Bollettino_Salesiano_202105

Bollettino_Salesiano_202105

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Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
MAGGIO 2021
Confidate in
Maria Ausiliatrice
e vedrete che cosa
sono i miracoli
(Don Bosco)

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I FIORETTI DI DON BOSCO
B.F.
Il fido Bracco
Q uando Giuseppe, il fratello
di Giovanni Bosco compì
diciotto anni si trasferì con
la mamma e Giovanni, sedici anni,
al Sussambrino, un bel cascinale che
dominava una collina vicina ai
Becchi. Qui Giuseppe teneva un
cane da caccia, al quale Giovanni
aveva posto il nome di Bracco. Era
un cane affettuoso, giocherellone,
socievole e, come Giovanni scoprì
subito, davvero intelligente.
Nelle ore libere dalla scuola e dallo
studio, Giovanni cominciò ad adde­
strare Bracco. Gli insegnò a porgere
or l’una or l’altra zampa, a prendere il
pane con garbo.
Bracco imparò, dopo qualche incer­
tezza, a salire la ripida scala a pioli
che portava sul fienile. Giovanni gli
giocava tiri birboni. Quando il buon
cane era sul fienile, portava via la
scala e poi si allontanava. Il cane ab­
baiava, correva in su e in giù, cercava
un luogo agevole per poter discende­
re, si ritirava spaventato dall’altezza,
ma poi finalmente si gettava in basso
e tutto festoso gli correva dietro.
Ovunque andasse, Giovanni, era
accompagnato da Bracco. Qualche
volta, per il caldo e la stanchezza, il
giovane si toglieva la giacca e ordina­
va: «Bracco, porta la mia giacca!» Se
tardava a dargliela, il cane addentava
un lembo della giacca, che Giovanni
non si era ancora tolta, e la tirava.
Giovanni gli metteva la giacca sul
dorso, ed esso zampettava fiero,
badando che l’abito non cadesse.
Alla domenica, dopo le funzioni di
chiesa, Giovanni ritornava alla sua
collina accompagnato dagli amici
e, come faceva un tempo ai Becchi,
organizzava uno spettacolo di giochi
e abilità in cui la stella era il suo fido
Bracco.
Ad un certo punto, Giovanni or­
dinava al cane di saltare sul dorso
di una placida mucca che pascolava
nel prato. Il povero cane con uno
sguardo dubbioso e mesto fissava il
padrone, quasi volesse dire: «Roba
da matti!» Ma dietro l’intimazione
di Giovanni, che non ammetteva re­
plica, presa la spinta, saltava e cadeva
dalla parte opposta, per aver preso
troppo slancio. Giovanni gli ordina­
va di riprovare e il cane si fermava
sul dorso della mucca in equilibrio
precario.
Giovanni allora si allontanava, fin­
gendo di dimenticarsi di lui. Bracco
allora incominciava a guaire, ma ve­
dendo che il padrone si allontanava,
spiccava un salto e correva a raggiun­
gerlo e gli abbaiava davanti, come
volesse rimproverarlo. Naturalmente
scrosciavano risate e applausi.
Giovanni si affezionò al suo Brac­
co. E viceversa. Ma ricordando che
aveva promesso al Signore di non af­
fezionarsi mai più ad alcun animale,
dopo la tragica morte del suo merlo
canterino, quando i parenti di Mon­
cucco glielo chiesero, lo portò nella
loro fattoria. Ripartì di nascosto,
ma giunto a casa si vide comparire
innanzi il suo fido animale. Giovan­
ni non gli sorrise secondo il solito e
gli disse: «Vedi, Bracco, questa non
è più casa tua: dunque io non ti darò
più da mangiare». Il cane allora andò
ad accovacciarsi in un angolo della
stanza, e per un bel po’ non si mosse.
I parenti di Moncucco tornarono a
riprenderlo ma, appena fu libero, il
cane riprese la via del Sussambrino.
Giovanni lo ricevette con un bastone
in mano, ma il cane si sdraiò ai suoi
piedi guardandolo con occhi sup­
plicanti. Giovanni si commosse e lo
tenne con sé.
LA STORIA
Questa storia è raccontata nelle Memorie Biografiche, Volume I, pagina 239 e
seguenti.
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MAGGIO 2021

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Confidate in
Maria Ausiliatrice
e vedrete che cosa
sono i miracoli
(Don Bosco)
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
MAGGIO 2021
MAGGIO 2021
ANNO CXLV
NUMERO 05
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
La copertina: Il tenero ritratto di Maria custodito presso
l’Istituto “Nostra Signora delle Grazie” delle Figlie
di Maria Ausiliatrice a Nizza Monferrato. L’autore è il
piemontese Enrico Reffo, che riesce ad esprimere un forte
sentimento di contemplazione e di profonda devozione.
2 I FIORETTI DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 DON BOSCO NEL MONDO
Etiopia
10 TEMPO DELLO SPIRITO
Maria e don Bosco
12 LE NOSTRE GUIDE
Don Gildasio
16 FMA
La speranza su due ruote
18 SALESIANI
Babu Augustine
22 I NUOVI SALESIANI
Marco Baù
25 MUSICA
Inno a san Giuseppe
26 LE CASE DI DON BOSCO
Rimini
30 LA NOSTRA STORIA
Santa Maria Mazzarello
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 66
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Roberto Desiderati,
Emilia Di Massimo, Ángel Fernández
Artime, Antonio Labanca, Carmen
Laval, Cesare Lo Monaco, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto,
Pino Pellegrino, O. Pori Mecoi,
Luigi Zonta, Fabrizio Zubani.
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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Ángel Fernández Artime
Tota pulchra es Maria
(bellissima sei, Maria)
In un mondo che intravede la luce, ma si trova
ancora in un tunnel di penose apprensioni,
la nostra preghiera a Lei, alla Madre, ha
pienamente senso. Se guardiamo con
attenzione il volto di Maria scopriremo
non soltanto la sua bellezza, ma anche
l’amore che sgorga dai suoi occhi.
In questo mese tenero e bellissimo, cari amici del
Bollettino Salesiano e del carisma di don Bosco,
vi scrivo i miei più cordiali saluti.
I cinquanta giorni del tempo pasquale sono
quelli in cui celebriamo il fiorire della vita e del suo
trionfo su tutto ciò che “mortifica” gli esseri umani.
Nel cuore di questo tempo celebriamo Maria come
il fiore più bello donatoci da Dio.
Il mese di maggio, centro della primavera e della
rinascita è dedicato a Lei, la Madre, Maria di Na­
zareth, Madre di Gesù Cristo e Madre nostra. Don
Bosco e i suoi ragazzi riempivano questo mese di
toccanti funzioni e abitudini mariane. Anche oggi,
le persone sentono un forte desiderio di intonare gli
antichi inni mariani, che descrivono poeticamente
non soltanto la bellezza della Madre di Dio, ma, in
fondo, la nostra stessa bellezza.
Come “vedeva” don Bosco il quadro di Maria Au­
siliatrice che doveva campeggiare nel santuario?
Per giorni cercò di comunicare al pittore Loren­
zone tutto ciò che «voleva vedere» in quel quadro.
Dovette rinunciare alle dimensioni. Era povero, ma
voleva un quadro “bello”.
Lorenzone lavorò per circa tre anni. Riuscì a dare
al volto di Maria Ausiliatrice un’espressione mater­
na e dolcissima. Un testimone dell’epoca raccon­
tò: «Un giorno entrai nel suo studio per vedere il
quadro. Lorenzone stava sulla scaletta, dando le
ultime pennellate al volto di Maria. Non si volse
al rumore che feci entrando, continuò il suo lavoro.
Di lì a poco scese e si mise a osservare. A un tratto
si accorse della mia presenza, mi prese per un brac­
cio e mi condusse in un punto di piena luce: “Os­
servi com’è bella! Non è opera mia, no. Non sono
io che dipingo. C’è un’altra mano che guida la mia.
Dica a don Bosco che il quadro sarà bellissimo”».
Quando il quadro fu portato nel santuario e solle­
vato al suo posto, Lorenzone cadde in ginocchio e
si mise a piangere come un bambino.
Dio ha fatto il mondo non soltanto buono, ma an­
che bello. La bellezza che ammiriamo in molte sta­
tue e dipinti della Madonna riflettono la bellezza
del creato. La bellezza ci fa bene. Nella bellezza
l’anima si sente a casa: proprio quello che significa­
no le nostre chiese.
A partire dalla bellezza delle immagini mariane,
poi, possiamo tornare alla realtà spesso dura del
nostro mondo, senza esserne condizionati.
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In questi anni, visitando la Congregazione e la Fa­
miglia Salesiana nel mondo, ho avuto il dono di co­
noscere in molte nazioni come il cuore delle persone
diventava profondamente umano e sensibile quando
si trattava di guardare e sentire la Madre del Cielo.
Ho potuto visitare e celebrare la Fede in molti santua­
ri mariani: ho in mente, tra gli altri, Nostra Signora di
Fatima in Portogallo, Nostra Signora di Guadalupe
in Messico, Nossa Senhora Aparecida in Brasile, No­
stra Signora di Lujan in Argentina, Nostra Signora di
Loreto in Italia, la ‘Madonna Nera’ di Częstochowa.
Ho anche visitato, come potete immaginare, tante ba­
siliche e chiese dedicate a Maria Ausiliatrice in tutto il
mondo, con Valdocco e la casa della Madre al centro:
“Questa è la mia casa, da qui verrà la mia gloria”.
Sempre, e dico assolutamente sempre, sono sempre
stato colpito dalla profonda fede della gente. Sono
sempre sopraffatto contemplando le migliaia di per­
sone che ho visto lì, con le loro storie di vita, con le
loro lacrime, con la loro gratitudine per le grazie ri­
cevute. E tutto questo mi parla di un mistero in Dio.
Qualcosa di molto grande sta accadendo se dopo
duemila lunghi anni di storia dell’umanità continuia­
mo a sentire che Lei, è oggi più che mai la “Madre”.
Una «cattedrale»
nella giungla brasiliana
Scrivo «cattedrale» tra virgolette perché in quella
zona di giungla del Brasile dove vive la maggioranza
del popolo Boi-Bororo, con cui noi salesiani abbia­
mo condiviso la vita per decenni, non c’è una catte­
drale di pietra, nemmeno di legno, ma lì ho potuto
vivere l’emozione di vedere quella gente cantare alla
Vergine Maria, alla Madre, all’Ausiliatrice.
Durante la visita che ho potuto fare a quella missio­
ne, dopo l’Eucaristia, un gruppo dell’Associazione
di Maria Ausiliatrice, donne e uomini e giovani,
con i loro abiti da festa e le migliori piume che ave­
vano, stavano intorno alla statua dell’Ausiliatrice.
Da soli. Non c’era nessun prete a dare indicazioni.
Non era il caso. Non c’era bisogno di altro tra loro e
la Madre. E ho sentito delle belle canzoni nella loro
lingua, canzoni che avrebbero deliziato il nostro
amato don Bosco nei suoi sogni missionari. Chissà
se erano quelli dei suoi sogni.
E in quei momenti ero consapevole di quello che mol­
ti di noi sanno e sentono. Nel campo della Fede, dove
tanta gente è lontana o non sa quale cammino seguire,
Lei, la Madre continua ad essere un cammino sicuro,
una porta che si apre, una guida per i nostri passi.
Don Bosco era un genio
della pedagogia mariana
Se abbiamo imparato qualcosa su come avvicinare
i nostri ragazzi a Maria, lo dobbiamo a don Bosco.
Era un genio in questa pedagogia che faceva sentire
ai suoi ragazzi, molti dei quali orfani o con geni­
tori molto lontani o scomparsi, che Gesù era loro
amico, e che sua madre era anche la loro madre.
Don Bosco è il genio della pedagogia del concreto,
di fare della vita, pur nella sua durezza e nelle sue
esigenze, un motivo permanente di gioia e di spe­
ranza. E per questo, oggi nelle case salesiane, gene­
razioni e generazioni di exallievi e giovani portano
nel cuore l’amore per la Madre e la certezza che
affidandosi a lei, si scopre che cosa sono veramente
i miracoli, come prometteva lo stesso don Bosco.
Per questo, in un mondo che continua ad essere col­
pito dalla pandemia, che intravede la luce ma si trova
ancora nel tunnel delle tenebre, la nostra preghiera in
questo bel mese di maggio a Lei, alla Madre, ha pie­
namente senso. Se guar­
diamo con attenzione il
volto di Maria scopriremo
non soltanto la sua bellez­
za, ma anche l’amore che
sgorga dai suoi occhi.
E voglio pregare con
le parole di una grande
poe­tessa, la cilena Ga­
briela Mistral, una donna
credente che ha dedicato
questa poesia alla Ma­
donna:
Madre sono già qui, ai tuoi piedi lascerò
il cuore.
Triste il vivere, il vivere senza di te,
lunga l’angoscia e lunga la pena.
Nella più profonda piega del tuo ampio
mantello
questa antica stanchezza mi fa riposare,
asciuga il mio pianto e dammi il sole
prima di morire.
Mamma io sono già qui:
ho tolto la pace, ho causato sofferenza.
Se non riposa alla fine in te
dove tornerà il mio cuore?
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DON BOSCO NEL MONDO
Antonio Labanca
Etiopia
Il silenzio
degli innocenti
“C’è la fame e la popolazione soffre molto”.
È questo l’appello telegrafico che i salesiani
della regione del Tigray in Etiopia hanno
lanciato all’inizio dell’anno. La causa di questo
dramma sta in una guerra iniziata il 4 novembre
del 2020 e che, dichiarata conclusa il 28 dello
stesso mese, non è ancora del tutto sopita e
porta conseguenze di gravità estrema, tanto da
prefigurare una nuova crisi umanitaria in questa
frazione del Corno d’Africa e nei territori vicini.
Uccidereste
a sangue
freddo una
creatura bella
come questa?
Eppure nel
Tigray lo fanno.
Continuamente.
Don Alfredo Roca cammina con qualche
incertezza a causa dei dolori alle gambe
che iniziano a ricordargli di aver compiu­
to 87 anni. È arrivato in Etiopia dall’Eu­
ropa quando ne aveva 53, ed ha vissuto l’intero arco
delle vicende politiche che hanno disegnato la sto­
ria del Paese, dalla caduta del dittatore Menghistu
Hailé Mariàm nel 1991 all’avvento del presidente
Abiy Ahmed nel 2018. Don Roca giunse ad Adi­
grat, nel Tigray, dove sviluppò le opere tradiziona­
li salesiane avviate nel 1975 dai primi missionari:
“L’educazione dei giovani e la promozione sociale
vanno di pari passo. Noi salesiani non possiamo
tenere un seminario solo per noi. Dobbiamo de­
dicarci a tutti quelli che sono qui fuori” fu il suo
manifesto operativo.
Come lui, l’intera congregazione in Etiopia, nata
