Bollettino_Salesiano_201106

Bollettino_Salesiano_201106

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IL
GIUGNO
2011
L’invitato
Monsignor
Menamparampil
Un vescovo da Nobel
Le case
di don Bosco
Borgo Ragazzi
a Roma
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Come don Bosco
Ritrovare
la meraviglia
FMA
Suor Ada
del Mato
Grosso
Salesiani
nel mondo
Ucraina

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
Il cimitero
Per più di un secolo, la mia
esistenza fu segnata dalla
quiete serena delle tombe.
I miei portici dalle curve snelle
ed eleganti custodivano con
pietà e rispetto il sonno eterno
dei nobili, vegliati dalle statue di
marmo, e le umili sepolture dei
più poveri di cui si ricordava solo
la parrocchia d’appartenenza.
Il mio pesante cancello
si apriva solo per cortei
di persone meste, vestite
a lutto, sussurranti tra le
lacrime. L’unico rumore era
quello delle palate di terra che
cadevano sulle bare.
Ma più delle vetuste epigrafi è
inciso in me il ricordo di quella
domenica mattina.
Erano almeno quindici anni
che nessuno veniva sepolto nella
mia terra santa. Un gran vociare,
sempre più forte, mi scosse
dal mio triste sonnecchiare.
Aguzzai orecchi e occhi: c’era
gente che veniva verso di me. Il
cancello arrugginito si aprì con
un lamentoso cigolio. Centinaia
di piccoli piedi cominciarono a
martellare il mio suolo. Corre-
vano tra le tombe e sui vecchi
viottoli abbandonati, si insegui-
vano, saltavano, si nascondevano
dietro i pilastri. Erano bambini,
ragazzi, giovani.
Poi di colpo cessarono urla e
risate e si fece un gran silen-
zio. Una voce di adulto dolce e
profonda diede loro il benve-
nuto. Era un prete giovane che
cominciò a parlare di Dio che è
Padre e della sua bontà. Aveva
il sorriso sulle labbra e la gioia
nelle parole. Non potei fare a
meno di ricordare tanti altri
preti che avevano officiato i loro
riti avvolti nei paramenti neri,
biascicando solo parole tristi.
Per tutta la mattina, i piedi
di quei ragazzi pestarono
le erbacce dell’abbandono
e la muffa delle vecchie
pietre. Le loro grida risuona-
vano nel mio chiostro come una
sinfonia.
Svanì l’odore della morte
e, per la prima volta, assa-
porai il fremito della festa:
mi sarei messo a ballare sui miei
vecchi pilastri.
Ma durò poco. L’allegra baraon-
da fu sovrastata dagli strilli stiz-
zosi della serva del cappellano
della mia chiesa che uscì fuori di
casa infuriata, con la cuffia per
traverso e le mani sui fianchi.
Con lei inveivano una ragaz-
zina, un cane, un gatto, tutte le
galline. Sembrava lo scoppio
della guerra.
Il giovane prete, che tutti
chiamavano don Bosco, cercò
di calmarla, portò i ragazzi in
La storia
La domenica 25 maggio 1845, don Bosco portò i suoi
ragazzi, che aumentavano continuamente, nel cimitero di
San Pietro in Vincoli, costruito fuori città nel 1877 e nel
quale dal 1829 non veniva più sepolto nessuno. Sperava
di aver trovato una sistemazione temporanea, ma le au-
torità glielo proibirono e l’oratorio di don Bosco riprese a
peregrinare di domenica in domenica.
chiesa, raccontò le storie di Dio
e recitò il Rosario con loro.
Alla fine diede loro appunta-
mento, lì da me, per la domenica
successiva.
Aspettai con ansia anch’io,
ma la domenica dopo, i ra-
gazzi si affacciarono inva-
no al mio vecchio cancello.
C’era un cartello delle autorità:
«È vietato!».
Così ripresi lentamente a morire,
ma ricorderò per sempre quella
domenica in cui compresi che
cosa significa la parola “risurre-
zione”.
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Giugno 2011

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IL
IL
GIUGNO
2011
GIUGNO 2011
ANNO CXXXV
Numero 6
L’invitato
Monsignor
Menamparampil
Un vescovo da Nobel
Le case
di don Bosco
Borgo Ragazzi
a Roma
2 LE COSE DI DON BOSCO
Il cimitero
4 STRENNA 2011
Artemide Zatti
6 LETTERE
8 SALESIANI NEL MONDO
Ucraina
10 L’INVITATO
Monsignor Menamparampil
14 LE CASE DI DON BOSCO
Borgo Ragazzi
16 ESPERIENZE
17 MESSAGGIO A UN GIOVANE
18 MEDITAZIONE
20 LE CHIESE DI DON BOSCO
Il Sacro Cuore a Roma
24 FINO AI CONFINI DEL MONDO
26 FMA
Suor Ada del Mato Grosso
28 GIOVANI
30 I NOSTRI VOLONTARI
Tutti alla collina di Shasha!
32 COME DON BOSCO
Meravigliarsi
34 A TU PER TU
David Viagulasamy
36 NOI & LORO
38 I SALESIANI E L’UNITÀ D’ITALIA
40 I NOSTRI SANTI
42 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
43 LA BUONANOTTE
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Come don Bosco
Ritrovare
la meraviglia
FMA
Suor Ada
del Mato
Grosso
Salesiani
nel mondo
Ucraina
8
14
34
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina:
Un bambino in
estatica esplorazione
di un girasole. Ogni
bambino si apre alla
vita attraverso una
catena di stupori e
di meraviglie. Il com-
pito degli educatori
è conservare questa
magnifica capacità
(Shutterstock).
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
Tel./Fax 06.65612643
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web: http://biesseonline.sdb.org
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Chiara
Bertato, Pierluigi Cameroni, Luca
Cristaldi, Alessandro Iannini,
Cesare Lo Monaco, Natale Maffioli,
Alessandra Mastrodonato, Armando
Matteo, Francesco Motto, Marianna
Pacucci, José J. Gomez Palacios,
C.M. Paul, Onorino Pistellato,
Arnaldo Scaglioni, Carlo Terraneo,
Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Luciano Alloisio (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
Via della Pisana 1111 - 00163 Roma
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Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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VENITE E VEDRETE
PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA
Beato Artemide Zatti
(1880-1951) Con don Bosco comunque!
Il volto sereno di
Artemide Zatti,
ornato da un bel
paio di baffi,
ispirava fiducia e
spiritualità: «Quan-
do sto con Zatti,
non posso fare a
meno di credere in
Dio» esclamò un
medico.
L a famiglia Zatti è un’umile fa-
miglia di contadini che decide
di lasciare il proprio paese, Bo-
retto in Italia, in cerca di mag-
gior fortuna e per sfuggire alla
pellagra. L’emigrazione in Ar-
gentina, quando Artemide ha 15 anni, è una con-
seguenza necessaria della povertà della famiglia.
I Zatti sono una famiglia molto religiosa, hanno
buoni rapporti con la chiesa, pregano quotidia-
namente in famiglia, conservando una frequente
vita sacramentale. Artemide passa la sua infanzia
in parrocchia, servendo la messa e, nel resto del
tempo, lavora in campagna. Chi lo ha conosciu-
to dice di lui: “Un giovane sempre misericordioso,
allegro e gran lavoratore, umile, silenzioso e molto
affettuoso, sempre obbediente e rispettoso verso i
genitori”. Nei duri e faticosi lavori di campagna,
impara subito ad affrontare le fatiche e le responsa-
bilità che lo avrebbero sem-
pre accompagnato negli anni
di apostolato. Artemide
partecipa assiduamente
alla liturgia e vive una
profonda carità nel ser-
vizio ai malati. Due co-
lonne portanti di tutta
la sua vita.
Su queste basi Artemide
matura una spontanea e sen-
tita vocazione salesiana. La
serietà del suo impegno spi-
rituale, un sincero cammino di discernimento e la
volontà di servire Dio e il prossimo lo conducono
ad abbracciare la missione di don Bosco. La sua
vocazione sboccia dalla lettura della vita di don
Bosco, dopo aver fatto amicizia con un salesiano
“calamitante”, come era il parroco don Cavalli che
lo seguì per tutta la vita. Durante gli anni di forma-
zione si dimostra disciplinato, umile nei servizi e
nel lavoro manuale, nonché nello studio. Ai malati,
da lui tanto amati e accuditi, risulta commovente
ed edificante lo sforzo di questo giovane che lotta
per conquistare la meta della vita religiosa e sacer-
dotale, affrontando le fatiche e le prove difficili ed
aspre che la vita gli riserva. Presto, Zatti è colpito
da tubercolosi, contagiato da un giovane sacerdote
che stava aiutando proprio perché molto malato.
I superiori, date le circostanze della sua malattia,
gli propongono di professare come salesiano coa-
diutore. In questo salesiano laico rivive la celebre
espressione del Cagliero che,
davanti ai dubbi di alcuni
suoi compagni se farsi “frate”
o meno, esclama con signifi-
cativa immediatezza: “Frate
o non frate, io resto con don
Bosco”. Anche Zatti non ha
bisogno di riflettere a lungo
per capire che sacerdote o
no, intende restare con don
Bosco. E ci resta, vivendo
in pienezza l’originale
vocazione del “coadiu-
tore”.
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ascendente? Eccolo: per lui ogni ammalato era
Gesù in persona. Alla lettera! Da parte dei supe-
riori fu raccomandato un giorno di non superare,
nelle accettazioni, il numero di 30 ammalati. Lo si
sente mormorare: “E se il 31° fosse Gesù in perso-
na?”. Da parte sua non ci sono dubbi: tratta ciascu-
no con la stessa tenerezza con cui avrebbe trattato
Gesù stesso, offrendo la propria camera in casi di
emergenza, o collocandovi anche un cadavere in
momenti di necessità. Spesso la suora guardarobie-
ra si sente interpellare: “Ha un vestito per un Gesù
di 12 anni?”. Continua instancabile la sua missione
tra i malati con serenità, fino al termine della sua
vita, senza prendersi mai alcun riposo.
A sinistra: il beato
Artemide Zatti con
un confratello in
uno dei suoi rari
momenti di riposo.
Sotto: così il pittore
Mario Bogani ha
interpretato la
figura del Beato.
La vocazione di un
Salesiano Coadiutore
Consacra la sua vita ai malati, in ringraziamento
all’Ausiliatrice per essere stato guarito. Si procura
la dovuta preparazione con i titoli di farmacista e
infermiere. Responsabile in pratica dell’ospedale,
ne cura il trasferimento in una nuova sede; allar-
ga la cerchia dei suoi assistiti raggiungendo, con la
sua inseparabile bicicletta, tutti i malati della città,
specialmente i più poveri – sarà ricordato in tutta
la Patagonia come el amigo de los pobres – senza
mai esigere compensi, ma sempre generosamente
ricompensato. Conosce la strettezza dei debiti, ma
la provvidenza non gli viene mai meno. Ammini-
stra tanto denaro, ma la sua vita è poverissima: per
il viaggio in Italia gli si dovettero prestare vestito,
cappello e valigia. Amato e stimato dagli ammalati
che a volte preferiscono lui ai medici; amato e sti-
mato dai medici che gli danno la massima fiducia,
e si arrendono all’ascendente che scaturisce dalla
sua santità: “Quando sto con Zatti, non posso fare
a meno di credere in Dio”, esclama un giorno un
medico che si proclamava ateo. Il segreto di tanto
La simpatica figura di Artemide Zatti è
un invito a proporre ai giovani il fasci-
no della vita consacrata, la radicalità della
sequela di Cristo obbediente, povero e casto, il
primato di Dio e dello Spirito, la vita fraterna in
comunità, lo spendersi totalmente per la missio-
ne. I giovani sono sensibili a proposte di impegno
esigente, ma hanno bisogno
di testimoni e guide che sap-
piano accompagnarli nella
scoperta e nell’accoglienza di
tale dono. La vocazione del
salesiano coadiutore fa par-
te della fisionomia che don
Bosco volle dare alla Con-
gregazione Salesiana. Certo,
è una vocazione non facile
da discernere e da accogliere;
essa sboccia più facilmen-
te laddove sono promosse
tra i giovani le vocazioni
laicali apostoliche e viene
loro offerta una gioiosa ed
entusiastica testimonianza
della consacrazione religio-
sa, come quella di Artemide
Zatti.
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LA POSTA
I NOSTRI ESPERTI RISPONDONO
Perché Dio ha voluto
una natura tanto
malvagia?
Sono molto vecchia e sto perden-
do la fede. Sento Dio lontano e
per nulla misericordioso, se pen-
so alle terribili sofferenze umane,
non solo quelle determinate dal
cattivo uso del libero arbitrio, ma
soprattutto a quelle causate da
sconvolgimenti naturali che col-
piscono indistintamente anche i
bimbi innocenti. Se Dio è creato-
re e signore del cielo e della ter-
ra, è lui che ha voluto una natura
tanto malvagia? Ci punisce per
quel famoso peccato di disobbe-
dienza dei nostri antenati?.....
Lettera firmata
Gentile signora, le sto
scrivendo mentre i mass
media stanno riversando
le terribili immagini del
maremoto che ha colpito
il Giappone. Come per
lei, mi è difficile conciliare la mia
fede in Dio misericordioso con le
terribili immagini di devastazione e
morte. Mi riecheggia nella memoria
il lancinante urlo strozzato del so-
pravvissuto di Auschwitz: ‘Dio dove
eri?’. Tutti gli interrogativi che affolla-
no la mente si possono sintetizzare in
un’unica domanda: perché? Perché il
terremoto, lo tsunami, l’ingiustizia,
la guerra, la disuguaglianza, il razzi-
smo, la disparità sociale, la crudeltà,
la miseria, la malattia ? Perché le
aberrazioni umane che san Paolo
elenca nella sua lettera ai Romani
(1,26-31)? L’infinita saga delle debo-
lezze e delle sofferenze umane causa
di tanto sangue, lacrime, dolori, lutti,
squallore mette, continuamente e ra-
dicalmente, in discussione il senso
della fede e della vita e suscita dubbi
sull’esistenza di Dio.
Perché Dio non impedisce tanto
male? Al riguardo le risposte dei
vari Epicuro, Bayle, Feuerbach e soci
suonano caustiche ed ironiche. Dio
non può impedire il male? Allora è un
onnipotente incapace! O non vuole?
Di conseguenza è cattivo ed ingiusto!
O non può e non vuole? Così facen-
do è, nello stesso tempo, impotente e
crudele! O può e vuole? Ma come si
giustifica l’esistenza del male?
Ivan Karamazov rifiuta un dio che
permette il male; Albert Camus
punta l’indice accusatorio contro la
divinità che permette la sofferenza
delle creature innocenti.
Di fronte a questa terribile evidenza
come può reagire un cristiano? Le
propongo, senza illudermi di dissi-
pare le sue perplessità, la lettura (o
rilettura) del libro biblico di Giobbe.
In modo improprio e lacunoso lo
sintetizzo così: davanti all’infinito
dolore che affligge l’umanità, il cre-
dente non sprofonda nella più cupa
disperazione soltanto fidandosi in
Dio che appare incomprensibile alla
sua ragione. Deve essere una fede
assoluta ed incrollabile che, sola,
lo salva dalla rassegnazione e dalla
passività esistenziale. Solo se esiste
Dio è possibile all’uomo attraversa-
re l’immenso mare del dolore e del
male. Chi ha capito bene questo è
stato Gesù dall’alto della croce. Il suo
OGNI MESE
DON BOSCO
A CASA TUA
Il Bollettino Salesiano vie-
ne inviato gratuitamente a
chi ne fa richiesta.
Dal 1877 è un dono di don
Bosco a chi segue con sim-
patia il lavoro salesiano tra
i giovani e le missioni.
Diffondetelo tra i parenti e
gli amici. Comunicate su-
bito il cambio di indirizzo.
grido umanissimo e disperato: ‘per-
ché mi hai abbandonato?’, non lo ha
fatto sprofondare nella disperazione
grazie alla sua incrollabile, ed uma-
namente incomprensibile, totale fede
nel Padre. Solo la granitica certezza
che nessuna lacrima innocente, nes-
suna goccia di sangue versato, nes-
suna ingiustizia consumata cadano
nel nulla, ma tutte vengano raccolte
tra le mani di Dio che ne chiederà ra-
gione, può aiutarci, non a capire, ma
a dare un senso a tanta sofferenza.
Ermete Tessore
Docente di Filosofia
e di Religione
Perché usare
il messalino?
Sul Bollettino Salesiano, ho visto
la piccola pubblicità del «Messa-
le delle domeniche - A messa con
un amico». È da un po’ di tempo
che sto abituando i miei fedeli
a non usare né messalino né il
foglietto la domenica durante la
Messa, perché la liturgia stessa
ci educa a partecipare vedendo
e ascoltando. Nella prima dome-
nica di Avvento, novembre 2010,
abbiamo fatto in parrocchia un
incontro sulla liturgia e il relatore
ha detto, tra le altre cose, che la
liturgia è vedere e ascoltare.
Vedendo questa pubblicità, vor-
rei capire se allora va bene usare
questo messale. Secondo me si
può usare il messalino a casa,
per la propria lettura, meditazione
e preghiera e così la persona può
partecipare all’Eucaristia con un
animo già preparato per capire,
seguire e ricordare.
La ringrazio per la risposta e
(spero) dell’aiuto che mi darà:
così potrò illuminare meglio i
miei fedeli e avvicinarli sempre
di più alla mensa dell’Eucaristia
e della Parola.
Lettera firmata
Qualcuno più anziano di
me e forse di lei ricorda
come l’Azione Cattolica
italiana, ma prima ancora
all’estero al seguito del
Movimento Liturgico del
secolo scorso, avesse coniato uno
slogan che ha formato le coscienze:
«Tutti a Messa con il messalino!».
Erano tempi diversi, la liturgia era
celebrata in latino e non sempre era
comprensibile. Il messalino oltre
alle introduzioni, riportava il testo
bifronte latino-italiano. Il messalino
diventava così doppiamente valido:
per partecipare al rito, per seguire
e capire ciò che veniva proclama-
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Giugno 2011

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to, ma poi soprattutto per iniziare i
fedeli alla Parola di Dio e alla pre-
ghiera in famiglia preparandosi e ri-
prendendo la preghiera della Chiesa
per la propria preghiera personale.
Oggi, la liturgia è «quasi» compren-
sibile. Purtroppo stiamo riperdendo
il significato simbolico e i testi cele-
brativi avrebbero bisogno di passare,
per dirla con don Bosco, «da mamma
Margherita» per essere comprensibili
da tutti. Dovremmo cioè tradurli «in
lingua corrente». In atto celebrativo
non c’è tempo, e le indicazioni degli
alti livelli non sono di aiuto. Penso
soprattutto ai fedeli di lingua inglese,
noi in qualche modo ci salviamo.
Sì, don G. Carlo, la liturgia mette
in moto tutti e cinque i sensi! E per
primi il vedere e l’ascoltare. I foglietti
sono tanto comodi se sono offerti per
essere portati a casa, per riprendere
la liturgia e nutrirsene nella preghiera
personale e in famiglia durante la set-
timana. Sono quanto di più deleterio
per la celebrazione liturgica: aiutano,
ma limano la creatività del ministro
e dei fedeli, distraggono perché con-
centrano in una lettura personale del-
la Parola e non incentivano l’ascolto
attento di quanto viene proclamato.
Attraverso la proclamazione è Dio
che ci parla, è Gesù che opera oggi
nella comunità e nella Chiesa, in noi
e per noi. A lui dobbiamo prestare
massima attenzione. Possono essere
di aiuto soprattutto per il ritornello
salmico – oggi non siamo aiutati a
ricordarli e ripeterli: sono troppo lun-
ghi! – e qualora la comunità venga
invitata, come nel rito ambrosiano, a
partecipare proclamando le antifone
e il versetto del canto al Vangelo. Per
il resto dovrebbero rimanere chiusi.
È bello trovarli arrivando per prende-
re atto di ciò che la liturgia ci propor-
rà, per portarseli a casa.
Ma vengo al «Messale delle dome-
niche», sapientemente il Bollettino
Salesiano indica due prospettive: «A
Messa con un amico – Per capire
seguire ricordare». È un compagno
di vita nel tempo, segna i giorni di un
anno; i foglietti ci formano alla men-
talità corrente «usa e getta»: quanto
di più deleterio per un cristiano. Non
contiene solo i testi ma, a partire da
una introduzione che mette a fuoco gli
elementi centrali della liturgia, offre
tutto un cammino di approfondimen-
to e di preghiera che lascia un segno
nel cuore e chiede un’adesione di vita.
Questo messale, poi, con la sua impo-
stazione unica a forma di lectio divina
porta il cristiano, fedele laico o mini-
stro, al cuore di Cristo e della liturgia
stessa, forma alla vita nuova fatta di
adesione e di amore alla proposta
Che cosa è
l’anima?
L’anima? Ecco una parola miste-
riosa, leggera e discreta come
l’aria. Tu senti di aver bisogno di
quella parola, anche se non sai
veramente che cosa indichi.
Infatti la tua anima è ciò che fa
sì che tu sia vivo, fa sì che tu sia
una persona preziosa e unica
al mondo. La tua anima sei tu
stesso. Grazie all’anima tu ridi,
piangi, senti, comunichi, ami,
preghi, immagini, sogni, speri,
fai le tue scelte, progetti... Senza
l’anima saresti un cadavere fred-
do, o un filo d’erba, o magari un
cagnolino grazioso o una bestia
feroce, a caso.
L’anima non si vede, non si sa
dove sia, non si può pesarla, né
descriverla, e tuttavia è essen-
ziale nella tua vita. Un po’ come
Dio!
E lui che te l’ha data quando ha
affidato ai tuoi genitori la cura di
farti nascere. La tua anima è il
soffio di Dio nella tua esistenza.
E come Dio, è viva per sempre.
Mamma Margherita
proveniente dal messaggio liturgico
e cristiano. La praticità e la semplicità
sono un concreto aiuto perché tutti ci
possiamo accostare alla liturgia pre-
parandoci e modellando poi il nostro
vivere sulla proposta che essa ci ha
dato. È un dono alla famiglia per ricol-
legare la propria vita continuamente
alla partecipazione liturgica e da essa
trarre l’alimento per progredire nella
fede e vivere di amore.
Il cuore preparato, nonostante lettori
o ministri scalcinati, saprà rendere
viva la liturgia e il Messale avrà fat-
to il suo servizio e molto di più. Ad
esso ritornerò perché quell’incontro
non sia un tempo limitato nel mio
vivere settimanale, perché l’incontro
con Cristo e la Comunità non sia più
tanto superficiale. Così la liturgia
parlerà al nostro cuore e noi saremo
più pronti a vedere e ad ascoltare,
ad accogliere il Signore Gesù nella
nostra vita e a parteciparlo ai fratelli.
Marino Gobbin
Docente di Liturgia
Accoglienza e cordialità
salesiana
Il nostro Centro accoglienza, comunemente noto come Salesia-
num, ha consolidato nel tempo una cultura dell’ospitalità sulla
scia degli insegnamenti di don Bosco. Aperto a tutti coloro che
ricercano un ambiente familiare, servizi, buona cucina ed ambien-
ti confortevoli, il nostro centro è un’oasi perfetta per qualunque occasione di visita a Roma.
Le camere, tutte con servizi privati, sono dotate dei comfort di
base, quali televisione, telefono, aria condizionata ed internet. Vi
invitiamo a visitare il nostro complesso, grazie alla visita virtuale
sul nostro sito internet (www.salesianum.it), oppure a contat-
tarci telefonicamente (06.658751) per qualsiasi informazione o
richiesta.
Giugno 2011
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SALESIANI NEL MONDO
ONORINO PISTELLATO
Ucraina
Un papà per tutti i ragazzi
Gli occhi e il
sorriso ritrovato
dei bambini abban-
donati sono la più
bella ricompensa
per la fatica dei
salesiani.
L’autista della vecchia autoambulanza, come
ce ne sono tante qui, ha appena lasciato alle
spalle un minuscolo paesino della regione
di Leopoli. La strada costeggia il bosco,
così egli ferma la macchina e ne approfitta
per sue necessità. Ad un certo punto sente
la voce di un bimbo che piange. Incuriosito, si met-
te alla ricerca. Eccolo laggiù, è proprio un bambino
tremante per la paura, il freddo, la fame.
Lo porta subito all’ospedale. Ricostruendo con
pazienza e fatica l’episodio, si viene a sapere che
Maxim, così si chiama il bimbo, ha 5 anni, da due
giorni si trova nel bosco dimenticato o abbando-
nato dalla mamma di professione ubriacona, che
proprio nel bosco era stata con amici di bevute e
lì aveva lasciato il piccolo. Il papà se n’è andato
a vivere con un’altra donna. A causa di una
paralisi cerebrale, per fortuna in forma
leggera, il bambino non riesce a cammi-
nare bene, trascina le gambe e, se tenta
di correre, deve poi fermarsi e riposare.
Maxim, rifiutato dal padre, non amato
dalla madre, è stato poi mandato in un or-
fanotrofio statale che ospita i bambini
dai 3 ai 7 anni.
L’altro ieri la direttrice ce lo ha
portato non potendo tenerlo oltre
a quell’età e non volendo che vada
in un internato, luogo per nulla
raccomandabile in molti casi.
«È don Bosco il tuo nuovo papà»
Caro Maxim, occhi azzurri, sorridenti, ciocche di
capelli bianchi in conseguenza della paura! Ora si
lascia alle spalle una tragedia e la sua vita rinasce
alla gioia. Ha fatto il suo ingresso alla Casa-fami-
glia dei Salesiani.
“Chi è quello là?” – chiede indicando un quadro
appeso alla parete.
“È don Bosco, è il tuo nuovo papà, il papà di tutti
i ragazzi!”.
“Ma dici proprio mio papà? Oh, voglio incontrar-
lo e abbracciarlo subito. Vedo che mi sorride!”.
Con Maxim, altri 30 ragazzi dai 7 ai 18 anni, tutti
con storie di tristezza e solitudini.
Valera racconta che la mamma gli legava una gam-
ba al tavolo e se ne andava via per ore. Quando è
venuto da noi è stato tre settimane senza parlare.
Yura invece ricorda che la mamma ubriaca spe-
gneva il mozzicone di sigaretta sulla sua mano e
sulle braccia. E ci fa vedere i segni. Oleg, quando
viene il papà, a cui è stata tolta la patria potestà,
scappa dalla paura e non vuole incontrarlo.
Roman è il più vecchio: 18 anni, orgoglioso per-
ché dispone ormai del suo passaporto. È stato il
primo che ha dato il via alla Casa-famiglia. Ci
venne portato 6 anni fa da una sua zia, chieden-
doci di ospitarlo per qualche giorno perché non
sapeva dove metterlo. La mamma era scomparsa
nel 2002, il papà viveva per suo conto a Kiev.
8
Giugno 2011

1.9 Page 9

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UN POPOLO CHE RINASCE
L’accoglienza dei bambini nella Casa-
famiglia, guidata dal giovane padre
Mychajlo, è una delle attività dei Sale-
siani in Ucraina.
Vi è pure l’oratorio. E anche qui le storie di sorprese
si ripetono. Come non ricordare gli inizi all’orato-
rio di Vynnyky, grosso centro periferico di Leopoli,
14 Ottobre 2008, festa della Madonna Pokrova,
titolo caro con cui è venerata qui e che significa
Soccorritrice. Ore 14, apertura ufficiale, dopo aver
preparato con cura il locale di accoglienza, i giochi.
Attorno a noi si respira aria di diffidenza e vi è
pure distanza sospettosa da parte di qualche prete
cattolico e ortodosso. Passa una mezz’ora, nes-
suno si presenta. Ad un certo punto, quando la
nostra delusione sembra prendere il sopravvento,
si presentano 3 bimbetti, per nulla timidi, attratti
dalla musica che suonava nel cortile e dai palloni
che attendevano di essere calciati. Li accogliamo
come un regalo della Madonna e dopo i giochi
e una lauta merenda li conduciamo in cappella.
Serghiy porta il secchiello dell’acqua benedetta,
Nazar la candela, Volodja il libro.
Tre diciassettenni
e un signore elegante
Naturalmente il numero dei frequentatori dell’ora-
torio aumentò di settimana in settimana. Quest’e-
state erano più di 200.
Ucraina, terra di sorprese, di
contrasti, dal passato tragico.
800 anni senza essere mai uno
Stato, conquistata, occupata,
dominata da successivi padro-
ni. Popolo inesistente. 70 anni
di comunismo. Come distrug-
gere un popolo? All’inizio basta
togliergli la lingua perché non
parli e basta togliergli Dio perché
non creda. Quindi russificazione,
ateismo. Nel 1933, sotto Stalin il
tragico genocidio: 11 milioni di vittime della “fame artificiale” gente costretta
a morire perché gli erano stati sottratti tutti i raccolti e chi tentava di tenere
qualcosa per sé veniva fucilato.
Ora il miracolo: rinasce la nuova Ucraina, grande e glorioso popolo. Tanti i
problemi da affrontare. I Salesiani, le Figlie di Maria Ausiliatrice, i Cooperatori
sono accanto alle famiglie, sono con i giovani: scuola, formazione professio-
nale, catechesi, oratori, editrice... È una presenza, la loro, che legge negli occhi
dei giovani la speranza e nei cuori la gioia e l’amore di Dio.
Un’altra sorpresa. Un sabato sera alle ventuno circa
suona il campanello. Sono 3 diciassettenni. «Ci sia-
mo accorti, dice Anatoly a nome degli altri, ci sia-
mo accorti che ciò che stiamo facendo ci porta sulla
strada sbagliata. Meglio venire da voi». E come se-
gno di amicizia ci offrono due piccole icone.
La voglia di raccontare ci prende la mano.
È la festa di don Bosco. Fine gennaio 2011. An-
drij, giovane salesiano incaricato dell’oratorio, ha
appena terminato di prendere parte alla celebra-
zione nella sede centrale con il vescovo. S’avvia in
fretta a prendere l’autobus, deve aprire l’oratorio
per far festa con i suoi ragazzi e deve pure provve-
dere qualche cosa per una merenda di festa.
Una macchina elegante guidata da un signore di-
stinto si ferma e lo invita a salire. Qui la talare del
prete è un segno di rispetto per molti.
Convenevoli, presentazione, indicazione della de-
stinazione. «Ecco, sono arrivato, mi lasci pure qui.
La ringrazio moltissimo». La macchina si ferma
invece un po’ più avanti. Il signore invita il salesia-
no a entrare nel supermercato, insieme fanno una
spesa solenne: frutta, biscotti, cioccolato, succhi...
I bambini fanno una festa maiuscola. Ora quel
signore sa chi è don Bosco e che cosa fanno i Sa-
lesiani.
Ragazzi, Salesiani
e animatori in gita.
Dopotutto, don
Bosco è l’inven-
tore del trekking
giovanile.
Giugno 2011
9

1.10 Page 10

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L’INVITATO
C.M. PAUL
Un vescovo da
premio Nobel
Incontro con monsignor Thomas Menamparampil
salesiano arcivescovo di Guwahati.
Un gruppo musulmano ha detto:
«Siamo venuti qui solo perché
l’arcivescovo Thomas ci ha invitati
a questo incontro di pace».
Il salesiano Thomas
Menamparampil è arcivescovo di
Guwahati. Negli ultimi 15 anni ha
portato a termine con successo
importanti iniziative di pace.
Un’immagine simbolica di monsignor Thomas:
«dobbiamo passare ad una pedagogia della per-
suasione, secondo lo stile di don Bosco».
T utto è cominciato con una
suora missionaria che visitò
campi di assistenza in cui
avevano trovato rifugio
250000 persone dopo il
conflitto tra Bodo e Adivasi-
Santal nel 1996.
«Molti bambini sono ammalati e
moriranno tutti», riferì la suora.
«Quelle parole mi colpirono e mi
scossero dal senso di impotenza che
provavo di fronte a un problema così
grave», ricorda l’arcivescovo. «Ho
cominciato conducendo nei campi di
assistenza persone con limitate com-
petenze in quell’ambito specifico, ma
dotate di buona volontà: seminaristi,
giovani in cammino vocazionale, no-
vizi. Fornivo costantemente informa-
zioni all’esterno su ciò che cercavamo
di compiere. Vedendo il nostro lavoro,
cominciarono ad arrivare infermieri,
medici, studenti universitari da ogni
parte dell’India. Avviammo un’opera
di collaborazione con altre Chiese e
chiedemmo aiuto a organizzazioni
non governative». Quando lancia un
appello per la pace, tutti lo ascoltano.
Un gruppo musulmano ha detto:
«Siamo venuti qui solo perché l’arci-
vescovo Thomas ci ha invitati a que-
sto incontro di pace». Presbiteriani o
battisti citano i suoi testi sulla pace
dicendo: «come suggerisce il “nostro”
arcivescovo». Negli ultimi anni, si
è impegnato per una “società libera
dalla corruzione”. Il suo volumetto
di 78 pagine intitolato “Onestà nella
vita pubblica” è usato come testo di
riferimento.
Oltre a essere invitato speciale al
sinodo dei vescovi per l’Asia e sulla
Parola di Dio, l’arcivescovo Menam-
parampil attualmente è presidente
della conferenza episcopale dell’In-
10
Giugno 2011

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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dia nord orientale, presidente della
commissione episcopale per l’istru-
zione e la cultura e presidente della
federazione della commissione per
l’evangelizzazione della conferenza
episcopale dell’Asia.
L’arcivescovo Menamparampil, che
fa parte di varie commissioni del
Vaticano, nel 1998 ha ricevuto il
prestigioso premio per i diritti umani
“Maschio” a Mumbai.
Quando è stato ordinato
vescovo nel 1981 era molto
giovane. Qual è stata la sua
prima reazione?
Avevo appena concluso due mandati
come Preside del Don Bosco Tech-
nical School di Shillong, quando
ricevetti una lettera da parte del-
la Nunziatura Apostolica che mi
comunicava che ero stato nominato
vescovo di Dibrugarh. Ne fui sbalor-
dito. Pensai di aver aperto per sbaglio
una lettera destinata a qualcun altro.
Andai subito a prendere la busta
nel cestino per controllare chi fosse
davvero il destinatario. Ero proprio
io. Non c’era stato un errore.
Lessi di nuovo attentamente
la lettera. Dissi solo: «Se il
Santo Padre vuole che io
faccia questo, ho solo una
risposta: sì». Che cos’altro
avrei potuto dire?
Qual è la storia
della sua vocazione?
Naturalmente, avevo sempre
desiderato essere missio-
nario. Quello che sto per
dire può sembrare curioso,
ma quando ero bambino pensavo
come sarebbe stato bello se avessi
potuto piantare una grande croce
sull’Himalaya. Don Pompilio Doro,
un missionario salesiano, venne dalle
pendici dell’Himalaya (Sonada) a
proporre un’opera di discernimento
vocazionale nella mia scuola a Pala,
in Kerala. Ero certo che quello fosse
il mio posto. Non ebbi esitazioni ad
aggregarmi a lui. Avevo solo 14 anni
e mi apprestavo a lasciare la mia casa
per recarmi in un luogo sconosciuto
distante 3000 chilometri per entrare
in un aspirantato salesiano. Però non
mi sono mai pentito. Ogni giorno è
stata un’avventura.
Quali sono i ricordi più cari
della sua infanzia?
Ricordo mia madre che mi leggeva
l’“Imitazione di Cristo” e la “Storia
di un’anima”, l’autobiografia di santa
Teresina di Lisieux. Ricordo mio pa-
dre che insisteva perché io acquisissi
il senso di responsabilità per il bene
comune nella società. Ricordo la bea-
ta Alphonsa, dalla quale mia madre
accompagnava me, i miei fratelli e le
mie sorelle (sono il primo di 12 figli)
una o due volte all’anno. Sembra che
la santa suora e mia madre fossero
legate da una profonda sintonia.
Ricordo i miei superiori salesiani, ai
quali sono sempre stato molto legato,
che hanno portato gioia e fiducia
nella mia vita e forse hanno seminato
in me un certo coraggio. Ricordo di
Monsignor Menamparampil durante un colloquio
di pace. Quando lancia un appello lui, tutti lo
ascoltano.
Giugno 2011
11

2.2 Page 12

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L’INVITATO
aver incontrato Tenzing a Darjee-
ling, subito dopo che ebbe scalato il
Monte Everest. Il suo spirito di de-
terminazione ci ha spronati. Ricordo
le mie abitudini di avido lettore che
qualche volta mi hanno creato dif-
ficoltà, ma che in anni successivi mi
sono state di grande aiuto. Ricordo il
grande sforzo che ho compiuto per
leggere l’intera opera in 19 volumi
delle “Memorie Biografiche” con il
mio italiano scolastico.
I Salesiani sono in India
da quasi un secolo.
Che significato ha avuto
la loro presenza?
Quando i primi missionari salesia-
ni giunsero nell’Assam guidati da
monsignor Louis Mathias, i cattolici
erano meno di 5000. Oggi sono un
milione e mezzo e il loro numero
è tuttora in aumento. Qualunque
visitatore si rechi nel Nord Est è
impressionato innanzitutto dalla
fede, dall’entusiasmo, dal calore, dal
dinamismo, dai buoni rapporti inter-
personali che regnano nella nazione.
Tutto questo ha in qualche modo a
che fare con la natura socievole dei
missionari salesiani che lavorano là
e che è diventata parte della natura
della Chiesa nella regione.
Anche a livello nazionale, i salesiani
hanno dato un importante contribu-
to nel campo dell’istruzione e dello
sviluppo sociale. La loro opera con i
ragazzi di strada e nell’ambito tecnico
ha sorpreso la nazione. Inoltre, i sale-
siani sono impegnati nel campo della
direzione spirituale, con la predicazio-
ne di ritiri, la pubblicazione di libri e
di interventi su vari periodici. Molti
sono impegnati in commissioni epi-
scopali a livello regionale e nazionale.
Alcuni hanno apportato contributi
creativi al pensiero della Chiesa.
Non dobbiamo poi dimenticare il
gran numero di salesiani indiani che
lavorano nelle missioni africane e
anche in altre parti del mondo.
È possibile dare un volto
indiano a don Bosco?
Forse questo è già avvenuto. Don
Bosco è diventato vivo in contesti
specifici indiani, a seconda della plu-
ralità di istanze e della natura delle
situazioni: è ciò che hanno fatto don
Maschio a Mumbai, don Mantovani
a Chennai, i reverendi Vendrame,
Ravalico e Alessi in Assam e altri.
Penso che dobbiamo considerare con
ammirazione l’opera meravigliosa e
molto innovativa che sta compiendo
l’attuale generazione di confratelli.
La nostra opera di sostegno e le ini-
ziative di pace nel Nord Est sono un
modo per rivivere il servizio prestato
da don Bosco alle vittime del colera a
Torino. La sua instancabile creatività
continua a ispirarci.
Quanti vescovi salesiani
ci sono in India? La loro
voce viene ascoltata nella
conferenza episcopale?
In India ci sono in tutto 10 vescovi
salesiani, compresi quelli in quie-
scenza. Hanno guidato commissioni
episcopali, preparato programmi
d’importanza nazionale e stilato
documenti fondamentali per la
conferenza episcopale. Le scelte per
l’istruzione della conferenza episco-
pale indiana, molto apprezzate, sono
state in gran parte frutto dell’impe-
gno salesiano. I problemi dei ceti in
difficoltà hanno riscosso attenzione
grazie ad alcuni vescovi salesiani. Il
contributo dell’arcivescovo Dominic
Jala all’animazione liturgica è stato
tenuto in grande considerazione.
12
Giugno 2011
L’arcivescovo in marcia. Recentemente ha potuto
incontrare tutte le piccole comunità cristiane del
Bhutan.

2.3 Page 13

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Quali sono le necessità
più urgenti dell’India
e dei giovani indiani?
La Chiesa deve diventare parte del
dramma indiano che si sta con-
sumando. Sembra che l’economia
indiana cresca a un ritmo impressio-
nante. Mentre i miliardari indiani
sono sempre più numerosi, crescono
di numero anche i poveri. Molte no-
stre comunità cristiane sono nate da
ambienti modesti. C’è molta strada
da fare prima che diventino comple-
tamente autosufficienti. Il servizio
dell’educazione che i salesiani offrono
ovunque operino è stato un impor-
tante contributo per la costruzione
dei destini della nazione. La forma-
zione che offriamo ai giovani non
dovrebbe renderli solo competenti ed
efficienti, ma formare anche la loro
coscienza e infondere in loro buoni
principi. La fede che seminiamo nei
loro cuori non dovrebbe essere co-
stituita solo da devozioni, ma anche
da un convinto impegno per il bene
della società e per tutti i processi
costruttivi della storia umana.
Come vede il futuro
della Chiesa in India?
Non sarà facile far vacillare una
Chiesa che in India conta 2000 anni
di storia. Penso però che sia presente
un momento di ansia nelle zone in
cui sono diffuse comunità cristiane
di recente formazione. Sembra che si
moltiplichino i casi di persecuzioni.
Inoltre, non sono certo che stiamo
gestendo i problemi nel modo giusto.
Modificherei la strategia del con-
fronto-scontro, per passare a una “pe-
dagogia della persuasione”, secondo
lo stile di don Bosco. Le persone che
ci perseguitano non sono malvagie;
sono mal guidate e poco informate.
Provo compassione per loro.
I cristiani sono perseguitati?
Di fronte all’opposizione dura che
sfocia nella persecuzione, ho aperto
varie “postazioni missionarie”. In un
mio cassetto ho ancora un giornale su
cui è scritto: «Missionari, andatevene».
Nelle stesse sedi in cui siamo stati
perseguitati, però, la gente è diven-
tata molto collaborativa, quando ha
compreso le nostre vere intenzioni.
Sembra che in India alcuni ritenga-
no che la “conversione” sia una sorta
di epidemia che può scoppiare non
appena i missionari si stabiliscono in
un luogo! È questo il motivo per cui
in certi posti diventano ostili. Quando
però comprendono che intendiamo
lavorare per loro in piena onestà e che
spetta a loro decidere che cosa desi-
derino fare della propria vita, l’atteg-
Monsignor Thomas Menamparampil con alcuni
fedeli: «Non sarà facile far vacillare una Chiesa
che in India conta 2000 anni».
giamento cambia. Ammirano molte
cose della Chiesa, ad esempio la bontà
e la forza dei nostri principi etici, che
costituiscono un appello universale.
Che cosa pensa
della Chiesa in Europa?
Mi sento molto triste, quando vedo
che la Chiesa in Europa sta sperimen-
tando momenti difficili. Ritengo però
che questa sia solo una fase passeggera.
La gente vede nella Chiesa una
struttura pesante e gravosa o un
messaggio stimolante e capace di
infondere energia? Vedono l’amore di
Dio reso visibile? La gente vede più
impegno che comodità, più convin-
zione che vantaggi? Queste riflessio-
ni possono generare energie fresche e
suscitare una sorprendente generosità
che contribuisce a un autentico rin-
novamento.
Giugno 2011
13

2.4 Page 14

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LE CASE DI DON BOSCO
ALESSANDRO IANNINI
La Valdocco
di Roma
“Mi piace il Borgo Ragazzi Don Bosco perché
studio, mi diverto... entro stufato ed esco
contento... si gioca a calcio, a biliardino, si fanno
tante attività. E perché tutti sono accoglienti.
Tutto quello che mi serve c’è... Sono contento a
stare qui perché sono libero. Non c’è nessuno
che mi dà comandi e io non mi sento sfruttato”.
Così ha risposto Radi quando gli abbia-
mo chiesto che cosa gli piace del nostro
centro. Il Borgo Ragazzi Don Bosco si
trova nel quartiere popolare di Centocel-
le a Roma. Dal 1948 ha fatto dell’ampia
accoglienza dei ragazzi la sua specifica
caratteristica e per questo è stato spesso indica-
to come la Valdocco di Roma. Ha iniziato acco-
gliendo gli “sciuscià”, gli orfani di guerra che si
trovavano alla Stazione Termini.
Oggi continua questa sua vocazione impegnan-
dosi con gli adolescenti e le famiglie in difficoltà
attraverso una molteplicità di proposte educative
in modo da poter “cucire su misura” un abito per
ciascun ragazzo.
Così oltre all’oratorio e al Centro di Formazio-
ne Professionale è presente una casa famiglia per
adolescenti con appartamenti di semiautonomia
sul territorio dove dare la possibilità ai ragazzi di
sperimentarsi nella vita con un educatore e una
famiglia di riferimento. Un movimento di circa
40/50 famiglie affidatarie e solidali composto da
famiglie e operatori professionali competenti che
si occupano di formazione e sostegno alle fami-
glie che accolgono a casa propria un minore. Inol-
tre attraverso l’SOS Ascolto giovani, un centro di
ascolto psico-pedagogico e di sostegno alla geni-
torialità, si intercetta e previene il sempre più dif-
fuso disagio psicologico e relazionale. Nel 2008
è stato trasferito al Borgo anche il Centro Acco-
glienza Minori, un centro diurno polifunziona-
le per minori sottoposti a provvedimenti penali
alternativi al carcere e dell’area della dispersione
scolastica che propone corsi personalizzati per il
recupero della licenza media e per imparare un
mestiere attraverso laboratori di cucina, sala-bar,
estetista, sartoria, meccanica, magazziniere...
«Penso che il centro Don Bosco sia una cosa
importante per noi ragazzi che magari ab-
biamo avuto problemi a superare le scuo-
le. Appena arrivato al centro l’ho trovato
accogliente e carino, mi è sembrato accogliente
perché: ci sono delle persone che si interessano a te e
14
Giugno 2011

2.5 Page 15

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ROBA DA NON CREDERE!
ti aiutano e mi è sembrato anche carino per come è
fatto e per i suoi colori allegri, la cosa più bella è che
non ci sono presidi e professori… solo volontari che ti
si mettono vicino per aiutarti” afferma Gianni, uno
dei ragazzi che frequenta il percorso di recupero
della licenza media e che è arrivato con un prov-
vedimento di messa alla prova, una misura penale
che permette ai ragazzi di ritornare incensurati se
non commettono altri reati e dimostrano di im-
pegnarsi onestamente.
Abbiamo chiamato l’area educativa che si occupa dei
minori e delle famiglie in difficoltà Rimettere le ali
perché molti dei ragazzi che arrivano da noi hanno
perso la stima di se stessi, la voglia di sognare, sono de-
motivati e feriti, hanno alle spalle esperienze negative,
separazioni, fallimenti… sembrano aver perso le ali,
sono state calpestate e strappate… ma se sperimentano
piccole esperienze positive, riprendono a volare, maga-
ri all’inizio a bassa quota, ma poi non sono pochi quel-
li che riescono a ritrovare la fiducia…” afferma don
Raffaele Panno, il salesiano Direttore del Borgo.
Codruca è una ragazza rom che ora lavora; le chiediamo di spiegarci il per-
corso svolto al Centro Don Bosco “come sono entrata dalla porta tutti erano
accoglienti e rispettosi mi hanno chiesto cosa mi serviva e con chi volevo par-
lare. Io ho detto che vorrei parlare con qualcuno per iscrivermi alla scuola e poi
ci accomodiamo e parliamo e mi metto a raccontargli le cose come stanno,
che non ho fatto tutta la scuola perché non ho avuto la possibilità come hanno
avuto tutti i ragazzi, a me piaceva tantissimo andare a scuola, ma non avevo la
possibilità, fino a quando ho trovato questa scuola.
Poi mi dicono come mi devo comportare e mi dicono che dentro alla scuola
non si fuma, non si dicono le parolacce, non si scherza durante le lezioni,
devi essere puntuale o quando non vieni devi chiamare e dire che sei in
ritardo o che non vieni che stai male, ma devi avvisare sempre, così non fai
perdere il tempo agli altri, perché se non vieni tu magari danno una mano
agli altri ragazzi.
A me sono piaciute le regole e come erano gentili, ti erano di aiuto in tutto,
nello studio, nei problemi, quando eri arrabbiata e non ti andava di studiare
trovavano il modo di darti una mano in tutto e spiegare per bene. Dopo quando
sono arrivati gli esami alla scuola alberghiera ero così nervosa che tremavo e
mi faceva male la testa e non volevo entrare, mi sono presa l’acqua e dopo ho
preso due boccate d’aria e sono entrata e ho fatto gli esami di aiuto-cuoco. I
giorni seguenti abbiamo fatto lo spettacolo con il gruppo di teatro e poi è arri-
vato il tempo dei risultati e io dicevo “Tanto lo so che non passo agli esami”…
invece no!!! Li ho superati. Non riuscivo a crederci: ero passata agli esami!!!
Guardo sul diploma che voto avevo e il voto era “buono”, quando ho visto che
era buono non riuscivo a crederci, non mi scorderò per molto tempo quella
gioia che avevo e come ero contenta.
Poi ho cominciato a fare il tirocinio, 2 mesi, e poi una borsa lavoro, 3 mesi, e
adesso lavoro, continuo a venire alla scuola Don Bosco a fare teatro e a dare
una mano come volontaria ai ragazzi in cucina durante il laboratorio”.
Ogni anno al Borgo Ragazzi Don Bosco
vengono accolti tra gli 800 e i 1000 ra-
gazzi. Dell’area “Rimettere le ali” sono 150/200
e quasi tutti ospitati gratuitamente, grazie al con-
tributo di tanti volontari (circa 120 persone) che
vengono costantemente formati attraverso una
attenta cura della comunità educativo-pastorale.
Gli interventi e i progetti educativi sono perso-
nalizzati e ogni anno l’offerta formativa viene ca-
librata in modo flessibile sui bisogni dei ragazzi,
anche grazie ad un coordinamento delle tre aree
educative: oratorio – centro di formazione pro-
fessionale – area “Rimettere le ali”.
Quest’anno la casa famiglia e il movimento fa-
miglie affidatarie compiranno 10 anni. Abbiamo
spesso problemi economici, abbiamo scelto infat-
ti di accogliere gratuitamente anche tanti ragazzi
non seguiti da nessuno, stranieri con o senza do-
cumenti, richiedenti asilo, rom e ragazzi dei no-
stri quartieri… per questo motivo siamo costan-
temente alla ricerca di donazioni e finanziamenti.
D’altra parte in questo siamo figli di don Bosco:
era capace di chiedere a tutti pur di poter rispon-
dere ai bisogni dei “suoi” ragazzi.
Giovani del Borgo
nel laboratorio
di cucina. Anche
saper confezionare
gustose tartine può
cambiare la vita.
Giugno 2011
15

2.6 Page 16

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ESPERIENZE
C.M. PAUL
Adozioni& 300 bambini dell’India
e del Nepal devono
papere tutto ad una generosa
casalinga italiana.
“Quando mio marito
e mio figlio sono
morti nel giro di un
mese, ero comple-
tamente distrutta”,
dice Luigina Danesi
una casalinga di Capriolo, un paese
in provincia di Brescia. Era il 1988.
Accettò l’invito di un sacerdote sale-
siano e si recò a Calcutta con la figlia
e il genero. Visitò le case di Madre
Teresa e le missioni dei salesiani. In-
contrò la povertà e l’estrema necessità
di tante persone. Tornò per dare una
mano per altri sei anni.
Nel 1995, mentre stava per tornare in
Italia conobbe un giovane salesiano,
don Vincent Mondol. La convinse a
visitare la sua missione e a rimandare
il ritorno di tre giorni. La portò ad
Azimganj.
Fu scossa da quello che vide. C’erano
200 bambini dai 5 ai 9 anni, 280 dai
10 ai 16. E avevano bisogno di tutto.
Padre Vincent le fa visitare quello
che possiede: due mucche da latte,
per i più denutriti, alcuni maiali e
una grande pozza d’acqua in cui
guizzavano dei pesci e sguazzavano
alcune anatre. Padre Vincent disse:
«Sarebbe bello avere ancora un po’
di anatre così da dare un uovo a tutti
i bambini una volta alla settimana.
Ora neanche uno al mese». Poi,
rivolgendosi a Luigina: «Vedi come
siamo messi. Se potessi avere qualche
adozione a distanza come le altre
missioni avrei qualche cosa in più per
i miei bambini».
Luigina aveva i soldi con-
tati per tornare in Italia, ma
fece una promessa: «Torno
a casa e ne parlo con amici,
parenti e conoscenti».
La mantenne.
Con i primi cento dollari
avuti da un’amica comprò
Luigina e due amiche a Bandel con
un bambino. In alto: Luigina con
Madre Teresa nel 1997.
un bel po’ di anatre. Oggi si moltipli-
cano che è una meraviglia e i bambi-
ni hanno uova e carne.
Fondò, con i sacerdoti di Capriolo,
l’associazione Un dono in dono e
fiorirono le adozioni di bambini a
distanza.
«Senza la generosa assistenza di Lui-
gina e amici, non sarei mai riuscito
a provvedere per circa 300 bambini
per i quali ho lavorato in Azimganj,
Krishnagar, e Kathmandu», dice don
Mondol, riferendosi all’aiuto concre-
to e tempestivo ricevuto dagli amici
di Luigina. E più di 800 studenti, in
questi quindici anni, hanno potuto
portare a termine la scuola.
16
Giugno 2011

2.7 Page 17

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MESSAGGIO A UN GIOVANE
CARLO TERRANEO - carloterraneo@libero.it
Ossigenarsi C’èunavita
interiore?
Quante volte il medico curante
– visitandoti – ti dice “respira
profondamente”, “trattieni il
respiro”…
I polmoni si gonfiano di
ossigeno.
L’estate serve anche a questo “ossige-
narsi”.
C’è una geografia dell’anima da
conoscere, un turismo interiore da
programmare allo stesso modo di
quando ti organizzi per il mare o per
la montagna.
L’anima ha bisogno di cure? si am-
mala?
Penso di sì.
I sintomi: incapacità di ascolto,
latitanza di attenzioni in casa, caduta
di speranza e progetti, movenze più
da robot che da uomo con la testa sul
collo.
È come se i tuoi pensieri fossero di
filo spinato.
La vita interiore è il fondale per tutto
quello che ti succede in superficie.
Se la trascuri per mesi e mesi ti scade
come una carta d’identità.
Diventi irriconoscibile, non identifi-
cabile. Comunque sappi – a tuo con-
forto – che non va mai in congedo.
È arruolabile tutte le volte che sei
colpito da difficoltà, da conflittualità
improvvise e inaspettate. Un po’ di
silenzio ridona equilibrio alle tante
parole che gestisci nella giornata.
La solitudine di qualche giorno, fosse
anche in un monastero, come non
pochi fanno, può diventare la torcia
che ti consente di cogliere i significa-
ti più nascosti della tua vita in ombra.
La vita interiore è vita, è esperienza.
È ripresa di desideri, e tra i desideri,
il desiderio di Dio.
Non ha confini e si estende in ogni
direzione.
Sconfina nei tuoi affetti, riappare nel
tuo sorriso, gonfia le tue lacrime.
La senti ritornare in tutte le tue
emozioni.
Ti fa ritrovare la voglia di guardare il
cielo sopra di noi.
Ti accorgi di stare bene, non intralcia
la tua corporeità. Anzi ti dà un senso
di lievitazione, di leggerezza come
non avessi un corpo.
Farsi da parte, estraniarsi per qualche
giorno è prendersi cura di sé, della
nostra attività.
Tanti tarli ci sottraggono risorse,
tempo prezioso.
Toglierli di mezzo equivale a irrobu-
stire il legno del nostro albero.
L’unica cosa che possediamo è il tem-
po. Non è da buttare. È oro prezioso.
Nessuno guarda il sole quando
risplende, mentre tutti lo guardano
durante un’eclisse.
Eclissati e ritroverai la luce del sole.
Prenditi qualche giorno e allungherai il
tempo della tua vita.
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2.8 Page 18

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MEDITAZIONE
ARNALDO SCAGLIONI SDB
I dieci sì
della vita consacrata
Che cosa bisogna fare per diventare Salesiano, Figlia di Maria
Ausiliatrice o consacrato nella Famiglia Salesiana? Basta dire sì anche
a uno solo di questi dieci sì.
1. Sì all’Amore: Gesù mi interpella e mi chie-
de: “mi ami tu?” (Gv 21,18). Certo, Gesù, che ti
amo! E in Te amo i giovani, i malati, i vecchi.
Sono tuo per amare. Sono tuo per amare tutti.
2. Sì alla libertà: “Non voi avete scelto me, ma
io ho scelto voi” (Gv 15,16).
Sei Tu o Gesù che mi vuoi. Io sono la tua scelta.
Io vivo la libertà che mi doni per liberarmi dal
denaro, dal piacere, dall’egoismo. Con Te posso
dire: “sono libero”.
3. Sì al perdono: “Va’ e non peccare più” (Gv
8,11).
Hai messo gli occhi su di me per aiutarmi, guarir-
mi, perdonarmi. Il perdono è un dono da offrire a
tutti nella mia vita. È bello perdonare. Ancora più
bello essere perdonati.
4. Sì alla fedeltà: “Tutto è compiuto”(Gv 19,30).
Tu non mi abbandoni. Moriresti in croce, ma non
mi lasceresti mai sul lastrico. Io pure. Te lo pro-
metto. Sto con Te sempre. Metto la mia mano sul
fuoco. Sì è sì.
5. Sì alla paternità/maternità: “Ci ha fatto
conoscere il Mistero del suo volere” (Ef 1,8). Vi-
cino a Te mi sento figlio. Lontano da Te ti sento
Padre. Mi sento generato quando Ti penso. Di
padre in figlio si cammina. Mano nella mano è il
viaggio della vita.
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6. Sì alla vita: “Tu solo hai parole di vita eter-
na” (Gv 6,68).
Tutto è vita: il sole, il campo, il vento. L’albero, i
pulcini attorno alla chioccia. L’aquilone che corre
verso la luce, il bambino che insegue la farfalla. Tu
sei la vita. Anch’io abito la vita.
7. Sì alla Parola e alla parola data: “Sulla
tua Parola, getterò la rete” (Lc 5,5).Tutto è Parola:
maiuscola, minuscola, corsivo, stampatello. Tutto
nella mia vita è passa-parola: amore, sacrificio,
gioia. Parola è verbo: obbedire, amare, servire.
Ogni verbo è attivo, passivo, regolare, transitivo,
intransitivo. Intransitivo sono io quando non dico
più il “ Tu”.
8. Sì alla Pazzia: I suoi cercavano Gesù perché
dicevano “è fuori di sé” (Mc 3,20). Pazzo Gesù,
pazzi i suoi discepoli. Pazzo chi si fa religioso/a,
chi si fa sacerdote. La verità è: pazzia vera è vivere
senza l’amore. Non amare è morire da pazzi.
9. Sì ai giovani: “Lasciate che i bambini ven-
gano a me” (Mc 10,14). I loro occhi vedono Dio.
Sono loro a entrare nel Regno dei cieli. Fare loro
del male è mettersi una macina al collo. Sono la
pupilla di Dio.
10. Sì a Gesù: “Seguimi” (Mc 9,9). Scegliere
Gesù non è scegliere un libro, prenotare un viag-
gio, iscriversi a una scuola. Gesù è la tua vita.
È come se dicessi: io sono tu. Da lì in poi puoi
firmarti e farti chiamare: Arnaldo di Gesù. Ange-
la di Gesù. Teresa di Gesù.
Non è importante che ci sia qualcu-
no dopo di me. È vitale, invece, che
qualcuno/a continui a seguire Gesù.
Abbiamo bisogno di discepoli e non di
successori.
Figlie di Maria Au-
siliatrice sorridenti.
Accanto al titolo:
giovani salesiani.
La vocazione reli-
giosa è una scelta
gioiosa e ricca
di soddisfazioni
umane.
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2.10 Page 20

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LE CHIESE DI DON BOSCO
NATALE MAFFIOLI
LaSBaacsirliocaCdeulore
a Roma L’ultimo dono di don Bosco
Un giornale laico di Roma annunziava così la consacrazione della chiesa del Sacro Cuore:
«In quel giorno quei preti saranno soddisfatti d’aver tirato su un monumento come quello:
quel giorno sarà più che una festa religiosa, una vera festa dell’arte». In realtà quel 14
maggio 1887 fu insieme festa della religione e festa dell’arte.
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La facciata della
Basilica è di gusto
neorinascimenta-
le, elegante e so-
brio, tutto giocato
sul contrasto tra il
rosso mattone e il
travertino. In alto:
il campanile con
la grande statua
del Sacro Cuore
in bronzo dorato.
L a basilica romana dedicata al Sacro Cuo-
re di Gesù sorge a fianco della stazione
Termini, ai margini dello spazio un tem-
po occupato dai giardini di Villa Peretti,
realizzati nel ’500 per il cardinale Felice
Peretti, il futuro Sisto V. Dopo gli anni
settanta dell’Ottocento, all’indomani della presa
di Roma, il territorio era stato sottoposto ad una
forte urbanizzazione, con la nascita di un quartie-
re occupato anche da dipendenti dei pubblici mi-
nisteri, che in quegli anni si andavano costruendo
in quella parte della città.
Già Pio IX aveva intenzione di costruire in quel-
la zona una chiesa, dedicandola a san Giuseppe,
ma si cambiò idea in seguito all’ondata di fervore
che investì tutta l’Italia per la consacrazione delle
diocesi al Sacro Cuore di Gesù. Promotore en-
tusiasta della costruzione di una chiesa a questo
dedicata fu il barnabita padre Antonio Maresca,
che diede un forte impulso all’espandersi della
devozione al Sacro Cuore in Italia.

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Dopo un inizio che parve promettente, la costru-
zione della chiesa si interruppe sia per mancanza
di fondi sia per disorganizzazione interna, fino a
che papa Leone XIII incaricò don Bosco di por-
tarla a termine.
Fatiche immani e lacrime
La situazione in cui si presentava il cantiere nel
1880 era davvero desolante; don Bosco non si
scoraggiò, anzi, propose di ampliare il primitivo
piano dell’opera con la costruzione di un coro alle
spalle dell’altare maggiore e con l’allungamento
su via Marsala di 11 metri. Poiché l’area non era
sufficiente allo scopo, acquistò altri 5500 metri
quadrati, non solo per ampliare la chiesa, ma per
costruirvi accanto un Ospizio destinato ad acco-
gliere i giovani bisognosi della capitale.
La continua penuria di mezzi e il moltiplicarsi delle
iniziative e dei viaggi per procurarli costarono a don
Bosco immani fatiche che gli abbreviarono la vita.
Gli furono sufficienti sei anni per portare a termine
l’impresa. Nel marzo del 1883 il cardinale Vicario
Parocchi benedisse il coro e il presbiterio. Il 9 mag-
gio 1884 don Bosco propose al papa Leone XIII
di assumersi le spese della facciata; l’idea fu subito
ripresa dalla stampa cattolica e nell’ottobre 1884 il
cardinale Alimonda, arcivescovo di Torino, propose
di presentare a tutta l’Italia l’erezione della facciata
della chiesa al Castro Pretorio come un monumen-
to al Sacro Cuore di Gesù, sotto gli auspici del Papa.
All’inizio del 1887 la costruzione era pres-
soché compiuta. Alla richiesta dell’archi-
tetto Vespignani di procrastinare la consa-
crazione all’anno seguente, don Bosco, che
sapeva di avere i giorni contati, rispose: “Se
volete che io assista a quella funzione, bisogna
che si faccia nella prima metà di maggio: se no
don Bosco non potrà esserci”. Il Santo arrivò a
Roma il 20 aprile 1887. Il 19 maggio, gio-
vedì, festa dell’Ascensione, don Bosco, con
il cuore pieno di gratitudine alla Vergine e
commosso fino alle lacrime, celebrò la sua
unica Messa nella nuova chiesa all’altare di
Maria Ausiliatrice.
Una festa di marmi e decorazioni
La struttura interna della chiesa si ispira alle an-
tiche basiliche romane: tre navate divise da otto
colonne e due pilastri di granito grigio, con tran-
setto e cupola; dietro l’altare maggiore si apre il
vasto coro, espressamente voluto da don Bosco.
La navata centrale e il transetto sono coperti da
un soffitto a cassettoni con i lacunari decorati con
scene evangeliche, dipinte nel 1887 dal pittore
Virginio Monti, lo stemma della Società Salesia-
na e l’immagine, a mezzo busto, del Sacro Cuo-
re di Gesù. Tra le arcate sono ricavati otto clipei
con i busti, a tutto tondo, dei dottori della Chiesa
d’oriente e d’occidente. Le volte delle navate la-
terali sono in muratura, formate da una serie di
Il soffitto a casset-
toni che copre la
navata centrale e il
transetto. I lacunari
sono decorati con
scene evangeliche.
Sopra: i cupolini
delle navate
laterali.
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3.2 Page 22

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LE CHIESE DI DON BOSCO
L’imponente altare
maggiore con l’im-
magine del Sacro
Cuore del pittore
Franz van Rohden.
Sotto: l’altare di
San Giuseppe. Il
quadro è stato rea-
lizzato dal pittore
Giuseppe Rollini.
cupolini decorati con stucchi e affreschi. Sopra il
cornicione, intervallati dai finestroni, il pittore ha
raffigurato apostoli e profeti riservando lo spazio
sulla controfacciata alle vetrate con le figure del
Sacro Cuore e dei due apostoli Pietro e Paolo, ac-
comunati a Roma nel martirio e affiancati nella
devozione.
Nessun elemento delle pareti, delle coperture e
degli altari è trascurato: decorazioni plastiche e
dipinti contribuiscono a rendere la basilica solen-
ne ed armoniosa.
Il presbiterio è occupato dall’imponente altare
maggiore dove è collocata l’immagine del Sacro
Cuore, una tela del pittore Franz van Rohden.
Gli elementi in elevato dell’altare (le colonne
che sostengono la trabeazione e il timpano) sono
seicenteschi e provengono dalla chiesa senese di
San Francesco; questi elementi furono acquistati
da don Bosco stesso che si recò espressamente a
Siena appena ebbe notizia della loro alienazione
seguita ai ‘restauri’ della chiesa. La mensa con i
gradini è opera romana, certamente eseguita su
disegno del Vespignani, che impiegò i marmi più
belli come i diversi tipi di alabastro, il giallo di
Siena, il verde antico, il pavonazzetto. Il prezioso
tabernacolo è realizzato con marmi rari e inserti
in lapislazzuli, malachite e sardonica.
I due altari del transetto, dedicati l’uno all’Ausi-
liatrice e l’altro a san Giuseppe, sono settecente-
schi. L’altare dedicato all’Ausiliatrice si articola
seguendo un modello consolidato dalla tradizio-
ne: su una mensa di marmi variegati si elevano
due colonne, di marmo rosso di Francia, con
capitelli compositi che sorreggono un timpano
spezzato di marmo pavonazzetto, che racchiude
il monogramma di Maria Ausiliatrice. Notevole
è il monumentale tabernacolo in marmi pregiati.
Quello intitolato a san Giuseppe è in tutto simi-
le, come struttura, al precedente, si discosta per
le colonne, impiallacciate in marmo rosso, che
poggiano su plinti slegati dalla mensa. È corre-
dato da una tela raffigurante il patrono, realizzata
nel 1893 a Torino dal pittore Giuseppe Rollini.
Il Santo, con accanto la Vergine, tiene in brac-
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Giugno 2011

3.3 Page 23

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NUNC DIMITTIS
cio Gesù Bambino e, a simbolica protezione della
Chiesa, stende la mano destra su un modello del-
la basilica di San Pietro presentato da un angelo
genuflesso. Lungo le navate laterali sono allineati
altri quattro altari che, negli anni, hanno subito
trasformazioni sia nella struttura sia nel santo
titolare; certamente il più interessante è quello
dedicato a don Bosco, disegnato dall’architetto
Guerra-Baldelli all’indomani della canonizzazio-
ne del Santo, con un quadro di Giovanni Paolo
Crida. A santa Maria Domenica Mazzarello, a
san Francesco di Sales e a sant’Anna sono dedi-
cati i rimanenti tre.
II 16 maggio don Bosco volle celebrare all’altare di Maria Ausiliatrice nella nuova
chiesa. Più di quindici volte ruppe in lacrime, e stentò a finire la Messa. Don
Viglietti, che l’assisteva, dovette di tratto in tratto distrarlo dalla violenta commo-
zione. Dopo Messa, la folla, intenerita alla sua pietà e al suo aspetto sofferente,
gli si strinse intorno, baciandogli i paramenti e le mani e, com’ebbe varcata la
soglia della sacrestia, lo supplicò di benedirla. «Sì, sì!» rispose don Bosco. E
salito sui gradini, che dalla prima sala mettono alla seconda, si volse per bene-
dire, alzò la mano e: «Benedico... benedico...» ripeté con voce fioca e tremante;
e, poi, dando in pianto dirotto, si coperse la faccia con ambe le mani, e fu d’uopo
condurlo via. Questo pianto impressionò talmente i presenti, che molti si misero
a piangere con lui e volevan tenergli dietro, ma per prudenza si chiusero le porte.
Interrogato perché si fosse tanto commosso durante la Santa Messa, rispose:
«Aveva così viva, innanzi ai miei occhi, la scena di quando, dai 9 ai 10 anni,
sognai della Pia Società, e vedeva ed udiva così bene la mia mamma ed i miei
fratelli questionare sul sogno, che non poteva andare avanti nel S. Sacrifizio».
Fu quella l’unica Messa che celebrò nella nuova chiesa. Indubbiamente il ricordo
di quel primo sogno, mai come allora, dovette essere così affascinante per lui!
«A suo tempo tutto comprenderai!» gli aveva detto la Vergine; e l’umile pastorel-
lo dei Bechis, dopo 62 anni, comprendeva chiaramente, come la missione, che
nella fanciullezza gli avevano additata Nostro Signore e la benedetta sua Madre,
avesse avuto, con l’erezione del tempio del Sacro Cuore di Gesù nel centro della
Cristianità, ad invito del Vicario di Gesù Cristo, la sanzione più solenne.
L’opera sua personale era compiuta: quindi, la sua partenza per l’eter-
nità, imminente.
(G.B. Lemoyne, Vita di San Giovanni Bosco, volume secondo, p. 629)
La facciata e il campanile
La facciata è di gusto neorinascimentale e il para-
mento è tutto giocato sul contrasto tra il rosso mat-
tone e il travertino; coppie di lesene corinzie in tra-
vertino ripartiscono la parte inferiore e i tre eleganti
portali di accesso sono caratterizzati da colonne in
granito che sostengono un arco, fortemente agget-
tante, in travertino; nelle lunette sono raffigurati a
mosaico il Sacro Cuore di Gesù, san Giuseppe e
san Francesco di Sales. Il registro superiore, inte-
ramente rivestito di travertino, è alleggerito da tre
ampi finestroni centinati e termina in un timpano.
Affianca la chiesa un imponente campanile dalle
forme neorinascimentali, in perfetto accordo con
la facciata, interamente rivestito di travertino. La
cella campanaria, che si apre sulla città con eleganti
trifore, contiene un concerto di cinque campane.
Domina tutto il complesso una grande statua del
Sacro Cuore in bronzo dorato, collocata nel 1931.
È un lavoro eseguito a Milano nel laboratorio di
Riccardo Politi, su disegno dello scultore Enrico
Cananeo di Torino.
L’elegante navata
centrale. Sopra:
quadri in marmo
della vita di don
Bosco.
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FINO AI CONFINI DEL MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
GERMANIA
“Cooperazione
con l’Industria”
SUDAN
Una giornata
di festa per
la consegna
dei diplomi
(ANS - Bonn) –
Circa 70 esperti di
istituzioni governa-
tive e d’ispirazione
cristiana si sono incontrati con la Procura
Missionaria Salesiana di Bonn per l’annuale
forum sulla formazione professionale. Un
argomento discusso durante tutta la giornata
è stato come collaborare con le aziende in
modo tale che beneficino entrambi i lati della
cooperazione. Don A.M. Jose ha sottolinea-
to l’importanza del lavoro in rete, a partire
dall’esperienza del Don Bosco Tech India.
Don Adolph Furtado, direttore del “Don Bo-
sco Learning Center” di Mumbai, e Michael
Mager, Direttore del personale della “Grohe
AG”, hanno illustrato il Progetto di coope-
razione “Grohe Jal-Academy”. “Nel ricercare
la cooperazione con le imprese, in qualità
di istituti educativi, dobbiamo mirare alla
migliore formazione possibile e al migliore
sviluppo per i nostri tirocinanti” ha sintetiz-
zato Jean Paul Muller, già responsabile della
Procura di Bonn ed Economo Generale della
Congregazione Salesiana.
AUSTRIA
“Vamos”
alla GMG
di Madrid
(ANS - Vienna) – Un
programma articolato e
variopinto ha caratterizzato
il festival “Vamos”, aperto
ai giovani di tutto il paese
in preparazione all’appunta-
mento di Madrid. Dal Movi-
mento Giovanile Salesiano
(MGS) dell’Austria hanno
partecipato oltre 40 ragazzi.
Dopo una catechesi sul
motto della GMG, “Radicati
e fondati in Cristo, saldi
nella fede” ad opera del
cardinale Christoph Schön-
born, arcivescovo di Vienna,
il programma ha previsto
alcune testimonianze, una
messa e una processione
fino al monastero benedet-
tino di Schottenstift. Dopo il
pranzo, che ha previsto un
menu spagnolo, i giovani
hanno potuto confessarsi e
partecipare all’adorazione
eucaristica.
(ANS - Wau) – Giovedì 31 marzo presso il
Centro di Formazione Professionale di Wau,
nel Sud del Sudan, 83 studenti hanno fe-
steggiato la conclusione degli studi. I giovani
hanno ricevuto l’attestato del “Don Bosco
Vocational Training Center”, riconosciuto dal
Governo, dalle mani delle autorità presenti
alla cerimonia: i Ministri per l’Educazione,
per la Comunicazione e per gli Affari legali,
e il Direttore dell’Educazione superiore della
regione di Bahr Al Ghazal. Nei loro discorsi
pubblici le autorità hanno manifestato il pro-
fondo apprezzamento per la Chiesa cattolica,
per tutto ciò che ha fatto e continua a fare
per la gente e soprattutto i giovani del Sudan;
ed hanno sottolineato anche una grande
ammirazione per don Bosco, conosciuto
attraverso tutto ciò che i salesiani compiono
in Sudan e, in particolare, a Wau.
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3.5 Page 25

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CINA
Don Bosco
(ANS - Hong Kong)
– Giunta a fine marzo
in Cina, l’urna di don
Bosco ha peregrinato
tra le opere salesiane di Hong Kong e Macao,
visitando molte scuole dei Salesiani e delle Fi-
glie di Maria Ausiliatrice, ricevendo ovunque
applausi e festeggiamenti ed essendo motivo
di preghiere e riflessioni. La presenza della
reliquia presso la parrocchia Maria Ausiliatrice
di Hong Kong è stata l’occasione per ricordare
il valore autentico delle reliquie e della devo-
zione ai santi e l’importanza della Confessio-
ne. Circa 2000 persone hanno inoltre venerato
la reliquia nella sua visita alla Cattedrale di
Hong Kong, seguita dalla messa celebrata
dal cardinale salesiano Joseph Zen Ze-kiun,
vescovo emerito, e da monsignor John Tong
Hon, vescovo titolare. A Macao l’urna è stata
accompagnata in processione dall’“Instituto
Salesiano” alla Cattedrale della città, con canti
e preghiere di oltre 800 persone.
SPAGNA
Accordo tra La Caixa e i Salesiani
per l’inserimento nel lavoro
(ANS - Madrid) – Prosegue l’impegno dei
Salesiani per la formazione e l’inserimento
lavorativo dei giovani, specialmente di quelli
a rischio di esclusione sociale. La Federazione delle Piattaforme
Sociali Pinardi dei salesiani di Madrid ha rinnovato l’accordo di
collaborazione con l’Opera Sociale “La Caixa”. L’intesa prevede la
partecipazione della Federazione al programma “Incorpora” dell’I-
stituto Finanziario “La
Caixa” che mira a “facili-
tare l’accesso al lavoro dei
gruppi particolarmente
vulnerabili”. L’anno scorso,
grazie al programma
“Incorpora”, 186 giovani
hanno trovato lavoro e
sono stati firmati 15 ac-
cordi con le imprese.
LA CARTOLINA
Afghanistan:
un vero eroe
di guerra
Questa è una storia tremenda, ma un reale
conforto per il cuore, quando si guarda que-
sta foto di John Gebhardt in Afghanistan.
L’intera famiglia di questa bimba è stata sterminata. I ribelli volevano uccidere
pure la piccola, sparandole alla testa, ma fortunatamente hanno sbagliato la mira
e la bimba si è salvata.
È stata curata nell’ospedale di John ed è in via di guarigione, ma continuava a pian-
gere e a lamentarsi. Le infermiere raccontano che John è l’unico che riesce a cal-
marla; John ha trascorso le ultime 4 notti tenendola in braccio e hanno dormito su
questa sedia. La piccola recupera piano piano.
John è un vero eroe di guerra.
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3.6 Page 26

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FMA
CHIARA BERTATO
Suor Ada La sua metodologia unisce fede e vita,
la promozione delle donne, il basso
costo, meno di un dollaro per ogni
bambino al mese.
del Mato
Grosso
Camminata svelta e sorriso
sempre pronto. Suor Ada
indossa abiti comuni, non
sembrerebbe una suora, se
non fosse per quel crocifisso
in legno scuro. La sua terra
d’adozione se la porta sempre appres-
so proprio grazie a questo simbolo.
Originaria della provincia di Padova,
Ada Gambarotto incontra il cari-
sma di don Bosco e diventa Figlia
di Maria Ausiliatrice. La passione
per i giovani e la fiducia in Dio la
portano lontano, in Brasile. Da oltre
cinquant’anni vive e lavora lì.
“Sono in Brasile dal 1958 – rac-
conta suor Ada – nei primi anni ho
studiato a San Paolo e fatto scuola
a Santa Caterina e Rio Grande del
Sud. Potevo insegnare inglese, filoso-
fia, biologia o religione ma nel 1969
sono stata mandata nella regione del
Mato Grosso, tra gli indigeni. Ora, a
73 anni, sono ancora con loro”.
Ogni parto è un rischio
per la vita
Le giornate sono fatte di cose sem-
plici, anzi essenziali: andare a scuola,
Carlos Neto / Shutterstock
Bagnato dagli affluenti del Rio delle Amazzoni e del
Paranà, il Mato Grosso si estende per 1 250 000
chilometri quadrati (l’Italia ne misura 324 mila), si
trova nel Brasile occidentale, confina con Bolivia
e Paraguay, ed è la più grande riserva di carne
bovina del globo. Sopra: suor Ada con uno dei suoi
ultimi “acquisti”.
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3.7 Page 27

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costruire una piccola casa, tenere in
braccio un bambino.
Siamo nella regione di Cuiabà, capi-
tale dello stato brasiliano del Mato
Grosso; fra il verde della foresta,
tanti villaggi aspettano la visita di
suor Ada. Da anni lei si occupa di un
progetto contro la malnutrizione per
ridurre la mortalità infantile tra gli
indios Parecis.
Ogni parto qui è un rischio per la
vita della madre e del bimbo: “La
mia missione da molti anni è tra
i popoli nativi dell’America Lati-
na. Nel 1983 i vescovi del Brasile,
preoccupati con la grande mortalità
materno-infantile, hanno dato il via
ad una pastorale specifica per argina-
re questa piaga. Solo nel 2002 questa
attenzione pastorale viene estesa an-
che agli indios che nel Mato Grosso
contano più di trenta etnie differenti.
Il lavoro svolto in questi anni ha
dato buoni risultati e la mortalità è
sensibilmente diminuita”.
“Quanto pesa?” chiede con ansia
Eliane Correa, madre di Lisiane,
un anno e quattro mesi. Si celebra
la crescita di sua figlia, che era nata
sottopeso e ha dovuto subire diversi
ricoveri. Oggi Lisiane pesa 8,4 kg
ed è fuori del quadro della malnu-
trizione.
“È nata con appena due chili di vita
addosso, ma oggi cresce sana grazie
alle mani e al cuore di tanta gen-
te buona” dice sua madre, che vive
nel quartiere di Boa Vista. I buoni
risultati sono dovuti alla metodologia
che unisce fede e vita, la promozione
delle donne, il basso costo, meno di
un dollaro per ogni bambino al mese,
e il continuo supporto di una chiesa
capillare nel territorio.
Risolvere il problema quando c’è,
ma soprattutto permettere a cia-
scuno di saper trovare da solo le
prossime soluzioni: “Noi suore sale-
siane sentiamo in modo particolare
l’urgenza di educare. Questa è la
mia prima attenzione, qualsiasi sia
l’attività che intraprendo” sottolinea
la missionaria.
Le farine e la jeep
C’è molto da fare! La Dichiarazione
del Millennio, adottata dalle Nazioni
Unite nel settembre 2000 stabilisce
otto obiettivi da raggiungere entro
il 2015, tra cui eliminare la povertà
estrema e la fame, ridurre la morta-
lità infantile del 50% e migliorare
l’autonomia delle donne. Traguardi
troppo ambiziosi se non si intreccia-
no le forze di tutti: religioni, governi,
ONG, imprese, media e società.
Pastoral de crianca in portoghese,
Suor Ada è in Mato Grosso dal 1969. Qui, tra fore-
ste e paludi, tanti villaggi aspettano la sua visita.
pastorale del bambino in italiano.
Al di là dei paesi e delle lingue,
l’attenzione è ai più deboli offrendo
loro un’alimentazione equilibrata. È
recente l’acquisto di una macchina
multimistura per la produzione di
farine adatte ai bambini malnutriti.
Con lei è arrivata anche una jeep per
distribuire ad ogni famiglia il necessa-
rio anche nella stagione delle piogge.
Suor Ada ci tiene a ricordare come
solo l’aiuto di tanti amici le dia i
mezzi concreti per aiutare queste
persone: “Da quando sono in Bra-
sile si è stabilito un ottimo rapporto
con gli exallievi salesiani del Veneto.
Una ottantina di famiglie sostiene da
anni altrettanti bambini indigeni. È
il progetto SAD, sostegno a distanza.
Quest’anno, nonostante la grande
crisi economica, tanti amici mi hanno
commossa con la loro generosità”.
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3.8 Page 28

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GIOVANI
ARMANDO MATTEO
Amare studiare
vi era altra possibilità, allora, che mettersi subi-
to al lavoro e contribuire al sostentamento della
famiglia. Altri tempi, per fortuna. Oggi però il
rischio di non cogliere più la grande grazia che
è lo studio è davvero alto. Ben venga dunque la
tentazione ‘primaverile’ che ci impone di riflettere
sulle ragioni per cui vale la pena studiare.
Le ragioni per cui
val la pena studiare
Studiare non è mai affare semplice
e immediato, ma con l’arrivo del-
la bella stagione può diventare
una vera e propria “sofferenza”.
Insomma, chi o che cosa ci motiva a re-
stare dentro casa o chiusi in biblioteca per
leggere libri, per sottolineare frasi, per praticare
esercizi, rinunciando invece a una piacevole pas-
seggiata in centro o al mare, a una partitella con
gli amici o a una serata a tutta birra? Insomma,
perché vale la pena studiare?
Ciascuno deve ovviamente rispondere da sé a
questa domanda, specialmente oggi che quella
dello studio, grazie a Dio, è una possibilità per
tutti. Una volta i pochi fortunati che potevano
studiare non avevano certo questo problema: lo
studio era un enorme privilegio. Ancora io ho
avuto occasione di incontrare, da piccolo, alcu-
ne persone anziane che rimpiangevano il fatto
di non aver potuto studiare al loro tempo. Non
Un’importante suggestione in tale direzione ci
potrebbe venire da una riflessione di Jean Guit-
ton, un intellettuale francese di forte valore,
che così scrive: «La cosa più bella nel lavoro in-
tellettuale […] è che il lavoro dello spirito è lo
specchio e il preludio di ciò che vi sarà più tardi
nella vita largamente prodigato. E il bimbo che
s’esercita e si dispera, colui che si incaglia dopo
aver tanto cercato, quello che è incompreso da un
maestro o che non lo comprende, tutti imparano
la vita, ancor più che la grammatica o far di conto.
Ugualmente ed anche di più, lo studente solita-
rio che non ha compiti fissi né soccorsi costanti
e che è costretto ad imporsi una disciplina da se
stesso. È raro veder pedagoghi insistere su questa
somiglianza fra la scuola e l’esistenza, che è ciono-
nostante secondo me il segreto principale di tutta
la pedagogia: a che servirebbe studiare, se ciò non
vi preparasse a quelle leggi piene di eccezioni, a
quelle gioie oscurate dai dolori, a quegli impre-
visti che domani appariranno come costellazioni
enigmatiche che devono servirci da guida? Spesso
la materia dei nostri studi è futile: a che può ser-
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Giugno 2011

3.9 Page 29

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vire, ci si chiede, fare un tema in latino, visto ch’io
non parlerò mai in latino? Ragionamento che si
potrebbe estendere a tutto nei dettagli delle no-
stre occupazioni. L’unico modo per vincerlo è di
attribuire un valore assoluto all’atto d’attenzione,
alla perfezione formale o alla pena d’un giorno,
voglio dire pensando che ogni atto d’attenzione,
di sopportazione, ogni ricerca d’una perfezione
minuta, fuori dal profitto e da qualsiasi risultato,
trova la sua ricompensa in se stessa. Chi possiede
l’anima di un poeta mi comprenderà».
Parole davvero limpide e chiare: lo studio è per la
vita, studiamo per imparare la vita. E come non
riconoscere quanto sia importante un tale “impa-
rare la vita”? Il protagonista dello splendido ro-
manzo Bianca come il latte rossa come il sangue di
Alessandro D’Avenia, Leo, a un certo punto della
storia esclama: «Il brutto della vita è che non ci
sono istruzioni!». Ed è proprio così: nella vita non
ci sono istruzioni prestabilite e fissate che valga-
no per tutti gli esseri umani, cioè un qualcosa di
simile a ciò che è il complesso e composito appa-
rato istintuale degli animali. Ognuno di noi deve
creare la sua mappa del mondo, il suo Nord e il
suo Sud, il suo Oriente e il suo Occidente. È qui –
qui e non altrove – che trae ragione una vera pas-
sione per lo studio, un vero amore per lo studio.
Tramite le pagine del libri, che ci riportano ciò che
altri prima di noi fecero, che ci raccontano come
lavora la natura, che ci restituiscono il continuo
impegno di scoperta dei funzionamenti più ele-
mentari della vita, che mettono in moto le nostre
onde cerebrali con i pensieri di grandi uomini del
passato, lentamente acquistiamo familiarità con il
mondo. Impariamo a sapere il mondo, a gustarne
il sapore, la consistenza, la duttilità, la resistenza,
e tutto questo ci prepara alla vita.
Da questo punto di vista, per affrontare
la tentazione “primaverile” di allenta-
re la presa dello studio o di viverla con
un eccesso di sforzo, non basta porsi di
fronte alla domanda “perché studiare”,
bisogna cogliere che l’interrogativo più
importante è il seguente: “per chi stu-
diare”.
Si studia, in fondo, per se stessi, per allenare la
propria intelligenza a uno sguardo più ampio del-
la realtà, per saggiare la propria volontà di andare
a fondo e al fondo delle questioni, per rendere il
proprio cuore più sensibile alle frequenze meno
appariscenti delle vicende umane, per trasformare
il nostro piccolo spirito in un grande ospite della
vita e del suo mistero, alla cui custodia e incre-
mento siamo chiamati.
Ed è per questo che nel passato molti hanno lot-
tato perché l’esperienza dello studio non restasse
limitata a soli pochi fortunati e privilegiati, do-
tati delle condizioni economiche e familiari ap-
propriate. Spesso non lo si ricorda, ma l’obbligo e
quindi la possibilità di frequentare la scuola, oltre
l’istruzione primaria ed elementare, è un fatto
piuttosto recente, cosa di appena quarant’anni fa.
Una grande conquista per i più giovani tra di noi.
Studiare dunque è sicuramente faticoso, impone
rinunce e sacrifici, veicola e permette una discipli-
na dell’anima e del corpo, ma ha il grande pregio
di renderci sempre più familiari con il mistero
della vita e del mondo: di favorire quell’imparare
la vita, da cui dipende poi una vita bella, una vita
buona.
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3.10 Page 30

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I NOSTRI VOLONTARI
LUCA CRISTALDI
Tutti alla collina
di Shasha!
Un progetto meraviglioso per i 25 anni del VIS!
C’è una collina nel
cuore dell’Africa, una
folta foresta di banani
che digrada fino alle
sponde del lago Kivu,
nella Repubblica demo-
cratica del Congo. Sullo sfondo le
acque silenziose del lago. Alle spalle
un pugno di case rustiche, zeppe di
ricordi dei tempi andati e appena
velate da un malinconico stato di ab-
bandono. È un luogo che distende la
mente e il cuore, fino a quando non
ti raccontano la sua storia.
La piantagione di banane a Shasha,
insieme a quella di caffè a Nyango-
ma, sono due simboli al tempo stesso
di disperazione e di speranza. Erano
floride aziende agricole fino alla metà
degli anni Novanta, poi la guerra ha
travolto tutto, come sempre accade
da queste parti.
Oggi, il VIS, vuole rialzare i muri
divelti, tornare a far fiorire come un
giardino quest’angolo di paradiso.
Il Nord Kivu ha ancora fame.
Nel 2010 si è registrato un rialzo dei
prezzi dei prodotti alimentari del
28% rispetto all’anno precedente.
È un insieme di effetti combinati
a determinare questa situazione –
cambiamento climatico, aumento del
prezzo del carburante – che si som-
ma al generale esodo dei giovani dal-
le zone rurali: le superfici coltivabili
non sono adeguatamente sfruttate, i
prodotti disponibili diminuiscono ed
i prezzi aumentano. In Nord e Sud
Kivu uno dei maggiori rischi sociali
è rappresentato dal reclutamento nei
gruppi armati di minori, specialmen-
te nelle zone rurali, che non hanno
alcuna altra alternativa educativa.
Il Direttore Generale della
FAO, Jacques Diouf, ha recen-
temente ribadito che la crisi alimen-
tare in Africa Sub sahariana non è
determinata da un problema assoluto
di mancanza di risorse. E visitando le
regioni del Kivu non si può senz’altro
che confermare questa tesi. Verdissi-
me e fertili colline scoscese che dolce-
mente arrivano a toccare le sponde del
lago Kivu, a 1500 metri di altitudine.
È questo lo scenario che si presenta
a chi vede le piantagioni di Shasha
(Nord Kivu) – coltivata prevalente-
mente a bananeti e orti, distante 37
km da Goma – e Nyangoma (Sud
Kivu) distante 54 km circa, coltivata
a piante di caffè e orti, entrambe
proprietà salesiana dal 2003.
La piantagione di Sasha. I volontari del VIS voglio-
no far rifiorire quest’angolo di paradiso.
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Giugno 2011

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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IL CENTRO DEI GIOVANI DON BOSCO NGANGI
Don Mario Perez, a quell’epoca
direttore del Centro dei Giovani
Don Bosco Ngangi (DBNG), aveva
intuito le molteplici potenzialità
delle piantagioni:
Luogo di rifugio: le piantagioni
possono accogliere i piccoli ospiti del
Centro in caso di disordini a Goma
o di disastri naturali – nel 2002 l’e-
ruzione del vulcano Nyragongo, pur
avendo miracolosamente risparmiato
il Centro, aveva costretto all’evacua-
zione dalla cittadina.
Risorse per l’autosufficienza alimen-
tare del Centro Don Bosco di Gangi: il
Centro prepara quotidianamente circa
3000 pasti. A Shasha e Nyangoma
la produzione di ortaggi e frutta può
significativamente incidere sull’auto-
sufficienza alimentare del DBNG.
Fonti di sostenibilità delle attività
educative e sociali del Centro: il sur-
plus della produzione agricola serve a
ottenere un ricavo da re-investire nei
servizi del DBNG, che continuano
a essere completamente gratuiti per
tutti i beneficiari.
Investimento nella formazione
professionale agricola: a Shasha si
prevede l’apertura della sezione della
scuola agraria presente a Ngangi, per
donare una possibilità professionale ai
ragazzi/e delle comunità rurali e poter
in futuro impiegare gli stessi ex allievi
nella gestione delle piantagioni.
Dal 2003, il DBNG e il VIS stanno
perseguendo i diversi obiettivi citati.
Sfondo dell’intervento è la salvaguar-
dia della biodiversità agricola, una
tra le principali odierne sfide dello
sviluppo rurale in Africa equatoriale:
la diffusione delle monocolture e
È nato nel 1997 come centro formativo e di accoglienza. In 13 anni di attività ha sostenuto
più di 35 000 giovani e rispettive famiglie in situazioni di vulnerabilità sociale ed econo-
mica. Quotidianamente il Centro offre diversi servizi tutti gratuiti: orfanotrofio, scuola
materna, elementare, media e professionale (falegnameria, elettricista e idraulica, sar-
toria, saldatura, edilizia, agricoltura, informatica), accoglienza per bambini abbandonati,
ragazze madri, bambini/e di strada, riunificazione familiare dopo un percorso di recupero,
dispensario medico, centro per malnutriti, programma di housing, sostegno con borse
di studio per bambini/e che studiano all’esterno, corsi di recupero scolastico per minori
vulnerabili, microcredito per mamme in difficoltà, sostegno scolastico in due villaggi di
campagna nel nord e sud Kivu (Shasha e Nyangoma) dove il Centro possiede due pianta-
gioni, una di banane e l’altra di caffè, attività di sensibilizzazione, gioco ed animazione per
le famiglie e i minori più vulnerabili. A luglio 2009, il Centro è stato insignito del premio
Internazionale “Los Ninos Primeros” istituito dal Comitato Spagnolo dell’Unicef.
Giovani del don Bosco di Ngangi. I volontari del VIS vogliono donare a questo centro l’autosufficienza
alimentare.
l’abbandono delle pratiche agricole
tradizionali stanno minando l’esi-
stenza di innumerevoli specie vege-
tali ed animali, mettendo in pericolo
le scorte alimentari ed alimentando
il pericoloso circolo “diminuzione
disponibilità dei prodotti, aumento
dei prezzi”.
Gli obiettivi saranno raggiunti grazie
alla cooperazione delle comunità
locali e attraverso l’impegno e la
partnership di imprese, fondazioni,
università, gruppi di azione locale.
Nell’anno del Venticinquesimo
il VIS vuole quindi posare un
seme: lanciare questo grande proget-
to di agrobiodiversità per riportare la
gente alla terra e i frutti della terra alla
gente. Servono risorse: umane, prima
ancora che finanziarie. Certo, servo-
no anche fondi. E però questa non è
una semplice campagna di raccolta
fondi. Vogliamo capire quanti siamo.
Quanto contano stavolta le nostre
mani nude, senza ministeri, donatori,
agenzie pubblicitarie. Quanto pesa
l’impegno dei nostri soci, lavoratori,
volontari, delle nostre controparti
locali. Se mille cuori rinunciano a
qualcosa, avremo un battito d’ala. Se
siamo in più di mille e rinunciamo
tutti ad un pranzo in ristorante, spo-
steremo le montagne.
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4.2 Page 32

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COME DON BOSCO
BRUNO FERRERO
Riscoprire la capacità
di meravigliarsi
La strada per tornare
al paradiso perduto
«Tu credi ai miracoli?»
«Sì».
«Sì? Ma ne hai mai
visto uno?»
«Un miracolo? Sì».
«Quale?»
«Tu».
«Io? Un miracolo?»
«Certo».
«Come?»
«Tu respiri. Hai una pelle morbida e
calda. Il tuo cuore pulsa. Puoi vedere.
Puoi udire. Corri. Mangi. Salti. Can-
ti. Pensi. Ridi. Ami. Piangi...»
«Aaah... Tutto qui?»
Tutto qui.
È tragico non essere capaci
di meravigliarsi. Il bambino
si apre alla vita attraverso
una catena di “stupori” e di
meraviglie. Il compito più
importante di un educatore
è conservare questa capacità
nei ragazzi che crescono: sarà
la qualità più preziosa della
loro esistenza.
Chi sa stupirsi non è indifferen-
te: è aperto al mondo, all’umanità,
all’esistenza. Si viene al mondo con
questa sola dote: lo stupore di esi-
stere. L’esistenza è un miracolo. Gli
altri, gli animali, le piante, l’universo,
ci parlano di questo miracolo. E
noi siamo miracolosi come loro. Per
questo dobbiamo essere attenti e
rispettosi. Chi considera meraviglio-
sa la vita, sente di amare l’umanità, la
rispetta in sé e negli altri. Donando
agli altri l’importanza che meritano,
noi scopriamo la nostra importanza.
La vita ha un valore, una dignità.
Nessuno ha il diritto di deturparla.
Gli esseri umani non sono cattivi,
sono tristi. E i tristi diventano cattivi.
Sono tristi perché non percepiscono
la bellezza dell’esistenza.
La capacità di stupore accende la
volontà di lottare per il valore della
vita: la vita non è per la morte e
l’umanità non è solo violenza e me-
diocrità. Si vive pensando che val la
pena vivere e val la pena l’umanità.
Il pericolo, oggi, è perdere di vista il
bambino che siamo stati, assorbiti da
un ritmo tambureggiante e insen-
sato, e diventare impermeabili alla
bellezza della vita. Man mano che si
diventa adulti si cambia la capacità di
meravigliarsi con quella di compren-
dere, riducendo la realtà a un concet-
to astratto, facile da manovrare e da
sfruttare, perdendo di vista il mistero
della vita. Troviamo sempre più
difficile sintonizzarci con l’interiorità
profonda dalla quale sgorga il mondo
sconfinato delle emozioni.
Anna, 46 anni, insegnante, scrive:
«La mia vita si divide in due perio-
di: prima e dopo il coma. A 26 anni
sono stata in coma per due settimane:
incidente stradale, colpo di sonno
al volante. Quando ho riaperto gli
occhi, nel silenzio del reparto, ho visto
minuscole luci danzarmi davanti. Ero
viva. Illusioni, lucciole, farfalle, non
so che cosa fossero, ma è così che
ho riscoperto la meraviglia. È stato
come rinascere: il primo sorso di caffè,
la prima passeggiata, il piacere di
sfogliare una rivista, di chiedere che
cosa era successo durante il mio breve
letargo. Da allora ho imparato a guar-
dare le cose con altri occhi. Dal mio
risveglio, ogni cosa ha per me il valore
di un dono: la meraviglia, scoperta
attraverso la paura, ha reso migliore
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Giugno 2011

4.3 Page 33

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la mia vita. Non sono più una ragazza
intransigente e piena di rancore. Sono
cambiata, e il resto è arrivato da solo.
Ogni mattina mi sveglio pensando
che è stupefacente veder crescere i
miei ragazzi e miei alunni, contare i
tramonti, provare una ricetta, potare
le mie rose. Modugno aveva ragione:
“Meraviglioso / la luce di un mattino
/ l’abbraccio di un amico / il viso di
un bambino / meraviglioso”. Peccato
averlo scoperto solo vent’anni fa».
Tutto comincia con il senso. La
vita ha un senso, nelle due accezioni
di significato e direzione. C’è for-
se qualcuno che cresce i suoi figli
dicendo loro che la vita è assurda e
che non val la pena di essere vissuta?
Sarebbe crudele e insensato. «Perché
mi hai fatto nascere?» chiede ogni
figlio ai genitori. Siamo stati tutti
chiamati a vivere: la vita è una voca-
zione entusiasmante.
Saper meravigliarsi significa percepire
il mondo come spazio di rivelazioni.
Come quando davanti ad una monta-
gna innevata o un bosco, ci sentiamo
semplicemente immersi nella “bel-
lezza” e non davanti ad un mucchio
di pietre con un po’ di ghiaccio sopra
o una serie di alberi. Anche la vita è
bella, un magnifico dono, per questo
tutto desidera vivere, lotta per vivere.
Anche uno stelo d’erba, anche un mi-
croscopico batterio. E gli esseri umani
scoprono la meravigliosa capacità di
pensare, di accorgersi, di comprendere.
Fantastici crocevia tra il materiale e lo
spirituale.
La bellezza di tutto ci coin-
volge: perché esistono le rose?
Perché esistono persone che
si fermano estatiche davanti
ad un fiore?
Si è sorpresi dalla bontà. La vita è
buona. Ad ascoltare i ragionamenti
di certi ecologisti, l’uomo sembra di
troppo: un essere dannoso. Il cristia-
nesimo insegna che ogni vita parteci-
pa all’opera della creazione.
Sgorgano di qui la contemplazio-
ne, la calma, la semplice serenità,
l’entusiasmo, l’ottimismo.
La sofferenza ci spiazza e ci scon-
volge proprio perché ci fa capire
in modo brutale quanto sia grande
la privazione. Si piange sempre per
qualcosa di bello che abbiamo perso,
qualcosa di essenziale.
La notte precedente la sua esecuzio-
ne, Jacques Decour, un partigiano
comunista, scrive un’ultima lettera
alla famiglia: «Ora che ci prepariamo
a morire, pensiamo a ciò che verrà. È
il momento di ricordarci dell’amore.
Abbiamo amato abbastanza? Ab-
biamo passato molte ore del giorno
a meravigliarci degli altri uomini, a
essere felici insieme, a sentire il peso
del contatto, il peso e il valore delle
mani, degli occhi, del corpo?».
Solo dalla meraviglia sboccia la
gratitudine: dire grazie significa
entrare nella logica del dono e della
reciprocità. L’uomo moderno si in-
digna, protesta, si vendica, raramente
ringrazia. Eppure tutto quello che
abbiamo, lo dobbiamo a qualcuno.
Dallo stupore si ritorna al Cielo: è
questa la sorgente della spiritualità.
C’è un filo che va dalla concretezza
della vita alla concretezza della sua
origine. Dio non è un’idea, ma una
realtà che si è fatta vedere e toccare
in Gesù di Nazaret, ed è il “Dio dei
viventi” perché logicamente il Crea-
tore della vita non può morire.
Così dalla capacità di saperci meravi-
gliare passiamo all’adorazione. Basta
tenere gli occhi aperti.
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4.4 Page 34

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A TU PER TU
CHIARA BERTATO
Hao gsoingconmaincriaeto
Incontro con David Viagulasamy, coordinatore SYM EUROPE,
il Movimento Giovanile Salesiano Europeo.
Vive a Parigi, ma ha origini
indiane e vietnamite. Oltre
che presidente del Movimento
MGS Francia, è il coordinatore
della Segreteria europea. David
Viagulasamy racconta la vita del
SYM, Salesian Youth Movement.
Come hai conosciuto
i salesiani?
Ho conosciuto i salesiani a 8 anni.
All’epoca ebbi la possibilità di parte-
cipare a molte attività e giochi di ogni
genere, allora sembravano solo diver-
timento, invece mi hanno permesso di
comprendere il significato delle paro-
le io e fiducia. Per molti anni ho fatto
parte anche degli scout e ho parteci-
pato a numerosi campi.
Se incontrassi don Bosco,
che cosa gli chiederesti?
“Ciao Giovanni! Vieni a vedere la
gioia del Movimento Giovanile Sa-
Chi è David?
Sono David Viagulasamy, ho quasi 26
anni e mi occupo di progettare e realiz-
zare siti internet. Vivo con la mia fami-
glia ad Argenteuil, vicino a Parigi. Le
origini della mia famiglia provengono
però da un po’ più lontano, dall’India.
Dal 2005 sono parte del Movimento
Giovanile Salesiano della Francia e del
sud Belgio. Da poco più di un anno,
sono anche coordinatore del Movimen-
to Giovanile Salesiano a livello europeo.
I partecipanti ad un incontro internazionale del
Movimento Giovanile Salesiano, una realtà con
molti progetti.
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4.5 Page 35

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MGS: UN’AMICIZIA SENZA CONFINI
lesiano e tutto il lavoro che c’è da
fare. Prima, però, balla la Waka Waka
con noi!”
Che cosa ti rende felice?
Mi fa felice sapere che la vita è un dono
che abbiamo ricevuto e che ognuno di
noi ha il suo ruolo in questa storia d’A-
more. Questa è la speranza che Dio ci
dona e il segreto per vivere da fratelli.
Il Movimento Giovanile Salesiano (MGS) è una significativa esperienza di vita ecclesiale e di
associazionismo giovanile salesiano. È un Movimento a carattere educativo offerto a tutti i
giovani, per farli soggetti e protagonisti della loro crescita umana e cristiana, con una volontà
di incidenza nel territorio e nella società civile e d’inserimento e apporto alla Chiesa locale.
I gruppi e le associazioni giovanili che, pur mantenendo la loro autonomia organizzativa, si
riconoscono nella spiritualità e nella pedagogia salesiana, formano in modo implicito o espli-
cito il Movimento Giovanile Salesiano. Le espressioni del MGS nel mondo sono molteplici e
manifestano la variegata proposta associativa salesiana, più articolata in Europa, America ed
India. In molte realtà c’è un coordinamento ispettoriale, interispettoriale e regionale; esiste una
rete di formazione, informazione e collegamento tra i diversi gruppi. Gli incontri giovanili sono
uno degli elementi caratterizzanti il MGS, come occasioni significative di comunicazione tra i
gruppi e di circolazione dei messaggi e dei valori della Spiritualità Giovanile Salesiana.
Che cos’è il Movimento
Giovanile Salesiano
Europeo?
Il Movimento Giovanile Europeo è
una realtà in cui incontrare giovani
appassionati di don Bosco provenien-
ti da tutto il continente. Non solo, di
quest’organo fanno parte anche Sale-
siani e Figlie di Maria Ausiliatrice.
Qual è il vostro piano?
Il Movimento Giovanile sta dive-
nendo sempre più un luogo di con-
divisione e di amicizia. Gli incontri
e le scoperte di ogni singola realtà ci
permettono di condividere le recipro-
che ricchezze e gioie. Inoltre, il Mo-
vimento è già una realtà che lavora su
molti progetti. Questo perché insie-
me siamo forti, ma possiamo esserlo
ancora di più. