazione della legalità che va cambiando, si
toglie tutto il fondamento legale. Restano soltanto
le parole, la realtà è quella che è.
E i salesiani?
Di fronte a questa situazione, i salesiani denuncia-
no l’oppressione subita dalla popolazione e conti-
nuano a stare al fianco dei più bisognosi. L’aiuto
principale consiste nella distribuzione di cibo, ac-
qua e prodotti per l’igiene. Lo fanno soprattutto
tra i bambini che ogni giorno partecipano a uno dei
sette programmi che la “Red de Casas Don Bosco”
ha in tutto il Paese. Ma aiutano anche i migranti
di ritorno, organizzano “pentole della solidarietà”
nelle parrocchie e accompagnano le comunità indi-
gene in Amazzonia.
L’Associazione Civile “Red de Casas Don Bosco”
offre ogni giorno, nei suoi sette centri, più di 700
colazioni e pasti ai bambini in situazioni di vulne-
rabilità, oltre a kit igienici. “Se non fosse per questo
sostegno non avrebbero niente da mangiare, e ab-
biamo sempre più casi di malnutrizione”, dice Leo-
nardo Rodriguez, Direttore di queste opere sociali
salesiane.
Ma l’incertezza di questo mese influisce anche sul
ritorno a scuola. In molti luoghi non ci sono inse-
gnanti perché non sono stati pagati e nella maggior
parte delle scuole è impossibile attuare le misure
igieniche a causa delle carenze strutturali.
Sentite l’appoggio dei superiori
di Roma?
Durante l’incontro con i Direttori delle opere sa-
lesiane in Venezuela, il Rettor Maggiore ha aperto
il suo cuore: “Fratelli, questi giorni sono stati molto
speciali; porto con me molta vita salesiana. Continuo
a vedere come Dio agisca attraverso di voi a favore
di molti giovani. E me ne vado commosso perché
vedo i miei confratelli salesiani sereni, integri, pur in
mezzo a questa situazione molto difficile che state
vivendo nel vostro Paese. Questa testimonianza la
state dando perché si veda che lavoriamo con Dio”.
D’altra parte, durante il tempo del dialogo con i
suoi confratelli, don Ángel Fernández Artime ha
evidenziato alcuni elementi che sono alla base del
lavoro salesiano in un contesto così difficile come
quello attuale in Venezuela. “Stiamo vivendo un
momento profetico per il nostro carisma”.
Infine, il X Successore di don Bosco ha detto di
tornare a Roma felice, perché ha incontrato “sale-
siani integri”, “giovani sognatori e coraggiosi”, “lai-
ci appassionati del carisma salesiano”.
«Abbiamo
ricevuto
molta
solidarietà,
anche da
fuori. Ci
sono molte
persone
dappertutto
che solidariz­
za­no, che
vogliono
aiutare,
anche se ci
sono molti
ostacoli».
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3.10 Page 30

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LA FAMIGLIA SALESIANA
Sarah Laporta
AG&luleeajadvnamdraaro
Alejandro Guevara Rodriguez
è l’animatore spirituale
mondiale dell’Associazione
di Maria Ausiliatrice (adma)
dal settembre 2020.
“La Famiglia Salesiana è una
famiglia mariana e non può
essere compresa senza la
presenza di Maria”.
Come è nata la tua vocazione?
Sono nato a Badajoz, una città della Spagna occi-
dentale al confine con il Portogallo, vicino a Lisbo-
na. Quando avevo 6 anni, i miei genitori decisero di
iscrivermi alla scuola salesiana di quella città. Lì ho
fatto la mia prima comunione e qualche anno dopo
ho ricevuto la cresima. Ho studiato in questa casa
salesiana fino a 17 anni. Da adolescente ho parteci-
pato ai gruppi di fede che la pastorale giovanile del-
la casa offriva e dopo alcuni anni sono stato invitato
ad essere l’animatore di un gruppo di ragazzi di 6°
elementare (12 anni). Nella casa salesiana i gruppi
si svolgevano il venerdì pomeriggio e per me quel
tempo era speciale. Appena finito il pranzo correvo
a scuola e arrivavo con largo anticipo per poter gio-
care e stare con i ragazzi prima che iniziasse la no-
stra riunione. Ricordo che era il momento più felice
della settimana, il venerdì pomeriggio, mi piaceva e
mi divertivo molto. Si cominciava con i giochi, poi
l’incontro, una riunione con gli animatori e dopo
una passeggiata insieme.
A poco a poco il venerdì pomeriggio divenne una
potente attrazione e ho iniziato a interrogarmi. Ho
pensato... se tutti vogliamo essere felici, e io sono
molto felice il venerdì pomeriggio con i ragazzi,
perché non rendere la mia vita un venerdì perma-
nente? È così che l’inquietudine vocazionale ha
cominciato a sorgere in me, attratta dai ragazzi il
venerdì pomeriggio.
A livello accademico ho anche ricevuto alcuni in-
coraggiamenti che hanno riacceso il mio desiderio
di appassionarmi alla causa dei giovani. È stato
l’insegnante di letteratura che ci ha invitato a vive-
re la vita con passione. E per me, a quel tempo, la
passione dominante era quella dei ragazzi il venerdì
pomeriggio.
30
OTTOBRE 2021