dai missionari e ora composta in grande maggio­
ranza da Etiopi, ha scelto la vicinanza alla popo­
lazione più povera come espressione del carisma
di don Bosco. I ragazzi che frequentano le scuole,
quelli assistiti sul piano alimentare, quelli accolti
dalla strada sono l’aggancio per operare strategica­
mente con le famiglie. Anche in questa emergenza
sono queste le destinatarie dei soccorsi alimentari
che distribuiscono i salesiani: per cerchi concentri­
ci, iniziando dalle più vicine (3800 nuclei), in questi
mesi sono arrivati ad assistere decine di migliaia di
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si
co nAtal vteanrmo ifnrea
delle operazioni belliche
i civili più di 50mila uccisi
e oltre 3 milioni di sfollati. Fame, sete, igiene
precaria, malattie hanno aggiunto migliaia
di vittime e costretto gli abitanti di interi villaggi
alla migrazione interna e verso il Sudan.
persone, consegnando il cibo casa per casa per evi­
tare assembramenti e per garantire che arrivi a chi
ha più bisogno.
La città di Adwa si trova in questo momento all’epi­
centro dell’emergenza. Qui i salesiani lavorano con
le Figlie di Maria Ausiliatrice e con le Missiona­
rie della Carità per produrre oltre 2500 pagnotte al
giorno destinate agli sfollati, dei quali si è riusciti a
fare un censimento sommario a fine marzo: sono
oltre 100mila, distribuiti in cinque centri. Sono in
maggioranza donne, fra cui 18 000 bambini e 1500
adulti sopra i 60 anni. Provengono da villaggi lon­
tani come Setit Humera, Kafta Humera, Mereb,
Segede Woreda, a testimoniare l’estensione della
follia che si è riversata sul Tigray. L’ospedale Kidane
Mehret delle Figlie di Maria Ausiliatrice è l’unico
che sia rimasto operativo nel Tigray dopo che gli
altri quattro statali sono stati messi fuori uso.
I conflitti fra le 80 diverse etnie che compongo­
no la popolazione dell’Etiopia – che si stima su­
periore a 110 milioni di individui (mancano dati
aggiornati) – sono un fenomeno che dura dalla ca­
duta del Negus. La competizione maggiore è fra
gli Amhara (che costituiscono il 27%) e i Tigrini
(6,08%): una minoranza, questa, qualificata sia sul
piano culturale ed economico-politico sia sul piano
politico-militare: fu protagonista del rovescio del
regime dittatoriale e ha retto il governo nazionale
fino al 2018.
Ad Addis Abeba i salesiani avvertivano da tempo
quanto odio covasse sotto un’apparente stabilizza­
zione della Repubblica Federale Democratica. Il
neo presidente Abiy Ahmed Ali era riuscito a sotto­
scrivere la fine del conflitto armato ultratrentennale
con l’Eritrea, e la collettività internazionale aveva
dato una patente di speranza assegnandogli il Pre­
mio Nobel per la Pace. Già due anni fa in una visita
di Missioni Don Bosco, l’allora superiore della Vi­
sitatoria abba Gebretsadik Estifanos Gebremeskel
esprimeva con terrore la possibilità che esplodessero
guerre fratricide. La mina vagante erano gli oltre
2 milioni di migranti interni a causa dei continui
assalti ai villaggi da parte di appartenenti a etnie
distinte, portati allo stremo dalla riduzione delle ri­
sorse alimentari. I cambiamenti climatici da un lato
e le tensioni politiche fra il governo della capitale e
le amministrazioni regionali dall’altro avevano in­
nescato un vortice sempre meno controllabile.
La scorsa estate si sono aggiunti l’assalto delle lo­
custe, provenienti dallo Yemen in tutto il Corno
Al Centro
salesiano di
Adwa dalla
mattina alla
sera si vede
una lunga fila
di persone,
bambini e
adulti, ricchi
e poveri allo
stesso modo,
che chiedono
cibo e acqua.
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DON BOSCO NEL MONDO
hanno avuto remore a bombardare anche gli abi­
tanti della propria nazione.
La scorsa
estate si sono
aggiunti
l’assalto
delle locuste,
provenienti
dallo Yemen
in tutto
il Corno
d’Africa, che
ha distrutto
interi raccolti.
d’Africa, che ha distrutto interi raccolti, e la diffu­
sione del Covid-19, di fronte al quale si è mostrata
la debolezza del sistema sanitario soprattutto nei
territori lontani dalla capitale.
Proprio la situazione determinata dalla pandemia
ha portato il governo di Addis Abeba a rinviare alla
data del 5 giugno 2021 le elezioni legislative e regio­
nali previste nel 2020, generando una forte reazio­
ne dell’opposizione e dei governi locali. Nel Tigray
si è ricompattato il Fronte di Liberazione, che ha
chiamato al voto i residenti per mostrare i muscoli
al presidente Abiy Ahmed Ali. Questi ha dichiarato
illegali le elezioni, e le ha assimilate a un colpo di
Stato: la parola è passata così alle armi. Il Fronte ha
compiuto attacchi a presidi militari, scatenando la
reazione dell’esercito già pronto a bloccare la regione
e ad effettuare una campagna di bombardamenti.
La guerra ha colpito la popolazione con la distru­
zione delle case e con l’avvelenamento delle fonti
d’acqua, riducendo a zero gli approvvigionamenti
alimentari, il tutto secondo un piano che ha il pri­
mo sapore di una pulizia etnica. La ferocia non si è
espressa solamente con i combattimenti ma anche
con la metodica distruzione del tessuto economico
tigrino, colpendo fabbriche e centrali di energia.
Insomma una guerra impari, rapida, tesa a fiaccare
alla radice l’indipendentismo del Tigray. Un’azione
certo non improvvisata, simile a quella che pur­
troppo si è vista in altri Paesi dove i governi non
Una crisi senza fondo
La tragedia si è costruita pezzo su pezzo secondo
il solito programma: accuse reciproche, violenze,
svuotamento dei villaggi, aggressioni ai civili, im­
pedimento ai soccorsi. Così l’Etiopia è caduta in
una crisi umanitaria che, secondo i salesiani, ripro­
porrà gli scenari del 1983-85, quando la carestia
incrociò la guerra trentennale con l’Eritrea e la ri­
bellione al governo centrale.
I Figli di Don Bosco hanno messo già a disposi­
zione la loro rete di case per dare assistenza ai pro­
fughi: la Visitatoria conta oltre 100 salesiani, di cui
20 nel Tigray distribuiti fra i centri di Makalle (la
prima opera in ordine di tempo), Adwa e Adigrat.
“Siamo qui per l’edificazione di tante persone: an­
che in questo tempo difficile continuiamo a rima­
nere con la gente portando più aiuto e consolazione
possibile” ci scrive il nuovo superiore abba Haile­
mariam Medhin Tesfay.
La crisi è totale: cibo, acqua, case, igiene, salute. Le
suore di Adwa sottolineano che “non ci sono state
vaccinazioni da quasi tre mesi, quindi si teme che
presto inizieranno le epidemie”. La popolazione
muore a casa, le donne partoriscono senza assisten­
za ostetrica.
Su tutto ha pesato e pesa tuttora la difficoltà di
comunicare, sia per l’organizzazione dei soccorsi
sia per far sapere all’estero che cosa sta succeden­
do. “L’intera regione è stata tagliata fuori da elet­
tricità, Internet, reti mobili, approvvigionamento
idrico per quasi tre interi mesi” spiega abba Lijo
Vadakkan che solo a fine marzo ha potuto inviare
al nostro Bollettino una prima relazione. “È stato
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LA STORIA DI ASHENAFI (NOME FITTIZIO) È STRAZIANTE
Era uno dei tanti ragazzi che stavano al cancello del Centro Don Bosco di
Adwa, implorando l’acqua e viveri. In qualche modo il suo volto attirò l’at-
tenzione di abba Luan, missionario vietnamita che opera come economo.
Poiché il viso non era familiare, il salesiano gli si avvicinò e gli domandò chi
fosse e da dove provenisse.
Ashenafi era uno studente della classe ottava nella scuola governativa di
Adwa. Era l’ultimo figlio della sua famiglia. Suo padre aveva abbandonato
sua madre e i bambini da più di 5 anni. Aveva due sorelle e due fratelli
maggiori. Ogni giorno percorreva quasi sette chilometri per raggiungere la
sua scuola. Non aveva mai sentito parlare di don Bosco, non avendo avuto
mai occasione prima di andare al centro: camminare ogni giorno sette chi-
lometri per raggiungere la scuola impegnava tutto il suo tempo fuori casa.
Da quando era scoppiata la guerra nel Tigray la famiglia si trovava in grande
difficoltà. Non c’era niente da mangiare, la madre era l’unica portatrice di
reddito della famiglia lavorando nella Almeda Textile Factory, produttrice
per conto di industrie internazionali, che durante la guerra di novembre fu
completamente distrutta dai bombardamenti. Questa fabbrica dava lavoro
a più di 7mila operai. I due fratelli di Ashenafi sono stati uccisi dai soldati
durante i rastrellamenti, una delle due sorelle è scappata di casa cercando
di salvarsi dallo stupro.
Ora Ashenafi è rimasto solo con la madre malata e la sorella minore. Viene
regolarmente al Centro Don Bosco per prendere acqua da bere e frammenti
di pane per la madre e la sua sorellina.
La storia di Ashenafi è purtroppo comune a tanti bambini oggi in Tigray.
A destra il superiore della Visitatoria dell’Etiopia, abba
Hailemariam Medhin, insieme al signor Cesare Bullo,
salesiano, responsabile dell’Ufficio Pianificazione
e Sviluppo di Addis Abeba. Sono in prima linea per
combattere la grave emergenza umanitaria causata dalla
guerra e dalla pandemia grazie alla generosità di tanti
donatori in tutto il mondo.
difficile verificare le informazioni sulle presunte
atrocità a causa delle restrizioni dei media e del
blackout delle comunicazioni nelle aree colpite dal
conflitto nella regione montuosa”.
Al Centro salesiano di Adwa dalla mattina alla sera
si vede una lunga fila di persone, bambini e adulti,
ricchi e poveri allo stesso modo, che chiedono cibo e
acqua. Fra le tante la storia di Ashenafi, ragazzo in­
contrato da abba Luan, che riportiamo nel riquadro.
I segnali confusi arrivati a fine 2020 si sono progres­
sivamente trasformati in relazioni precise e program­
mi di azione dei Figli e delle Figlie di Don Bosco in
Etiopia. Anche il vis, la ong legata ai salesiani in
Italia, si è resa operativa con la sua rete già attiva in
varie località dell’Etiopia. Il coadiutore Cesare Bullo
sdb, responsabile dei progetti di sviluppo nel Paese,
sta convertendo tutte le risorse disponibili in inter­
venti di emergenza, che devono considerare non solo
la raccolta di cibo e medicinali ma anche le modalità
di trasporto in sicurezza fino al cuore del Tigray e
nei villaggi dispersi. Non è nuovo alle emergenze,
e con lui l’operazione si trova in mani sicure: ha già
fatto affluire acqua, farine, miscele e biscotti, abiti,
saponi. L’approvvigionamento è molto scarso nella
regione poiché i trasporti sono praticamente nulli.
Riemerso dal silenzio forzato che aveva preoccu­
pato i confratelli e i sostenitori dall’Europa, don
Roca come gli altri salesiani operanti nel Tigray dà
segnali di speranza, pensando ai suoi orfani: “Non
vedo l’ora di riunire i bambini adottati a distanza e
le loro famiglie per darvi buone notizie. Grazie per
tutto il vostro aiuto”.
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TEMPO DELLO SPIRITO
Carmen Laval
La Madonna di don Bosco
La statua
che ogni
24 maggio
percorre le
vie di Torino
in mezzo
ad una folla
strabocchevole.
1. MAESTRA
Nel primo sogno Giovannino Bosco chiese:
«Come potrò acquistare la scienza?»
«Io ti darò la maestra. Sotto la sua guida si diventa
sapienti, ma senza di lei anche chi è sapiente diven­
ta un povero ignorante».
2. SALVA
Una nobilissima Signora vestita regalmente si fece
alla sponda di quel balcone gridando: «Figli miei,
venite, ricoveratevi sotto il mio manto».
In quel mentre si distese un lar­
ghissimo manto e tutti i giovani
presero a corrervi sotto.
3. GUARISCE
Il mal d’occhi persi­
steva ostinato a dargli
fastidio. Chi temeva la
cataratta, chi dubitava
non esservi più rimedio
alla graduale cecità; il
dottor Reynaud, of­
talmico assai stimato,
disse chiaro e netto che
non c’era più da spera­
re. Don Bosco raccontò
al segretario che alcu­
ne notti addietro una
misteriosa signora gli
era apparsa nel sonno,
tenendo in mano la
boccetta di un liquore
verde scuro e gli aveva
detto: «Ecco, se vuoi
guarire del suo mal
d’occhi, prendi tutte le
mattine un po’ di questo sugo di cicoria per cin­
quanta giorni, e ti passerà». Fin dalle prime volte
che prese quella medicina, don Bosco avvertì un
miglioramento.
4. GUIDA
Barcellona, notte dal 9 al 10 aprile del 1886. Uno
dei più bei sogni di don Bosco.
Sognò di trovarsi sopra un poggio, dalla cui vetta
scorgeva una selva, ma coltivata e percorsa da vie
e da sentieri. La Pastorella si fermò accanto a don
Bosco e gli disse: «Bene. Ora tira una sola linea da
una estremità all’altra, da Santiago a Pechino, fan­
ne un centro nel mezzo dell’Africa e avrai un’idea
esatta di quanto debbono fare i Salesiani».
«Ma come fare tutto questo?» esclamò don Bosco
«Le distanze sono immense, i luoghi difficili e i
Salesiani pochi».
«Non ti turbare. Faranno questo i tuoi figli, i fi­
gli dei tuoi figli e dei figli loro; ma si tenga fermo
nell’osservanza delle Regole e nello spirito del­
la Congregazione. Questi centri che tu vedi for­
meranno case di studio e di noviziato e daranno
moltitudine di Missionari. Là c’è Hong Kong, là
Calcutta, più in là il Madagascar. Questi e più altri
avranno case, studi e noviziati».
Don Bosco ascoltava guardando ed esaminando,
poi disse: «E dove trovare tanta gente?»
«Guarda, rispose la Pastorella, mettiti di buona
volontà. Vi è una cosa sola da fare: raccomandare
che i miei figli coltivino costantemente la virtù di
Maria».
5. ACCOMPAGNA
Mi comparve la Regina del cielo e mi condusse in
un giardino incantevole sulla quale a vista d’occhio
prolungavasi un pergolato incantevole a vedersi, che
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MAGGIO 2021

