Bollettino_Salesiano_202107

Bollettino_Salesiano_202107

1 Pages 1-10

▲back to top

1.1 Page 1

▲back to top
L’invitato
Don
Gianni
Caputa
Le case
di don Bosco
Soverato
FINALMENTE!
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
LUGLIO/AGOSTO 2021
La nostra
storia
Salvo
D’Acquisto

1.2 Page 2

▲back to top
I FIORETTI DI DON BOSCO
B.F.
Il “Grigio” delle suore
D opo aver accompagnato don
Bosco in Paradiso, il Grigio,
non si ritirò in pensione.
Continuò a proteggere i figli e le
figlie di don Bosco.
Il 2 novembre 1893, due suore
salesiane, tornando a piedi da Assisi
al loro collegio di Cannara, furono
sorprese dalla nebbia e dalla notte in
mezzo ai boschi e lontano da casa.
La paura le assalì.
Suor Amalia Calaon disse alla com­
pagna: «Ah, se don Bosco ci man­
dasse il suo Grigio!»
«Magari!» esclamò suor Annetta
Dallara con voce tremante.
Un paio di minuti dopo, dalle siepi
sbucò un grosso cane che ansimava
come avesse fatto un lungo viaggio e
si mise a camminare placidamente in
mezzo a loro. Era alto, grigio e i suoi
occhi scintillavano nel buio. Quasi
a incoraggiarle, il buon bestione
alzò il muso e le guardò come se le
conoscesse da tanto tempo. Giunte
al collegio, le suore volevano dargli
da mangiare, ma l’animale si voltò e
non lo videro più.
Nel 1930, a Barranquilla, in Co­
lombia, le Figlie di Maria Ausiliatri­
ce stavano edificando la loro scuola,
ma temevano i ladri.
I malfattori conoscevano bene la
strada. Per quattro volte erano pe­
netrati in casa, pur senza far danno,
tranne un grande spavento. Le suore
pregarono don Bosco di mandare il
suo Grigio a custodirle. Ci misero
tanta confidenza e, dal Paradiso, don
Bosco le ascoltò… con abbondanza.
Una notte, nella portineria della casa
entrarono, in perfetta fila indiana, sei
cani. Erano capitanati da un grosso
cane grigio. Nessuno aveva mai visto
quei cani nei dintorni. Con sabauda
disciplina i sei cani si appostarono agli
angoli della casa, fermi come statue.
Avevano l’aria minacciosa e con la
sola presenza ispiravano miti consigli
ai passanti.
Passata la paura, le suore li avvici­
narono e li trovarono mansueti e
addirittura affettuosi. Il mattino, alle
sei, uscirono uno dietro l’altro com’e­
rano entrati, e così fecero per un
mese di seguito. Anche i malandrini
più spavaldi giravano al largo dalla
casa delle suore. I cani continuarono
così la guardia, finché non ci fu più
pericolo. Poi sparirono e nessuno li
vide mai più.
Un altro caso capitò in Francia
alla Navarre, tra il 1898 e il 1900. Si
usava in quella zona, verso la fine di
ottobre, andare nei paesi vicini alla
questua delle castagne.
Quella volta, suor Giuseppina Crétaz
e suor Verina Valenzano partirono
insieme. Da un paese all’altro c’erano
quasi quattro ore di cammino, sem­
pre attraverso boschi e campi disabi­
tati. La paura vinse le due donne.
«Qui ci possono assalire sen­
za che nessuno se n’accorga!»
E cominciarono a fare le più
nere e malinconiche riflessioni,
mescolandole con qualche fiduciosa
preghiera. In quel momento sentirono
un fruscio nel bosco. A un tratto, sbu­
cò dagli alberi un cagnone grigio che
si avvicinò scodinzolando e sciorinan­
do tutto l’inventario delle affettuosità
canine. Sembrava dicesse: «Niente
paura! Ci sono qua io!». Si mise a
camminare davanti alle due suore
che si dicevano: «Che sia il Grigio di
don Bosco?». Speravano di portarlo
con loro a casa, ma appena arrivate, il
cane sparì.
LA STORIA
Queste storie si trovano nell’archivio delle Figlie di Maria Ausiliatrice
2
LUGLIO/AGOSTO 2021

1.3 Page 3

▲back to top
L’invitato
Don
Gianni
Caputa
Le case
di don Bosco
Soverato
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
LUGLIO/AGOSTO 2021
La nostra
storia
Salvo
D’Acquisto
LUGLIO/AGOSTO 2021
ANNO CXLV
NUMERO 07
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
FINALMENTE!
La copertina: Ecco la tanto attesa estate: un cortile,
una fetta di cocomero, spensieratezza e tanta gioia
(Foto Valiza / Shutterstock).
2 I FIORETTI DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 DON BOSCO NEL MONDO
Messico
10 TEMPO DELLO SPIRITO
12 L’INVITATO
Don Gianni Caputa
16 SENZA FRONTIERE
Ruanda
20 LE CASE DI DON BOSCO
Soverato
24 FMA
Segni di speranza sbocciano
27 I NOSTRI LIBRI
28 LA NOSTRA STORIA
Salvo D’Acquisto è anche nostro
32 CARI RICORDI
Ritorno a Santu Lussurgiu
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
6
12
24
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 66
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
Tel./Fax 06.65612643
e-mail: biesse@sdb.org
web: http://bollettinosalesiano.it
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Birgit Baier,
Pierluigi Cameroni, Roberto
Desiderati, Ángel Fernández Artime,
Carmen Laval, Cesare Lo Monaco,
Franco Manca, Roberta Mascario,
Alessandra Mastrodonato, Francesco
Motto, Marcella Orsini, Pino
Pellegrino, Giampietro Pettenon,
O. Pori Mecoi, Luigi Zonta, Fabrizio
Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Giampietro Pettenon (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
web: www.donbosconelmondo.org
CF 97210180580
Banca Intesa Sanpaolo
IBAN: IT84 Y030 6909 6061 0000 0122 971
BIC: BCITITMM
Ccp 36885028
Progetto grafico e impaginazione:
Puntografica s.r.l. - Torino
Stampa: Mediagraf s.p.a. - Padova
Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
La certificazione
PEFC™ garantisce
che la materia
prima per la
produzione della
carta deriva da
foreste gestite
in maniera
sostenibile secondo standard rigorosi riconosciuti a
livello internazionale che tutelano le foreste, l’ambiente
e i lavoratori.
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

1.4 Page 4

▲back to top
IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Ángel Fernández Artime
Molto più delle colline
del Monferrato
Tutta la pedagogia di don Bosco è racchiusa nelle
“passeggiate autunnali”. Familiarità e cameratismo,
gioia e festa. Tempo per camminare, come si
cammina lungo i sentieri della vita, e spazio per
la conversazione e l’amicizia. E la presenza gentile
e buona di don Bosco.
Era il mese di agosto 2015. Per essere più
precisi, era il pomeriggio del 15 agosto e
stavamo celebrando con 5200 giovani di
tutto il mondo l’Incontro Internazionale dei
Giovani (Sym Don Bosco), per festeggiare il 200°
anniversario della nascita di don Bosco.
Con un idealismo lontano dalla realtà, noi dell’orga­
nizzazione pensavamo di poter fare una marcia con
questi 5200 giovani da Torino alla collina dei Becchi,
dove Giovanni Bosco era stato chiamato alla vita. La
distanza era di circa 35 chilometri. Ma capimmo ben
presto che dovevamo rinunciare perché sarebbe sta­
to molto difficile rispettare il programma con così
tanti giovani, allegramente scom­
binati. Alla fine decidemmo per
qualcosa di molto semplice e
direttamente collegato alle
passeggiate autunnali di don
Bosco con i suoi ragazzi. Co­
minciammo il cammino
a Castelnuovo, il piccolo
paese dove Giovanni Bo­
sco era stato battezzato e
dove aveva celebrato una
delle sue “prime messe”.
Quella lunga e variopinta colonna di giovani per­
corse tutti e otto i chilometri che ci separavano dai
Becchi sotto una pioggia torrenziale. La pioggia
era stata annunciata ed era puntualmente arrivata.
Ma sembrava una carezza del cielo per quei giova­
ni, bagnati come pulcini.
Continuavo a immaginare don Bosco in mezzo ai
suoi ragazzi, carichi di pane per il pranzo e per gli
spuntini ritempranti, e gli strumenti musicali della
banda per le liete e chiassose serate dei borghi dove
avrebbero soggiornato.
Sapete una cosa? Dietro tutto questo c’è una pre­
ziosa prospettiva educativa e spirituale.
Potrei continuare a sviluppare io stesso questo pen­
siero, ma lascio la parola a uno dei miei confratelli
salesiani, José Miguel Núñez, che con la sua straor­
dinaria penna, racconta:
«Per molti anni, don Bosco celebrò la festa della
Madonna del Rosario ai Becchi, accompagnato da
un manipolo di ragazzi che lo seguivano con una
gioia inimmaginabile.
Erano i migliori ragazzi dell’oratorio. Per tutti loro
era una ricompensa fantastica passare qualche gior­
no di vacanza con don Bosco. All’inizio erano po­
chi, ma presto furono più di cento.
4
LUGLIO/AGOSTO 2021

1.5 Page 5

▲back to top
La prima destinazione fissa era la patria di don
Bosco e la sua amata casa. Giuseppe, suo fratello,
accoglieva con piacere quella torma di ragazzi e
li ospitava come meglio poteva in granai e stalle,
avendo cura di provvedere alle loro necessità. Cau­
savano più di qualche inconveniente, ma il buon
Giuseppe sapeva come guardare dall’altra parte e
sistemare gentilmente piccoli e grandi problemi.
Dopo il 1858, don Bosco progettò delle vere e
proprie marce attraverso i villaggi del Piemonte e
delle province vicine a Torino. Curava gli itinerari
in anticipo e si affidava ad amici e benefattori che
li accoglievano nelle loro case o preparavano qual­
che spuntino per quell’esercito pronto alla battaglia
quando si trattava di placare la fame. Frutta, pane
appena sfornato o un pezzo di formaggio non man­
cavano mai, generosamente offerti dalla gente del
posto entusiasta del trambusto che il prete con la
reputazione di santo cercava di calmare, il più delle
volte senza molto successo».
I contadini lasciavano il lavoro
Abbiamo ricevuto alcune belle testimonianze di
quei giorni di festa e di gioia per tanti giovani che
hanno vissuto esperienze indimenticabili accompa­
gnando don Bosco. Uno dei suoi ragazzi, Anfossi,
ha scritto: «Ricordo sempre quei viaggi. Mi hanno
riempito di gioia e di meraviglia. Ho accompagnato
don Bosco sulle colline del Monferrato dal 1854 al
1860. Eravamo un centinaio di giovani e abbiamo
visto la fama di santità che don Bosco già godeva.
Il suo arrivo nei paesi era un trionfo. I parroci dei
dintorni e di solito anche le autorità civili uscivano
per incontrarlo. La gente si affacciava alle finestre
o usciva per la strada, i contadini lasciavano il loro
lavoro per vedere il Santo (...)».
Tutta la pedagogia di don Bosco è racchiusa in que­
ste “passeggiate autunnali”. Familiarità e camerati­
smo, gioia e festa. Tempo per camminare, come si
cammina lungo i sentieri della vita, e spazio per la
conversazione e l’amicizia. La presenza di don Bosco
è quella dell’adulto che accompagna il cammino dei
giovani. Una presenza gentile e buona. Una parola
per tutti e un gesto di complicità e solidarietà per co­
loro che hanno più difficoltà a raggiungere la meta.
La musica e la celebrazione hanno irrorato il cuore
e risvegliato l’entusiasmo di quei giovani, che erano
felici di essere vicini al padre che ammiravano tan­
to e al quale dovevano tanto. In perfetta formazio­
ne, suonando i loro strumenti musicali, l’ingresso
dei ragazzi di don Bosco in quei piccoli paesi del
Piemonte era un evento memorabile.
Dio camminava con loro
I ragazzi erano pieni di “meraviglia e gioia”. Don
Bosco toccava il cielo con un dito, mentre godeva
dei sorrisi dei suoi giovani e dei loro canti festosi.
Non mancavano mai la preghiera e la benedizione
con il Santissimo Sacramento nella chiesa del vil­
laggio. Perché anche Dio camminava con loro.
L’affetto del Padre era reso fiducioso nella familia­
rità del cammino che, senza saperlo, molti di quei
giovani avrebbero continuato nella vita con lui.
Molto più delle colline del Monferrato.
In questo momento penso a quanto sia importante
invitare i nostri adolescenti e giovani, molti dei quali
completamente immersi nel mondo digitale, a vive­
re la ricca e soddisfacente esperienza degli incontri
personali (non attraverso schermi piccoli o grandi),
l’esercizio prezioso di ascoltarsi, di ridere in­
sieme, di stare in silenzio in una semplice
preghiera, di stupirsi di un tramonto, di spe­
rimentare la gioia che si prova quando si
salutano gli anziani che riposano sulla
porta della loro casa o su una
panchina dei giardinetti.
Vi lascio con le parole che
il Papa ci ha rivolto nel
nostro Capitolo Genera­
le e mi piace pensare che
siamo ancora capaci di so­
gnare e di far sognare.
Con tutto il mio cuore vi
auguro una felice estate.
LUGLIO/AGOSTO 2021
5

1.6 Page 6

▲back to top
DON BOSCO NEL MONDO
Marcella Orsini
I Salesiani nella guerra
invisibile del Messico
Con l’Ispettoria Salesiana
di Messico Guadalajara,
la Fondazione Don Bosco
nel mondo è impegnata con
un progetto per salvaguardare
i minori in condizioni di povertà
e vulnerabilità.
In Messico,
i salesiani
lottano per
salvare i
piccoli, il
futuro del
Paese.
L a giornalista messicana Anabel Hernández è
spietata. Scrive: «Il Messico è devastato. La
profonda cultura di illegalità e
corruzione ha messo in pe­
ricolo ciò che c’è di più prezioso
nel paese: le famiglie, il loro
patrimonio, le imprese lega­
li che danno lavoro sicuro,
la sicurezza nelle strade e a
scuola, la salvaguardia delle
risorse naturali e degli esse­
ri viventi, e l’integrità dello
Stato e delle sue istituzioni.
La corruzione è pene­
trata in tutti gli
ambiti della
vita quotidiana: il governo, la politica, l’industria e
il commercio, la cultura, lo sport e lo spettacolo. La
società ha tollerato e accettato di essere parte del fe­
nomeno e ha coniato frasi vergognose come “ciò che
non è corrotto non progredisce”. In Messico il co­
sto della corruzione si misura in migliaia di persone
diventate vittime della guerra tra narcotrafficanti,
migliaia di desaparecidos, centinaia di migliaia di
desplazados che hanno dovuto abbandonare le loro
case e strapparsi alle loro radici e milioni di noi che
sono stati vessati dal sequestro e dall’estorsione. La
paura è diventata parte della nostra vita quotidiana e
la paura o ci paralizza o ci spinge all’azione. Poiché
è impossibile oggi non avere paura in Messico, fac­
ciamo di questa paura una forza vera di cambia­
mento: Diffondiamo a partire dalle nostre
famiglie una cultura di legalità e giustizia.
Non diventiamo indifferenti come sono
stati i nostri governanti davanti al dolore
e alla disgrazia dei più. Non giriamo lo
sguardo dall’altra parte…»
I Salesiani non hanno girato la testa
dall’altra parte e sono scesi in campo in­
cominciando, com’è nel loro stile, dai gio­
vani. I salesiani sono tra i principali attori
che a livello nazionale hanno indi­
viduato una risposta efficace e
sostenibile alle situazioni
emergenti di violenza
e di povertà.
6
LUGLIO/AGOSTO 2021

1.7 Page 7

▲back to top
VITTIME E COLPEVOLI
Il Messico è un paese prevalentemente giovane, un
terzo della sua popolazione è compresa tra i 12 e i
29 anni. In Messico ci sono attualmente sette milio-
ni di giovani definiti con disprezzo “ninis”, tra i 15 e i
29 anni, che non hanno la possibilità di accedere allo
studio e al mondo del lavoro. Un gigantesco esercito
di riserva di giovani potenzialmente disponibili, o su-
scettibili, nel vuoto di alternative, ad incorporarsi alle
reti criminali. Le bambine, i bambini, i giovani, gli ado-
lescenti usati dalla rete del crimine organizzato hanno
due caratterizzazioni sociali e giuridiche: sono vittime
e colpevoli. Bambine, bambini, adolescenti e giovani
sono utilizzati da bande criminali come soldati per la
guerra contro lo Stato messicano, sono addestrati in
campi, dove ricevono istruzioni paramilitari con tecni-
che nell’uso delle armi da fuoco corte, lunghe, tecniche
di tortura, tecniche d’assalto e strategie per intercetta-
re i comandi della polizia federale, dell’esercito e della
marina, nonché per garantire la sicurezza e la protezio-
ne delle loro proprietà e degli affari illegali.
Le condizioni di rischio, di povertà e di vulnerabilità
sono tali per cui la maggior parte delle ragazze e dei
ragazzi messicani vive in una situazione di conflitto
strutturale.
Grazie al 5×1000 della Fondazione Don Bosco nel
mondo è possibile realizzare le attività del progetto
“Medidas Socioeducativas de Medio Abierto” in
tre comunità salesiane: María Inmaculada, a Ciu­
dad Juárez, San Felipe de Jesús, a Los Mochis e
Cristo Resucitado, a Tlaquepaque.
Il segreto dell’Oratorio
L’opera salesiana di Ciudad Juárez è costituita da
tre grandi centri giovanili, sempre aperti e funzio­
nanti, che da oltre 25 anni rispondono agli interes­
si e alle esigenze di ragazze, ragazzi, adolescenti
e giovani in situazione di rischio. In questi centri
si dà grande valore alle attività sportive, ai labo­
ratori culturali e alle iniziative artistico-ricreat­ive
in spazi adeguati e accoglienti. L’esperienza e le
capacità gestionali della comunità di Ciudad Jua­
rez hanno permesso agli interventi che qui si rea­
lizzano di diventare un riferimento e un modello
da replicare.
Los Mochis è una città dello Stato di Sinaloa, terri­
torio di uno dei cartelli del narcotraffico più potenti
e violenti dello Stato. I Salesiani hanno due oratori
molto frequentati e anche un oratorio “di strada”.
Anche la città di Tlaquepaque è assediata dal nar­
cotraffico. Tlaquepaque è uno degli epicentri di uno
dei cartelli più pericolosi del Messico che recluta
migliaia di minori ogni anno. In questo contesto di
estremo rischio opera la comunità salesiana, con le
attività pastorali per i giovani appartenenti a conte­
sti di povertà e di vulnerabilità.
Il Messico non dispone di programmi di reinseri­
mento sociale per i minori. Una delle principali sfi­
de che il Paese deve affrontare è rappresentata dal
fatto che molti degli adolescenti che si trovano nei
centri di detenzione richiedono una revisione delle
misure di privazione della libertà e vengono rila­
sciati. In pochi anni moltissimi adolescenti si sono
ritrovati liberi dalla reclusione, ma privi di stru­
menti e di programmi di sostegno per l’inclusione
sociale. Sono quindi molto inclini a commettere
nuovamente atti criminali.
Anche la
strada può
diventare
un oratorio,
un centro
formativo.
LUGLIO/AGOSTO 2021
7

1.8 Page 8

▲back to top
DON BOSCO NEL MONDO
La stragrande
maggioranza
dei beneficiari
del progetto
dei salesiani
in Messico
proviene
da quartieri
emarginati
dove la
violenza è
quotidiana.
È proprio in questa fase che il progetto “Medidas
Socioeducativas de Medio Abierto” gioca un ruolo
fondamentale, in assenza di meccanismi governativi
che forniscano misure specialistiche non solo per i
ragazzi in detenzione che devono scontare la pena,
ma anche per quanti in uscita siano alla ricerca di
una vita dignitosa e rispettosa della legge, nel supera­
mento della loro situazione di doppia vulnerabilità, la
mancanza di opportunità e lo stigma di ex detenuti.
La dimensione sociale e culturale dei contesti in cui
il modello dei salesiani del Messico si sviluppa è
articolata su più livelli e ad ampio raggio.
Obiettivo generale del progetto è contribuire all’ac­
compagnamento dei giovani accusati di aver com­
messo atti di infrazione e reinserirli in un ambiente
educativo e sociale favorevole al loro sviluppo in­
tegrale.
Obiettivi specifici sono fornire supporto ai giova­
ni nel loro processo di recupero, migliorare la loro
salute psico-fisica, potenziare le loro abilità sociali
e lavorative e fornire loro strumenti pratici per il
reinserimento educativo e sociale.
I ragazzi beneficiari del progetto sono 100 per ogni
comunità salesiana, 300 in totale, hanno età com­
presa tra i 14 e i 20 anni e sono stati individuati con
il supporto dell’organizzazione messicana “Docu­
menta” tramite le sue ricerche in carcere.
L’accompagnamento
La stragrande maggioranza dei beneficiari del pro­
getto dei salesiani in Messico proviene da quartieri
emarginati dove la violenza è quotidiana, sistema­
tica e normalizzata.
Tra i beneficiari del progetto “Medidas Socioedu­
cativas de Medio Abierto” sono stati inseriti anche
alcuni bambini non accompagnati, di cui non esiste
alcuna possibilità di identificazione e che in con­
dizioni di estrema povertà commettono atti crimi­
nali. Questi bambini vengono reclutati e costretti
dalla criminalità organizzata a partire dall’età di
circa nove anni a commettere crimini, rientrano nel
sistema giudiziario all’età di 16 anni e sono loro ad
avere grande impatto sul tasso di mortalità giova­
nile. Si stima che circa quattro di questi bambini e
adolescenti muoiano ogni giorno.
Lo spirito del progetto nell’incontro con i ragazzi è
quello dell’abbandono di ogni forma di pregiudizio,
del riconoscimento delle varie situazioni di vulne­
rabilità e dell’aiuto ai bambini e ai ragazzi a diven­
tare soggetti attivi nel processo di cambiamento. È
possibile osservare che, grazie all’azione di accom­
pagnamento, molti ragazzi che sono stati esposti a
cicli di violenza li hanno interrotti, consapevolmente
o inconsciamente, diventando loro stessi agenti di
mantenimento della pace nel loro territorio.
8
LUGLIO/AGOSTO 2021

1.9 Page 9

▲back to top
La condizione essenziale perché questo processo
trasformativo si realizzi è rendere efficace la libertà
assistita. Essa consente all’adolescente di scontare
la sua pena in un ambiente aperto, insieme alla fa­
miglia, sotto il controllo delle autorità competenti,
degli operatori della struttura di presa in carico e
della comunità.
Le prime attività specifiche del progetto sono la
presa in carico del singolo ragazzo assegnato dal
sistema giudiziario all’interno del progetto per
un minimo di sei mesi, estendibili a un anno e la
fornitura di un servizio di consulenza e di aiuto
al ragazzo e alla sua famiglia, al fine di garanti­
re il corretto monitoraggio del provvedimento
sanzionatorio. Compito dei responsabili del pro­
getto rispetto alle autorità giudiziarie è presenta­
re le relazioni periodiche sull’accompagnamento
individuale e sulle attività svolte dal ragazzo. Per
quanto riguarda gli aspetti di accompagnamento
psicologico, vengono realizzate sessioni di terapia
individuale e di gruppo sulle tematiche dell’accet­
tazione di se stessi, dell’autostima, del saper avviare
processi decisionali e della riconciliazione. Sempre
in gruppo si seguono programmi di sviluppo delle
capacità fisiche e intellettive e si organizzano labo­
ratori per il potenziamento delle abilità artisti­
che, associative e sportive, in base ai pro­
pri interessi. Ai ragazzi è assicurato un
accompagnamento personalizzato per
realizzare un progetto di vita comple­
to che includa le fasi dell’orientamento
professionale e dell’inserimento nel mon­
do del lavoro.
Ogni attività è seguita da un’équi­
pe interdisciplinare che pre­
vede figure specializzate,
oltreché educatori e edu­
catrici professionali, che
aiutano i ragazzi a veder­
si inseriti in un sistema di
valori quali la legalità e la
cittadinanza.
Una famiglia solida
In tutte e tre le comunità salesiane di Ciudad
Juárez, Los Mochis e Tlaquepaque il modello di
riferimento per lo sviluppo del progetto prevede
l’accoglienza, lo sviluppo di un Piano di Assistenza
Individuale (pia), la realizzazione di attività indi­
viduali e collettive di accompagnamento, il lavoro
con le famiglie e l’accompagnamento verso il ripri­
stino della leadership familiare.
La famiglia è uno spazio privilegiato di protezione
e di cura, in cui avviene la socializzazione prima­
ria. Lo spazio familiare è la migliore strategia per
la formazione delle capacità umane. D’altra parte,
la famiglia può anche essere uno spazio
segnato da conflitti, disuguaglianze
e violazioni, che può portare soprat­
tutto i più piccoli a una situazione di
rischio e di fragilità.
Grazie al progetto che i missionari
salesiani realizzano in Messico con
il 5×1000 della Fondazione Don
Bosco nel mondo, centinaia di ra­
gazzi a rischio e in conflitto con
la legge possono oggi contare
sul sostegno della Famiglia
Salesiana per trasformare la
reclusione e la mancanza di
alternative in libertà e oppor­
tunità di un percorso di vita
migliore.
Obiettivo
generale
del progetto
è inserire i
ragazzi in un
ambiente
affettuoso ed
educativo.
LUGLIO/AGOSTO 2021
9

1.10 Page 10

▲back to top
TEMPO DELLO SPIRITO
Carmen Laval
L’eleganza dell’anima
secondo papa Francesco
L a fraternità è il calore dell’affetto, la bellezza
della generosità, il sollievo di essere ascoltati
e riconosciuti per quello che siamo davvero,
il sostegno dell’amicizia, la meraviglia della
gratitudine, il balsamo del perdono e tanto altro. Ci
sono persone che vivono tutto questo e diventano
stelle in mezzo all’oscurità.
1. Il valore unico dell’amore
«Una volta, una maestra chiese ai suoi bambini: «Che
cosa ci vuole per essere felici?».
Le risposte furono di vario tipo: un bell’appartamento,
delle buone pietanze, i soldi, non provare dolore, un bel
giochino elettronico...
L’insegnante li aiutò: c’è anche il lavoro, l’approvazio-
ne degli altri, la benedizione di Dio...
Scrisse tutto ben ordinato sulla lavagna.
«Abbiamo dimenticato qualcosa?» chiese alla fine.
Ci fu un attimo di silenzio poi una bambina alzò la
mano e disse:
«Sì, un’altra persona».
La realtà fondamentale dell’Universo è che tutto è
stato creato per amore. Tutti noi credenti dobbia­
mo riconoscere questo: al primo posto c’è l’amore,
ciò che mai dev’essere messo a rischio è l’amore, il
pericolo più grande è non amare. Così come Dio è
nella sua essenza amore, anche la nostra vera rea­
lizzazione è diventare amore come Lui.
3. Il dialogo
Avvicinarsi, esprimersi, ascoltarsi, guardarsi, co­
noscersi, provare a comprendersi, cercare punti di
contatto, tutto questo si riassume nel verbo “dia­
logare”.
Spesso si confonde il dialogo con qualcosa di molto
diverso: un febbrile scambio di opinioni nelle reti
sociali, molte volte orientato da un’informazione
mediatica non sempre affidabile. Sono solo mono­
loghi che procedono paralleli, forse imponendosi
all’attenzione degli altri per i loro toni alti e ag­
gressivi.
4. Il rispetto
L’autentico dialogo sociale è il vero riconoscimento
dell’altro, che solo l’amore rende possibile e che
significa mettersi al posto dell’altro per scoprire che
cosa c’è di autentico, o almeno di comprensibile, tra
le sue motivazioni e i suoi interessi, accettando la
possibilità che contenga delle convinzioni o degli
interessi legittimi.
2. Il gusto di riconoscere l’altro
La ricerca di una falsa tolleranza deve cedere il pas­
so al realismo dialogante, di chi crede di dover es­
sere fedele ai propri principi, riconoscendo tuttavia
che anche l’altro ha il diritto di provare ad essere
fedele ai suoi.
10
LUGLIO/AGOSTO 2021

2 Pages 11-20

▲back to top

2.1 Page 11

▲back to top
5. Costruire insieme
La vera fraternità spinge a lavorare insieme per
formare una nuova società basata sul servizio agli
altri, più che sul desiderio di dominare; una società
basata sul condividere con altri ciò che si possiede,
più che sulla lotta egoistica di ciascuno per la mag­
gior ricchezza possibile; una società in cui il valore
di stare insieme come esseri umani è senz’altro più
importante di qualsiasi gruppo minore, sia esso la
famiglia, la nazione, l’etnia o la cultura.
Marito e moglie erano sulle scale alle prese con un pe-
sante cassettone. Li vide un cognato.
«Vi dò una mano», disse accorrendo. E afferrò un angolo
del mobile.
Qualche minuto dopo, incapaci di muovere il cassettone
anche di un solo centimetro, i tre si concedettero qualche
minuto di riposo.
«Che fatica portare su questo cassettone!», commentò il
cognato.
Marito e moglie scoppiarono a ridere.
«Noi stavamo cercando di portarlo giù!».
6. Una nuova cultura
In questo mondo globalizzato, i media possono
aiutare a farci sentire più prossimi gli uni agli
altri; a farci percepire un rinnovato senso di unità
della famiglia umana che spinge alla solidarietà
e all’impegno serio per una vita più dignitosa. In
particolare internet può offrire maggiori possibilità
di incontro e di solidarietà tra tutti, e questa è una
cosa buona, è un dono di Dio.
7. Recuperare la gentilezza
San Paolo menzionava un frutto dello Spirito San­
to che esprime uno stato d’animo non aspro, rude,
duro, ma benigno, soave, che sostiene e conforta.
La persona che possiede questa qualità aiuta gli al­
tri affinché la loro esistenza sia più sopportabile.
Pronuncia parole di incoraggiamento, che confor­
tano, che danno forza, che consolano, che stimola­
no, invece di parole che umiliano, che rattristano,
che irritano, che disprezzano.
8. Il servizio
Oggi raramente si trovano tempo ed energie di­
sponibili per soffermarsi a trattare bene gli altri,
a dire “permesso”, “scusa”, “grazie”. Eppure ogni
tanto si presenta il miracolo di una persona gen­
tile, che mette da parte le sue preoccupazioni e le
sue urgenze per prestare attenzione, per regalare
un sorriso, per dire una parola di stimolo, per ren­
dere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a
tanta indifferenza.
9. La sincerità
Essere sinceri significa non dissimulare ciò in cui
crediamo, senza smettere di dialogare, di cercare
punti di contatto, e soprattutto di lavorare e impe­
gnarsi insieme.
10. Il valore e il significato
del perdono
Nessuna società umana resiste senza il perdono.
Occorre riconoscere nella propria vita che quel giu­
dizio duro che porto nel cuore contro mio fratello o
mia sorella, quella ferita non curata, quel male non
perdonato, quel rancore che mi farà solo male, è un
pezzetto di guerra che porto dentro, è un focolaio
nel cuore, da spegnere perché non divampi in un
incendio.
LUGLIO/AGOSTO 2021
11

2.2 Page 12

▲back to top
L’INVITATO
O. Pori Mecoi
Don Gianni Caputa
Felice nella terra di Gesù
«Faccio parte della comunità di Betgamāl, casa
di accoglienza per gruppi di cristiani (parrocchie
e movimenti ecclesiali, scuole, scouts, exallievi),
“una porta d’ingresso” nel mondo cristiano per
Ebrei aperti religiosamente (apostolato della
buona stampa, memoria di santo Stefano
protomartire), culturalmente (arte, musica)».
Don Gianni
Caputa con
la medaglia
d’argento
dell’UPS.
Ho avuto nonni e
genitori operosi e
di fede, sono nato
nel 1947 in una
famiglia di 10 fratelli e sorelle
a Bono, paesetto della diocesi di Ozieri. Nel 1941
il vescovo aveva stabilito che in ogni parrocchia si
aprisse un oratorio dedicato a don Bosco.
L’anno prima era giunto in paese come direttore di­
dattico Carlo Carretto che ha lasciato nel clero e nei
laici un influsso percepito ancora oggi. La famiglia
e l’Azione Cattolica sono stati il terreno su cui è
fiorita la mia vocazione. A dodici anni e mezzo (al­
lora considerata “età tardiva”) mi presero i salesia­
ni dell’aspirantato di Mirabello, come uno di quei
“birichini” dei quali don Albera disse che erano i
prediletti di don Bosco. Molti dei miei compae­sani
predissero che non sarei durato a lungo!
Il 6 ottobre 1963 ricevetti il crocifisso di missiona­
rio a “Maria Ausiliatrice” e partii per il noviziato in
Libano. L’inculturazione era una priorità strategi­
ca, per l’apprendimento delle lingue e “l’esposizio­
ne” alle culture e liturgie locali. Ad El-Hussun dal
1957 c’era il filosofato dove si forgiarono quelli che
sarebbero stati colonne portanti delle opere salesia­
ne in Iran, Egitto e Terra Santa, fino ad oggi.
Nel 1967 iniziai gli studi di filosofia a Roma: erano
gli anni di Paolo VI che mi conquistò con la sua
levatura intellettuale e la fermezza nel guidare il
rinnovamento della Chiesa post-conciliare. Era l’e­
poca della contestazione e degli sbandamenti, ma al
pas abbiamo avuto professori eccellenti e direttori
spirituali del calibro di don Albino Ronco e don
Pietro Brocardo.
Beirut
Fresco di laurea, nel 1972 ero con le valigie pronte
in partenza per Betlemme dove come tirocinante
avrei insegnato filosofia neoscolastica ai chierici
miei compagni, ma all’ultima ora l’ispettore mi
mandò a Beirut. Qui gestivamo una scuola con tre
sezioni (franco-libanese, anglo-americana e italia­
na) e un oratorio, con circa 1000 ragazzi e ragazze,
42 nazionalità e 16 affiliazioni religiose diverse, e
in più i giovani salesiani del post-noviziato: una
piccola onu dove il dialogo e il rispetto erano l’aria
12
LUGLIO/AGOSTO 2021