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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La presenza dei salesiani sempre nel cortile, in
mezzo ai giovani, con un volto allegro, disponibile
e che ci invitava a crescere e a servire sempre di
più, fu la molla che fece scattare il mio desiderio di
diventare salesiano.
In breve, potremmo dire che i giovani mi hanno at-
tratto, la passione ha aggiunto la mia convinzione,
e infine la testimonianza salesiana ha prodotto in
me l’inizio della vocazione salesiana.
Quali sono i momenti che ricordi
con più piacere?
Ricordo con grande piacere le esperienze pastora-
li che ho fatto con i bambini più difficili e biso-
gnosi. Quando ero un post-novizio a Granada fui
mandato nel quartiere di Haza-Grande nella parte
alta dell’Albaicín; un quartiere povero, marginale,
socialmente escluso e con molta tossicodipenden-
za. In quelle circostanze, la cosa più preziosa era la
presenza e l’assistenza salesiana. Stare in mezzo ai
bambini, giocare con loro, condividere la loro vita,
era il modo più appropriato per portare loro una
semplice esperienza di rispetto, amore e fiducia.
Qualche anno dopo, mentre studiavo teologia,
sono stato inviato nel quartiere di Las 3000 a Si-
viglia, dove la presenza salesiana svolge un lavoro
prezioso in un contesto di mancanza di risorse e
molte necessità.
Sono stati anni in cui ho capito che il protagonista
principale dell’opera di evangelizzazione è il Signo-
re e i suoi progetti, e non i nostri, come spesso ci
crediamo.
Infine, nei miei primi anni da sacerdote, ricordo
con grande piacere due campi di attività molto bel-
li e complementari: gli anni passati in formazione,
accompagnando i giovani nelle diverse tappe del
loro discernimento e sviluppo vocazionale: preno-
vizi, novizi, postnovizi. Sono stati anni di grazia
per me, di sviluppo di una paternità spirituale come
servizio salesiano a questi fratelli. E in secondo
luogo, il lavoro sviluppato con i diversi gruppi della
Famiglia Salesiana negli ultimi anni. Ha significa-
to per me una scoperta delle possibilità di crescita
carismatica della nostra Congregazione. Ognuna di
queste esperienze mi ha arricchito e mi ha aiutato
a conoscere e ad amare di più il carisma salesiano,
ricevuto come dono e vissuto come grazia.
Come vedi il futuro della
congregazione nel mondo?
La Congregazione è un organismo vivo che cresce,
cambia, migliora e si sviluppa, forse il volto della
Congregazione è in piena evoluzione e questo non
deve spaventarci, ma aiutarci a cementare più pro-
fondamente la nostra identità carismatica e a vivere
più fedelmente il dono della vocazione che abbia-
mo ricevuto. Credo che finché Dio rimane il centro
della nostra vita, i giovani continuano a dare senso
al nostro generoso servizio e la nostra Madre Au-
siliatrice continua a proteggerci con il suo manto,
non abbiamo niente e nessuno da temere, perché
la nostra fiducia e la nostra carità sono ben indi-
rizzate. Credo che la versione migliore della Con-
gregazione debba ancora venire, non sarà basata sul
numero di consacrati, né sui numeri, ma sull’amore
e sulla nostra capacità di essere segni e portatori
dell’amore di Dio ai giovani e alle classi lavoratrici.
Il futuro della Congregazione si trova nelle mani
Utrera,
Spagna.
L’Associazione
di Maria
Ausiliatrice
(Adma) ha
compiuto i
125 anni di
vita, ed è la
più antica in
Spagna e la
17ª al mondo.
OTTOBRE 2021
31

4.2 Page 32

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LA FAMIGLIA SALESIANA
di Dio e non potrebbe essere in mani migliori. E lo
vedo con speranza.
Lahore,
Pakistan. Don
Gabriel Cruz,
Delegato
Ispettoriale
del Pakistan,
ha benedetto
i primi due
membri
dell’Asso­
cia­zio­ne
di Maria
Ausiliatrice
(Adma).
A settembre 2020 sei stato eletto
Animatore Spirituale Mondiale
dell’adma, come lo vivi?
Sto vivendo questo servizio con entusiasmo. Allo
stesso tempo, con responsabilità. Ogni giorno cer-
co di prepararmi, di formarmi, di approfondire, di
leggere di più su tutto ciò che ha a che fare con
Maria, con don Bosco, con l’adma, perché dob-
biamo offrire un servizio di qualità a tutti i fratelli,
associazioni e devoti, e vicino alla nostra Madre.
Lo vivo con entusiasmo, perché è una nuova sfida
per un salesiano. Durante la mia vita salesiana, ho
vissuto a livello provinciale. Ora ho una responsabi-
lità a livello mondiale. Dicevo ad alcuni confratelli:
quello che nella mia Ispettoria (smx) era qualcosa
di molto grande, ora è qualcosa di molto piccolo
rispetto a questo servizio. Gratitudine, illusione e
responsabilità sono le tre parole che definiscono
questa prima parte del mio servizio.
Da dove hai incominciato?
Mi sono dedicato principalmente a conoscere la
realtà dell’adma nel mondo. A partire dalla co-
noscenza degli animatori spirituali provinciali.
Questo è il gruppo con cui sto lavorando più di-
rettamente. Durante questi mesi iniziali, ho avuto
una prima riunione per Regioni, con gli animatori
spirituali provinciali, e un’altra riunione individua-
le, con i 96 che fanno parte del mondo intero, uno
per uno. Qual è la loro situazione, i loro bisogni,
le sfide che devono affrontare, ma, soprattutto, ho
voluto mettermi a disposizione delle Associazioni
Locali. Mi sono organizzato per una comunicazio-
ne mensile con tutti loro via mail. Pian piano ci
conosciamo e iniziamo a lavorare come squadra.
Tutti questi mesi di pandemia servono a gettare le
basi di alcuni nuovi progetti che vedranno la luce
nei prossimi mesi. Alcuni corsi su Maria Ausiliatri-
ce, concretamente sulla Basilica di Valdocco, qual-
che pagina web che sarà pubblicata in qualche data
mariana quest’anno o all’inizio del prossimo, a li-
vello mondiale. E ci sono progetti che si preparano
perché a poco a poco, nei prossimi mesi, vedranno
la luce. Stiamo facendo un progetto, un piano stra-
tegico per i prossimi 4 anni per l’adma del mondo.
Nel 2019, l’adma Primaria di Torino ha
festeggiato i suoi 150 anni di vita. Che
cosa significa questo anniversario?
Quel primo gruppo a Valdocco, fondato da don
Bosco nel 1869, oggi è davvero una realtà diffusa
nei cinque continenti.
32
OTTOBRE 2021