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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era fiancheggiato e coperto da meravigliosi rosai in
piena fioritura. Il suolo era tutto coperto di rose.
La Beata Vergine mi disse: «Togliti le scarpe!». E
soggiunse: «Va avanti per quel pergolato: è quella
la strada che devi percorrere». E cominciai a cam­
minare; ma subito sentii che quelle rose celavano
spine acutissime, cosicché i miei piedi sanguinava­
no. Quindi, fatti appena pochi passi, fui costretto a
fermarmi e poi a ritornare indietro.
«Qui ci vogliono le scarpe» dissi allora alla mia
guida. «Certamente, mi rispose: ci vogliono buone
scarpe. Le rose sono simbolo della carità ardente
che deve distinguere te e tutti i tuoi coadiutori.
Le spine significano gli ostacoli, i patimenti, i di­
spiaceri che vi toccheranno. Ma non vi perdete di
coraggio. Colla carità e colla mortificazione, tutto
supererete e giungerete alle rose senza spine».
6. MADRE
Mamma Margherita morì il 25 novembre 1856.
E don Bosco pianse molto, nelle braccia di suo
fratello Giuseppe. Poi corse alla «Consolata», la
chiesa di Maria Consolatrice, tanto cara alla sua
mamma. Erano le cinque del mattino e il buio era
rotto solo da qualche candela. Con gli occhi pieni
di lacrime, Giovanni riversò tutto il suo dolore e
tutto se stesso, nelle braccia della “Consolatrice”,
la più materna di tutte le madri: «Ora, io e i miei
figli siamo senza madre sulla terra. Una mamma
è indispensabile in una famiglia. Chi lo potreb­
be fare se non voi? Vi affido tutti i miei ragazzi.
Abbiamo bisogno di voi, Madre di Dio. Siate la
nostra mamma, adesso e sempre…». Tutta l’opera
di don Bosco, presente e futura, fu così affidata
alla Vergine Maria.
E la Madre celeste prese molto seriamente il suo
compito.
7. PROTEGGE
La regione di Castelnuovo era sovente devastata
dalla grandine, che per dieci anni di seguito aveva
distrutto interamente il raccolto dell’uva. La fami­
glia Turco se ne lamentò col chierico Bo­
sco ed egli rispose con umile sicurezza:
«Finché io sarò qui alla Renenta non
temete: la grandine non cadrà più:
preghiamo solamente la Madonna ed
Ella ci proteggerà». E infatti da quel
punto per un certo numero di anni
più non cadde la grandine.
8. COSTRUISCE
In un sogno del 1844, dopo la solita sce­
na di una moltitudine di animali di ogni
specie, appare la Pastorella miste­
riosa. Io volevo andarmene, ma la
Pastorella mi invitò a guardare a
mezzodì. Guardai e vidi un cam­
po seminato a ortaggi. «Guarda
un’altra volta» mi disse.
Guardai di nuovo e vidi una stu­
penda e alta chiesa. Nell’interno di
quella chiesa c’era una fascia bianca
su cui a caratteri cubitali stava scritto:
Hic domus mea, inde gloria mea (Questa è la
mia casa, di qui partirà la mia gloria).
9. ABITA CON NOI
«Voglio dirvi solo che la Madonna vi vuole molto,
molto bene. E, sapete, essa si trova qui in mezzo
a voi!» Allora don Bonetti, vedendolo commos­
so, lo interruppe, e prese a dire, unicamente per
distrarlo: «Don Bosco vuol dire che la Madonna
è vostra madre e che essa vi guarda e protegge».
«No, no, ripigliò il Santo, voglio dire che la Ma­
donna è proprio qui, in questa casa».
Il buon Padre s’inteneriva più di prima e don Bo­
netti: «Se sarete sempre buone, la Madonna sarà
contenta di voi».
«Ma no, ma no, si sforzava di spiegare don Bosco,
cercando di dominare la propria commozione. Vo­
glio dire che la Madonna è veramente qui, qui in
mezzo a voi! La Madonna passeggia in questa casa
e la copre con il suo manto».
Entrando nella
cappella Pinardi,
vediamo sulla
destra la statua di
Maria Consolatrice.
È la prima statua
che don Bosco
comperò per la
sua prima chiesa.
Non è di legno
né di metallo,
troppo cara. È di
cartapesta. Gli
costò 27 lire (la
paga di un operaio
meccanico in quel
tempo era di due
lire al giorno).
Nelle feste, i
ragazzi portavano
quella statua in
processione «nei
dintorni».
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11

