Bollettino_Salesiano_202103

Bollettino_Salesiano_202103

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Don Bosco nel mondo
Madagascar
Le case
di don Bosco
Alcamo
Tempo
dello spirito
I dieci doni
di san
Giuseppe
MARZO 2021
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877

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I FIORETTI DI DON BOSCO
B.F.
Un amico è per sempre
I
l diciottenne Giovanni
Bosco, negli anni di Chieri,
patì sovente la fame. Lo
salvava un amico, Giuseppe Blan-
chard, che spesso se ne accorgeva, e
andava da sua madre, venditrice di
frutta, a riempirsi le tasche di mele o
di castagne. La brava donna vedeva,
e faceva finta di non vedere. Più di
una volta, a tavola, Giuseppe si riem-
piva le tasche di frutta per la stessa
ragione. Suo fratello Leandro un
giorno levò la voce: «Tu mamma non
vedi mai niente. Giuseppe ti porta
via la frutta a chili, e tu non te
n’accorgi nemmeno».
«Me ne accorgo benissimo» rispose
la donna «Ma so dove la porta. Quel
Giovanni è un bravo ragazzo, e la
fame è una cosa brutta alla sua età».
Giovanni supplicava il suo giovine
amico a non disturbarsi per lui, ma
Giuseppe insisteva con tanto affetto,
che doveva accettare.
Don Bosco divenne famoso, ma non
si dimenticò mai di lui.
Nel 1876, passando per Chieri, don
Bosco vide Giuseppe Blanchard. Era
diventato un vecchietto anche lui.
Passava per la strada con in mano un
piatto e una bottiglia di vino. Don
Bosco, lasciando i preti con cui stava
parlando, gli andò incontro festoso:
«Caro Blanchard! Come sono con-
tento di rivederti. Come va?»
«Bene, bene, signor cavaliere»
rispose impacciato. La faccia di don
Bosco divenne mesta: «Perché mi
chiami cavaliere? Perché non mi dai
del tu? Io sono il povero don Bosco,
sempre povero come quando tu mi
toglievi la fame».
Si rivolse ai preti che gli si erano
avvicinati: «Signori, questo è
uno dei primi benefattori del
povero don Bosco. Ci ten-
go, sai, che lo sappiano.
Perché tu hai fatto tutto
ciò che potevi per me.
Ogni volta che verrai a
Torino, devi assoluta-
mente venire a pranzo
da me».
Dieci anni dopo, nel 1886, Blan-
chard seppe che la salute di don
Bosco era poco buona, e si recò a
Torino per trovarlo. Nell’anticamera
il segretario gli disse: «Don Bosco
sta male e riposa. Non può ricevere
nessuno».
«Ditegli che c’è Blanchard. Vedrete
che mi riceverà».
Don Bosco, al di là della porta,
riconobbe la voce. Si alzò con stento
e gli venne incontro. Lo prese per
mano, lo fece entrare e sedere accanto
a sé: «Bravo Blanchard, ti sei ricorda-
to del povero don Bosco. Come va la
tua salute, la tua famiglia?»
Parlarono a lungo. Era quasi l’ora di
pranzo: «Vedi, sono vecchio e malan-
dato. Non posso scendere a pranzo
con te: le mie gambe non sopportano
più le scale. Ma voglio che tu scenda
a pranzo tra i miei salesiani».
Chiamò il segretario: «Farai accomo-
dare questo mio amico nel refettorio
del Capitolo, al mio posto. Pregherò
per te, Blanchard, e tu non dimenti-
care il tuo povero don Bosco».
Confuso, il vecchietto di Chie-
ri pranzò quel giorno al centro
del Capitolo Superiore della
Congregazione, e raccontò la sua
amicizia con Giovanni a Chieri e il
suo incontro di dieci anni prima.
LA STORIA
Il racconto si trova nelle Memorie Biografiche MB I, 298 e seguenti.
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Don Bosco nel mondo
Madagascar
Le case
di don Bosco
Alcamo
MARZO 2021
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Tempo
dello spirito
I dieci doni
di san
Giuseppe
MARZO 2021
ANNO CXLV
NUMERO 03
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
La copertina: Un papà come San Giuseppe
(Foto Orazio Moschetti).
2 I FIORETTI DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 DON BOSCO NEL MONDO
Madagascar
10 TEMPO DELLO SPIRITO
I dieci doni di san Giuseppe
12 SALESIANI
Savio Raj Silveira
16 FMA
Suor Maria Pia Giudici
18 L’INVITATO
Mio papà, il signor Tommaso
22 IN PRIMA LINEA
Bulgaria
26 LE CASE DI DON BOSCO
Alcamo
30 MEMORIE
Il «fratello» di Domenico Savio
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
Ripartire dai desideri
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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16
26
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 66
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Marco
Bongioanni, Pierluigi Cameroni,
Roberto Desiderati, Emilia Di
Massimo, Ángel Fernández Artime,
Carmen Laval, Cesare Lo Monaco,
Alessandra Mastrodonato, Orazio
Moschetti, Francesco Motto, Marcella
Orsini, Pino Pellegrino, O. Pori Mecoi,
Paolo Vaschetto, Luigi Zonta, Fabrizio
Zubani.
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Giampietro Pettenon (Roma)
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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Ángel Fernández Artime
Quel cuore umano capace
di azioni straordinarie
«Salesiano è sinonimo di vivere per gli altri.
È così che li conosciamo qui. È così che sono.
È così che vivono».
Miei fedeli amici, lettori del Bollettino
Salesiano, vi scrivo con il cuore emo-
zionato da ciò che ho vissuto durante
la festa di san Giovanni Bosco. Voglio
raccontarvi due fatti in cui sono stato testimone, in
un caso, e destinatario di un messaggio, nell’altro.
Entrambi mi hanno fatto capire quanto grande può
essere il cuore umano.
La sera del 29 gennaio 2021, a Valdocco, nella Ba-
silica di Maria Ausiliatrice, ero nei banchi della
navata e partecipavo alla veglia di preghiera per la
festa del nostro amato Padre.
Animavano la veglia quattro giovani che avevano
partecipato all’incontro organizzato dalla Santa
Sede con il titolo “Economia di papa Francesco”.
Si tratta di giovani imprenditori che vedono l’eco-
nomia non come un mezzo per arricchirsi, magari
depauperando altri, ma in un’ottica di giustizia e
solidarietà. Ebbene, due di questi giovani hanno
dato una testimonianza di vita che va ben oltre la
gestione economica. Uno di loro ha raccontato che
due anni fa è morto suo padre. Sua madre ha voluto
fare qualcosa di significativo in memoria dell’ama-
to marito. Ha deciso perciò di accogliere in casa,
insieme ai suoi figli, due immigrati minorenni che
si trovavano in Italia, senza alcun legame affettivo
e familiare. Il giovane ci ha confidato come loro, i
figli, sono stati profondamente colpiti dalla decisio-
ne e dal coraggio della madre per vivere il Vangelo
come lei era convinta dovesse realizzarsi oggi, con
un volto e dei nomi propri.
La seconda testimonianza è stata quella di una gio-
vane donna che, oltre ad essere un’imprenditrice di
successo, ha deciso di essere la tutrice di un giovane
senegalese minorenne, per aiutarlo in questi anni a
farsi strada, a crescere, ad istruirsi e prepararsi alla
vita.
Sono rimasto impressionato, perché questo è ‘il
Vangelo vivo e senza edulcoranti’. Significa che
anche oggi è possibile vivere così. E senza dubbio
molti di voi vivono così, ognuno a modo suo, nel
semplice, nel concreto.
Una lettera dalla “fine del mondo”
E proprio per rimanere concreto, voglio offrirvi
un’altra testimonianza che conferma ciò che mi
è rimasto nel cuore. L’ho detto molte volte: in un
mondo come il nostro, indubbiamente molto com-
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plesso e con tanti poteri fittizi e oscuri, bisogna an-
che far conoscere il bene che si fa. Don Bosco lo
faceva ogni giorno.
Qualche giorno fa ho ricevuto una lettera, una di
quelle poche in cui non ci sono rimostranze o non si
parla male di nessuno (le lamentele sono frequenti
ovunque...). Al contrario, questa è la testimonianza
di una giovane donna che ha vissuto per anni in
un ambiente salesiano che ha segnato la sua vita
in meglio. Il suo messaggio mi ha consolato e rin-
cuorato. Ho pensato di condividerlo con voi perché
possiate anche voi ascoltare qualcosa che accarezza
e non graffia.
Ecco ciò che scrive questa giovane donna:
«Caro padre Angel, appena ho trovato il modo di
scriverle ho desiderato dirle alcune cose. Qui, dove
vivo, i salesiani sono formidabili: confortano quel-
li che soffrono, incoraggiano quelli che si sento-
no soli, trovano sempre il tempo per ascoltare, ci
esortano a credere, a fidarci, a sperare contro ogni
speranza. Leniscono l’anima nelle ore più amare e
celebrano le gioie come se fossero le loro. Mi creda,
padre, non le sto mentendo. Tutta la mia vita è stata
“illuminata” dal carisma salesiano. Prima nella pic-
cola città dove fu aperta la prima casa salesiana in
America e da qualche anno a Rosario, una grande e
bella città. Qui, nella Casa «San José», lavoro nella
scuola e partecipo alle attività della parrocchia.
So quello che dico. Il nostro direttore conosce ogni
studente per nome. Ha saputo accompagnare la
gioia e il dolore di ciascuno. Molti dei nostri bam-
bini stanno vivendo storie dolorose e difficili: alunni
con la leucemia, genitori morti, violenza in famiglia
e tante altre disgrazie. Il direttore li conosce e li ab-
braccia con le parole e con il cuore. Un altro salesia-
no fa vibrare la Chiesa in ogni Eucaristia. Padre X,
sebbene sia un uomo anziano, si mescola tra i ragaz-
zi raccontando storie dei bei tempi passati. Nell’altra
casa salesiana della città, insieme a don X, cerchiamo
instancabilmente il metodo migliore per insegnare
ai piccoli della prima elementare a leggere e scrivere.
Sono così tanti i salesiani che dovrei nominare…
Sabato scorso ho viaggiato per 1500 chilometri per
vedere padre X che è nella Casa di cura e riposo
per salesiani “Artemides Zatti”. Volevo ricordargli
quanto è ancora amato e restituirgli un po’ di affet-
to per tutto quello che ha fatto per noi. Ho potuto
condividere il pranzo con lui. Era commosso, capi-
va che vale davvero la pena donare la vita agli altri.
Salesiano è sinonimo di vivere per gli altri. È così
che li conosciamo qui. È così che sono. È così che
vivono. “Siamo al mondo per gli altri” ci dice sempre
padre X, parafrasando don Bosco. È per questo che
nei cortili delle nostre scuole c’è qualcosa nell’aria,
nell’atmosfera, invisibile ma palpabile, che ha a che
fare con la gioia, con la speranza, con la santità.
Buona festa di don Bosco, caro Rettore Maggiore.
Prego per te e in te per
ogni salesiano che ci fa
sentire che don Bosco è
vivo, che è sempre stato
e continua ad essere con
noi. Buona festa di don
Bosco e benedizioni a
tutti».
Non cito il nome della
signora, per non met-
terla a disagio, e nessu-
no creda che io stia solo
“facendo pubblicità”.
Siamo in famiglia e non
ho intenzione di fare
nulla del genere.
Ma non voglio tacere ciò
che ha la freschezza del-
la verità e neppure la gioia di sapere quanta bontà ir-
radia il vecchio e giovane cuore salesiano nel mondo.
Vi dico semplicemente: Valdocco con don Bosco
era quello che ci dice questa giovane donna. Che
gioia mi dà sentire che ci sono molte case che han-
no “sapore di Valdocco”.
Vi auguro ogni bene. Che anche i vostri cuori siano
“grandi come i lidi del mare” e sempre aperti alla
speranza.
Disegno di Fano
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DON BOSCO NEL MONDO
Marcella Orsini
Madagascar
Sulle strade
di Fianarantsoa
Fianarantsoa in Malgascio
significa letteralmente “città dove
si impara bene” ed è qui che i
Salesiani di Don Bosco operano
dal 1993 per portare ai più poveri
strumenti e opportunità per
realizzare quello che questo luogo
sembra portare con sé nel suo
stesso nome.
Con
l’educazione
i giovani
ricevono una
nuova vita
e un futuro
possibile.
L’opera salesiana di Fianarantsoa, città a 400
chilometri dalla capitale Antananarivo,
sorge nel quartiere di Ankofafa, uno dei
più poveri della città, a circa 6 chilometri
dal centro cittadino ed è diretta da don Bepi Miele,
missionario salesiano da 40 anni in Madagascar,
che ha avuto la gioia di prendere parte alla prima
missione nel Paese.
Era il 1981 e da allora la presenza salesiana si è dif-
fusa fino a raggiungere i villaggi rurali più interni
e distanti dai centri urbani per portare alle famiglie
più svantaggiate beni di prima necessità, istruzione,
formazione professionale e attività pastorali.
Il Madagascar è la quarta isola più grande del mon-
do e, nonostante spesso venga evocata come una
delle mete turistiche più suggestive del continente
africano, si colloca al 162° posto per Indice di Svi-
luppo Umano (isu) su 189 paesi.
La città di Fianarantsoa è fuori dalle mete turisti-
che ed è qui che, nel grande quartiere popolare di
Ankofafa, la povertà estrema raggiunge i più vulne-
rabili, senza possibilità alcuna se non quella offerta
dai salesiani attraverso quello che don Bepi defini-
sce un “puzzle di attività e interventi che rendono
completo il volto di don Bosco in questa città”.
La strada come casa
L’opera salesiana si sviluppa in modo integrale e
multilivello, così da coprire tutte le esigenze del-
la popolazione locale, dalla formazione dei giovani
salesiani del Postnoviziato, dell’Istituto Superiore
Salesiano di Filosofia (issaphi) e del Centro sale-
siano di studi e ricerche (cser) alla pastorale della
Parrocchia di Don Bosco, con l’Oratorio e il Cen-
tro giovanile, fino al lavoro missionario con i gio-
vani vulnerabili e a rischio ai quali viene garantito
l’accesso a un’istruzione e a una formazione profes-
sionale di qualità attraverso il Centro di Formazio-
ne al Lavoro (cft).
Circa 17 000 persone vivono ad Ankofafa in si-
tuazione di marginalità e di bisogno. Si tratta di
famiglie intere costrette ad abbandonare i villaggi
d’origine, nella speranza di trovare migliori condi-
zioni di vita in città, spinte dalla povertà e dalla
minaccia di bande che assaltano la popolazione e
rubano nelle case, fino ad arrivare a uccidere per
portare via quei pochi beni disponibili.
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La città, invece, le ha rese ancora più vulnerabi-
li, prive di accesso al reddito, alla sicurezza di una
casa in cui vivere e crescere i propri figli e ai servizi
socio-assistenziali. Soltanto il 2% delle famiglie di
Ankofafa ha un reddito sicuro e continuativo, men-
tre la maggior parte della popolazione vive nell’in-
digenza e nell’incertezza di un futuro dignitoso
soprattutto per i bambini e i ragazzi.
A centinaia vivono per strada e, qualora conservino
un legame con la famiglia d’origine, spesso avvie-
ne per essere sfruttati nel lavoro minorile. In man-
canza di opportunità di studio e di gioco e privi
della cura necessaria a crescere sani e sereni, molto
spesso i bambini e i ragazzi si ritrovano costretti
nei circuiti della criminalità. L’unico tetto per loro
diventa quello del carcere. L’unico linguaggio co-
nosciuto è quello dell’abuso e della violenza.
I salesiani, nell’attuazione del sistema preventivo di
don Bosco e della pastorale in uscita, raggiungono
i ragazzi nelle strade, offrendo loro una nuova vita,
un futuro possibile.
Senza alcuna costrizione e nella comprensione del-
la dinamica di dipendenza dal senso di libertà che
la strada sembra offrire loro, i ragazzi vengono in-
vitati ad andare al Centro giovanile almeno per un
pasto e per il lavaggio dei vestiti. Se vogliono, qui
possono trovare un letto per rimanere la notte.
Ogni giorno il Centro giovanile ospita più di 800
bambini e ragazzi provenienti dalla strada e figli di
famiglie in difficoltà o monogenitoriali nelle quali
la giovane madre non può fare altro che dedicarsi
alla ricerca quotidiana, spesso senza esito positivo,
di un minimo sostentamento da attività tanto in-
formali quanto economicamente insicure.
e di educazione alla salute e insegnano loro a pren-
dersi cura della propria persona e dell’ambiente in
cui vivono per renderli cittadini onesti e consape-
voli. Infine, attraverso la formazione professionale
nel Centro di Formazione al lavoro (cft) permet-
tono loro di acquisire conoscenze e abilità tecniche
nelle aree della meccanica, della falegnameria, delle
installazioni per l’elettricità e l’idraulica, dell’agri-
coltura e dell’allevamento utili all’inserimento nel
mondo del lavoro e nella società.
Moltissimi sono gli amici dei Figli di Don Bosco
che hanno permesso loro di realizzare numerosi
progetti in Madagascar attraverso la Fondazione
Don Bosco nel Mondo.
Insieme abbiamo fornito assistenza per un funzio-
namento di qualità e lo sviluppo di tutte le opere
salesiane nel Paese, così come siamo stati presenti
nelle emergenze: i cicloni che periodicamente de-
vastano i villaggi durante la stagione delle piogge e
da ormai un anno la pandemia di Covid-19.
L’insicurezza alimentare è il primo drammatico
effetto delle emergenze, tutti i servizi di forni-
tura, di stoccaggio e di distribuzione di cibo non
Don Bepi
Miele e i suoi
confratelli
hanno
portato qui
il cuore di
don Bosco.
Riso e scuola
Don Bepi Miele e i suoi confratelli della comunità
di Fianarantsoa, oltre a offrire una prima accoglien-
za, realizzano per i ragazzi programmi di alfabetiz-
zazione, d’inserimento o reinserimento scolastico e
di sostegno allo studio. Si occupano della loro for-
mazione umana attraverso iniziative ludico-sportive
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DON BOSCO NEL MONDO
hanno possibilità di continuare a essere attivi in
modo continuativo e di raggiungere le zone rurali
più remote. Il costo degli alimenti aumenta a causa
dell ’inf lazione.
Grazie alle amiche e agli amici di don Bosco, è
stato possibile acquistare quintali di riso durante i
cicloni del 2020 e lasciare le opere salesiane attive
e funzionanti per la sopravvivenza stessa della po-
polazione durante la pandemia che ancora affligge
il mondo intero.
Circa 17 000
persone
vivono ad
Ankofafa in
situazione di
marginalità
e di bisogno.
Si tratta di
famiglie
intere
costrette ad
abbandonare
i villaggi
d’origine.
Una catastrofe umanitaria
La fine del 2020 ha portato con sé un’altra grande
minaccia per il Paese, la carestia.
Il cambiamento climatico ha reso le piogge in Ma-
dagascar meno abbondanti. Secondo il Program-
ma Alimentare Mondiale – World Food Program
(pam-wfp) delle Nazioni Unite a tre anni consecu-
tivi di siccità e con la crisi economica causata dalla
pandemia, il Madagascar del Sud è sulla soglia di
una catastrofe umanitaria. Un terzo della popola-
zione comincia a non avere più cibo.
Per i Figli di Don Bosco aumenta ogni giorno di
più la presa in carico di migliaia di persone altri-
menti vittime di un continuo processo d’impoveri-
mento senza via d’uscita.
La risposta ai bisogni di base è una parte dell’im-
pegno dei salesiani in Madagascar, come in tutto
il mondo, tuttavia la loro chiamata abbraccia gli
esseri umani nella loro completezza di portatori di
bisogni, certo più immediati e di sopravvivenza, ma
anche di bisogni spirituali per la crescita umana e
di figli di Dio.
Ogni iniziativa o intervento s’inserisce in questa
prospettiva e assume il respiro della vocazione,
così come il progetto che la Fondazione don bo-
sco nel mondo vuole realizzare nel quartiere di
Ankofafa nella città di Fianarantsoa, attraverso la
Parrocchia di Don Bosco e i giovani salesiani del
Postnoviziato e il Centro di Formazione al Lavo-
ro (cft) a doppio percorso: la formazione tecnico-
professionale per l’inclusione lavorativa e sociale e
la pastorale per l’accompagnamento salesiano dei
giovani in situazione di rischio e vulnerabilità.
Il quartiere, secondo la suddivisione operata dalla
Parrocchia di don Bosco per facilitare la gestione
delle sue attività, è suddiviso in otto sotto distretti
o settori in cui si distribuisce la missione di 33 sa-
lesiani, 6 educatori e 27 giovani salesiani del Post-
noviziato.
La priorità per il Centro di Formazione al Lavoro
(cft) è quella dell’equipaggiamento dei laborato-
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ri tra i quali quello informatico. I computer sono
necessari ai ragazzi per la raccolta e l’elaborazione
quotidiana dei dati riguardanti le attività di agri-
coltura e di allevamento, soprattutto il monitorag-
gio della produzione degli animali allevati e il com-
mercio dei prodotti nei mercati locali.
Obiettivo specifico è rendere efficiente l’organizza-
zione della formazione e del lavoro di agricoltura e
di allevamento, attraverso la messa a sistema della
gestione dei dati, obiettivo generale è l’acquisizio-
ne da parte dei ragazzi di specifiche competenze
tecniche orientate all’impiego e alla riduzione delle
sacche di povertà e d’insicurezza alimentare tra i
giovani della comunità.
Beneficiari della formazione tecnico-professionale
nello specifico settore dell’agricoltura e dell’alleva-
mento del Centro di Formazione al Lavoro (cft)
sono 48 studenti, 4 insegnanti e 6 operai. Gli stu-
denti provengono dalle famiglie in situazione di
disagio del quartiere di Ankofafa, per i quali le
condizioni di vita non favoriscono alcun tipo di
crescita. Vivono in povertà estrema, in un conte-
sto familiare disgregato e spesso violento a causa
dell’esasperazione data dalla mancanza di accesso
ai beni essenziali e ai servizi, ma soprattutto al be-
nessere integrale della persona.
rio d’informatica soltanto di 3 computer per com-
piere un passo importante verso questo ambizioso
obiettivo.
In ambito pastorale, tra gli impegni dei giovani
studenti salesiani del Postnoviziato, c’è quello della
formazione all’apostolato tra i bambini e i ragazzi
in difficoltà e le loro famiglie. Il programma for-
mativo prevede che gli studenti si rechino nelle
parrocchie della “brousse”, il territorio rurale che si
estende intorno all’agglomerato urbano, per le atti-
vità di catechismo, di animazione delle celebrazioni
eucaristiche e di animazione delle associazioni gio-
vanili e degli oratori.
Grazie alle
amiche e agli
amici di don
Bosco, è stato
possibile
acquistare
quintali di
riso durante
i cicloni
del 2020
e lasciare
le opere
salesiane
attive e
funzionanti.
Basterebbe una bicicletta
Alla fine del percorso formativo, ottengono una
qualifica professionale che spendono sia per se stes-
si sia per l’intera comunità, generando un circolo
virtuoso di buone pratiche finalizzato al potenzia-
mento economico e a quell’inclusione sociale che
tanto costituisce il prerequisito essenziale per una
vita dignitosa basata sulla fiducia in se stessi.
Il Centro di Formazione al Lavoro (cft) attraverso
le attrezzature e i computer nei laboratori, da due
anni opera per rendersi autonomo finanziariamente
rispetto al resto del “puzzle” di opere di cui ci parla
Don Bepi Miele, al fine di concentrare le risorse e
di efficientare la programmazione.
Per questo motivo, è sufficiente dotare il laborato-
I 40 giovani salesiani del Postnoviziato sono impe-
gnati in 7 luoghi differenti e tutti sorgono in vil-
laggi lontani dal centro della città, ragione per cui
hanno bisogno di un mezzo poco dispendioso per
raggiungerli attraverso strade disastrate e in alcuni
casi attraverso percorsi tra le risaie.
Il mezzo più sostenibile per permettere agli stu-
denti di frequentare gli studi e di realizzare le at-
tività previste dalla loro formazione salesiana è la
bicicletta. La fornitura di soltanto 18 biciclette ro-
buste è un semplice passo, un gesto concreto, ma di
grande efficacia nello sviluppo e nella ratio stessa
dell’intero progetto pastorale della comunità sale-
siana di Fianarantsoa.
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TEMPO DELLO SPIRITO
Carmen Laval
I dieci doni di
san Giuseppe
Amato teneramente da Maria e da Gesù è il nostro forte
e silenzioso protettore. È un modello di uomo e di padre
quanto mai attuale per il nostro tempo.
1. La forza del silenzio
Non chiede spiegazioni, non obbietta, si fida, crede
e agisce. Senza tante parole. È intelligente, capisce
il disegno e lo esegue. Un silenzio grazie al quale
Giuseppe, all’unisono con Maria, custodisce la Pa-
rola di Dio. Nel silenzio e nella tranquillità della
notte, gli angeli gli parlano.
Ricordati che il silenzio è la lingua di Dio.
2. L’umiltà
San Giuseppe è l’uomo che passa inosservato, l’uo-
mo della presenza quotidiana, discreta e nascosta,
che sa essere un sostegno e una guida nei momenti
di difficoltà.
Quante persone comuni, solitamente dimenticate,
stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della
nostra storia: medici, infermiere e infermieri, ad-
detti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti,
trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti,
religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso
che nessuno si salva da solo.
Oggi ringrazia chi pulisce il marciapiedi dove
passi.
3. La vera paternità
Padri non si nasce, lo si diventa. Tutte le volte che
qualcuno si assume la responsabilità della vita di un
altro, in un certo senso esercita la paternità nei suoi
confronti. Essere padri significa introdurre il figlio
all’esperienza della vita, alla realtà. Non trattener-
lo, non imprigionarlo, non possederlo, ma renderlo
capace di scelte, di libertà, di partenze.
Oggi dì un sincero «Ti voglio bene» al tuo papà.
Ovunque sia.
4. Il coraggio
Giuseppe è solido, determinato e ci insegna che, in
mezzo alle tempeste della vita, non dobbiamo te-
mere di lasciare a Dio il timone della nostra barca.
Giuseppe non è un uomo rassegnato passivamente,
non cerca scorciatoie, ma affronta “ad occhi aperti”
quello che gli sta capitando, assumendone in prima
persona la responsabilità.
Oggi affronterai un problema che rimandi da
troppo tempo.
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2.1 Page 11

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5. Il lavoro
San Giuseppe era un costruttore. Egli è il vero “mi-
racolo” con cui Dio salva il Bambino e sua Madre.
Il Cielo interviene fidandosi del suo coraggio crea­
tivo e del suo lavoro quotidiano per mantenere la
sua famiglia.
Benedici il tuo impegno quotidiano.
6. La protezione
Il Figlio dell’Onnipotente ha bisogno di Giuseppe
per essere difeso, protetto, accudito, cresciuto. Dio si
fida di quest’uomo, così come fa Maria, che in Giu-
seppe trova colui che non solo vuole salvarle la vita,
ma che provvederà sempre a lei e al Bambino. Que-
sto Bambino è Colui che dirà: «Tutto quello che ave-
te fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli,
l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Così ogni bisognoso,
ogni povero, ogni sofferente, ogni moribondo, ogni
forestiero, ogni carcerato, ogni malato sono “il
Bambino” che Giuseppe continua a custodire.
Anche tu proteggi i fratelli più piccoli.
7. La tenerezza
Giuseppe vide crescere Gesù giorno dopo giorno
«in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uo-
mini» (Lc 2,52). Come il Signore fece con Israele,
così egli “gli ha insegnato a camminare, tenendolo
per mano: era per lui come il padre che solleva un
bimbo alla sua guancia, si chinava su di lui per
dargli da mangiare” (cfr. Os 11,3-4). Gesù ha visto
la tenerezza di Dio in Giuseppe.
Oggi sii gentile con chi incontri.
LA PREGHIERA DI PAPA FRANCESCO
Salve, custode del Redentore,
e sposo della Vergine Maria.
A te Dio affidò il suo Figlio;
in te Maria ripose la sua fiducia;
con te Cristo diventò uomo.
O Beato Giuseppe, mostrati padre anche per noi,
e guidaci nel cammino della vita.
Ottienici grazia, misericordia e coraggio,
e difendici da ogni male. Amen.
8. L’obbedienza
A Giuseppe Dio ha rivelato i suoi disegni. Giu-
seppe non esitò ad obbedire, senza farsi domande
sulle difficoltà cui sarebbe andato incontro: «Egli
si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e
si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di
Erode» (Mt 2,14-15). In ogni circostanza della sua
vita, Giuseppe seppe pronunciare il suo sì, come
Maria nell’Annunciazione e Gesù nel Getsemani.
Vivi con gioia il “Sia fatta la tua volontà”.
9. La speranza
Come a Giuseppe, Dio ripete anche a noi: “Non
abbiate paura!”. Occorre deporre la rabbia e la de-
lusione e fare spazio, senza alcuna rassegnazione
ma con fortezza piena di speranza, a ciò che non
abbiamo scelto eppure esiste.
Metti la tua vita nelle mani di Dio e fidati.
10. L’intercessione
Santa Teresa di Gesù, dottore della Chiesa e gran-
de devota a san Giuseppe: «Non ricordo ad oggi di
avergli domandato cosa che non mi abbia concesso.
Stupiscono le grandi grazie da Dio concessemi per
mezzo di questo Santo beato, e i pericoli del corpo e
dell’anima da cui mi ha sciolto. Il Signore vuole farci
capire che, come sulla terra era suo padre e poteva
comandargli, così in cielo può far quel che vuole».
Chiedi tutto ciò che il tuo cuore desidera a san
Giuseppe. Ti ascolterà.
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2.2 Page 12

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SALESIANI
O. Pori Mecoi
traduzione di Marisa Patarino
Don Bosco nella porta dell’India
Intervista a Savio Raj Silveira,
Ispettore di Mumbai
«Credo che l’India salesiana
abbia un grande futuro.
Abbiamo molte opportunità
per accompagnare i giovani
in campi nuovi e in evoluzione».
rurali e poi per alcuni anni con gli abitanti delle ba-
raccopoli della città. Sono poi stato il responsabile
dell’Ufficio di Pianificazione e Sviluppo dell’Ispet-
toria e questo incarico mi ha dato l’opportunità di
comprendere le difficoltà e le necessità dei poveri in
varie situazioni e di considerare come noi Salesiani
possiamo rispondervi al meglio. Sono stato quindi
nominato Vice Ispettore e, nel giugno 2019, sono
stato invitato dal Rettor Maggiore a prestare il mio
servizio all’Ispettoria in qualità di Ispettore.
«Ho avuto
la fortuna di
incontrare
molti grandi
salesiani.
Può presentarsi?
Sono Savio Silveira e attualmente svolgo l’incarico
di Ispettore dell’Ispettoria salesiana di Mumbai.
Sono originario di Goa, uno Stato dell’India pic-
colo ma molto bello. A Goa sono radicate una fede
e una cultura cattolica molto forti, perché il Paese
fu evangelizzato dal grande missionario San Fran-
cesco Saverio. Fin dalla scuola materna ho seguito
il mio percorso scolastico al centro Don Bosco di
Panjim, la capitale. Dopo essere stato ordinato sa-
cerdote, ho prestato il mio servizio per dieci anni
nel Gujarat, lavorando prima con i poveri nelle aree
Perché è salesiano?
Com’è nata la sua vocazione?
Ho avuto il privilegio di studiare, fin dai primi
anni, in una scuola salesiana. Ho avuto la fortuna di
incontrare molti grandi Salesiani. Ad esempio, don
Joseph Casti è stato il mio primo rettore. È un sa-
cerdote famoso per i suoi modi gentili e amabili. Ri-
cordo altri Salesiani meravigliosi, come don Mauro
Casarotti, don Benedict Furtado e don John Sama-
la. Poi c’era don Valerian Monteiro, che conosceva
i nomi di tutti i ragazzi della scuola ed eravamo più
di mille! Quando studiavo a Panjim, sembrava che i
Salesiani fossero ovunque. Erano i nostri insegnanti
in classe, giocavano insieme a noi sui campi da gio-
co e mi colpiva soprattutto vederli recitare sul pal-
coscenico o sentirli suonare brani musicali. Per noi
ragazzi i Salesiani erano eroi! La loro presenza co-
stante tra gli studenti, il loro atteggiamento amiche-
vole, il loro rapporto personale mi impressionavano
molto. Il meraviglioso esempio di questi Salesiani
mi ha orientato a voler diventare salesiano.
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MARZO 2021

2.3 Page 13

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don Elisio Bianchi e don Joseph Moja, che hanno
conferito all’Ispettoria una forte identità salesiana
e una profonda cultura salesiana. Oggi vedo che il
mio ruolo si basa su queste buone basi gettate dai
nostri grandi pionieri.
Come hanno reagito i suoi genitori?
I miei genitori erano molto religiosi e avevano anche
un buon rapporto con i Salesiani. Non mancavano
mai alla Messa quotidiana. E a casa recitavamo il
Rosario in famiglia. Mio padre era un benefattore
dei Salesiani, a cui offriva regolarmente il suo so-
stegno. Mia madre era una Salesiana Cooperatrice.
Quando ho detto che sarei voluto diventare Sale-
siano, sono stati molto contenti della mia decisione.
Posso dire che i miei genitori siano stati i sostenito-
ri più entusiasti nel mio percorso vocazionale.
Lei è un Ispettore molto giovane.
Come vive la speranza che ripongono
in lei?
Non credo di essere così giovane: quest’anno fe-
steggio il venticinquesimo anniversario di sacerdo-
zio. Ritengo però di avere una grande responsabili-
tà, in particolare a essere l’Ispettore di un’Ispettoria
come quella di Mumbai, che ha una grande storia.
Ma proprio perché ha una grande storia e un’eredi-
tà importante, è un’Ispettoria ben consolidata, che
funziona bene. Questo rende il mio compito più
semplice. Uno dei grandi pionieri, il patriarca del-
la nostra Ispettoria, è stato don Aurelio Maschio.
Era lungimirante, aveva una grande fede e molto
zelo. Molte Case della nostra Ispettoria sono state
fondate da lui. Si impegnò anche molto per garan-
tire all’Ispettoria una certa stabilità finanziaria. La
Procura che aveva avviato continua a sostenere l’I-
spettoria. Abbiamo poi avuto altri grandi Salesia-
ni, come don Antonio Alessi, don Joseph Carreno,
Mumbai è una città grande, ricca,
industrializzata e all’avanguardia a
livello internazionale in molti campi.
Che cosa hanno realizzato i Salesiani
qui?
Sì, Mumbai, che conta venti milioni di abitanti, è
una delle città più grandi del mondo. Mumbai è an-
che la capitale finanziaria dell’India ed è considera-
ta la città il cui sviluppo è più rapido all’interno del
Paese. Ma l’Ispettoria di Mumbai non comprende
solo la città; è composta da quattro Stati: Maha-
rashtra, Gujarat, Madhya Pradesh e Rajasthan. La
popolazione complessiva di questi quattro Stati è di
circa 315 milioni di persone, su un’area di oltre un
milione di chilometri quadrati. È dunque un’Ispet-
toria molto vasta, che copre l’intera India occiden-
tale. In questi quattro Stati, l’Ispettoria ha 35 Case
salesiane al servizio dei giovani e dei poveri, nelle
aree urbane e rurali. Il nostro obiettivo principale è
l’istruzione, la scuola formale e la formazione pro-
fessionale e tecnica. Abbiamo varie scuole, centri
Un gruppo
di giovani di
Mumbai. Qui
i Salesiani
sono molto
apprezzati.
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2.4 Page 14

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SALESIANI
«Gestiamo
centri nelle
aree rurali
dedicati a
migliorare
la situazione
delle persone,
con iniziative
finalizzate a
sollevarle dalla
condizione di
povertà».
di istruzione superiore
e istituti di formazione
tecnica di eccellente li-
vello. Portiamo avanti
anche iniziative per i
bambini di strada, per
i bambini che vivono
nelle baraccopoli, per i
giovani migranti e altri
giovani in situazione di fragilità. Gestiamo inoltre
centri nelle aree rurali dedicati a migliorare la si-
tuazione delle persone che sostengono, con inizia-
tive finalizzate a sollevarle dalla condizione di po-
vertà. Nella stessa Mumbai, don Bosco è un nome
molto noto, le scuole Don Bosco sono considerate
tra le migliori della città.
Quali sono i risultati più importanti
raggiunti nella sua Ispettoria?
Nel 2022 la nostra Ispettoria festeggerà il giubileo
d’oro. I Salesiani iniziarono a lavorare a Mumbai nel
1928, ma fino al 1972 facevamo parte dell’Ispetto-
ria di Madras. Nel 1972 Mumbai diventò un’Ispet-
toria indipendente. Se consideriamo i novant’anni
della nostra presenza in questa zona dell’India, o i
cinquant’anni dall’istituzione dell’Ispettoria, sono
molti gli obiettivi raggiunti di cui siamo grati. Cre-
do che uno dei nostri risultati più straordinari sia
la devozione a Maria Ausiliatrice che abbiamo dif-
fuso non solo a Mumbai, ma in tutta questa parte
del Paese. A Matunga, nel cuore di Mumbai, don
Maschio ha costruito un bellissimo Santuario di
Maria Ausiliatrice, che è diventato un importante
centro di devozione mariana in India. Nel Santua-
rio pubblichiamo una rivista mensile intitolata “La
Madonna di Don Bosco”, di cui vengono stampate
100 000 copie al mese e questo aiuta a diffondere la
devozione mariana nelle famiglie cattoliche di tutto
il Paese. Un altro risultato importante è che siamo
riusciti a garantire l’istruzione a molti bambini pove-
ri, specialmente nelle aree rurali. Se non fosse stato
per i Salesiani, molti di questi bambini non avreb-
bero avuto l’opportunità di andare a scuola. E grazie
alla buona istruzione che hanno ricevuto nelle no-
stre scuole oggi riescono a procedere bene nella vita.
Un altro ottimo risultato è che la nostra Ispettoria
ha inviato molti missionari in altre parti del mondo
salesiano. Durante gli anni del Progetto Africa, di-
versi Salesiani della nostra Ispettoria hanno lavorato
come pionieri in Africa Orientale. Negli ultimi anni
molti giovani Salesiani hanno scelto di andare nelle
missioni. Oggi i nostri confratelli di questa Ispetto-
ria lavorano in Sudan, Gambia, Ungheria, Kosovo,
Nepal e in altri Paesi. Abbiamo ricevuto molto dai
missionari che erano arrivati dall’Europa e ora stia-
mo mandando missionari ovunque la Congregazio-
ne abbia bisogno di loro.
Che opinione ha la gente dei Salesiani?
Sono felice di dire che i Salesiani hanno un’otti-
ma reputazione nella nostra Ispettoria. L’opera che
compiono in particolare per i bambini di strada e
per i poveri che vivono nelle baraccopoli e nei vil-
laggi è molto apprezzata. È anche estremamen-
te positivo che i Salesiani siano considerati molto
competenti nell’ambito dell’attività a favore dei gio-
vani. Per questo abbiamo Salesiani che lavorano al
servizio dell’animazione giovanile in diverse dioce-
si. Nell’arcidiocesi di Mumbai, ad esempio, i Sale-
siani sono regolarmente invitati a organizzare vari
programmi per i giovani. Questo significa che il
nostro servizio è riconosciuto e apprezzato. Inoltre,
molti nostri ex allievi seguono un percorso di vita
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soddisfacente e ricoprono incarichi importanti nel-
la società e alcuni hanno ruoli a livello del governo.
Anche questo contribuisce alla buona reputazione
dei Salesiani.
Quali sono le necessità più urgenti?
In questo momento il tema che richiede maggior
attenzione è quello delle vocazioni. Quest’anno ab-
biamo solo due novizi. In passato avevamo in media
venti novizi ogni anno, ma la situazione è cambiata.
Anche all’interno dei nostri istituti, pochi chiedono
di diventare salesiani. Abbiamo riflettuto su questa
situazione per capire cosa dobbiamo migliorare. La
nostra presenza tra i giovani è carente? La testimo-
nianza che offriamo della vocazione e della missione
salesiana non è affascinante per i giovani? Dobbiamo
migliorare il nostro modo di accompagnare i giovani
nel loro percorso di vita e della ricerca della vocazio-
ne? Dobbiamo trovare risposte a queste domande e
modificare la situazione.
preferiscono lo spazio digitale a quello fisico. Noi
Salesiani dobbiamo imparare ad accompagnare i
giovani in questo nuovo spazio. Questo impegno
richiede una pastorale giovanile molto diversa. Se
non siamo presenti nello spazio digitale, se non sap-
piamo educare ed evangelizzare i giovani in questo
spazio, riscontreremo una grande perdita. Inoltre i
giovani oggi sono molto consapevoli delle questioni
ambientali. In India l’inquinamento atmosferico è
un problema molto grave. Stiamo anche assistendo
agli impatti dei cambiamenti climatici; la ciclicità
dei monsoni è completamente cambiata in India.
Tutti questi problemi determinano un impatto sul-
la vita e sul futuro dei giovani. Oggi vediamo che i
giovani in India si impegnano attivamente per gui-
dare la lotta contro i cambiamenti climatici e altri
problemi ambientali. Noi Salesiani dobbiamo inte-
ressarci da vicino a questi problemi. Un altro ambi-
to che richiede attenzione è la crescente necessità di
istruzione superiore. Mentre nelle città sono attivi
molti buoni istituti secondari superiori, nelle aree
rurali è difficile fruire di un’istruzione superiore di
qualità. Per questo motivo i giovani che vivono nel-
le aree rurali sono in una condizione molto svan-
taggiata e questo ha un impatto negativo sul loro
futuro. Penso che questa situazione dia ai Salesiani
un’opportunità per dare un contributo importante
per la vita dei giovani che vivono in zone rurali.
«Se
consideriamo
i novant’anni
della nostra
presenza in
questa zona
dell‘India, o i
cinquant’anni
dall’istituzione
dell’Ispettoria,
sono molti
gli obiettivi
raggiunti
di cui siamo
grati».
Come vede il futuro dei Salesiani
in India?
L’India è un Paese in rapido cambiamento e stan-
no dunque cambiando anche la vita e il futuro dei
giovani. Il 28° Capitolo Generale ha posto questa
domanda: Quale Salesiano per i giovani di oggi?
Credo che i Salesiani in India debbano essere pro-
fondamente consapevoli dei cambiamenti che stan-
no avvenendo e accompagnare i giovani di conse-
guenza. Un fenomeno di grande rilevanza che si
sta verificando in India, come nel resto del mondo,
è la straordinaria espansione dello spazio digitale.
Molti giovani in India, specialmente nelle città,
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2.6 Page 16

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FMA
Emilia Di Massimo
Suor Maria Pia Giudici
La mistica dell’eremo di Subiaco
che conobbe Dio in bici
È passata fra noi come i profeti
biblici che rivivevano nelle sue
parole.
era sostanzialmente la risposta assoluta a tutto questo,
e che tutto ciò che possedevo non era nulla in confronto
al Suo amore. Ho scelto l’Istituto delle fma perché mi
aveva colpita lo spirito di famiglia, mi sentivo amata e
compresa. Ammiravo la loro gioia, che sentivo scaturire
dall’alto, dall’amore di Dio, e la grande dedizione ai
giovani».
«Ho scelto
l‘Istituto
delle FMA
perché mi
aveva colpita
lo spirito di
famiglia,
mi sentivo
amata e
compresa».
Q uando nacque Maria Pia, il 30 settem-
bre 1922, la famiglia Giudici viveva a
Viggiù, nel Varesotto; la coppia che ac-
colse Maria Pia era molto unita e sin-
ceramente cristiana; papà Felice gestiva un albergo
abbastanza rinomato e mamma Rosa Buzzi Giber-
to era figlia di uno scultore di ottima fama. Ad un
certo punto, non si sa perché, i Giudici lasciarono
il paese e si trasferirono a Milano. Lì Maria Pia
continuò gli studi, prima dalle Suore Orsoline e poi
presso le fma, con le quali si sentì profondamente
a suo agio, fino a decidere, in seguito, di restare
con loro. Era una ragazza socievole ed anche spor-
tiva. Le piacevano il tennis, lo sci, e le gite in bar-
ca. Soprattutto le piaceva condividere molte cose
con gli amici. Inoltre, lo dice lei stessa in un suo
scritto, l’appassionava la lettura «e tutto ciò che al-
largava gli orizzonti e dava ebbrezza di vita. Avevo
sete di bellezza, di bontà, di verità. Sentii che solo Dio
La luce del “sì”
Riguardo alla decisione vocazionale di suor Maria
Pia è lei stessa a raccontarlo. Correva in bicicletta,
tutta piena di festosa giovinezza. Ad un tratto si sen-
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tì come colpita da una luce: la luce del “sì”. Ebbe in
quell’istante la certezza di essere stata chiamata per
nome e di dover rispondere con tutta la mente, con
tutto il cuore, con tutta la vita che le era stata donata.
La bicicletta. La corsa quasi sfrenata. Il buttarsi fi-
duciosa nell’amore vero.
Suor Maria Pia offerse tutta la sua vita allo Sposo
Gesù, professando i voti religiosi, aveva 22 anni,
era il 5 agosto 1944. Conseguita la laurea in mate-
rie letterarie, fu un’insegnante ardente, creativa, in-
gegnosa; un’insegnante amica e formativa. Diven-
ne una delle penne pregiate della rivista Primavera,
che aveva lo scopo d’intrattenere piacevolmente le
adolescenti, seminando in loro ideali di umana e
cristiana fraternità.
Quando poi si cercarono nuove strade per dare più
vita alla scuola e si costituì un gruppo di lavoro che
prese il nome di sas [Scuola Attiva Salesiana], suor
Maria Pia diede il suo apporto significativo nella
scelta delle letture che dovevano confluire in una
antologia per la Scuola Media.
Una casa di preghiera
Il lavoro educativo più profondo tuttavia fu, in se-
guito, quello che svolse nel campo della Comuni-
cazione Sociale come “Delegata Internazionale per
gli Strumenti di Comunicazione Sociale”, collabo-
rando con il Regista Rolando realizzò il film “Tral-
ci di una terra forte” incentrato sulla vita di Maria
Mazzarello.
Nascevano intanto, per suo merito, i Campi della
Parola. Li frequentavano molti giovani, accompa-
gnati dalle fma. C’erano anche sacerdoti pronti
a svolgere il loro ministero. Ben presto trovarono
sede a San Biagio, vicino al Sacro Speco di Subiaco.
Non fu facile adattare l’ambiente edilizio e assume-
re l’impostazione adeguata alla missione da svol-
gere. Ci volle tempo; ci vollero fatiche di diverso
genere: tutte pesanti, ma anche tutte condivise con
persone che non lasciavano mancare né il suggeri-
mento, né l’esperienza, né l’aiuto immediato.
Successivamente la missione svolta dalla Casa di
preghiera si diramò in forme varie, adeguate a di-
versi tipi di destinatari: religiose/i, giovani, gruppi
familiari, coppie di giovani sposi o fidanzati. Tra i
ricordi lasciati scritti da suor Maria Pia si può leg-
gere anche questo: «Quando venni quassù con una
mia consorella, iniziai un’opera ad experimentum
che, come tutte le realtà nuove, non fu subito da tutti
compresa. Vedevo, però, che non era opera mia (l’avrei
rovinata!) perché i frutti erano buoni».
Attualmente la casa, gestita dalle Figlie di Maria
Ausiliatrice, è attiva e prosegue la sua missione
educativa.
Nella lettera con cui l’Istituto delle fma annun-
cia la partenza di suor Maria Pia per le distese lu-
minose del Cielo leggiamo, tra l’altro: «San Biagio
è cresciuto grazie alla capacità di suor Maria Pia
di accogliere il contributo e il dono che ciascuno
portava, di offrire ad ogni persona la possibilità di
uno spazio e di un tempo di vero incontro con Dio,
nella contemplazione del creato».
Quando le sue forze si sono indebolite, venendo
meno a poco a poco, suor Maria Pia ha dovuto
lottare con se stessa ma si è gradatamente abban-
donata; tra le sue ultime parole c’è stato un grazie
rivolto alle sorelle che sono state con lei; per poi
ripeterne uno infinitamente più grande al Signore
che le dava il benvenuto in cielo.
La missione
della Casa
di preghiera
si diramò in
forme varie e
diversi tipi di
destinatari:
religiosi,
giovani,
gruppi
familiari,
coppie di
giovani sposi
o fidanzati.
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L’INVITATO
Paolo Vaschetto con tutta la famiglia
Mio papà,
il signor
Tommaso
Paolo Vaschetto è salesiano
coadiutore dal 1989. Dopo alcuni
anni nella casa di Lombriasco
(proprio quella dove il suo papà ha
scoperto don Bosco), è partito per
l’Africa dove ha trascorso 17 anni tra
la Nigeria e il Ghana. Attualmente
è a Roma per alcuni studi di
approfondimento su don Bosco.
Mi sembra, in questo articolo,
di voler chiudere un cerchio e, con
questo intento, provo un’impresa:
racchiudere una vita spesa con
don Bosco in poche righe e poche
immagini, mescolando tristezza
e gioia, nostalgia e stupore…
Oltre alla
scuola curava
giardini e
parchi con
passione e
abilità non
comuni.
Il cerchio comincia ad essere tracciato quando il
signor Tommaso Vaschetto entra come convitto-
re della Scuola Media a Valdocco nel 1943. Anni
difficili, in piena guerra, tra bombardamenti e
perquisizioni in cerca di partigiani e con soluzioni
coraggiose come fare lezione in collina, a Valsalice,
e tornare in tram a Valdocco, con la nota simpatica-
mente giovanile, pur in momenti così drammatici,
che tra la partenza e l’arrivo il mite don Venzon per-
deva gran parte degli studenti…
Quando poi la guerra bussa alle porte della Casa
Madre, gran parte degli studenti delle scuole sale-
siane di Torino viene evacuata in un luogo che si
pensava meno esposto, la casa di Cumiana che si
trova in aperta campagna. Quattro mesi molto com-
plicati, con più di 500 ragazzi ammassati in spazi
molto ristretti… Mio papà non ne parlava volentieri
e si può immaginare il perché, a partire dalla penu-
ria di cibo per una folla così imponente di giovani e
dalle condizioni disagevoli delle camerate.
Alla scuola agraria
Le cose poi, chissà come, si sono normalizzate e,
dalla scuola media a Valdocco il giovane Tomma-
so passa, nel 1946, alla Scuola Agraria Salesiana di
Lombriasco. Lì trascorre cinque anni memorabili
tra disciplina ferrea e preparazione professionale
impeccabile, ma anche tant’altro come il gioco, il
tifo per la Juventus, e, soprattutto, le amicizie de-
stinate a durare nel tempo sia tra studenti che con
gli insegnanti. Mentre cresceva la sua competenza
in campo agrario, uno strumento che lo ha accom-
pagnato per tutta la sua lunga vita, si creavano lega-
mi di stima, cordialità e in alcuni casi affetto vero
che lo avrebbero segnato per sempre. Quella casa
salesiana era davvero “casa sua” e i Salesiani che lo
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avevano formato erano veri Padri e Fratelli, persone
che avevano dedicato la loro vita per lui e gli altri ra-
gazzi e di cui coltivava una sorta di venerazione sin-
cera (spesso nominava don Pellegrino, don Mion,
don Acchiardo, don Agagliate, don Rinaldi, don
Rossi, don Pernigotti, don Lorenzatti, don Oppez-
zo, il sig. Zampieron…). I fatti successivi all’esame
di maturità lo testimoniano: lanciato nel mondo del
lavoro prima come consulente e supervisore agricolo
entra, dopo qualche anno, nel mondo della scuola.
Un lavoro nel campo dell’educazione e mettere su
famiglia diventano due capitoli quasi contempora-
nei e di certo don Bosco era contento di vedere uno
dei suoi exallievi raggiungere questi bei traguardi.
Nel 1962 nasce il primogenito seguito dal secondo
nel 1969, figli di un momento particolare della sto-
ria italiana, ma che quasi sfuggiva a chi si concen-
trava sul proprio lavoro e la propria famiglia. Così
era accaduto a papà, che oltre alla scuola curava
giardini e parchi con passione e abilità non comuni,
ma di certo non si coinvolgeva granché nelle grandi
e piccole rivoluzioni di quel periodo.
Il “papà
di Paolo“
con i novizi
a Monte
Oliveto.
Il papà di Paolo
Altri tratti del cerchio, quelli che sono marcatamen-
te salesiani, sono l’accettazione cristiana della per-
dita della dolce sposa nel 1983 e l’appoggio alle vo-
cazioni diverse dei due figli. Lo sbocciare delle due
vocazioni (matrimoniale per il primo e salesiana per
il secondo) è quasi contemporaneo, tra il 1988 e il
1989, e in entrambi i casi i figli hanno percepito il
suo dolore del distacco, ma mai un’opposizione. Papà
si ritrovava da solo in un battibaleno, con la gioia di
scoprirsi nonno da un lato e vicinissimo ai Salesiani
dall’altro, ma con l’incognita di come gestire il suo
tempo e su che obbiettivo orientare la propria vita.
La sua scelta, negli anni ’90, è decisamente un ritorno
alle radici della sua educazione. L’anno di Noviziato
di Paolo è un anno di prova anche per lui. Monte
Oliveto, a Pinerolo, è un luogo meraviglioso con no-
vizi e confratelli con cui entra in sintonia immediata.
Il parco è il suo luogo preferito e le “giornate ecologi-
che” istituite dal Maestro sono momenti epici in cui
la sua energia e vigoria fisica si accompagnano a bat-
tute e prese in giro a 360 gradi. Quell’ambiente così
particolare in cui decine di giovani hanno riflettuto
e preso decisioni importanti per la propria vita lo af-
fascina tanto da non potersene quasi distaccare. La
frequenza del viaggio tra casa propria e Pinerolo da
mensile diventa bisettimanale e poi quasi settimana-
le apportando migliorie infinite al parco ma anche
collaborando in molti altri settori come la vigna, gli
alberi da frutto e talvolta anche l’orto.
Gradualmente il cosiddetto “papà di Paolo” così
come veniva presentato ad ospiti e confratelli nei
primi anni della sua permanenza a Monte Oliveto
diventa “il sig. Tommaso”, una qualifica che gli sta
a pennello, anche per la serietà e la costanza nella
partecipazione alle pratiche di pietà della comu-
nità. Ben cinque Maestri di Noviziato che si sono
succeduti e quasi 30 anni di “noviziato” hanno fatto
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2.10 Page 20

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L’INVITATO
Il volontariato
gli ha permesso
di avvicinare
tante persone,
ma ha anche
dato un
significato
spirituale
profondo alla
sua vita.
di lui un “religioso” come forse don Bosco imma-
ginava, il mai realizzato ma non poco rimpianto
“salesiano esterno”.
Una breve parentesi, ma molto significativa per la
sua vita, è stato il periodo passato in Africa. Un
invito forse scherzoso di don Angelo Viganò è sta-
to preso molto sul serio da mio papà. In quattro e
quattr’otto si ritrova ad Embu, in Kenya e poi nel
progetto Thiba, un’azienda agricola di dimensio-
ni imponenti affidata alla cura dei Salesiani. Papà
si lancia nell’impresa con tutta la sua usuale ener-
gia, con avventure (almeno quelle che ci ha rac-
contato…) quasi incredibili. Dopo quasi due anni
però getta la spugna. La difficoltà nel comunicare
(quanto avrebbe voluto che i locali imparassero il
Piemontese!) combinata con il caldo e tante altre
sfide quotidiane sembravano minare la sua fibra
d’acciaio per cui, con rimpianto ma anche tanta
umiltà, riprende in mano la sua vita e cerca di ap-
profittare di altre opportunità che gli sono offerte.
Generoso, loquace, energico
Nel giro di pochi anni si trasforma: il suo ruolo in
famiglia come nonno impegnato con i nipoti prende
una dimensione nuova, a cui si aggiunge, oltre all’im-
mancabile Monte Oliveto, anche un nuovo impegno
IL PADRE RITROVATO
La pandemia ha provocato dolore, privazioni, divisioni e ferite che impiegheranno molto tempo per
guarire. Eppure in mezzo a tante disperazioni qualcosa di positivo è spuntato.
Mio padre usciva di casa ogni mattina e ogni sera,
quando tornava, sembrava felice di rivederci. Lui solo
era capace di aprire il vasetto dei sottaceti, quando gli
altri non riuscivano. Era l’unico che non aveva paura di
andare in cantina da solo. Si tagliava facendosi la bar-
ba, ma nessuno gli dava il bacino o si impressionava
per questo. Quando pioveva, ovviamente, era lui che
andava a prendere la macchina e la portava davanti
all’ingresso. Se qualcuno era ammalato, lui usciva a
comperare le medicine. Metteva le trappole per i topi,
potava le rose in modo che ci si potesse affacciare alla
porta d’ingresso senza rischiare di pungersi. Quando
mi regalarono la mia prima bicicletta, pedalò per chi-
lometri accanto a me, finché non fui in grado di cavar-
mela da sola. Avevo paura di tutti gli altri padri, ma
non del mio. Una volta gli preparai il tè. Era solo acqua
zuccherata, ma lui era seduto su una seggiolina e lo
sorbiva dicendo che era squisito.
Ogni volta che giocavo con le bambole, la bambola
mamma aveva un sacco di cose da fare. Non sapevo
invece che cosa far fare alla bambola papà, così gli fa-
cevo dire: «Bene, adesso esco e vado a lavorare», poi la
buttavo sotto il letto.
Quando avevo nove anni, un mattino mio padre non
si alzò per andare a lavorare. Andò all’ospedale e morì
il giorno dopo. Allora andai in camera mia e cercai la
bambola papà sotto il letto. La trovai, la spolverai e la
posai sul mio letto. Mio padre non fece mai nulla.
Non immaginavo che la sua scomparsa mi avrebbe fat-
to tanto male. Ancora oggi non so perché.
Una signora confidava: «È qualche anno che è morto
mio padre e non riesco a perdonarmi di non avergli
mai detto: “Papà, ti voglio bene”».
La situazione era più o meno questa. Invece lockdown
e smartworking, due situazioni quasi sconosciute qual-
cosa hanno cambiato.
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3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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nel volontariato. Quest’ultima dimensione sorprende
un po’ tutti, ma in definitiva era una decisione coe-
rente con la sua attitudine di vita. Il “sig. Tommaso”
riconosceva di avere dei doni personali e caratteriali
da non tenere per sé. Era generoso, loquace, energico
e se qualcuno aveva bisogno di aiuto non si tirava
indietro. In tempi diversi e compatibilmente all’età
che lentamente cominciava a farsi sentire diventa
membro della Caritas, del Banco Alimentare, della
San Vincenzo e dell’avo (associazione di assisten-
za a malati che non potevano alimentarsi da soli).
Il volontariato gli ha permesso di avvicinare tante
persone, ma ha anche dato un significato spirituale
profondo alla sua vita. Le sue preghiere combinate
con il lavoro sacrificato per gli altri gli davano gioia
e serenità e poco importava se talvolta pranzo e cena
alla domenica erano passati al capezzale di qualche
malato in difficoltà. Tra l’altro, a quasi 87 anni d’età,
si fingeva coetaneo di persone più giovani di almeno
15 anni pur di incoraggia-
re i malati a riprendersi e a
farsi forza.
Gli ultimi due anni sono
stati un crepuscolo veloce
e ora è difficile capaci-
tarsi che se ne sia andato
“così in fretta”. Chiuden-
do il cerchio di una vita
ben spesa viene proprio
da ringraziare don Bosco
per aver ispirato papà ad essere un buon Cristiano,
generoso e “costante” così come la sua famiglia ha
voluto ricordarlo citando la lettera di San Giacomo:
Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il pre-
zioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e
le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate
i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina
(Gc 5, 7-8).
Era generoso,
loquace,
energico e
se qualcuno
aveva
bisogno di
aiuto non
si tirava
indietro.
«Il mio lavoro mi ha sempre portato lontano da casa.
Con il lockdown, per la prima volta, ho vissuto la quoti-
dianità a stretto contatto con mia figlia» dice un padre.
Con lo smartworking, invece, il papà ha condiviso le
incombenze pratiche di appannaggio materno, come
lavare e vestire la figlia. “Siamo passati da un tempo in
cui si facevano cose per i figli, a un tempo in cui si fanno
cose con i figli” commenta il miglior esperto di famiglia
Alberto Pellai. Un’ampia fetta dei lavoratori italiani ne
ha fatto esperienza.
“Lo smartworking è stata una scoperta impensabile
perché, almeno in questa magnitudine, non era mai
stato pensato prima. Di generazione in generazione,
infatti, ci tramandiamo l’idea che il posto di un uomo
sia fuori di casa”, prosegue Pellai. Nel giro di poche
settimane, invece, il Covid ha cambiato una regola che
sembrava inossidabile.
“Il lockdown ha moltiplicato il tempo che passavo con
mia figlia”, conferma un altro papà.
Marco N., 44 anni, si è ritrovato a tempo pieno insieme
a sua moglie e a suo figlio Francesco di dieci anni. “Os-
servare la didattica a distanza è stata una novità per
me, perché mi ha permesso di vedere l’evoluzione del
processo di apprendimento di mio figlio e sostenerlo
nei momenti di difficoltà. Complice il fatto che France-
sco mi ha cercato di più per avere aiuto, fra noi è nata
un’interazione nuova”.
I padri hanno ritrovato i loro figli, ma anche i
figli hanno ritrovato i loro genitori. E que-
sta non è una scoperta da poco.
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3.2 Page 22

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IN PRIMA LINEA
La comunità
Bulgaria
Rose, yogurt
e don Bosco
«A Kazanlak, in Bulgaria sentiamo
la gioia di essere seminatori del
Regno in un contesto difficile, con
lo stile salesiano»
Com’è composta la vostra comunità?
La nostra comunità è composta da sei confratelli,
cinque sacerdoti e un coadiutore. C’è anche uno
studente di teologia a Torino, che ha già assaggiato
questa missione in Bulgaria. La nostra missione è
parte dell’Ispettoria della Repubblica Ceca. Siamo
di varie nazionalità: cechi, un indiano, un guate-
malteco e un argentino.
La città di Kazanlak si trova al centro della
Bulgaria, nella valle delle Rose. È una città di
circa 82 000 abitanti e rappresenta una desti-
nazione turistica molto attraente.
Come molte città della Bulgaria, è anch’essa fonte
di meraviglie naturali e boschi secolari, non-
ché di immense catene montuose. Kazanlak è un
importante centro industriale, storico e culturale.
La città è la capitale delle Rose.
naria si è manifestata negli anni della formazione
iniziale, e si è concretizzata prima dei voti perpetui.
Perché siete venuti proprio in Bulgaria?
I confratelli cechi vi furono inviati poiché la Bul-
garia faceva parte della sua Ispettoria. In questo
modo, la loro vocazione missionaria ad gentes ha
trovato una risposta all’interno della stessa Ispetto-
ria. Gli altri confratelli, in ogni caso, si sono messi
a disposizione del Rettor Maggiore, che ha provve-
duto all’invio in Bulgaria.
Per ricordare le ragioni della presenza salesiana in
Bulgaria, dobbiamo risalire all’inizio degli anni ’90,
Che lingua usate tra di voi?
Ci parliamo in bulgaro. La comunità ha scelto que-
sta opzione circa 10 anni fa. Non è stato motivato
solo dalla presenza di qualche fratello di un’altra
nazionalità, ma anche perché c’è la convinzione che
la gente apprezza i missionari che parlano nella loro
lingua, anche nell’intimità della vita comunitaria.
Una festa
ecclesiale al
completo,
vescovo
compreso.
Com’è nata la vostra vocazione
missionaria?
Ognuno ha vissuto un percorso particolare. Padre
Peter Nemec, il primo salesiano in Bulgaria, è arri-
vato quando era sacerdote da più di dieci anni. Nel-
la maggior parte degli altri, la vocazione missio-
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MARZO 2021

3.3 Page 23

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quando il Santo Padre, san Giovanni Paolo II, chie-
se al Rettor Maggiore di quel tempo, don Egidio
Viganó, una maggiore presenza dei Salesiani nei
Balcani. In risposta a questa richiesta, don Viga-
nò ha chiesto ai Salesiani cechi di assumere questa
missione. La vicinanza culturale di due popoli di
radici slave e il legame spirituale che li unisce nelle
figure dei Santi Cirillo e Metodio, sono stati i mo-
tivi di questa richiesta.
Qual è la missione della vostra
comunità?
In termini di attività, l’Opera anima due parroc-
chie e un centro giovanile. Offre anche alla Chiesa
in Bulgaria un servizio di formazione per anima-
tori giovanili. I destinatari del nostro lavoro sono
sia bulgari che Rom (popolarmente conosciuti
come “zingari”), anche se negli ultimi dieci anni
l’attenzione si è concentrata molto su questi ulti-
mi, soprattutto con il centro giovanile, situato ai
margini del loro quartiere. Va notato che i Rom
in Bulgaria, come in tanti altri luoghi in Europa,
sono un gruppo sociale emarginato e incompreso,
in una situazione di grande svantaggio rispetto agli
altri cittadini, e con una propria cultura che non è
sempre facile da accettare e integrare. Come figli
di don Bosco, abbiamo privilegiato in questo con-
testo il compito di lavorare con i giovani Rom, per
collaborare alla loro crescita educativa e spirituale.
Quali sono le vostre soddisfazioni
più belle?
«Qui
sentiamo
la gioia
di essere
seminatori
con anima
salesiana in
un campo
molto
difficile».
Senza dubbio, la vita condivisa con i giovani e con i
fedeli del luogo, è per noi una grande fonte di gioia.
Il lavoro pastorale non produce
frutti visibili o sorprendenti in
termini numerici. Tuttavia, e
forse proprio grazie a questo,
noi Salesiani in Bulgaria sen-
tiamo la gioia di essere semina-
tori del Regno in un contesto
difficile, con lo stile salesiano,
alimentando la speranza e con
piena fiducia nel Signore.
L’emigrazione di mas-
sa e la bassa natalità
sono causa di uno
spopolamento allarmante
(il più alto d’Europa), che
parla di una società che an-
cora non trova strade chiare
per il proprio futuro.
Quali sono le difficoltà più complicate
che dovete affrontare?
Lavorare in contesti emarginati presenta difficoltà
e sfide. Lavoriamo con un livello di fragilità molto
alto, sia nelle persone che nei processi che vengo-
no svolti. Le variabili culturali e socioeconomiche
dei destinatari presentano vere sfide per il compito
educativo-pastorale.
Tra i giovani Rom, la mancanza di un’istruzione
formale, la mancanza di un lavoro dignitoso, lo
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3.4 Page 24

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IN PRIMA LINEA
«Molte delle
speranze che
abbiamo per
il futuro si
concretizzano
nella
costruzione
di un nuovo
tempio per la
città e di una
scuola per
i rom».
smembramento delle famiglie (molti genitori emi-
grano per motivi di lavoro), la droga, le sigarette
(molto diffuse anche tra i bambini) sono alcuni dei
gravi problemi che incontriamo.
Come sono i giovani e le famiglie
a cui vi rivolgete?
Come abbiamo detto, le famiglie dei Rom vengono
smembrate, principalmente a causa del fenomeno
della migrazione dei genitori. In questo contesto, i
giovani sono esposti a molti pericoli sin dalla tenera
età (analfabetismo, dipendenze, criminalità, prosti-
tuzione).
D’altra parte, il giovane Rom è vigile e molto af-
fettuoso. Porta in sé le tracce di una cultura amica
della danza e della musica, quindi in un contesto
generalizzato di disperazione, questi giovani sono
un serbatoio di vitalità. La sua gioia, in mezzo a
tante difficoltà, si sente.
Non è da meno che in mezzo a tanta fragilità,
si coltiva tra i Rom un senso di famiglia. Sebbe-
ne fortemente attaccati dal contesto e dalla nuova
cultura, il senso di famiglia/clan aleggia ancora in
loro. Lo stesso si può dire della religione. Sebbene
sincretici, un po’ superstiziosi e senza una stabile
affiliazione a una confessione religiosa, i Rom sono
un popolo aperto alla trascendenza e interessato al
messaggio religioso.
Quali sono i problemi più grossi
della gente?
Nell’ordine materiale, è facile vedere gli effetti di
una situazione economica precaria. La Bulgaria è lo
Stato dell’Unione Europea con il pil più basso. C’è
molta informalità e una vera rete di mafie infiltrate a
tutti i livelli della vita sociale. Ogni possibilità di un
vero progresso materiale è gravemente limitata dalla
corruzione, da una mentalità un
po’ chiusa e da una sensazione
generale di negatività, di dispe-
razione. L’emigrazione di massa
e la bassa natalità sono causa di
uno spopolamento allarmante
(il più alto d’Europa), che parla
di una società che ancora non
trova strade chiare per il proprio futuro.
Dall’ordine spirituale, c’è una grande sfida per rico-
struire internamente la vita di ogni bulgaro. Dopo
tanti anni di sofferenza, il popolo bulgaro cerca an-
cora un orizzonte al di fuori dei nazionalismi xeno-
fobi, della sfiducia nel diverso e del conflitto.
Com’è la Bulgaria dal punto di vista
religioso?
Più di tre quarti dei Bulgari appartengono alla
Chiesa ortodossa orientale, che è la confessione uf-
ficiale. Tuttavia, come in molti posti in Occidente,
la pratica religiosa è notevolmente diminuita e la
religione, che ufficialmente assume la preminenza,
nella vita della stragrande maggioranza dei bulgari
è un fatto culturale.
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3.5 Page 25

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La Chiesa ortodossa bulgara, la prima chiesa auto-
cefala in Oriente dopo Costantinopoli, porta con sé
il peso di una lunga storia. La loro partecipazione al
dialogo ecumenico è bassa e anche la loro apertura
al mondo cattolico.
La Chiesa cattolica in Bulgaria è una realtà perife-
rica. Vi sono due diocesi di rito latino (nord e sud
del Paese) e una di rito orientale (a quest’ultima
appartengono canonicamente i Salesiani). Anche
così, sebbene i cattolici rappresentino appena l’1%
della popolazione, sono una comunità compatta e
molto unita, con forti legami tra le comunità e con
un’esperienza di fede che ha resistito e resiste all’as-
salto dell’ambiente.
Tuttavia, in mezzo a questo contesto, la chiamata
e la responsabilità dei cattolici con l’ecumenismo è
una bella opportunità. Dopo la visita del Presidente
del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligio-
so, Cardinale Miguel Ángel Ayuso Guixot, in visi-
ta in Bulgaria lo scorso giugno, questo Paese è stato
rilanciato come un vero laboratorio di dialogo non
solo tra i cristiani ma anche con le altre religioni.
Lo ha ricordato anche Papa Francesco durante la
sua visita pastorale lo scorso anno (maggio 2019)
e lo ha fatto san Giovanni XXIII durante il suo
periodo come Delegato Apostolico (1925-1934). È
un vero segno dei tempi.
Come siete considerati dalla gente?
La gente apprezza il lavoro che fanno i Salesiani, e
in particolare tra i cattolici la loro presenza è gra-
ditissima. Solo nella città di Kazanlak, con l’arri-
vo dei Salesiani, è arrivato il primo prete cattolico
dopo 40 anni!
Avvicinarsi ai Rom e condividere la vita con loro è
un segno che sfida, quindi in molti ci sono anche
sentimenti di sorpresa e incomprensione. Ma in ge-
nerale si può dire che chi conosce i Salesiani ha un
grande apprezzamento per l’Opera.
Le autorità governative e le associazioni civili che
lavorano con i Rom hanno una buona idea del com-
pito svolto dai Salesiani.
Quali sono le sue speranze
per il futuro?
Molte delle speranze che abbiamo per il futuro si
concretizzano nella costruzione di un nuovo tem-
pio per la città e di una scuola per i rom. Da alcuni
anni questo progetto di costruzione si sta svilup-
pando lentamente, con molto lavoro e fatica e anche
con aiuti importanti, dove si evidenzia quello dei
volontari cechi e quello dello stesso Rettor Mag-
giore, Ángel Fernández Artime.
La nuova chiesa, con uno stile architettonico orien-
tale, risponderà alle esigenze religiose della comu-
nità cattolica così come alle esigenze spirituali dei
Rom (l’edificio si trova accanto al quartiere zinga-
ro). Ma la nuova chiesa sarà anche un segno per
tutta la città, che nel prossimo futuro avrà tra i suoi
templi uno cattolico.
La scuola è molto attuale per la missione tra i Rom.
Il tasso di analfabetismo e abbandono scolastico tra
loro è molto alto. Le opportunità che un’istruzio-
ne formale di qualità, orientata al lavoro e con va-
lori umani e cristiani può offrire loro, sono molto
grandi. Quando le circostanze sono così avverse per
loro, qualsiasi bene che si possa fare con l’istruzione
ha un impatto molto grande. In mezzo a un sistema
educativo con grandi difetti, con una cultura sco-
lastica rigida e un po’ aspra, e con poca capacità di
trattenere studenti vulnerabili, la proposta educa-
tiva salesiana è una vera “buona notizia” per questi
ultimi.
Il giovane Rom
è vigile e molto
affettuoso.
Porta in sé le
tracce di una
cultura amica
della danza e
della musica,
quindi in
un contesto
generalizzato
di disperazione,
questi giovani
sono un
serbatoio
di vitalità.
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LE CASE DI DON BOSCO
Orazio Moschetti
Alcamo
«Qui siamo tutti salesiani,
perché tutti siamo passati
all’Oratorio Don Bosco».
Negli anni
sono stati
portati
avanti diversi
progetti per
coinvolgere
maggiormente
i ragazzi e le
loro famiglie.
Puoi autopresentarti?
Sono Orazio Moschetti, ho 24 anni. Sono origina-
rio di Biancavilla, un paese alle falde dell’Etna, in
provincia di Catania. Sin da piccolo, lo spirito Sa-
lesiano di don Bosco, è stato parte integrante della
mia vita. Sono cresciuto e stato educato nell’istitu-
to salesiano delle Figlie di Maria Ausiliatrice che
operano da più di cento anni a Biancavilla per le
UNA CITTÀ FIORENTE
Alcamo è una città siciliana di circa 50mila abitanti, ricca sotto l’a-
spetto storico, culturale, artistico ed enogastronomico. Situata alle
pendici del Monte Bonifato, praticamente nel punto centrale del
Golfo di Castellamare in provincia di Trapani, è un vero e proprio
museo a cielo aperto, con splendide chiese e palazzi in stile rina-
scimentale e barocco.
Alcamo ha in Sicilia un forte ruolo commerciale in quanto è situato
a metà percorso tra Palermo e Trapani anche con la recente
specializzazione nel campo vinicolo e industriale.
opere di educazione ed istruzione soprattutto per i
giovani più svantaggiati.
Nell’ottobre del 2016 ho iniziato l’esperienza di
aspirantato e prenoviziato dai salesiani, presso l’o-
pera de “La Salette”, sita in Catania. Da settembre
2017 a settembre 2018 ho fatto il noviziato a Gen-
zano di Roma, ed ho emesso la prima professione
religiosa come salesiano di don Bosco l’8 settem-
bre 2018. Nei due anni successivi ho frequentato
la comunità del postnoviziato internazionale “San
Tarcisio”, in cui ho proseguito gli studi filosofici.
Adesso, da settembre 2020, mi trovo presso la co-
munità salesiana di Alcamo, in provincia di Tra-
pani, per svolgere il mio primo anno di Tirocinio.
Come ti è saltato in mente
di diventare salesiano?
Ho frequentato, sin dal catechismo, la Parrocchia
SS. Salvatore, una parrocchia sita in un quartiere di
Biancavilla non molto privilegiato. Il parroco, padre
Salvatore Verzì, per me è stato un grande esempio,
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un diocesano che opera nello stile salesiano… da
piccolo lo guardavo e tra me e me dicevo che mi sa-
rebbe piaciuto un domani diventare come lui. Mi ha
sempre attirato tanto questo sacerdote, ricordo che
mi aiutava ad avvicinarmi anche alla preghiera, al
dialogo semplice e schietto con Gesù, ma soprattut-
to Dio si serviva di Lui per incominciare a lavorare
il mio cuore e renderlo più umile, ricordo quando mi
diceva sin da piccolo di essere meno vanitoso, di con-
tinuare ad essere servizievole verso i più bisognosi e
se oggi ho un minino di questa sensibilità di ricerca
degli “zero del mondo”, degli ultimi, lo devo a lui,
alla sua testimonianza quotidiana sempre presente.
Correva l’ottobre 2010 quando incominciai a far
parte della compagnia teatrale db Friends, una
compagnia che opera all’interno dell’istituto. Il re-
gista è Vincenzo Licari, persona che ha lasciato un
segno indelebile nella mia vita. Ricordo che era il
10 ottobre 2010 quando per la prima volta sono an-
dato a vedere un loro spettacolo, non appena finito
salgo dietro le quinte per conoscere il regista, per
complimentarmi e chiedergli se potevo frequentare
la compagnia anche io… lui mi saluta e mi dice “ti
aspetto martedì, la compagnia è aperta a tutti” Non
mi chiese quali abilità io avessi, mi sorrise soltanto
«e cominciavamo ad essere amici» proprio come don
Bosco fece con Bartolomeo Garelli. E fu così che
martedì 19 ottobre 2010 mi presento dalle suore
alle ore 20:00. Da lì incominciò tutto. Grazie alla
compagnia ho ripreso a frequentare le suore, cosa
che dalle medie non facevo più perché l’oratorio
era stato chiuso. Grazie alla compagnia ho cono-
sciuto sempre più don Bosco. Da subito sentivo che
qualcosa in me stesse cambiando, come se qualcuno
mi volesse parlare... sentivo che stare in una casa
salesiana e mettermi a servizio dell’altro mi dava
serenità e mi rendeva felice.
Una delle mie rassicurazioni è stata la preghiera. Mi
colpiva tanto vedere nei vangeli come Gesù dopo
una giornata intensa di annuncio e guarigione si riti-
rava sempre sul monte a pregare, e su questo esempio
provavo a ricalcare la nuova linea che Lui stava trac-
ciando. E allo stesso modo di come si frequentano
una coppia di giovani, lo scoprirsi, il loro conoscersi
mettendo a nudo le proprie fragilità… piano piano
mi sono sentito “corteggiato” da Gesù che con la
sua delicatezza non ha invaso il mio cuore, non ha
violentato il mio intimo… mi attirava quel sentirmi
contemplato in silenzio mentre ero davanti a lui in
adorazione mentre provavo ad ascoltare quel tanto
che gratuitamente mi diceva su di sé.
Piano piano mi rendevo conto che Lui non è un
Dio dell’assenza come razionalmente potrebbe
sembrare. Quando intimamente facevo esperienza
della sua presenza, anche nei momenti di assenza,
influenzati da tutto ciò che mi circondava, da tutto
ciò che indeboliva la mia volontà di scegliere, mi
veniva sempre più facile non dubitare di essere stato
in Lui e Lui in me (avere Dio nel cuore e il Cuore
in Dio), non dimenticavo il valore di ciò che rice-
vevo e di ciò che avevo vissuto.
Dopo queste esperienze sentivo il bisogno di essere
utile, di andare incontro al prossimo, proprio come
mi insegnava il mio parroco, e vedevo che questo alle
volte veniva con naturalezza, anzi, a volte gli altri me
ne facevano rendere conto. Più cresceva la mia storia
con Dio più avevo da condividere con il mio pros-
simo. Era bello vedere come attraverso le scritture,
attraverso le persone che mi met-
teva accanto, Dio si relazionava
con me. Più continuavo a cercare
Dio più Lui continuava a cercare
di essere in dialogo con me.
L’opera ha una
parrocchia con
due locali
(chiesa superiore
e chiesa
inferiore) con
10mila fedeli,
ed un oratorio.
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LE CASE DI DON BOSCO
Qual è la tua missione ad Alcamo?
Svolgo il primo anno di tirocinio, una delle fasi di
formazione salesiana. Do una mano all’incaricato
dell’oratorio ed inoltre mi rendo disponibile per
quel che posso fare. Città di mare e di collina, di
spiaggia e di campagna, Alcamo, è un centro di
50mila abitanti dove si trovano chiese che sono
veri e propri scrigni d’arte, tanto da essere uno
dei centri più rinomati della provincia trapanese
per storia, cultura e tradizioni. E l’ottimo vino
bianco.
Com’è cominciata l’opera di Alcamo?
Da quando ci sono i salesiani?
Dopo varie negazioni, Domenica 5 Ottobre 1958 i
Salesiani furono accolti ad Alcamo e tre indimen-
ticabili figli di don Bosco: don Girolamo Giardi-
na, in qualità di Parroco, don Giuseppe Falzone in
qualità di Direttore dell’Oratorio ed il coadiutore
Antonino Miraglia inaugurarono la tanto attesa
Casa Salesiana. Superando le varie difficoltà bu-
rocratiche con pazienza, prudenza e lungimiranza,
riuscirono a costruire la nuova Chiesa Parrocchiale
Anime Sante e l’Oratorio Don Bosco Centro Gio-
vanile Salesiano. Grazie al loro carisma i fondatori
attirarono, come una calamita, tanti giovani della
cittadinanza alcamese.
Com’è strutturata attualmente l’opera?
L’opera ha una parrocchia con due locali (chiesa
superiore e chiesa inferiore) con 10 mila fedeli, ed
un oratorio. La diocesi ci ha affidato anche una
parrocchia sita ad Alcamo Marina, zona di mare.
Inoltre vicino alla nostra casa c’è un quartiere de-
nominato “Maria Ausiliatrice”, uno dei quartieri
più poveri della città, in cui noi salesiani assieme ai
volontari, ci rechiamo per attuare in pieno il siste-
ma preventivo di don Bosco.
Negli anni sono stati portati avanti diversi progetti
per coinvolgere maggiormente i ragazzi e tutte le
famiglie. Ad oggi sono quasi 30 i gruppi presenti
nella nostra opera. Dai più piccoli ai più grandi:
tutti sulle orme del nostro amato don Bosco.
Come sono i giovani alcamesi?
Sono giovani molto capaci, con molte qualità ar-
tistiche. Sono molto affezionati ai salesiani. Sono
indirizzati alla fede e hanno molta volontà di pro-
seguire per la giusta strada. Noi salesiani li aiutia-
mo a mantenere sempre la giusta rotta.
Com’è il vostro rapporto
con la chiesa locale?
Molto ricco e articolato. Nel senso che viviamo
con costante partecipazione le scelte della Chiesa
I giovani
alcamesi
sono molto
capaci, con
magnifiche
qualità
artistiche.
Sono molto
affezionati ai
salesiani.
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TRE DOMANDE AL DIRETTORE DON LUIGI PERRELLI
Qual è la tua più bella soddisfazione?
Poter vivere una grande eredità. La comunità religiosa
e la comunità educativo pastorale fin dal loro inizio (5
ottobre 1958) hanno significato molto per la città di Al-
camo che non a caso ha dedicato due vie a due confra-
telli (don Giardina e don Russo Enrico), la cittadinanza
onoraria al fondatore e grande salesiano don Giuseppe
Falzone il cui nome risuona alle origini del Movimen-
to Giovanile Salesiano e degli Amici Domenico Savio
e una piazza a don Bosco e un quartiere a Maria Au-
siliatrice. Una costante vitalità educativa e pastorale
che nell’open day del 13 ottobre 2019 vedeva presenti
26 gruppi dai ragazzi agli adulti attivi e operanti e una
real­tà catechistica di circa 600 fanciulli e ragazzi. E non
mia soddisfazione ma un bene per tutti l’avere, anche
con le restrizioni e attenzioni necessarie, realizzato
nel paese l’unica Estate Ragazzi veramente creativa e
a seguire un campo regionale missionario proprio nel
quartiere Maria Ausiliatrice. Un grande dono di Dio e
tanto cuore salesiano.
Il tuo problema più grosso?
L’opera è grande con due parrocchie (di cui Le Anime
Sante che è la più grande in città ed è molto frequenta-
ta e La Stella Maris che in estate è il punto di riferimen-
to di mezza città che si trasferisce ad Alcamo Marina) e
Oratorio ricco di attività e gruppi e un piccolo delizioso
santuario dedicato a Maria SS. delle Grazie. Dove sta
il problema? Alla parrocchia appartiene il quartiere
Maria Ausiliatrice (una volta Villaggio Regionale) tipica
real­tà dove si vivono molte marginalità e anche forme
di illegalità. Ma è lì che ci porta il cuore perché sentia-
mo veramente nostro l’invito di papa
Francesco e della Congregazione di
andare oltre le mura della chiesa
e questo è senza dubbio il primo
passo, quello più importante e
già si opera nonostante non si
riesca ad avere, per le tante inef-
ficienze burocratiche, locali dove
incontrare gli abitanti: tutto a cielo
aperto! Però non dobbiamo sottova-
lutare il secondo step, quello dell’acco-
glienza. Il sogno è che i nostri parrocchiani del
quartiere Maria Ausiliatrice arrivino a passare da desti-
natari a collaboratori delle attività dell’opera salesiana
in modo attivo (es. prendendo parte ai vari gruppi, alle
varie realtà compresa quella caritativa di cui sono solo
beneficiari), al fine di una integrazione che certamente
fa bene a loro ma soprattutto fa bene a noi.
Il tuo sogno per il futuro?
Essere con don Bosco “Nel Cuore del mondo”. In que-
sto tempo in cui la pandemia ha aperto una breccia
nel nostro modo di pensare la realtà, credo che siamo
chiamati a essere “i volti della speranza”, come ci indi-
ca il nostro Vescovo monsignor Fragnelli, sia come co-
munità religiosa che come CEP, ossia: desiderare pro-
fondamente di camminare insieme, mossi dallo Spirito,
facendo esperienza di vita fraterna come a Valdocco, di-
sponibili alla progettualità e alla collaborazione, verso
le diverse periferie, diventando segni profetici a servizio
dei giovani, delle famiglie e della loro vocazione umana
e cristiana, fiduciosi nell’aiuto del Signore e nella inter-
cessione di don Bosco e Maria Ausiliatrice.
La comunità
religiosa e
la comunità
pastorale
fin dal loro
inizio
(5 ottobre
1958)
hanno
significato
molto per
la città di
Alcamo.
diocesana e vicariale e le svariate iniziative come
clero, religiosi e laici impegnati nelle tipiche artico-
lazioni ecclesiali. Per converso siamo un apprezzato
riferimento per la Pastorale Giovanile e chiamati
a contribuire con la nostra identità carismatica al
cammino ecclesiale.
Come vi considera la gente?
Quindici giorni dopo il loro arrivo il Direttore scris-
se una lettera alle famiglie: “È compito vostro cu-
rare che nessuno dei vostri figliuoli rimanga fuori
dalle organizzazioni parrocchiali”. E nelle solenni
celebrazioni del 60° il presidente degli Exallievi ha
detto: “Tutti ad Alcamo siamo Salesiani perché
tutti siamo passati dall’ Oratorio”. Parole che ripete
tutte le volte che viene, l’alcamese Arcivescovo di
Acireale monsignor Antonio Raspante, esprimen-
do la gratitudine di generazioni di giovani.
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3.10 Page 30

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MEMORIE
Marco Bongioanni
Il «fratello»
di Domenico Savio
Giovanni Ambrè Roda era stato raccattato da don Bosco
a Porta Palazzo, sul mercato degli aspiranti garzoni.
Don Bosco se lo era portato a Valdocco, lo aveva
presentato a Mamma Margherita, e affidato alle «cure»
di Domenico Savio. A novant’anni ancora ricordava
e raccontava di quei tempi avventurosi, e di quel clima
di famiglia che fu il segreto di don Bosco.
«Don Bosco
metteva
d‘abitudine
qualche buon
ragazzo a fare
da angelo
custode a
qualche altro
ragazzo un
po‘ più vivace
e mi capitò
la fortuna
di avere
Domenico
a tenermi
d’occhio».
Giovanni Ambrè Roda era nato lo stesso
anno di Savio, nel 1842, il 27 ottobre.
Sùbito il colera gli aveva portato via il pa-
dre e la madre. Una famiglia amica, for-
se in qualche modo parente, lo aveva allevato fino
all’età «maggiorenne» dei 10-12 anni. A quel pun-
to, come tutti i ragazzi poveri del tempo, bisognava
andare a guadagnarsi il pane. Era andato anch’egli
a Porta Palazzo, nei viottoli dei Molassi e del Ba-
lon, sul mercato dei bocia, degli aspiranti garzo-
ni in gran parte muratori, ma anche fabbri sellai e
barbieri... L’«esposizione» di quella precoce mano
d’opera era piuttosto fitta, un ragazzino vi scompa-
riva dentro. Tuttavia lui era stato scoperto là.
Anche in mezzo alla folla don Bosco aveva il colpo
d’occhio sicuro sull’individuo, sapeva inquadrare il
dettaglio, e nemmeno quella volta sbagliò. Puntò
preciso su quel passerotto intirizzito dalla bruma
del novembre piemontese. Chi sei, come ti chiami,
hai ancora i genitori, hai già fatto la comunione e
via dicendo. La conclusione fu quella di sempre:
don Bosco invitò il ragazzo ad andare con lui.
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4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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Come due fratelli
«Gli sono andato dietro – dirà molti anni più tardi
l’Ambrè Roda – come un cagnolino. Abitava in un
caseggiato non molto lontano, una specie di cascinale
con la chiesina bell’e nuova di fianco. Arrivati al can-
cello, prima di attraversare un cortile, ha chiamato
forte: «Mamma, venite un po’ qui, venite a vedere
chi c’è». Ha gridato proprio così, ricordava, facen-
do festa, come quando arriva un parente o un figlio.
Poi ha chiamato Domenico, che io ho conosciuto in
quel preciso momento. Così ho conosciuto Mamma
Margherita e Domenico Savio, che aveva la mia stes-
sa età, e che era arrivato un poco prima di me».
Domenico era entrato nell’oratorio il 29 ottobre di
quell’anno stesso, tre o quattro settimane prima.
Ma una istantanea confidenza reciproca tra lui e
don Bosco era già scattata ai Becchi fin dal primo
lunedì del mese, quando il ragazzo si era presentato
a fare conoscenza. A Valdocco era diventato imme-
diatamente «di casa». Niente nostalgie di famiglia
o di campi: ed è anche lì un indice della grande
alternativa «familiare» che si godeva con don Bosco
in casa Pinardi.
Altrettanto bene, per sua testimonianza, venne su-
bito a trovarsi Giovanni Ambrè Roda, che prese a
considerare «casa sua» l’Oratorio e vi stette (con le
interruzioni «militari» di mezzo) oltre una quindi-
cina d’anni.
Incominciò così. «Don Bosco – sono parole sue –
metteva d’abitudine qualche buon ragazzo a fare
da angelo custode a qualche altro ragazzo un po’
più desbela (vivace); e io dovevo essere proprio un
desbela con i fiocchi se mi capitò la fortuna di avere
Domenico a tenermi d’occhio. Abbiamo fatto tanta
amicizia che ero sempre io a cercarlo: andavo dietro
di lui, giocavo con lui, studiavo con lui. E lui mi
aiutava, mi dava consigli, a patto che mi compor-
tassi come si deve, che smettessi di fare il monello
come a Porta Palazzo. Eravamo come due fratelli».
«Domenico
era abilissimo
a giocare.
Giocava bene,
molto bene,
e sapeva
vincere».
Domenico era una festa
La testimonianza che ora segue è una «scheda» ri-
costruita su altre confidenze dell’Ambré, appuntate
quando egli le fece (1932: aveva ormai 90 anni, ed
era ancora sano diritto e vivace come l’antico de-
sbela dell’oratorio), ma scritte dal confidente sen-
za la preoccupazione di doverle poi consegnare ad
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4.2 Page 32

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MEMORIE
«A cirimela
sembrava
un Ercole
scatenato.
Con quel
bastone che
maneggiava
così bene, e
con quella
linguetta
un po‘ fuori
dei denti,
batteva il
bastoncino
con una
forza che lo
mandava
a finire
lontano,
che era una
bellezza».
alcuno. Succede che anche dei molteplici appunti
personali contengano qualche originalità e possano
fare storia.
Domenico era una festa. «Domenico era abilissimo
a giocare. Giocava bene, molto bene, e sapeva vin-
cere. Le poche volte che perdeva non se la prende-
va, ci rideva sopra, era un tipo abbastanza allegro.
A cirimela sembrava un Ercole scatenato. Con quel
bastone che maneggiava così bene, e con quella lin-
guetta un po’ fuori dei denti, batteva il bastoncino
con una forza che lo mandava a finire lontano, fiii,
che era una bellezza.
Era piuttosto minuto di statura. Avevamo la stes-
sa età, pochi mesi di differenza. Nemmeno io ero
un gigante, ma lui era un po’ più minutino di me.
Gli ubbidivamo come a un
superiore, perché era talmente buono...
Otteneva quello che era giusto, sempre
senza discussioni. Tutti gli dovevano
qualche cosa di bene.
Mostrava meno degli anni che aveva, ma era del ’42
come me, era della stessa classe 1842. All’Oratorio
c’erano anche dei garzoni più grandi e grossi di noi,
erano destaca-salam (spilungoni) di 18-20 anni che
poi partivano anche militari. Grandi grossi e robu-
sti che quanto a forza ci avrebbero vinto dieci volte.
Lui però sapeva tenere testa, faceva valere le sue
buone ragioni, sempre educato ma sempre molto
deciso. Ah, non si lasciava mica mettere il piede sul
collo. Qualcuno, si sa, era un po’ sboccatino, con-
servava il gergo di Porta Palazzo, aveva certi modi
di fare che a don Bosco piacevano poco o niente.
Domenico, con belle maniere: tu ti sei dimenticato
dei patti, avevi promesso questo, ti eri impegnato
per quello, perché non hai detto così, era meglio se
facevi cosà... Non era mai pesante, era sempre con-
vincente e simpatico, aveva un ascendente su tutti.
Gli ubbidivamo come a un superiore, perché era
talmente buono... Otteneva quello che era giusto,
sempre senza discussioni. Tutti gli dovevano qual-
che cosa di bene, quindi nessuno trovava da ridire
quando metteva le sue piccole condizioni; era anche
furbo, ma voleva solo il giusto.
Raro che qualcuno lo trattasse in malo modo. Se
succedeva, quelle poche volte, lui filava zitto zitto e
se ne andava in chiesa. Dava solo un’occhiata triste,
e se ne andava...
Una volta don Bosco ci ha mandati insieme tutt’e
due ai Becchi. Da soli, si capisce, lui e io da soli.
Quella è stata una gran bella sgambata attraverso
le colline e i campi. Ne facevamo altre di sgambate,
ne facevamo molte. Non solo ai Becchi, ma in altre
parti. Ci mettevamo il tempo che ci voleva, ma pas-
sando per traverso, per le scorciatoie, neanche trop-
po. Tre quattro oracce buone, si arrivava. Avevamo
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4.3 Page 33

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buona gamba. Mamma Margherita quella volta era
già là, era partita prima.
Quel giorno dunque via. Abbiamo saltato, scher-
zato, riso come due merli. Ma non perché erava-
mo fuori: fuori andavamo sempre a volontà, non
eravamo mica in collegio. Don Bosco era una fa-
miglia, teneva sempre le porte aperte. Si andava
in città dove si voleva. Glielo dicevamo, si capisce,
ma quando faceva bisogno andavamo fuori come
chiunque. Andavamo a scuola, andavamo a com-
prare, andavamo per commissioni... Andavamo
persino a vedere i saltimbanchi a Porta Palazzo,
eravamo delle masnà (bambini). Bé, quella volta
con Domenico è stata una festa. Aveva quel modo
gentile di fare, di parlare, di segnarsi e dire una
preghiera insieme davanti ai piloni, alle chiese. Ma
poi infilava subito la strada e via di corsa. Prendimi
se riesci...
Siamo arrivati ai Becchi tutti sudati, rossi come
d’pito (tacchini). E mamma Margherita a farci la-
vare la faccia nel catino. Poi è andata nella stalla,
ha preso una scodella di legno, ha munto la vacca,
ci ha fato bere quel latte appena munto. Buono, ma
buono... Un po’ di pane e burro con un pizzichino
di zucchero... Ah è stata una festa quella volta. Il
giorno dopo è arrivato don Bosco con il grosso del-
la truppa. Noi eravamo solo l’avanguardia...».
Da monello a gentiluomo
Quando Domenico Savio se ne andò per sempre,
l’amico rimase all’Oratorio. A 17 anni si presen-
tò volontario nell’esercito: era il 1859, quando per
il Piemonte si dichiararono guerra Napoleone III
di Francia e Francesco Giuseppe d’Austria. Lo ar-
ruolarono perché suonava bene la tromba (l’aveva
imparata con Cagliero). Ma non andò al fronte, era
così giovane. Lo congedarono quasi subito, e poi-
ché la sua casa era solo l’Oratorio, ritornò con don
Bosco.
Sette anni dopo scoppiò la terza guerra per l’in-
dipendenza italiana. Allora lo richiamarono. Era
il 1866, il «ragazzo di Don Bosco» aveva 24 anni,
andò in prima linea. Combatté una tragica batta-
glia a Custoza e toccò a lui, come prima «cornet-
ta», far squillare i segnali del famoso «Quadrato
di Villafranca» eretto in difesa del futuro re Um-
berto I. Dopo di che fu sempre musico a palazzo
reale.
Da monello a gentiluomo. Quando si formò una
famiglia fu ancora don Bosco a consigliarlo e per-
suaderlo. «Don Bosco era mio padre», soleva ripe-
tere il vivacissimo orfano raccattato una mattina
d’autunno nei viottoli della vecchia Torino.
Chi lo conobbe così «onesto cittadino e buon cri-
stiano» ha potuto farsi un’idea dell’orma che due
santi – don Bosco e Domenico Savio – hanno po-
tuto lasciare nel cuore di un desbela.
Domenico
Savio era una
buona stoffa
e don Bosco
un abilissimo
sarto.
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4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
Autogrill per educatori
3 Se sento, dimentico.
Se vedo, ricordo
Ci sono tre ottimi modi per educare bene:
primo l’esempio, secondo l’esempio,
terzo l’esempio.
shutterstock.com
Dentro ognuno di noi vi è un pezzo dei ge-
nitori, un pezzo che è memorizzato laggiù
nelle radici profonde dell’anima.
È bastato vedere padre e madre, per non
poterli più dimenticare per tutta la vita: per portar-
ne per sempre il segno.
Ecco un bel mazzetto di testimonianze che prova-
no ciò che abbiamo detto.
“Di mio padre – dice il giornalista, scrittore Enzo
Biagi, – ricordo la grandissima generosità, l’apertu-
ra e la disponibilità verso tutti. Non è mai passato
un Natale, e il nostro era un Natale modesto, senza
che alla nostra tavola non sedesse qualcuno che se
la passava peggio di noi.
C’erano vecchiette incredibili, una cieca. Mio pa-
dre faceva cucinare i tortellini a mia madre prima
che andassimo a tavola, per portarli ad uno del mio
paese che era ricoverato in manicomio e nasconde-
va una bottiglietta di birra piena di vino, perché,
naturalmente, non si poteva dare vino ai matti. Vo-
leva che in quel giorno facesse qualcosa di diverso e
di più allegro. È sempre stato così”.
Anche lo scrittore Goffredo Parise ha il suo bel
ricordo del padre: “Severo, di poche parole, alto e
magro, mio padre, con la sua stessa presenza fisica
ha influito su di me trasmettendomi la capacità di
non scompormi mai”.
Il politico Giovanni Spadolini è stato, lui pure, ‘fir-
mato’ dal padre: “Il suo amore per i libri e la sua
biblioteca fornitissima in cui passava le giornate
hanno avuto un’importanza decisiva nella mia for-
mazione… Era un uomo di grande probità morale
e di grande dedizione al lavoro. Nel 1942 e 43 salvò
molti beni di israeliti, e non solo beni. Nel 1944
rimase ucciso sotto i bombardamenti mentre soc-
correva i feriti”.
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4.5 Page 35

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«Mamma mia me diceva…»
Il nome di Trilussa è noto a molti. In realtà si chia-
mava Carlo Alberto Salustri. Fu un poeta romane-
sco di grande fama, vissuto a Roma dal 1871 al 1950.
Trilussa ebbe un immenso amore per la mam-
ma, un amore così grande che svenne durante il
suo funerale. Ebbene a ricordo di essa ha lasciato
quest’affettuosa poesia trovata solo nel 1966 tra le
sue carte custodite con più cura:
“Quand’ero regazzino, mamma mia
me diceva: ‘Recordate fijolo,
quando te senti veramente solo
tu prova a recità ’n’ Ave Maria’.
L’anima tua da sola spicca er volo
e se soleva come pe’ maggia.
Ormai so’vecchio, er tempo m’è volato;
da un pezzo s’è addormita la vecchietta,
ma quer consijo non l’ho mai scordato.
Come me sento veramente solo
Io prego la Madonna benedetta
e l’anima da sola pija er volo!”.
Queste testimonianze parlano chiaro e forte: educa-
re non è salire in cattedra, ma tracciare un sentiero!
Quando pensavi che non stessi
guardando
Ecco come una figlia, ormai adulta, ringrazia la
madre per quelle cose che ha fatto «quando pensa-
va che non stesse guardando». È una testimonianza
di come l’educazione non sia fatta di gesti calcolati
in conformità a teorie complicate o di solenni pre-
diche sui grandi principi, ma di piccole, indimenti-
cabili cose e di momenti intimi e segreti che resta-
no incancellabili nella memoria e diventano parte
importante della struttura personale.
Quando pensavi che non stessi guardando, hai appeso
il mio primo disegno al frigorifero e ho avuto voglia di
continuare a stare a casa nostra per dipingere.
Quando pensavi che non stessi guardando, hai dato da
mangiare ad un gatto randagio ed è allora che ho capito
che è bene prendersi cura degli animali.
Quando pensavi che non stessi guardando, hai cucinato
L’AMORE È TERAPEUTICO
«Anni addietro sono andato a trovare un adolescente rin-
chiuso in un Istituto per minorenni. Rimasi impressionato:
trovai in quella prigione tre ragazzi omicidi.
Perché tragedie così gravi?
La maggior parte di quei ragazzi non era mai stato sulle
ginocchia della mamma, non avevano mai giocato con un
papà, non erano cresciuti con fratelli e sorelle. Erano stati
chiamati per cognome, quando non erano stati chiamati
per numero» (Oreste Benzi, sacerdote che ha dedi-
cato la vita al ricupero degli ultimi).
apposta per me una torta di
compleanno e ho compreso
che le piccole cose possono
essere molto speciali.
Quando pensavi che non
stessi guardando, hai reci-
tato una preghiera e io ho co-
minciato a credere nell’esisten-
za di un Dio con cui si può sempre
parlare.
Quando pensavi che non stessi guardando, mi hai dato
il bacio della buonanotte e ho capito che mi volevi bene.
Quando pensavi che non stessi guardando, ho visto le
lacrime scorrere dai tuoi occhi e ho imparato che, a vol-
te, le cose fanno male ma che piangere fa bene.
Quando pensavi che non stessi guardando, hai sorriso e
ho avuto voglia di essere gentile come te.
Quando pensavi che non stessi guardando, ti sei preoc-
cupata per me e ho avuto voglia di diventare me stessa.
Quando pensavi che non stessi guardando, io guardavo
e ho voluto dirti grazie per tutte quelle cose che hai fat-
to, quando pensavi che non stessi guardando.
La cosa più importante per i bambini è sapere di es-
sere amati e benvoluti. Tutto quello che vogliono è
essere accettati a pieno titolo dalla famiglia. Temono
di essere un’appendice o una specie di soprammobile
fragile e prezioso da trattare con cautela e attenzione.
«Alla sera, la mamma mi dice sempre: “Lascia in
pace il papà perché è stanco: ha lavorato tutto il
giorno”. Ma io non sono mica un lavoro!» protesta
una bambina.
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4.6 Page 36

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LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
Ripartire
dai desideri
È il tuo biglietto per le stelle /
quello lì davanti a te; / ne vedrai
di belle, / ma resta speciale, /
non ti buttare via!
A chi non è mai capitato di vivere un perio-
do di apatia e scoraggiamento? Una fase
della vita in cui i rimpianti e la delusione
sembrano prendere il sopravvento e, per
quanto ci sforziamo di vedere il bicchiere mezzo
pieno, finiamo inesorabilmente con il ricadere nel-
È un secolo che piove
in questo buco di città,
gonfia di rimpianti
e di arroganza stupida.
Anche tu in ostaggio
di una lunga redenzione,
ti offro il mio coraggio,
ma questo viaggio tocca a te...
È un biglietto per le stelle
quello lì davanti a te;
cambierai la pelle,
ma resta speciale,
non ti buttare via!
In questo inferno
di ombre piatte,
in questo vecchio luna park,
resta ribelle, non ti buttare via...
lo sconforto più nero e con il farci sopraffare da
un senso di insoddisfazione al quale non riusciamo
neppure a dare un nome e una ragione?
Che sia la conseguenza di un fallimento sentimen-
tale, di una difficoltà nel lavoro, di un cambiamen-
to al quale non eravamo preparati o, più sempli-
cemente, di un momento di crisi personale che ci
spinge a rimettere in discussione tutti i nostri punti
fermi e a rivedere l’ordine delle nostre priorità, ci
troviamo a fare i conti con la mancanza di stimoli
e motivazioni, con una sensazione non ben definita
di abulia, un misto di impotenza e frustrazione che
ci inchioda alla nostra condizione e stronca sul na-
scere ogni proposito di risalita.
Una condizione, questa, che, sebbene di per sé non
abbia età, in questo particolare momento storico
segnato da una precarietà strutturale e dallo sgre-
tolarsi dei valori e dello stesso orizzonte di senso
fatti propri dalle generazioni precedenti, sembra
riguardare soprattutto tanti giovani adulti, alle
prese con la difficoltà di individuare nuovi obiettivi
e strategie su cui far leva per restituire slancio alla
propria esistenza.
Cosa fare, allora, per tirarsi fuori dal circolo vizioso
dell’avvilimento e dell’autocommiserazione, senza
cedere alla tentazione di sentirsi sconfitti in parten-
za e lasciarsi andare ad atteggiamenti rinunciatari?
Di sicuro, non si tratta di un’impresa semplice, così
come sarebbe illusorio credere di poter ricorrere a
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4.7 Page 37

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Tocca ad ognuno chiamare
a raccolta le proprie energie
e risorse interiori per “prendere
in mano la propria vita e farne
un capolavoro”.
soluzioni preconfezionate e a buon mercato in gra-
do di offrire garanzie certe di successo. Tocca ad
ognuno chiamare a raccolta le proprie energie e ri-
sorse interiori per «prendere in mano la propria vita e
farne un capolavoro», come amava ripetere Giovanni
Paolo II rivolgendosi in modo privilegiato proprio
ai giovani. Spetta a ciascuno il difficile compito di
cimentarsi nel comporre musica e parole originali
per scrivere la propria canzone!
Certo, non è facile trovare la giusta ispirazione di
fronte al foglio bianco, e talvolta un po’ stropicciato,
della propria vita. Un suggerimento utile allo scopo
può essere, allora, quello di partire – o meglio ri-
partire – dai desideri. Come ci rammenta la stessa
etimologia del termine, la dimensione del desiderio
allude, infatti, alla capacità di avvertire la “mancanza
delle stelle” (in latino, sidera), una nostalgia ineffabile
ma acuta e, a tratti, lacerante che ci aiuta a mettere a
fuoco quello che manca nella nostra esistenza quoti-
diana, ciò di cui abbiamo bisogno e che può renderci
felici, spronandoci a scrollarci di dosso ogni inerzia
e titubanza per assecondare le nostre aspirazioni più
profonde e tendere a qualcosa di più.
Prendi una chitarra e
qualche dose di follia,
come una mitraglia
sputa fuoco e poesia.
L'arma è a doppio taglio,
ti potrai ferire un po',
non avrai un appiglio,
ma stai sveglio, tocca a te!
È il tuo biglietto per le stelle
quello lì davanti a te;
ne vedrai di belle,
ma resta speciale,
non ti buttare via!
Avrai clessidre senza sabbia
e reti per le acrobazie,
resta ribelle,
non ti buttare via!
Volerai lontano, lontano...
Tutto è in movimento,
tra pause e mutamento,
crisi e rivoluzione:
sarà la tua canzone,
la tua canzone...
(Negrita, La tua canzone, 2013)
Anche a costo di rischiare qualche ferita e brucia-
tura. Anche al prezzo di “cambiare pelle” per poter
riportare alla luce quel diamante grezzo che si cela
in ognuno di noi, ma che talvolta è troppo offuscato
dalle delusioni, dalla tristezza e dalla rassegnazione
per riuscire a manifestare appieno la sua brillantezza.
Forse può essere questa – insieme a un duro e gior-
naliero “allenamento a tollerare i fallimenti” – la via
maestra per riattivare in noi la voglia di cammina-
re, per restituire motivazioni e dinamismo alla no-
stra esistenza, per riuscire ad operare una “salutare
rivoluzione” nella nostra grigia quotidianità, nella
consapevolezza che la nostra vita è troppo preziosa
per sprecarla o buttarla via prima ancora che entri
nel vivo la partita che ciascuno di noi è chiamato a
giocare in prima persona.
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
Don Bosco…
e le zie provvidenziali
Don Bosco bussava sempre con
coraggiosa umiltà al “bancomat”
della Provvidenza Divina ed essa
fu sempre gentile con lui.
L a mattina del 23 febbraio 1887 un forte ter-
remoto fece sussultare la Liguria occidentale.
Fu il sisma più disastroso mai avvenuto in
quella terra, presumibilmente classificabile
di magnitudo da 6.4 a 7.0. Per capirci, come mi-
nimo si è trattato di un evento pari a quello che ha
sconquassato il Friuli nel 1976. I morti superarono
i 600, di cui quasi un terzo a Diano Marina rasa
al suolo, ed un altro terzo a Bajardo dove rimasero
sepolti nel crollo della chiesa quanti vi erano radu-
nati per le funzioni del mercoledì santo. Molti paesi
dell’entroterra furono letteralmente distrutti e nel
Mar Ligure si verificò persino uno Tsunami che
fece ritirare le acque del Porto di Genova di ben 10
metri e quelle di Alassio di cinque. Ci furono morti
e feriti in tutte le nove località in cui vi erano i Sale-
siani e le Figlie di Maria Ausiliatrice. Scriveva don
Bosco in una circolare del 1°marzo ai cooperatori
salesiani cui chiedeva soccorsi: “Or, coll’animo pieno
di riconoscenza verso Dio, vi annunzio anzitutto che
in mezzo a tanti feriti e morti noi non abbiamo avuto
da deplorare alcun danno personale. Salesiani e Suore,
allievi ed allieve di ogni Casa andarono esenti nonché
dalla morte, financo da ferite e da contusioni. L’unico
male fu lo sbigottimento, l’apprensione, l’ansia inde-
scrivibile, che s’impossessò di tutti, nonché il timore in-
superabile di rimanere nell’interno dei fabbricati, per
cui in alcuni luoghi della Riviera, si dovettero passare
varii giorni e varie notti attendati alla meglio e all’a-
ria aperta nei cortili e nei giardini. Ma, se andammo
esenti dalle disgrazie personali, siamo pur troppo stati
ancor noi colpiti da gravi danni materiali”.
Elencava poi quelli delle case del Piemonte e della
Toscana e quelli molto più seri delle case della Ri-
viera Ligure di Ponente “Tra questi minaccia di cadere
la facciata della chiesa del Collegio di Alassio e la Casa
di Vallecrosia presso Bordighera fu talmente rovinata,
che senza costosi lavori sarebbe inabitabile. Essa fu già
sgombrata; si dovettero chiudere le scuole pubbliche ed il
Collegio femminile annesso, inviare alle proprie fami-
glie una parte delle giovinette, e trasferire fino a Niz-
za Monferrato le altre, che rimasero orfane di genitori o
prive delle proprie abitazioni. Noto tra le altre cose che
la Casa di Vallecrosia è una delle più necessarie pel bene
della Religione e delle anime, perché in quella località
sono insediati i protestanti, i quali usano tutte le arti per
attirare a sé la gioventù di ambo i sessi e rubarle la fede;
epperciò deve essere ad ogni costo ristorata”.
Una prima zia
Senza forse sapere di questo appello, ai primi di
marzo la zia di un sacerdote noto a don Bosco, un
certo don Tribone, gli mandava una bella somma di
denaro chiedendo di pregare secondo una sua par-
ticolare intenzione.
Don Bosco vi vide la mano della Provvidenza e
immediatamente il 4 marzo li ringraziava “R.mo e
Car.mo Sig. Canonico, ho ricevuto puntualmente la ge-
nerosa offerta di L. 1.000 in cambiale. Al leggere la sua
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4.9 Page 39

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lettera mi venne da piangere di consolazione. Era da
qualche giorno che le notizie del terremoto mi avevano
afflitto non poco… Fu adunque proprio il Signore che
inspirò alla Benemerita di Lei zia il caritatevole pen-
siero di mandarci detta somma. Dio sia in ogni cosa
benedetto e benedetta la sua generosa carità. L’assicuri
pure che Maria Ausiliatrice non si mostrerà meno gene-
rosa e compierà presto la grazia incominciata”.
Altra emergenza
Don Bosco a Valdocco visse in qualche modo sem-
pre in emergenza economica, ossia con i conti in
rosso, perché spendeva per i giovani più denaro di
quanto ne avesse a disposizione. Confidava nella
Divina Provvidenza per pagare i debiti e la Prov-
videnza varie volte, è documentato, intervenne in
modo prodigioso.
È il caso di un’altra zia, quella del conte Eugenio
De Maistre, una famiglia questa particolarmente
generosa con don Bosco fin dai primi anni dell’O-
ratorio. Scrisse don Bosco il 6 marzo 1887, in piena
emergenza post terremoto:
Carissimo Sig. C.te Eugenio, nel suo passaggio a Tori-
no si compiacque di venirci a fare una visita, visita ve-
ramente di carità. Noi ci trovavamo con una scadenza
di 6 mila franchi, ricevuta alcuni minuti prima, ed era
appunto uno dei debiti lasciatimi dai nostri Missiona-
rii nel partire per la Patagonia; jeri alle 10 del mattino
fu saldato quel debito con ammirazione del creditore e
con maraviglia di me stesso che non credeva poter an-
cora fare quel pagamento. Dio benedica Lei, caro sig.
Eugenio, che ne fu benemerito portatore e benedetta la
caritatevole zia che ne fu la generosa donatrice”.
Al grazie a parole faceva seguire il compenso spiri-
tuale: “Tutti i nostri Missionarii, tutti i nostri duecen-
tocinquanta mila orfanelli pregheranno che largamente
si degni Iddio di compensarli tutti nel tempo e nella
eternità”.
Fidarsi di Dio
Don Bosco non ha dato ai Salesiani, come altri fon-
datori, un nome che richiamasse la Divina Provvi-
Nella Chiesa di San Francesco di Sales a Valdocco, un dipinto ricorda i Conti
Callori di Vignale che aiutarono molto don Bosco all’inizio della sua opera.
Don Bosco cercò l’aiuto della Provvidenza in mille modi attraverso una rete di
contatti con i benefattori che teneva viva lavorando incessantemente giorno
e notte, inviando migliaia di lettere e il Bollettino Salesiano. Soprattutto
manifesto sempre in molti modi tanta affettuosa riconoscenza.
denza, ma la Provvidenza don Bosco non se l’è trova-
ta facilmente sulla porta dell’Oratorio: se l’è cercata
personalmente in mille modi: lavorando incessante-
mente fino alla fine dei suoi giorni, sottomettendosi
sovente ad umiliazioni di vario genere, affrontando
faticosissimi viaggi in Italia, Francia e Spagna, scri-
vendo migliaia di lettere, organizzando impegnative
lotterie, pubblicando libri ed il Bollettino Salesiano,
ricevendo in udienza migliaia di persone, vivendo
momenti di forte ansietà...
Si è fidato di Dio, e visto quello che è riuscito a fare
da vivo soprattutto quello che hanno poi fatto dopo
la sua morte i suoi “figli e figlie” e i suoi Coopera-
tori, si può veramente dire che la “mano di Dio” o
“il dito di Dio” era con lui.
MARZO 2021
39

4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni  postulatore generale
 Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulatore@sdb.org
 Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di marzo preghiamo
per la canonizzazione del Servo
di Dio monsignor Giuseppe
Cognata, della Pia Società di
san Francesco di Sales, Vescovo
Titolare di Farsalo, già Vescovo di
Bova, Fondatore dell’Istituto delle
Salesiane Oblate del Sacro Cuore.
Nato ad Agrigento il 14 ottobre
1885 Giuseppe Cognata dimo-
strò fin da bambino una gran-
de ricchezza di doti e di talenti
umani. Dodicenne entrò nel
collegio salesiano “San Basilio”
di Randazzo (Catania), pronto ad
accogliere la chiamata alla vita
religiosa e apostolica tra i Sale-
siani; una vocazione fortemente
contrastata dal padre e dal non-
no. Il 5 maggio 1908 emetteva
la professione perpetua a San
Gregorio di Catania, nelle mani
dell’allora Rettore Maggiore don
Michele Rua – primo successore
di Don Bosco –, e l’anno dopo ri-
ceveva ad Acireale l’ordinazione
sacerdotale. Aveva conseguito
brillantemente la laurea sia in
Lettere sia in Filosofia ed ora
andava ai giovani non solo come
professore e assistente, ma
come sacerdote pieno di zelo. Fu
direttore di opere, ma più anco-
ra direttore di anime. Pio XI nel
Concistoro del 16 marzo 1933
nominò don Giuseppe Cognata,
in quel tempo direttore al “Sa-
cro Cuore” di Roma, Vescovo di
Bova, una Diocesi della Calabria
particolarmente povera e disa-
giata. Ricevette l’ordinazione
episcopale il 23 aprile successi-
vo nella basilica del Sacro Cuore
a Roma dal Cardinale salesiano
Augusto Hlond, oggi Venerabi-
le. Attraverso sentieri scoscesi e
mulattiere monsignor Cognata
– che aveva scelto come motto
episcopale l’espressione paolina
«Caritas Christi urget nos» – vol-
le visitare e confortare non solo
tutti i paesetti della diocesi, ma
anche i gruppi di povere fami-
glie sparse qua e là nei luoghi
più remoti e più inaccessibili.
Diede vita a una pia società di
giovani generose, disposte a
lavorare con coraggio e gioia
nei centri più piccoli, sperduti,
abbandonati. Nacque così l’8
dicembre 1933 la Congregazio-
ne delle Salesiane Oblate del
Sacro Cuore. Nel 1939 una bu-
fera infernale si scatenò contro
il Fondatore e la sua Istituzione.
Il 20 dicembre 1939 il Sant’Uf-
fizio, sulla base di false accuse,
condannò ingiustamente mon-
signor Cognata alla destituzione
dalla dignità episcopale, all’al-
lontanamento dalla diocesi e
dall’istituto da lui fondato. Egli
visse per lunghi anni nel silenzio
e nella solitudine, accolto nelle
case salesiane di Trento e Rove-
reto fino al 1952 e poi in quella
di Castello di Godego (Treviso)
fino al 1972, svolgendo un as-
siduo e apprezzato ministero di
confessore e guida spirituale.
Nella Pasqua del 1962 venne
reintegrato da papa Giovanni
XXIII nell’Episcopato. Partecipò
per volontà di papa Paolo VI al
Concilio Vaticano II. Il 29 genna-
io 1972 ebbe la gioia di sapere
il suo Istituto riconosciuto con il
«Decreto di Lode» da parte della
Santa Sede. Si spense il 22 lu-
glio dello stesso 1972 proprio a
Pellaro (Reggio Calabria), sede
iniziale dell’attività missionaria
delle Salesiane Oblate. Le sue
spoglie riposano nella casa ge-
neralizia delle Suore Oblate a
Tivoli. Nel febbraio del 2020 il
Santo Padre Francesco ha dato
il suo augusto consenso alle ri-
chieste di religiosi e laici che im-
petravano l’apertura della Causa
di beatificazione di S.E. monsi-
gnor Giuseppe Cognata, S.D.B.,
Vescovo di Bova”. Il 12 dicembre
2020 è stata ufficialmente aper-
ta l’Inchiesta diocesana presso
la Diocesi di Tivoli (Roma).
Preghiera
Dio santo e misericordioso, ascolta la preghiera dei tuoi figli:
«Anche se i potenti siedono e mi calunniano,
il tuo servo rimane fedele alla tua parola».
Con Maria Ausiliatrice imploriamo il dono della Beatificazione
di Mons. Giuseppe Cognata, testimone silenzioso della verità,
della giustizia e della misericordia,
compagno generoso della passione redentrice del tuo Figlio.
Per intercessione del tuo servo fedele,
fa’ che non smarriamo la via del bene,
ma perseveriamo nella speranza
e otteniamo la grazia che con fiducia ti chiediamo…
Tu Signore, che ascolti il grido dei poveri
e la preghiera degli innocenti perseguitati,
esaudisci la nostra supplica. Amen.
Ringraziano
Sono un giovane salesiano bie-
lorusso e sto facendo gli studi
di teologia presso lo studenta-
to di Torino Crocetta. Nel mese
di dicembre tutta la mia fami-
glia si è ammalata di Covid e
in particolare mia mamma,
dopo alcuni giorni di malattia,
si è venuta a trovare in una
situazione molto grave. Si è
sviluppata una doppia polmo-
nite che ha avuto pesanti con-
seguenze. La mamma, che già
era in ospedale, non riusciva
più a parlare né a mangiare;
i medici, non vedendo l’effi-
cacia della cure che stavano
facendo, l’hanno trasportata
nel piccolo reparto di riani-
mazione della mia città. Nel-
la mia comunità abbiamo la
fortuna di avere le spoglie del
Venerabile don Giuseppe
Quadrio e ho chiesto ai miei
confratelli di fare una Novena
implorando la sua interces-
sione per la guarigione della
mamma. Alla preghiera della
comunità si sono uniti membri
dell’ADMA, tanti amici e alcuni
monasteri di clausura. Al ter-
zo giorno della novena la mia
mamma ha avuto un improv-
viso miglioramento, che le
ha permesso di recuperare la
respirazione e la possibilità di
nutrimento. Dopo un tempo di
graduale recupero della forze,
la vigilia di Natale la mamma
è potuta ritornare in famiglia.
Voglio ringraziare il Signore
per questa grande grazia che
ha fatto alla mia famiglia per
intercessione di don Quadrio
ed esprimere il mio ringra-
ziamento a tutti coloro che
si sono uniti nella preghiera.
Ancora una volta abbiamo
sperimentato la forza della co-
munione dei santi.
Mark Naidzich – Torino
40
MARZO 2021

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO E` BENEDIZIONE
Don Vincenzo Marrone
Morto a Torino, il 29 novembre 2020, a 80 anni
«Sono di Novello, stupendo
pae­se delle Langhe cuneesi;
sono stato ordinato nel 1967 e,
dopo aver conseguito la licenza
in Teo­logia, ho ricevuto l’inca-
rico di delegato di Pastorale
giovanile, a Torino Valdocco;
un incarico che non aveva an-
cora una fisionomia precisa.
Era l’anno 1968, l’anno delle
contestazioni giovanili in Italia
e in Europa, con manifesta-
zioni, contestazioni in campo
giovanile e grande volontà di
trovare vie nuove nella società
e tra i giovani. La contestazione
aveva colpito anche i giovani
del Centro Giovanile Valdocco;
invitai i giovani dell’Operazione
Mato Grosso a unirsi a quelli di
Valdocco per rilanciare il Centro
e le sue attività: il quartiere di
Valdocco era la nostra missione.
Nel 1980 la Congregazione
Salesiana aveva lanciato il “Pro-
getto Africa” affidando ad una
o due Ispettorie Salesiane una
nazione africana; era una forma
di gemellaggio che si realizza-
va inviando confratelli volontari
e aiuti a questa ispettoria sorel-
la; alla Ispettoria di Torino era
affidata la Nigeria.
Nel 1982 era stato nominato
nuovo Ispettore del Piemonte
don Luigi Testa; con tre giovani
di Valdocco siamo andati a dare
il benvenuto e fare gli auguri
al nuovo Ispettore, allora diret-
tore a Lombriasco. Durante la
conversazione chiesi a don Te-
sta se avesse già delle richieste
per la nuova missione Nigeria;
mi rispose: “non ancora” e io
aggiunsi d’istinto: “se hai biso-
gno conta su di me!” Tre mesi
dopo mi invitava ad andare in
Irlanda per studiare l’inglese
e prepararmi alla partenza in
Nigeria. Ai giovani presenti,
sorpresi, e a tanti altri amici nei
mesi seguenti dovetti spiega-
re il perché di quella scelta. In
realtà non era una mia scelta,
ma un mettermi disponibile
a Dio e alla Congregazione. A
Valdocco ho vissuto per 14 bel-
lissimi anni, con difficoltà ma
con molte soddisfazioni; avevo
in Valdocco molti amici ed ero
molto soddisfatto di quello
che facevo. Ma il mondo è più
vasto di Valdocco ed ero ancora
abbastanza giovane per offrire
me stesso a nuove sfide e nuovi
orizzonti.
Il 5 novembre 1982, con un
confratello, Riccardo Castellino,
sono atterrato a Lagos, allora
capitale della Nigeria.
Per tre mesi siamo stati ospiti del
Vescovo, imparando la lingua lo-
cale e celebrando alla domenica
nella cappella del seminario; il
31 gennaio 1983 il vescovo isti-
tuì una nuova parrocchia che af-
fidò a noi; venendo da Valdocco
fu immediato per noi scegliere il
nome: parrocchia Maria Ausilia-
trice, che diventerà anche San-
tuario e meta di pellegrinaggi.
Accanto alla Chiesa Santuario,
negli anni, sono sorti il Centro
giovanile, i laboratori e una
scuola tecnica, una tipografia,
una clinica per assistenza sani-
taria e consulenza per i malati di
AIDS; ogni mese si contano circa
1500 casi di persone che consul-
tano il Centro.
Nell’anno 2000, dopo un “anno
sabbatico” per aggiornamento
spirituale e apostolico, trascorso
a Gerusalemme, Roma e Moshi
in Tanzania sono stato mandato
a Ibadan a completare la costru-
zione e dare inizio al Postnovi-
ziato; i postnovizi sono giovani
salesiani, ancora in formazione,
mentre completano gli studi
fanno la prima esperienza pa-
storale nei fine settimana.
Ibadan è la città più grande e
più estesa della Nigeria e in
essa facilmente si rifugiano tutti
i ragazzi che sfuggono dalle loro
famiglie e scappano dai loro vil-
laggi, per diverse ragioni e fini-
scono a vivere sotto i ponti, tra
mucchi di cartone; fanno i porta-
tori nei mercati e facilmente alla
mercè di bande della malavita.
Ai giovani salesiani abbiamo
proposto di incontrare settima-
nalmente questi ragazzi, e come
don Bosco, farseli amici, giocan-
do con loro, sentendo le loro
difficoltà, scoprendo il loro pas-
sato per aiutarli nell’affrontare
il futuro. Ogni mese li radunano
nel Centro Giovanile e trascor-
rono insieme una giornata di
festa, di amicizia, con un buon
pasto, qualche vestito, crea­ndo
amicizia e solidarietà tra di loro.
Ad Ibadan si sta costruendo una
piccola casa di accoglienza per
i più piccoli, per momenti di
malattia e per incontrarsi con
persone che possono aiutarli a
ritornare in famiglia a progetta-
re il futuro. Ad Ibadan la gente
li chiama “Bosco Boys” e sono
proprio i ragazzi a cui don Bosco
manda i suoi salesiani; con que-
sti ragazzi i giovani salesiani im-
parano ad amare i ragazzi poveri
ed abbandonati secondo lo stile
di don Bosco».
Così don Vincenzo racconta la
sua feconda missione in Africa.
Tornato in Italia, per motivi di
salute, non pensa minimamen-
te alla pensione. L’ispettore lo
destina all’opera salesiana di
San Paolo a Torino, dove è vice
parroco e aiuto all’oratorio.
Ma nel 2018 succede una par-
ticolare eleganza della Grazia.
Quando lui non se l’aspettava
più: ripartire per la Nigeria. Non
a tempo pieno, ma come lui
stesso si definisce “missionario
a chiamata”.
E all’età di 79 anni, li ha com-
piuti a fine febbraio, father
Vincenzo era ripartito per la sua
Nigeria, dove il suo cuore era
rimasto. Lui, il don Bosco di Aku-
re, Ondo, Ibadan era ritornato
per «essere con Don Bosco per i
giovani sempre!».
Poi continuò serenamente il suo
ministero al San Paolo, sempre
con tanto entusiasmo. Una do-
menica, durante la celebrazione
della Messa, un malore lo co-
strinse a fermarsi.
A noi lascia il suo testamento
spirituale: «Sono missionario
per dono di Dio, in una chiesa
missionaria e una congregazio-
ne di missionari che mi hanno
dato sempre ampi spazi e “cro-
ci” se vuoi, ma che ho sempre
amato».
MARZO 2021
41

5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
Roberto Desiderati
Scoprendo don Bosco
DEFINIZIONI
La soluzione nel prossimo numero.
IL LIBRO PIÙ RICCO
ORIZZONTALI. 1. La regione con
Bolzano - 14. Poco comune - 15.
Regole, disposizioni - 16. Dentro il -
17. Riunite, raccolte - 18. Sostanze
che provocano ossidazione se a con-
tatto con l’ossigeno - 21. Stabilimen-
to balneare - 23. Il percorso di una
pratica - 24. Sono pari nel settimo -
25. Il club degli alpinisti (sigla) - 26.
XXX - 29. Re... in Francia - 30. La
città laziale in cui nacque Fra Diavolo
- 31. Si volta nel libro - 32. Avvoca-
? to in breve - 34. La fine dell’eroe! -
35. L’ha lunga chi l’ha sciolta - 36.
Via di comunicazione - 38. L’attrice
Rossellini (iniz.) - 39. Saluti definiti-
?
vi - 40. Rendono strani i sani! - 42.
Quantità imprecisata - 43. Si occupa
di prevenzione, diagnosi e cura delle
malattie dei lavoratori.
Tra il 1873 e il 1875, sotto la spinta di papa Pio IX, don Bosco provvide
a scrivere, a più riprese, la storia dei primi quarant’anni della sua vita.
Probabilmente il libro più ricco di contenuti e di orientamenti e il più a
lungo meditato che abbia scritto don Bosco fu proprio quello che più lo
riguardava da vicino. Ne XXX dell’Oratorio egli ripercorse tutte le tappe, gli avvenimenti e le
vicende, da quelle eccezionali dei prodigi a quelle più curiose accadute nella quotidianità del
vivere. Il lasso di tempo intercorso tra quegli anni fu denso di fervore, di iniziative e di opere
importanti che si riflettono nelle pagine aventi l’obiettivo non tanto di cronaca dei fatti quan-
to di indirizzo teologico e pedagogico per i giovani. Il manoscritto rimase a lungo inedito,
fino alla prima pubblicazione avvenuta nel 1946, ma non rimase sconosciuto né tantomeno
ignorato. Anzi, come fosse un manuale vi attinsero abbondantemente don Giovanni Bonetti
per la sua Storia dell’Oratorio, pubblicata a puntate sul Bollettino Salesiano tra 1879 e 1886, e
don Giovanni Battista Lemoyne che lo riportò per intero nei primi volumi delle Memorie bio-
grafiche, integrandolo con notizie e altre testimonianze. Don Bosco attraverso lo scritto mani-
festò l’intenzione di far conoscere la sua esperienza affinché diventasse il programma di vita e
di opera dei prosecutori. Questo scopo è chiaramente
Soluzione del numero precedente suggerito nelle pagine introduttive per orientare la
lettura verso l’interpretazione del passato come paral-
lelo tra nascita e sviluppo dell’istituzione salesiana con
l’itinerario di crescita spirituale dell’individuo. Nel cor-
po del testo sono rappresentati il modello educativo e
narrati quei fatti poi diventati simbolo della missione e
del metodo salesiano.
VERTICALI. 1. I rami giovani della
vite - 2. Termosifone, calorifero - 3.
Rendere colti, istruire - 4. Segue l’ot-
tavo - 5. Audaci, arditi - 6. Il patriarca
che sfuggì al Diluvio - 7. Dimorare...
in centro! - 8. Lo nasconde l’esca - 9.
Danneggiate dal terremoto, fessura-
te - 10. Un Alessandro che fu econo-
mista e tre volte ministro - 11. Per-
corso da terminazioni nervose - 12.
Lancio o fuoriuscita di liquidi, gas
o cose - 13. Rimosso, escluso - 19.
Cittadina veneta lungo la Riviera del
Brenta - 20. Le vocali in piedi - 22.
Quella di Caserta la progettò Van-
vitelli - 27. Daniele patriota della
Repubblica di San Marco - 28. Il
nomignolo della stilista della casa
di moda Prada - 33. Il famoso Vasco
(iniz.) - 35. Libreria della Dottrina Cri-
stiana (sigla) - 37. Dorare a metà! -
38. Novecentonovantanove romani
- 39. Il notaio meno noto! - 41. Gli
estremi di Ravel.
42
MARZO 2021

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.Disegno di Fabrizio Zubani
Ldeal scoinnovento
L
a storia è accaduta da
qualche parte in Medio
Oriente. Una comunità di
tintinnò. La sorella portinaia
aprì e si trovò davanti
il contadino di una
sorelle religiose molto giovani viveva fattoria vicina.
davvero il voto di povertà. L’orto del Il contadino teneva in
convento ben curato produceva tutto mano una corda e all’estre-
ciò di cui avevano bisogno. Permet- mità della corda c’era
teva loro di nutrirsi in modo sobrio un bell’asino grigio
ma sufficiente e di provvedere a tutte dallo sguardo mite e
le altre spese indispensabili. Andava- paziente.
?
no in città a vendere fagioli, pomo- «Se lo volete, sorelle, e se ne
dori, cipolle, patate, insalate, pepero- avete bisogno, ve lo regalo»
ni sul mercato cittadino.
disse il contadino.
Essendo troppo povere per avere un La suora non credeva
veicolo, portavano le ceste a piedi e il ai suoi occhi e alle sue
monastero era piuttosto lontano dalla orecchie. Lo ringraziò
città.
calorosamente.
Un giorno, pensarono che sarebbe «Però» continuò il generoso
Una mattina, la sorella artista si
stato bello avere un asino per il tra- vicino «questo asino ha un difetto: accorse improvvisamente di non aver
sporto. Per ottenerlo, decisero di fare gli manca la coda. È nato così. Non tolto il foglietto che aveva messo ai
una novena a San Giuseppe.
è molto estetico. Ma questo non gli piedi della statua di San Giuseppe
Per farglielo capire, la sorella più arti- impedisce di essere docile e forte». all’inizio della novena. Quel piccolo
stica del convento disegnò un asinello Naturalmente la suora si affrettò a promemoria era ormai inutile.
e attaccò il disegno ai piedi della
dire che lei e la sua comunità non ve- Quando dispiegò il foglio per
statua di San Giuseppe nella cappella. devano alcun danno in quel leggero ricordare il disegno che aveva fatto
Ogni mattina e ogni sera per nove handicap, e che accettavano l’asino tre settimane prima, fu presa da un
giorni, alla fine degli uffici di Lodi e come “novizio” del convento.
sussulto di commozione.
di Vespri, aggiungevano una piccola Ci fu un’esplosione di gioia e di stu- Perché nella fretta si era dimenticata
preghiera: “San Giuseppe, tu sei
pore per la risposta di San Giuseppe. di disegnare una coda all’asino...
stato attento alle necessità della tua «Grazie, san Giuseppe. Il tuo dono
Famiglia di Nazareth, vedi la nostra
difficoltà e procuraci un asino che ci
aiuti a portare la verdura al mercato».
Il nono giorno, al mattino, il cam-
sarà trattato con grande rispetto!»
I giorni passavano. L’asino si rivelava
molto docile e molto coraggioso e
anche molto felice della sua famiglia
In quel giorno le sorelle
impararono che il Signore
non manca né d’attenzione,
panello alla porta del convento
adottiva.
né d’umorismo.
MARZO 2021
43

5.4 Page 44

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DON BOSCO NEL MONDO - Cod. Fisc.97210180580
Via Marsala 42 - 00185 Roma - Tel. +39 06 6561 2663 -
WhatsApp +39 342 9984165
donbosconelmondo@sdb.org - www.donbosconelmondo.org
TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.