4.3 Page 33

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Abbiamo una statistica in cui abbiamo contato
2383 associazioni adma in tutto il mondo. Con
un totale di più di 100 mila membri. 150 anni, un
gruppo, un’associazione. 150 anni dopo, una vera
crescita ed espansione.
I gruppi locali vengono ringiovaniti e rivitalizzati.
L’adma è un’associazione in crescita ed espansione.
Sta crescendo verso l’interno e sta crescendo verso
l’esterno. Cresce nella spiritualità, con due pilastri:
la devozione a Maria Ausiliatrice e anche a Gesù
nel Santissimo Sacramento. Cresce anche verso l’e-
sterno, perché cresce nella solidarietà e nel servizio.
La realtà dell’adma oggi è molto più ricca, bella e
grande di quando don Bosco la fondò. Per questo
motivo stiamo festeggiando. Il 150° anniversario è
stato motivo di festa, con pellegrinaggi, eventi, un
incontro per tutta l’Italia salesiana in ottobre.
L’adma è solo preghiera?
Anche durante la pandemia, l’adma non è rimasta
a guardare. È stata pronta a lavorare in due dire-
zioni, come il movimento del cuore, sistole e dia-
stole. In primo luogo, ha intensificato la preghiera
e i gruppi hanno sviluppato nuovi momenti crea-
tivi, o almeno nuovi modi di continuare a pregare
e di continuare a incontrarsi. C’è stato davvero,
come è successo in molti altri luoghi, un boom tec-
nologico, momenti di preghiera, celebrazioni ra-
diofoniche, momenti di adorazione, gruppi che si
riuniscono per recitare il rosario; le chiese, le par-
rocchie, dove è presente l’Associazione di Maria
Ausiliatrice, sono state invitate a portare in tutti i
luoghi e a tutte le persone un momento di pace, di
incontro con il Signore.
In seguito, l’adma è uscita per rispondere ai bi-
sogni di tante persone. Ci sono state innumerevoli
iniziative di solidarietà, raccolte di cibo per le fa-
miglie più bisognose, raccolte economiche per i più
poveri, aiuti di ogni tipo, come la confezione di
mascherine gratuite, servizi per gli anziani, trasfe-
rimenti gratuiti per le cure.
Un gran numero di iniziative di solidarietà, concre-
te, generose, che ci hanno ricordato tanto il viaggio
di Maria, dopo l’annuncio dell’angelo Gabriele, per
aiutare la sua parente Elisabetta. L’adma è stata la
Visitazione in questa pandemia e sta rispondendo
in tutto il mondo in modo integrale: da una parte
la spiritualità, ma dall’altra la solidarietà con i più
vicini e bisognosi.
Qual è l’importanza dell’adma oggi?
La Famiglia Salesiana è una famiglia mariana e
non può essere compresa senza la presenza di Ma-
ria. Don Bosco non può essere compreso senza
Maria, in tutta la sua storia in tante invocazioni,
specialmente, alla fine, con quella dell’Ausiliatrice.
Fu don Bosco a lasciarci in eredità la devozione
all’Ausiliatrice. Come figli e amici di don Bosco,
siamo invitati a propagare e diffondere la devozio-
ne all’Ausiliatrice. La spiritualità salesiana non si
capisce senza Maria. Maria ha accompagnato tutti
i momenti più importanti della vita di don Bosco e
della Famiglia Salesiana. È una sfida enorme po-
ter rispondere a questa devozione mariana oggi.
L’adma è la risposta più forte.
Per saperne di più: www.admadonbosco.org
Portachuelo,
Bolivia. Nella
parrocchia
dell’Immacolata
Concezione,
tre giovani
sono stati
ammessi
come membri
dell’ADMA
Giovani.
OTTOBRE 2021
33

4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
Grazie, nonni
Li stiamo riportando prepotentemente
alla ribalta. Li stiamo rivalutando.
La loro importanza è, oggi,
riconosciuta da tutti. I nonni sono
i “Custodi della vita” come
li ha chiamati papa Francesco.
Inonni sono come i telefonini e You Tube, cioè
una scoperta recente. Fino a mezzo secolo fa
erano pochi, insignificanti e duravano poco.
Oggi, le schiere dei nonni (e dei bisnonni)
si vanno ingrossando e la loro influenza sulla vita
familiare si fa sempre più incisiva. Assomigliano
sempre meno a elementi di contorno, significativi,
poetici talvolta, ma non essenziali.
Anche dal punto di vista economico, i nonni sono
diventati una rete di protezione per figli e nipoti.
I nonni sono utili, come baby-sitter, come contri-
buenti al bilancio familiare, come assistenti tutto-
fare, come proprietari e gestori della vecchia casa al
paesello, divenuta seconda casa per i figli cittadini.
È venuto il momento di considerare attentamente
i nonni anche dal punto di vista educativo. Una
nonna lo esprime così: «Mio figlio è diventato
padre, ora è lui l’albero con i rami forti, le foglie e
un frutto straordinario. Io mi sono potuta adagiare
e fare le radici nelle accoglienti pieghe della terra».
La famiglia è davvero come un albero: dal tronco si
dipartono i rami ad altezze diverse verso direzioni
diverse, pur restando in contatto con il fusto. Ma
sono le radici che, attraverso la linfa, congiungono
il passato al presente e il presente al futuro.
In una società, sempre più disorientata e nevrotica,
finalmente stanno riemergendo. Vengono risco-
perti perché preziosi e indispensabili. Lo psichia-
tra Vittorino Andreoli non ha dubbi: «Se oggi vi
sono ancora frammenti di saggezza in questo pazzo
mondo, bisogna ringraziare i nonni».
«Un popolo che non custodisce i nonni e non li
tratta bene non ha futuro! Perché non ha futuro?
Perché perde la memoria, e si strappa dalle proprie
radici.», ha scandito papa Francesco.
La verità sta venendo a galla.
Bene dell’umanità
Ci pare che i nonni debbano essere riconosciuti
come una risorsa, come un bene sociale: la loro ec-
cellenza va ufficializzata! Tutti sanno che l’Unesco,
cioè l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’E-
ducazione, la Scienza e la Cultura (istituito a Parigi
il 4 novembre 1946) di anno in anno, compila la
lista di ciò che ritiene un patrimonio per l’umanità.
A tutt’oggi i siti individuati sono 1121, in 177 Paesi
(Italia e Cina sono ai primi due posti), ma i nonni
non compaiono!
I nonni sono il più prezioso patrimonio dell’uma-
nità, perché salvano l’infanzia, quindi il futuro del
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OTTOBRE 2021