2.2 Page 12

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LE NOSTRE GUIDE
B.F.
Don Gildasio dos
Santos Mendes
Consigliere per la
comunicazione sociale
«Sono molto contento di poter
lavorare in Congregazione
attraverso la comunicazione.
Assumere il servizio di Consigliere
per la Comunicazione è una grande
sfida e una missione affascinante!
Don Bosco in forma geniale è stato
un artista e ha utilizzato la musica,
il teatro, la letteratura come
modalità e mezzi per educare».
«Da sempre
mi è piaciuto
studiare,
ricercare e
imparare
cose nuove
in vista del
mio lavoro
pastorale con
i giovani».
La sua preparazione professionale
è gigantesca e internazionale.
Può autopresentarsi?
Sono nato in Brasile, nella città di São João do So­
brado, nello Stato dello Spirito Santo, vicino a Rio
de Janeiro in una famiglia con cinque fratelli e una
sorella. Il papà era contadino e la mamma seguiva
la famiglia. Nel 1970 la mia famiglia si è trasferita
nella regione centrale del Brasile vicino a Cuiabà,
stato di Mato Grosso. In questo periodo ho cono­
sciuto i salesiani frequentando la scuola media nel
Collegio Salesiano Padre Carletti ad Alto Araguaia.
Quando sono entrato nell’Aspirantato Salesiano, a
Campo Grande, nello Stato del Mato Grosso del
Sud (1982), conoscevo ormai lo stile di vita dei Sa­
lesiani, la spiritualità, il ritmo di studio, di lavoro,
la pietà, lo sport, la musica. L’ambiente formativo
salesiano e i formatori mi hanno dato la possibilità
di crescere nella dimensione umana e spirituale.
Dopo aver completato i miei studi di filosofia nella
Facoltà Salesiana di Lorena e di Teologia nell’Isti­
tuto Pio XI a Sao Paolo (Brasile), sono stato per
tre anni responsabile per la pastorale nella Scuola
Don Bosco di Campo Grande, Mato Grosso del
Sud, vivendo da prete novello una grande esperien­
za pastorale salesiana tra i giovani, stando in mezzo
a loro, insegnando religione, partecipando ai vari
gruppi educativi, esercitando il ministero sacerdo­
tale, condividendo attività artistiche ed esperienze
missionarie. In quel periodo ho vissuto forti espe­
rienze nell’ambito della comunicazione, compo­
nendo musica, scrivendo libri, facendo programmi
di radio, tv, collaborando con giornali locali, pro­
ducendo video: un tempo fecondo e significativo
per fare comunicazione educativa con la partecipa­
zione e il coinvolgimento dei giovani.
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MAGGIO 2021

2.3 Page 13

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Riesce a trasmettere la sua passione
educativa nella comunicazione
istituzionale?
Mi è molto cara l’espressione di don Bosco “per voi
studio…”, quando dico studio mi riferisco all’appro­
fondimento delle diverse realtà dal punto di vista
scientifico, pastorale, salesiano e allo stesso tempo
all’esigenza di porre tale conoscenza e sapere a ser­
vizio della missione, della comunità, dei giovani,
della Congregazione e della Famiglia Salesiana. Da
sempre mi è piaciuto studiare, ricercare e imparare
cose nuove in vista del mio lavoro pastorale con i
giovani! Nei miei incontri e contatti giornalieri con
loro, già da prete novello, mi sono subito convin­
to che per educare è necessario un aggiornamento
continuo! I giovani sono dinamici, sono in conti­
nuo cambiamento di linguaggi e modi di vivere.
Loro hanno un codice per comunicare. Imparare
da loro questo codice, stando presente in mezzo a
loro con amicizia è fondamentale per educare.
Mi piace scrivere, leggere, ricercare, pubblicare: in
questi anni ho scritto vari libri sia a carattere ac­
cademico sia divulgativo riguardanti l’educazione,
la pastorale, la spiritualità e anche testi di poesia.
L’esperienza di studio e la ricerca mi hanno aiutato
molto, soprattutto a scoprire il valore della metodo­
logia di studio, la disciplina, le tecniche della ricerca,
l’attenzione al dialogo religioso nel mondo scien­
tifico e accademico. Con lo studio e la ricerca ho
sempre accompagnato i giovani a livello spirituale,
promuovendo la lectio divina, gli esercizi spirituali,
il canto e la liturgia. Nel 2007 dopo aver consegui­
to il dottorato in Digital Media negli Stati Uniti
sono ritornato in Brasile dove ho lavorato nell’U­
niversità Cattolica Don Bosco di Campo Grande
come Pro-rettore. Nel 2009 sono stato nominato
Direttore dell’Opera salesiana di Corumbà, vici­
no alla frontiera con la Bolivia. Contemporanea­
mente ho collaborato con la Conferenza Nazionale
dei Vescovi Brasiliani (cnbb) nell’elaborazione del
Direttorio per la comunicazione; inoltre ho avuto
l’opportunità di collaborare con il mondo accade­
mico mediante incontri e conferenze; ho predicato
vari corsi di esercizi spirituali, tenuto conferenze e
Nell’abbraccio
con il Rettor
Maggiore
l’augurio e la
fiducia nella
missione
del nuovo
Consigliere
per la Comu­
ni­ca­zione
della Congre­
ga­zione.­
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2.4 Page 14

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LE NOSTRE GUIDE
«Un universo
che mi piace
molto è
quello della
musica, sia
ascoltando
musica
classica,
pop, jazz, sia
scrivendo e
registrando
canzoni
ispirandomi
a testi biblici,
al carisma
salesiano e a
contenuti più
catechetici».
partecipato a gruppi di studio e ricerca, sempre in
vista della missione pastorale. Un universo che mi
piace molto è quello della musica, sia ascoltando
musica classica, pop, jazz, sia scrivendo e registran­
do canzoni ispirandomi a testi biblici, al carisma
salesiano e a contenuti più catechetici.
Il suo curriculum salesiano è ricco.
Quali sono state le esperienze
più belle?
L’esercizio del ministero sacerdotale a servizio dei
giovani mi ha segnato profondamente. Ricordo la
celebrazione eucaristica quotidiana con i giovani
della Scuola Don Bosco o all’Università o quando
presiedevo la Messa per i giovani cattolici della Mi­
chigan State University negli Stati Uniti. Ricordo
con piacere il gruppo di giovani qui in Italia, che ho
accompagnato soprattutto nella pratica della lectio
divina e nell’orientamento spirituale e vocazionale.
Non voglio dimenticare la significativa esperienza
di lavoro pastorale con i giovani poveri nell’Opera
Sociale Don Bosco, in Itaquera, Sao Paulo. La mia
esperienza come superiore dell’I­
spettoria Salesiana di Campo
Grande nel Mato Grosso mi ha
segnato profondamente, soprat­
tutto per la vita fraterna, per la
missione condivisa, per l’anima­
zione e l’accompagnamento del
lavoro missionario tra gli indige­
ni Bororo e Xavantes.
All’inizio del 1996, dopo tre
anni di lavoro pastorale in
Brasile, sono stato per un
anno a Londra per stu­
diare la lingua inglese.
Successivamente ho avu­
to la possibilità di studia­
re comunicazione sociale
alla Facoltà Salesiana
dell’ups a Roma: è
stata un’opportunità
straordinaria per entrare nel mondo della comuni­
cazione. In quel periodo sono stato invitato a fare il
master in Digital Media alla Michigan State Uni­
versity negli Stati Uniti.
Lei è anche un artista. Questo l’aiuta
come comunicatore?
Per me l’arte è il cuore della comunicazione! L’arte è
una fonte molto ricca per evangelizzare. Prendiamo
dall’arte la metodologia, il linguaggio, la sua espres­
sione di bellezza, la sua capacità di coinvolgere le
persone. Per questo don Bosco in forma geniale è
stato un artista e ha utilizzato la musica, il teatro, la
letteratura come modalità e mezzi per educare.
La vita salesiana nel periodo della mia formazione
iniziale mi ha dato l’opportunità e la possibilità di
praticare musica, fare teatro, approfondire la lette­
ratura e lo studio della comunicazione. Ho scoper­
to presto nel mio lavoro pastorale con i giovani che
loro capivano il messaggio che davo attraverso la
musica. Ho inciso il mio primo long play, diffuso in
Brasile, con 14 canzoni composte e cantate da me.
Ho composto molte altre canzoni.
Dirigere, animare e far lievitare
la comunicazione interna ed esterna
della Congregazione Salesiana
è un compito pesante?
Assumere il servizio di Consigliere per la Comu­
nicazione Sociale è una grande sfida e una mis­
sione affascinante! Il Rettor Maggiore, don Ángel
Fernández Artime, nella Proposta Programmatica
del Rettor Maggiore alla Congregazione Salesiana
dopo il Capitolo Generale 28 propone di avanzare
insieme, come educatori, per inculturare il Vange­
lo nell’habitat digitale. Siamo infatti una Congre­
gazione con grande forza e creatività comunicativa.
Siamo presenti in radio, tv, nei social media, con case
editrici, Facoltà di comunicazione, internet, sempre
con la presenza e la collaborazione dei giovani e dei
laici che condividono lo spirito e la missione di don
Bosco. Oggi non è sufficiente essere qualificati co­
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MAGGIO 2021

2.5 Page 15

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municatori nei social media. È necessario agire in­
sieme sotto l’aspetto sia istituzionale sia carismatico.
Questo significa, avere un progetto educativo, valori
condivisi, gruppo di riferimento e di appartenenza,
agire come membra di un unico corpo.
Per noi salesiani educatori, la comunicazione è fon­
damentale per la nostra missione. Infatti siamo un
vasto movimento di comunicazione nel mondo!
Credo che sia molto importante oggi per noi comu­
nicare a partire dalla nostra identità di consacrati,
di salesiani, di educatori. Comunicare partendo dal
Vangelo e dal carisma di don Bosco.
Che cosa pensa del mondo
comunicativo, oggi?
Veramente la comunicazione digitale e online è
una vera rivoluzione culturale. In poche decadi il
mondo ha vissuto un cambiamento di paradigma
culturale e sociale profondo a causa delle tecnolo­
gie dell’informazione, di internet, dei social media,
dello smartphone. Sappiamo che la Chiesa e la
Congregazione Salesiana, in forma attualizzata e
sicura, offrono riflessioni, criteri e metodologie per
vivere e lavorare in questo habitat digitale.
Come comunicare a partire dal
carisma salesiano, con creatività,
significatività e qualità?
Questo richiede alcuni criteri e metodologie chiari
e condivisi. In verità, Internet è una vasta rete di
rituali umani e culturali. In internet troviamo arte,
cucina, politica, moda, sport, musica, film, shop­
ping, i rapporti tra le persone, informazione sulla
vita quotidiana, contenuti religiosi, riti di vita e di
morte. La persona umana comunica perché cerca
sempre un significato, un modo di esprimere la sua
libertà e i suoi sogni. Per questo, dobbiamo guar­
dare Internet come parte della nostra vita, come
espressione ed estensione dei rituali umani. Penso
che a partire da questi rituali, da questi elementi
antropologici e culturali possiamo approfondire l’e­
vangelizzazione nell’habitat digitale.
Inoltre siamo sollecitati ad accompagnare l’evolu­
zione della tecnologia.
La comunicazione a servizio del creato, della
sostenibilità, dell’inclusione digitale, dell’i­
struzione e della sicurezza sanitaria sono mol­
to importanti per noi, per le famiglie. L’intel­
ligenza artificiale è una realtà che cresce e
cresce e crescerà molto. Il control­
lo dell'informazione a livello di
azienda e di governi, gli aspetti
etici e di sicurezza meritano la no­
stra attenzione, il nostro studio e il
nostro accompagnamento.
Quali sono le linee
programmatiche
che si propone?
Abbiamo tre grandi priorità per il Dicastero della
Comunicazione: la formazione dei delegati ispet­
toriali di comunicazione, l’accompagnamento dei
salesiani e dei laici coinvolti nella comunicazione e
la comunicazione istituzionale (comunicazione in­
terna ed esterna, lavoro collaborativo e in rete, qua­
lità delle infrastrutture digitali all’interno dell’isti­
tuzione, gestione di crisi, sistema di reti, creazione
e distribuzione di informazione).
Nella comunicazione istituzionale vogliamo curare
il Bollettino Salesiano, le Case Editrici, i siti e le
reti sociali. Tutto questo richiede dialogo, senso di
collaborazione e molto lavoro.
Lavorare nella gestione condivisa con i laici è una
scelta fondamentale per la comunicazione in questo
tempo. La digitalizzazione delle nostre comunità
e opere e la preparazione professionale e pastorale
dei salesiani e dei laici sono passi importanti che
vogliamo condividere nelle Ispettorie e con la Fa­
miglia Salesiana.
Inoltre, vogliamo approfondire la dimensione mis­
sionaria della comunicazione e sviluppare la gestio­
ne in modo collaborativo soprattutto con i dicasteri
della pastorale giovanile, della formazione, delle
missioni e della Famiglia Salesiana.
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15

2.6 Page 16

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FMA
Emilia Di Massimo
Lubumbashi, Congo
La speranza su due ruote
«Non posso nascondere
l’emozione e la gioia per quanto
riguarda il dono della bicicletta:
ha facilitato il trasporto,
la mobilità, posso andare più
volte al villaggio per la missione,
là i giovani mi aspettano
per la formazione».
Riduciamo le distanze
“È andando in bicicletta che impari meglio i con­
torni di un paese perché devi sudare sulle colline
e andare giù a ruota libera nelle discese. In questo
modo te le ricordi come sono veramente, mentre in
automobile ti restano impresse solo le colline più
alte e non hai un ricordo tanto accurato del paese
che hai attraversato in macchina come ce l’hai pas­
sandoci in bicicletta”, asserisce lo scrittore Ernest
Hemingway, un’affermazione che per alcuni giova­
ni è particolarmente vera perché la bicicletta non è
solo un mezzo per praticare sport: è la speranza che
consente di alleggerire la fatica quotidiana di chi
trasporta mercanzie e persone.
La bicicletta potrebbe essere paragonabile al vento:
vola, non tocca la terra, permette di rendersi utili
alle popolazioni che sono più in difficoltà; le bici­
clette hanno apportato un vantaggio all’economia
domestica dei ragazzi itineranti che vivono nella
cintura verde di Lubumbashi (Repubblica Demo­
cratica del Congo); la bicicletta consente di traspor­
tare persone e merci in città e, al ritorno, di portare
ai villaggi i prodotti finiti.
È quanto avviene all’interno di un progetto di pa­
storale giovanile che ha come responsabili don Em­
manuel Salumu, Salesiano, e suor Hortense Kata­
pala, Figlia di Maria Ausiliatrice. A lei chiediamo
di raccontarci la missione educativa che svolgono.
I consacrati lavorano presso l’ufficio diocesano di
cui fanno parte cappellani, preti, e religiose appar­
tenenti a differenti Congregazioni ma anche lai­
ci. Insieme hanno ideato un progetto di mobilità
sostenibile: Un vélo pour l’avenir, che si sviluppa
soprattutto nella zona della cintura verde la quale
vive di agricoltura, ha 17 cappelle distanti le une
dalle altre, in genere le strade non sono praticabili,
pertanto i ragazzi spesso non riescono a partecipa­
re agli incontri formativi e d’altro canto i respon­
sabili faticano a raggiungere tutte le cappelle per
svolgervi le attività. Il progetto di mobilità soste­
nibile, spiega suor Hortense, è nato con l’obiettivo
di ridurre le distanze per raggiungere i giovani e
formare i coetanei che vivono nei villaggi lontani e
si sta realizzando con il dono della bicicletta, come
testimoniano i giovani animatori, riconoscenti a
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suor Hortense per quanto sta facendo per la loro
crescita integrale: “Non posso nascondere l’emozio­
ne e la gioia per quanto riguarda il dono della bi­
cicletta: ha facilitato il trasporto, la mobilità, posso
andare più volte al villaggio per la missione, là i
giovani mi aspettano per la formazione.” (Gabin).
“Da quando ho ricevuto la bici per l’apostolato sta
cambiando il mio atteggiamento di donazione per
chi è nel bisogno, dono di più il mio tempo e le
mie capacità ai bambini che non hanno la possibi­
lità di andare a scuola. Mi sento riconosciuto dalla
comunità e, svolgendo il volontariato, sento che la
prossimità con i giovani è più intensa”. (Albert)
“La possibilità di potermi spostare più velocemente
mi fa sentire più vicina ai ragazzi con i quali con­
divido la Parola di Dio e le esperienze che viviamo;
si genera speranza e familiarità. Insegniamo loro
anche alcune competenze sportive e… speriamo
che la Provvidenza ci regali un pallone da calcio”.
(Leticia)
“Ho imparato a sognare anche con mezzi deboli e
sognare con Dio fa miracoli. È quello che sto vi­
vendo. Quando arrivo al villaggio per la missione
l’ambiente è bello, mi aspettano, mi sento accolta,
imparo ad ascoltare le esigenze dei ragazzi ed è così
che ci accompagniamo reciprocamente. Con la bi­
cicletta trasporto anche la verdura che vendo al vil­
laggio”. (Pauline)
Non c’è, non ancora…
I benefattori non mancano a Lubumbashi, ci dice
Daniele Vallet il quale, animato da sentimenti di
giustizia ed equità, in seguito alla pubblicazione
del suo libro, Fernanda ed Io, ha attivato un fondo
per l’acquisto di 24 biciclette, un nobile gesto che
ha permesso di dare un impulso nuovo ai giovani
che attendevano da tempo il mezzo di trasporto
per recarsi facilmente nei luoghi di missione. Tut­
tavia il progetto ha un duplice scopo: annunciare
e testimoniare il Vangelo, rinforzare l’economia
domestica. Il sogno è quello di veder nascere un
punto vendita per la comunità, quindi veramente la
bici favorisce per moltissimi un vantaggio sia eco­
nomico sia sociale, persino se si dovesse rompere:
darebbe lavoro a chi lavora nelle officine, sostiene
suor Hortense aggiungendo che è gradito un aiuto
economico: consentirebbe di dare inizio ad un’ulte­
riore attività rigenerante per la popolazione, in par­
ticolare per i giovani. Un eventuale fondo finan­
zierebbe progetti di giardinaggio e di orticoltura,
costituirebbe una risorsa economica comunitaria ed
alcuni prestiti potrebbero essere accordati ad ester­
ni per altri progetti individuali o collettivi. Servi­
rebbero ancora bici per compiere un miracolo, ci
assicura suor Hortense: l’idea di un nuovo progetto
c’è ma non il mezzo, non ancora poiché certamente
chi sta leggendo darà forma alla speranza facendola
giungere su due ruote!
«Ho imparato
a sognare
anche con
mezzi deboli
e sognare
con Dio fa
miracoli. È
quello che
sto vivendo».
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2.8 Page 18

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SALESIANI
O. Pori Mecoi
Babu Augustine
Direttore del Don Bosco Oysterbay
a Dar es Salaam (Tanzania)
Anche in quest’angolo
poco conosciuto dell’Africa,
quattro salesiani gestiscono
con passione una scuola
tecnica che, pur in mezzo
a continue difficoltà, dona
speranza e futuro a migliaia
di giovani.
«Durante gli
anni della
formazione si
dava troppo
peso allo
sviluppo di
talenti come il
canto, la parola,
la recitazione
ecc. Ma ora mi
rendo conto
che la grande
enfasi dovrebbe
essere sull’at­
tac­ca­men­to
al Signore e
sull’amore
genuino per
i giovani».
Puoi autopresentarti?
Il mio nome è Babu Augustine (Mundamattam An­
thony). Sono nato nel Kerala, India, nel 1964. Avevo
uno zio sacerdote salesiano che mi ha ispirato ad en­
trare nella Società Salesiana. I miei genitori e i miei
fratelli mi hanno incoraggiato, mentre alcuni mem­
bri della famiglia allargata mi hanno scoraggiato. I
miei tre fratelli erano entrati prima di me nel pro­
gramma di formazione salesiana e avevano smesso,
così pensavano che anch’io sarei tornato a casa.
Ho fatto il mio noviziato a Kotagiri sotto D.J. Jo­
seph nel 1982-83. Eravamo 50 novizi. 38 di noi
hanno professato.
La filosofia è stata a Yercaud dal 1983 al 1985.
Poi è sorto il desiderio delle missioni e ho chiesto
a P. Thomas Thanyil, l’allora provinciale, di man­
darmi in Andhara Pradesh per abituarmi ad un’al­
tra cultura. P.T.J. Joseph, il successore di P. Thayil,
mi ha mandato all’Istituto Tecnico S. Antonio di
Cuddapah in Andhra Pradesh. Sono stato lì dal
1985 al 1988. Mi sono sentito veramente amato in
un’altra cultura e questo mi ha dato il desiderio di
fare domanda per le missioni africane nel 1988 e
P.T.J. Joseph ha accettato la mia richiesta di andare
in Africa e sono arrivato in Africa orientale nell’ot­
tobre 1988.
Ho fatto la formazione pratica a Dodoma, Tanza­
nia. Non è stato facile perché la lingua era molto
difficile e la cultura molto diversa. Il numero di
studenti era meno di 30 rispetto ai 200 che ave­
vamo a Cuddapah. Nel 1989 sono andato a Don
Bosco Utume per la Teologia e sono stato ordinato
sacerdote il 14 agosto 1993.
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MAGGIO 2021

2.9 Page 19

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TANZANIA
La Tanzania è un paese dell’Africa orientale conosciuto per le vaste zone selvagge, che
comprendono le praterie del Parco Nazionale del Serengeti, popolare meta per i safa-
ri, abitata dai cosiddetti Big Five (elefante, leone, leopardo, bufalo e rinoceronte), e il
Parco Nazionale del Kilimangiaro, dove sorge la montagna più alta dell’Africa. Al largo
della costa si trovano le isole tropicali di Zanzibar, influenzata dalla cultura araba, e
Mafia, con un parco marino che ospita squali balena e barriere coralline.
Dar es Salaam è la più grande città della Tanzania, il principale polo economico e il pri-
mo porto del paese. Il nome viene spesso abbreviato in Dar, e la popolazione locale usa
comunemente anche il nomignolo di Bongo; in passato la città era chiamata Mzizima.
Le tue prime esperienze?
Mentre ero a Utume, ho lavorato
con i bambini di strada di Nai­
robi, per 3 anni. Mi aspettavo di
stare con loro dopo l’ordinazione.
Ma sono stato mandato a Dodoma
come responsabile dell’oratorio. Mi
piaceva molto l’apostolato, ma mi
fu chiesto di andare a fare due anni
di spiritualità al Tangaza college di
Nairobi. Poi sono andato in Italia,
per un corso di formazione e un’e­
sperienza comunitaria a Pinerolo.
Tornato a Nairobi, mi sono occupato
del progetto per i bambini bisognosi
(Bosco Boys) dal 1999 al 2007 e della
Don Bosco Boys’ Town dal 2007 al
2010. Poi l’ubbidienza mi ha porta­
to al Don Bosco Secondary school
dal 2010 al 2016 e ora al Don Bosco
Oysterbay dal 2016 ad oggi.
Come hai vissuto questi
cambiamenti?
Dio mi ha dato la forza di lavorare con i giovani
per tutti questi anni, la mia politica è stata quella
di lavorare come se non dovessi lasciare quel po­
sto e una volta partito continuare il mio lavoro nel
nuovo posto come se non avessi mai lavorato nel
posto precedente. Questo atteggiamento mi ha aiu­
tato ad ambientarmi rapidamente nel nuovo posto.
Com’è la tua giornata?
Ho preso come mia abitudine quotidiana quella di
essere in chiesa molto prima di tutti gli altri per le
preghiere del mattino e quando possibile molto
presto prima delle preghiere della sera. An­
che se non sono molto concentrato nella
preghiera, ho lasciato tutto al Signore.
Prima di ritirarmi a letto, passo alcuni
minuti nella cappella. Ho una grande
devozione per san Giuseppe ed è il mio
santo preferito. Questi momenti di preghiera
e devozione mi hanno aiutato molto e mi aiu­
tano ancora molto.
Com’è la relazione
con i giovani tanzaniani?
Di solito ci vuole un po’ di tempo per­
ché i giovani capiscano i miei modi.
Ma quando lascio un posto, sen­
to che i giovani mi amano ve­
ramente e anche loro hanno
capito il mio amore e la mia
preoccupazione per loro.
Durante gli anni del­
la formazione si dava
troppo peso allo sviluppo di talenti
come il canto, la parola, la recitazio­
ne ecc. Ma ora mi rendo conto che la
grande enfasi dovrebbe essere sull’attac­
camento al Signore e sull’amore genuino
per i giovani. Sono molto grato a tutti
«Il nostro
sistema casa
offre agli
studenti
l’opportunità di
sviluppare tutti
gli aspetti della
loro crescita e
apprendimento:
personalità,
moralità,
creatività,
conoscenza e
abilità».
MAGGIO 2021
19

2.10 Page 20

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SALESIANI
i miei rettori durante gli anni di formazione per la
fiducia che hanno riposto in me e per il loro incorag­
giamento. Anche i miei compagni e i superiori mi
hanno sostenuto molto. Se sono riuscito a toccare la
vita di qualcuno è per grazia di Dio.
Qual è la storia di quest’opera?
Il pioniere è stato don Mathew Puthumana che
ha iniziato a lavorare con i giovani della Oyster­
bay Technical School nel 1990. La scuola era già in
funzione in precedenza prima sotto la parrocchia
di St. Peter’s, poi è stata consegnata ai Salesiani di
Don Bosco dal defunto cardinale Rugambwa di ve­
nerabile memoria. La casa è cresciuta grazie all’aiu­
to di tantissime persone.
Oggi, la comunità è formata da quattro confratel­
li e ospita anche l’ufficio della Procura della Tan­
zania e l’Ufficio per lo Sviluppo della Tanzania.
Abbiamo anche un oratorio quotidiano curato dai
Cooperatori Salesiani.
Chi ricordi con più gratitudine?
Don Bosco Oysterbay ha avuto il privilegio di
avere quattro Salesiani Missionari che hanno la­
vorato con grande dedizione in passato, ma pur­
troppo non sono più con noi in questo mondo.
Il primo è stato il defunto padre Manu, che ha la­
vorato instancabilmente e disinteressatamente a
Oysterbay come procuratore e amministratore. Il
secondo missionario è stato don Gabriel Fenandez.
È stato per otto mesi preside di Don Bosco nel 1994.
Il terzo missionario è stato padre Chacko Thazhoor.
Era il rettore del Don Bosco e svolgeva i suoi doveri
con un sorriso e con calma. Poi il salesiano coadiu­
tore Alfonso Morcelli. È stato preside di Don Bosco
Oysterbay per dieci anni dal 1995 al 2005. Durante
il suo mandato come preside, l’opera ha fatto mol­
tissimi progressi. La semplice Falegnameria si è tra­
«Come tutti
i salesiani
del mondo,
prepariamo
i giovani
alla vita
aiutandoli
ad acquisire
competenze
tecniche nei
dipartimenti
che abbiamo
e formando
in loro valori
umani e
competenze
per una vita
dignitosa».
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MAGGIO 2021

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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sformata in un’officina completamente attrezzata.
Con l’aiuto dei benefattori sono state realizzate
le nuove officine di Elettrotecnica, Informatica e
Meccanica. Il signor Alfonso non era solo manager
o preside. Molto spesso è stato trovato a lavorare in
officina per riparare macchine e attrezzature. Nel
2005 è stato trasferito a Don Bosco Moshi e da lì è
andato a Don Bosco Dodoma. Nel 2010 ha lasciato
Dodoma per Khartoum (Sudan) dove ha lavorato
per meno di quattro mesi quando è stato colpito
dalla malaria ed è deceduto il 23 ottobre 2010.
Qual è il vostro obiettivo?
Come tutti i salesiani del mondo, prepariamo i
giovani alla vita aiutandoli ad acquisire competen­
ze tecniche nei dipartimenti che abbiamo e for­
mando in loro valori umani e competenze per una
vita dignitosa. In tal modo, acquisiscono una forte
stima di sé e diventano buoni cittadini crescendo
in Fede, rispetto, amore, giustizia, libertà ed etica
del lavoro.
Com’è organizzata la scuola?
La scuola è suddivisa in sottounità chiamate “case”
e ogni studente è assegnato ad una casa al momen­
to dell’iscrizione. Le case competono tra loro nello
sport e in altre attività, fornendo così un punto fo­
cale per la fedeltà del gruppo. Il sistema casa offre
agli studenti l’opportunità di sviluppare tutti gli
aspetti della loro crescita e apprendimento: per­
sonalità, moralità, creatività, conoscenza e abilità.
Il sistema promuove i valori di fair play, lavoro di
«La casa è cresciuta
grazie all’aiuto di
tantissime persone.
Oggi, la comunità è
formata da quattro
confratelli e ospita
anche l’ufficio
della Procura della
Tanzania e l’Ufficio
per lo Sviluppo della
Tanzania. Abbiamo
anche un oratorio
quotidiano curato dai
Cooperatori Salesiani».
squadra, senso civico, responsabilità reciproca, au­
todisciplina e iniziative, perseveranza e resilienza.
Come sono i giovani tanzaniani?
Attualmente abbiamo 410 studenti nei vari diparti­
menti senza contare quelli che fanno i vari corsi di
computer. Il 41 per cento sono ragazze. La maggior
parte degli studenti viene da Dar es Salaam. Alcuni
di loro vengono da altre parti della Tanzania e al­
loggiano presso i loro parenti o in stanze in affitto a
Dar es Salaam. Molti di loro hanno un background
molto impegnativo come genitori single, alcune
sono giovani madri. Molti altri affrontano la gran­
de sfida di ottenere i soldi per il trasporto per rag­
giungere la scuola, anche se è meno di un dollaro al
giorno. Alcuni di loro sopravvivono con il pasto di
mezzogiorno che forniamo nella scuola. Alcuni si
svegliano molto presto e iniziano il viaggio prima
delle 4 del mattino per arrivare in tempo a scuola
e arrivano a casa alle 10 di sera. Ma sono felici e la
maggior parte di loro si comporta bene.
MAGGIO 2021
21

3.2 Page 22

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I NUOVI SALESIANI
B.F.
Marco Baù
A Paranaque, nelle Filippine, c’è la comunità
Sandor per la formazione specifica dei
Salesiani Coadiutori, Marco è uno di loro.
Ci racconta la sua storia.
Puoi autopresentarti?
Buongiorno a tutti, mi chiamo Marco Baù, sono
consacrato salesiano; vengo dal nord Italia, la mia
piccola provincia è Treviso, vicino a Venezia per
intenderci. Ho 30 anni. Sono a Manila, Filippine,
da un anno e mezzo per studiare teologia e finire
la mia formazione di salesiano coadiutore, o bro-
ther come dicono qui. A Dio piacendo, vorrei pro­
fessare i voti perpetui quest’anno, al mio ritorno
in Italia. Ho un fratello e una sorella. Mio padre
è geometra e mia madre maestra d’asilo. La mia
famiglia vive in campagna su una bella collina che
dà sulle montagne; loro vivono con la mia nonna
paterna che ha raggiunto la veneranda età di 90
anni.
Come ti è nata questa vocazione?
“Prova a chiederti se il Signore ti chiama a seguirlo
più da vicino”, sono queste le parole che un sacer­
dote della mia diocesi mi ha detto in confessione
quando avevo 12 anni durante un camposcuola.
Ora vedo molte connessioni tra la vocazione sale­
siana e il mio passato, ma la ricerca è stata più un
“travaglio del cuore” che una passeggiata. Ora sono
grato per la fede che mi è stata trasmessa nella mia
famiglia come nella nostra parrocchia, dedicata alla
Madonna del Rosario anche se ho dovuto lottare
per farla mia. Qui ho incontrato don Giuseppe, un
sacerdote anziano che ha deciso di passare i suoi
ultimi anni nel nostro santuario; lui è stato il mio
“don Calosso”, molto buono soprattutto in confes­
sione. Sono entrato a far parte del Cammino Neo­
catecumenale nella mia parrocchia, dove ho fatto
esperienza di alcuni momenti molto forti. Durante
il 2004, allora avevo 14 anni, sono andato ad un
incontro del Cammino ad Amsterdam, nello stadio
dell’Ajax. Essendo un calciatore, il posto era molto
suggestivo per me. Ascoltando le parole dei laici e
del sacerdote che parlava mi sono detto “se tu Dio
mi ami così tanto anche nei miei momenti più bui
e miseri, davvero vale la pena dare la vita per te!”.
Ero davvero un po’ idealista, come molti adolescen­
ti, ma non potevo negare che questi due momenti
mi avevano portato tanta emozione e qualcosa di
vero c’era.
Tuttavia ero ancora lontano da una scelta e dalla
pace; infatti la via del sacerdozio, seppur affasci­
nante, mi lasciava inquieto. Durante la scuola supe­
riore ho conosciuto i Salesiani. Facevo l’animatore
in una parrocchia vicino a casa durante l’estate e
per prepararci siamo andati a un corso nella casa
di Udine: l’atmosfera mi aveva proprio affascina­
to. Così quando durante l’anno scolastico un mio
amico, Elia, mi disse “vieni alla festa dei Salesiani
a Jesolo?” non ci ho pensato due volte e ci sono an­
dato. Ho seguito questo amico e grazie alle fma
di Guarda ho partecipato alla preparazione della
festa. I Salesiani mi hanno dato la possibilità di
recitare e così avevo l’occasione di vederli durante
l’anno una volta al mese.
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MAGGIO 2021

3.3 Page 23

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Alla fine delle superiori avevo deciso di studiare
Educazione Sociale nell’università salesiana; volevo
studiare matematica ma un’esperienza estiva di un
mese nella casa salesiana di Betlemme mi aveva fatto
cambiare idea: “voglio lavorare con le persone” mi
sono detto. Per la scelta dell’università era stato mol­
to importante per me consigliarmi con Gigi Coti­
chella; lui e la cooperativa Animagiovane mi hanno
dato delle belle possibilità formative in quegli anni.
Ho fatto anche delle belle esperienze, anche se non
sempre semplici, con il “mondo femminile”. È stato
importante per me potermi confrontare con un sa­
cerdote salesiano sulle “questioni del cuore”.
Durante l’università ho pagato i miei studi grazie a
una borsa di studio dei salesiani e grazie alla pos­
sibilità di fare servizio civile nella scuola di Por­
denone, grazie a don Silvio Zanchetta SdB. Qui
ho vissuto con la comunità salesiana e sperimentato
l’oratorio e la scuola. Ho trovato molto significa­
to per la mia vita in questa esperienza. Così, senza
rifletterci in maniera cerebrale, un giorno alla do­
manda “Marco, per te il discorso della vocazione
salesiana è già chiuso?” ho risposto, dopo un attimo
di silenzio, “No.” Così ho lasciato il lavoro e finito
la magistrale durante il mio anno di aspirantato e
pre-noviziato e sono entrato in novizato nel 2014:
ecco come è nata la vocazione.
Che cosa ne pensa la tua famiglia?
Sono molto grato a Dio per la mia famiglia. En­
trambi i miei genitori sono felici di questa strada
che ho intrapreso. Mio padre mi ha supportato in
maniera molto concreta, accompagnandomi agli
incontri della parrocchia, del Cammino o dei Sale­
siani. Mi ha detto più volte, quando c’era da pagare
qualche quota per un pellegrinaggio o per gli eventi
salesiani “per queste cose belle i soldi ci sono” anche
se a volte magari non ce n’erano proprio tantissimi
in famiglia. Mia madre credo mi abbia trasmesso
la passione di aiutare gli altri, la sensibilità contro
le ingiustizie e una certa radicalità nell’approcciarsi
alla vita. Mio fratello e mia sorella sono altrettan­
to importanti per me. Specialmente adesso, dopo
qualche anno di vita salesiana, quando ci sentiamo
posso percepire il loro affetto pur nella differenza
di scelte di vita e momenti che stiamo vivendo. Ci
piace soprattutto ricordare gli alti e bassi di quando
eravamo più piccoli. I miei fratelli sono una delle
«Ho trovato
davvero tanti
confratelli
che mi stanno
accom­pa­
gnan­do
in questa
formazione.
Ci sono
sfide legate
alle molte
culture da cui
proveniamo».
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3.4 Page 24

