Bollettino_Salesiano_202104

Bollettino_Salesiano_202104

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Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
APRILE 2021
Il risorto
della
Cappella
Pinardi

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I FIORETTI DI DON BOSCO
B.F.
«Io vi salverò»
N ubi minacciose si addensaro-
no su Torino negli ultimi
mesi dell’anno 1858 e nei
primi del 1859. Il governo piemonte-
se aveva imprudentemente deciso di
fare la guerra all’Austria che occupa-
va Lombardia e Veneto. E incomin-
ciò a reclutare soldati. Tutti i giovani
piemontesi dovevano vestire la divisa
e imparare a sparare fucilate. A
Valdocco però non ci pensavano
troppo e la vita dell’Oratorio andava
avanti come sempre. Semplice e
serena.
Ma il fulmine arrivò. Due dei
migliori chierici di don Bosco,
Cagliero e Francesia, ricevettero
l’ordine di presentarsi in caserma
e partire per la guerra del 1859
contro gli austriaci.
Spaventati a morte, i due giovani
corsero ansimando da don Bosco, il
quale, sereno e ridente, disse loro:
«Niente paura... Io vi salverò! Andate
alla Curia Vescovile, e fatevi iscrivere
nella lista di quelli che si debbono
presentare per l’esenzione. C’è una
legge proprio per evitare ai chierici
di andare in guerra».
I due obbedirono premurosamente;
ma poco dopo ritornarono dicendo:
«Oh, don Bosco! in Curia ci hanno
risposto che è troppo tardi, perché
l’elenco è già stato spedito al Mini-
stero».
«E voi andate al Ministero, pregando
di essere aggiunti nell’elenco».
Ritornarono più affannati, afferman-
do: «Anche al Ministero ci hanno
detto che è troppo tardi, che la
pratica è ormai chiusa ed è impos-
sibile ogni aggiunta».
«Ebbene rivolgetevi al Ministero
di Grazia e Giustizia per le vostre
ragioni; voi, come chierici, dovete
essere esenti».
Ritornarono la terza volta sospi-
rando ed esclamando: «Alla Curia
e ai Ministeri ci son tutti contro.
Tutti dicono che è troppo tardi,
che si tratta di guerra e bisogna
partire».
«Voi non partirete, ripeto! Dovete
essere esenti... Io vi salverò!»
Quei due poveri figlioli, commossi
fino alle lacrime, gridano: «Oh pa-
dre! Perché tanto disturbo per noi?...
Se bisogna partire, partiremo.
Vittorio Emanuele avrà due soldati
di più. O morremo sul campo, o
ritorneremo con le spalline da uffi-
ciali. Non si prenda troppi fastidi».
«Ed io invece me li voglio prendere
questi fastidi, proprio per voi. Vi ho
detto che vi salverò, e vi salverò ad
ogni costo!»
Don Bosco cominciò il giro dei
ministeri. A Grazia e Giustizia era
ministro l’anticlericale Conte De Fo-
resta, ma don Bosco era don Bosco e
il ministro gli dette la dritta giusta:
«Persuada la Curia ad esaminare
e togliere dalla lista presentata al
Governo coloro, che sarebbero esenti
per altri motivi oltre quello di essere
chierici; per famiglia, salute o altro e
ci sarà posto anche per i suoi racco-
mandati».
Don Bosco volò in Curia e trovò il
cancelliere che sbuffava perché dove-
va scrivere le lettere di esenzione alle
famiglie dei chierici. Con la solita
furbizia, don Bosco si offrì di scri-
verle lui. Così trovò che due, proprio
due, fra gli elencati, si trovavano,
come figli di madre vedova, già in
condizione di essere esenti. Allora
volò con aria di trionfo al Ministero
della Guerra e poté farli sostituire
con Cagliero e Francesia.
LA STORIA
Questa storia è raccontata nelle Memorie Biografiche VI, pagina 133 e seguenti.
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APRILE 2021

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Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
APRILE 2021
Il risorto
della
Cappella
Pinardi
APRILE 2021
ANNO CXLV
NUMERO 04
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
La copertina: Il Gesù risorto della Cappella
Pinardi segno della nostra Speranza radicale
(Dipinto di P.G. Crida).
2 I FIORETTI DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 DON BOSCO NEL MONDO
Formosa
10 GIOVANI
I nuovi Michele Magone
12 SALESIANI
Don Omar Delasa
16 FMA
L’Auxilium College
18 LE NOSTRE GUIDE
Juan Carlos Perez Godoy
22 IN PRIMA LINEA
Don Reto Wanner
24 IL TEMPO DELLO SPIRITO
Miracoli quotidiani
26 LE CASE DI DON BOSCO
Mogliano Veneto
30 LA NOSTRA STORIA
La Marchesa di Barolo
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
12
18
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Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 66
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
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Il Bollettino Salesiano
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Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Ángel Fernández Artime
La vera Risurrezione
Quella che tocca la vita
delle persone e le trasforma.
C ari amici, lettori del Bollettino Salesiano,
vi saluto con il solito affetto attraverso
questa rivista fondata dallo stesso don
Bosco, che attraverso essa ha voluto far
conoscere la realtà salesiana di quella giovane Con-
gregazione che era nata con lui su disegno di Dio
e che stava crescendo a poco a poco. Come si legge
nel Bollettino Salesiano del 1877, questo “viene
pubblicato per dare un resoconto delle cose fatte o
da fare secondo il fine della missione salesiana che
è la cura delle anime e il bene della società civile”.
Spero che il Bollettino Salesiano vi aiuti a
sentire che la Famiglia Salesiana di Don
Bosco, oggi, a 162 anni dall’inizio della
Congregazione Salesiana, continui a
dare umilmente
il suo contribu-
to per rendere
questo mondo più
umano, più degno,
più pieno di vita
autentica, più illumi-
nato da quella vera luce
che viene da Dio.
Domenica
di Pasqua 1846
Per la copertina di que-
sto mese abbiamo scelto il
quadro del Cristo risorto
che si trova nella
Cappella Pinardi.
La misera tettoia
affittata da don Bo-
sco nel 1846 ha subito molte trasformazioni e oggi
è un piccolo e prezioso luogo di serena adorazione
eucaristica. Non era bella né in buono stato quella
tettoia! Ma Dio sembra avere una predilezione per
le baracche e le stalle per incominciare le sue rea-
lizzazioni.
Don Francesia che era uno dei ragazzi di allora te-
stimoniò: «Quando don Bosco visitò per la prima
volta quel locale, che doveva servire pel suo orato-
rio, dovette far attenzione per non rompersi la testa,
perché da un lato non aveva che più di un metro
di altezza; per pavimento aveva il nudo terreno, e
quando pioveva l’acqua penetrava da tutte le parti.
D. Bosco sentì correre tra i piedi grossi topi, e sul
capo svolazzare pipistrelli».
Ma per don Bosco era il più bel posto del mondo.
E partì di corsa: «Corsi tosto da’ miei giovani; li
raccolsi intorno a me e ad alta voce mi posi a grida-
re: – Coraggio, miei figli, abbiamo un Oratorio più
stabile del passato; avremo chiesa, sacristia, camere
per le scuole, sito per la ricreazione. Domenica, do-
menica, andremo nel novello Oratorio che è colà
in casa Pinardi. – E loro additava il luogo. Quelle
parole furono accolte col più vivo entusiasmo. Chi
faceva corse o salti di gioia; chi stava come immo-
bile; chi gridava con voci e, sarei per dire, con urli
e strilli».
Domenica era Pasqua.
Quell’umilissima origine dove il carisma salesiano,
ispirato dallo Spirito Santo, ha messo radici, oggi
ci ricorda che la Risurrezione del Signore ha tra-
sformato e trasforma tutto. Sta a noi, con la nostra
libertà, fare di questa Umanità una realtà come Dio
l’ha “sognata” per noi.
La mia curiosità mi ha portato a cercare nei motori
di ricerca internet che cosa riportavano alla paro-
la “Risurrezione”. Ho trovato riferimenti alla fede
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cristiana, certo, ma nello stesso “ripostiglio digi-
tale” ho trovato di tutto. C’erano anche dei film
con questo titolo e che, naturalmente, non avevano
niente a che vedere con la fede. Come ‘The Me-
chanic: Resurrection’, una brutta storia di violenza
e vendetta. Proprio il contrario del mistero centrale
della nostra fede.
Ve lo confido perché voglio sottolineare che vivia-
mo in un mondo dove, alla rinfusa, troviamo di
tutto: fede e condanna della fede, libertà e schiavi-
tù, promozione dei diritti dei bambini e lavoro for-
zato dei minori, rispetto della dignità delle donne
e sfruttamento delle donne, giustizia sociale e in-
giustizia e abuso, solidarietà e distribuzione di cibo
e mancanza di tutto il necessario per vivere con
dignità. E potrei continuare. Sembra che il nostro
mondo sia un mercato delle pulci dove possiamo
trovare merce di ogni genere. Senza alcuna distin-
zione, senza valutazioni. Ma non tutto è buono e
non tutto è buono per noi.
«Non posso permettermi
di vivere senza speranza»
Il tempo pasquale che stiamo celebrando e il gran-
de evento della Pasqua del Signore, della sua morte
e risurrezione, ci parlano di Vita piena, di Vita-Al-
tra; ci parlano di speranza, di umanità in cammi-
no, di presente e futuro in Dio, di realtà semplici
dove ogni giorno è evidente la presenza di Dio che
è Amore.
Nel momento stesso in cui sto scrivendo queste ri-
ghe, il Santo Padre si sta recando in Iraq, in un
viaggio pastorale che vuole annunciare la pace, la
riconciliazione e la giustizia. Tutti vediamo in lui
l’uomo di profonda fede che vive in Dio e lo implo-
ra perché le ferite provocate dagli errori umani si
rimarginino e lascino il posto ad incontri fraterni.
È chiedere troppo? È illusorio o utopistico?
Non credo. Credo che sia possibile perché, come ho
detto molte volte, ogni giorno nel mondo accadono
quei “miracoli” che cambiano la vita e il cuore delle
persone grazie ad altri che hanno creduto, hanno
avuto fiducia, hanno teso una mano di fronte alle
necessità degli altri.
Il Cristo Risorto nella Cappella Pinardi di Valdoc-
co ci ricorda che cosa significa lasciarsi guidare da
Dio, che cosa significa vivere di Fede, come faceva
don Bosco, con la testa nel Cielo e i piedi profonda-
mente piantati sulla terra, attenti alle implorazioni
e ai pianti di chi ci è vicino.
Io sono uno di quelli che, forse come molti di voi,
vogliono continuare ad avere speranza, una speran-
za profonda che si nutre della forza che viene da
Dio. E sapete perché? Perché non posso permet-
termi di vivere senza speranza, perché allora non
saprei come vivere, perché quel modo di vivere per
me non sarebbe più vita, o almeno “vita piena”.
Vi auguro una bella Pasqua e un tempo prezioso
pieno della presenza di Dio.
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DON BOSCO NEL MONDO
Marcella Orsini
Un posto da chiamare “casa”
La protezione dei minori
a Formosa
Nell’Argentina Nord, nella città
di Formosa, a circa 1200 chilometri
da Buenos Aires, sorge l’opera
salesiana che ha fatto dello
spirito di famiglia la forza di una
popolazione ricca solo di speranza.
L’opera di
Formosa è
un mosaico
di attività
costituito
dalla
Parrocchia,
l’Oratorio,
il Centro
giovanile,
le scuole
Primaria e
Secondaria,
il Centro di
avviamento
al lavoro
CC.SS. la
radio e il
Centro per
i ragazzi in
difficoltà.
Èforte il legame che unisce l’Italia e l’Argen-
tina, così come forte è quello tra il Paese
sudamericano e i Figli di Don Bosco. Qui,
don Bosco, il giorno 11 novembre del 1875,
mandava i suoi primi missionari, dieci uomini che
si inserivano nel flusso migratorio delle popolazio-
ni europee di contadini, tra cui moltissimi italiani,
attirati in Sud America dalla possibilità di acqui-
sire lotti fondiari messi a disposizione dallo Stato
Federale.
La tragica altalena
Da quel primo nucleo missionario a Buenos Aires a
oggi i Salesiani di Don Bosco sono presenti, dall’e-
stremo Sud in Patagonia fino ai confini dell’estre-
mo Nord di quello che è il secondo Paese più esteso
del Sud America, con più di 70 opere e migliaia di
beneficiarie e beneficiari.
Nel panorama internazionale l’Argentina non offre
uno scenario drammatico, in apparenza. Secondo
il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo
(undp) oggi l’Argentina si trova al 46° posto per
Indice di Sviluppo Umano (isu) su 186 Paesi. I cir-
ca 45 milioni di abitanti si collocano per isu, livello
di crescita economica e qualità della vita al terzo
posto dei Paesi dell’America Latina.
Tuttavia la popolazione ha subìto nove grandi crisi
economiche nella sua storia, ben cinque di queste
hanno colpito il Paese soltanto dal 1980 al 2020,
quando la pandemia di Covid-19 ha aggiunto alle
condizioni di vita preesistenti delle popolazioni di
tutto il mondo alcune variabili ancora lontane dal
poter essere valutate, in termini di livello di benes-
sere sociale e di qualità della vita.
È soprattutto la popolazione adolescente che, non
avendo opportunità d’integrazione nel sistema edu-
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cativo, formativo, occupazionale e più generalmen-
te sociale, rimane esclusa da un sano processo di
sviluppo integrale e inclusivo.
La speranza di Formosa
I Salesiani di Don Bosco concentrano il loro ope-
rato principalmente alla formazione professiona-
le e al sostegno dello sviluppo e della crescita in
una dimensione autenticamente transdisciplinare,
secondo il modello educativo e formativo basato
sul Sistema Preventivo il cui obiettivo è riempire il
vuoto creato dalle ripetute crisi economiche e so-
ciali del Paese.
Nell’Ispettoria Salesiana dell’Argentina Nord,
all’estremo Nord-Est del Paese, a circa 1200 chi-
lometri da Buenos Aires, sorge l’opera salesiana di
Formosa, capitale della Provincia omonima e rico-
perta per la maggior parte dalla pianura del Chaco
Central.
Secondo l’ultimo censimento demografico, effet-
tuato dall’Instituto Nacional de Estadística y Censos
(indec) ormai nel 2010, nella Provincia di For-
mosa vivevano 530 mila persone, l’1,3% della po-
polazione totale del Paese. Il censimento del 2010
ha costituito per la presenza salesiana una notevole
spinta per potenziare l’impegno in una Pro-
vincia in cui sia il tasso di analfabetismo
sia la percentuale di famiglie i cui biso-
gni di base rimanevano insoddisfatti
risultavano essere il doppio della me-
dia nazionale.
L’opera salesiana di Formosa sorge nel
centro cittadino, è diretta da don
Alejandro Musolino ed è gui-
data da una piccola comunità
di sei salesiani in tutto. Appare
come un mosaico di attività co-
stituito dalla Parrocchia,
l’Oratorio, il Centro
giovanile, le scuole
Primaria e Secon-
daria, il Centro Coo-
peratori, il Centro Ex allievi, gli Exploradores, il
Centro di avviamento al lavoro CC.SS. la radio e il
Centro per i ragazzi in difficoltà.
Tutto a Formosa verte intorno a una parola, che è
anche un luogo, fondamentale: l’“hogar”, la “casa-
famiglia” che accoglie e protegge, che forma ed
educa bambine, bambini e adolescenti bisognosi,
nella piena attuazione della Pedagogia della gioia.
La Fondazione Don Bosco nel Mondo segue e
supporta la missione salesiana in Argentina da
molti anni e, grazie all’aiuto di amici e sostenitori,
ha realizzato numerosi progetti per la protezione
dell’infanzia vulnerabile e a rischio, per l’inclusione
sociale di giovani e adulti e per la ridu-
zione della povertà economica attra-
verso la promozione di iniziative
di autoimprenditorialità.
L’Hogar Don Bosco
L’edificio della Scuola
Hogar Don Bosco è
stato costruito circa
45 anni fa e in alcune
occasioni sono stati
realizzati interventi
di ristrutturazione,
ma non risolutivi.
L’area attualmente
gravemente degra-
data corrisponde
L’Hogar Don
Bosco è un
vero e proprio
focolare di
protezione
dallo
sfruttamento,
dall’abuso,
dalla violenza
e dalle
dipendenze,
un luogo
confortevole
e accogliente.
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DON BOSCO NEL MONDO
Il Centro
sviluppa spazi
di sostegno
scolastico e di
rinforzo alla
scolarizzazione
formale,
caratterizzati
da laboratori
e da attività
ludico-sportive
orientate al
potenziamento
della socialità e
di abilità extra
scolastiche.
all’ala più antica dell’edificio. Nonostante sia in
funzione, è urgente la sua riparazione, per fornire
un ambiente migliore e sano in cui accogliere, pro-
teggere e far crescere bambini, adolescenti e giova-
ni esclusi dal sistema sociale.
La povertà economica e la disoccupazione o la
mancanza di un lavoro formale per i loro genito-
ri spinge i minori per strada e ad abbandonare la
scuola. Privi d’istruzione, di assistenza sanitaria
e di accesso a pasti completi ogni giorno vedono
negato il diritto fondamentale a un sano sviluppo
psico-fisico.
Qualora i bambini e i ragazzi riescano a frequentare
la scuola, spesso non si ritrovano destinatari di un
programma mirato e fondato sui loro bisogni e così
abbandonano comunque quello che ritengono un
sistema insoddisfacente e distante dalla loro realtà.
Non c’è soluzione di continuità al degrado e al disa-
gio. Da un lato la strada espone i minori all’abuso e
allo sfruttamento, dall’altro in famiglia sono vittime
di violenza non solo subita, ma anche assistita, nel
caso della violenza di genere perpetrata ai danni del-
le madri le quali, pur in presenza di organizzazioni
e di servizi per il contrasto alla violenza di genere,
rimangono isolate e impossibilitate a usufruirne.
La comunità salesiana, insieme a 17 docenti, un
direttore, un team interdisciplinare composto da
un’infermiera, un’assistente sociale, uno psicologo
e una psicopedagogista, si occupa di assistenza e
di promozione di processi partecipati e multilivel-
li che favoriscano l’ingresso e la permanenza nel
sistema educativo e sociale e sviluppa spazi di so-
stegno scolastico e di rinforzo alla scolarizzazione
formale, caratterizzati da laboratori e da attività
ludico-sportive orientate al potenziamento della
socialità e di abilità extra scolastiche.
In particolare il progetto della Fondazione Don
Bosco nel Mondo a Formosa ha come obiettivo
generale la tutela dell’infanzia vulnerabile e la ri-
duzione dell’esclusione sociale dei giovani a rischio
attraverso la formazione professionale e lavorativa
sostenibile e di qualità.
Il nostro obiettivo
Obiettivo specifico è il miglioramento dei servizi
offerti attraverso l’adeguamento strutturale degli
spazi dell’edificio della Scuola Hogar Don Bosco.
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Beneficiari diretti del progetto sono
120 bambine, bambini, adolescenti e
giovani di età compresa tra i 6 e i 20
anni, provenienti dai quartieri poveri
della città di Formosa e appartenenti a
famiglie in situazione di bisogno ma-
teriale e di marginalità sociale. La maggior parte è
costituita da famiglie con figli piccoli e monopa-
rentali in cui la madre, priva di reti per il sostegno
psicologico e l’empowerment economico e di acces-
so ai servizi di tutela, è l’unica figura di riferimento
adulta.
L’Hogar Don Bosco è un vero e proprio focolare
di protezione dallo sfruttamento, dall’abuso, dalla
violenza e dalle dipendenze, un luogo confortevole
e accogliente in cui poter trovare la cura quotidia-
na attraverso le attività principali d’istruzione, for-
mazione professionale, ma anche di accompagna-
mento psicologico e pastorale per tutto il nucleo
familiare, di protezione dalla violenza di genere e
di assistenza sanitaria, tuttavia la presa in carico dei
minori e dei giovani in difficoltà non può realizzar-
si in modo completo ed essere di qualità se non ci
sono spazi dignitosi e ben equipaggiati da dedicare
al raggiungimento dei migliori obiettivi.
Attualmente la Scuola Hogar Don Bosco, a causa
dei problemi strutturali al tetto che provocano per-
dite d’acqua, umidità e distacco di intonaco e di ri-
vestimenti, riversa in uno stato di degrado che deve
essere risolto al più presto, al fine di dare continuità
e qualità allo sviluppo delle numerose attività edu-
cative e pastorali dell’opera.
La situazione di estremo bisogno delle famiglie im-
poverite di Formosa è stata acuita dalla pandemia,
tanto che l’opera salesiana da Marzo del 2020 ha
orientato lo sforzo economico all’acquisto di sacchi
di riso e di prodotti per l’igiene non solo per le 120
famiglie beneficiarie del progetto, ma anche per tut-
ta la popolazione di Formosa in difficoltà che dal
lock-down del Paese a oggi continua a rivolgersi ai
Salesiani per i beni di prima sussistenza.
Per poter garantire un ambiente sicuro a tutti quei
bambini e a quei ragazzi che chiamano l’Hogar
Don Bosco “casa”, la piccola comunità dei Figli di
Don Bosco di Formosa ha bisogno dell’aiuto di tut-
ti noi.
L’obiettivo
del nostro
intervento
è reperire i
finanziamenti
per riparare
gli ingenti
danni che
ha subìto
la struttura
dell’Hogar.
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GIOVANI
ANS
I nuovi Michele Magone
Willy, Romeo, Virgilio…
Cominciano ad essere troppi.
Ragazzi che perdono la vita
nella violenza cieca e stupida
di una rissa tra giovani. E la loro
tragica fine è filmata e messa in rete.
Don
Jean-Marie
Petitclerc,
salesiano
ed esperto
educatore.
Di nuovo l’ennesima rissa tra ragazzi. In
piazza. Per strada. Un ragazzo di 17 anni è
morto accoltellato a Formia, mentre a Na-
poli sul lungomare ben due risse tra bande
in meno di 24 ore per uno sguardo “di troppo”. Poi
ci sono le “risse da movida”, sempre più frequenti.
«È più di 15 anni che studio il fenomeno delle baby
gang» scrive la psicologa Maura Manca «e il dato che
fa riflettere non è solo legato all’età di questi ragazzi,
ma anche al fatto di essere di “buona famiglia”. Oggi
non dobbiamo più andare a cercare la violenza dentro
condizioni particolarmente svantaggiate o pensare a
ragazzi con dei profili a rischio ben evidenti e con-
clamati. Troviamo la violenza in quelli che possono
essere considerati agli occhi di genitori e insegnanti
adolescenti in un certo senso “normali”. Negli ultimi
anni, infatti, la devianza minorile ha subito profon-
de trasformazioni. Apparentemente a questi ragazzi,
non manca niente e possono veder soddisfatta ogni
loro richiesta, ma manifestano una marcata onni-
potenza, non si accontentano e devono cercare nella
messa in atto di queste condotte un altro modo di
manifestare il proprio potere e nascondere a se stessi
il vuoto interiore e il bisogno di riconoscimento».
Perché la gioventù è così inquieta?
«È una storia vecchia come l’Italia» risponde il pro-
fessor Paolo Crepet, sociologo, psichiatra, attento
osservatore del mondo giovanile. «Dentro ci sono
degli elementi che sono connotati da sempre, e non
sono solo italiani, e che riguardano il confronto tra
classi sociali, periferia e centro a quelli legati più
strutturalmente alla malavita a quelli che lo sono
di meno, a scontri di gruppi etnici. Ne ricordo a
decine, anche ai miei vecchi tempi».
Sembra la vecchia storia dei “Ragazzi della via
Pal...”. «In parte sì, ma oggi molto peggiorata, per-
ché di nuovo rispetto a trenta-quarant’anni fa c’è
ad esempio un’enorme esposizione della violenza in
tutti i media. Basta accendere la tv, da Fox Crime
h24 che non c’era quando eravamo ragazzi noi. C’è
tutto un apparato espressivo, narrativo, letterario
legato a un noir estremo, dagli ‘scrittori maledetti’
ai ‘cannibali’ al pulp. Quel che c’è di nuovo, oltre
la tv, è la Playstation e giochi non violenti, violen-
tissimi».
Come ovviare? «Dovrebbe stare al buon senso dei
genitori», risponde Crepet, secondo cui il ruolo dei
genitori nel tempo «è venuto meno e questo è un
altro elemento del puzzle che è impazzito».
Uno sguardo salesiano
Don Jean-Marie Petitclerc, salesiano, educatore,
coordinatore della Rete “Don Bosco Action Socia-
le” (dbas), ha proposto una riflessione che, parten-
do da un caso di cronaca che ha fatto scalpore in
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Francia – il pestaggio di un ragazzo di 15 anni,
Yuriy, a Parigi, ad opera di altri adolescenti – inten-
de mettere a tema la responsabilità educativa degli
adulti, soprattutto verso i giovani problematici.
Quasi un mese fa, il pestaggio di Yuriy nel 15° ar-
rondissement di Parigi ha fatto precipitare il Paese
in uno stato di terrore. Gli assalitori, che da allora
sono stati arrestati, sono quasi tutti adolescenti. E,
come per ogni fatto di cronaca violenta, l’emozione
sperimentata porta tra i politici e i media ad una
sovrabbondanza di proposte di natura repressiva.
Una volta che l’emozione si è placata, vale però la
pena fare un passo indietro per analizzare questo
fenomeno di “guerra tra bande”, che ha effetti così
devastanti nell’adolescenza.
Si tratta di un fenomeno nuovo?
Non penso. All’inizio degli anni 2000, in seguito
al violentissimo scontro tra bande di diverse città
della periferia ovest di Parigi, avvenuto di sabato
pomeriggio nel cuore del centro commerciale “La
Défense”, pubblicai un articolo dal titolo “La guerra
dei Bottoni, versione anno 2000” (in riferimento al
libro di Louis Pergaud del 1912, NdT). Il fatto che
bande di adolescenti cercassero di appropriarsi del
loro territorio, e venissero ad attaccare il territorio
vicino, esisteva infatti già ai tempi di Louis Pergaud!
La novità non è costituita da questi scontri, ma
dall’esplosione di violenza che arriva fino al tentato
omicidio. La novità è la mancanza di integrazione
dei limiti in questi adolescenti, che si dimostra-
no incapaci di controllare la loro aggressività. Gli
adulti non dovrebbero essere ritenuti responsabili
di questo? Chi è che dovrebbe trasmettere questi
limiti, se non tutti coloro che sono chiamati a svol-
gere un ruolo educativo?
Forse dovremmo anche sottolineare il ruolo degli
“schermi”, che sono dei veri e propri distruttori
dell’empatia. Perché il problema di tutti questi gio-
chi e video basati sulla violenza è che non vediamo
né la sofferenza della vittima, né di chi gli è vicino.
Infine, notiamo l’importanza del gruppo: ciò che
conta di più per l’adolescente è trovare il suo po-
sto nella banda, senza alcuna considerazione per la
vittima.
Quindi, secondo lei, la cosa più
importante è la mancanza di empatia?
Ciò che caratterizza le immagini insopportabili
dell’aggressione a Yuriy è la totale mancanza di
empatia di questi giovani verso la vittima stesa a
terra e riempita di colpi.
Il dottor Berger, un grande nome della psichiatria
infantile, ci ricorda che gli adolescenti ultra-violen-
ti sono stati spesso loro stessi vittime di abusi fami-
liari, senza che chi vi era attorno reagisse.
È paradossale vedere oggi la nostra società
simpatizzare con la sofferenza delle giovani vittime
e chiedere pesanti condanne per i giovani carnefici,
quando, anche se naturalmente non tutte le vittime
diventano carnefici, purtroppo un buon numero di
giovani carnefici sono in verità ex-vittime.
Quanto è chiaro, allora, che prendere in conside-
razione le parole delle vittime, a partire dall’infan-
zia, può essere un punto forte per la
prevenzione della violenza
tra gli adolescenti! Ri-
cordiamo l’incontro
di don Bosco con un
piccolo monello della
periferia di Torino,
quel Michele Ma-
gone che pretendeva di
essere generale nel suo
territorio: don Bosco sa-
peva discernere dietro il
volto di questo adole-
scente provocatore la
sofferenza del bam-
bino abbandonato. E
lo accolse nell’opera che
aveva fondato a Torino per
tutti quegli adolescenti
disorientati.
APRILE 2021
11

2.2 Page 12

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SALESIANI
O. Pori Mecoi
Tonj, Sud Sudan
Don Omar Delasa
«Voglio realizzare il sogno di John Lee».
Don Omar
Delasa: «Ho
incontrato
Tonj perché la
Provvidenza
ha voluto
così».
Puoi autopresentarti?
Mi chiamo don Omar Delasa e sono un salesiano
di don Bosco, un «missionario estivo». Sono nato in
un piccolissimo paese della provincia di Bergamo,
diocesi di Brescia, Castelfranco di Rogno, 400 abi-
tanti, paese che ha dato i natali a 4 salesiani prima
di me: padre Benedetto Delvecchio, oggi missio-
nario in Equador, suor Lucia Tognola fma oggi
nella comunita di Clusone (BG), padre Innocente
Clementi, missionario in usa e don Lorenzo
Macario, per tanti anni docente di Pedagogia
all’ups, oggi entrambi residenti in Paradiso a
godere di quel riposo che Dio regala agli ami-
ci buoni e fedeli.
Nella mia piccolissima comunità parrocchiale ho
imparato quei valori propri del cristianesimo che per
un bergamasco si traducono quasi esclusivamente
nella concretezza e nella semplicità della vita, nel
lavoro assiduo, nell’aiuto agli altri. Le persone, ma
soprattutto le mie nonne, mi hanno insegnato che
nulla regala più gioia che il poter essere d’aiuto a chi
ne ha bisogno. In loro ho trovato molti esempi di
carità fattiva, nascosta e silenziosa. Quello che mi
hanno trasmesso è un cristianesimo forse un po’
lontano dalle sacrestie ma decisamente immerso nel
mondo, nel sociale. In questa parte di mondo che si
affaccia sulle montagne e sul Lago d’Iseo ho col-
tivato prima il sogno di diventare medico e poi ho
sentito la voce di Dio che mi chiamava a qualcosa
di grande, diventare salesiano e spendere la mia vita
per gli altri, magari in missione, come lo era stato
per gli altri religiosi di Castelfranco.
Com’è nata la tua vocazione?
Conseguita la maturità classica mi sono iscritto alla
facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di
Brescia. Sono stati anni belli, impegnativi, anni nei
quali ho potuto conoscere e confrontarmi con al-
cune figure significative. Negli anni degli studi ho
conosciuto don Silvio Galli, salesiano per il quale
è in corso la causa di beatificazione. È stato lui ad
aprirmi gli occhi su un futuro che poteva andare
ben al di là dell’esercizio della professione medi-
ca. Mi ha coinvolto nell’Auxilium, l’opera da lui
fondata per l’assistenza e l’aiuto ai poveri. È lì che,
grazie alla sua guida saggia e sapiente, ho iniziato a
pensare alla consacrazione religiosa prima e ai sale-
siani di don Bosco in un secondo momento.
Ho iniziato così il lungo cammino di formazione, il
noviziato a Pinerolo, gli studi a Nave e alla Crocet-
12
APRILE 2021

2.3 Page 13

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ta e il ministero come sacerdote e catechista presso
il Centro di Formazione Professionale di Sesto San
Giovanni, dove mi trovo da ben 11 anni. Ho sempre
voluto essere missionario. L’Africa ha sempre eserci-
tato su di me un fascino irresistibile e inspiegabile.
Quello di essere missionario in terra d’Africa o in
qualsiasi altra parte del mondo, a tempo pieno e non
part-time, continua ancora ad essere un sogno che
un giorno spero di realizzare, anche se tra i ragaz-
zi della Formazione Professionale e nella comunità
salesiana di Sesto San Giovanni sto davvero bene.
Come hai scelto Tonj?
Non l’ho scelto io Tonj. Ho incontrato Tonj perché
la Provvidenza ha voluto così. Avevo chiesto al Con-
sigliere per le missioni, nel lontano 2006, di poter
vivere un’esperienza missionaria in Africa. Volevo
sperimentarmi e capire se davvero questo era il cam-
po dove il Signore mi chiamava ad essere maestro ed
amico dei giovani, soprattutto quelli più poveri. Alla
mia richiesta il Consigliere aveva risposto tempesti-
vamente indicandomi dapprima come meta il Con-
go, ma dopo qualche giorno ricredendosi e propo-
nendomi come destinazione Tonj, diocesi di Rubek,
Sudan Meridionale. Il Sud Sudan infatti, essendo il
più giovane stato del Mondo nato solo nel 2011 dopo
23 anni di guerra civile, ancora non esisteva. Era una
terra, o meglio un popolo in cerca della sua indipen-
denza dal Sudan musulmano.
La proposta era quella di affiancare e sostituire per
qualche mese un confratello che da alcuni anni aveva
dato vita ad un piccolo dispensario sanitario. Inco-
scientemente, ignaro di quello che mi aspettava, ho
accettato. Paura, preoccupazioni non solo mie ma an-
che da parte di chi mi voleva bene non hanno fermato
il desiderio di sperimentarmi in un’esperienza missio-
naria e così sono partito per Tonj dove sono arrivato
dopo una serie di scali: Londra, Nairobi, Rumbek e
poi 7 ore di jeep su una strada inesistente. Già dai
primi momenti trascorsi in questo Paese che solo nel
2011 è diventato indipendente, ho capito che nono-
stante la difficoltà della lingua, l’esperienza si dimo-
strava davvero unica, anche grazie all’incontro con
due figure che ritengo, dopo don Galli, fondamentali
e significative per il mio cammino vocazionale: mon-
signor Mazzolari, vescovo di Rumbek e padre John
Lee Taesok, salesiano coreano che da quel giorno è
diventato ed è tuttora il mio eroe, un modello di vita
sicuramente da imitare nella sua capacità di amore
incondizionato per i più poveri tra i poveri.
Ti consideri l’erede di John Lee?
Erede sì, ma per essere come lui sento che ne ho
ancora di strada da fare. Solo chi l’ha conosciu-
to può capire. Un uomo eccezionale, un salesiano
perfetto, un cristiano ben riuscito. Quante doti e
qualità: sapeva suonare tutti gli strumenti musicali
con i quali veniva in contatto; era un medico come
pochi, attento ai pazienti, competente e capace;
un insegnante invidiabile, capace di affascinare e
stregare qualsiasi ragazzo avesse la possibilità di
incontrarlo dietro un banco di scuola per una le-
zione di chimica o biologia. E i lebbrosi poi! Non
poteva vivere senza di loro così come loro senza di
lui. Sempre sorridente, anche durante la terribile
malattia che a soli 42 anni lo ha portato via dal Sud
Sudan e dall’affetto delle tantissime persone che gli
volevano un bene dell’anima.
Questo era John Lee Taesok. Era arrivato a Tonj
nel 2001 scoprendo così un paese duramente pro-
Don Omar
e i suoi
collaboratori.
APRILE 2021
13

2.4 Page 14

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SALESIANI
«Ci sono
medici,
ostetriche,
infermieri in
pensione e
non solo che
decidono di
passare parte
del loro tempo
a Tonj a fianco
del personale
locale per
formarlo e
incoraggiarlo».
vato dalla guerra civile, un paese per il quale è stato
un autentico e benefico «ciclone» di attività in mez-
zo ai giovani, ai bambini, ai poveri e agli ammalati
che ha curato con una dedizione assoluta di cui mi
piacerebbe essere capace.
È stato eroico nella sua semplicità. Nel novembre del
2008 gli è stato diagnosticato un cancro del colon
ma ha continuato a lavorare fino alla fine, a scrivere
e a telefonare tanto a Tonj quanto in Italia per essere
certo che non avremmo abbandonato i suoi pove-
ri. Le ultime parole che ha consegnato ai volontari
dell’associazione sono state: «Non sono più in grado
di realizzare i miei sogni per Tonj ma vi prego di
portarli avanti».
Grazie a lui, coinvolgendo poi amici e conoscenti,
abbiamo iniziato a sognare lo sviluppo del piccolo
dispensario che oggi è diventato, grazie all’aiuto di
molte persone, un vero e proprio ospedale.
Come opera la tua fondazione?
Siamo un gruppo di una cinquantina di volontari.
Tutti o quasi hanno avuto la possibilità di passare
qualche mese a Tonj. Grazie al lavoro dei volontari,
a mille e più attività di raccolta fondi, ma soprattut-
to grazie alla generosità della famiglia Pesenti, nel
2011 abbiamo messo mano al progetto che è termi-
nato con la costruzione di questa struttura capace
di offrire fino a 50 posti letto e servizi di ostetricia,
pediatria, cura delle malattie infettive e tropicali,
vaccinazioni…
Non riceviamo nessun finanziamento da governi o
istituzioni. La collaborazione con alcune fondazioni
come Missioni don Bosco e Fondazione Opera don
Bosco, il lavoro dei volontari e la carità di tanta gente
semplice che il più delle volte desidera rimanere ano-
nima, ci ha permesso di fare tutto questo. Gestiamo
l’ospedale e ne garantiamo il funzionamento grazie
al lavoro di una ventina di persone tra medici, infer-
mieri e tecnici. Il lavoro sanitario è coordinato dal-
le instancabili e preziosissime suore Missionarie di
Maria Ausliatrice, quattro suore indiane che vivono
e lavorano nel John Lee Memorial Hospital.
In questi anni, oltre alla costruzione e alla gestione
dell’ospedale, insieme ai salesiani e alla popolazio-
ne di Tonj abbiamo potuto realizzare altri proget-
ti. Abbiamo portato acqua potabile alla missione
e all’ospedale attraverso lo scavo di alcuni pozzi e
il posizionamento di un impianto di depurazione
e potabilizzazione; abbiamo costruito la casa per
i volontari capace di accogliere fino ad una quin-
dicina di persone che intendono passare qualche
mese o anno della loro vita ad aiutare questa popo-
lazione. Tra i progetti anche quello dell’informa-
tizzazione dei dati dei pazienti e la costruzione di
un piccolo archivio con le principali informazioni
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APRILE 2021

2.5 Page 15

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mediche e sanitarie. È stata fatta molta formazio-
ne che ha permesso di poter impiegare personale
locale, scelto il più delle volte tra le persone più
povere o escluse o emarginate dalla società.
Chi sono i tuoi collaboratori?
I migliori collaboratori sono indubbiamente i giova-
ni. Per scelta personale, ogni anno nei tre mesi estivi
porto con me a Tonj almeno una decina di giovani
dai 16 ai 25 anni, allievi o ex allievi del Centro di
Formazione Professionale di Sesto San Giovanni nel
quale lavoro come catechista e formatore. Loro, in-
sieme ai volontari storici e a quelli un po’ più in là
negli anni, garantiscono tutte quelle prestazioni di
manutenzione ordinaria e straordinaria alla struttura
e agli impianti. Ci sono poi volontari che con il loro
lavoro in Italia garantiscono l’entrata dei fondi ne-
cessari a coprire le spese di gestione dell’ospedale. Ci
sono medici, ostetriche, infermieri in pensione e non
solo che decidono di passare parte del loro tempo
a Tonj a fianco del personale locale per formarlo e
incoraggiarlo. Ci sono le signore anziane che con-
fezionano vestitini e copertine per i neonati, chi or-
ganizza cene; c’è chi rinuncia a qualche euro perché
l’opera possa continuare a garantire assistenza e far-
maci. Grazie a Dio i collaboratori sono tanti e diversi
nelle loro competenze e nel loro aiuto.
Quali sono le tue difficoltà?
A causa dell’emergenza sanitaria mondiale le dif-
ficoltà a reperire fondi sono aumentate. La nostra
associazione raccoglieva soldi a partire da alcuni
eventi come vendite di prodotti, cene solidali…
Sempre per questo problema da febbraio nessuno
dei volontari è riuscito a raggiungere Tonj e nessu-
no scenderà se non avremo segnali di miglioramen-
to della situazione. I bisogni continuano ad essere
tanti e i soldi troppo pochi ma non disperiamo. La
Provvidenza che ha voluto quest’opera saprà mo-
strarci la strada da percorrere, ma soprattutto saprà
toccare il cuore di tante persone buone e generose,
come ha fatto fino ad oggi.
E i tuoi sogni?
Trasferirmi definitivamente a Tonj mi piacerebbe,
ma allo stesso tempo credo che l’impegno e il lavoro
da portare avanti in Italia per mantenere l’ospedale
aperto e funzionante, in questo momento sia la pri-
orità. Dovessi compilare una lista dei sogni scriverei
così: 1) Ampliare la struttura per implementare il
servizio dell’attuale laboratorio analisi da arricchire
attraverso l’acquisto di nuovi macchinari e l’assun-
zione di ulteriore personale; 2) Assumere un altro
medico chirurgo e un anestesista per poter iniziare a
far funzionare a pieno regime la piccola sala operato-
ria; 3) ogni anno garantire almeno una nuova borsa
di studio perché almeno un ragazzo o una ragazza
della scuola superiore salesiana possa continuare gli
studi presso l’Università di Juba e poi lavorare presso
il John Lee Memorial Hospital portando le proprie
conoscenze e competenze; 4) Un nuovo impianto
fotovoltaico capace di fornire maggiore energia all’o-
spedale; 5) Una casa capace di accogliere e dare ospi-
talità ai dipendenti dell’ospedale, quelli più poveri,
e alle loro famiglie; 6) Una clinica mobile per poter
organizzare visite e interventi sanitari presso i leb-
brosari … e poi la pace per un Paese che ormai mi
ha rubato il cuore.
Notizie su chi siamo e cosa facciamo le si possono
reperire sul sito www.tonjproject.com
«A causa
dell’emergenza
sanitaria
mondiale le
difficoltà a
reperire fondi
sono aumentate.
I bisogni
continuano ad
essere tanti e
i soldi troppo
pochi ma non
disperiamo».
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2.6 Page 16

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FMA
Emilia Di Massimo
L’Auxilium College
La rivoluzione dolce
A Vellore, India, le Figlie di Maria
Ausiliatrice, con una scuola
all’avanguardia, da 66 anni
cambiano la vita e il destino
di migliaia di giovani donne.
la odierna: pochissime donne erano autorizzate a
ricevere l’istruzione, seppur elementare. Eppure
il desiderio di sapere, la sete della conoscenza, era
ed è il sogno di moltissime donne che l’Auxilium
College ha realizzato mantenendo la tradizione
indiana all’interno di un graduale processo di mo-
dernità. Le Figlie di Maria Ausiliatrice, mediante
l’istruzione scolastica, hanno dato una svolta alla
società, circa il dominio patriarcale, ottenendo l’ac-
cesso alla cultura per le giovani donne che vive-
vano in uno stato di arretratezza sociale. Il corpo
docenti ha ben chiaro che insegnare non equivale
solo ad istruire ma soprattutto a formare ed educa-
re, per questo si impegna nell’educazione integrale
dei giovani, rivolgendosi particolarmente a quelli
economicamente più svantaggiati e alle donne ap-
partenenti agli strati più bassi della società. Sembra
proprio che il sistema educativo funzioni, conside-
rando che la maggior parte delle studentesse che
Èil primo collegio femminile che da 66 anni
accoglie giovani donne povere, emargina-
te, promuovendole mediante la cultura ma
soprattutto tramite la formazione integrale
della persona che, insieme all’istruzione, favorisce
una graduale esperienza di rinascita che conduce le
giovani ad essere protagoniste attive nella società a
loro contemporanea declinando il motto Conoscen-
za e Virtù.
Tutto questo avviene in India, nel distretto di Vel-
lore, all’Auxilium College dove, negli anni ’60, la
condizione giuridica della donna all’interno della
struttura sociale era notevolmente diversa da quel-
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APRILE 2021

2.7 Page 17

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hanno frequentato il Collegio oggi sono figure di
riferimento per la società; nel 1976 un’ex allieva del
College, è stata la prima donna ad essere nominata
Vice Ispettore generale della Polizia di Stato.
Le suore e i docenti laici seguono quotidianamente
3700 studenti ed offrono loro 19 corsi di laurea, 12
licenze, 8 ricerche in diverse discipline all’interno
del clima di famiglia, tipico della spiritualità sale-
siana, pieno di vita, di gioia, di giovinezza!
Tutti parte di un unico mondo
Sin dall’inizio l’Auxilium College ha sempre edu-
cato i suoi studenti all’amore verso i più poveri
aderendo allo “Schema di Servizio Nazionale” e al
“Programma Nazionale di Educazione per Adul-
ti” dello Stato. Le relative attività di sviluppo,
realizzate in tre villaggi, hanno svolto un ruolo
importante sia per il processo di trasformazione
delle zone sia perché i giovani hanno imparato
maggiormente il valore di sentirsi tutti parte di un
unico mondo con uguali diritti e doveri vivendo
un’esperienza di cittadinanza attiva. Sulla stessa
linea educativa, l’organizzazione dei programmi
di interscambio con lo Sri Lanka e la Malesia;
ospitati dall’Auxilium College, 15 studenti e 3 co-
ordinatori dello Sri Lanka hanno visitato l’India
nell’agosto del 2015. Circa 14 studenti ed alcuni
membri del personale del Collegio hanno parte-
cipato a vari eventi nel settembre del 2017, tra cui
l’interazione con i Ministri del Governo dello Sri
Lanka e con i componenti del Parlamento che si
occupano delle politiche dei giovani. Nel 2019 cir-
ca 33 studenti hanno visitato la Malesia ed hanno
partecipato alle attività di scambio dei giovani con
l’India, evento organizzato in collaborazione con
Audacious Dreams Foundation.
I social sono un altro campo nel quale il College fa
la differenza all’interno della località in cui opera,
tanto che il Dipartimento dei Media di Comuni-
cazione ha firmato un protocollo d’intesa con la
rete televisiva Vanoviya per fornire un’esposizione
mediatica agli studenti, in tempo reale, nelle aree
di sceneggiatura, videografia, montaggio e pianifi-
cazione della produzione.
Il pluralismo religioso è una realtà della società in-
diana ma non per il Collegio al cui interno si offre
la possibilità di una coesistenza armoniosa tra gli
aderenti alle diverse confessioni i quali si riunisco-
no per celebrare la maggiore festa di ogni religione.
L’evoluzione del Collegio non fa perdere di vista
alle Salesiane chi si trova in difficoltà, infatti ai
giovani che provengono dalle aree rurali offrono
la possibilità di alloggiare in un ostello a costi ra-
gionevoli, in modo che possano essere formati alla
leadership, alla convivenza pacifica sviluppando la
capacità di collaborare con gli altri.
Le Figlie
di Maria
Ausiliatrice,
mediante
l’istruzione
scolastica,
hanno dato
una svolta alla
società, circa
il dominio
patriarcale,
ottenendo
l’accesso alla
cultura per le
giovani donne
che vivevano
in uno stato di
arretratezza.
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2.8 Page 18

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LE NOSTRE GUIDE
Joaquim Antunes
Juan Carlos Perez Godoy
«Dal vostro sì o dal vostro no
dipende la felicità di molti».
È cresciuto negli ambienti salesiani, ha fatto quasi
tutta la sua formazione scolastica a Utrera,
la prima casa salesiana in Spagna. È stato
responsabile della Pastorale Giovanile,
della Famiglia Salesiana e poi Ispettore
e presidente della Federazione
delle scuole cattoliche di Spagna.
È il nuovo Consigliere del Rettor
Maggiore per la Regione Mediterranea.
«Sono nato
in una
famiglia
semplice,
felice e molto
unita».
Lei è l’attuale Consigliere
per la Regione Mediterranea,
che comprende Portogallo, Spagna,
Italia e Medio Oriente. È una missione
chiaramente impegnativa.
Sì, lo è. Prima di tutto perché è una novità per
me. È una fase diversa. E in secondo luogo, a
causa delle sfide che la nostra regione mediterra-
nea presenta. È una regione giovane e dobbiamo
continuare a lavorare per il suo consolidamento
percorrendo la strada della sinergia delle forze e
della condivisione di progetti ed esperienze nella
realizzazione della missione salesiana. Ma è an-
che una regione che deve continuare ad affron-
tare la sfida vocazionale, cioè la fedeltà creativa
e dinamica al dono delle vocazioni da una parte
e, dall’altra, la fecondità vocazionale, che sarà il
frutto della nostra Pastorale Giovanile che aiuta i
giovani a scoprire e realizzare il Progetto di Vita a
cui Dio li chiama.
Che tipo di giovane è stato?
Sono nato a Burguillos (Siviglia). Sono il maggiore
di sei fratelli, tre ragazzi e tre ragazze. Mio padre
era portalettere e mia madre casalinga. Una fami-
glia semplice, felice e molto unita. I miei genitori
ci hanno insegnato ad essere sempre rispettosi, ad
aiutarci gli uni gli altri. Ci hanno inculcato i valori
cristiani e l’amore per la Madonna del Rosario. Ho
frequentato la scuola primaria del mio villaggio, e
gli studi secondari dai salesiani di Utrera, la prima
casa salesiana in Spagna.
Che cosa l’ha spinta a diventare
salesiano?
Non conoscevo i salesiani. Grazie ad una borsa di
studio, sono andato a studiare dai Salesiani di Utre-
ra all’età di 10 anni. Sono stato lì per sette anni. La
prima cosa che ha attirato la mia attenzione sono
stati proprio i salesiani. Li ho visti diversi, erano re-
ligiosi speciali, allegri, vicini, si preoccupavano per
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2.9 Page 19

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noi, giocavano con noi e allo stesso tempo erano
esigenti. Poi ho conosciuto la vita di Don Bosco e
ho capito perché i salesiani erano così. In principio
mi attiravano gli aneddoti, i fatti meravigliosi, poi
ho cominciato a capire un po’ di più la sua attualità
spirituale così semplice, la sua opera diffusa in tutto
il mondo, ma soprattutto il senso della festa e del-
la gioia. Ci dicevano che la santità è essere sempre
gioiosi. Quando è arrivato il momento di decidere
del mio futuro, ho sentito nel mio intimo l’inquie-
tudine della chiamata ad essere salesiano. In un ri-
tiro mi ha colpito questa frase: “Dal tuo sì o dal tuo
no dipende la felicità di molti”. E ho deciso di dire
sì al Signore.
Fu chiamato presto a ricoprire
incarichi importanti nelle Ispettorie
Salesiane di Spagna.
Quella che ha segnato la mia vita di salesiano è
stata quella di Delegato Ispettoriale per la Pasto-
rale Giovanile. La prima volta avevo solo un anno
di sacerdozio. Sono stato Delegato della Famiglia
Salesiana per due anni e poi Ispettore due volte,
prima dalla Ispettoria di Siviglia quando c’erano
sette ispettorie in Spagna e poi della Ispettoria di
Madrid, dopo la ristrutturazione delle Ispettorie in
Spagna. Sono stato anche per cinque anni il diret-
tore della Casa di Cadice, un’esperienza indimen-
ticabile.
«Come ha
detto papa
Francesco:
“Il salesiano
del XXI
secolo non
deve essere
pessimista,
né ottimista,
ma un uomo
di speranza”».
APRILE 2021
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2.10 Page 20

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LE NOSTRE GUIDE
Gli anni da 1950 al 1990 hanno visto
un meraviglioso sviluppo dei salesiani
in Spagna.
Sì, decisamente sì. Una grande generazione di sale-
siani che ha dato vita a tante iniziative a favore dei
giovani, soprattutto i più poveri. Merita un vero e
proprio tributo. Questi sono quelli che oggi han-
no 80 e 90 anni. Oggi, dobbiamo imparare dalla
loro grande generosità, dalla grande abnegazione, il
grande spirito di sacrificio per amore di don Bosco
e dei ragazzi. Tutto questo ha provocato una grande
fioritura vocazionale.
Oggi la situazione è diversa.
Come vede il futuro?
Oggi, la società è cambiata, la Chiesa è cambia-
ta, la Congregazione è cambiata, come i giovani,
le loro famiglie, la cultura dominante. E noi siamo
diminuiti, ma, ha detto papa Francesco, “Il sale-
siano del XXI secolo non deve essere pessimista,
né ottimista, ma un uomo di speranza”. Ci sono
anche segni di speranza nel ritorno della Congre-
gazione ai più poveri, nel numero di laici impegnati
con cui condividiamo la vocazione salesiana, nelle
tante famiglie e giovani che vibrano con don Bosco,
nella fioritura della Famiglia Salesiana... Il futuro
è un’incognita.
I laici sono un sostituto o una parte
integrante del carisma del Fondatore?
Non si può tornare indietro. E non principalmente
perché è una realtà che si impone, ma perché è una
questione di fedeltà carismatica, di fedeltà a don
Bosco. Sappiamo bene che fin dall’inizio della sua
missione a Valdocco don Bosco ha avuto molti laici,
amici e collaboratori come parte della sua missione
tra i ragazzi. Nonostante qualche resistenza, questa
è una strada senza ritorno, perché il modello ope-
rativo della missione condivisa con i laici è come lo
ha proposto il Capitolo Generale 24 “l’unico valido
e praticabile nelle condizioni attuali”. Dobbiamo
riconoscere che la missione condivisa tra salesiani e
laici è il nostro modello di essere e vivere la Chiesa
con i giovani.
Il CG28 ha tracciato orientamenti
per l’effettivo inserimento dei laici
nella missione?
Sì, il CG28, nella riflessione post-capitolare, offre
su questo punto un orientamento molto preciso
Don Juan
Carlos con
Il Rettor
Maggiore.
20
APRILE 2021

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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REGIONE MEDITERRANEA - UN RITRATTO IN NUMERI
La Regione del Mediterraneo è stata creata nel 2015. Comprende 10 ispettorie: Circoscrizione Speciale Italia
Centrale, Circoscrizione Speciale Italia Piemonte-Valle D’Aosta, Italia Lombardo-Emiliana, Italia Meridionale, Italia
Nord-Est, Italia Sicilia, Medio Oriente, Spagna e Portogallo.
Riguarda sette nazioni: Italia, Spagna, Portogallo, Israele, Palestina, Siria, Libano ed Egitto. Ne fanno parte anche
altri paesi (Svizzera, Lituania, Albania, Kosovo, Moldavia, Romania, Tunisia e Capo Verde). In totale sono 343 pre-
senze salesiane.
I Salesiani nella Regione sono 2.829.
Rispetto al 2014, c’è stata una diminuzione di 384 salesiani. L’età media dei
salesiani nella regione mediterranea è di 66 anni (6%: – 30 anni; 17,4%:
31-50 anni; 24,8%: 51-70 anni; 51,8%: + 71 anni).
per tutta la Congregazione. Da un lato, ci chiede
di assumere con decisione che la missione condi-
visa tra consacrati e laici è il modo di essere Chie-
sa che più attrae i giovani. D’altra parte, ci invita
a garantire spazi e tempi di formazione e comuni-
cazione di vita congiunta tra consacrati e laici, per
condividere la passione educativo-pastorale, l’im-
pegno nella Comunità Educativa e la promozione
del territorio.
Nei paesi della sua Regione è in atto
una scristianizzazione strisciante. Che
cosa proponete?
Certamente il processo di secolarizzazione è molto
avanzato in Spagna e Italia. Purtroppo, in alcune
zone si è raggiunto il vero laicismo e l’indifferen-
za religiosa. Questo colpisce, ovviamente, in modo
particolare i giovani. La Famiglia Salesiana è con-
sapevole di questa realtà e cerca di organizzarsi,
non senza difficoltà, per affrontare questa sfida che
va alla radice dell’evangelizzazione, del primo an-
nuncio. Questo è uno dei punti chiave del nostro
programma come Regione.
Non pensa che i salesiani abbiano
molte strutture e pochi “annunci”?
Questo è il grande pericolo. E dobbiamo essere vi-
gili. Non possiamo rimanere in manutenzione di
grandi strutture. Per questo tutte le Ispettorie, se-
guendo gli orientamenti degli ultimi Capitoli Ge-
nerali, sono coinvolte in processi di “ridisegno” delle
opere e delle co-
munità per rispon-
dere alla sfida di
annunciare il Van-
gelo, la buona notizia
di Gesù, ai giovani, ai
più poveri e a coloro che
sono a rischio di esclusione.
Non si perde tempo in troppi
convegni e riunioni?
Il Vangelo si può annunciare solo lasciandosi evan-
gelizzare. Abbiamo bisogno di essere convertiti.
Questo non viene fatto per inerzia. Abbiamo biso-
gno di incoraggiamento per motivarci. È a questo
che servono le riunioni e i convegni.
Molti giovani implorano: “Avete
i nostri cuori. Non dimenticateci mai”.
Stiamo dimenticando?
Questo è stato il grande “grido” dei giovani nel-
la preparazione della CG28 e di quelli che erano
presenti nel Capitolo. Incombe su di noi il grande
pericolo di dimenticare, di chiuderci nei nostri sa-
loni comunitari o nei nostri uffici e di trascurare la
presenza fisica in mezzo ai giovani. Tutti possiamo
correre questo pericolo. Ne sono convinto. Ognu-
no in modi diversi. È così importante che il nostro
Rettor Maggiore lo ha indicato come uno dei punti
forti della sua lettera programmatica. Lo chiama
“il sacramento salesiano”.
Il momento
dell’elezione
di don Juan
Carlos a
Consigliere
del Rettor
Maggiore per
la Regione
Mediterranea.
APRILE 2021
21

3.2 Page 22

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IN PRIMA LINEA
Ambrose Pereira
Reto Wanner
Da protestante
“Condividere la vita
con i giovani mi dà
una realizzazione
missionaria profonda”.
a salesiano missionario
Reto Wanner sdb è nato il 10 giugno 1972.
Apparteneva alla chiesa evangelica prote-
stante Ulrich Zwingli. Desideroso di servi-
re, scelse di lavorare come volontario in Pa-
pua Nuova Guinea. Trascorse poco più di tre anni
presso l’Istituto Tecnico Don Bosco di Boroko,
Port Moresby, e tornò a casa nel 2004. Durante il
suo soggiorno in Papua Nuova Guinea rimase
molto impressionato dalla Chiesa cattolica
e dal lavoro che i Salesiani svolgono per i
giovani, i poveri e i giovani abbandonati.
Al suo ritorno a casa, divenne cattolico
ed entrò nella Congregazione Salesiana
in Germania. Ha emesso la prima profes-
sione religiosa l’8 settembre 2006 al Colle
Don Bosco in Italia. La sua Professione Fi-
nale è stata emessa il 7 ottobre 2012 a Chem-
nitz, in Germania. Dopo un anno fece domanda
Il salesiano
laico svizzero
Reto Wanner.
È missionario
in Papua
Nuova Guinea.
per diventare missionario. Il 25 settembre 2016 è
stato inviato dal Rettor Maggiore come missionario
nella Visitatoria pgs (Papua Nuova Guinea).
Il 17 aprile 2014 è arrivato nella delegazione Papua
Nuova Guinea e Isole Salomone, pur appartenendo
all’Ispettoria tedesca.
Come è nata questa chiamata
alle missioni?
Due avvenimenti nella mia infanzia hanno influen-
zato la decisione di diventare missionario. Uno è le-
gato a mio padre che ha lavorato come capomastro
per quattro anni in Ghana, in Africa. Le sue storie
e le sue immagini con gli africani mi hanno molto
affascinato. Il secondo fatto: da giovane adulto ho
avuto un incidente in mare. Sono entrato in una
corrente e sono quasi annegato. Solo grazie a Dio
la mia vita è stata restituita – una seconda vita; una
chiamata di Dio per una certa missione. Questo è
stato anche il momento in cui mi sono svegliato da
una vita protetta in famiglia, senza una chiara di-
rezione per il mio futuro. Non molto tempo dopo
l’incidente, i salesiani in Papua Nuova Guinea
avevano bisogno di un istruttore meccanico. Con
un passato di Ingegneria Meccanica e alla luce di
quei due eventi, ho fatto domanda tramite un’or-
ganizzazione svizzera di volontari. Per tre anni ho
Perché hai scelto di essere
Missionario?
Credo che sia una chiamata di Dio. Vuole che con-
divida il mio tempo, i miei talenti, me stesso con
la gente della Papua Nuova Guinea e delle Isole
Salomone.
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APRILE 2021

3.3 Page 23

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soggiornato all’Istituto Tecnologico Don Bosco di
Port Moresby, la capitale della Papua Nuova Gui-
nea, e sono arrivato presto a rendermi conto che
non bastava condividere le mie conoscenze inge-
gneristiche e le mie capacità professionali; tutto ciò
non era sufficiente.
L’accompagnamento dei giovani è diventato sem-
pre più importante. I modelli di riferimento erano
molti salesiani, le suore salesiane (fma) e gli aspi-
ranti con cui lavoravo nell’istituto.
Mi sentivo convinto che la formazione integrale
dei giovani richiedesse “abilità, conoscenza e reli-
gione”. Questa era la spina dorsale. Dopo tre anni
di permanenza, potrei dire chiaramente, che la re-
ligione mi ha tenuto in questo luogo a volte “sel-
vaggio” e strano. Dio mi chiamava, mi chiamava
a diventare religioso, mi chiamava a diventare un
salesiano laico coadiutore, mi chiamava alla mis-
sione. Non sono stato io a scegliere di diventare un
missionario, sono stato guidato dallo Spirito Santo
di Dio. Lo stavo ascoltando.
Come vedi la tua vocazione
di Coadiutore Salesiano?
Sono molto contento di essere un laico salesiano.
Sono completamente immerso con i giovani – in
classe, in officina e nei laboratori e trascorro del
tempo con loro dopo l’orario scolastico. Attraverso
questo intenso stare insieme è emerso un rapporto
di fiducia e amore. A poco a poco i giovani si apro-
no a me. Sono interessati alla mia vita di religioso.
Ho quindi l’opportunità di condividere con loro i
valori cristiani della vita. È in corso una formazione
olistica, che durerà ben oltre la loro laurea. Adesso,
dopo diciassette anni, posso vedere dei buoni frutti,
emergere dal mio tempo come salesiano coadiutore.
Che cosa ti dà gioia,
soddisfazione e felicità?
Oltre ad essere un istruttore meccanico, amo en-
trare in contatto con i bambini, i giovani e gli adul-
ti dei villaggi intorno all’istituto. La mia fonte di
forza ed equilibrio nel mio lavoro di istruttore è
l’Oratorio della domenica. È una gioia per me con-
dividere la mia vita con i bambini e i giovani prove-
nienti dai diversi villaggi. L’oratorio domenicale è
pieno di giochi, preghiere, catechismo, una varietà
di attività e un posto di pronto soccorso, che si ri-
volgono alla loro mente, corpo e spirito. L’esperien-
za di essere accolto dagli oratoriani mi dà profonda
soddisfazione. Mi piace anche visitarli nelle loro
case. È allora che ho l’opportunità di parlare con i
loro genitori e capire la situazione familiare.
La celebrazione quotidiana dei sacramenti è un’oc-
casione per crescere nella mia fede. Ogni domenica
accompagno il coro dei bambini alla messa delle
11.00 nel Santuario di Maria Ausiliatrice. È molto
apprezzato dai bambini e dalla congregazione. An-
che il rosario quotidiano e un occasionale discorso
della “buona notte” con i nostri residenti è una buo-
na occasione per crescere spiritualmente. Pregare,
lavorare e vivere con la mia comunità – p. Clifford
Morais, rettore e p. Joseph Dai, responsabile della
residenza e moderatore spirituale è per me un gran-
de adempimento. Questa è la mia famiglia e qui
trovo gioia, conforto, amore e forza.
Guardando indietro, ho capito che è essenziale esse-
re aperto e umile. Ascoltando lo Spirito Santo sono
diventato un salesiano coadiutore missionario.
«Oltre ad
essere
istruttore
meccanico,
amo entrare
in contatto
con i giovani
e le loro
famiglie».
APRILE 2021
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TEMPO DELLO SPIRITO
Carmen Laval
Alcuni dei tanti
miracoli quotidiani
Vivere in piena consapevolezza significa
prendersi il tempo di contemplare. Di essere
toccati dalle azioni che compiamo ogni
giorno e che dimentichiamo subito. Rendersi
presenti significa diventare vivi per davvero.
E scoprire, come un neonato, che miracolo
è la vita!
1. RESPIRARE
Tutti respiriamo. Il respiro è vita. Il secondo rac-
conto della creazione ci narra che Dio plasmò
l’uomo con la polvere del suolo. E «soffiò nelle
sue narici un alito di vita» (Gen 2,7). Respirando,
quindi, inspiriamo l’alito di vita di Dio. Anche la
psicologia ha riscoperto l’importanza del respiro.
Parla di respirazione terapeutica. Se, ad esempio,
immaginiamo di lasciar fluire, attraverso il respiro,
l’amore sanante di Dio in ogni ambito del nostro
corpo, ci sentiremo diversi anche fisicamente: un
simile esercizio di distacco libera dalle contratture
muscolari. In particolare quando ci sentiamo ir-
requieti o se stiamo partecipando a una riunione
importante oppure siamo sotto stress, ci aiuta pre-
stare attenzione al respiro e lasciarlo fluire con più
calma. Allora ci calmiamo anche noi.
La Bibbia ci dice ancora: «C’è un solo soffio vitale
per tutti uomini e bestie» (Qo 3,19). Nel respiro,
quindi, ci sentiamo uniti con tutti gli esseri umani,
ma anche con tutti gli animali, anzi, con l’intero
creato.
Ad ogni respiro pensa a quelli che ti vogliono bene.
2. L’ACQUA
Voi siete acqua. Nell’acqua avete vissuto i primi
nove mesi della vostra vita. L’acqua è davvero un
amore incondizionato che scorre dentro di voi, che
è voi: ora siete al settantacinque percento acqua.
Pensate alla misteriosa natura magica di questa
energia liquida che diamo per scontata. Cerchiamo
di stringerla, ed essa ci sfuggirà; se rimane ferma,
diventerà stagnante; se le è concesso di scorrere,
rimarrà pura. Non cerca di raggiungere i punti alti,
per stare al di sopra di tutto, ma va verso i luoghi
più bassi. Lasciate che i vostri pensieri e compor-
tamenti si muovano con agilità in armonia con la
natura di tutte le cose.
Dite una preghiera di ringraziamento per questa
sostanza che sostiene la vita.
3. VEDERE
«L’ho visto con i miei occhi!»: chi dice così afferma di
essere libero. Non dipende da altri, dai loro raccon-
ti: conosce davvero la realtà. Anche se oggi si dice
che le persone non guardano bene, che non vedono
gli altri, soprattutto quelli che sono nel bisogno, che
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APRILE 2021

3.5 Page 25

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non vedono i problemi. Eppure siamo circondati,
quasi perseguitati, da immagini. Ma l’abitudine crea
assuefazione e si rischia di guardare tutto e di non
vedere niente. Ascoltare qualcuno con gli occhi si-
gnifica dirgli: «Tu sei importante per me». Il modo
di guardare ci trasforma. Attraverso il miracolo della
vista percepiamo la bellezza: lo sguardo e la bellezza
sono collegati. Se medito sul bello e lo osservo, mi
trasforma. Mi porta a contatto con il bello dentro di
me e le tracce di Dio nel suo bel mondo.
Invece di non vedere una persona, guardala davve-
ro. Fa bene a tutti e due.
4. ASCOLTARE
Con tutto il frastuono che si riversa continuamen-
te su di noi corriamo il rischio di disimparare ad
ascoltare. Nell’ascolto ci entra dentro il mondo. Se
sono «tutt’orecchi» per l’altro, attento a chi mi sta
parlando, non ascolto soltanto le sue parole. Ascolto
la persona stessa, la percepisco, sento le sue emo-
zioni. La voce di Dio riecheggia nel creato, in tutto
ciò che entra nel nostro orecchio: nel vento, nello
scroscio dei torrenti, nella pioggia, nel canto degli
uccelli. Nelle voci del creato possiamo ascoltare
l’armonia del mondo e intuirvi Dio. La sua voce,
però, mi tocca soprattutto nella parola. Possono es-
sere le parole interiori, le voci interiori del mio cuo-
re, della mia coscienza. Possono essere parole che ci
dice un’altra persona. Può essere una bella musica.
Prova oggi ad ascoltare con il cuore.
5. CAMMINARE
Andare, camminare fa parte di noi. Ogni giorno
facciamo almeno alcuni passi. Ogni nostro passo
è un contatto con la terra. E una direzione: si va
sempre verso qualcosa. Un poeta lo esprime splen-
didamente: «Dove andiamo? – Sempre a casa». Se
chiedevano a don Bosco: «Dove andiamo?» rispon-
deva invariabilmente: «In Paradiso».
Si cammina bene con degli amici. Con loro si vive
la bellezza del creato con maggiore intensità. Ci
mostriamo a vicenda quanto sia bello il panorama.
Camminando insieme possiamo fare l’esperienza di
un profondo senso di comunione. Camminare in-
sieme ci unisce, ci fa sentire sostenuti da coloro che
sono in cammino con noi e ci aiutano lungo il cam-
mino.
La Bibbia è piena di passi che parlano di “cammino”.
Dio vigila sul nostro andare. È bello camminare
meditando: «Egli per te darà ordine ai suoi angeli
di custodirti in tutte le tue vie. Sulle mani essi ti
porteranno, perché il tuo piede non inciampi nella
pietra» (Sal 91). Oppure: «Anche se vado per una
valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con
me» (Sal23).
Cammina con gratitudine per la terra che ti sostiene.
6. ACCETTARE
Non c’è bisogno che un pensiero, una situazione, una
persona ci piacciano, per accettarli. Nessun bisogno
di amare, solo di ammettere che quel pensiero, quel-
la situazione, quella persona o quella esperienza sono
lì: esistono, sono già nella mia vita e dovrò scendere a
patti con loro, andare avanti insieme a loro. Non si-
gnifica rassegnarsi. Nell’accettazione c’è l’intenzione
di restare presenti nell’azione, ma in modo diverso:
con lucidità e calma. Accettazione significa com-
prensione, accoglienza, pazienza, tolleranza,
sopportazione, perdono. L’accettazione ci
insegna a seguire il miglior cammino
per arrivare là dove vogliamo andare.
E questo cammino non sarà necessa-
riamente una linea retta. Come du-
rante una passeggiata in montagna:
non sarebbe una buona idea volersi
inerpicare dritti verso la cima. Piut-
tosto seguiremo i tornanti che salgono
serpeggiando attorno ai fianchi della
montagna. Senza rinunciare ad arri-
vare lassù. Pur accettando la pen-
denza e le deviazioni, continuia-
mo a camminare verso la cima.
Le sofferenze esistono, tu
continua a salire.
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LE CASE DI DON BOSCO
La Comunità
I salesiani a
Mogliano Veneto
Il collegio salesiano Astori si
presenta oggi come un’istituzione
scolastica paritaria di eccellenza,
ma anche nell’animazione religiosa
dei giovani del territorio attraverso
la cura dei gruppi giovanili.
Un angolo
del cortile.
Gli edifici
dell’Astori sono
ampi, moderni
e magnifica­
mente adatti
ad accogliere
un migliaio di
allievi.
Una bella storia
I salesiani giunsero a Mogliano Veneto il 18 no-
vembre 1882. Erano stati chiamati, vivente don
Bosco, dall’ingegner Pietro Saccardo che agiva a
nome della chiesa veneziana e del forte movimen-
to cattolico della città. Il lungo carteggio cominciò
nel giugno 1879. Qualche mese dopo egli comuni-
ca che la signora Elisabetta Bellavite Astori, da cui
l’opera prende il nome, intendeva aprire un istituto
educativo in ottemperanza al lascito di L. 100 000
del defunto marito. La sua volontà e la volontà del
movimento cattolico era di preparare l’edificio a
Mogliano Veneto, dove i signori Astori avevano le
loro proprietà in vista di farne una colonia agricola.
Ma già con l’anno scolastico 1883-1884 il direttore
don Mosè Veronesi aprì il corso elementare e le pri-
me classi ginnasiali con il consenso di don Bosco,
perché la colonia agricola non aveva prospettiva.
Direttore e salesiani furono concordi nel conserva-
re all’opera il fine originario, ma ben presto videro
utile affiancarvi altri indirizzi: funzionarono così
laboratori per apprendisti falegnami e fabbri, con-
temporaneamente si accettarono alcuni studenti.
Per un certo tempo l’istruzione fu, almeno terri-
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APRILE 2021

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torialmente, divisa. Mentre al centro di Mogliano
rimanevano i corsi scolastici ed artigianali, si ac-
quistarono dei campi a Marocco, presso l’attuale
villa Grapputo, dove funzionò dal 1895 al 1906 un
distaccamento della Colonia Agricola. I tempi però
cambiavano e la società evolveva. L’emigrazione
prima e l’industrializzazione poi rendevano sempre
meno attuale la scuola agricola, mentre aumentava
la richiesta di un servizio scolastico. Allora a Mo-
gliano esistevano solo le elementari. Fu così che in
epoche successive furono introdotti all’Astori nu-
merosi indirizzi scolastici: quasi subito le elemen-
tari, verso la fine dell’800 il “ginnasio”, nel 1964
l’Istituto Tecnico per Ragionieri, nel 1971 l’Istituto
tecnico Industriale con specializzazione in Mecca-
nica, nel 1975 il Liceo Classico.
Anche gli alunni andavano crescendo: poche deci-
ne nel 1882, 162 alla fine del secolo, 231 nell’anno
scolastico 1915-16. L’anno seguente si ridussero a
47 in seguito alle vicende belliche: l’istituto infatti
venne adibito ad Ospedale Militare per la III ar-
mata e l’opera salesiana fu sfollata in villa Bian-
chi. Nell’anno scolastico 1918-19 l’Astori rimase
chiuso, ma l’anno seguente ospitava di nuovo 150
giovani, che ben presto divennero 200. Durante la
seconda guerra mondiale ci fu un nuovo aumen-
to: gli alunni giunsero a 322, nonostante il breve
periodo di sfollamento all’Agenzia Bertolini. Dopo
la guerra l’incremento fu costante, anche perché il
Collegio incominciò ad ammettere alunni esterni.
Nel 1954 l’Astori superò i 500 allievi, nel 1973 i
600, nel 1976 gli 800, nel 1979 i 900, nel 1980 i
1000. Nel 1983 gli alunni erano 1112.
Inoltre a poca distanza sor-
ge da quarant’anni la Co-
munità Proposta, in questa
casa i salesiani fanno una
esperienza di vita comuni-
taria con i giovani che sono
in discernimento vocazio-
nale. Condividono con loro
la vita ordinaria: lo studio,
le faccende domestiche, la
preghiera, l’esperienza del
servizio nell’animazione e
nell’aiuto ai poveri della città. Da qui prendono
vita e vengono sostenute diverse attività che ten-
gono viva l’attenzione vocazionale nelle comunità
salesiane di tutta l’ispettoria. È qui che si svolge la
tappa formativa del prenoviziato per chi si sta con-
frontando seriamente con la chiamata di Dio ad es-
sere figlio di don Bosco. Attualmente in Comunità
Proposta vivono quattro confratelli e otto giovani.
Casa della
Comunità
Proposta. Qui
vivono alcuni
giovani che
riflettono
sulla loro
vocazione. Da
qui prendono
vita diverse
attività che
tengono viva
l'attenzione
vocazionale
nelle comunità
salesiane
di tutta
l'ispettoria.
A sinistra:
don Luca
Bernardello,
direttore della
Comunità
Proposta.
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3.8 Page 28

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LE CASE DI DON BOSCO
I ragazzi sono
interessati e
generosi, con
un senso di
appartenenza
all’opera e
a don Bosco
davvero
straordinario.
Oggi
Il collegio salesiano Astori si presenta oggi come
un’istituzione scolastica paritaria di eccellenza nel
territorio che comprende il primo ciclo completo
della scuola primaria e della scuola secondaria di
primo grado. Mentre il secondo ciclo comprende
quattro indirizzi di studio: il liceo scientifico, il liceo
linguistico, l’istituto tecnico commerciale e quello
meccanico, che si avvale dello studio tecnico annes-
so. Attualmente si contano quasi mille alunni.
La comunità salesiana è composta di 22 confratelli,
che operano principalmente nel settore scolastico,
ma anche nell’animazione religiosa dei giovani del
territorio attraverso la cura dei gruppi giovanili.
Due iniziative sono particolarmente degne di nota:
il Movimento Giovanile Salesiano Giovani Mo-
gliano coinvolge circa ottanta giovani adolescenti
in un percorso di formazione umana e cristiana che
ha due appuntamenti fondamentali: una domenica
al mese per la formazione e la fraternità; il servi-
zio settimanale che ogni giovane svolge all’interno
dell’Astori o presso associazioni e realtà del terri-
torio. In secondo luogo l’esperienza denominata
“Santa impresa” nata nel periodo estivo segnato dal
Covid. Un bel gruppo di giovani si è reso disponi-
bile a lavori di tinteggiatura, sgombero, giardinag-
gio. Quanto hanno raccolto è stato donato ai poveri
della città di Mogliano.
Uno dei confratelli è cappellano nella parrocchia
principale, altri svolgono ministero domenicale e
feriale in diverse parrocchie del territorio. Stiamo
curando, come sopra anticipato i gruppi giovanili
che operano in tutta la zona pastorale.
Con la società civile stiamo svolgendo un’opera
culturale, continuando le iniziative a suo tempo
(dal 1975) avviate da don Giuseppe Polo, cui il 1°
novembre scorso è stata dedicata una piazza per il
suo contributo alla storia locale. La comunità ope-
ra in questo settore attraverso il gruppo di ricerca
storica e la fruizione degli oltre 55 000 libri della
nostra biblioteca.
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3.9 Page 29

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TRE DOMANDE AL DIRETTORE DON DINO MARCON
Quali sono le sue più belle
soddisfazioni?
È da settembre che sono direttore in questa prestigio-
sa opera, e mi piace molto vedere quanto i salesiani,
i laici e collaboratori hanno lavorato in tanti anni per
il bene dei ragazzi. La città di Mogliano e il territorio
circostante non sarebbero tali se non ci fosse stato
l’Astori, un ‘istituzione benemerita che è attenta ai
cambiamenti dei giovani, alla loro solida formazione e
all’inserimento nel mondo accademico e/o lavorativo.
Come sono i giovani che frequentano
la sua opera?
Ho trovato i ragazzi molto semplici e interessati alla
ricerca della propria identità, con un senso di appar-
tenenza all’opera e a don Bosco davvero straordinario,
devo dire che sono molto fortunati ad avere accanto a
loro dei maestri, insegnanti e salesiani molto preparati
e appassionati per la loro crescita umana e cristiana.
Quali sono i suoi sogni
per il futuro?
Oltre alle qualificate proposte già pre-
senti nell’Opera, c’è un forte deside-
rio di aprire per il prossimo anno, un
centro di formazione professionale per
intercettare anche la fascia di ragaz-
zi che hanno la volontà di svi-
luppare l’intelligenza delle
mani. Il sogno di don Bo-
sco di sostenere i ragazzi
più bisognosi continua
ancora oggi.
Didattica all’avanguardia
Il punto di forza della nostra proposta educativa è
il progetto educativo, l’opera propone ai ragazzi e ai
loro genitori il sistema preventivo di don Bosco che
vuole puntare a formare buoni cristiani e onesti cit-
tadini. A concorrere nel raggiungimento di questo
obbiettivo sono sia la pastorale scolastica sia quella
giovanile, che peraltro si è sviluppata in questo pe-
riodo di pandemia per ovviare al disorientamento
che si è verificato.
L’Astori offre una solida preparazione culturale at-
traverso una didattica attenta ai tempi e alle esigen-
ze del territorio. Molto apprezzate sono le attività
di didattica laboratoriale e cooperativa, il signifi-
cativo incremento dello studio della lingua ingle-
se e nel settore del secondo ciclo si sono delineati
curvature curricolari per il settore della biomedica,
della robotica, della comunicazione e dell’azienda
4.0 e per il curriculum verticale che collega alcune
discipline dei tre ordini di scuola.
Sotto,
a sinistra:
Esperienze
scientifiche
con il professor
Mario Cuzzolin,
salesiano.
Le attività
di didattica
laboratoriale
e cooperativa
sono molto
apprezzate.
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3.10 Page 30

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LA NOSTRA STORIA
B.F.
La Marchesa di Barolo
Juliette Colbert de Maulévrier è stata una donna
straordinaria, amica e benefattrice di don Bosco,
una vera rivoluzionaria della carità. Dalla riforma
carceraria alle attività di prevenzione e ricupero:
ha segnato con la sua intensa attività la Torino
risorgimentale.
Sopra:
Un ritratto
della Marchesa
di Barolo.
A destra:
Carlo Tancredi
Falletti. Insieme
concretizzarono
un volume
impressionante
di opere di
carità.
Il Conte Cavour la
chiamava “la mar-
chesa di ferro”. La
conosceva bene per-
ché da bambino gio-
cava nel cortile del suo
palazzo con i figli del
re. Giulia Colbert nacque nella Vandea “bianca”,
teatro di un’eroi­ca resistenza al fanatismo antireli-
gioso del “Terrore” rivoluzionario. La nonna, gli zii
e altri parenti finirono sulla ghigliottina, mentre
lei con i genitori era esule in Germania. Tornò in
patria quando Napoleone prese il potere. Mentre si
trovava alla corte parigina come
damigella dell’imperatrice, Giu-
lia conobbe il marchese torinese
Carlo Tancredi Falletti di Baro-
lo e lo sposò. Insieme formarono
una coppia di sposi proprio come
li vuole il Vange­lo: due gigan-
ti della carità, due cristiani veri.
Poiché non avevano figli, essi
decisero di “adottare” i poveri
di Torino, accogliendoli nel loro
palazzo e dando così, con largo
anticipo sui tempi, un coraggioso
quanto insolito esempio di “fami-
glia aperta”.
Per capire meglio il valore delle loro scelte bisogna
tener presente che i marchesi Falletti di Barolo era-
no una delle famiglie più ricche del Piemon­te (le
sue rinomate cantine rifornivano le corti di mezza
Europa). Dal canto loro i Colbert (diretti discen­
denti del famoso ministro delle Finanze di Luigi
XIV, il Re Sole) non erano da meno. Insieme, Giu-
lia e Tancredi possedevano qualcosa pa­ragonabile
a svariate centinaia di milioni di oggi. Avevano
avuto dalla vita tutto quello che secondo i mo­delli
in voga nella nostra società potrebbe rendere felici:
ricchezza, bel­lezza, salute, cultura (Giulia parlava
correttamente cinque lingue) e amicizie importan-
ti. Invece scelsero la via in salita
della fede, dimostrando che qual-
che volta anche il ricco può entra-
re nel regno dei cieli, a patto che
si faccia povero con e per i poveri.
Il processo di industrializzazio-
ne in pieno sviluppo aveva con-
vogliato a Torino un proletariato
contadino sfruttabile con salari
da fame. Arrivarono così delin­
quenza, prostituzione, alcolismo,
accattonaggio. Erano i volti di
una povertà diffusa alla quale il
governo e la borghesia liberal-
massonica non pensavano. La
30
APRILE 2021

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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vera risposta la diede, come sempre, la Chiesa: il
Cottolengo, don Bosco, il Murialdo, il Faà di Bru-
no, l’abate Saccarelli, la beata Anna Michelotti,
l’Allamano e i Falletti di Barolo, per citare i più
noti, concretizzarono un volume impressionante
di opere destinate a cambiare il volto della città:
ospedali, scuole, laboratori artigiani, centri di acco-
glienza, asili infantili, orato­ri. Strumenti per un’au-
tentica evan­gelizzazione e promozione umana.
torre di Santarosa, Federico Sclopis, il conte De la
Tour, Silvio Pellico (che sarebbe poi diventato il se-
gretario particolare dei Barolo), insomma la Torino
che contava. Per non dire dell’amicizia che legava
i marchesi a Carlo Alberto, alla mo­glie Maria Te-
resa e alla Serva di Dio Maria Cristina di Savoia,
nonché ai De Maistre, a monsignor Dupanloup e,
in particolare, al poeta Alphonse de Lamartine (del
quale ci rimangono 55 lettere indirizzate a Giulia).
Un segno di Dio
Una prima svolta importante per Giulia si presen-
tò nella domenica in Albis del 1814. Mentre per
strada in­crociava un prete che, accompagnato dai
chierichetti, portava il viatico a un malato, fu rag-
giunta dalle be­stemmie e dalle imprecazioni di un
detenuto delle vicine carceri senato­rie. Quella voce
rappresentava per lei un segno di Dio, un invito a
inter­venire. Bussò immediatamente al portone del
carcere per rendersi conto di persona delle condi-
zioni di de­grado in cui vivevano là dentro uom­ ini e
donne. Ne uscì con un profondo senso di vergogna
e, insie­me, di solidarietà per i “fratelli” che abitava-
no “quel covo tenebroso”. E decise di fare qualcosa
secondo quello che sarebbe diventato un suo slo-
gan: Carità sempre e subito.
Da ragazza anche per ragioni di studio si era in-
teressata in Francia e in Inghilterra al problema
carcerario e, attraverso incontri con i detenuti, si
era convinta (anche se allora suo­nava utopia) che la
prigione deve non soltanto punire con giustizia, ma
anche rieducare. Ottenuto dalle autorità il permes-
so di trattenersi re­golarmente nelle carceri, Giulia
si presentò alle detenute come un’ami­ca, disposta a
condividere e ad alle­viare le loro sofferenze, a cono-
scere i loro bisogni, secondo un progetto ben pre-
ciso. Ma per l’attuazione pratica occorreva aggirare
la buro­crazia governativa. E qui il “salotto” di casa
Barolo giocò un ruolo importante: lo frequentavano
i Cavour (Camillo, allora bambino, aveva un’am-
mirazione incredibile per Giulia, che chiamava fa-
miliarmente “la mia cocotte”), Cesare Balbo, San-
La prima “riforma carceraria”
In pochi mesi, sotto la guida della marchesa, prese
così il via quella che si può definire la prima ri-
forma carceraria d’Italia: facce pulite, abiti decen-
ti, processi rapidi per chi era in attesa di giudizio,
scuola, lavoro e assistenza religiosa per le detenute:
una prigione “umanizzata”. Le tre carceri femmi-
nili esistenti – tutte con locali bui e fatiscenti – fu-
rono abbandonate per una nuova sede, molto più
adeguata, restaurata in parte a spese dei Barolo,
della quale Giulia fu nominata sovrintendente. Il
regolamento interno fu discusso articolo per arti-
colo con le detenute riunite in assemblea: un corag-
gioso esempio di democrazia diretta “ante litteram”
che responsabilizzava al massimo le persone impe-
gnandole ad osservare le regole.
La situazione
dei giovani
nelle
carceri colpì
particolarmente
la Marchesa
e don Bosco.
APRILE 2021
31

4.2 Page 32

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LA NOSTRA STORIA
Un ritratto
giovanile
della
Marchesa.
Dal carcere al “prima” e al “dopo-carcere”: Giulia
pensò ad un’opera – il “Rifugio” – per l’educazione
preventiva e riabilitativa delle ragaz­ze a rischio e
delle ex detenute. Ma andò ancora più in là: oltre
ad aver ricostruito moralmente molte donne uscite
dalla detenzione, la sua efficace catechesi suscitò in
alcune di esse addirittura il desiderio di una specia­
le consacrazione religiosa per riscat­tare il proprio
passato e impetrare la misericordia di Dio sul mon-
do med­ iante la preghiera e la penitenza. Nasceva
così la congregazione delle “Sorelle penitenti di S.
Maria Mad­dalena”, che oggi si chiamano “Figlie di
Gesù Buon pastore”.
Poi, in un’ala del loro sontuoso pa­lazzo torinese, i
marchesi fondarono il primo asilo infantile d’Ita-
lia (l’abate Ferrante Aporti avrebbe aperto
in città il suo, ma quattro anni dopo).
L’improvvisa morte di Tancredi
provocò la svolta definitiva nella
vita di Giulia. In una lettera ad
un amico londinese, la vedova
scri­veva tra l’altro: «La sventura
mi ha percossa, mi ha trasfor-
mata... Il mio cuore è saldo, ma
il dolore umano è così profon-
do, che io mi domando se avrò
sempre il coraggio di contem­
plare il suo tragico volto. Dinanzi
a me c’è una durissima strada; devo
percorrerla senza stanchezza: è fian­
cheggiata da pezzenti, da miserabili, da
rifiuti umani. Io devo vincere il ri­brezzo e tutti i
disgusti». Ed ecco il passo forte: «In nome di colui
che è finito come un pezzente, io devo ded­ icarmi a
tutti i miserabili. Devo scontare i secolari privilegi
degli avi, devo saldare i debiti che essi hanno con-
tratto coi paria e con gli sfruttati, devo pareggiare
l’implaca­bile conto che ciascuno ha con la propria
coscienza. Una voce cara e indulgente mi incita! Io
non avrò più altra dolcezza che obbedire a quel co-
mandamento».
Sarà tutto un susseguirsi di inizia­tive. Nel 1845
apre l’Ospedaletto di S. Filomena, destinato a
bambine disabili; accanto al Monastero di S. Anna
costruisce una casa di acco­glienza per orfane. Nel
1847, all’in­terno del suo palazzo, da vita a tre “Fa-
miglie di operaie”: gruppi di una dozzina di ragaz-
ze dai 14 ai 18 anni guidate da una “madre” laica e
ospi­tate per un periodo di sei anni, du­rante il quale
imparano un lavoro presso botteghe di artigiani
onesti e fidati.
La marchesa e don Bosco
La marchesa aveva una mente vulcanica, ma impe-
riosa fino a far cedere tutto dinanzi a lei. A Tori-
no la conoscevano tutti sia per la ricchezza che per
l’intelligenza e lo spirito brillante. L’accoglienza
del suo salotto, la sua eleganza, il tono
squisito, la grazia delle maniere, tutto
in lei era seducente. Sempre elegan-
tissima per il mondo, portava il
cilicio e consacrava ore alla pre-
ghiera. Aveva una carità attiva,
un amore efficace per il bene.
Ma tutto doveva piegarsi di-
nanzi alla sua volontà.
La sua volontà aveva appena
creato il «Rifugio» per le ra-
gazze sviate; cappellano era un
brav’uomo, don Borel. Egli pregò
la terribile marchesa di fargli avere
come aiutante don Bosco. La marchesa
acconsentì, anzi fece di più: autorizzò don
Bosco a riunire i suoi monelli in un cortiletto di
fianco all’istituto. Gli furono date due stanze che
don Bosco stipò di ragazzi.
Nel contempo don Bosco era diventato «cappella-
no» del Rifugio stesso alle dipen­denze della mar-
chesa.
La soluzione però non poteva essere defi­nitiva sia
per la scarsità dello spazio e sia per l’accostamento
di due elementi infiammabi­li quali i ragazzi di don
Bosco e le ragazze della marchesa. Questa perciò
decise assai presto di estromettere dal Rifu­gio i
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APRILE 2021

4.3 Page 33

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“guastatori” di don Bosco. Ma avrebbe pure voluto
che lui rima­nesse a occuparsi delle sue ragazze.
«Al Rifugio c’è abbastanza da fare, non cerchi oc-
cupazioni diverse...».
«Io non cerco occupazioni diverse, si­gnora» replicò
don Bosco. «Con tutto il rispetto sono un prete,
non un segretario».
La Marchesa pazientò otto mesi. Era molto per lei.
Alla fine don Bosco dovette sloggiare, pur conser-
vando lo stipendio di cappellano aggiunto al «Ri-
fugio».
Nell’inverno 1845 la salute di don Bosco peggio-
rò seriamente, i suoi polmoni non reggevano più,
tanto che don Borel ne informò la marche­sa che
si trovava a Roma. Giulia propose a don Bosco un
periodo di riposo, mantenendogli lo stipendio, ma
ponendogli l’alternativa: o continuare la sua opera
presso l’Ospedaletto, o tenere l’oratorio.
Nel corso di un burrascoso colloquio, riferito an-
che dalle Memorie Biografiche con toni forse un po’
troppo caricati (don Lemoyne era un drammatur­
go), don Bosco rinunciò all’offerta di Giulia che lo
licenziò. Al termine dell’incontro, comunque, la
marchesa si inginocchiò davanti a don Bo­sco chie-
dendogli di essere benedetta da lui. E in seguito
attraverso don Borel e don Cafasso, continuò a far
giungere generose offerte per i suoi ragazzi.
Il pane e il coraggio
Don Bosco era sempre a testa alta con tutti. Anche
con la potente Marchesa Barolo.
«Una volta» racconta il Lemoyne «andò ella stessa
a visitare l’umile tettoia-cappella, inaugurata presso
la casa Pinardi; ed ignorando la celeste mis­sione af-
fidata al Santo, al rimirare quella povera stamber-
ga, le parve ancor più inesplicabile che si potessero
rifiutare le sue ge­nerose offerte per crearsi uno sta-
to così miserabile. Avvisato della sua presenza, don
Bosco le andò incontro, e la Marchesa, non appena
gli fu vicina, gli disse: «Ed ora lei che cosa potrà
far qui, se non le porgo aiuto? Non ha un soldo, lo
so! E con tutto ciò non vuole arrendersi alle mie
proposte? Peggio per Lei! Pensi prima di decidere:
si tratta del suo avvenire!»
Un’altra volta recatosi il Santo presso di lei per par-
larle, ella, non appena lo vide comparire sulla so-
glia, quasi trionfalmente gli chiese:
«Si trova nella miseria, non è vero?»
«Oh no! rispose don Bosco con affabilità ma con
contegno grave e riserbato; non son venuto a par-
larle di danaro; conosco le sue intenzioni e non vo-
glio disturbarla, tanto più che non ho bisogno di
niente... e, se mi permette una parola che aggiungo
senza intenzione di offenderla... non ho bisogno
neppure di lei, signora Marchesa!»
«Sì, eh? replicò essa; ecco il superbo!»
E il Santo, con la sua mirabile calma incisiva: «No,
non cerco il suo danaro. So dirle, facendo una sup-
posizione inammissibile, che se la signora Marche-
sa cadesse nella miseria ed abbisognasse di me, io
mi caverei il mantello dalle spalle e il pane di bocca
per soccorrerla».
Giulia Colbert si spense a Torino il 19 gennaio
1864. Aveva quasi 78 an­ni. Secondo le sue disposi-
zioni testamentarie, le sue cameriere la rivestirono
dell’abito di terziaria di S. Francesco.
Tra tutti i torinesi si diffuse un senso di cordo­glio
e di rimpianto.
È sepolta accanto al marito nella bella chiesa di
Santa Giulia che lei aveva fatto costruire in una
zona popolosa di Torino. Le sue opere continuano.
Sono diventate una “cittadella” della carità e della
promozione umana, tra Valdocco, il Cottolengo e il
Sermig.
La Marchesa
voleva affidare
le sue opere
a don Bosco,
che non
accettò: «Sono
un prete, non
un segretario».
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COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
Autogrill per educatori
4 Lo sguardo buono Tutte le cose importanti passano attraverso gli occhi
A nche lo sguardo può educare o non edu-
care: può umanizzare o disumanizzare
l’uomo. «Non mi spogli con quegli oc-
chi!» così il noto comico Totò diceva in
una commedia.
Il noto e grande comico ha ragione: gli occhi posso-
no spogliarti, possono impoverirti. Ma possono an-
che arricchirti. Basta pensare alla differenza tra uno
sguardo sprezzante ed uno sguardo accogliente; tra
uno sguardo poliziesco ed uno sguardo sorridente.
Gli occhi possono essere costruttivi o distruttivi.
Ecco perché tutti i pedagogisti nelle loro opere de-
dicano un capitolo all’arte del guardare.
Guardare uno significa dargli valore
Essere guardato significa essere considerato. Non
essere guardato significa essere abbandonato, esse-
re di nessuno. Sempre i pedagogisti ci dicono che
lo sguardo accresce l’autostima del figlio molto più
che non i regali o il denaro. Certo è che se guardas-
simo i figli almeno come e quanto guardiamo l’au-
tomobile o il bagno, avremmo ragazzi meno tristi,
meno infelici, meno delusi della vita.
Lo sguardo soddisfa i nostri bisogni emotivi
Nei campi di concentramento tedeschi era severa-
mente proibito ai detenuti guardare negli occhi le
loro guardie. Perché? Perché queste avrebbero po-
tuto intenerirsi davanti agli occhi degli internati.
Potere dello sguardo! Chiedetelo agli innamorati
che talora sembrano mangiarsi con gli occhi. Tut-
to questo per dire che gli occhi lasciano un segno
sulla nostra psiche. Lo sguardo poliziesco ti blocca.
Lo sguardo minaccioso ti impaurisce. Lo sguardo
indifferente ti raggela.
Sul polo opposto stanno gli occhi ‘buoni’.
Per farla breve, ci limitiamo a due per i quali van-
no tutte le nostre simpatie: gli occhi generosi e gli
occhi chiusi.
Gli occhi generosi sono quelli che vedono il 5% di buo-
no che vi è in tutti, anche nell’uomo più malvagio.
Gandhi doveva avere occhi generosi se ci ha la-
sciato un comandamento tra i più umani: «Bisogna
guardare le colpe degli altri con il binocolo capovol-
to e le nostre col binocolo in posizione normale».
Gesù aveva occhi generosi: vedeva il buono ove tut-
ti si fermavano al cattivo.
Un Vangelo apocrifo (cioè un Vangelo che la Chie-
sa non ritiene ispirato) racconta un fatterello.
Un giorno Gesù vede un gruppo di uomini che
guardavano per terra e parlottavano. Stavano guar-
dando un cane morto da qualche giorno. «Che
puzza!» disse uno.
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Gesù restò un momento in silenzio e poi disse: «Ma
guardate che bei denti ha ancora!»
Così sono gli occhi generosi! Occhi positivi, buoni,
umani.
Gli occhi generosi sono i più apprezzati dai peda-
gogisti, che sono d’accordo con la magnifica intui­
zione dello scrittore francese François Mauriac:
«Amare qualcuno significa essere l’unico a vedere
un miracolo che per tutti gli altri è invisibile».
Oltre agli occhi generosi le nostre simpatie vanno,
dicevamo, agli occhi chiusi. Sì, perché tali occhi non
hanno meno valore degli occhi sempre aperti.
Una volta in un monastero un novizio si macchiò di
una grave colpa. Tutto subito l’abate non aprì bocca.
Passò un anno e ancora silenzio.
Finalmente i monaci più anziani interruppero il si-
lenzio sfogandosi con il superiore: «Non si può far
finta di niente! Dopo tutto, il buon Dio ci ha dato
gli occhi per vedere!».
L’abate rispose: «È vero, ma ci ha anche dato le pal-
pebre per chiuderli!»
Chiudere talora gli occhi è una delle mille belle
mosse di chi ha imparato l’arte di educare.
Lo sguardo di don Bosco
Un vecchio sacerdote già alunno a Valdocco, lasciò
scritto nel 1889: “Quel che in don Bosco più spic-
cava era lo sguardo, dolce ma penetrantissimo, fino
all’intimo del cuore, cui appena si poteva resistere
fissandolo”. E aggiungeva: “In genere i ritratti e i
quadri non riportano questa singolarità”.
Il salesiano don Pietro Fracchia, allievo di don Bo-
sco, ricordava un suo incontro con il Santo seduto
allo scrittoio. Il giovane osò chiedergli perché scrive-
va così con la testa bassa e si voltava verso destra ac-
compagnando la penna. Don Bosco, sorridendo, gli
rispose: “La ragione è questa, vedi! Da quest’occhio
don Bosco non ci vede più, e da quest’altro poco,
poco, poco!” – “Ci vede poco? Ma allora come va
che l’altro giorno in cortile, mentre io ero lontano
da lei, mi lanciò uno sguardo vivissimo, luminoso,
penetrante come un raggio di sole?” – “Ma va’ là...!
Voialtri pensate e vedete subito chissà che cosa...!”
Spesso egli seguiva con lo sguardo un giovane in
cortile, mentre conversava con altri. Ad un tratto
lo sguardo del ragazzo s’incontrava con quello di
don Bosco e l’interessato capiva. Gli si avvicinava
per chiedergli che cosa volesse da lui e don Bosco
glielo diceva all’orecchio.
Più curioso fu il fatto di Tolone, accaduto durante
il viaggio di don Bosco in Francia nel 1881. Dopo
una conferenza nella chiesa parrocchiale di San-
ta Maria, don Bosco, con un piatto d’argento in
mano, fece il giro della chiesa a questuare. Un
operaio, nell’atto in cui don Bosco gli presentava il
piatto, voltò la faccia dall’altra parte alzando sgar-
batamente le spalle... Don Bosco, passando oltre,
gli diede uno sguardo amorevole e gli disse: “Dio
vi benedica!” –. L’operaio allora si mise la mano in
tasca e depose un soldo nel piatto. Don Bosco, fis-
sandolo in faccia, gli disse: “Dio vi ricompensi!”–.
L’altro, rifatto il gesto, offrì due soldi. E
don Bosco: “Oh, mio caro, Dio
vi rimeriti sempre di più!”.
Quell’uomo, ciò udito,
cavò fuori il portamo-
nete e donò un franco.
Don Bosco gli diede uno
sguardo pieno di commo-
zione e si avviò. Ma quel
tale, quasi attratto da
una forza magica, lo
seguì per la chiesa,
gli andò appresso in
sacrestia, uscì dietro
di lui in città e non
cessò di stargli alle
spalle finché non lo vide
scomparire.
Secondo
moltissimi
testimoni,
quel che
in don Bosco
più spiccava
era lo sguardo,
dolce ma
penetrantissimo,
fino all’intimo
del cuore,
cui appena si
poteva resistere
fissandolo.
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LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
Alle “radici”
dell’identità
L’esperienza decisiva della
lontananza ci aiuta a guardare
la terra e la comunità nella quale
N siamo nati e cresciuti da una
prospettiva e da una distanza
inedite che ci offrono la possibilità
di lanciarci alla scoperta di nuovi
ella società globalizzata del Terzo millen-
nio sono sempre più numerosi i giovani
che, per esigenze di studio o di lavoro,
per ragioni di natura sentimentale o,
più semplicemente, perché spinti dal desiderio di
confrontarsi con un nuovo orizzonte culturale ed
scenari e orizzonti di senso. esistenziale, si ritrovano a vivere sulla propria pelle
l’esperienza della “lontananza”. Lontananza dalla
propria terra di origine, dai propri “luoghi del cuo-
Cade giù dal sole un raggio pieno di grazia,
un'apparenza di felicità.
re”, che spesso si sostanziano in profumi, sapori,
colori e sensazioni fissati nell’anima in modo inde-
lebile, come istantanee di una vita passata che sem-
Sono pietra lavica i tuoi occhi,
bra sospesa al di fuori del tempo. Ma anche lonta-
mi bruci, mi allontano
nanza dai propri affetti, dalla propria famiglia, da
e sono sempre qua.
quella rete fittissima e inestricabile di relazioni che
E poi ho dovuto scegliere
danno corpo e sostanza alla parola “appartenenza”.
di rinunciare a tutto di te,
ma proverò a difendere
lo stretto necessario per me...
Nasce tra il cemento un fiore pieno di rabbia,
una parentesi di rarità.
Dolce come zagara la via del ritorno
di chi parte e resta sempre qua.
Che si tratti di una scelta obbligata, resa necessaria
dalla mancanza di opportunità e prospettive concre-
te di realizzazione, o che sia il frutto di una deci-
sione convinta, sognata e progettata da tempo nella
speranza di dare una svolta alla propria esistenza, di
costruire da zero il proprio destino gettandosi alle
spalle le ipoteche e i condizionamenti di un contesto
ambientale che ci sta stretto, il distacco dalle pro-
Perché ho dovuto perderti
prie radici non è mai un passaggio indolore. Anche
per ritrovare il bello di te?
quando a guidarci è l’entusiasmo della novità, la
Ma proverò a difendere
trepidazione per una vita “nuova” che comincia, il
lo stretto necessario che c'è...
desiderio di sperimentare forme inedite di protago-
nismo e di autonomia, come un neonato cui sia stato
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appena reciso il cordone ombelicale e che si accinga
finalmente ad affrontare il mondo da solo, la gioia
per la libertà conquistata è inesorabilmente accom-
pagnata da un retrogusto amaro, quasi impercet-
tibile e più o meno consapevolmente mimetizzato,
che torna a riproporsi ogni qualvolta ci guardiamo
indietro o lasciamo correre incontrollato il pensiero
nelle lande selvagge ed assolate della memoria, sulle
tracce disseminate qua e là di tempi e luoghi passati
che non riusciamo mai del tutto a dimenticare.
Ed è allora che scopriamo nostro malgrado, con
una consapevolezza inaspettatamente acuta e per-
sistente, che nessuna pianta può vivere a lungo e
continuare a fiorire e a germogliare se le si recidono
di netto le radici. Che è dalle nostre origini che
traiamo la linfa vitale intorno alla quale andare a
costruire la nostra identità. Che, se anche viviamo
lontano o ci ritroviamo a sperimentare forme più
o meno volontarie di “nomadismo geografico”, ci
sono luoghi e paesaggi che porteremo sempre con
noi, impressi nella nostra mente e nel nostro cuore,
come un sostrato impalpabile, ma vivo, che defini-
sce i confini e le sfumature sottili del nostro modo
di essere e di porci di fronte al mondo.
Al tempo stesso, però, l’esperienza decisiva della
lontananza ci aiuta a guardare la terra e la comunità
nella quale siamo nati e cresciuti da una prospettiva
e da una distanza inedite che, mentre ci offrono la
possibilità di lanciarci alla scoperta di nuovi scenari
Le facciate mai finite,
le Madonne chiuse in una teca,
le tende spiegate:
casa mia sembra una nave...
Lo stretto necessario!
Le vacanze al lido Jolly,
le campagne in fiamme,
i primi baci,
gli atti di dolore,
i panni stesi ad asciugare al sole...
Lo stretto necessario,
lo stretto necessario!
(Levante feat. Carmen Consoli,
Lo stretto necessario, 2019)
e orizzonti di senso, ci restituiscono la capacità di
riconoscere quel che di bello e di autentico è radicato
nelle nostre origini, per poterne “salvare” e preserva-
re almeno lo “stretto necessario”: quei ricordi e quei
valori fondanti della nostra identità che, quale tesoro
prezioso e inestimabile, la nostra terra ci ha lasciato
in dono e che, se custoditi con cura, possono diven-
tare un antidoto efficace contro il rischio sempre in-
combente dello sradicamento e contro la crescente
disaffezione verso la realtà che li circonda con cui
tanti giovani adulti si trovano oggi a fare i conti.
Certo, in una società complessa come quella in cui
viviamo, la scommessa dell’appartenenza si fa più ar-
dua e impegnativa. Ma forse l’unico modo per vincere
la partita è comprendere che il centro gravitazionale
della nostra identità si colloca esattamente al crocevia
tra i molteplici luoghi e territori che attraversiamo nel
nostro tortuoso peregrinare, declinandosi in una plu-
ralità di appartenenze che non si escludono a vicenda,
bensì si sommano, si intrecciano e si contaminano tra
loro, dando vita a configurazioni nuove e originali.
Soltanto in questo modo la riscoperta delle proprie
radici e la fedeltà ad esse, anziché rappresentare
un ostacolo sulla via dell’affermazione della pro-
pria singolarità, può essere interpretata dai giovani
adulti come un diritto e una preziosa risorsa di sen-
so e non meramente come un dovere oneroso.
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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
Le tante novità del nuovo
volume di lettere
Gli anni più importanti della vita
di don Bosco (1846-1888),
trovano la loro fonte principale
e ineludibile nelle migliaia
di lettere pervenuteci.
T rovare ogni mese qualcosa di nuovo, di sco-
nosciuto, che riguarda don Bosco è l’impe-
gno mensile che da una decina di anni mi
è stato affidato dal direttore del Bollettino
Salesiano. Assicuro ai miei lettori che non è tanto
semplice rispondere alla richiesta, perché da don Bo-
sco e su don Bosco sono state scritte decine di mi-
gliaia di pagine e si continua a scrivere, su carta e on
line, spesso sulla base di fonti incerte e
problematiche, per non parlare di in-
terventi radio-televisivi “creativi e fan-
tasiosi”. Non è invece il nostro caso,
perché abbiamo la grande fortuna
di poter disporre di molti documen-
ti inediti, che ci permettono mensil-
mente di aggiungere qualche nuovo
tassello alla storia di don Bosco.
Questo mese però non ci limitiamo ad
illustrare una piccola storia sconosciu-
ta, ma indichiamo un intero volume,
vale a dire il IX volume dell’edizione
critica dell’epistolario di don Bosco. Si tratta di una
raccolta di lettere scritte o firmate da don Bosco nel
triennio 1884-1886, che abbiamo messo in ordine
cronologico, con tutte le necessarie informazioni per
una migliore loro comprensione. Molte e significati-
ve le novità del volume. Ne indichiamo le maggiori.
Raddoppiato il numero
delle lettere
La più evidente è il grande numero di lettere sco-
nosciute. Sono quasi 200 e se pensiamo che ognu-
na apporta necessariamente qualche novità, grande
o piccola che sia, ci rendiamo conto che alla fine
queste novità offriranno materia sufficiente per “ri-
vedere” la storia di don Bosco di questo triennio.
In effetti le lettere trasmettono molte informazioni
di prima mano sulla vita e l’operato di don Bosco,
confermano, smentiscono, correggono, precisano
alcune acquisizioni precedenti, riempiono partico-
lari lacune, svelano corrispondenti ignoti alla storia
salesiana. Sono italiani, francesi, spagnoli, porto-
ghesi, belgi, polacchi, inglesi, tedeschi, austriaci,
ungheresi, cileni, argentini, uruguaiani, brasilia-
ni… laici ed ecclesiastici con cui don Bosco entra
in stretto contatto per mille ragioni.
Ne ha fatta di strada il ragazzo di campagna di
Castelnuovo, lo studentello-lavoratore-seminarista
di Chieri, il povero prete-studente del Convitto di
Torino che avvicinava i ragazzi di strada di Torino
con i quali poteva parlare solo in dialetto!
Il nome “don Bosco” negli anni ottanta del secolo
xix risuonava un po’ ovunque da Torino alla Sici-
lia, dalle gelide terre magellaniche alle torride città
dell’India: in corti imperiali e nelle regge, nei ca-
stelli e nelle ville patrizie, nei palazzi episcopali e
nei ministeri, nelle redazioni dei giornali e nei con-
sigli comunali, ma anche nelle semplici canoniche
e nelle umili case di contadini, nei conventi di re-
ligiosi e religiose, nei seminari e per le strade, sulla
bocca di giovani in Italia e all’estero. Ogni lettera è
dunque una piccola o grande scoperta.
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Semicieco, continua a scrivere
lettere in una lingua non sua
Novità del volume è anche il notevole numero di let-
tere in lingua francese (un terzo), una lingua che don
Bosco conosceva a malapena e che scriveva un po’ a
modo suo. Il fatto non è irrilevante. I vari viaggi di
don Bosco sulla costa azzurra fino a Marsiglia nei
primi anni ottanta, il trionfale viaggio a Parigi nel
1883, l’edizione di “biografie” in lingua francese,
la stampa cattolica lo avevano fatto conoscere come
il san Vincenzo de Paoli del xix secolo, il possente
taumaturgo dell’Ausiliatrice, perfino l’uomo in gra-
do di risolvere la questione sociale. E dunque an-
dava aiutato, finanziato da quanti avevano a cuore
il problema dei ragazzi poveri ed abbandonati. È
soprattutto la Francia con i suoi benefattori, alcuni
generosissimi, che in questi anni sostiene economi-
camente l’opera salesiana, quella stessa Francia che
paradossalmente sta conducendo una dura lotta con-
tro la Chiesa. Viene spontaneo chiedersi come mai
don Bosco anziano e semicieco si sia sobbarcato a
tale corvée, tanto più che non gli era facile scrivere
in tale lingua; inoltre avrebbe potuto semplicemen-
te firmare un testo francese scritto da un segretario.
Talora lo ha fatto, ma molte sue lettere francesi, semi
illeggibili, sono autografe. Una ragione ci sarà pure.
Il deperimento fisico
In terzo luogo costituisce una novità assoluta del
volume il fatto che una delle notizie più ricorrenti
in tali lettere (decine di volte) è quella relativa alla
propria salute, ormai decisamente volta al peggio,
sia pure con momenti di inattesa ripresa. Nelle let-
tere degli anni precedenti don Bosco si interessava
per lo più della salute dei corrispondenti e dei loro
familiari, ma a settant’anni, sofferente, sempre più
“ombra di se stesso” è ormai costretto a riferirsi
continuamente alla propria, anche perché deve
continuamente scusarsi della grafia quasi illeggibi-
le, dei ritardi nel rispondere, della rinuncia ad alcu-
ni appuntamenti previsti, della stessa brevità delle
risposte. Non manca il caso, commovente anziché
no, in cui non riesce a finire la
lettera iniziata e chiede di farlo
ad un altro.
Eppure con grande fatica fisica
e psichica non cessa di scrivere
personalmente a particolari au-
torità civili e religiose, ad alcuni
confratelli, a determinati bene-
fattori, a illustri personaggi mai
conosciuti di persona. Eppure
decide, anche contro il parere
dei medici e dei confratelli più
autorevoli, di sobbarcarsi fati-
cosissimi viaggi in Francia nel
1884-1885 e soprattutto quello
in Spagna a Barcellona (1886).
La collaborazione di altri,
di don Lemoyne in particolare
Infine il volume consente di distinguere fra le lettere
autografe di don Bosco, quelle da lui semplicemente
ispirate e firmate, le circolari a stampa redatte dai
collaboratori ma portanti sempre la sua firma. Fra
loro ovviamente il braccio destro don Rua, il forbito
scrittore don Bonetti direttore del Bollettino Sale-
siano e don Giovanni Battista Lemoyne: quest’ul-
timo in particolare diventato segretario di concetto
di don Bosco e segretario del Capitolo superiore. A
lui si devono commoventi lettere a singoli salesiani,
la circolare della nomina di don Rua a Vicario con
pieni poteri (1885) e soprattutto le famose due let-
tere da Roma del 10 maggio 1884.
Tutto il volume porta ad una rivisitazione della sto-
ria di don Bosco anziano. Se la sua infanzia, gio-
vinezza, primissime esperienze di Valdocco sono
conosciutissime, grazie alle Memorie dell’Oratorio,
gli anni più importanti della vita di don Bosco sono
quelli successivi (1846-1888), quelli che trovano la
loro fonte principale ed ineludibile nelle migliaia di
lettere pervenuteci: una sorta di biografia giorno
per giorno, “veritiera” perché scritta a sua insaputa,
ma piuttosto sconosciuta.
Gli ultimi
anni di don
Bosco sono
stati un
calvario, ma
nonostante
il parere di
medici e
confratelli
continuò a
sobbarcarsi
fatiche
continue.
APRILE 2021
39

4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni  postulatore generale
 Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulatore@sdb.org
 Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di aprile preghiamo per la canonizzazione
della Serva di Dio Rosetta Marchese, Figlia di Maria Ausiliatrice
Madre Rosetta Marchese nac-
que ad Aosta il 20 ottobre 1922,
in una famiglia dalla fede cristia-
na profonda e fervida. Fin da
fanciulla conobbe e frequentò
le Figlie di Maria Ausiliatrice,
maturando accanto ad esse la
sua fede e il suo ideale di con-
sacrazione totale a Dio. Dopo la
prima professione religiosa, nel
1941, completò gli studi all’Uni-
versità Cattolica “Sacro Cuore”,
laureandosi in Lettere. Dal 1947
al 1958 fu insegnante e vicaria
nella casa missionaria “Madre
Mazzarello” di Torino, dove se-
guì con particolare attenzione le
giovani suore che si preparava-
no a partire per le missioni. Dal
1958 al 1974 svolse compiti di
animazione e di governo in Sici-
lia, a Roma, in Lombardia. Ovun-
que si rivelò persona attenta alle
esigenze della Chiesa locale e ai
segni dei tempi, suscitando sti-
ma e apprezzamento da parte
delle autorità religiose e civili.
Il Capitolo Generale XVI del
1975 la elesse Consigliera Visi-
tatrice. Il Capitolo Generale XVII,
al primo scrutinio del 24 ottobre
1981, la eleggeva Superiora
Generale. A distanza di soli otto
mesi dalla sua elezione, giun-
sero le prime avvisaglie della
leucemia che si rivelerà subito
nella sua inesorabilità. Nella
circolare del 24 ottobre 1982,
primo anniversario della sua
elezione ad una maternità che
ormai si esprimeva nel dinami-
smo misterioso della sofferen-
za, Madre Rosetta concludeva il
suo insegnamento augurando
a tutte le sue figlie di lasciarsi
contagiare da don Bosco “di no-
stalgia acuta del ‘bel Paradiso’”,
per entrare nella via della santi-
tà “con una volontà senza ritor-
ni”. “La mèta è unica: arrivare in
Paradiso con tutti i giovani per
cui abbiamo donato e consuma-
to l’esistenza”.
L’8 marzo 1984, a Roma, Madre
Rosetta completava il suo viag-
gio terreno.
Preghiera
O Padre santo, che hai donato alla Chiesa e alla Famiglia Salesiana
la tua Serva, Madre Rosetta Marchese, discepola di Gesù
secondo il carisma di S. Giovanni Bosco e di S. Maria Mazzarello,
ti ringraziano per aver riversato nel suo cuore la grazia dello Spirito
che l’ha resa capace di dare la vita per la santità dei sacerdoti,
dei giovani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice,
che amava e guidava con la tenerezza di Gesù, Buon Pastore.
Ti chiediamo di glorificare questa tua Serva fedele
e, per sua intercessione, di concederci la grazia che attendiamo
con fiducia.
Per Cristo nostro Signore. Amen
CRONACA POSTULAZIONE
Il 16 dicembre 2020 la Santa Sede concede il Nulla Osta per
la Causa del Servo di Dio Luigi Bolla (1932-2013), Sacer-
dote Professo della Società di san Francesco di Sales,
missionario tra gli Shuar e gli Achuar dell’Ecuador e del Perù.
Il 13 gennaio 2021 la Santa Sede concede il Nulla Osta
per la Causa della Serva di Dio Madre Rosetta Marchese
(1922-1984), Suora Professa dell’Istituto delle Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice.
Ringraziano
Ho attraversato un momento
molto difficile per mancanza
di lavoro e aspettative per il
futuro. Ho pregato con fervore
la beata Eusebia Palomino
e piano piano le cose sono mi-
gliorate, il lavoro è arrivato e le
speranze si sono riaccese.
Rina – Milano
Per promessa fatta, desidero
ringraziare pubblicamente Ma-
ria Ausiliatrice per aver esau-
dito la mie preghiere a tutela
della pace e serenità della mia
famiglia. Ho di nuovo toccato
con mano il suo potente aiuto.
Ella ci ascolta e soccorre sem-
pre.
R.F.
Precisamente 53 anni fa ero
felicemente in attesa del mio
terzo figlio. Verso la metà del-
la gravidanza però, dopo un
esame diagnostico, risultò
l’esistenza di incompatibilità
tra il mio sangue e quello del
bambino. Era una cosa grave
che avrebbe potuto recare seri
danni cerebrali al bimbo, se
non addirittura la morte. Può
immaginare la mia angoscia e
quella dei miei famigliari. Mio
fratello, che lavorava a Verona,
un giorno mi portò a casa l’abi-
tino di san Domenico Savio (e
il libretto con la novena) che gli
era stato dato da un sacerdote
dell’Istituto Don Bosco. Io lo
indossai subito e pregai mol-
to. Intanto i controlli medici si
susseguivano costantemente,
finché lo specialista di immu-
notrasfusioni e il ginecologo,
alla fine del settimo mese,
decisero di intervenire, con
l’intento e la speranza di salva-
guardare la salute del bimbo.
L’intervento per il taglio cesa-
reo fu stabilito per il venerdì 24
Maggio. Quando udii la data, io
ebbi un tuffo al cuore e provai
una grande gioia e una grande
certezza: con Maria Ausiliatri-
ce tutto sarebbe andato bene.
Il bimbo alla nascita subì due
esanguinotrasfusioni e reagì
bene. Era uno scricciolo, ma
pian piano crebbe sano forte
e intelligente come i suoi fra-
telli. Quest’anno, appunto, il
24 Maggio compirà 53 anni. Io
ne ho 83 e rendo grazie a Dio,
a Maria Ausiliatrice, a san Do-
menico Savio e a don Bosco.
Margherita Masiero – Vicenza
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APRILE 2021

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO E` BENEDIZIONE
Don Mario Robustellini
Don Giorgio Pontiggia
Morto a Sondrio, il 28 dicembre 2020, a 77 anni
Don Giorgio Pontiggia era nato
a Caslino d’Erba il 23 febbraio
1943. Prima di partire per le
missioni, don Giorgio era stato
per vari anni parroco nella po-
polosa parrocchia di Maria Au-
siliatrice in Sesto San Giovanni
(Mi). Da lì è partito nel 1988,
appoggiato dalla stima e sim-
patia dei suoi confratelli e dei
parrocchiani che gli saranno
sempre vicini come sostenitori
della sua missione.
Seguendo la proposta della
Congregazione che invitava a
sostenere le missioni che le va-
rie ispettorie salesiane hanno
aperto in Africa, si è messo a
disposizione per l’Etiopia, dove
l’Ispettoria Lombardo – Emilia-
na aveva intrapreso il suo im-
pegno missionario.
Don Giorgio si è subito impe-
gnato nello studio della lingua
Amharica, di cui è diventato un
esperto, essendo dotato di una
rara intelligenza e predisposi-
zione all’apprendimento delle
lingue. Aveva infatti un’eccel-
lente preparazione culturale
come laureato in Lettere e in
Teologia. Con la sua proverbia-
le meticolosità e pazienza ha
iniziato così il suo lavoro tra i
ragazzi di Addis Abeba, apren-
do un Oratorio festivo che ha
continuato anche quando è
stato spostato nella vicina casa
ispettoriale di Gotera.
Don Giorgio ha poi svolto un
prezioso lavoro per la formazio-
ne dei giovani etiopici che chie-
devano di diventare salesiani e
che si preparavano per il Novi-
ziato ad Addis Abeba. Ha avuto
per 4 anni l’incarico di Maestro
dei novizi che ha svolto con
competenza e passione.
È stato poi inviato alla Missio-
ne di Dilla, dove ha lavorato
come responsabile della gran-
de parrocchia e delle scuole di
vario grado presenti in questa
città, distante 385 km da Addis
Abeba. È qui che ha affinato le
sue doti di evangelizzatore e di
abile amministratore sia nelle
scuole che nelle varie stazioni
pastorali della Missione.
Con le sue conoscenze e ami-
cizie, don Giorgio è riuscito ad
attrarre a Dilla i fondi necessa-
ri per svolgere il suo compito
pastorale ed educativo. Natu-
ralmente l’Ispettoria di Milano
da cui proveniva, era sempre
alle sue spalle per sostenere
soprattutto la costruzione delle
7 cappelle che ha aperto con
coraggio in zone impervie. Se i
cattolici di Dilla hanno ora mol-
te belle chiesette in muratura,
devono dire grazie proprio a
Don Giorgio.
Allo scadere del sessennio, don
Giorgio chiede di spostarsi nel
nascente Vicariato Apostolico
di Gambella, dove lo chiamava
il suo amico di sempre, mons.
Angelo Moreschi. Così nel 2006
lascia Dilla, con il fedele com-
pagno, il coadiutore Giancarlo
Archetti, alla volta di Gambella.
Siamo qui al confine del sud
Sudan, in un’area molto calda
e primitiva. Subito don Giorgio
si mette a studiare la lingua del
posto, della tribù degli Anuak,
Nel frattempo collabora con il
Vescovo per la formazione dei
catechisti e insegnanti della Re-
gione.
Si stabilisce molto presto (e vi
rimarrà per 12 lunghi anni),
nella Missione di Pugnido. Gli
inizi non sono facili. La Missio-
ne ha bisogno di tutto! Don
Giorgio dà la priorità all’hostel
per gli studenti, alla scuola ma-
terna e alla chiesa, una costru-
zione molto semplice ma am-
pia ed ariosa, dove incomincia
ad insegnare ai primi gruppi di
catecumeni: ragazzi in età sco-
lare e poi adulti che desiderano
ricevere il battesimo.
Con l’esperienza maturata a
Dilla, don Giorgio fonda almeno
7 dei dodici centri di preghiera
che per comodità chiamiamo
cappelle, ma che hanno anche
un piccolo compound con la
scuola materna e qualche cam-
po da coltivare, durante il tempo
delle piogge. Don Giorgio è pre-
sto affiancato da don Filippo Pe-
rin e anche il signor Giancarlo lo
raggiunge ogni fine settimana,
la strada di 120 km da Gambella
è poco di più di una pista e tante
volte bisogna fare sosta ad Abo-
bo, dove c’è la dott.ssa Maria Te-
resa Reale, vecchia amicizia dai
tempi di Sesto.
Passano gli anni e don Giorgio
chiede di poter tornare in Italia
per motivi di salute, all’età di 74
anni. Viene destinato alla casa di
Sondrio, dove si rimette presto
in salute e trascorre gli ultimi 3
anni della sua intensa esistenza.
Non può certo dimenticare i
suoi bambini di Pugnido, in
Etiopia e continua a scrivere
lettere ai benefattori per cerca-
re un aiuto e continua a parlare
nelle sue omelie domenicali
della Missione che ha lasciato
un poco a malincuore.
Don Giorgio è stato missionario
fino alla fine con una vita auste-
ra, spesa nella preghiera e nel
sacrificio, sia nelle missioni dove
è stato e anche all’ospedale.
A suo merito, vanno i numero-
si cattolici da lui battezzati in
Etiopia. Basti ricordare che alla
sua partenza, Pugnido contava
10 mila battezzati. A suo merito
vanno anche le tante opere di
carità da lui fatte ai più pove-
ri. A suo merito vanno anche i
tanti sacramenti da lui ammini-
strati, i battesimi e le cresime,
le messe, le confessioni i ma-
trimoni e il sacramento degli
infermi per tanti malati.
Le gambe ammalate di don
Giorgio Pontiggia, piccolo di
statura ma grande nello spirto,
hanno percorso le strade pol-
verose delle Missioni d’Etiopia.
È stato un padre fondatore e
il Padre celeste l’avrà accolto
in Paradiso in quella fredda
mattina di neve, il 28 Dicem-
bre, quando ha lasciato questo
mondo. I funerali a Sondrio e
a Caslino d’Erba sono stati un
trionfo per lui che amava inve-
ce il nascondimento e l’umiltà.
Don Bosco l’avrà certo annove-
rato tra i suoi seguaci fedeli nel
giardino Salesiano, promesso
in Paradiso a tutti i salesiani,
fedeli fino all’ultimo.
APRILE 2021
41

5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
Roberto Desiderati
Scoprendo don Bosco
DEFINIZIONI
ORIZZONTALI. 1. Danneggiata per
rappresaglia - 7. Eseguito da più voci
- 13. Circoli per la ricreazione dei la-
voratori (sigla) - 14. È molto per nulla
nella celebre commedia di Shakespe-
are - 15. Può essere a doppio taglio -
16. L’attore Delon (iniz.) - 17. Lo guidò
Prodi (sigla) - 19. La metà del diametro
- 20. Gruppo di collaboratori o di atle-
ti - 21. Calde calzature da neve - 24.
Slancio, spinta - 26. Trento (sigla) - 27.
XXX - 30. Codice in breve - 31. Alacre,
? operosa - 33. A noi - 34. L’insieme del-
le parole di una lingua - 36. La cronaca
con i delitti - 37. Il padre da Pietrelci-
na - 38. Antichi contenitori panciuti
?
La soluzione nel prossimo numero.
in terracotta - 39. Negli interruttori è
opposto ad off - 40. Adatto, appropria-
UNA MIRACOLOSA FACOLTÀ
Don Bosco possedeva la facoltà di compiere miracolose XXX e le nume-
rose testimonianze di episodi in cui manifestò questa facoltà sebbene
to - 43. È sempre tagliente - 45. Loro
- 46. Adesso in poesia - 47. Dolcetto di
zucchero da scartare, bonbon.
incredibile ne avvallarono la veridicità. In non poche occasioni dimostrò
di conoscere in anticipo il verificarsi di eventi o la data di morte delle per-
sone o rivelò l’avvenire di persone semplici o di importanti personaggi.
Predisse, per esempio, con tre mesi di anticipo, la diffusione del colera e
la conseguente strage a Torino. Ai suoi ragazzi diede raccomandazioni per la cura dello spirito
e li coinvolse nelle preghiere: nessuno di loro fu toccato dal morbo. Di don Tesio, il cappellano,
e della sua serva, che con modi bruschi inveivano contro i ragazzi dell’oratorio, preannunciò
la loro imminente dipartita: “Eh! Povero lui, non sa neppure se un’altra domenica sarà ancor
vivo!”. Morirono entrambi, infatti, pochi giorni dopo e a soli due giorni di distanza l’uno dall’al-
tra. E, scrivendo direttamente al re, mise in guardia il sovrano di non approvare nuove leggi che
sarebbero state proposte contro la Chiesa, avendo avuto la visione di “grandi funerali a corte”
interpretati dal Santo grazie ad elementi particolari del sogno. Predisse anche una scampata
sciagura del tutto imprevedibile: una sera, prima di accomiatarsi dai suoi giovani e salire in ca-
mera disse: “Pregate per chi resta colpito da un fulmine”. Difatti, una saetta abbattutasi nel
cortile penetrò anche nella finestra dove riposava don
Soluzione del numero precedente Bosco e, bruciacchiando pareti e mobilio, sbalzò in aria il
letto in ferro insieme al suo illeso occupante. Predisse (o
VERTICALI. 1. Svelto e veloce come
una molla - 2. Infuocato, bruciante - 3.
L’Affleck attore (iniz.) - 4. Le massime
manifestazioni sportive - 5. Il centro
di Montreal - 6. Augurio, presagio - 7.
Cicli di lezioni ordinati secondo vari cri-
teri - 8. Era famoso quello di Delfi - 9.
Scritta nel 1917 da Libero Bovio è una
delle più famose canzoni napoletane -
10. È sede del parlamento e del capo
dello Stato dei Paesi Bassi - 11. Estre-
mamente valorosi - 12. Mix di frutta
in pezzetti servito come dessert - 18.
Un “parto” della mente - 22. L’inizio
dell’Odissea! - 23. È padre dei vizi -
25. Giù di voce - 28. Pari nella prova
donò) una pioggia rigeneratrice alla gente che pativa da - 29. La religione fondata da Maomet-
tre mesi una intensa siccità dopo averli invitati a pregare to - 32. Il gioco detto anche mulinello
e comunicarsi. Furono tante e tante le sue preveggenze, - 35. È destinato a germogliare - 37.
come quella sul luminoso futuro della congregazione, e Il segno della moltiplicazione - 41.
per fortuna tutte ricordate e trascritte.
Secco rifiuto - 42. Agli estremi dell’Ar-
gentina - 44. Il famigerato Capone.
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5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.Disegno di Fabrizio Zubani
Il dilemma
U n pastore
pascolava le
sue pecore,
quando un tale che
passava di lì gli disse:
«Che bel gregge
avete! Permettete che
vi faccia una doman-
da?». «Certamente»,
rispose il pastore.
«Quanta strada
percorrono ogni
?
giorno le vostre
pecore, secondo voi?»
«Quali, le bianche o
le nere?».
«Le bianche».
«Anche loro».
«Be’, le bianche fanno circa sei
Il tizio era perplesso.
«Ah! E le nere?»
chilometri al giorno».
«Posso chiedervi perché mai avete la «Anche loro», ribatte il pastore.
«E le nere?».
strana abitudine di dividere le pecore
«Anche loro».
«E quanta erba mangiano al giorno,
secondo voi?».
«Quali, le bianche o le nere?»
in bianche e nere tutte le volte che
rispondete a una mia domanda?».
«Ecco», replicò il pastore, «è
normale. Le bianche sono mie».
La mente umana opera
delle divisioni senza senso
là dove l’Amore vede l’Uno.
«Le bianche».
«Be’, le bianche consumano circa due
chili di erba al giorno».
«E le nere?»
«Anche loro».
«E quanta lana pensate che
forniscano in un anno?».
Prima di tutto vennero a prendere gli zingari.
E fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere
gli ebrei. E stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché
«Quali, le bianche o le nere?».
«Le bianche».
«Be’, penso che le bianche diano
circa tre chili di lana all’anno al
mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, ed io
non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero
a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare.
momento della tosatura».
(Bertolt Brecht)
«E le nere?».
APRILE 2021
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.