4.5 Page 35

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Mondo, e perché mostrano in diretta l’Uomo adul-
to, quindi l’oggi.
I bambini, oggi, non se la passano bene! È vero che
si può dire che mai come oggi i bambini siano stati
oggetto di tante attenzioni e cure. Intere industrie
alimentari vezzeggiano il loro cervello e il loro sto-
maco per convincerli a trangugiare ogni cosa. Stili-
sti famosi pensano a “firmarli” da capo a piedi, nel
modo più affascinante e allettante possibile.
La medicina si impegna a proteggere – giustamente
– la loro salute fin dalla vita intrauterina, ma forse
mai nella storia i bambini hanno trovato tante dif-
ficoltà ad essere e a vivere da bambini come oggi!
Oggi i piccoli sono spremuti
Questa è l’opinione di Paolo Crepet, noto psichia-
tra: «Se amassimo davvero i nostri figli, non li co-
stringeremmo a passare le giornate tra studio e pi-
scina, lezioni di nuoto e di violino, palestre e corsi
di computer, con il solo scopo di annichilirli».
Oggi i piccoli sono storditi. Storditi da messaggi
sproporzionati alle loro possibilità.
Oggi i bambini sono disincantati
Senza stupore, senza punti esclamativi. Tutto ap-
pare loro ovvio, scontato, poco attraente.
«Fin da bambini si sta smarrendo la capacità di fare
“Oh!”», notava lo scrittore Vittorio Giovanni Rossi
il quale concludeva: «Forse oggi si nasce vecchi!».
Oggi i bambini sono digitalizzati
Non sanno allacciarsi le scarpe, ma comandano al
computer, navigano su internet, smanettano sui te-
lefonini e sui tablet… Meraviglioso, certo, ma non
meno pericoloso! Così pericoloso che Neil Postman
è arrivato a dire che «Oggi in America vi è ben poca
differenza tra quelli che definiamo adulti e bambini».
I primi 7 anni
Nei primissimi anni dell’infanzia il bambino im-
para l’ottanta per cento di quanto gli servirà per
la vita. Lo psichiatra austriaco Bruno Bettelheim
è deciso: «Datemi i primi sette anni e tenetevi
tutto il resto!». Per la psicanalista svizzera Alice
Miller: «L’opinione pubblica è ancora ben lontana
dall’avere consapevolezza che tutto ciò che capita
I NONNI SONO
ESSERI SPECIALI
I nonni sono esseri speciali:
mi fan volare anche senza ali.
Con voce dolce sanno raccontare
e la mia mente inizia a immaginare.
Cacciano via la noia e la tristezza
se parlan della loro fanciullezza,
di come era diverso questo mondo
ch’era pur sempre grande e sempre tondo.
Mi donano fiducia e sicurezza,
regalano consigli di saggezza.
Sono felice se sto insieme a loro:
quel tempo speso vale più dell’oro.
Lo sanno tutto il bene che gli voglio?
Oggi lo grido a tutti con orgoglio:
scorrono ore, giorni, mesi e anni
e io sto sempre bene coi miei nonni!
Jolanda Restano
al bambino nei primi anni della vita si ripercuo-
te inevitabilmente nella società: psicosi, droghe e
criminalità sono l’espressione cifrata delle primissi-
me esperienze». Ebbene, gli anni delle radici sono,
oggi, sempre più nelle mani dei nonni. Tutte le ri-
cerche concordano nel dire che tre madri su quattro
ricorrono ai nonni per la cura dei figli.
Sono soprattutto i nonni che riempiono quella
che potremmo chiamare la valigetta invisibile che
ognuno di noi porta con sé, come inconscio psichico!
In quella valigetta vi sono tutte le esperienze dei primi
anni di vita passati con i genitori e oggi, sempre più,
con i nonni. In quella valigetta vi sono le loro cocco-
le, le carezze, i baci. Vi sono i rimproveri, le sorprese
della nonna, i giochi fatti con le foglie dell’autunno, i
primi calci al pallone, le bolle di sapone, le nevicate,
le candele accese nella chiesa grande e silenziosa…
Quella valigetta ha un potere enorme perché con-
tiene tutto il nostro mondo affettivo che ci dà (o
non ci dà) la fiducia di fondo in noi stessi e negli
altri esseri umani. Ci dà (o non ci dà) il gusto della
vita, ben più necessario del gusto del latte.
I lavoratori trasformano il mondo, i poeti lo canta-
no, i nonni impediscono che vada in frantumi!
OTTOBRE 2021
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4.6 Page 36

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LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
Una seconda possibilità...
nel segno della fedeltà a se stessi
È da qui che voglio ripartire, / dalle
scommesse, quelle fatte male; /
un’altra vita da poter giocare, / ho
ancora un altro gettone.
Èproprio vero che spesso siamo noi i giudici
più severi di noi stessi! Quando commet-
tiamo un errore o una mancanza, piccola
o grande che sia, quando non riusciamo
a superare un nostro limite, quando manchiamo
un obiettivo o incappiamo in un fallimento ina-
spettato ci lasciamo sopraffare dallo sconforto, ci
critichiamo con singolare durezza e ci sentiamo
incapaci e inadeguati. In una parola, facciamo fa-
tica a perdonarci, e questo ci porta a rimettere in
Sulle mani spine disegnate
venute fuori per non farmi male,
ad occhi chiusi so vedere meglio
quello che ho intorno.
Ho scelto io da dove cominciare,
non ho mai chiesto da che parte stare,
se sulla riva oppure in mare aperto:
l’orizzonte è lo stesso!
Sono istinto ed eccezione,
la mia gravità,
il sorriso di mia madre che mi salverà...
E mi ricordo un po’ di me,
e mi ricordo un po’ di me,
e mi ricordo un po’ di...
discussione tutte le nostre azioni e le nostre scelte
pregresse e – cosa ancor più distruttiva – finisce
inevitabilmente con il condizionare anche le no-
stre decisioni future.
Mai come in questi momenti ci ritroviamo, infatti,
a fare un bilancio del nostro percorso esistenziale e,
non di rado, nel tirare le somme delle scommesse
vinte e di quelle andate a vuoto siamo noi i primi
ad uscirne malconci, magari più maturi per le mag-
giori consapevolezze acquisite, ma anche un po’ più
disillusi e rassegnati perché appesantiti da un baga-
glio di sconfitte e insuccessi che si fa sempre più in-
gombrante. Ed è proprio qui, esattamente di fronte
a questi bivi che la vita ci pone davanti, che molti
giovani adulti gettano la spugna. Decidono che la
battaglia è persa e che non vale la pena continuare
a provare. Tirano i remi in barca e sprofondano in
una sorta di apatia in cui, di fatto, si negano ogni
possibilità di essere di nuovo felici.
Ma se, senza dubbio, non è affatto facile riuscire a
spezzare il circolo vizioso dello scoraggiamento e
dell’autocommiserazione, è anche vero che è pro-
prio quando si tocca il fondo che talvolta si trova la
forza di darsi il giusto slancio per risalire e tornare
a galla!
L’affetto sincero delle persone care, che tante volte
sono disposte ad andare oltre ai nostri errori molto
più di quanto sappiamo fare noi, la stima di chi –
nonostante tutto – continua a credere in noi e nelle
nostre capacità di riuscita, la responsabilità che ab-
biamo verso noi stessi di non sprecare questa vita
e di fare tutto il possibile per essere felici ci ricor-
dano che ognuno ha diritto a una seconda possibi-
lità (persino noi!), che siamo ancora in tempo per
rimediare agli sbagli, che ogni fallimento, se siamo
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OTTOBRE 2021