2.3 Page 13

▲back to top
Betlemme,
23 marzo
2000: a
conclusione
del Sinodo
Diocesano,
Giovanni
Paolo II
consegna a
don Gianni
una copia
del Piano
Pastorale.
che si respirava a pieni polmoni. Quei giovani mi
fecero scoprire la bellezza della vocazione-missione
del salesiano come educatore e amico; amo dire che
quello fu il mio secondo battesimo.
A malincuore lasciai Beirut per iniziare gli studi
di teologia a Cremisan, che continuai a Torino-
Crocetta. Nel 1978 scelsi di farmi ordinare prete a
Bono, dove la festa durò tre giorni; oltre a paren­
ti e famigliari c’era mezzo paese, compresi alcuni
scettici di 20 anni prima; per tutti ci furono vini
raffinati e carni grasse!
Da docente e preside a Cremisan e poi a Gerusa­
lemme-Ratisbonne (1980-2018) ho insegnato un
po’ di tutto, ma specialmente teologia fondamen­
tale, liturgia e sacramentaria, a qualche centinaio
di chierici provenienti da quattro continenti. Ogni
anno ricevevo stimoli e imparavo cose nuove da
loro, così come dai colleghi e dai confratelli coa­
diutori che erano parte integrante della comunità
formatrice. Cremisan manteneva fecondi rapporti
con il seminario patriarcale di Betgiala, i centri di
studio francescani, domenicano, benedettino di
Gerusalemme ed ecumenico di Tantur. Ciò ci per­
mise di organizzare insieme nel 1997, ’98 e ’99 tre
settimane di studio per professori e studenti, ma
aperte a religiosi e laici anche non cattolici e non
cristiani, in preparazione al Grande Giubileo del
2000. Mi pare che in nessun’altra parte del mondo
si fece qualcosa di simile, neppure a Roma.
Dal 1992 al 2000, sotto la guida del patriarca Michel
Sabbāh, coadiuvato dalla commissione teologica e
dal consiglio presbiterale, si svolse il Sinodo dioce­
sano delle Chiese cattoliche in ts (latina, maronita,
armena, melkita, siriaca, di espressione ebraica) sul
tema “credenti in Cristo, corresponsabili nella Chie­
Don Gianni
con il famoso
concertista
Paolo Fresu
e il suo
complesso.
LUGLIO/AGOSTO 2021
13

2.4 Page 14

▲back to top
L’INVITATO
Oratorio di
El-Hussun/
Libano,
ottobre
2019:
ragazzi
rifugiati
siriani.
sa, testimoni nella società”. Nel marzo 2000 Gio­
vanni Paolo II consegnò il Piano Pastorale Generale
a rappresentanti delle varie categorie di fedeli. In
quella dinamica sinodale vennero istituite commis­
sioni, uffici, e comitati misti che diedero impulso al
rinnovamento delle comunità cristiane di Giordania,
Israele, Palestina e Cipro. Di recente, dopo alcuni
anni di stasi, il cammino è stato riaperto.
Tutte queste sono state per me esperienze gratifi­
canti e scuola di formazione permanente. Un po’
meno il servizio di segretario della delegazione va­
ticana nei negoziati con Israele, che chiesi di ter­
minare dopo 6 anni, constatando che è più facile
“l’economia della salvezza” che non… la salvezza
dell’economia politica!
Presente e futuro
Attualmente faccio parte della comunità di “giova­
ni pensionati” di Betgamāl, casa di accoglienza per
gruppi di cristiani (parrocchie e movimenti eccle­
siali, scuole, scouts, exallievi), “una porta d’ingres­
so” nel mondo cristiano per Ebrei aperti religiosa­
mente (apostolato della buona stampa, memoria di
santo Stefano protomartire…), culturalmente (arte,
musica). L’anno trascorso anche noi, come tutti,
siamo stati penalizzati dalle restrizioni causate dal
Covid, ma ora qui in Israele si intravede già la luce
alla fine del tunnel.
Continuo a fare da coordinatore del gruppo di
exallievi ed exallieve del Libano (200 circa) tramite
il sito che abbiamo creato dopo lo storico incontro
del 2007 a Roma “S. Cuore”.
La vita ci ha insegnato a privilegiare relazioni per­
sonali e informali. Infatti nel 1988 avevamo dato
origine ad una Unione formale, tenuta a battesimo
dal presidente confederale e dall’assistente mondia­
le. Quando i giovani (tra l’altro sparsi in eu, Nord e
Sud America, Africa) videro che si insisteva su tes­
sera, quota d’iscrizione, distintivo…, cominciarono a
ritirarsi e nel giro di un anno l’Unione scomparve,
mentre la rete di contatti personali ha allargato il
cerchio d’onda di anno in anno, e ora utilizza anche
streaming, zoom ecc. Questi exallievi hanno dato
prova di solidarietà concreta per la costruzione di una
scuola professionale ad Abaetetuba in Brasile, diocesi
del vescovo Flavio Giovenale (pure lui exallievo di
Beirut); adozione di ragazze dell’associazione libane­
se “Auxilia”; ricostruzione di due opere salesiane ad
Haiti dopo il terremoto del 2010; sostegno periodico
al forno di Betlemme; borse di studio per allievi del
dbt del Fidār-Jbeil; e altre micro-iniziative.
Nell’autunno 2019 ho visitato le nostre opere in Li­
bano e a Damasco, e da allora accarezzo un sogno:
appena riaprono le frontiere, dopo essermi “energiz­
zato” in Sardegna (una nuotata nel mare di Stintino,
una merenda con Cannonau, “pane e casu” a Bono…)
mi piacerebbe tornare a lavorare con i ragazzi di quei
centri, per ritrovare le radici dell’esperienza origina­
ria salesiana, la “presenza”
fra i giovani svantaggia­
ti. Ma temo che il sogno
dovrà aspettare, perché i
superiori mi chiedono di
continuare a occuparmi
di Simone Srugi (ricerca,
pubblicazioni, museo…)
fino alla sua beatifica­
zione. Sicché intensifico
le preghiere, perché essa
arrivi al più presto!
14
LUGLIO/AGOSTO 2021

2.5 Page 15

▲back to top
I Salesiani
in Israele
e Palestina
POPOLAZIONE ATTUALE 2021
La PALESTINA ha una popolazione di 5 051 953 abitanti a feb-
braio 2020, al 121º posto nel mondo.
ISRAELE al 13 aprile 2021: secondo l’Ufficio Centrale di sta-
tistica la popolazione israeliana ammonta a 9 327 000. Spe-
cifica: 6 894 000 israeliani sono ebrei (73,9% del totale);
1 966 000 sono arabi, compresi musulmani, cristiani e drusi
(21,1%); altri 467 000 (5%) sono cristiani non arabi, membri
di altre religioni minoritarie o non affiliati ad alcuna religione.
pane” e i salesiani hanno il più rinomato panificio
di Betlemme. Il contatto con le famiglie bisogno­
se, generato nel periodo dell’Intifada, ha portato a
stilare un elenco di poveri che ogni giorno ricevono
il pane ad un prezzo simbolico, qualcuno lo riceve
quotidianamente gratis.
Il panificio di
Betlemme:
per i poveri
il pane è
gratuito.
Nazareth
Proprio nella parte alta della cittadina, visibile a
chiunque arrivi dalla pianura di Esdrelon, noi sale­
siani abbiamo un bellissimo istituto scolastico con
circa 500 studenti. Gli studenti sono di nazionalità
arabo-israeliana, in gran parte musulmani, e per la
restante parte sono cristiani. È la migliore scuola di
tutta la Galilea.
È estremamente commovente sentire la testimo­
nianza dei giovani, specialmente dei musulmani,
che definiscono don Bosco un “padre, maestro ed
amico”.
Betlemme
Una casa molto bella e particolare. Si tratta di un
grande edificio tutto costruito in pietra bianca a
metà dell’Ottocento, come orfanotrofio, da don
Antonio Belloni. I salesiani arrivano a Betlemme
nel 1891 e subito don Belloni chiede di far parte
della congregazione salesiana.
L’etimologia del nome Betlemme significa “casa del
Cremisan
Un po’ in periferia dalla città di Gerusalemme, in
territorio appartenente alla Palestina, ma pericolo­
samente circondata dal muro che Israele continua a
costruire per delimitare i propri confini si trova la
casa di Cremisan al centro di una vasta estensione
di terreno agricolo coltivato a vigneto ed uliveto. Vi
si produce dell’ottimo vino bianco e rosso, che ha
preso anche dei premi a livello internazionale. Le
entrate dell’azienda agricola contribuiscono a soste­
nere le opere più bisognose.
Beit Gemal
A circa 35 chilometri da Gerusalemme, scendendo
verso il Mar Mediteraneo, è un centro di spiritua­
lità e di dialogo interreligioso, in particolare con
il mondo ebraico. A Beit Gemal i salesiani sono i
custodi della tomba di Santo Stefano proto martire.
Nella chiesa di Santo Stefano sono poi custodite le
spoglie del venerabile Simaan Srugi, un semplice
salesiano coadiutore, vissuto umilmente e attento ai
più poveri, la cui vita era in odore di santità ancora
egli vivente. Particolarmente amato dalla popola­
zione musulmana che lui prediligeva nel suo soste­
gno ai più bisognosi.
LUGLIO/AGOSTO 2021
15

2.6 Page 16

▲back to top
SENZA FRONTIERE
Giampietro Pettenon - Foto di Ester Negro
Ruanda
Tutta un’altra Africa
piena di speranza salesiana.
L a pandemia ci ha impedito per un bel po’ di
tempo di andare a far visita alle opere sale­
siane sostenute da Missioni Don Bosco, ma
finalmente abbiamo ripreso a viaggiare e sia­
mo arrivati in Ruanda. L’ingresso in questo paese è
relativamente facile e sicuro perché le autorità locali
hanno adottato protocolli di sicurezza contro il dif­
fondersi del contagio, per i propri cittadini e per co­
loro che desiderano entrare in Ruanda, che l’hanno
reso uno dei paesi più sicuri a livello mondiale. E
non è l’unico primato che detiene il Ruanda. La
capitale Kigali ha vinto il premio di città più pulita
Vale la pena
lottare per il
loro futuro.
dell’Africa... e anche di tante città italiane, dico io!
Venite a vedere con i vostri occhi se non ci credete.
Strade con asfalto senza nessun rattoppo; di buche
nemmeno l’ombra; aiuole fiorite e piante perfetta­
mente potate ai bordi delle strade; marciapiedi senza
inciampi e passaggi pedonali ben segnalati. Sembra
di stare in Alto Adige. Altro che le metropoli caoti­
che e infernali di Nairobi, Lagos o Il Cairo.
Effettivamente il piccolo paese – il Ruanda è poco
più grande del Piemonte – posto nella zona dei
Grandi Laghi, sulla linea dell’Equatore, sta viven­
do uno sviluppo economico del tutto particolare,
pur non possedendo le immense ricchezze naturali
del vicino Congo.
Una storia triste
Purtroppo il Ruanda ha anche un primato di atro­
cità che poche volte nella storia si è verificato. Il ge­
nocidio del 1994, chi di noi non è più giovanissimo
lo ricorda molto bene, è un fatto di cronaca che è
difficile anche solo da raccontare. In soli 100 giorni
si stima che morirono sotto i colpi di fucile, ma so­
prattutto di macete e bastoni chiodati, un milione
di persone, in particolare donne e bambini. Le due
etnie del posto: gli hutu e soprattutto i tutsi hanno
visto morire nel sangue i propri genitori, i fratelli,
i figli. Spesso si sono verificati massacri all’interno
della stessa famiglia o fra vicini di casa. Sono
morti anche preti e suore che cercavano di salvare
i loro fedeli. Ma al contempo ci sono stati anche
uomini e donne di chiesa che sono stati parte attiva
nei massacri. Del tutto inconcepibile, per noi che
ascoltiamo e leggiamo questi racconti drammatici.
Il genocidio in Ruanda è stato uno shock collettivo
che a distanza di 27 anni fatica ad essere superato.
In quella occasione l’onu ha costretto i missionari
salesiani europei a salire su un aereo e mettersi in
salvo in Belgio. Ma i salesiani bianchi hanno ri­
sposto che su quell’aereo della salvezza sarebbero
saliti solo se vi facevano entrare anche i confra­
telli salesiani africani, oppure sarebbero rimasti a
condividere la sorte che sarebbe loro toccata, tutti
insieme. Fu così che li portarono in salvo tutti e
che appena le condizioni di sicurezza lo permi­
sero, ancora una volta insieme, fecero ritorno in
16
LUGLIO/AGOSTO 2021

2.7 Page 17

▲back to top
Ruanda. Trovarono le opere salesiane devastate e
completamente saccheggiate. Si dovette ricomin­
ciare tutto daccapo.
Una macchina da cucire
Abbiamo visitato l’opera salesiana di Butare, una
città a sud del Ruanda, vicina al confine con il Bu­
rundi. Qui i salesiani hanno una grande parrocchia
con una chiesa appena costruita, grazie all’inter­
vento principale dei parrocchiani, di dimensioni
degne di una cattedrale. Poi c’è il centro di forma­
zione professionale che prepara cuochi, saldatori,
falegnami, muratori, parrucchiere, sarte e c’è anche
il Noviziato salesiano. È la casa di formazione nella
quale vivono, studiano e pregano i giovani che si
preparano ad essere salesiani consacrati nella Con­
gregazione Salesiana. Questo anno i novizi sono 16
giovani dai venti ai trent’anni provenienti da Ugan­
da, Burundi, Ruanda e Centro Africa.
Il popolo ruandese è ordinato e pulito. Non alza
la voce quando parla, è rispettoso delle regole. In
periferia delle città, così come nelle aree rurali, le
condizioni di vita non sono facili. C’è povertà ma
non miseria. E la povertà è vissuta con dignità.
Proprio a Butare mi hanno colpito tre situazioni di
povertà silenziosa e quasi nascosta in cui i salesiani
cercano di fare il possibile per aiutare questi sfor­
tunati.
Girando fra i laboratori del nostro centro di forma­
zione professionale ho sentito un bambino picco­
lo piangere. Ho chiesto ironicamente al direttore
se avevano aperto anche l’asilo. Non ha risposto a
parole ma ci ha accompagnato in una sala grande
adattata a laboratorio di taglio e cucito. C’erano una
ventina di ragazze madri che imparavano a fare le
sarte, ovviamente con i loro figli piccoli accanto.
Sono proprio ragazze di 16, 18 al massimo 20 anni
che, illuse da un fidanzato con la promessa di un
matrimonio, una volta saputo che erano incinte si
è dileguato. Ci hanno ringraziato infinitamente
per la possibilità di imparare un lavoro che le possa
rendere autonome e in grado di mantenere la pic­
cola creatura che spesso hanno ancora attaccata al
seno. Una di loro, a nome di tutte, ha osato anche
chiedere un ulteriore piccolo aiuto per avviare l’atti­
vità di sartoria una volta concluso il corso di forma­
zione. Una macchina da cucire a pedale costa 100
euro. Per noi sono una somma accessibile a molti,
per loro rappresenta un capitale quasi impossibile
da trovare. È già tanto se riescono a racimolare
qualcosa per comprarsi da mangiare e per l’igiene
personale e del loro bambino.
L’ingresso
della scuola
professionale
di Butare.
LUGLIO/AGOSTO 2021
17

2.8 Page 18

▲back to top
SENZA FRONTIERE
Il laboratorio
per le ragazze
madri.
«Fra poco comincio a lavorare»
Camminando in strada per andare dalla casa sale­
siana a visitare la nuova grande chiesa parrocchiale,
si avvicina un giovane mingherlino a Hubert – il
salesiano che ci accompagna. Lo chiama per nome
e gli dice: “Padre, non mi riconosci? Sono Petit”,
il nomignolo datogli dai salesiani 10 anni prima
quando, orfano dei genitori e vivendo con la sola
nonna, gironzolava tutto il giorno per la strada e nei
cortili della casa salesiana. “Vedi padre, ora ho 17
anni. Non sono più sporco e vestito male come allo­
ra. Non sono più un ragazzo di strada. I salesiani mi
hanno iscritto gratuitamente al corso di carpenteria
metallica presso il centro di formazione professio­
nale e fra poco comincio a lavorare e a mantenere
anche la nonna” e tutto orgoglioso ci presenta altri
amici come lui – che hanno solo una parvenza di
famiglia – e che sono avvicinati e aiutati come pos­
sibile proprio dall’opera salesiana di Butare.
Infine, nel laboratorio di cucina del centro di for­
mazione professionale salesiano intervistiamo due
ragazze: Nadine e Airenne – due sorelle ventenni
– che scopriamo essere profughe burundesi fuggite
con il fratello dopo la guerra scoppiata negli ultimi
anni. Dal Burundi varcare il confine con il Ruanda
ed arrivare a Butare è relativamente facile. La loro
fortuna è stata quella di incontrare don Bosco che
le aspettava al di là del confine del loro paese. E a
don Bosco e ai loro figli sono estremamente grate
perché, hanno ribadito entrambe, dandoci la possi­
bilità di frequentare il corso per diventare cuoche,
ci ha ridato la fiducia in noi stesse e la speranza nel
futuro.
La nostra visita alle opere salesiane del Ruanda è
iniziata da Butare, al sud del paese, ma ora ci avvi­
ciniamo alla capitale.
A scuola in barca
Ad una trentina di chilometri in direzione della
Tanzania, ad est, c’è il lago di Muhasi. È incuneato
in un lungo fondovalle abbastanza stretto e tortuo­
so. Lì, dalla fine degli anni ’60, i salesiani hanno
una proprietà proprio in riva al lago, che hanno
destinato a casa di soggiorno per campi scuola e
ritiri spirituali. Il silenzio, le acque tranquille, gli
uccelli variopinti che nidificano sui canneti a bordo
dell’acqua e che ti accompagnano nella meditazio­
ne con il loro canto, sono gli ingredienti di questo
pezzo di Paradiso.
Siamo però in una zona rurale in cui la strada asfal­
tata non è ancora arrivata. Molti ragazzi di quella
zona non frequentano la scuola per mancanza di
mezzi di trasporto e a causa della povertà della fa­
miglia. Per questo i salesiani hanno avviato ormai
da una ventina d’anni un bel centro di formazio­
ne professionale frequentato da circa 200 giovani.
Una parte di loro vive sulla riva opposta del lago.
Per loro è stato istituito un servizio di traghetto
con una bella barchetta che in pochi minuti per­
mette di passare da una parte all’altra del lago. Così
questi ragazzi non sono ulteriormente isolati, ma
18
LUGLIO/AGOSTO 2021