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I NUOVI SALESIANI
Il mio sogno
è poter
professare i
voti perpetui
una volta
finita la
teologia
e vivere a
pieno la vita
consacrata
salesiana da
“fratello”.
benedizioni più grandi che Dio mi ha dato nella
mia vita, me ne rendo conto sempre di più.
Com’è la vostra vita di studenti?
Studiare teologia durante la pandemia non è stato
facile. Il secondo semestre dell’anno scorso è stato
bruscamente interrotto a metà. Tuttavia grazie a un
sacerdote salesiano, don Dennis Paez sdb, con la
mia comunità ho potuto contribuire nel produrre
delle maschere di plastica che abbiamo inviato agli
ospedali delle Filippine. Abbiamo lavorato mat­
tina e pomeriggio a questo progetto e con l’espe­
rienza abbiamo creato una vera e propria catena
di montaggio arrivando a lavorare con 15 persone
contemporaneamente e a pro­
durre migliaia di “face shield”.
Questa esperienza ci ha unito
con il resto del paese che stava
soffrendo molto. Ora abbiamo
ripreso i corsi con normalità,
ma online. Sono molto feli­
ce e fortunato ad avere nello
stesso compound la comunità
dei chierici e dei professori;
possiamo condividere assieme
a loro l’esperienza della teo­
logia che anche in un tempo
difficile come questo è per noi
fruttuosa e piena di speranza.
Come sono salesiani e Chiesa
nelle Filippine?
Sono molto grato per essere stato inviato a studiare
nelle Filippine, ringrazio per questo don Igino Biffi,
il mio ispettore. I salesiani qui sono stati accoglien­
ti con me sin da subito. Molti dei formatori hanno
studiato in Italia e possono parlare italiano con me.
Alcuni sono stati anche nella mia ispettoria per delle
esperienze pastorali. I confratelli studenti mi par­
lano dei quasi-mitici missionari italiani nelle loro
ispettorie. Qui ho trovato tanta misericordia nel mio
confessore, don Alton sdb; don Vic Cervania sdb mi
accompagna come direttore spirituale, con affetto e
esperienza. Sono grato di cuore a don Dennis Paez
sdb per il supporto psicologico e paterno in questi
mesi difficili del Covid. Insomma, ho trovato dav­
vero tanti confratelli che mi stanno accompagnan­
do in questa formazione. Ci sono sfide legate alle
molte culture da cui proveniamo. Tra i chierici e i
brothers credo possiamo contare svariate nazionalità:
Filippine, Indonesia, Timor, Vietnam, Madagascar,
Korea, Taiwan, Nigeria, Ungheria, Sri lanka, India.
Sono molto felice delle belle relazioni che stiamo
costruendo tra di noi salesiani studenti, credo sia
l’essenziale. La Chiesa delle Filippine è veramen­
te numerosa e coraggiosa e impegnata in ambienti
molto diversi. Ho potuto fare esperienza pastorale,
prima del Covid, sia in un quartiere molto povero sia
in una zona ricca di industrie e sviluppo. Questo mi
ha dato un’idea della differenza di sfide e ricchezza
di risorse della Chiesa filippina. Ho potuto vedere
come qui c’è attenzione pastorale ai singoli villag­
gi; inoltre il coinvolgimento dei laici nelle attività è
parte integrante della mentalità filippina. In questo
anno passato c’è stato un movimento per il dialo­
go ecumenico, viste le diverse religioni e confessioni
presenti qui. Infine direi che la Chiesa filippina è
forte e grata per i 500 anni della fede in questa terra,
ricorrenza che si celebra quest’anno 2021.
I tuoi sogni per il futuro
Il mio sogno è poter professare i voti perpetui una
volta finita la teologia e vivere a pieno la vita consa­
crata salesiana da “fratello”. A volte qualche giova­
ne mi ha fatto questa domanda: “Ma tu ti sposi con
Dio?”. Non mi piace molto questa espressione; se
vogliamo usare la bella immagine del matrimonio,
direi che la sposa è l’anima e lo sposo è Gesù. Il mio
sogno è quello di essere vero amico di entrambi.
Credo sia questo il miglior dono che posso fare ai
giovani. Vi chiedo una preghiera per la mia voca­
zione, per la mia famiglia e per i miei compagni di
teologia e i giovani delle Filippine. Un caro saluto,
in Gesù e don Bosco.
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3.5 Page 25

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MUSICA
M.P.
GiIunnsoeapspane
Don Maurizio
Palazzo, maestro
di cappella
della Basilica
Maria Ausiliatrice,
ha composto
uno splendido
inno in onore
di san Giuseppe.
Q uesto semplice brano è un omaggio alla nobile
figura di san Giuseppe. Papa Francesco, con la
Lettera apostolica “Patris corde – Con cuore di
Padre”, ha voluto ricordare il 150° anniversario
della sua dichiarazione quale Patrono della Chiesa univer­
sale.
Il testo dell’inno è una rielaborazione della lettera apostoli­
ca stessa, di cui sono stati ripresi i passaggi e le espressioni
più salienti: in particolare le espressioni “con un cuore di
Padre” e “ombra del Padre” celeste (sulla terra) sono esal­
tate nel ritornello, sottolineando due caratteristiche im­
portanti del padre putativo di Gesù, ovvero la sua umiltà
e la sua dedizione. Sicuramente sono tante le motivazioni
personali ed autobiografiche che hanno guidato il Papa ad
indire questo anno, ma è provvidenziale l’iniziativa anche
alla luce degli avvenimenti drammatici di questo tempo,
così provato e bisognoso di solida speranza. Ci aiuti san
Giuseppe a mantenere forte la fede, costante la dedizione
ai nostri doveri, creativa l’iniziativa per imboccare nuove
strade alla luce dello Spirito.
CON UN CUORE DI PADRE
O beato Giuseppe, sei un padre per noi;
tu proteggi il cammino dei nostri giorni.
Con l’onesto lavoro, umile e quotidiano,
affrettasti l’avvento del regno di Dio
HAI VISSUTO IN ASCOLTO
DEL SILENZIO DI DIO.
ITE AD IOSEPH! FOSTI L’OMBRA DEL PADRE.
OBBEDIENTE AD UN SOGNO,
NELLA FEDE CHE TACE,
CI CUSTODISCI CON UN CUORE DI PADRE.
CON UN CUORE DI PADRE.
Con creativo coraggio, come i grandi patriarchi,
la tua sposa e suo Figlio hai custodito.
Fu un tesoro prezioso, fu la Chiesa nascente
la Famiglia che in te trovò guida e saggezza.
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3.6 Page 26

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LE CASE DI DON BOSCO
La comunità
Rimini
I Salesiani sono arrivati cento anni fa e hanno
lasciato un segno profondo nella città. «Qui
mi hanno trattato come un principe» esclamò
don Bosco dopo la visita a Rimini. Qui trovò
benefattori, tanta gente affezionata, i Salesiani
fondarono una scuola, oggi Casa per ferie,
una parrocchia e un oratorio, in cui crebbe
il beato Alberto Marvelli.
“Ciao ma’, a vag di Salisièn”, ciao mamma vado dai Salesia­
ni, diceva il bambino che scappava da casa appena poteva
per andare all’Oratorio, quello di piazza Tripoli, per tan­
ti anni il più grande di Rimini. Quello dove era cresciuto
Una
presenza
cordiale e
accogliente
in riva al
mare nel
nome di
don Bosco.
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3.7 Page 27

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anche Alberto Marvelli, il Beato che ora dà nome
alla piazza.
All’Oratorio certo si pregava; ma si giocava a calcio
(sulla terra battuta, poi sul duro asfalto) e poi an­
che a basket, pallamano e pallavolo, nelle squadre
dell’Osar, dell’Orsa e dell’Omar. C’erano il coro e
la musica del grande organo, il teatro e il cinema
e in estate i film si proiettavano all’aperto nell’Are­
na del Fanciullo. Tutti maschi, beninteso, int’l’U-
ratorie, perché le femmine stavano al di là del muro,
dalle suore salesiane.
“Ho studiè di Salesièn”, ho studiato dai Salesiani: e
poi c’era la scuola, che avrebbe anzi dovuto essere il
cuore della parrocchia di Maria Ausiliatrice affida­
ta appunto ai Salesiani, la cui prima missione era ed
è l’educazione dei fanciulli.
Parrocchia che fu assunta dai sacerdoti di don Bo­
sco nel 1919, insediandosi nella nuovissima chiesa
consacrata 6 anni prima pur non ancora terminata.
La chiesa in realtà era stata affidata ai Salesiani già
dal 1913 ma, a causa della guerra, avevano dovu­
to attendere. Era stato don Maccolini a sostenere
l’arrivo dei Salesiani, anche per l’ammirazione su­
scitata in lui da don Bosco, che visitò Rimini nel
maggio del 1882.
I lavori sarebbero andati avanti fino al 1941, come
si legge sul segnavento del campanile. Ben pre­
sto fu attiva una casa per gli Orfani. Le Figlie di
Maria Ausiliatrice giunsero nel 1923, occupando
un’area adiacente con il loro grande edificio in via
Tripoli. E poi fu aperta una scuola media tenuta
dai sacerdoti-insegnanti, che sarà in seguito scuola
d’arte, succursale (in affitto) di scuola pubblica e
ora Casa per ferie.
La scuola salesiana aprì il 18 ottobre 1948, preside
don Gualtiero Bondi. Non ebbe vita facile. Dopo
una partenza ostacolata anche dal momento di
contrapposizione ideologica del dopoguerra, il de­
collo avvenne nel 1953 con il riconoscimento lega­
le dell’intero corso di studi da parte del ministero
della pubblica istruzione. Nel 1958 la scuola aveva
200 iscritti e tanti all’incirca resteranno per quasi
un decennio.
Ma già a metà degli anni ’60, al culmine delle at­
tività – anche per ragioni demografiche: si era al
picco della natalità in Italia, raggiunto nel 1964 – si
mostravano i primi segni di crisi. E a soffrirne su­
L’oratorio salesiano
di Rimini è un
luogo importante di
aggregazione giovanile.
Molti riminesi hanno
conosciuto i salesiani
e don Bosco proprio
frequentando l’oratorio
che è stato un luogo
indubbiamente ricco di
proposte e di formazione
umana e cristiana.
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3.8 Page 28

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LE CASE DI DON BOSCO
Oggi la
bellissima
chiesa è un
gentile invito
spirituale
per la folla
di turisti
che invade
l’ambitissima
spiaggia che
si distende
proprio
davanti al suo
portale.
bito fu proprio la scuola, dove le iscrizioni subirono
un declino inarrestabile: nell’anno scolastico 1970-
71 erano rimasti solo 64 alunni e l’anno successivo
risultò impossibile formare una nuova prima clas­
se. La scuola salesiana chiuse e gli ambienti furono
affittati alla scuola pubblica, come sede succur­
sale della media n. 4 allora
precariamente sistemata al
Grattacielo.
A Rimini avvenne anche il
miracolo richiesto nel proces­
so di canonizzazione che fece
salire agli altari don Bosco.
La signora Anna Macolini,
nel 1933, si era gravemente
ammalata di una forma di
flebite che i medici non riu­
scivano in nessun modo a
curare, e quando ormai sem­
brava che ogni speranza fosse
perduta, dopo aver pregato e
chiesto la grazia a don Bo­
sco, guarì completamente in
modo inspiegabile.
La Parrocchia e l’oratorio
La chiesa affidata ai Salesiani era inizialmente in
una zona abitata da gente povera: soprattutto or­
tolani, contadini, operai. Ma erano gli anni del
grande sviluppo balneare di Rimini, allora det­
ta «l’Ostenda d’Italia». La fascia costiera vedeva
l’edificazione di villini, di ville e di alberghi; ma il
suo sviluppo non aveva mai considerato la necessità
di un edificio per il servizio religioso. Solo nel 1910
la Curia diocesana riuscì a convincere la diffidente
giunta comunale a destinare un lotto di terreno per
la costruzione di una chiesa al mare.
Naturalmente la località per la nuova chiesa venne
scelta con cura dai maggiorenti comunali: verso il
mare, appunto come era stato richiesto e come era
opportuno, ma il più lontano possibile dal centro
balneare con il nuovissimo Grand Hotel, per non
“turbare” la vita spensierata della colonia dei ba­
gnanti, ormai cosmopolita e folta di ricchi vacan­
zieri.
Quello che allora era un piccolo “dispetto” si è tra­
mutato in un grande vantaggio. Oggi la bellissima
chiesa è un gentile invito spirituale per la folla di
turisti che invade l’ambitissima spiaggia che si di­
stende proprio davanti al suo portale.
«Pur in un posto di svago e divertimento la Chiesa
sa creare al suo interno un’oasi di pace e amore. I
padri salesiani sono attenti alle esigenze del popolo
ed hanno una facilità di comunicazione rara al
tempo d’oggi» testimonia un visitatore.
Con lo stesso spirito va apprezzata nel suo com­
plesso tutta la chiesa di Santa Maria Ausiliatrice,
nella cui atmosfera è bello immergersi sottraendosi
al traffico della riviera e all’abbacinante sole estivo:
per trovare penombre serene alternate a dolci zone
chiare e colorate per le stupende vetrate in cui di­
venta facile riflettere e avvertire la protezione del­
la Vergine «ausiliatrice», la cui immagine domina
con naturalezza e autorevolezza la preghiera, senza
dubbio favorita dallo spazio goticheggiante della
chiesa.
L’oratorio salesiano di Rimini è un luogo importante
di aggregazione giovanile. Molti riminesi hanno
conosciuto i salesiani e don Bosco proprio frequen­
tando l’oratorio che è stato un luogo indubbiamente
ricco di proposte e di formazione umana e cristiana.
Qui il beato Alberto Marvelli è cresciuto come
ragazzo e poi come animatore. In seguito alla ri­
strutturazione della canonica l’oratorio è stato
completamente rinnovato nei suoi ambienti e spazi
sportivi e si presenta moderno e attraente.
La casa per ferie
Rimini è una delle capitali del turismo internazio­
nale. La comunità salesiana ha realizzato una spe­
ciale casa di ospitalità per le vacanze familiari con
un taglio di forte spiritualità. Dal 2016 il prece­
dente edificio scolastico, a causa della sospensione
dell’attività, è stato trasformato in Casa per Ferie
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TRE DOMANDE AL DIRETTORE DON MAURO SORU
Qual è la sua
soddisfazione
più bella?
Aver potuto conoscere e lavo-
rare in una casa in cui l’aspetto
della santità salesiana, grazie
alla figura di Alberto Marvelli,
è alla base di tutta l’Opera.
Come sono i giovani riminesi oggi?
I giovani riminesi non sono molto diversi dagli altri
giovani. Anche se qualche differenza spicca soprat-
tutto quando a livello di incontri ispettoriali si condi-
vidono i cammini delle varie Case. I riminesi hanno un
innato e forte spirito di accoglienza e l’aspetto religioso
e di servizio più marcato.
Quali sono le preoccupazioni
e i sogni?
I desideri e le prospettive sono diversi:
Valorizzare la figura di Alberto Marvelli: co-
minciando dal collocare in chiesa in modo “appa-
riscente” la reliquia del Beato, per dare anche una forte
valenza alla santità giovanile salesiana e riminese.
Sviluppare in modo più marcato una pastorale
che valorizzi l’Opera Salesiana, soprattutto nei
mesi estivi, con iniziative che coinvolgo-
no i molti turisti che affolla-
no Rimini.
Dare sempre più ri-
levanza all’Oratorio che,
dopo aver rinnovato gli
spazi, deve “decollare”.
per l’accoglienza di gruppi e di famiglie. Tutta la
struttura è stata rinnovata secondo gli ultimi det­
tami della logistica: camere a 2 o 4 letti per ol­
tre 100 posti; un ampio salone per la ristorazione
supportata da una cucina “casalinga e familiare”
ambienti per riunioni e incontri. Il vicino cortile e
i campi da gioco dell’oratorio e la chiesa di Maria
Ausiliatrice completano l’offerta di un servizio ri­
creativo e religioso in stile salesiano. Una presenza
salesiana riconosciuta e stimata per la molteplicità
di servizi e proposte in sintonia con il territorio,
fortemente marcato di identità turistica di acco­
glienza, nello stile ricettivo del clima familiare
della Romagna.
Non è per nulla indifferente il fatto che qui risie­
da stabilmente una comunità religiosa, formata da
cinque confratelli sacerdoti. Ecco dunque da dove
proviene la grande possibilità di realizzare l’obietti­
vo proposto: nel contributo specifico di ciascuno di
loro nell’offrire un accompagnamento spirituale (S.
Messe, confessioni, preghiera, direzione spirituale),
di accoglienza (attenzione alle esigenze di ciascuno,
appoggio in caso di necessità), organizzativo (con
animazioni, suggerimenti, proposte).
Per questo sono programmati tempi adeguati a
Incontri, Ritiri ed Esercizi Spirituali, per giovani
e adulti, da realizzarsi in autunno, inverno e pri­
mavera, con apertura a livello nazionale, guidati
da persone competenti, capaci di fare assaporare
le dolcezze della miniera spirituale che è appunto
il beato Alberto Marvelli, miniera generosamente
imbevuta dalla concretezza della spiritualità sale­
siana.
Ulteriori informazioni:
www.salesianirimini.it
Rimini è una
delle capitali
del turismo
internazionale.
La comunità
salesiana ha
realizzato una
speciale casa
di ospitalità
per le vacanze
familiari con
un taglio
di forte
spiritualità.
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29

3.10 Page 30

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I FONDATORI
T.B.
Santa Maria Domenica
Mazzarello Giovanni Bosco e Maria
Domenica, nutriti dalle
Madre delle figlie
stesse colline, amavano
dello stesso amore,
di Maria Ausiliatrice
erano fatti per intendersi.
Due contadini dell’assoluto.
1860 In piena estate, sulle colline di Mornese,
esplode il tifo. La seconda guerra d’in­
dipendenza, l’anno prima, s’è portata
via alcuni padri di famiglia. Ora il tifo, spuntato
da uno di quei pozzi dove d’estate l’acqua stagna e
imputridisce, mette il terrore in quella zona dell’A­
lessandrino.
Come ogni volta che si diffonde una malattia in­
fettiva, si torna a parlare di streghe e di malocchio.
Microbi, igiene, disinfezione sono parole ancora
sconosciute.
Le famiglie dove il tifo arriva sono abbandonate da
tutti. Le case dove si è sani si sprangano.
Una famiglia che porta il cognome dei Mazzarello
è tra le prime a essere colpita. Prima l’uomo, poi
la donna e tutti i bambini. Dopo qualche giorno
il papà e il bambino più grande sono in fin di vita.
Don Pestarino, il prete che a Mornese chiamano
«previn» (un po› perché è piccolo e un po› perché è
simpatico) va a trovare quella gente e si accorge che
hanno assoluto bisogno di una persona che li aiuti.
Va dritto a una casa di parenti, Mazzarello anche
loro, e chiama Maria. È una ragazza soda. Ha 23
anni. Lavora come un uomo e prega come un angelo.
«A casa di tuo zio, due stanno morendo. Ti senti di
andare a dare una mano?»
Una lunga pausa. Maria ha paura, come tutti. Il
«previn» la guarda tranquillo e aspetta. Maria
mormora: «Se mio padre accetta, ci vado».
Suo padre è un cristiano sul serio. Maria entra
nella casa colpita. L’ordine e la pulizia tornano
velocemente. Medicine e cibo caldo sono pronti
alle ore stabilite. I malati scendono dal letto guari­
ti, ma il tifo si abbatte su Maria. La sua bella faccia
ovale si riduce in pochi giorni a un triangolo di pel­
le pallida e tirata. Il medico viene, scuote la testa.
Maria, sfinita, gli dice: «Grazie, ma per favore non
mi faccia ingoiare altre pillole. Non ho più bisogno
di niente. Soltanto che Dio venga a prendermi».
La sua ora però non è ancora arrivata. Dovrà
lavorare tanto su questa terra prima che Dio venga
a prenderla.
Confidenze a Petronilla
Così, senza pillole, Maria si trova improvvisamente
sfebbrata. Sul volto tornano i colori della salute.
Nelle membra però rimane un torpore, una debo­
lezza diffusa. La febbre altissima ha rotto qualcosa
nell’organismo robusto.
E ora che farà? Più di un giovanotto vorrebbe
parlare di matrimonio con lei. Non le manca nulla
per diventare una bella sposa e una brava mamma.
Ma lei questi discorsi non li vuole nemmeno
incominciare. E si domanda: «Che farò nella vita?».
Maria Mazzarello è iscritta alla Pia Unione delle Fi-
glie di Maria SS. Immacolata. Un’associazione eccle­
siale di ragazze impegnate diffusa nelle parrocchie.
Maria ha diciotto anni e un’amica con cui non ha se­
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greti. Si chiama Petronilla, è Figlia dell’Immacolata
come lei, e porta il suo stesso cognome, Mazzarello.
Con lei, Maria, che è decisa e creativa, impianta un
piccolo laboratorio di sartoria. Una decina di bam­
bine vanno a imparare a cucire. Ma ecco una novità
che sconvolge tutto.
Quattro occhi spauriti
È l’inverno del 1863. Le ragazzine sono appena an­
date a casa, proteggendosi dalla neve con zoccoli
e ombrelloni, quando Maria e Petronilla sentono
bussare alla porta. Si trovano davanti un vendito­
re ambulante, rimasto vedovo con due bambine.
Domanda che le tengano loro, non solo di giorno
ma anche di notte, perché lui in casa non ci può
rimanere e non se ne può occupare. Le bimbe sono
lì, quattro occhi spauriti. La più grande ha otto
anni, la più piccola sei. Petronilla prende per mano
la prima, Maria prende in braccio la più piccina.
Accendono un gran fuoco nel camino.
Così, senza nessun «piano prestabilito», il piccolo
laboratorio di sartoria si trasforma da quella sera in
casetta per bambine povere. Appena per Mornese
si diffonde la voce che le Mazzarello «prendono in
casa bambine orfane», vengono in molti a portare
un fascio di legna, un paio di coperte, mezzo sacco
di farina. Ma portano anche altre bimbe, che han­
no bisogno di una casa. In poco tempo sono sette.
Anche alla domenica, Maria vuole «far del bene a
tutte le ragazze del paese». Nasce così una specie
di oratorio. Nei giorni di festa le due amiche
raccolgono le ragazze, le accompagnano in chiesa,
le fanno stare allegre con giochi e passeggiate.
A Mornese intanto c’è un’altra novità. Due altre
Figlie dell’Immacolata chiedono a Maria e a Petro­
nilla di «fare come loro». Viene interrogato don
Pestarino, che risponde: «Perché no? In due avete
tante cose da fare che non ve la cavate più». Si for­
ma così una specie di comunità: le quattro Figlie,
come le chiamano in paese, insegnano a cucire alle
ragazzine, fanno da mamme alle sette piccole che
vivono giorno e notte con loro.
Nel 1864 don Bosco arriva a Mornese con i suoi
ragazzi, durante le passeggiate autunnali. Dopo la
cena, incoraggiati dagli applausi, i ragazzi di don
Bosco danno un breve concerto di marce e musica
allegra. In prima fila c’è Maria Mazzarello, 27 anni.
Il giorno dopo, in mattinata, don Pestarino presenta
a don Bosco le «Figlie dell’Immacolata». Tra loro c’è
Maria Mazzarello. Don Bosco rimane impressiona­
to dalla bontà e dalla laboriosità di quelle ragazze.
Don Bosco a Mornese si ferma cinque giorni. Maria
Mazzarello ogni sera riesce ad ascoltare la «buona
notte» che dà ai suoi giovani. Qualcuno la rimpro­
vera di questo come di un gesto sconveniente. E lei
risponde: «Don Bosco è un santo, io lo sento».
La pala
dell’altare
della
cappella di
Santa Maria
Mazzarello
nella Basilica
di Maria
Ausiliatrice.
L’autore è
P.G. Crida.
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I FONDATORI
Madre
Mazzarello
accetta la
carica di
Superiora.
Si crede
incapace
e invece
si rivelerà
grande e
coraggiosa,
come le
grandi sante
della storia
della Chiesa.
Nascono le FMA
Da anni don Bosco sta seriamente pensando di
fondare una famiglia di Suore, che faccia per le
fanciulle il bene che i suoi Salesiani fanno per i ra­
gazzi. Nel 1869 stringe i tempi per la fondazione di
questa sua «seconda famiglia».
Don Bosco decide allora di fondare le Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice. Il nucleo fondamentale di esse sarà
il gruppo di ragazze che a Mornese, capeggiate
da Maria Mazzarello e sotto la direzione di don
Pestarino, sta già vivendo in silenzio una vera vita
religiosa.
Felicina Mazzarello, sorella di Maria, ricordava
così la vita di quei primissimi tempi: «Tante volte
mancava alla piccola comunità il sostentamento ne­
cessario, mancava persino la farina per la polenta,
e quando si aveva questa mancava la legna per far­
la cuocere. Maria, allora, usciva in campagna con
qualcuna delle Figlie, e andava in qualche bosco
a fare la fascina di legna secca e con quella sulle
spalle tornava a casa a preparare il cibo. Fatta la po­
lenta, la portava in cortile, la deponeva con il piatto
sul terreno, e invitava le compagne al lauto pranzo.
Mancavano i piatti, le posate, ma non l’appetito e
l’allegria».
29 gennaio 1872. Per ordine di don Bosco, don Pe­
starino raduna le prime 27 Figlie di Maria Ausi­
liatrice perché eleggano la loro prima superiora. 21
voti piovono su Maria Mazzarello, che, esterrefatta,
chiede subito alle compagne di dispensarla. Le altre
insistono, e don Pestarino decide di rimettere tutto
alla volontà di don Bosco. Maria si sente sollevata:
don Bosco sa che lei è incapace, e certo la dispenserà.
Invece don Bosco sa quanto lei sia capace, e la
conferma nella carica, con sua grande desolazione.
Sarà una grandissima fondatrice, una leader cari­
smatica, con la tempra e la capacità di santa Tere­
sa, santa Chiara. La Congregazione delle Figlie di
Maria Ausiliatrice si diffonde in tutto il mondo.
«Gli occhi bassi, ma la testa no»
5 agosto 1872. Le prime quindici fma ricevono
l’abito religioso. Undici pronunciano anche i primi
voti. Tra esse c’è Maria Mazzarello. Don Bosco
dice: «Voi siete in pena perché i vostri stessi parenti
vi voltano le spalle. Non vi rincresca di essere così
maltrattate nel mondo. Solo in questa maniera po­
trete fare un gran bene... Comportatevi da con­
sacrate a Dio: gli occhi bassi, ma la testa no» (mb
10,616s). Il messaggio di don Bosco alle sue prime
figlie è chiarissimo: gli occhi si abbassano davanti
alla maestà di Dio, ma la testa si porta davanti alla
gente, e non deve essere curva come quella delle ser­
ve, ma lieta e fiera come quella delle figlie di Dio.
Molte suore usavano per guanciale un pezzo di
legno fasciato alla meglio con degli stracci. Tut­
ti i cuscini esistenti in casa erano per le bambine.
Maria Mazzarello non voleva che le suore più
giovani facessero questa mortificazione, ma non
poteva dire molto perché era stata lei la prima che
aveva escogitato questo sistema.
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9 febbraio 1876. Tra uno sfarinio di neve, partono
le prime tre suore. Vanno a Vallecrosia, in Liguria,
ad aprire un oratorio e una scuola per ragazze.
29 marzo. Altre sette suore partono per Torino. A
cinquanta metri dall’oratorio di Valdocco danno
inizio a un oratorio e a una scuola femminile. Que­
sta casa diventerà per più di quarantanni la sede
centrale delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
1878. Le Figlie di Maria Ausiliatrice sono ormai una
famiglia numerosa, sparsa in tutto il mondo. Il cen­
tro della Congregazione, per ordine di don Bosco,
si trasferisce da Mornese a Nizza Monferrato. È
uno strappo doloroso per Maria Mazzarello. Dà
addio a papà e mamma molto anziani, al cimitero
dove riposano don Pestarino e alcune delle prime
compagne.
Il fatto di essere superiora generale non fece mai
perdere a Maria Mazzarello il senso delle propor­
zioni. Continuò ad assistere le ragazzine più piccole
in camera, con occhio amoroso e attento. Una bim­
betta a cui i geloni avevano incollato insieme piedi,
calze e scarpe, guardò in giro se nessuno la vedeva,
e s’infilò sotto le lenzuola con scarpe e tutto. Ma­
dre Mazzarello s’accorse della manovra. Non dis­
se niente. Scese in cucina a prendere un catino di
acqua tiepida, della garza e della bambagia. Portò
tutto accanto al letto della bambina e le sussurrò:
«E adesso fammi vedere i tuoi piedini. Non aver
paura, non ti farò male».
La morte arriva coi fiori di maggio
Gennaio 1881. Le suore cominciano a notare che la
salute di madre Mazzarello sta declinando. Qualcu­
no le sussurra che deve badare di più alla salute, ma
lei sorridendo risponde: «È meglio per tutte che me
ne vada. Così faranno superiora una più abile di me».
Il crollo avviene mentre sta accompagnando un
gruppo di missionarie in partenza per l’America.
Per un contrattempo deve passare una notte ran­
nicchiata in un angolo, vestita e tremante di feb­
bre. Al mattino non riesce ad alzarsi. «Pleurite in
forma grave», sentenzia il medico. Quaranta giorni
di febbre, martoriata dai vescicanti che sono l’unica
cura conosciuta in quei tempi. Pallida e sfinita
giunge a Nizza. È accolta da una gran festa, che la
commuove. Ringrazia con poche parole: «In questo
mondo, qualunque cosa avvenga, non dobbiamo né
rallegrarci né rattristarci troppo. Siamo nelle mani
di Dio, che è nostro padre, e dobbiamo sempre es­
sere pronte a fare la sua volontà».
Il crollo arrivò in primavera. Dai vetri della finestra
si vedevano il verde e i fiori. Le piaceva sentire il
chiasso delle bambine che correvano e giocavano
spensierate. Volle ancora parlare con le sue suore.
Disse: «Vogliatevi bene. Tenetevi sempre unite.
Avete abbandonato il mondo. Non fabbricatevene
un altro qui dentro. Pensate al perché siete entrate
in Congregazione».
Stava male, ma non volle rattristare nessuno fino
alla fine. Si sforzò addirittura di cantare. Dio
le venne incontro all’alba del 14 maggio 1882.
Riuscì a mormorare: «Arrivederci in cielo». Aveva
44 anni.
Madre
Mazzarello
presenta al
Papa la sua
Congregazione.
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COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
Autogrill per educatori
5 Tre verbi speciali Vi sono tre verbi preziosissimi.
Perderli, sarebbe un disastro umanitario.
Li proponiamo perché il lettore li gusti
e ne apprezzi tutta la loro potenza.
Abbracciare
Per guarire l’umanità oggi, così ammaccata, c’è chi
scommette sulla terapia della bellezza (“La bellezza
salverà il mondo!”); c’è chi punta sulla terapia della
gioia (“una risata salverà, il mondo”); c’è chi crede
nella terapia del lavoro (“un supplemento di fatica sal-
verà il mondo!”).
Noi crediamo nella terapia dell’abbraccio: la tene-
rezza ci salverà!
Dobbiamo ammetterlo: ci siamo sbagliati! Da cin­
quecento anni a questa parte abbiamo pensato che
ci bastasse il cervello con le sue idee chiare e distin­
te come voleva il filosofo francese René Descartes.
Errore da cartellino rosso!
Il cervello non basta: ci vuole calore. La tecnica non
è sufficiente: ci vuole pietà! Piccoli o grandi, non
importa: basta essere uomini per aver bisogno di
amore!
Lo stesso Giacomo Leopardi un giorno sentì il bi­
sogno di sfogarsi con il fratello: “Della fama non so
che farmene. Amami! Per Dio, amami! Dell’amore
mi abbisogna!”
Da Leopardi passiamo ad un commovente fatto av­
venuto in un istituto per anziani.
Una sera una ricoverata prega Remo, un volontario:
«Fammi una carezza!».
Remo l’accarezza, la bacia, l’abbraccia e si ferma a
parlare con lei che è cieca. Da allora ogni giorno
va a trovarla e le fa
compagnia. Quella
donna ogni volta gli
dice: «Dio ti benedica!»
Gli prende la mano e la benedice come se fosse la
mano di Dio.
Gli esperti sono convinti che un bambino privo di
coccole, molto facilmente sarà un adulto apprensivo,
ansioso, incerto, incapace di serenità e sicurezza.
Una bambina consegnò alla maestra un foglietto
su cui aveva scritto, con l’aiuto della nonna, la sua
personale «ricetta della vita». Diceva: «Ci voglio­
no quattro abbracci al giorno per sopravvivere; ci
vogliono otto abbracci al giorno per tirare avanti;
ci vogliono dodici abbracci al giorno per crescere».
Non è un’esagerazione. Un abbraccio di cinque se­
condi comunica più di un’ora di parole.
L’abbraccio è il miglior allattamento psicologico
indispensabile per crescere umani.
Chi è indifferente non dà niente. Chi abbraccia dà
tutto: dà amore, dà stima, dà sicurezza, dà tenerezza,
dà forza. L’abbraccio dà sapore umano alla vita.
Una parola si dimentica, un abbraccio no.
Piangere
Le lacrime fanno capire quanto l’uomo è debole,
ma anche quanto il suo cuore è buono. Piangere
non è disonorevole.
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Nell’antichità piangevano
tutti: gli eroi greci piange­
vano più spesso di una adole­
scente d’oggi, piangevano
gli apostoli, ha pianto
Gesù stesso (Lc 19,41-
42; Gv 11,35).
Il figlio dell’impera­
tore romano Marco
Aurelio di nome
Commodo, quando
era ancora giovane,
si mise a piange­
re per la morte di
uno schiavo che gli
era particolarmente
caro. I cortigiani cer­
cavano di consolarlo, ma
Marco Aurelio disse loro: «Lasciate che mio figlio
sia uomo, prima di essere imperatore». Questa è
saggezza.
Il pianto è silenzioso, ma dice che si è miti, disar­
mati, vicini: dice, più di ogni altra voce, che si è
umani. Il pianto è una cattedra che fa scuola di
umanità. Il poeta francese Alphonse de Lamartine
diceva: «Dopo il proprio sangue, quello che l’uomo
può dare di meglio è una lacrima».
Ascoltare
“Saper parlare è dono di molti. Saper tacere è sag­
gezza di pochi. Saper ascoltare è generosità di po­
chissimi”. Chi può negare la verità di queste lim­
pide parole del nostro scrittore Nino Salvaneschi:
«Saper ascoltare è generosità di pochissimi».
Anche per questo cresce la desertificazione umana.
L’ascolto è una riserva di Valori.
Ascoltare qualcuno è riconoscere che ha impor­
tanza per noi, che merita essere preso sul serio, è
dimostrargli che siamo disposti a dargli una mano,
è un anticipo di fiducia.
‘Ascoltare’, dunque; e non solamente ‘sentire’. ‘Sen­
tire’ è un problema di acustica (anche gli animali
‘sentono’). ‘Ascoltare’ è lasciare che le parole dell’al­
tro penetrino in noi nel profondo e vi risuonino
dentro con tutta la loro forza.
‘Ascoltare’ è un’arte.
Si ascolta senza sbirciare l’orologio.
Si ascolta con gli occhi accoglienti che fanno ca­
pire a chi parla che rappresenta il mondo.
Si ascolta con simpatia, anche se non sempre si
è d’accordo.
Si ascolta senza interrompere tutti i momenti e
neppure dando subito giudizi.
Se tale sarà l’ascolto, regaleremo al nostro inter­
locutore una straordinaria esperienza umana, così
soddisfacente da diventare, addirittura, indispen­
sabile.
Lo prova questa dolce favola.
Tanti anni fa vivevano in Cina due amici. Uno era
molto bravo a suonare l’arpa. L’altro era molto bravo
nell’ascoltarlo. Quando il primo suonava o cantava
una canzone che parlava, ad esempio, della monta­
gna, il secondo diceva: «Vedo la montagna come se
l’avessi davanti!».
Quando il primo suonava a proposito di un ruscel­
lo, quello che ascoltava diceva, estasiato: «Sento
scorrere l’acqua tra le pietre!»
Ma un triste giorno quello che ascoltava si ammalò
e morì. Il primo amico tagliò le corde della sua arpa
e non suonò mai più. Ecco: esistiamo, veramente,
solo se qualcuno ci ascolta.
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LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
La geografia del buio
E mi dicevi tutto passa, io ti chiedevo: “Quando passa davvero?”
Ma poi la promessa dell’alba si fa più vicina e il buio si scambia
con la luce della mattina...
Il buio, spesso, ci fa paura! Nell’oscurità ci sentia­
mo persi, smarriti, disorientati; facciamo fatica a
distinguere pieni e vuoti, a riconoscere il profi­
lo di ciò che ci circonda, a individuare punti di
riferimento affidabili che demarchino la strada da
percorrere. Abbiamo la sensazione di aggirarci in
un labirinto bendati, incapaci di trovare l’uscita, ma
anche di dar senso al nostro camminare, che asso­
miglia sempre più a un vagare a tentoni nella notte.
La geografia del buio
è una stanza dipinta di nero,
un mare d’ansia dove annega il pensiero,
io ti parlavo, ma in realtà non c’ero.
La geografia del buio,
i consigli poi ti servono a zero
fino a che il falso si sovrappone al vero,
fino a che il piombo copre tutto il cielo.
Ed è facile caderci dentro,
più di quello che pensi,
basta un movimento sbagliato,
per toglierti il fiato.
È come camminare nel labirinto bendato,
senza trovare l’uscita,
cercare di dare una spiegazione a tutto in questa vita
che alla fine, per intero, non può essere capita...
Ma poi la promessa dell’alba
si fa più vicina
e il buio si scambia con la luce della mattina...
Ma, a volte, l’oscurità può anche esercitare su di
noi un certo fascino. Al buio possiamo perderci,
eclissarci, nasconderci allo sguardo giudicante de­
gli altri, rifuggire da quell’eccesso di luminosità che
talvolta ci disturba, nella misura in cui ci costringe
a uscire allo scoperto con tutti i nostri passi falsi e
le nostre fragilità.
È quello che ci capita ogniqualvolta, nel faticoso
cammino verso l’adultità, sentiamo il bisogno di
rintanarci in noi stessi, di chiudere a chiave il nostro
cuore e, più o meno consapevolmente, decidiamo
di cedere alla tentazione dell’oblio, quale allettante
quanto illusoria panacea contro gli affanni e le de­
lusioni di una vita che, con le sue luci abbaglianti e
violente, ferisce i nostri occhi e ci ustiona la pelle.
Accucciarci nell’ombra ci sembra, allora, il rimedio
più efficace, una condizione quasi rinfrancante che,
per quanto ci privi della possibilità di godere appie­
no dello scintillio e della brillantezza del mattino,
quantomeno ci garantisce un po’ di ristoro e ci met­
te al riparo dal rischio di rimanere scottati.
Ma accade talvolta che, a furia di schivare la luce,
ci abituiamo a tal punto a vivere nella penombra da
non essere più capaci di tirarcene fuori e da diven­
tare prigionieri di quel buio che per primi abbia­
mo ricercato e imparato ad amare. Ed è allora che,
nella nostra esistenza, si verifica qualcosa di simile
a un black-out, un temporaneo oscuramento di tut­
te le nostre energie vitali che ci lascia spauriti e di­
sorientati, incapaci di raccapezzarci nell’inestrica­
bile “geografia del buio” per riuscire a rintracciare
l’interruttore generale – sempre che ne esista uno
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4.7 Page 37

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– in grado di riattivare tutto ciò che si è spento.
Anche al buio, tuttavia, possiamo imparare a ri­
conoscere qualche vago sfavillio di luci, timidi se­
gnali di speranza ai quali aggrapparci con tutte le
nostre forze per trarci in salvo dalle tenebre. Le luci
fioche di una casa in lontananza o di un paesello
abbarbicato sulla collina che, illuminato come un
piccolo presepe, ci testimonia di una presenza uma­
na discreta, ma concreta, cui chiedere aiuto e ospi­
talità nell’attesa che albeggi. Il flebile baluginare
di una lampara in mezzo al mare, icona della fatica
umana nella solitudine e nel silenzio della notte,
che ci rammenta l’importanza di perseverare nel­
la ricerca di risposte alle nostre domande di senso.
Il nero che si trasforma in acqua marina,
la nebbia si dirada
e si intravede la riva...
E mi dicevi tutto passa,
io ti chiedevo: “Quando passa davvero?”,
e non è uscito ancora il binario del treno
per portarci via da questo peso.
E io che non ricordo più la leggerezza
di un discorso scemo,
di ridere per niente,
di fregarmene un po’ meno,
di vedere ancora questo bicchiere un po’ più pieno.
Perché è pericoloso, sai, parlare del futuro,
come quando splende il sole
e dopo viene giù un diluvio.
Perché non basterebbero cent’anni di studio
per orientarsi nella geografia del buio...
Ma poi la promessa dell’alba
si fa più vicina
e il buio si scambia con la luce della mattina...
Il nero che si trasforma in acqua marina,
la nebbia si dirada
e si intravede la riva...
E non è un caso,
e non è colpa mia,
che la materia che poi si conosce meno
è la geografia...
(Michele Bravi, La promessa dell'alba, 2021)
Il bagliore pulsante delle stelle che, squarciando il
buio della sera, illuminano la strada e forniscono,
a chi impara a leggerle, una mappa essenziale per
orientare il cammino. Fino a scoprire che noi stessi
possiamo farci “sentinelle del mattino” e divenire
fonte di luce per rischiarare la nostra quotidianità
e quella di chi ci sta accanto, se solo siamo capaci
di liberarci di tutte quelle scorie, di quel pessimi­
smo rinunciatario, di quella corrosiva disperazione
che spesso oscurano e opacizzano la nostra naturale
luminosità interiore, impedendoci di godere piena­
mente della solarità del giorno.
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
145 anni… e non li dimostra
Quasi certamente moltissimi lettori
ricevono mensilmente il Bollettino
Salesiano da tanti anni. Capita spesso
di sentir dire che il BS lo leggevano
i loro genitori, i loro nonni e forse anche
i bisnonni. Ma presumo che non tutti
sappiano come sia nato e perché don
Bosco 145 anni fa lo abbia ideato,
realizzato e diffuso. Vi raccontiamo la
storia della sua fondazione in due puntate.
Il primo
numero del
Bollettino
Salesiano.
Èdiffuso in tutto il mondo in decine di lin­
gue diverse. Certo ha cambiato molte volte
il suo volto, ma sempre in sintonia con il BS
del fondatore: “l’occhio (educativo) salesiano
sul mondo e l’occhio sul mondo salesiano”, come
amava ripetere il compianto Rettor Maggiore don
Juan Vecchi.
Si parte da lontano (1844)
Don Bosco ha capito ben presto l’importanza della
comunicazione e dei relativi strumenti di comunica­
zione sociale, anche se all’epoca vi era solo la stampa.
Appena lasciati gli studi (1844) egli dava alle stam­
pe i Cenni storici sulla vita del chierico Lui­gi Comol-
lo. L’anno successivo, mentre era al servizio della
marchesa Barolo, pubblicava un fascicolo Il divoto
dell’Angelo Custode e la voluminosa Storia Ecclesiastica.
Nel 1846 editava altri tre libriccini devozionali. Nel
1847 fu la volta della Storia sacra per uso delle scuole
e de Il Giovane provveduto…, un testo quest’ultimo
da oltre cento edizioni-ristampe vivente l’autore.
Con la promulgazione della libertà di stampa nel
1848 don Bosco preoccupato dei giovani, per loro
ideò in tempi rapidi il giornale trisettimanale L’A-
mico della Gioventù. Dovette presto chiudere l’espe­
rienza, ma non si scoraggiò.
Nel 1851 pubblicò un opuscolo La chiesa cat-
tolica-apostolica-romana e vista l’accoglienza
tanto favorevole, diede il via alla sua iniziativa
editoriale più riuscita: le Letture Cattoliche, che
alla sua morte avrebbe raggiunto dieci milioni
di copie (in un’Italia di 30 milioni di semianalfa­
beti!). Alla dozzina di fascicoli con il suo nome,
nel 1855 aggiunse la fortunatissima Storia d’Italia
raccontata alla gioventù, con venti edizioni lui viven­
te. Nel quinquennio 1856-1860 fu la volta di una
ventina di altri titoli. A sé stante invece nel 1856
mise in commercio La chiave del Paradiso in mano
al cattolico (un autentico bestseller da 800 mila copie
con 44 edizioni lui vivente).
La tipografia di Valdocco (1862)
Nel dicembre 1861 don Bosco ottenne l’autorizza­
zione ad aprire una propria Tipografia. Essa s’im­
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pegnò subito in ambito scolastico visti i nuovi pro­
grammi nati dopo l’unità d’Italia: pubblicò quattro
collane di autori scelti latini, greci, cristiani, oltre a
quella della Biblioteca della Gioventù Italiana. Quat­
tro pure i vocabolari di italiano, latino e greco oltre
a grammatiche, testi scolastici, sussidi. Nel 1876
DB fondò una “succursale” a Genova-Sampierda­
rena e nell’agosto del 1877 avviò il BS o Bibliofilo
cattolico (o BS mensuale) per i 4 primi mesi.
I timidi inizi del BS (1876-1877)
L’idea di procedere nel 1877 alla pubblicazione di
un Bollettino di informazione per tutte le persone
che a vario titolo erano interessate all’Opera Sale­
siana potrebbe essere stata suggerita a don Bosco
dalla presenza sul mercato di pubblicazioni simili
da parte di altri Ordini religiosi. Se queste pubbli­
cazioni erano inviate ai Terziari, membri ed amici
delle singole Famiglie religiose, don Bosco poteva
ben fare altrettanto con i suoi Cooperatori che pro­
prio in quegli anni si stavano formalmente radican­
do come Associazione.
Questa nel suo Regolamento prescriveva: “Ogni mese
con un bollettino [o] foglietto a stampa si darà ai
soci un ragguaglio delle cose proposte, fatte o che si
propongono a farsi”. Testo modificato poi: “Ogni tre
mesi ed anche più sovente con un bollettino o fogliet­
to a stampa (...)”. In realtà fu subito mensile.
In febbraio 1877 don Bosco comunicò ai suoi col­
laboratori la decisione di stampare un Bollettino
periodico “come il giornale della Congregazione,
perché sono molte le cose che si dovranno comu­
nicare ai detti Cooperatori”. In estate discusse
con don Barberis i problemi concreti del proget­
to e all’obiezione sul passivo che sarebbe derivato
dall’invio gratuito, fece notare che i lettori, saputo
della gratuità, avrebbero dato di più dell’eventuale
cifra richiesta, senza contare successive offerte.
Nei mesi di settembre-dicembre 1877 il BS si avviò
con la denominazione Bibliofilo cattolico o BS men-
suale. Il Bibliofilo cattolico era un catalogo che aveva
lo scopo di far conoscere le edizioni salesiane e altre
pubblicazioni utili alla gioventù e al clero. Nell’a­
gosto del 1877 subì dunque una radicale trasforma­
zione. Recava l’indicazione tipografica di Sampier­
darena per evitare il rischio che la curia torinese gli
negasse l’imprimatur. Era di 12 pagine ed aveva le
seguenti rubriche: Ai Cooperatori Salesiani, Dei
Cooperatori, Lettere dei Missionari salesiani nell’A­
merica Meridionale, Cose diverse, Prime prove di
alcuni Cooperatori, Indulgenze speciali pel mese di
agosto; seguivano e concludevano tre fitte pagine di
catalogo librario.
Due le edizioni di settembre. La prima con l’indi­
rizzo di Torino, la seconda con l’indirizzo di Geno­
va. In novembre don Bonetti assunse l’incarico di
Anche oggi
il Bollettino
Salesiano
porta nel
mondo
l’affetto e
gli ideali di
don Bosco.
redattore-direttore. Dal gennaio
1878 venne usata esclusivamente
l’intestazione BS. Le pagine varia­
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
rono da 8 a 20 fino al 1881. Dal
1882 si iniziò la numerazione con­
FEBBRAIO 2021
tinua fino a 204 pagine nel biennio
1882-1883 e a 158 pagine nel 1888.
L’invitato
Manuel
Cayo
L’obiettivo
DneolnmBoonsdcoo
Colombia
La nostra
storia
dI fornatBeollsicdoi
Le case di
don Bosco
Don Jimmy
Nel primo numero del settembre
1877 don Bosco indicava ai Coo­
peratori Salesiani che il BS avrebbe loro
dato “ragguaglio delle cose fatte o da
farsi onde ottenere il fine che ci siamo
MDoandBaogsacoscnaerl mondo
AdLeilcdcaoamnseBoosco
MARZO 2021
nSRe.ivGl i1sio8tav7af7onnndi Batoasdcoa
proposto” vale a dire “La gloria di Dio,
il bene della Civile Società”. Concre­
tamente intese che il periodico fosse
il mezzo normale di mantenere
delTleomsppiorito
IGdidiueiscesiapdnpoeni
l’identità di pensiero e di azione
fra i Cooperatori ed i Salesiani, di
promuovere la buona stampa, di
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
opporsi al proselitismo protestan­
APRILE 2021
te, alla corruzione dei costumi e
alla stampa irreligiosa e immora­
le, a danno soprattutto dei giova­
Il risorto
della
ni, e soprattutto di fare del bene
Cappella
Pinardi
ai lettori e loro famiglie (continua
il mese prossimo).
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I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni  postulatore generale
Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulatore@sdb.org
Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di maggio preghiamo per la Canonizzazione
della Beata Maria Romero Meneses, Figlia di Maria Ausiliatrice
Maria Romero Meneses nasce
a Granada di Nicaragua (Centro
America) il 13 gennaio 1902 da
famiglia borghese, nella quale
impara sin da piccina una deli-
cata sensibilità verso i poveri,
e in genere verso le sofferenze
altrui. A ventun anni emette la
professione religiosa nell’Istitu-
to delle Figlie di Maria Ausiliatri-
ce. Nel nome di questa sua Ma-
dre e “sua Regina” – come ama
invocare la Madonna – condurrà
una instancabile attività apo-
stolica, dando vita a grandiose
opere sociali in Costa Rica, dove
è inviata dopo la professione
religiosa. Le sue sollecitudini
sono anzitutto per la promozio-
ne e l’educazione cristiana delle
giovani, delle donne e specie
delle mamme, portando aiuto
materiale ed evangelizzazio-
ne alle famiglie povere della
periferia urbana e dei villaggi,
afflitte da disagio economico e
da decadimento morale; cura
l’alfabetizzazione e la catechesi
per i più poveri ed una capillare
istruzione religiosa per tutti. La
sua attività senza soste non le
impedisce di vivere nella pre-
ghiera momenti di profonda
intimità, di adorazione intensa
e di vera elevazione mistica,
come traspare da molti suoi
scritti occasionali, veri “appunti
dell’anima”. Quando finalmente
suor Maria decide di prendersi
un periodo di riposo, si spegne
improvvisamente per passare
al riposo senza fine nell’“eterno
abbraccio” del suo Signore. È il 7
luglio 1977. Il santo padre Gio-
vanni Paolo II l’ha bea­tificata il
14 aprile 2004.
Preghiera
O Dio, fonte di ogni consolazione,
che sempre ci vieni incontro con i molteplici doni del tuo amore,
per intercessione della beata Maria [Romero], vergine,
concedi a noi di sperimentare la dolcezza delle consolazioni
dello Spirito per diffondere in cristiana letizia i doni della tua bontà.
Per il nostro Signore.
Ringraziano
Con mia moglie ci siamo en-
trambi ammalati di COVID. Rin-
graziando Dio, dopo un mese
abbiamo cominciato a uscire
da questa patologia, benché
l’astenia sia stata grande. I primi
giorni della nostra malattia, sta-
vamo piuttosto male e decisi di
chiedere un Aiuto: a don Bosco,
a Maria Ausiliatrice, ma anche
e fortemente al Venerabile
Attilio Giordani. Era stato mio
educatore all’oratorio Sant’Ago-
stino di Milano e ricordo bene
la sua figura magra, sempre in
movimento, sempre attenta a
noi ragazzini, anche quando ci
vendeva la mitica “spuma”. Nel
giro di un paio di giorni le nostre
condizioni sono nettamente mi-
gliorate: il decorso è stato lun-
go, ma abbiamo superato la fase
più acuta. Sono riconoscente ad
Attilio, vorrei andare più spesso
nella chiesa di S. Agostino (la
mia parrocchia da ragazzo) per
pregare per lui, anche se certa-
mente è già stato accolto da don
Bosco e Maria Ausiliatrice. È una
piccola segnalazione fatta per
gratitudine verso don Bosco e
verso chi, nel suo nome, è stato
un vero educatore.
Dott. Maurizio Bruni – Milano
Più di 28 anni fa ho vissuto una
tristissima vicenda familiare.
Mia madre si era gravemente
ammalata e le era difficile anda-
re a lavorare, rischiava il licenzia-
mento; purtroppo in quel perio-
do particolare vivevamo del suo
salario, tutta la famiglia. Una
sera presa da notevole sconforto
in ginocchio presi a pregare, le
lacrime e i singhiozzi non aveva-
no fine, quando vidi un’ombra e
sentii una voce dolce, amorevo-
le, dicendo di essere Teresa. Io
pensai a Santa Teresa del Bam-
bino Gesù; lei amorevolmente
disse no; io pensai allora santa
Teresa d’Avila; lei amorevol-
mente disse no, disse: “suor
Teresa Valsè Pantellini”. Io re-
stai ferma, sempre in ginocchio
chiedendomi cosa mi stava suc-
cedendo, continuai con le lacri-
me e pregai un altro po’, poi mi
alzai, ma ero frastornata, poiché
non conoscevo questo nome,
questa suora. Dopo un po’ di
tempo le cose andarono un po’
meglio, incontrai persone che
mi guidarono per poter miglio-
rare la situazione, in cui era pre-
cipitata la mia famiglia. Dopo
breve andai dal mio parroco,
che mi aiutò a trovar lavoro per
1 mese a Gambarie dalle suore
Salesiane. Io accettai; con dolore
lasciavo i miei genitori, la mia fa-
miglia, mio figlio piccolo, ma an-
dai. Lavorai per 1 mese presso
le suore Salesiane, amata e vo-
luta bene. Arrivò l’ultimo giorno
quando la suora più anziana mi
disse che c’era da riordinare l’ul-
timo piano dell’Ostello; andai lì
e vidi che c’erano degli opuscoli
riguardanti suor Teresa Valsè
Pantellini: io rimasi stupefatta,
ero felice, colma di gioia: suor
Teresa esisteva, poiché io della
Famiglia salesiana conoscevo
solo don Bosco, madre Mazza-
rello, Domenico Savio. Presi un
opuscolo che ancor oggi conser-
vo (come una reliquia), continuai
a pregarla e le promisi che se la
mia difficile situazione familiare
si fosse risolta, qualora avessi
avuto una figlia le avrei dato il
suo nome, Teresa. Oggi ho una
figlia di 28 anni che si chiama Te-
resa Esmeralda in ringraziamen-
to, per non dimenticare mai ciò
che mi è accaduto e ogni volta,
in ogni necessità, la invoco e lei
rapidamente mi è sempre vici-
na. Recentemente ho recitato la
novena a suor Teresa Valsè Pan-
tellini per delle persone a noi
care colpite dal coronavirus che
sono state preservate per sua
intercessione.
Giuseppa Guarneri
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IL LORO RICORDO E` BENEDIZIONE
ANS
Don Cosimo Semeraro
Morto a Cerignola (Foggia), l’8 marzo 2021, a 78 anni
Don Cosimo Semeraro, nato a
Taranto nel 1942, a 22 anni entra
nella Congregazione salesiana e
compiuti gli studi teologici nella
Facoltà di Teologia (sezione di
Torino Crocetta), coronati con la
Licenza in Teologia nel 1971, e
dopo l’ordinazione sacerdotale,
ha svolto nella sua Ispettoria
di origine l’incarico di Direttore
dell’oratorio a Cerignola. Ha
proseguito gli studi universi-
tari conseguendo, nel 1978, il
Dottorato in Storia della Chiesa.
Dal 1973 è Professore presso la
Facoltà di Teologia della Ponti-
ficia Università Salesiana per la
cattedra di Storia della Chiesa, e
dal 2002 Segretario del Pontifi-
cio Comitato di Scienze Storiche.
In trent’anni di docenza nella
Facoltà di Teologia ha tenuto
corsi e seminari attinenti all’a-
rea della metodologia del lavo-
ro scientifico, della Storia della
Chiesa, della Storia della spiri-
tualità e dell’Opera salesiana.
È stato Economo, Segretario,
Direttore del Centro Studi “Don
Bosco” e Direttore dell’Archivio
storico dell’Università.
I suoi scritti offrono un’indiscu-
tibile testimonianza della sua
larga informazione bibliografi-
ca, della sua matura competen-
za nell’esame delle fonti e nella
ricostruzione di situazioni, per-
sonaggi, istituzioni ed eventi
storici, condotta con aggiornati
criteri storiografici.
Inoltre, don Semeraro ha par-
tecipato intensamente alla vita
della comunità scientifica of-
frendo propri contributi e rap-
presentando la Santa Sede in
organismi internazionali. Per la
sua riconosciuta e apprezzata
competenza, infatti, è stato chia-
mato nel 2002 a svolgere l’inca-
rico di Segretario del Comitato
di Scienze Storiche della Santa
Sede, compito che ha svolto con
impegno e competenza fino al
2013.
Negli ultimi anni aveva svolto
con la solita passione e il con-
sueto zelo apostolico e salesiano
l’incarico affidatogli di responsa-
bile della Missione Cattolica Ita-
liana in Svizzera, presso Zurigo;
e appena a febbraio scorso era
stato nominato Direttore della
Comunità salesiana di Cerigno-
la. Il suo decesso è avvenuto per
arresto cardiaco presso l’Ospe-
dale di Cerignola, dove era stato
ricoverato per Covid-19.
“Uomo buono, ricco di scienza
storica, Salesiano fervente...” lo
ha ricordato in un messaggio
monsignor Enrico dal Covolo,
SDB, già Rettore Magnifico
della Pontificia Università La-
teranense; e da parte sua il
cardinale Tarcisio Bertone, già
Segretario di Stato Vaticano,
saputa la notizia, ha comunica-
to di aver “offerto suffragi per
l’indimenticabile Professore,
con vivo ricordo e sentita stima
per il Docente, lo studioso, lo
zelante sacerdote, il fervente
figlio di don Bosco che ha servi-
to la famiglia Salesiana, l’UPS,
la Chiesa e la Santa Sede con
grande competenza, generosi-
tà e amore. Lo affida al Signore,
per intercessione di Maria Ausi-
liatrice per un grande premio,
esprimendo la sua vicinanza
alla Comunità di Cerignola e a
quella universitaria dell’UPS”.
Queste sono solo alcune delle
tappe del suo lungo e presti-
gioso curriculum accademico e,
anche se la sua dedizione agli
studi e alla ricerca storica sono
state significative e determi-
nanti nel suo ambito, avvalora-
te da numerosi riconoscimenti
anche internazionali, l’anima di
don Cosimo è stata un’altra.
La sua anima, infatti, la trovia-
mo nelle parole di san Giovanni
Bosco: «Basta che siate giovani
perché io vi ami». Łukasz è uno
di quei giovani che hanno avu-
to la possibilità di incontrarlo
e di essere coinvolti dalla sua
salesianità. Un solo episodio a
testimonianza di ciò. Una sera
tornando in comunità, don
Cosimo ha intravisto, seduti
sul muretto di un parco di pe-
riferia, un gruppetto di adole-
scenti. Il richiamo a interessarsi
di loro è stato troppo forte e si
è fermato. Ha compreso subito
che erano ragazzi senza casa,
lontani dalla famiglia, arrivati
fin lì da altri paesi. Cordial-
mente, ma in modo diretto, ha
chiesto chi voleva andare con
lui quella sera a dormire al sicu-
ro. Tre lo hanno seguito e sono
diventati oggetto delle sue
cure. Gli ha trovato un alloggio,
la possibilità di studiare e un
lavoro. Łukas, uno dei tre, ha
continuato a stare vicino a don
Cosimo, ed è stato per un po’ di
tempo il suo segretario privato
per digitalizzare il materiale dei
suoi studi storici, non come un
dipendente ma come un figlio
carissimo. E don Cosimo lo ha
sempre considerato tale, acco-
gliendolo nelle fasi più critiche
e guidandolo con mano forte
come farebbe un buon padre.
Suor Stella, che lo ha avuto
come cappellano testimonia:
«Non posso pensare a don
Cosimo senza un sorriso. Era
così simpatico, accogliente e
sorridente. Durante il mio sog-
giorno a Roma ho avuto modo
di conoscerlo e di condividere
alcune feste con le care sorel-
le che vi abitavano. Ricordo la
sua benedizione impartita con
tanto affetto. Possa riposare in
pace padre Cosimo, e continua-
re a sorriderci dal cielo».
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5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
Roberto Desiderati
Scoprendo don Bosco
DEFINIZIONI
ORIZZONTALI. 1. Il capo gallico che si
prostrò a Cesare - 11. Ferrovie dello Stato
(sigla) - 13. Ne ha 24 il giorno - 14. Bono
cantante degli U2 - 15. È opposto a off
sugli interruttori - 16. Indica una porta di
emergenza - 17. Guadò il Rubicone - 19.
Cavaliere (abbr.) - 21. Napoli (sigla) - 23.
La sillaba che rifiuta! - 24. Bellissimo
giovane amato da Afrodite - 25. Impo-
nente massiccio montuoso centroasiati-
co - 27. Lo è il Caspio - 28. Il fondo dei
pozzi! - 29. XXX - 31. XXX - 34. Fra mi
? e sol - 35. Sono pari nella melassa - 36.
Vi gracida la rana - 38. Lingua medievale
francese citata spesso con l’Oc - 40. Un
tasto del computer - 43. Attraversa Firen-
?
La soluzione nel prossimo numero.
ze - 44. Raccoglie la storia della vita e del-
la predicazione di Gesù - 50. Attuate, spe-
FEDE, GENEROSITÀ... E ARCHEOLOGIA
rimentate - 51. Accessorio non di serie.
Con le tre parole del titolo si potrebbe riassumere la vita e la persona
di padre XXX. Nato a Legnano nel 1891, terzo di ben tredici figli di un
modesto fattore, questi fu un ispirato uomo di profonda fede. Salesia-
no, fu compagno di classe del sacerdote Renato Ziggiotti, successore
di don Bosco, completò gli studi ginnasiali alle scuole salesiane di
Sant’Ambrogio di Milano, si laureò in scienze naturali e studiò musica
al Conservatorio di Padova. Dotato di grande generosità e sensibilità, seguì con ardore la sua
vocazione e nel 1917 fu ordinato sacerdote. Qualche anno dopo, nel 1923, partì in missione per
l’Ecuador. Sbarcò a Guayaquil e subito dopo si trasferì a Santa Ana de los Rios de Cuenca (abbre-
viato semplicemente in Cuenca) dove rimase sessant’anni, praticamente tutta la vita, vivendo
anche con gli indigeni Jívaros dell’Amazzonia. Oltre che alla sua opera di religioso, si dedicò all’e-
ducazione con un enorme lavoro per l’infanzia più povera fondando scuole e istituti elementari,
tecnici e universitari, oltre a refettori e laboratori, anche facendo arrivare macchinari dall’Italia. Si
cimentò con la cinematografia, diventando uno dei precursori del cinema ecuadoriano con il suo
VERTICALI. 1. Naturale disposizione a
un’attività, inclinazione - 2. Sono citati
nel testamento - 3. Restituito - 4. Dal
1908 l’Olivetti vi ha la sede principale
- 5. Costruì l’Arca - 6. Abbreviazione di
graphics - 7. Veicolo pubblico cittadino
su rotaie - 8. Mezza Roma! - 9. Il fiume
di Innsbruck - 10. Esse senza esse - 11.
Sottile come l’aria di montagna - 12. Non
dritto - 18. Al lato del bacino - 19. Un di-
sordine primordiale - 20. Il Giambattista
filosofo napoletano dei “corsi e ricorsi”
- 22. Abitano una città sulla Dora Baltea
- 25. Un’approvazione solenne - 26. Il
documentario Los invincibles shuaras del Alto Amazonas (1926) e le cui immagini andarono perse Redford attore (iniz.) - 27. La categoria di
nel ’62 e poi recuperate in parte. Si dedicò anche all’antropologia e all’archeologia. Nel corso
della sua missione raccolse un gran numero di reperti ar-
Soluzione del numero precedente cheologici, oltre cinquemila, molti dei quali sorprendenti
certe bottigline da collezione - 30. Avan-
zi, rimanenze - 32. Un po’ d’esperien-
za! - 33. Può essere anche cesareo - 34.
(i cosiddetti manufatti OopArt, Out of place artifact) per Fiasco, insuccesso - 37. Novara (sigla)
la difficile collocazione storica o per l’anacronismo che - 39. Il soli di cui si parla - 40. Al centro
rappresenterebbero, come la “biblioteca metallica”, con del meteorite - 41. Congiunzione latina
i quali intendeva costituire un museo. Proclamato “citta- - 42. Ampere in breve - 45. Nel Piave e
dino più illustre di Cuenca nel XX secolo” morì nel 1982. nel Tevere - 46. Particella ipotetica - 47.
Nel 2006 si aprì la causa per la sua beatificazione.
Africa Orientale (sigla) - 48. L’alieno di un
famoso film di Spielberg - 49. Articolo.
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5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.Disegno di Fabrizio Zubani
Un volto e una voce
M ariachiara, suora e medico,
tornò nella corsia di un
ospedale quando esplose la
Oggi, suor Mariachiara porta con sé
tanti volti e tante voci: «Sono quelli
che ancora mi visitano di notte».
brillante, sorridente, vivace, molto
consapevole del rischio che correva,
vista la sua situazione clinica».
pandemia.
I volti degli ammalati, le voci dei
«Mi è rimasta particolarmente nel
Ogni mattina, per molti giorni,
famigliari.
cuore. L’unico suo pensiero erano i
Mariachiara ha lasciato il suo abito Un volto: quello di una signora qua­ figli. Aveva grinta e determinazione
francescano negli armadietti del
rantenne, madre di due bambini.
nell’affrontare quest’ennesima prova
pronto soccorso di Piacenza. Per
«L’ho accolta in pronto soccorso.
per quei bambini. Purtroppo, non ce
molti giorni ha indossato il camice Aveva combattuto qualche mese
l’ha fatta».
e i panni quotidiani della sua vita prima contro una leucemia dalla quale Una voce: quella del figlio di una
precedente, quella di medico, specia­ stava guarendo. Nel frattempo aveva paziente anziana arrivata al pronto
lizzato in medicina interna.
contratto il Covid-19. Era una persona soccorso con una polmonite grave,
che poco tempo dopo sarebbe morta.
?
«La situazione era compromessa.
Questo ragazzo, prima di tutto, mi
ha ringraziato. E ciò mi ha colpito
tantissimo. In un turno ha chiamato
tre o quattro volte per chiedermi di
avvicinarmi a sua madre, che era già
incosciente. E lui lo sapeva. Mi chie­
deva solo di andare a dire una ‘Ave
Maria’ vicino a lei e sussurrargli che
lui le voleva bene. L’insistenza di un
figlio in lacrime non la scorderò».
Un ministro del governo
indiano, paragonando i risultati
ottenuti da Madre Teresa a
quelli ottenuti dall’assistenza
pubblica, un giorno le disse con
ammirazione e un po’ di tristezza:
“La differenza tra noi e voi è
questa: noi lo facciamo per qualcosa
voi lo fate a qualcuno”.
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5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.