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capaci di inscriverlo in un orizzonte di senso e di
dargli il giusto peso nel nostro percorso di crescita,
può smettere di essere per noi una pesante zavorra
che ci trascina a fondo e diventare invece un tram-
polino di lancio da cui ripartire con più determina-
zione di prima.
Certo, questo cambiamento di prospettiva richie-
de una rivoluzione interiore che può rivelarsi molto
impegnativa, nella misura in cui comporta la capa-
cità non già di mettere a tacere ogni forma – anche
salutare – di autocritica, bensì di imparare pian pia-
no a far pace con i propri sensi di colpa, senza rica-
dere nella tentazione del rimpianto. Ma, in fondo,
si tratta di una rivoluzione nel segno della fedeltà
a noi stessi, ai nostri valori e al nostro progetto di
vita, che potrà magari subire piccoli aggiustamenti
di rotta e deviazioni, ma che merita di essere recu-
perato nelle motivazioni originarie che ne avevano
inizialmente guidato la maturazione e nella meta
finale che ci eravamo posti, al di là delle tappe in-
termedie e degli obiettivi contingenti.
È da qui che voglio ripartire,
dalle scommesse, quelle fatte male;
un’altra vita da poter giocare,
ho ancora un altro gettone.
Dalle risate che mi nascondevi,
dalle parole in cui poi non credevi,
io l’ho capito senza dire niente:
chi ride per ultimo ride per sempre!
In faccia a chi non ci sente,
a chi ha deciso di andare,
sono io la mia rivoluzione...
Se hai già toccato il fondo, tu calpestalo;
se il tempo è già finito, tu riavvolgilo!
Ogni lacrima che perdo è pioggia su di te,
quando non so dove andare
io mi ricordo un po’ di me,
io mi ricordo anche di te,
e mi ricordo anche di me,
e mi ricordo un po’ di me...
(Gaia Gozzi, Mi ricordo un po’ di me, 2020)
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
Don Bosco e il cardinale Ferrari
Due Santi, una passione:
l’oratorio Nel centenario della morte del
grande arcivescovo di Milano (1921)
Il 7 dicembre 1894, festa del patrono dell’arci-
diocesi ambrosiana, giungevano a Milano, in
via Commenda, i primi tre salesiani per rea-
lizzare finalmente il desiderio di don Bosco
ormai defunto. Circa un mese prima, a sua volta
il 3 novembre 1894, vigilia della solennità di san
Carlo Borromeo, il vescovo di Como, Andrea
Ferrari, prendeva possesso della diocesi
ambrosiana. Per 27 anni (1894-1921)
ci sarebbe stato un bel connubio fra il
carisma educativo salesiano e la pa-
storale oratoriana milanese. Se per
don Bosco e immediati successo-
ri (don Rua e don Albera) ogni
casa salesiana doveva contempla-
re un oratorio (festivo ma anche
quotidiano), analogamente per il
cardinal Ferrari si coniò il motto
“un oratorio (festivo) in ogni par-
rocchia”. Non che la diocesi am-
brosiana fosse priva di oratori, ma di
certo la capillarità ed il rinnovamento
dell’oratorio nella diocesi di Milano deve
moltissimo al suo santo cardinale.
Il ritratto
ufficiale del
cardinale
Andrea
Ferrari.
Lo conosceva senza averlo
mai incontrato
Don Bosco (1815-1888) ed il futuro cardinal An-
drea Carlo Ferrari (1850-1921) non si erano mai
incontrati anche per ragioni anagrafiche, ma il
Ferrari conosceva bene le opere di don Bosco, il
suo progetto educativo, ne ammirava la genialità
che tradusse in particolari scelte pastorali.
Iniziò presto. In occasione del Congresso interna-
zionale dei Cooperatori salesiani tenutosi a Bologna
nel 1895, in un suo apprezzato intervento affermò:
“È necessaria una restaurazione sociale dell’uma-
nità ed il buon preludio di quest’opera io lo ravviso
nell’attuale Congresso […]. Don Bosco si volse alla
gioventù e alle masse lavoratrici, perché l’una e le
altre sono la maggioranza dell’umanità più circuita
ed insidiata da falsi fratelli […]; io ho sempre amato
don Bosco e le opere sue”.
Amore e ammirazione dunque ed immediata deci-
sione di affidare ai salesiani possibilità di un nuo-
vo insediamento in una periferia milanese (attuale
stazione centrale) dove stavano sorgendo grandi
impianti industriali, ma anche dove il popolo di la-
voratori (già definito “proletariato” e presto “massa
operaia”) ed in particolare i giovani, vivevano for-
ti problematiche a cui il socialismo e la massoneria
cercavano di dare risposte inaccettabili alla coscien-
za cristiana. Poco dopo infatti, nel 1898, nella stessa
città ci sarebbe stata la sanguinosa repressione (con
83 morti) dei moti popolari da parte del generale
Fiorenzo Bava Beccaris, che indirettamente de-
terminò nel 1900 nella vicina Monza il regicidio di
Umberto I per mano dell’anarchico Gaetano Bresci.
Nel frattempo il 4 Settembre 1895 l’arcivescovo ave-
va benedetto e posto la prima pietra del nuovo Istitu-
to Salesiano intitolato a S. Ambrogio, dove sarebbe
poi sorta la basilica di S. Agostino.
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OTTOBRE 2021

4.9 Page 39

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Un nuovo modello
di oratorio festivo
Durante le visite pastorali, l’arcivescovo si rese su-
bito conto che il tradizionale oratorio ambrosiano,
per quanto recentemente aggiornato, doveva aprirsi
a nuove dimensioni se voleva essere la sede della
conservazione della fede e della formazione inte-
grale del giovane cristiano.
Nel sinodo diocesano del 1902 diede inizio a que-
sto rinnovamento mediante questionari inviati alle
parrocchie per meglio conoscere la situazione rea­
le degli oratori festivi. L’anno successivo costituì
una commissione per gli oratori, alla quale affidò
il compito di studiare uno statuto rispondente alle
esigenze di una pastorale oratoriana moderna. Il
documento doveva tener conto della ricca tradi-
zione milanese e delle linee pastorali espresse in
precedenza, ma anche dei documenti prodotti dai
congressi nazionali degli oratori, in cui i salesiani
portavano la ricchezza del loro pensiero e della loro
prassi. I congressi avevano essenzialmente lo scopo
di affrontare i problemi organizzativi, pedagogici,
religiosi e sociali degli oratori e di elaborarne i do-
cumenti.
Al momento dello studio del nuovo modello di ora-
torio, la commissione ferrariana poteva disporre della
pubblicistica prodotta dal congresso tenuto a Brescia
nell’anno 1895 e di quella prodotta dal congresso di
Torino, nell’anno 1902, guidato da don Rua, della
cui presidenza onoraria faceva parte anche il cardi-
nal Ferrari. Segretario e animatore dei dibattiti con-
gressuali era don Stefano Trione (1855-1935).
Fra i vari documenti visionati allo scopo, prevalse
il Regolamento dell’Oratorio di San Francesco di Sales
per gli esterni, scritto da don Bosco nel 1877, fatto
pubblicare da don Rua nel 1895 e, in seguito, inse-
rito nel Manuale per gli Oratori Festivi e le Scuole di
Religione, pubblicato nel 1902, con l’aggiunta dei
moderni aggiornamenti richiesti dalle circostanze,
fedelmente interpretati dal successore don Rua.
Vari i motivi di tale prevalenza donboschiana. An-
zitutto il suo carattere educativo-funzionale. Essa,
nella sua origine già aperta al sociale, e ulterior-
mente arricchita dalle moderne richieste delle esi-
genze pastorali e sociali, rispondeva ai bisogni del
momento, era già stata sperimentata con efficacia
in altre culture, ed era facilmente declinabile nella
affine prassi ambrosiana. In secondo luogo vi era
lo stile educativo, inconfondibile, che aveva in esso
trasfuso don Bosco, rispetto a quello tradizional-
mente praticato nell’ambiente milanese che, anche
per la sua lontana origine, esigeva ormai una risi-
gnificazione dei suoi valori. Quello di don Bosco
era lo stile di un educatore geniale, il quale, anche
su canoni educativi precedentemente fissati da al-
tri, risultava originale nell’interpretazione dei nuo-
vi valori pedagogici. Proposti nella teoria e vissuti
nella prassi introducevano una nuova cultura orato-
riana e popolare. Infine ad incoraggiare i milanesi
a confidare nella pastorale oratoriana di don Bosco
era il riconoscimento della santità della sua perso-
na. La Chiesa si apprestava, infatti, a dichiararlo
venerabile.
Il nuovo Statuto degli Oratori Maschili di Milano
elaborato dalla commissione fu firmato e reso pub-
blico dal cardinale il giorno dell’Epifania del 1904.
Esso fu considerato, così come il regolamento di
don Bosco, un prototipo che, nel tempo, secondo le
circostanze e con opportuni adattamenti, avrebbe
risposto per decenni alle esigenze della formazione
integrale dei giovani.
Gli oratori
milanesi
sono ancora
oggi una
magnifica
realizzazione
e una
garanzia
di vita
giovane nelle
parrocchie
della diocesi.
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni  postulatore generale
 Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulatore@sdb.org
 Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di ottobre preghiamo per la Beatificazione del
Venerabile Giuseppe Quadrio, salesiano sacerdote, di cui il 28
novembre ricorre il centenario della nascita.
Nato a Vervio (Sondrio) il 28
novembre 1921, scopre la sua
vocazione salesiana a seguito
della provvidenziale lettura
di una biografia di don Bosco.
Il 28 settembre del 1933 fa
l’ingresso nella casa salesiana
di Ivrea, con il desiderio di di-
ventare missionario. I superiori
lo indirizzarono all’Università
Gregoriana di Roma per gli stu-
di filosofici e teologici. Difende
in forma brillante la tesi dotto-
rale relativa al dogma dell’As-
sunta. Diventato sacerdote nel
1947 dedica tutta la sua vita
come docente e formatore nel-
la facoltà di teologia di Torino-
Crocetta, ricoprendo dal 1954
al 1959 il compito di decano.
La sua vita, con l’affacciarsi del
linfogranuloma, si arricchisce
maggiormente di interiorità e
offerta. Si spegne il 23 ottobre
1963. Dal 2009 è venerabile.
La sua santità può essere rias-
sunta nell’essersi fatto “traspa-
renza di Cristo”, nella sua bontà
misericordiosa e nella sua mi-
tezza.
Preghiera
O Spirito Santo,
che con l’intervento della Vergine Ausiliatrice,
hai ispirato a don Giuseppe Quadrio
il proposito efficace di farsi santo alla scuola di don Bosco
e lo hai reso modello di sacerdote e di educatore
in tutto conforme al Sommo Sacerdote ed Apostolo Gesù,
fa’ che il suo esempio ed il suo insegnamento
attirino molti giovani alla vita religiosa e apostolica,
e concedi a noi, che ne impetriamo la glorificazione,
la grazia... che ti chiediamo,
interponendo la sua intercessione.
Amen.
CRONACA DELLA POSTULAZIONE
Il 26 maggio 2021 la Congregazione delle Cause dei Santi ha
comunicato al vescovo di Savona-Noli, monsignor Calogero
Marino, il Nulla osta da parte della Santa Sede all’apertura
della Causa di Beatificazione e Canonizzazione della Serva
di Dio Vera Grita (1923-1969), Laica, Salesiana Cooperatrice.
Ringraziano
Ho accusato un grande dolore
alla gamba e non riuscivo a
dormire e a camminare. Dalle
analisi risultò: ernia al disco.
Non sapendo a chi rivolgermi,
chiesi aiuto alla beata Euse-
bia Palomino e cominciai una
novena. Dopo tre giorni, senza
alcuna cura e senza nessuna
medicina, cominciai a cam-
minare normalmente, senza
alcun dolore. Mi sento com-
pletamente guarita e riesco a
fare tutti i miei lavori, senza
alcun disturbo e malessere.
Sono grata a suor Eusebia, che
non mi ha negato il suo aiuto e
ho tanta fiducia in lei e nel suo
potere d’intercessione presso
Dio e l’Ausiliatrice.
Suor Cesarina Mercati, FMA
(Livorno)
Mia nipote ha avuto la gioia di
avere due figli. Ma per la loro
nascita ci sono state molte
complicazioni che ci hanno te-
nuto con il fiato sospeso data
la gravità della situazione. Mi
sono così rivolta con tutto il
cuore a san Domenico Savio,
glieli ho affidati e l’ho pregato
intensamente facendo anche
pregare tutta la mia famiglia
e la mamma dei due nascitu-
ri. Finalmente sono venuti al
mondo sani e meravigliosi. Si
sono superate tutte le difficoltà
di salute.
Suor Agata Borzì,
FMA di Alì Terme – Messina
Per 12 anni, mia nipote Maria
Cristina e suo marito Gerardo
hanno ripetutamente chiesto al
Signore il dono di un figlio. Tut-
te le volte che avevo occasione
di recarmi nella Basilica di Maria
Ausiliatrice pregavo la Madon-
na e i nostri cari santi di con-
cedere loro questo atteso dono.
L’anno scorso, a gennaio 2020,
prima della pandemia e durante
le Giornate di Spiritualità della
Famiglia Salesiana, ho pregato
con particolare insistenza per
questa grazia. Nei primi giorni
di marzo, trovandomi in Co-
lombia per la visita, ho ricevuto
l’inattesa e bellissima notizia dai
miei nipoti: Dio aveva risposto
alla loro vocazione di essere ge-
nitori e Maria Cristina era incinta
dal mese di gennaio. Tutti abbia-
mo pianto di gioia e ringraziato
Dio e io mi sono ricordata che
proprio negli stessi giorni ero
stata in Basilica a pregare i
nostri santi e la Madonna per
questo stupendo dono di vita.
Il 15 ottobre scorso, dunque, è
nato Gerardo, un bel bambino,
pieno di salute. Tutta la nostra
famiglia continua a ringraziare
per questo dono, arrivato quan-
do sembrava che ormai non ci
fossero più possibilità. Voglio
incoraggiare tutte le persone
che chiedono grazie al Signore
attraverso la Madonna e i nostri
santi, perché il Signore ascolta
sempre, quando e secondo il
suo disegno di amore. Gerardo
è venuto al mondo come segno
di speranza anche in mezzo a
questa pandemia. Come ho
promesso, voglio rendere pub-
blico il ringraziamento di tutta
la nostra famiglia al Signore e
ai nostri santi per questa grazia
ricevuta e continuo a chiedere
per tutti noi il dono della Sua
presenza e benedizione.
Sr. Ma. Luisa Miranda López FMA
40
OTTOBRE 2021

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO E` BENEDIZIONE
ANS - Roma
Don Eusebio Muñoz, SDB
Morto a Madrid il 1° settembre 2021,
a 76 anni
A mezzogiorno del 1° settembre 2021, è venuto
a mancare presso l’ospedale clinico “San Carlos”
di Madrid, don Eusebio Muñoz, SDB, Direttore
della Procura Salesiana di Madrid e già Delegato
Centrale del Rettor Maggiore per il Segretariato
della Famiglia Salesiana. Dopo aver sconfitto, alcuni
mesi fa il Covid-19, è stato colpito da un ictus e da
una conseguente infezione, che lo hanno portato alla
morte. Con 76 anni di età, 59 di vita salesiana e 49
di sacerdozio, se n’è andato un salesiano con la “s”
maiuscola, dotato di una personalità travolgente e di
una grande intelligenza, che è stato e rimane amato
come un padre da molte persone che hanno avuto la
fortuna di incrociare le loro vite con la sua.
Don Muñoz era nato il 26 di-
cembre 1944 a Pozoblanco, una
cittadina spagnola nei pressi di
Córdoba dove il carisma salesia-
no ha antiche radici e che pene-
trò in profondità nell’animo del
giovane Eusebio. Egli compì il
noviziato a San José del Valle ed
emise la prima professione il 16
agosto 1962 e quella perpetua
il 26 luglio 1968, venendo ordi-
nato sacerdote il 22 luglio 1972.
Molte case della sua Ispettoria
d’origine, dedicata a san Dome-
nico Savio e con sede a Cordo-
ba, sono state testimoni del suo
entusiasmo vocazionale. Negli
anni è stato Direttore a Ronda,
Montilla, dell’aspirantato di Cor-
doba, a Sanlúcar la Mayor, a Gra-
nada-Cartuja. Inoltre, ha servito
come Maestro dei Novizi, Dele-
gato per la Pastorale Giovanile
e l’Animazione Vocazionale, De-
legato per la Famiglia Salesiana,
Formatore, Vicario Ispettoriale
e Ispettore nel sessennio 1990-
1996. Avendo conseguito anche
una Licenza in Economia, per 18
anni ha anche presieduto il Con-
siglio d’Amministrazione dell’e-
ditrice salesiana spagnola CCS.
Nel 2006 l’allora Rettor Mag-
giore, don Pascual Chávez, gli
chiese di animare e guidare la
comunità “San Giovanni Bosco”
dell’Università Pontificia Sale-
siana (UPS) a Roma, incarico che
manterrà per nove anni e che gli
permise di ampliare ancora di
più i suoi orizzonti nell’esperien-
za del carisma salesiano a con-
tatto con i salesiani di diverse
parti del mondo. Sono tanti i sa-
lesiani che sono rimasti toccati
dal suo cuore di Padre in questi
anni all’UPS.
Nel 2015 il Rettor Maggiore
don Ángel Fernández Artime gli
affidò il ruolo appena istituito
di Delegato Centrale del Rettor
Maggiore per il Segretariato del-
la Famiglia Salesiana.
Compiuto con zelo ed efficacia
anche questo servizio, nel 2020
gli venne affidato un altro ruolo
di grande rilevanza, la guida di
“Misiones Salesianas” la Pro-
cura Missionaria salesiana di
Madrid.
Oggi moltissime persone – sale-
siani e laici dei vari gruppi della
Famiglia Salesiana – piangono
la sua scomparsa:
“Vitale, allegro, affettuoso,
abilissimo conversatore, com-
pagno profondo, generoso fino
all’estremo, ha scolpito nella
nostra vita un cammino di ap-
profondimento nella Fede, che
ci ha permesso di incontrare il
Signore risorto, attraverso la sua
vita, la sua testimonian-
za, la sua parola” (Igna-
cio Vázquez de la Torre,
Salesiano Cooperatore
di Cordoba).
“Ho il cuore pesante
perché ho perso un pa-
dre amorevole, che mi
ha amato tanto e che mi
mancherà tanto… È sta-
to veramente e fino alla
fine un Pastore Salesia-
no con il cuore di don
Bosco” (don Anthony
Lobo, salesiano indiano,
allievo di don Muñoz
all’UPS).
“Trovava la parola giu-
sta per ciascuno, aveva
una grande capacità di analisi e
di sintesi e una serenità invidia-
bile. Al suo fianco ci si sentiva
sempre a proprio agio e in pace.
Aveva la rara arte di apprezzare
ogni persona, riconoscendone i
valori e le qualità, dando affetto
e sicurezza. Tutto questo spie-
ga perché sia stato un grande
formatore di salesiani e di gio-
vani” (don Juan Andrés Fuentes
Amezcua, salesiano spagno-
lo, compagno di corso di don
Muñoz).
“Sicuramente Maria Ausilia-
trice e don Bosco lo stanno
accogliendo in Paradiso come
merita!” (Ángel Gudiña, stretto
collaboratore di don Muñoz nei
suoi anni trascorsi a Roma e alla
Procura Missionaria di Madrid).
Da ultimo, riportiamo il com-
mento commosso del Rettor
Maggiore, Don Á.F. Artime:
“Don Eusebio è stato un vero
padre per tanti salesiani, un
autentico figlio di don Bosco,
sempre generoso e affidabile
negli incarichi che ha svolto. È
stato anche per me un grande
fratello ed amico. Possiamo solo
ringraziare Dio per il tanto bene
che ha fatto alla Congregazio-
ne e alla Famiglia Salesiana e
soprattutto per il grande dono
della sua vita”.
OTTOBRE 2021
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5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
Roberto Desiderati
Scoprendo don Bosco
La soluzione nel prossimo numero.
UNA DISPUTA PER TUTTA LA VITA
Accadde nel 1848, anno di grandi sommovimenti sociali e politici per l’intera
Europa, che si accese una annosa disputa teologica durata quarant’anni (fino
alla morte) tra il nostro don Bosco e i XXX. In quell’anno il re Carlo Alberto
con le cosiddette Lettere Patenti concesse ai valdesi il godimento di tutti i
diritti civili come agli altri sudditi del Regno di Sardegna. Permettendo loro, quindi, anche di
frequentare le scuole dentro e fuori dalle Università e di conseguire i gradi accademici. Ma non
era in ciò, ovviamente, che sussisteva il dissidio tra le parti. Bisogna premettere che il valdismo
è una confessione religiosa nata nel medioevo come movimento spirituale tra gli ordini mendi-
canti e prima proibita dalla Chiesa cattolica e poi scomunicata. Secoli dopo, i valdesi aderirono
alla Riforma protestante e in particolare alle idee calviniste e, come la chiesa calvinista, anche
loro stabilirono: il divieto della confessione, l’esistenza del solo sacramento del battesimo e
della cena ma senza credere nella presenza reale di Cristo, l’abolizione dei culti della Vergine e
dei Santi, l’inesistenza del purgatorio e infine che non vi fosse alcuna autorità gerarchica consa-
crata. Don Bosco nonostante queste grandi differenze incontrò ugualmente il pastore Amedeo
Bert, ministro del culto e fondatore della Chiesa valdese di Torino, per confrontarsi sulle questio-
ni teologiche alla base del divario ma senza alcun successo. Inoltre, dopo l’atto di Carlo Alberto,
i valdesi approfittarono per propagandare attraverso
Soluzione del numero precedente giornali di nuova pubblicazione e il volantinaggio, le
loro scelte confessionali cercando di scagionarsi agli oc-
chi degli altri cristiani. Furono stampati libri biblici alte-
rati e comparvero gli adescatori che persino con l’offerta
di danaro cercavano di far proseliti tra i cattolici. Oggi il
valdismo si è diffuso nell’intera Penisola con 120 chiese
ed è presente soprattutto in Piemonte (con 41).
DEFINIZIONI
ORIZZONTALI. 1. I totali che si tirano
facendo i conti - 6. Spogliatoi sulle
spiagge - 11. Bergamo (sigla) - 13. Il
poligono con tre lati - 15. Decollano e
atterrano - 17. Cattiva, perfida - 18. Il
recipiente in cui fermenta l’uva pigiata
- 20. Demente, pazza - 21. Il centro di
Chieti - 22. XXX - 25. Voce senza pari
- 26. Grotta, spelonca - 27. Abbrevia-
zione di “questa” - 28. Colpevoli - 29.
Ci seguono in città - 30. XXX - 32.
Antica dinastia cinese - 33. Vocali nel
? tubero - 36. Prep. articolata - 37. Gravi
offese - 39. Ultime di Kabul - 40. Uc-
celli - 44. Rivestiti di tessuto - 46. Il
tempietto con la loggia delle Cariatidi
sull’Acropoli di Atene - 47. Il momen-
to astronomico in cui la notte è uguale
al giorno.
VERTICALI. 1. Sottili strisce, venature -
2. La parte di cielo da cui sorge il sole
- 3. Né sua, né tua - 4. Esprime dubbio
- 5. Prima di una certa data - 6. Incon-
ciliabilità, disaccordo - 7. Pianta tropi-
cale dalle cui foglie carnose si ricava un
liquido gelatinoso, medicamentoso e
corroborante - 8. Bologna (sigla) - 9.
Meno senza di me! - 10. Città dell’an-
conetano in cui nacque Pergolesi - 11.
Un Nino famoso ex-pugile - 12. Un mi-
sero letto fatto di paglia o cenci - 14. Il
Ponti architetto del grattacielo Pirelli di
Milano - 15. Sportello di mobile - 16.
Il Renzo di “Quelli della notte” (iniz.) -
19. Alta Tensione - 20. Immersi come
i pennelli - 22. A favore - 23. Lo occu-
pa il viaggiatore nel bus - 24. Un vero
campione - 28. Il prefisso che ripete -
31. Fa coppia con lei - 32. Un albero
da frutta - 34. Vale “nel caso in cui” -
35. Precede il “Chi va là?” - 38. Dieci
inglesi - 41. La metà di otto! - 42. Nel-
le gambe e nelle calze - 43. Gli estremi
dell’Iraq - 45. Al centro della piazza.
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OTTOBRE 2021

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.Disegno di Fabrizio Zubani
«Tutto da solo!»
I
n un corridoio di un centro di rieducazione per bambini affetti da disabili-
tà più o meno gravi, un bambino con le gambe inerti, imprigionate da
ingombranti tutori di metallo, si trascinava rimanendo seduto sul
pavimento, sbuffando e piagnucolando.
«Tiziana, tirami su!» frignava stizzito verso la giovane volontaria che lo guar-
dava sorridendo al fondo del corridoio, a braccia spalancate.
«Aiutami!» piangeva il bambino. Ma la ragazza sorrideva e non si muoveva.
Furioso, con le lacrime agli occhi, il bambino puntò le braccia con tutte
le sue forze, con uno sforzo immane costrinse le sue gambe a piegar-
si finché si alzò in piedi e traballando, a passo di formica, cominciò a
percorrere il corridoio.
Dopo un tempo interminabile, arrivò dalla ragazza che lo aspettava
sempre sorridente, con le braccia aperte.
Il bambino si buttò in quelle braccia gridando: «Tutto da solo! Hai visto?
Ho fatto tutto da solo!»
La ragazza lo strinse a sé piangendo e rimasero così un bel po’.
Tutti quelli che passavano guardavano stupiti quel momento di pura
felicità di una ragazza e un bambino che piangevano abbracciati.
Dio ti
aspetta sorridendo
a braccia aperte,
ma desidera
che tu faccia
“tutto da solo”.
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