2.9 Page 19

▲back to top
accedono anch’essi alla formazione professionale.
In Ruanda i corsi di formazione professionale du­
rano ordinariamente un anno. Ma in quel centro
durano invece due anni, e per alcuni allievi anche
tre anni. Molti ragazzi e ragazze di quindici, anche
diciotto anni, si iscrivono ma non sanno leggere e
scrivere. Per questi allora vi è un anno propedeutico
di alfabetizzazione. Poi iniziano i corsi di cucina, di
costruzioni e di sartoria.
Investire nell’educazione
Continuiamo il nostro viaggio verso la capitale e
arriviamo a Kigali, nel quartiere popolare di Ga­
tenga. Un oratorio immenso e pieno di aree ver­
di è a servizio di questa parte della città. Lo fre­
quentano fino a duemila ragazzi ogni giorno.
Anche qui troviamo la formazione professionale
in pieno sviluppo. Un progetto finanziato dal go­
verno tedesco – con la costruzione di aule e la­
boratori – prevede di poter raddoppiare gli allievi
ed offrire un tirocinio pratico accanto al centro
di formazione professionale, nel settore turistico
alberghiero. Sì, perché nel progetto è contempla­
to anche un piccolo hotel immerso nella natu­
ra, nel quale potranno esercitarsi i nostri allievi.
Arriviamo infine al centro della città, in un ele­
gante quartiere residenziale dove ha sede la casa
madre dei salesiani in Ruanda, cioè la prima opera
salesiana fondata dai figli di don Bosco. Siamo nel
1964. Il Ruanda era, insieme a Burundi e Congo,
una colonia del Belgio e da Lubumbashi un gruppo
di missionari belgi sono invitati da un re locale ad
aprire una scuola a favore dei ragazzi del Ruanda.
Il re mette a disposizione un ampio appezzamento
di terra. A quel tempo non era sufficiente avere il
terreno per le costruzioni e i cortili, ci voleva anche
una zona da coltivare per dar da mangiare ai ragaz­
zi. Nasce così la scuola di Kimihurura, ancor oggi
molto conosciuta ed apprezzata dalla gente della
capitale. La frequentano più di 600 ragazzi e ragaz­
ze della scuola materna, elementare e superiore. C’è
anche il convitto scolastico maschile che ospita 200
ragazzi della scuola superiore. Nei giorni della no­
stra visita è stata pubblicata la graduatoria delle mi­
gliori scuole superiori del Ruanda. La nostra scuola
salesiana si è piazzata fra le prime cinque nel settore
della matematica. Una grande soddisfazione ed un
riconoscimento pubblico allo sforzo quotidiano di
salesiani ed insegnanti laici che con amore e tanta
competenza preparano i ragazzi migliori del paese.
Visitando la scuola abbiamo trovato in una zona
un po’ appartata, una stele con 71 nomi scritti e
divisi per categoria e per cognome. Ci sono nomi
di insegnanti e cognomi di intere famiglie. Sono
le vittime del genocidio del 1994 che furono uccise
proprio nell’opera salesiana.
Mi ha però consolato trovare nella scuola salesiana
a Kigali, vicino alla lapide dei morti, una scritta di
speranza che ci incoraggia molto nel nostro servi­
zio educativo a vantaggio della gioventù: Investire
nell’educazione, è investire sulla pace.
Alfabetizza­
zione e
formazione
professionale
sono in pieno
sviluppo e
apprezzatis­
sime.
LUGLIO/AGOSTO 2021
19

2.10 Page 20

▲back to top
LE CASE DI DON BOSCO
Roberta Mascario - Foto di Davide Baccaro
Soverato
I salesiani sono l’anima
della città dal 1908. Don
Rua, il primo successore
di don Bosco, vide nella
Perla dello Ionio il luogo
in cui fondare una nuova
casa salesiana. Da 113
anni l’opera è il principale
punto di riferimento per
i giovani che vedono nei
salesiani don Bosco, padre,
maestro e amico.
apostolico a Soverato: don Paolo Scelsi, confratello
della casa di Borgia, aprì l’oratorio festivo dal saba­
to al lunedì. Finalmente nel maggio del 1911 dopo
la benedizione della nuova chiesa, con casa annes­
Soverato è
una città di
novemila
abitanti,
incastonata
come una
perla nel
Golfo di
Squillace,
sulla costa
ionica della
Calabria.
L’Opera Salesiana di Soverato deve molto
alle benefattrici sorelle Baronesse Scoppa.
Il 27 luglio del 1904 la Baronessa Maria
Caterina Scoppa, Marchesa di Cassibile,
firmava il testamento con il quale lasciava a don
Rua tutti i territori di Acciarello in Soverato, con
l’obbligo di edificare una chiesa in onore di S. An­
tonio di Padova; la terza sorella, Alfonsina Scoppa
Marchesa di Francia, con un atto del 21 febbraio
del 1908 consegnava a don Piccollo, Ispettore sa­
lesiano della Sicilia, la somma di 110 mila lire con
l’obbligo di «… mantenere, educare cristianamente
ragazzi calabresi, avviandoli o alle arti, o all’agri­
coltura, o agli studi». Il 24 marzo iniziarono i lavori
per erigere la chiesa di S. Antonio e il 10 maggio
dello stesso anno don Rua benedisse la prima pie­
tra. I Salesiani non attesero che fossero terminati i
lavori della casa e della chiesa per iniziare il lavoro
20
LUGLIO/AGOSTO 2021

3 Pages 21-30

▲back to top

3.1 Page 21

▲back to top
sa, l’oratorio si stabilì definitivamente nella nuova
sede. Nel novembre del medesimo anno vennero
aggiunte le scuole elementari private diurne e sera­
li, autorizzate dal Governo. Iniziava così la storia di
apostolato e di educazione umana, culturale e cri­
stiana, che l’Istituto Salesiano di Soverato, fedele
alla sua missione, ha svolto e tuttora svolge a favore
della gioventù soveratese e calabrese.
La Parrocchia e l’Oratorio
Nel febbraio del 1941 monsignor Giovanni Fio­
rentini, Arcivescovo di Catanzaro e Vescovo di
Squillace, istituisce una Parrocchia per Soverato
affidandola ai Salesiani. Come primo parroco vie­
ne nominato il Direttore dei Salesiani don Ruggie­
ro Pilla. La prima sede parrocchiale era presso la
Chiesa del Santo Rosario e nel 1965 si trasferisce
presso la nuova Chiesa, costruita appositamente
per essere la Parrocchia di Soverato Marina e per
questo dedicata a Maria Immacolata. Dal 1970 al
1986 sono parroci don Alfonso Alfano e don Lindo
Formato. Ed è proprio in quegli anni che in tutta
la Chiesa i giovani si sentono investiti dal compi­
to di essere protagonisti nel cammino di rinnova­
mento della Chiesa: nascono dappertutto gruppi
giovanili di impegno ecclesiale a forte identità. A
Soverato, grazie all’impegno dei suddetti parroci,
nasce la comunità giovanile Betania che si impe­
gna maggiormente nella Chiesa e nella società con
varie attività: campi scuola, giornate di spiritualità
per i giovani della diocesi, animazione dell’oratorio,
feste popolari, colonie estive con i ragazzi più biso­
gnosi della Parrocchia…
Nel 2005 le due comunità salesiane si fondono in
una sola comunità che si occupa della Scuola e della
Parrocchia, divenendo nucleo della cep (Comunità
Educativo-Pastorale) di Soverato Marina. Il nuovo
parroco è don Tobia Carotenuto che è anche Diret­
tore della comunità religiosa e della scuola. Ancora
oggi l’Opera di Soverato è una realtà unita sotto
la guida del Parroco don Alfonso Napolitano e del
Direttore don Mimmo Madonna.
Il carisma di don Bosco e il suo Sistema Preventivo
si respirano sia in parrocchia sia in oratorio. L’O­
ratorio Centro Giovanile San Domenico Savio, il
cui spazio attuale è stato rinnovato l’8 dicembre del
2008, è il cuore della Parrocchia e di tutta l’Opera
salesiana con numerose attività, iniziative, proget­
ti territoriali rivolti ai giovani, in particolare i più
fragili. Per i giovani di Soverato l’oratorio è senza
dubbio una “casa che accoglie”, il luogo in cui vivi
appieno gli aspetti più belli della vita e impari ad
affrontare quelli più difficili.
Il carisma di
don Bosco e il
suo Sistema
Preventivo si
respirano sia
in parrocchia
sia in
oratorio.
LUGLIO/AGOSTO 2021
21

3.2 Page 22

▲back to top
LE CASE DI DON BOSCO
Anche qui
i Salesiani
vogliono
essere una
bussola per
il futuro
professionale,
umano e
culturale dei
ragazzi e dei
giovani.
La Scuola
La Scuola dei Salesiani ha origine dall’oratorio di
Valdocco, dove don Bosco, per iniziativa di Dio,
intraprese la sua azione a favore dei giovani, spe­
cialmente dei più poveri, e diede vita a un vasto
movimento di persone che operano a formare one­
sti cittadini e buoni cristiani. L’opera di educazione
scolastica da parte dei Salesiani a Soverato inizia
negli anni ’20. Attualmente l’Istituto Salesiano
S. Antonio di Padova è composto dalle Scuole
elementari, la Scuola Media, il Ginnasio-Liceo
Classico, riconosciute legalmente Scuola Paritaria
dal 2001 con Decreto Ministeriale, e l’Istituto
Universitario Don Giorgio Pratesi, affiliato alla
Facoltà di Scienze dell’Educazione dell’Università
Pontificia Salesiana di Roma (a partire dall’anno
accademico 2018/2019 avvia il primo corso trien­
nale in Educatore Sociale/Professionale con il con­
seguimento del titolo di Laurea Triennale L-19).
L’unione di apprendimento e spirito salesiano crea
un ottimo patto educativo tra scuola e famiglie: po­
ter apprendere tutte le conoscenze che permettono
di fare carriera professionale e allo stesso tempo
imparare ad essere persone oneste secondo la dot­
trina cristiana è un’occasione unica per i giovani.
Il Progetto Educativo Pastorale
Salesiano
Da quest’anno fino al 2024, l’intera Opera salesia­
na di Sant’Antonio di Padova rinnova il suo im­
pegno di educare con il cuore di don Bosco per lo
sviluppo integrale dei giovani fissando determina­
te azioni volte a raggiungere, mediante il Sistema
Preventivo, il pieno inserimento sociale e la capa­
cità di costruire un mondo più equo e più solidale
dei giovani. La famiglia salesiana insieme alla cep
si rivolge a tutti i giovani e, in particolar modo, ai
più fragili e vulnerabili attraverso attività culturali,
formative, ludiche e ricreative. L’obiettivo finale è
promuovere la cura della buona qualità della vita
personale, individuale e comunitaria.
Il peps fonda le sue radici a partire da una profonda
analisi della situazione giovanile attuale nel territorio
di Soverato, individuando le necessità che emergono
e le visioni di futuro che si intende raggiungere. Gli
obiettivi generali maturati alla luce della lettura ter­
ritoriale sono due: il primo è considerare la famiglia
22
LUGLIO/AGOSTO 2021

3.3 Page 23

▲back to top
L’Opera
salesiana di
Soverato è un
porto sicuro
per i giovani
e le famiglie
della città.
come priorità dell’azione pastorale dell’Opera salesia­
na di Soverato; il secondo è attuare il patto educativo
come “un cammino educativo che coinvolga tutti”.
Sulla base dell’identità dell’Opera, che tuttora rap­
presenta per Soverato scuola, cultura, educazione e
religiosità, si procede alla pianificazione degli am­
bienti e dei settori su cui operare, tenendo conto di
quattro dimensioni della pg salesiana: educazione
alla fede, educativo-culturale, di gruppo e associa­
tiva e vocazionale. Per ognuno degli ambienti e dei
settori presi in esame (rispettivamente Parrocchia,
Oratorio Centro Giovanile, Scuola, Istituto Univer­
sitario e Movimento Giovanile Salesiano, Anima­
zione vocazionale, Animazione missionaria e del vo­
lontariato, Comunicazione sociale, Emarginazione e
disagio, Animazione dello sport e del tempo libero)
e per ognuna delle dimensioni considerate, vengono
fissati obiettivi specifici, processi e interventi.
Il progetto prevede infine un’azione di verifica e
riprogettazione. In particolare, si ritiene necessaria
una verifica sia annuale sia finale. La prima serve
a monitorare lo stato di avanzamento del progetto:
la commissione designata dal Consiglio della cep
valuterà la realizzazione del percorso progettuale e
terrà conto di eventuali nuove situazioni non pre­
viste in fase di progettazione. La seconda, invece,
è prevista orientativamente per l’anno 2023-2024:
ogni settore, gruppo, associazione sarà chiamato,
attraverso un apposito questionario (analisi dei
“successi” e dei “limiti” nella realizzazione degli
obiettivi), a contribuire al processo di verifica fina­
le. Il materiale raccolto ed elaborato dalla commis­
sione dovrà essere utilizzato nella riprogettazione.
Oggi più che mai è importante mostrare ai giovani
che, anche nei momenti più difficili, la strada dei
“buoni cristiani e onesti cittadini” è sempre percor­
ribile. Il Sistema Preventivo di don Bosco, sempre
attuale, permette di aiutare tutti i giovani, special­
mente i più fragili, a scegliere la via del bene, dell’a­
more e della santità. L’Opera salesiana di Soverato
vuole essere un porto sicuro per i giovani della città
e un faro che li guidi nelle tempeste della vita e nel
comprendere l’importanza dell’affidarsi all’amore
del Signore.
LUGLIO/AGOSTO 2021
23

3.4 Page 24

▲back to top
FMA
Birgit Baier Foto: FMA Slovacchia
Traduzione di Marisa Patarino
Segni di speranza
sbocciano
Persona di riferimento e amica: Suor Anna Chrkavà conosce i problemi
e le preoccupazioni delle famiglie rom.
Una strada sterrata disseminata di buche
conduce a Orechov Dvor. I container in
cui vivono le famiglie sono circondati da
campi e prati, a quattro chilometri di di­
stanza dal centro della città di Nitra.
Fino al 2005, i rom vivevano nella città di 77 000
abitanti della Slovacchia occidentale, ma è poi stato
costruito un “villaggio” per loro e sono stati siste­
mati là. Molti cittadini di Nitra ritenevano che la
loro presenza in città non fosse più sostenibile. Da
allora, sembra che la vita di queste persone sia pre­
cipitata verso il basso, come in una spirale.
A Orechov Dvor vivono 56 famiglie, per un numero
globale di circa 400 persone. Suor Anna Chrkavà
e due sue consorelle fanno ogni giorno le pendolari
dall’appartamento in affitto all’ottavo piano di una
casa nel quartiere di Klokocina in cui vivono e l’in­
sediamento dei rom. Nel 2012 il sindaco di Nitra ha
chiesto alle Figlie di Maria Ausiliatrice se potevano
prendersi cura delle famiglie rom. Suor Anna presta
Alla periferia di Nitra e Kosice,
due città della Slovacchia, le Figlie
di Maria Ausiliatrice lavorano
al servizio delle famiglie rom.
Riescono a vedere lentamente
i primi risultati positivi, ma devono
perseverare e avere pazienza.
Ancora oggi molti rom vivono
in condizioni disumane.
24
LUGLIO/AGOSTO 2021

3.5 Page 25

▲back to top
IL LAVORO DELLE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE
CON I ROM IN SLOVACCHIA
L’Ispettoria slovacca delle Figlie di Maria Ausiliatrice, di
cui fa parte anche una comunità in Azerbaigian, ha se-
dici sedi. 85 suore lavorano in scuole d’infanzia, in altre
scuole, parrocchie, centri giovanili, in un ambulatorio
psicoterapeutico e nell’accompagnamento dei rom.
In Slovacchia vivono cinquecentomila rom. Costituisco-
no il dieci per cento della popolazione. Molti di loro si
erano stabiliti nella Slovacchia orientale. Questa mino-
ranza etnica in Europa ha una storia che risale a oltre
600 anni fa. Nel corso di questo periodo di tempo si
sono consolidati molti pregiudizi, ancora diffusi. I rom
hanno vissuto molte esperienze dolorose di espulsioni,
necessità di fuggire e omicidi. Il cambiamento della
situazione politica negli anni ’90 dopo la fine del co-
munismo ha portato anche nuovi problemi per i rom in
Slovacchia. Prima erano protetti da leggi che non sono
state recepite nella nuova legislazione. Molti rom vivo-
no isolati e in condizioni disumane alla periferia delle
città. Spesso mancano loro servizi essenziali come l’ac-
qua corrente, l’elettricità o la raccolta dei rifiuti.
I rom Olasski sono una minoranza con una storia, un
dialetto e tradizioni specifici.
il suo servizio nell’insediamento di queste famiglie
da due anni e ha alle spalle un’utile esperienza plu­
riennale: in precedenza aveva lavorato con famiglie
rom in una zona problematica nella città di Kosice,
nella parte orientale del Paese.
al
pr eNgeiullediszciouoelealil’roasgtializtàzi.
sono esposti
La pressione
psicologica cui sono sottoposti è enorme.
Suor Anna Chrkavà, Figlia di Maria Ausiliatrice
I ragazzi si sposano presto
Il gruppo che presta questo servizio comprende
anche una suora della Congregazione dello Spi­
rito Santo e una volontaria del vides. Una Figlia
di Maria Ausiliatrice lavora al centro che si prende
cura delle madri e dei loro figli di età inferiore a tre
anni. Suor Anna lavora come educatrice nella scuola
d’infanzia. Le suore e la volontaria offrono inoltre
un percorso della durata di un anno durante il quale
i bambini si preparano per raggiungere la prepara­
zione richiesta per iscriversi alla scuola statale.
«È ancora consuetudine che i figli dei rom si spo­
sino presto. Spesso i matrimoni sono combinati tra
le famiglie», spiega suor Anna. L’incidenza dell’ab­
bandono scolastico, soprattutto tra le ragazze, è
relativamente alta. Pochi ragazzi hanno terminato
gli studi in una scuola statale, solo alcuni hanno
frequentato una scuola superiore, in cui sono stati
esposti al pregiudizio e all’ostilità dei compagni di
classe. «La pressione psicologica cui sono sottoposti
è enorme. I ragazzi non riescono a sostenerla e a un
certo punto smettono di andare a scuola», ammette
la Figlia di Maria Ausiliatrice.
Inoltre, nelle famiglie rom non ci sono modelli di
ruolo per quanto riguarda l’istruzione. Molti anzia­
ni presentano un basso livello di scolarizzazione. La
maggior parte delle famiglie vive dei sussidi erogati
dallo Stato e del denaro che arriva dai bambini e dal­
le madri. Alcuni si dedicano a modeste attività. Le
condizioni di vita dei rom sono generalmente con­
traddistinte da povertà materiale, scarsa esperienza e
condizioni precarie di salute e di igiene.
Accompagna­
mento di
giovani madri:
i suggerimenti
per la vita
quotidiana
sono orientati
ad aiutare
e motivare
le persone
a rompere i
vecchi schemi
di comporta­
mento.
LUGLIO/AGOSTO 2021
25

3.6 Page 26

▲back to top
FMA
per  sVoongelisaimseoncthaenole
accolte e preziose.
Suor Anna Chrkavà,
Figlia di Maria Ausiliatrice
Molti di loro hanno esperienze
di uso di sostanze stupefacenti.
L’abitudine di sniffare la colla,
che permette di percepire la
realtà in modo distorto per al­
cune ore e attutisce gli stimoli
della fame, è già diffusa tra i bambini.
«Il nostro obiettivo è spezzare questo circolo vizio­
so. Quando incontriamo le giovani madri e i loro
figli, ci impegniamo affinché si sentano accolte e
preziose come esseri umani», dice suor Anna. È
stato creato un sistema a punti con piccoli incentivi
per motivare le persone a cambiare il loro compor­
tamento. «Concentrando la nostra attenzione sulle
donne, vediamo se si prendono cura dei loro figli,
diamo loro consigli sull’igiene personale e sulla
preparazione dei pasti. Andiamo anche in visita
dalle famiglie per vedere se vengono rispettati gli
accordi con noi e con l’ufficio di assistenza sociale,
verificando ad esempio se mandino a scuola i bam­
I giovani
vogliono
lasciarsi
alle spalle
l’opprimente
miseria
culturale e
materiale in
cui vivono.
bini più grandi», dichiara la religiosa, che ha 55
anni. Alla fine del mese, a seconda del punteggio,
le madri ricevono abiti, generi alimentari o altri
articoli che la Congregazione riceve da benefattori
per le famiglie.
La scuola d’infanzia è un’istituzione statale in cui
lavorano le suore. Sebbene il piano educativo sia
stabilito, l’anno scorso le religiose hanno potuto
allestire uno spazio con materiale Montessori per
aiutare i più piccoli a conoscere e amare la “dimen­
sione religiosa della vita”, come la definisce Suor
Anna «È molto importante praticare i valori fonda­
mentali della vita in comune».
Desiderio di cambiamento
Ora le Suore riescono a vedere piccoli segni di spe­
ranza. Ad esempio, un gruppo di giovani dell’inse­
diamento, che sono stati accompagnati dalle Suore
fin da quando erano piccoli, aiuta nelle attività ri­
creative proposte durante le vacanze estive. L’anno
scorso alcuni volontari del vides locali, il cui inca­
rico all’estero era stato annullato a causa del Coro­
navirus, hanno lavorato a Orechov Dvor. Hanno
prestato il loro aiuto soprattutto nel doposcuola e
per le attività del tempo libero. Suor Anna ha detto
che i giovani rom si sono sentiti stimolati dall’im­
pegno dei volontari. «È sorto in loro il desiderio di
prestare a loro volta opera di volontariato. La svol­
gerebbero volentieri all’estero. È bello vedere come
i più piccoli siano edificati dal loro esempio». Suor
Anna sorride mentre parla di questi progressi. Si
avverte l’entusiasmo con cui vive il suo lavoro, an­
che se non è sempre facile.
Dietro il desiderio dei giovani c’è anche un’aspira­
zione generale al cambiamento. Vogliono lasciarsi
alle spalle la miseria in cui vivono. Questo è però
un percorso arduo, di lungo respiro. Le Figlie di
Maria Ausiliatrice accompagnano le famiglie a pic­
coli passi. Alla fine, però, tutti devono seguire il
loro cammino. Ed è difficile in un gruppo etnico
quasi chiuso agli apporti esterni.
Un gruppo di giovani donne rom a Kosice dimo­
stra però che è possibile. Le donne si sono riunite
per vivere insieme in un appartamento, con l’aiuto
di una Suora. Qui hanno l’opportunità di seguire
un percorso di istruzione. Qui possono uscire dal
circolo vizioso delle tradizioni e cercare di costrui­
re un nuovo inizio. Qui possono apprendere e dare
alla loro vita una nuova prospettiva.
26
LUGLIO/AGOSTO 2021

3.7 Page 27

▲back to top
I NOSTRI LIBRI
Pepe
Il nuovo libro del Cardinal Bertone
Una magnifica enciclopedia della “sportività” in salsa salesiana.
Editore Bradipolibri
DALL’INTRODUZIONE
In casa mia sono attorniato da cimeli e trofei dei campioni di calcio e di
Formula 1, e conservo rassegne fotografiche di altri sport.
Spero che questo libro sia letto con gusto e susciti anche un nuovo impegno
a favore dello sport come eccellente strumento educativo, in consonanza con
la tradizione della Chiesa e dei più eminenti umanisti passati e presenti».
«Il nuovo libro del cardinale Tarcisio
Bertone non è solo un’opera letteraria,
ma un manifesto tout court in nome
della passione per la pratica sportiva,
intesa come quel connubio tra l’atti­
vità agonistica e il suo patrimonio di
valori.
Un capitolo importante è quello de­
dicato agli oratori. La loro funzione
sociale ed educativa ha rappresentato
non solo un luogo destinato alla pa­
storale giovanile della Chiesa catto­
lica, ma un punto di aggregazione e
formazione, sia religiosa sia umana.
Molti di noi sono cresciuti a calcio e
catechismo, con ginocchia sbucciate
sui campetti di terra o di cemento,
non prima, però, di aver ascoltato le
parole dei nostri padri spirituali sul
Vangelo, seduti su quelle mitiche
panche di legno.
Ripartiamo dallo sport come veicolo
di inclusione, di partecipazione e di
aggregazione sociale, perché le nostre
ragazze e i nostri ragazzi hanno biso­
gno di modelli positivi: lo sport è sen­
za dubbio uno di questi, ecco perché
“Credere nello sport”».
Giovanni Malagò Presidente CONI
È il ventitreesimo volume della serie
“Piccole storie per l’anima”
«Se vuol piacere e far del bene,
predicando ai fanciulli bisogna portare esempi,
parabole, similitudini».
(Don Bosco a san Luigi Guanella)
LUGLIO/AGOSTO 2021
27

3.8 Page 28

▲back to top
LA NOSTRA STORIA
E.B.
Salvo D’Acquisto
è anche nostro
Prima di diventare eroe e
medaglia d’oro, prima di essere
immortalato nel bronzo, fu anche
ragazzo, studente e calciatore
in erba nei cortili salesiani di
Napoli-Vomero. E prima ancora,
fu un frugolo nell’asilo delle FMA.
Perché non ricordarcene?
Il primo
francobollo
commemo­
rativo sul
sacrificio
di Salvo
D’Acquisto.
L a signora Ines Marignetti, la mamma, a 81
anni, era lucida, serena e forte. Ricorda­
va bene il suo Salvo, ragazzo del ginnasio:
«Andava dai Salesiani, non era interno ma
esterno. Ci andava la mattina e tornava alla sera:
stava tutto il giorno lì, fino alle sette, quando suo
padre andava a ritirarlo. Che cosa faceva? Andava a
scuola, poi a refezione, poi al doposcuola, e giocava.
I Salesiani guardavano i ragazzi giocare, facevano
tanti giochi. A lui piaceva molto il pallone: giocava
con i preti, loro pure erano giovani, gli piacevano
gli sport».
Salvo D’Acquisto, questo ragazzo che nel 1934-36
giocava al pallone con i giovani preti del Vomero, è
ora reputato un eroe (gli hanno dato la medaglia, gli
hanno fatto il monumento, gli hanno dedicato scuo­
le e vie delle città, hanno girato film sulla sua vita).
Un sopravvissuto, Angelo Amadio, allora dicias­
settenne, che lo vide morire, ancora recentemente
ammetteva: «Quel gesto, proprio non so se sarei
riuscito, io, a compierlo. Vivere piace sempre, ma
soprattutto quando si è giovani, e Salvo non aveva
ancora 23 anni. No, un uomo comune non poteva
fare quel gesto...».
Era il 22 settembre 1943, alcuni soldati delle fa­
migerate SS a Torre di Palidoro frugavano in una
cassa piena di cartaccia. Lì dentro c’era una bom­
ba, i soldati erano avvinazzati, la bomba esplose e
caddero riversi: un soldato morto e due feriti gravi.
Qualcuno doveva pagare, e quel qualcuno fu, libe­
ramente, volontariamente, Salvo D’Acquisto.
Quando il carico delle formiche
è troppo pesante
Lo ricordano: volto aperto e franco, con candore
quasi infantile. Occhi limpidi e sereni, sguardo
fermo d’una purezza cristallina. Sobrio nei ge­
sti e nelle parole, di modi accoglienti, e sempre
educato. Di indole mite, portato per natura alla
contemplazione e al raccoglimento, appassionato
per lo studio.
Era buono, ricordava la mamma: «La bontà era
una sua particolare virtù; e quando poteva compie­
re una buona azione, sapeva poi anche essere di­
screto». E aggiunge: «Non conobbe agiatezze, non
ebbe perciò tanti vizi o capricci. Vivendo così nel
28
LUGLIO/AGOSTO 2021

3.9 Page 29

▲back to top
sano ambiente della sua famiglia religiosa e onesta,
formò il suo carattere serio e riservato».
Gli piaceva leggere: «Tutti i soldi che gli donavano
li usava per comperare libri». Gli piaceva studiare:
«Negli studi riusciva bene». Gli piaceva cantare:
aveva una bella voce, cantava nel coro dell’orchestra
Scarlatti di Napoli. Gli piaceva fischiare: «A casa
fischiava tutto il giorno».
La scuola lo maturò. «Appare verosimile – ha scrit­
to il generale Filippo Caruso alludendo al ginna­
sio frequentato dai Salesiani – che l’assiduità della
preghiera e della meditazione religiosa abbia note­
volmente contribuito a maturarne lo spirito, ad af­
finarne la sensibilità, a rafforzare in lui quell’abito
di semplicità e di purezza che fu nella sua breve vita
come un noviziato di santità».
E a 18 anni, terminato il liceo, Salvo volle essere
carabiniere secondo una fiera tradizione di fami­
glia: come il nonno materno, e come diversi zii.
Ricettivo verso gli ideali, Salvo che «onorava la sua
patria come la sua famiglia» accettò la disciplina
non come una condanna da sopportare con ama­
ra rassegnazione, ma come condizione normale di
vita, liberamente e serenamente accolta.
precipita; con profonda tristezza Salvo assiste allo
sfacelo dell’Italia mussoliniana: il popolo soffre, e
lui non si rassegna.
Viene l’8 settembre 1943, l’armistizio. I tedeschi
occupano «manu militari», la parte di penisola che
controllano; nello scompiglio generale l’esercito ita­
liano senza capi e senza direttive si sbanda, si scio­
glie, si disperde. Ma i carabinieri no. Quando avan­
zano le truppe di liberazione essi non retrocedono,
ancora rimangono al loro posto, fedeli alla loro
gente (per questo, i nazisti nel 1944 saranno co­
stretti a decretare lo scioglimento della loro Arma).
L’8 settembre 1943 anche i carabinieri di Torrim­
pietra sono rimasti al loro posto. Ma le SS hanno
occupato la vicina Torre di Palidoro, quasi in riva
al mare (che secoli prima serviva alla gente del bor­
go per avvistare le navi corsare). I carabinieri, pre­
tendono le SS, ora avrebbero il compito di vigilare
sull’incolumità dei soldati tedeschi.
Quindici giorni dopo l’armistizio, ecco il fattaccio: la
bomba esplode a Torre di Palidoro, il soldato tedesco
rimane ucciso, il comandante delle SS decide che è
un attentato, che occorre applicare la legge marziale,
che cinquanta ostaggi dovranno finire fucilati.
Un murale
per il martire
carabiniere.
Al loro posto, accanto
alla loro gente
Ed ecco i tempi difficili che metteranno a dura
prova la sua fede civica e cristiana. La guerra, in
cui compie il suo dovere di combattente sul fronte
libico. Poi, per rendersi più utile, il corso di sottuf­
ficiale e il relativo esame a Firenze. Può passare da
Napoli a salutare i suoi.
«Signora Ines – chiederanno un giorno alla mam­
ma – qual è il più bel ricordo che lei conserva di
Salvo?». «Quando tornò dall’Africa e passò a casa:
mi strinse forte che quasi mi stritolava tra le sue
braccia. Poi è andato a fare il corso, e non ci siamo
visti più».
Nel settembre 1942 è vice brigadiere, e assegnato
alla Legione di Roma. Nel dicembre è a Torrimpie­
tra, a 30 km dalla capitale. La situazione militare
LUGLIO/AGOSTO 2021
29

3.10 Page 30

▲back to top
LA NOSTRA STORIA
Il monumento
al carabiniere
nei Giardini
Reali di Torino.
Ordine: scavare la fossa
Il sospetto si orienta subito sui vicini carabinieri:
se pure non sono i colpevoli, essi dovevano alme­
no prevenire, dovevano impedire. Il mattino del
23 settembre una motocarrozzetta con due SS si
presenta alla caserma di Torrimpietra. Il vice briga­
diere D’Acquisto in quel momento è il graduato più
alto, lo fanno salire in moto e lo portano a Palidoro.
Per Torrimpietra è un giorno come ogni altro: la
gente lavora tranquilla. Verso le undici arriva un
camion di SS e si ferma in piazza: i soldati smon­
tano, sparacchiano in aria, urlano e gesticolano.
Fuori tutti, mani in alto, «Raus, Raus!». «Avanti,
radunarsi sulla piazza».
Ventidue persone vengono racimolate, e vengono
inquadrate. Spiega un interprete: «Dunque avete
saputo cosa è successo questa notte? Avete fatto
atti di sabotaggio contro i nostri camerati tedeschi,
e dovete essere fucilati oggi stesso in cinquanta».
Bisogna salire sul camion, pigiati dentro, spinti a
moschettate. Il camion parte per Palidoro, si ferma
sulla piazzetta: giù tutti e ben inquadrati.
Sopraggiunge anche il vice brigadiere D’Acquisto,
guardato a vista da due soldati. E c’è il comandante
tedesco, alto e nervoso, con il frustino in mano: si
avvicina a D’Acquisto, gli intima di guardare gli
ostaggi e di indicare il colpevole.
È tutto così assurdo. Salvo potrebbe davvero puntare
il dito a casaccio, salverebbe tutti gli altri, di sicuro
salverebbe anche sé (forse anche la sua vita è in pe­
ricolo). Ma protesta che gli ostaggi sono innocenti,
che non sanno nulla. Allora i soldati lo insultano,
lo percuotono, tentano di strappargli i gradi, e non
riuscendo gli strappano la giubba di dosso. «Se non si
trova il colpevole – gridano –, moriranno tutti!». Poi
avanti, di nuovo pigiati sul camion. «Vogliono solo
spaventarvi, perché qualcuno di voi faccia il nome di
un colpevole», cerca di confortarli Salvo D’Acquisto.
Allora il comandante ordina di prendere le vanghe
e di scavare una fossa comune.
Un ostaggio interpella Salvo D’Acquisto: «Briga­
diere, dica lei qualche cosa, ai tedeschi! Noi non
siamo soldati, non siamo della polizia, non abbia­
mo fatto niente, non ci possono ammazzare così».
D’Acquisto è chiuso in una morsa d’angoscia. Ora
sa che le SS fanno sul serio, che ogni appello alla
ragione e alla pietà è sprecato.
Trova la forza di dire: «Non abbiate paura, vado a
parlare all’interprete», e lo raggiunge. C’è troppo
baccano, lì; si appartano. Uno scambio vivace, poi
insieme si recano dal comandante. «Se viene fuori il
responsabile dell’attentato – domanda D’Acquisto
attraverso l’interprete –, gli ostaggi saranno libe­
rati?».
Il comandante annuisce.
È un momento di vertigine. Sotto i suoi occhi, lo
scempio della patria sconfitta e calpestata, l’odio e la
barbarie, e quegli innocenti portati al macello. Salvo
fa dire dall’interprete: «Il responsabile sono io».
Tutti perdonati
Il comandante ha uno scatto, come colpito da una
frustata. Passeggia nervoso, disorientato. Quel ge­
sto l’ha colto di sorpresa, lo umilia.
30
LUGLIO/AGOSTO 2021

4 Pages 31-40

▲back to top

4.1 Page 31

▲back to top
Ma Salvo è già tornato agli ostaggi. «Che cos’ha
detto?», domandano. «Sentite, io ho fatto tutto
quello che potevo. Penso che non vi ammazzeran­
no». E dopo una pausa: «Forse vi porteranno a la­
vorare in Germania». E dopo un’altra pausa, come
parlando a se stesso: «Del resto, una volta si nasce e
una volta si muore». (Soltanto a sera, o l’indomani,
molti ostaggi arriveranno a sapere a quale prezzo
era stato giocato il loro destino).
Intanto la buca è terminata, il plotone dei solda­
ti sta in disparte, armi alla mano, inesorabile. Ed
ecco sopraggiungere il comandante, più stravolto
che mai. Si avvicina all’orlo della buca, batte il fru­
stino contro gli stivali, e grida al primo ostaggio:
«Fuori!», al secondo: «Fuori!», e così a tutti gli altri.
Gli ostaggi escono sospettosi e increduli.
Nella buca Salvo D’Acquisto è rimasto solo: «Tu,
resta lì».
Gli ostaggi pensano: è la fine.
Invece l’interprete traduce: «Avete sentito che co­
s’ha detto il comandante? Ha detto che lui non si
arrabbia, che lui è buono oggi, e che voi siete tutti
perdonati».
Gli ostaggi quasi non credono, si guardano stupe­
fatti, ridono, piangono. «E ora prendete i badili e
portateli al comando».
Non se lo fanno dire due volte. Poi via, di corsa a
casa, ad abbracciare la moglie, i figli, con l’incre­
dulità e la gioia di chi torna da un viaggio durato
dieci, vent’anni.
Solo uno degli ostaggi, oltre a Salvo, è stato trat­
tenuto: un ragazzo scambiato per un carabiniere
travestito in borghese, che per sua fortuna riesce a
dimostrare di avere appena diciassette anni.
Ricorda: «Pochi minuti dopo sentii una voce secca,
quasi metallica: “Viva l’Italia!”, e contemporanea­
mente, la scarica. Mi voltai d’istinto, temendo che
avessero sparato su di me. Feci appena in tempo a
vedere il brigadiere D’Acquisto impallidire, e cade­
re riverso nella fossa che noi stessi per una crudele
beffa del destino gli avevamo scavato. Un graduato
sparò ancora sul povero corpo crivellato un’ultima
scarica, poi i soldati spinsero con il piede un po’ di
terriccio sul cadavere ancora caldo, e si allontana­
rono».
Una ventina di giorni dopo, in piena notte, alcuni
abitanti di Palidoro e Torrimpietra insieme con il
parroco andarono a prendere la salma, la avvolsero
in un lenzuolo, e in corteo la trasportarono al ci­
mitero. Su quella tomba delle mani pietose presero
l’abitudine di posare fiori, anche quando le truppe
naziste di occupazione facevano buona guardia.
«Lei che è la mamma – hanno chiesto alla signora
Ines – come spiega il gesto di Salvo, che ha affron­
tato così sereno la morte per salvare gli altri?».
«Prima cosa: l’amore fraterno, che lui ha sempre
sentito per il prossimo, veramente. Poi, è cre­
sciuto sano, con la religione, con la modestia,
con sentimenti onesti. Poi, ha volu­
to andare nella
famiglia dei
carabinieri
dove certa­
mente ha acqui­
stato il senso del
dovere e la sag­
gezza di uomo.
Posso dichiarare
che è stato Dio,
che lo ha illumi­
nato a compiere
quel gesto».
Salvo D’Acquisto ha
vissuto radicalmente
lo spirito dell’Arma
dei Carabinieri.
marcovaldo / Shutterstock.com
LUGLIO/AGOSTO 2021
31

4.2 Page 32

▲back to top
CARI RICORDI
Franco Manca
Ritorno a Santu Lussurgiu
dove tutti ridiventano ragazzi
Della loro scuola sono rimasti solo
i muri, ma ricordano la sua anima,
fatta di amicizia, educazione e
allegria. Per cinquant’anni l’opera
salesiana ha operato stringendo
forti legami
non solo con gli
allievi ma con la
comunità. Che
non la dimentica.
Nella tarda primavera-
inizio estate, gli ex
allievi dell’Istituto Sa­
lesiano di Santu Lus­
surgiu, provenienti da tutta la
Sardegna, s’incontrano dove fu la
scuola, dove tutti hanno vissuto
un’indimenticabile esperienza di vita e indirizza­
to il proprio futuro, ci s’incontra per riassaporare e
rinnovare le conoscenze e le vecchie amicizie con i
valori e i principi dell’insegnamento di don Bosco.
Dopo la Messa, al pranzo fioriscono i ricordi, i rac­
conti e le storie che accomunano tutti.
Una storia gloriosa
Il ginnasio di Santu Lussurgiu Carta Meloni ha una
lunga storia. Fu fondato nel 1848 per volontà di due
benefattori lussurgesi dai quali prese il nome.
La gestione salesiana prese il via nel 1922.
Dopo un avvio difficile l’istituto registrò, di anno
in anno, progressi significativi.
L’istituto raggiunse nel 1943 il massimo degli in­
terni a convitto, con oltre 300 alunni, in seguito
allo sfollamento degli allievi interni dell’Istituto di
Cagliari verso Santu Lussurgiu a causa dei gravi
bombardamenti subiti dalla città.
Negli anni ’50 il Provveditore agli studi di Cagliari,
in occasione delle solenni premiazioni scolastiche,
affermò che il Collegio di Santu Lussurgiu era al
primo posto per i risultati degli allievi e la serietà
negli studi in tutta la provincia.
La storia di questa importante istituzione scolastica
si conclude nel 1972, dopo cinquanta anni d’intensa
e importante attività educativa rivolta agli allievi del
territorio e di tutta l’Isola.
Don Bruno Sechi
e Antonio Gramsci
Tra di loro don Bruno Sechi in Brasile, morto al­
cuni mesi fa di covid a ottant’anni e che merita un
particolare ricordo. Partì in missione, giovanis­
simo, dedicando tutta la sua vita alle popolazioni
32
LUGLIO/AGOSTO 2021

4.3 Page 33

▲back to top
amazzoniche, tra le sue numerose azioni a favore
dei più deboli fondò il Movimento Repubblica di
Emmaus che si batteva per i diritti civili. Alla sua
morte il governo dello Stato del Parà ha decretato
tre giorni di lutto cittadino. Nella capitale Belém,
dove ha vissuto, gli hanno intitolato una strada e
per giorni il suo ritratto è stato proiettato sulla fac­
ciata di un palazzo di quindici piani.
Un altro allievo illustre fu Antonio Gramsci, che
frequentò per tre anni, dal 1905 al 1907.
Giovanni Arca, un vecchio del vicinato, fratello
di un compagno di classe di Gramsci, lo descrisse
come forte e severo: «Se ne stava chiuso in casa a
studiare, al massimo si affacciava alla finestra, ma
sempre col libro in mano. Era molto intelligente, ci
aiutava a fare i compiti, di contro noi lo difendeva­
mo perché era piccolo e gracile».
Sono molti i salesiani che meritano di essere ricor­
dati, ma uno in particolare è rimasto nel cuore dei
lussurgesi e non solo, don Giuseppe Gotthard, co­
nosciuto come “il prete tedesco” ma che in realtà
era di origine Ceca. Arrivò a Santu Lussurgiu nel
1952 e da subito gli fu assegnata la gestione dell’o­
ratorio, dove si conquistò la fiducia e la stima dei
ragazzi lussurgesi e dell’intera comunità. Un gran­
de animatore che organizzava i tornei di calcio, in­
ventava e costruiva giochi. Aveva allestito nei locali
dell’oratorio un piccolo bar con il quale finanziava
le iniziative. Don Gotthardt era, però, soprattutto
il cinema, il grande fotografo e grafico che si diver­
tiva a fare anche le cartoline.
Tra i suoi grandi meriti c’è anche quello di aver do­
cumentato fotograficamente la vita del collegio e
della comunità per due decenni. Dopo la sua morte
è stata allestita un’importante mostra fotografica
con un catalogo, grazie ad una buona parte dell’ar­
chivio che lasciò in eredità alla comunità lussurgese.
Nel 1973 gli fu conferita la cittadinanza onoraria.
Nel 1975 concluse la sua esperienza in Sardegna e
venne chiamato a Roma alla Casa Generalizia per
occuparsi del settore della comunicazione sociale e
in particolare nel campo fotografico.
Malinconico oggi
Oggi l’edificio versa in condizioni di abbandono
e avrebbe bisogno d’ingenti investimenti per la ri­
strutturazione.
Con la partenza dei Salesiani e la chiusura di que­
sto lungo ciclo il legame dei lussurgesi con l’opera
salesiana non si è comunque mai concluso. Prova ne
sia che l’oratorio ha continuato le sue attività e nel
tempio di don Bosco non sono mai state interrotte
le funzioni religiose. La chiesa è stata ristrutturata
e nel 2013, gremita di fedeli, ha accolto la reliquia
di don Bosco.
La solenne cerimonia è stata celebrata dal vescovo
salesiano Mauro Maria Morfino che ha definito il
primo tempio dedicato a don Bosco in Sardegna,
un vero gioiello. Ancora oggi vi si celebrano, nei
fine settimana, le funzioni religiose e a giugno da
anni viene riproposta, ad opera di giovani entusiasti
e volenterosi, la festa di don Bosco.
Anche per questo la presenza annuale degli exallie­
vi rappresenta un piccolo segno della speranza che
un giorno l’istituto possa riprendere vita, seppure
in altre forme, riappropriarsi della sua funzione so­
ciale ed educativa.
I salesiani
sono un
ricordo, ma
gli exallievi
fanno di tutto
per tenerlo
vivo.
LUGLIO/AGOSTO 2021
33

4.4 Page 34

▲back to top
COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
Autogrill per educatori
7
I doni dell’estate
Fare il pieno di stupore
Covid a parte, l’estate resta sempre la stagione più
preziosa per fare il pieno di stupore: per fare il pie­
no di un valore dalla portata umanizzante tutta da
scoprire!
Fanno paura quei ragazzi che conoscono ogni cosa
del computer, ma non sanno nulla della poesia. Ra­
gazzi disincantati, aridi, senza vibrazioni interiori.
Ragazzi poveri che non sanno attingere alla minie­
ra dello stupore: Sì, perché lo stupore è una vera e
propria miniera.
Lo stupore è una forma di innamoramento.
Chi si stupisce dei fiori, non li calpesta, non li co­
glie per sé, ma li lascia crescere, liberi e belli, nei
campi.
Lo stupore ci vaccina contro la mentalità predatoria
ed aggressiva che ci fa dimenticare che non abbia­
mo il ricambio della nostra unica Terra.
Lo stupore blocca il tempo.
Chi ancora si emoziona alla vista della prima nevi­
cata che profuma di Natale, non ha ancora iniziato
a morire!
Lo stupore è l’ingresso del sapere.
Il celebre scienziato francese Louis Pasteur dice­
va: “Meravigliarsi di tutto, è il primo passo verso
la scoperta”. Sentenza non nuova. Già il filosofo
Socrate aveva sentenziato: “La saggezza comincia
dallo stupore!”
Lo stupore oltrepassa il cancello della preghiera:
ad un certo momento, infatti, si inginocchia per lo­
dare Chi ha disseminato le Sue impronte digitali
ovunque.
Finalmente lo stupore dilata il nostro spazio in-
teriore e lo arricchisce. Lo stupore è il passatempo
del genio! Johann Wolfgang von Goethe un giorno
ha confidato: «Esisto per stupirmi!».
Magnifico programma che ci invita a mettere in
prima pagina l’educazione allo stupore.
La fiducia è un gioco da bambini
Una mamma racconta: «Qualche giorno fa sta­
vo guardando mio figlio che si arrampicava su un
albero particolarmente alto. Lui era felicissimo di
mostrarmi la novità, mentre io morivo dalla voglia
di dirgli di scendere, di stare attento o che sarebbe
stato meglio non farlo. Avrei voluto tenergli la mano
o mettergli sotto un materasso. Ero terrorizzata
all’idea che potesse cadere, ma mi sono morsa la lin­
gua, consapevole che se l’avessi fermato avrei “tradi­
to” il metodo danese. A un certo punto ho persino
chiuso gli occhi e trattenuto il respiro. Lui è arrivato
34
LUGLIO/AGOSTO 2021

4.5 Page 35

▲back to top
fino in cima e poi è sceso tranquillo. Era raggiante
e orgoglioso di sé. Anche io ero orgogliosa di lui e
di me stessa per averglielo lasciato fare. Ecco, questa
potrebbe essere una buona analogia da prendere ad
esempio per tutto il resto della sua vita».
La fiducia è una cosa importante, perché è alla base
di ogni buona relazione, e uno dei primi spazi in
cui si sviluppa è proprio dentro di noi.
Aiutiamoli a risolvere i loro problemi, senza dire
di “no”. Invece di ripetere mille raccomandazioni,
spesso dal significato generico, cerchiamo di in­
coraggiare nei bambini la consapevolezza con do­
mande tipo: «Hai pensato a come fare per riuscire
a camminare in bilico su quel ramo?», «Come farai
a salire/scendere/attraversare?», «Cosa potrebbe
esserti utile?», «Visto com'è saldo quel ramo?».
Piuttosto che intervenire per metterli in sicurezza
o chiedere loro di smettere di fare quel che stanno
facendo, possiamo cercare di aiutarli a risolvere il
problema. Ad esempio: «Prova a muovere i piedi
più velocemente, mettici più forza», oppure «Hai
paura/Sei eccitato/Ti senti insicuro/Ti senti stan­
co?» sono tutte frasi che incoraggiano l’autostima e
focalizzano l’attenzione sull’esperienza del bambi­
no piuttosto che su quella dell’adulto.
ALL’ORATORIO
Un giornalista domanda angosciato a un animatore se non sia
pericoloso che i bambini corrano tenendo in mano dei bastoni.
L’animatore risponde in tono molto tranquillo: «A volte si
fanno male, sì, ma è un modo per imparare. Mi è capitato
solo una volta in diciassette anni di dover portare un ragazzi-
no in ospedale. Quindi no, non sono preoccupato».
Il giornalista passò nervosamente alla domanda successiva.
«E che cosa era successo?»
«Un genitore gli era salito sul piede con la macchina».
Giocare è crescere
Ricordate che il desiderio di giocare è innato nel
bambino, viene da dentro di lui. In ogni circostan­
za, persino nei territori devastati dalla guerra, i
bambini hanno sempre voglia di giocare. Il gioco
è del tutto indipendente dall’esterno, dal sistema di
premi, voti, trofei e riconoscimenti.
Durante il gioco il fatto di compiacere gli adulti
non ha il minimo peso. È attraverso il gioco che
i bambini imparano a conoscersi, a comprendere
alcuni meccanismi dello stare al mondo e a relazio­
narsi con gli altri. È il loro modo di rilassarsi dopo
una giornata faticosa, di alleggerire il carico. Ma
ogni volta si trovano a dover rinegoziare le regole
con i loro coetanei per poter continuare a giocare,
devono riuscire a sintonizzarsi sullo stato d’animo
dell’altro. Ed ecco l’intimo significato dell’empa­
tia. È attraverso il grande desiderio di continuare a
giocare che i nostri figli imparano l’autocontrollo,
che è un altro fattore importantissimo nella ricerca
della felicità.
Tutti fuori!
Il movimento fa bene, migliora l’apprendimento e
la concentrazione, alcuni bambini ne hanno biso­
gno più di altri.
Ricordatevi di don Bosco: fateli stare all’aperto.
Apprendimento e natura vanno a braccetto. Por­
tateli fuori, andate nei parchi, escogitate tutti i
modi possibili per farli stare in mezzo alla natura.
Lasciate che esplorino in autonomia, costruendo,
crea­ndo. Noterete subito grandi benefici.
LUGLIO/AGOSTO 2021
35

4.6 Page 36

▲back to top
LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
L’utopia possibile
della solidarietà
L Ho fatto un sogno / e ho visto un
posto in cui milioni di persone
danno vita a un altro sole; / sai che
c’è? / Tutti erano importanti e si
a storia degli ulti­
mi decenni ha in­
terpretato unila­
teralmente come
una conquista il crescente individualismo che si è
andato affermando a livello sociale ed esistenziale.
fidavano degli altri (Ermal Meta)
Soprattutto tra i giovani, cresciuti all’ombra di una
cultura insofferente verso ogni forma di obbligo in­
teriore o di vincolo esteriore che ingessi le scelte del
Ho fatto un sogno
e ho visto un posto in cui milioni di persone
danno vita a un altro sole;
sai che c’è?
singolo e svilisca la soggettività, si è fatto strada
il culto di una libertà assoluta e inderogabile, da
perseguire a tutti i costi e a qualsiasi prezzo. Una
libertà intesa come indipendenza illimitata, come
autonomia incomprimibile nei confronti di qualsia­
Tutti erano importanti e si fidavano degli altri,
si legame che, a lungo andare, possa rischiare di
come me che mi fido di te,
restringere il proprio spazio d’azione, come capa­
non c’era nessuno di giusto o sbagliato;
cità di autodeterminarsi in ogni situazione, rispon­
ci ho creduto, perché in fondo sembrava possibile...
dendo unicamente ai propri bisogni e desideri. Una
Con le mani
che si aggrappano al cielo stanotte
siamo meno lontani,
ma nel fango della stessa sorte.
Tutti noi siamo uguali,
che ridiamo con le costole rotte
per andare avanti,
libertà che, per difendere se stessa, non esita a sca­
vare fossati e innalzare steccati insormontabili.
Accade così che un valore di per sé positivo, frutto
di lotte secolari e di più recenti battaglie in direzione
del riconoscimento di sempre nuovi diritti, si trasfor­
mi talvolta in una trappola, in una “cella di lusso” –
come l’ha definita qualcuno – che, mentre ci regala
il miraggio di poter difendere la nostra vita da ogni
andare avanti così...
condizionamento esterno e dalle intrusioni altrui, ci
E non sei buono, non sei cattivo,
condanna alla solitudine esistenziale, al silenzio as­
ma sei quello che hai vissuto;
sordante dell’assenza di relazioni, erigendo un muro
tutto questo lo sai bene solo te.
E quante sconfitte hai dovuto ingoiare,
pensando che forse una cosa migliore
non ti poteva succedere...
sempre più alto tra noi e chi ci vive accanto.
Forse mai come in questo momento storico ne stia­
mo acquisendo consapevolezza! La smania di sal­
vaguardare la nostra privacy, il nostro “spazio vi­
tale”, il nostro diritto insopprimibile a una libertà
36
LUGLIO/AGOSTO 2021

4.7 Page 37

▲back to top
che non conosce limiti o compromessi, ci ha reso
sordi alle richieste di aiuto di chi ci sta intorno, in­
differenti a quello che accade oltre il recinto impe­
netrabile del nostro giardino, sempre più diffidenti
e distanti nei confronti degli altri. E se tanto abbia­
mo guadagnato in benessere e sicurezza, altrettanto
abbiamo perso in termini di “umanità”.
Ciò non significa, tuttavia, che il processo sia ir­
reversibile. Anzi proprio la crisi profonda che la
nostra società sta attraversando, se da un lato ha
contribuito a sgretolare l’illusione che il nostro stile
di vita fondato sul primato assoluto dell’individuo
e dei suoi bisogni soggettivi potesse durare indefi­
nitamente, dall’altro ci pone di fronte all’urgenza,
ormai non più derogabile, di recuperare il valore
della “compassione” e della solidarietà.
È nel riconoscerci come ospiti di passaggio della
stessa Terra, tutti ugualmente fragili e smarriti
nell’attraversare la tempesta della vita, che possia­
mo riscoprire l’importanza del contributo di ciascu­
no per costruire un mondo più giusto e accogliente
verso ogni donna e ogni uomo. È nel condividere
la stessa sorte di sofferenza e disorientamento, fatta
di fallimenti e costole rotte, che possiamo ricomin­
ciare a sentirci vicini, “diversi, eppure uguali” nel
nostro universale bisogno di amore e felicità.
Un’“utopia possibile”, in cui si possa essere auten­
ticamente liberi anche senza disegnare confini, in
cui l’individualismo incondizionato lasci il posto
a stili di vita più aperti e solidali, rispettosi del­
Di piuma le montagne,
di carta le catene,
divisi, eppure insieme,
scompaiono i confini,
diversi, eppure uguali
restiamo più vicini!
Con le mani
che si alzano al cielo stanotte
siamo meno lontani,
ma nel fango della stessa sorte.
Tutti noi siamo uguali
e balliamo con le costole rotte
per andare avanti,
andare avanti così,
andiamo avanti così...
Di piuma le montagne,
di carta le catene,
divisi, eppure insieme,
andiamo avanti così;
scompaiono i confini,
diversi, eppure uguali,
restiamo più vicini,
ricominciamo da qui...
(Ermal Meta, Un altro sole, 2021)
la dignità di ognuno, in cui la consapevolezza di
appartenere alla stessa comunità umana ci faccia
sentire responsabili della salvezza di ogni nostro
fratello e ci aiuti a riscrivere la grammatica della
reciprocità.
LUGLIO/AGOSTO 2021
37

4.8 Page 38

▲back to top
LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
“Ho pranzato
con un santo
Nella biografia di un famoso
abate, l’emozione dell’incontro
con don Bosco.
Oggi è abbastanza facile conoscere un san­
to da altare, è successo più volte anche a
me. Ne ho incontrati vari: il cardinale
di Milano Ildefonso Schuster (che mi ha
cresimato) ed i papi Giovanni XXIII e Paolo VI;
con madre Teresa ho conversato, con papa Giovan­
ni Paolo II ho pure pranzato. Ma un secolo fa non
era così facile, per cui aver avvicinato personalmen­
te un santo da altare era un’esperienza che rimane­
va impressa nella mente e nel cuore del fortunato.
Così è avvenuto per l’abate trappista francese dom
Edmond Obrecht (1852-1935). Nel lontano 1934,
allorché fu canonizzato don Bosco, tre giorni dopo
la solenne cerimonia, confidò al direttore del set­
timanale cattolico statunitense Louisville Record la
sua grande soddisfazione di aver conosciuto perso­
nalmente il nuovo santo, di avergli stretto la mano,
anzi di aver pranzato con lui.
Che cosa era successo? L’episodio è raccontato nella
sua biografia.
Quattro ore con don Bosco
Nato in Alsazia nel 1852, Edmond Obrecht a 23
anni si era fatto frate trappista. Appena fatto pre­
te nel 1879, padre Edmond fu mandato a Roma
come segretario del Procuratore generale delle tre
Osservanze Trappiste che nel 1892 sarebbero state
riunite in un solo Ordine con la casa generalizia la
Trappa delle Tre Fontane nella capitale italiana.
Nel soggiorno romano aveva la giornata di domeni­
ca libera e ne approfittava per andare a celebrare dai
confratelli cistercensi nella basilica di Santa Croce
in Gerusalemme. Titolare era il Vicario di Roma,
cardinale Lucido Maria Parocchi, per cui padre
Edmond ebbe modo di servirlo varie volte nei so­
lenni pontificali e entrare in confidenza con lui.
Ora il 14 maggio 1887 era prevista la consacrazione
della Chiesa del S. Cuore di Roma, accanto all’at­
tuale stazione Termini: una magnifica chiesa che a
don Bosco era costata un patrimonio e per la quale
aveva dato “corpo e anima” pur di riuscire a portarla
a termine. Vi riuscì e nonostante la salute ormai de­
cisamente compromessa (sarebbe morto otto mesi
dopo) volle presenziare alla solenne cerimonia di
consacrazione.
Per tale lunghissima celebrazione (cinque ore a por­
te chiuse) il card. Parocchi si fece accompagnare da
padre Edmond. Un’esperienza decisamente indi­
menticabile per lui. Scriverà 50 anni dopo: “Du-
rante quella lunga cerimonia ebbi il piacere e l’onore di
sedermi accanto a don Bosco nel presbiterio della chiesa e
dopo la consacrazione fui ammesso allo stesso tavolo suo
e del cardinale. È stata l’unica volta nella mia vita in
cui sono venuto a stretto contatto con un santo canoniz-
zato e la profonda impressione che mi fece ha indugiato
ancora nella mia mente per tutti questi lunghi anni”.
Padre Edmond aveva sentito parlare molto di don
Bosco, che in tempi di rottura delle relazioni diplo­
matiche della Santa Sede con il nuovo Regno d’Ita­
lia, godeva di una forte stima ed entratura presso i
politici del tempo: Zanardelli, Depretis, Nicotera. I
giornali del resto avevano parlato dei suoi interven­
ti per comporre alcune gravi questioni relative alla
38
LUGLIO/AGOSTO 2021

4.9 Page 39

▲back to top
I MANAGER DELLA TIM IN VISITA
Nel pomeriggio di giovedì 11 marzo u.s. un gruppo
di manager di TIM e delle poste italiane, guidati dal
Presidente di Telecom San Marino, ing. Nicola Baro-
ne, si sono recati in visita privata presso i luoghi di
San Giovanni Bosco in via Marsala a Roma. Dapprima
il salesiano coadiutore Cosimo Cossu ha illustrato con
grande dovizia di aneddoti l’arrivo e la vita di san Gio-
vanni Bosco nella sua ultima visita a Roma di diciotto
giorni, raccontando la sofferenza dell’uomo e i mira-
coli del santo all’interno della stanza in cui ha vissuto.
In seguito la delegazione è stata ricevuta dal Rettore
Maggiore don Angel Fernández Artime. Con lui si è
parlato dell’universalità della presenza della con-
gregazione salesiana nel mondo (oltre centotrenta
nazioni) e dell’importanza dei valori cristiani fondan-
ti in un momento come quello che stiamo vivendo,
scambiandosi in modo arricchente i reciproci punti di
vista. È stata pure ricordata la festa di San Giovanni
Bosco celebrata il
31 gennaio scorso
nella “Basilica Sa-
cro Cuore di Roma”
e trasmessa da RAI
1. Si è anche parlato
del grande “Proget-
to formativo” di don
Bosco sui giovani,
dell’ideazione degli “oratori” e della stampa salesia-
na come mezzo formidabile di comunicazione e for-
mazione dei giovani, all’insegna del motto di “buon
cristiano e onesto cittadino”. Al termine della visita il
Rettore ha voluto impartire una benedizione speciale
alle persone presenti ed alle loro famiglie, oltre che
all’azienda TIM, sottolineando con l’occasione il valo-
re che le aziende rivestono per il tessuto sociale del
paese e per il suo sviluppo”.
nomina di nuovi vescovi ed all’entrata in possesso
dei beni delle singole diocesi.
Dom Edmond non si accontentò di quella indimen­
ticabile esperienza. Successivamente in occasione di
un viaggio passò da Torino e volle soffermarsi per
visitare la grande opera salesiana di don Bosco. Ne
restò ammirato e non poté che gioire anche il giorno
della sua beatificazione (2 giugno 1929).
Post Scriptum
Il giorno prima della consacrazione della chiesa del
S. Cuore, il 13 maggio 1887, papa Leone XIII ave­
va dato udienza per un’ora a don Bosco in Vaticano.
Si era mostrato molto cordiale con lui e aveva pure
scherzato sul fatto che don Bosco data l’età si di­
chiarava prossimo alla morte (ma era più giovane del
papa!), don Bosco però aveva un pensiero che forse
non osò esprimere al papa in persona. Lo fece pochi
giorni dopo, il 17 maggio, sul piede di partenza da
Roma: gli chiese se poteva saldare in tutto o in parte
la spesa della facciata della chiesa: una bella cifra,
51 000 lire [230 mila euro]. Coraggio o impudenza?
Estrema confidenza o semplice sfacciataggine?
Resta il fatto che pochi mesi dopo, il 6 novembre,
don Bosco tornava alla carica chiedendo un inter­
vento di monsignor Francesco della Volpe, prelato
domestico del papa, per ottenere – scriveva – “la
somma di 51 mila franchi, che la carità del Santo
Padre fece sperare di pagare Egli stesso… il nostro
Economo va a Roma per regolare appunto le spese
di questa costruzione; egli passerà presso la E. V. per
quella migliore risposta che potrà avere”. Garantiva
che “I nostri orfanelli oltre a trecento mila [don Bo­
sco esagerava decisamente] pregano ogni giorno per
Sua Santità”. E concludeva: “Compatisca questa mia
povera e brutta scrittura. Non posso più scrivere”.
Povero don Bosco: in maggio in quella chiesa, cele­
brando davanti all’altare di Maria Ausiliatrice, ave­
va pianto più volte perché vedeva avverato il sogno
dei nove anni; ma sei mesi dopo il suo cuore era
ancora in angoscia perché alla morte che sentiva vi­
cina lasciava un forte debito per chiudere i conti di
quella stessa chiesa.
Per essa si spese veramente per vari anni, “fino
all’ultimo respiro”. Lo sanno ben pochi delle deci­
ne di migliaia di persone che ogni giorno vi passa­
no davanti, uscendo dalla stazione Termini in via
Marsala.
LUGLIO/AGOSTO 2021
39

4.10 Page 40

▲back to top
I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni  postulatore generale
 Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulatore@sdb.org
 Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
In questi mesi di luglio-agosto preghiamo per la canonizzazio-
ne del Beato Zeffirino Namuncurà.
Zeffirino Namuncurá nasce il 26
agosto 1886 a Chimpay, sulle
rive del Rio Negro, in Patagonia
(Argentina). Viene battezzato il
24 dicembre 1888 dal missiona-
rio salesiano don Domenico Mi-
lanesio. Il padre Manuel, ultimo
grande ‘cacico’ delle tribù indios
araucane, aveva dovuto arrender-
si tre anni prima alle truppe della
Repubblica argentina. A undici
anni il padre Manuel invia Zeffiri-
no a studiare a Buenos Aires, nel
collegio salesiano Pio IX. Il clima
di famiglia che si respira nel col-
legio salesiano lo fa innamorare
di don Bosco. Cresce in lui la di-
mensione spirituale e incomincia
a desiderare di diventare salesia-
no sacerdote per evangelizzare
la sua gente. Sceglie Domenico
Savio come modello, diventando
egli stesso esemplare nella pietà,
nella carità, nei doveri quotidiani,
nell’esercizio ascetico. Nel 1903
monsignor Cagliero lo accetta
nel gruppo degli aspiranti. A cau-
sa della scarsa salute del giovane,
dovuta alla tubercolosi, il vescovo
salesiano decide di condurlo in
Italia per fargli proseguire gli stu-
di e in un clima che sembra più
adatto. In Italia Zeffirino incontra
don Michele Rua e il papa Pio X,
che lo benedice con commozio-
ne. Frequenta la scuola a Torino e
in seguito nel collegio salesiano
di Villa Sora, a Frascati. Ma la tu-
bercolosi esplode con tutta la sua
forza. Muore a Roma all’ospedale
Ringraziano
Agli inizi di giugno 2020, le
scuole, mio campo di lavoro,
erano chiuse per causa covid.
La mia salute è andata in crisi;
ho cominciato a non star bene,
non mangiavo più e dimagrivo
a vista d’occhio. Qui a Kipusha
(Congo) non c’è il medico, solo
un infermiere che ha consiglia-
to il mio trasferimento verso
un ospedale. Il mio direttore
mi ha messo in macchina per
portarmi a Lubumbashi. La
prima tappa, Sakania 106 km,
dura più di quattro ore, a causa
dello stato penoso della pista.
Quando sono partito stavo ap-
pena in piedi. Era il 12 giugno
(giorno della morte di don
Galli). Durante il tragitto, il mio
pensiero è andato a don Silvio
Galli. Partivo senza sapere se
sarei tornato. Gli ho detto, a don
Galli: “Senti, pensaci tu. Poi farò
quel che Dio vorrà”. Sta di fatto
che, arrivati a Sakania, mi sono
messo a tavola con un appetito
che ha sorpreso tutti. Alla clini-
ca don Bosco di Lubumbashi i
medici che mi hanno esaminato
non hanno trovato alcuna pato-
logia. La gastroscopia (temevo
qualcosa di serio allo stomaco,
perché anni fa avevo sofferto di
ulcera gastrica con ricaduta) ha
trovato uno stomaco in ottimo
stato... Certo non sarà un mira-
colo, perché mancano le prove.
Ma nessuno mi leverà dalla te-
sta che dal cielo don Galli ci ha
messo un dito.
Don Antonio Perego,
missionario salesiano in Congo
Fatebenefratelli all’isola Tiberina
l’11 maggio 1905. Dal 1924 i
suoi resti mortali riposano nella
sua patria, a Fortín Mercedes,
dove folle di pellegrini accorrono
a venerarlo. È stato beatificato
l’11 novembre 2007 a Chimpay,
suo paese natale.
Preghiera
Ti ringraziamo, o Dio nostro Padre,
perché nel Beato Zeffirino hai dato ai giovani e a tutti i fedeli
un esempio luminoso di santità.
Docile alla tua chiamata,
ha cooperato fedelmente all’edificazione della tua Chiesa,
compiendo con pazienza e amore gli impegni di ogni giorno,
e perfezionandosi incessantemente nell’esercizio delle virtù.
Concedi anche a noi, di collaborare all’avvento del tuo regno
e ottienici la grazia che, per sua intercessione,
ti chiediamo. Per Cristo nostro Signore. Amen.
CRONACA DELLA POSTULAZIONE
Il 27 aprile 2021, è stato consegnato presso la Congregazio-
ne delle Cause dei Santi in Vaticano il volume della Positio
super Vita, Virtutibus et Fama Sanctitatis del Servo di Dio
Antonio de Almeida Lustosa, della Società di San Francesco
di Sales, Arcivescovo di Fortaleza (Brasile).
Il 30 aprile, presso la il Vicariato di Roma si è svolta l’Aper-
tura ufficiale dell’Inchiesta diocesana di Beatificazione
e Canonizzazione della Serva di Dio Madre Rosetta Mar-
chese (1922-1984), Suora Professa dell’Istituto delle Figlie
di Maria Ausiliatrice.
Con la presente, desidero rin-
graziare san Domenico Savio,
che mi ha accompagnato du-
rante la mia seconda gravidanza
ormai insperata, poiché prima
di rimanere incinta mi era stato
consigliato di sottopormi ad una
operazione per l’asportazione di
alcuni miomi uterini che avreb-
bero impedito l’instaurarsi di
una gravidanza. Consigliandomi
con la mia famiglia, ho preso la
decisione di non sottopormi a
tale operazione, ma di rimetter-
mi alla volontà del Signore per
intercessione di san Domenico
Savio a cui sempre mi rivolgo
per la protezione della mia prima
figlia. Dopo qualche settimana,
nonostante la mia patologia,
sono rimasta incinta ed è andato
tutto bene, i miomi non si sono
mossi e non hanno ostacolato la
crescita del bambino. Anche la
pandemia destava in me grande
preoccupazione, ciononostante
mi sono sempre sentita “protet-
ta” e durante le numerose visite
di controllo in ospedale non ho
mai contratto il Covid. Finalmente
il 30 novembre 2020 è nato Enea,
un maschietto sano e gioioso che
ha portato una grande grazia per
la nostra famiglia! Grazie san Do-
menico Savio, in te ripongo la mia
certezza che continuerai a proteg-
gere e guidare i miei figli.
Elisa Zago
40
LUGLIO/AGOSTO 2021

5 Pages 41-50

▲back to top

5.1 Page 41

▲back to top
IL LORO RICORDO E` BENEDIZIONE
Donato Cafarelli
Padre Salvatore Cafarelli
Morto a San Salvador, il 15 aprile del 2019,
a 75 anni
“DON BOSCO FINO AL MIDOLLO”
In El Salvador, terra dove padre
Salvatore Cafarelli ha lasciato
il segno più grande della sua
opera missionaria, una sua
frase con cui è più ricordato è
“Don Bosco hasta la medula”.
Questo dice molto di quella che
è stata la via che padre Salvato-
re ha seguito lungo la sua vita:
quella di servire gli altri e ope-
rare per gli altri con la costanza,
l’impegno e il sorriso tipico di
San Giovanni Bosco.
Nasce il 14 ottobre del 1944,
6° di 9 fratelli, da Donato Ca-
farelli e Carmela Colasurdo a
Laurenzana, un piccolo paese
della provincia di Potenza (Ba-
silicata). All’età di 12 anni, la-
sciando la sua famiglia e il suo
paese natio per seguire la sua
vocazione, entra nel seminario
minore salesiano a Bagnolo
(Cuneo). Nel 1961, a 17 anni
ancora da compiere, decide di
partire per le missioni: dopo
23 giorni di viaggio via nave, il
25 ottobre 1961, approda a El
Salvador. Da quel giorno tutta
la vita di padre Salvatore è de-
dicata al popolo salvadoregno,
e con varie tappe, al popolo
centro-americano.
Da quel momento, ultimò la
sua formazione come educa-
tore tra Roma, Lione e Città di
Guatemala prima di iniziare a
progettare, nel 1984, la fonda-
zione di una università salesia-
na in El Salvador.
Nel 1986 però, il paese, già nel
pieno di una guerra civile ini-
ziata nel 1980 e che aveva già
visto le drammatiche uccisioni
dell’arcivescovo di San Salva-
dor, Sant’Oscar Arnulfo Ro-
mero, e la politica Marianella
Garcia Villas, fu sconvolto da un
violento terremoto. Tutte le tre
opere salesiane nel territorio, il
collegio “Don Bosco”, la scuola
“Domenico Savio” e il collegio
“Ricaldone”, furono seriamente
danneggiate mettendo in seria
difficoltà la famiglia salesiana
della regione.
Tuttavia è da quelle macerie
che padre Salvatore cominciò
con i suoi confratelli a rico-
struire, ad operare per essere
a fianco della popolazione sal-
vadoregna e, sopratutto, dei
giovani, centro dell’opera sale-
siana. In quegli anni, proprio
i giovani erano i più coinvolti
nella sanguinosa guerra civile
di El Salvador, combattendo o
nell’esercito oppure militando
nelle forze ribelli. Utilizzando
le parole di padre Salvatore:
“Volevamo dare la possibilità di
pensare ad un El Salvador paci-
fico e con più giustizia”.
Con l’aiuto di impresari locali la
costruzione della Cittadella Don
Bosco a Soyapango, cittadina
popolosa, ma allo stesso tempo
povera, a pochi chilometri di di-
stanza dalla capitale, iniziò nel
1988. Con l’università, il Colle-
gio, il centro di formazione pro-
fessionale, la scuola primaria, la
Chiesa di San Giovanni Bosco,
la cappella “Gesù Maestro” e
il centro sportivo, la Cittadella
Don Bosco di El Salvador è l’ope-
ra più grande finora realizzata in
Centro America.
E proprio l’edificazione di que-
sto spazio unico che coinvolge-
rà padre Salvatore nel lavorare
per fermare la guerra civile.
Infatti, con l’inizio della stipu-
lazione degli accordi di pace
nel 1992, il sacedorte mette-
rà a disposizione le officine e
le aule per i giovani che negli
anni precedenti avevano preso
parte attivamente alla guerra,
dando loro una occasione di
formazione e “rinascita”. Padre
Salvatore Cafarelli non ebbe
paura di scommettere su chi,
fino a poco tempo prima, im-
bracciava i fucili arrivando a
confrontarsi con rappresentan-
ti dell’esercito e delle milizie:
diceva al personale della Cit-
tadella Don Bosco “Dobbiamo
aprire i nostri cuori”.
Padre Salvatore Cafarelli portò
la sua opera anche in Guatema-
la, Costa Rica (a cavallo tra gli
anni ’90 e 2000) e Nicaragua,
dove con obbedienza alla sua
missione si recò nel 2018, no-
nostante la diagnosi di cancro.
Anche negli ultimi mesi, prima
del ricovero in Italia, si spese
fino all’ultimo per i suoi amati
giovani nel centro giovanile
Don Bosco della capitale Ma-
nagua. L’ultima opera della cui
realizzazione è stato promoto-
re, e che gli è stata dedicata,
è un’officina meccanica per le
scuole professionali.
Infaticabile lavoratore nella vi-
gna di Nostro Signore, padre
Salvatore ha amato e ha ricevuto
l’amore di una comunità, quella
centro-americana, nella quale
si è subito immerso seguendo
la sua vocazione missionaria. Al
di fuori degli spazi e delle ope-
re salesiane è stato testimone
vivente del Vangelo. In molti lo
ricordano per la celebrazione
dell’Eucarestia trasmessa sui
diversi mezzi di comunicazione.
La sua curiosità per la tecnolo-
gia, insieme al suo amore per i
giovani, lo portò a fondare Ra-
dio Don Bosco El Salvador nel
2005.
Memorabili sono state le sue
barzellette e le battute con le
quali ha sempre saputo regalare
un sorriso. Un episodio partico-
lare che lo vide protagonista fu
un incidente con la sua amata
bicicletta, pedalando alle prime
luci dell’alba nella Cittadella
Don Bosco per assaporare l’i-
nizio della giornata lavorativa:
battè la testa contro l’ala sinistra
di un aereo posto vicino alle
officine della Facoltà di Aero-
nautica per le simulazioni degli
studenti. Curato con 16 punti
di sutura alla fronte commentò
sorridendo “Sono il primo uomo
a scontrarsi con un aereo!”.
Parlando del suo rapporto con il
Centro America, e in particolare
con El Salvador, padre Salvato-
re diceva: “Ringrazio Dio per
essere cresciuto spiritualmente
e aver lavorato in questo paese
sì piccolo ma grande per la sua
gente e le sue aspirazioni”.
LUGLIO/AGOSTO 2021
41

5.2 Page 42

▲back to top
IL CRUCIVERBA
Roberto Desiderati
Scoprendo don Bosco
La soluzione nel prossimo numero.
FUCINA DI ECCELLENZE
Il metodo educativo di don Bosco era unico ed estremamente ef-
ficace. Messo in pratica da quando, nell’’800, i primi allievi erano
ragazzini tolti dalle strade spesso abbandonati dalle famiglie o orfani, detenuti nei riformatori
o sottratti allo sfruttamento nelle fabbriche, trattati alla pari di schiavi e che, per salvarli, il
sacerdote pensò di avvicinare alla fede cristiana e al tempo stesso anche di istruirli e insegnar
loro mestieri che potessero dare un futuro migliore e una dignità. Da allora, aggregazione,
svago e studio sono stati il perno dell’”esperienza educativa integrale” di don Bosco e anche
il nostro papa Francesco ha riconosciuto l’importanza dell’opera salesiana. L’eredità di questo
grande lavoro è sotto gli occhi di tutti: oratori, scuole di ogni ordine e grado, centri di formazio-
ne professionale, parrocchie, case famiglia, centri di spiritualità, comunità di recupero e centri
di studio diffusi in ogni parte del mondo e ancora ispirati da quell’amore che portò a creare il
primo centro salesiano nel 1854. Tra i tanti exallievi e tra i XXX figurano molti volti noti della
nostra società e, per limitarci agli italiani: dall’ex premier Silvio Berlusconi al magistrato Gian
Carlo Caselli, l’ex sindaco di Torino Diego Novelli, il cantante, attore e showman Adriano Ce-
lentano, l’ex capo della Protezione Civile Guido Bertolaso. E poi, dal mondo dello sport i cam-
pioni del pallone Gianni Rivera e Pietro Anastasi, il giornalista e opinionista Marco Travaglio,
il popolare conduttore Pippo Baudo, il noto scrittore e
Soluzione del numero precedente accademico Umberto Eco, i cardinali Tarcisio Bertone e
Raffaele Farina e persino papa Francesco. Questi sono
solo pochissimi tra i più noti al grande pubblico ma, na-
turalmente, sono molte di più quelle persone, forma-
tesi negli oratori, nei seminari e nelle scuole salesiane
che hanno dato il loro eccezionale contributo, concreto
e positivo, in tutti i campi.
DEFINIZIONI
ORIZZONTALI. 1. In modo tempora-
neo - 14. Il capo del sinedrio che fece
arrestare Gesù - 15. Il ghiaccio tedesco!
- 16. Periodo di apprendistato prima di
un’assunzione - 17. La Terra ruota intor-
no al suo - 18. Colpite inavvertitamente
con il corpo - 20. Calca - 22. XXX - 25.
Aspri diverbi - 26. Nescio nomen o padre
ignoto - 27. Secco rifiuto - 29. Il bacino
minerario tedesco occupato dai vincitori
della Grande Guerra - 30. Senza spende-
re nulla - 32. L’associazione degli ex parti-
? giani (sigla) - 34. Il Tognazzi di Amici miei
(iniz.) - 35. Un puntolino sulla pelle - 36.
Il chiarore che precede l’alba - 38. L’opera
di Verdi con “Va, pensiero...- 42. La ta-
bella dei tempi da rispettare - 44. Un po’
ebbro - 45. Campicelli dove si coltivano
verdure - 46. Sforacchiate da colpi.
VERTICALI. 1. Ciclista specializzato in
corse su lunghi percorsi pianeggianti -
2. Sonora manifestazione di ilarità - 3.
È amata da Amleto - 4. Varese (sigla) - 5.
Il giorno appena trascorso - 6. Posta, col-
locata - 7. Espressione di lode al Signore
- 8. Vi si diplomavano i professori di edu-
cazione fisica - 9. Il centro del piatto - 10.
È famoso quello di Carrara - 11. Il mare
che bagna la Grecia - 12. È opposto a tutti
- 13. Condivideva l’Eden con Adamo - 14.
A Venezia c’è la Foscari - 18. Si citano con
i costumi di un paese - 19. Colorano fibre
tessili - 21. Si dice annuendo - 23. Il sig.
sulla busta - 24. Respirare affannosamen-
te - 28. Racconti popolari simili alle favole
- 30. Prefisso che vale Terra - 31. Mezza
Roma! - 32. Un grande lago asiatico che
sta scomparendo - 33. Gli abiti ... à-porter
confezionati in serie - 34. Articolo inde-
terminativo - 35. In mezzo al guanciale -
37. Una sigla sindacale - 39. Carlo critico
e letterato - 40. Antichissima città sumera
- 41. Commissario Tecnico (abbr.) - 42.
Adesso in breve - 43. Un po’ avventato.
42
LUGLIO/AGOSTO 2021

5.3 Page 43

▲back to top
LA BUONANOTTE
B.F.Disegno di Fabrizio Zubani
Il Re scricciolo
Allora Gesù fu pieno di gioia
per opera dello Spirito Santo e
disse: “Ti ringrazio, o Padre,
Signore del cielo e della terra.
Ti ringrazio perché tu hai
nascosto queste cose ai grandi
e ai sapienti e le hai fatte
conoscere ai piccoli. Sì, Padre,
così tu hai voluto”
(Luca 10,21).
Se tutti i «piccoli» del mondo...
U n giorno, tanto tempo fa, un
orso grande e grosso sentì
dire che lo scricciolo era il
Re degli uccelli.
Lo scricciolo però è un uccellino così
piccolo, ma così piccolo che l’orso
non voleva credere che fosse Re.
Decise perciò di ficcare il suo nasone
nella reggia del sovrano.
«Puah!» brontolò ad alta voce. «Questa
sarebbe una reggia? Lo scricciolo è
solo il Re degli straccioni!».
Ma nel nido c’erano i piccolini dello
scricciolo, così minuscoli da essere
quasi invisibili. Sentendo le parole
dell’orso saltarono su offesi e senza
paura si misero a gridare: «Chiedi
subito scusa, maleducato!».
L’orso se ne andò sghignazzando.
Poco dopo tornarono Re e Regina
scriccioli. I piccoli raccontarono
subito che cosa era accaduto.
«Non sia mai detto che i miei
piccoli vengano offesi» disse il Re.
«Dichiarerò subito guerra all’orso». E
così fece.
Quando l’ambasciatore piccolo picco­
lo di Re scricciolo andò a dichiarare
la guerra, l’orso gigantesco rise anco­
ra più forte e la sua risata soffiò via
l’ambasciatore, che era un moscerino.
Intanto l’esercito di Re scricciolo si
radunava. C’erano tutti gli animaletti
con le ali: uccellini, farfalle, mosche,
api...
Anche l’orso radunò il suo esercito.
C’erano tutti gli animali più grossi a
quattro zampe: lupi, cavalli, elefan­
ti... Il comando supremo era affidato
alla volpe, perché era la più astuta.
Prima di partire per la battaglia, la
volpe spiegò il suo piano ai soldati:
«Seguitemi e vi porterò alla vittoria!
La mia coda sarà il segnale. Finché
starà ritta avanzate e picchiate sodo.
Soltanto se mi vedrete abbassare la
coda, vorrà dire che le cose vanno
male e dobbiamo scappare, ma questa
è un’eventualità da non prendere
neppure in considerazione...».
Nascosta nel cespuglio vicino, c’era
una libellula del controspionaggio.
Subito volò dal Re a raccontare quel­
lo che aveva udito.
«Bene» disse il Re. «Quando la
volpe verrà avanti, la zanzara vada a
pungerla sotto la coda!».
I due eserciti si fronteggiarono. La
volpe aveva la coda ben dritta e,
dietro di lei, orsi e lupi ironizzavano
sui nemici.
Ma la zanzara piccola piccola volò
sotto la coda della volpe e cominciò a
pungerla e a pungerla finché essa fu
costretta ad abbassare la coda per il
dolore.
Vedendo la volpe con la coda abbas­
sata, i soldati dell’orso pensarono:
«Abbiamo perso!» e fuggirono a
gambe levate.
E questa volta risero Re scricciolo e i
suoi coraggiosi piccolini.
LUGLIO/AGOSTO 2021
43

5.4 Page 44

▲back to top
IL TUO 5x1000 OVUNQUE, 
 NEL MONDO
Per fornire
cibo, riparo,
cure mediche,
istruzione e formazione
professionale ai bambini
e ai ragazzi in situazione di
disagio. Con don Bosco al fianco
dei più vulnerabili.
SCOPRI DI PIÙ a pp. 6-9 di questo numero
e su www.donbosconel mondo.org
FONDAZIONE DON BOSCO NEL MONDO - Cod. Fisc. 97210180580
Via Marsala 42 - 00185 Roma - Tel. +39 06 6561 2663
WhatsApp +39 342 9984165
donbosconelmondo@sdb.org - www.donbosconelmondo.org
TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.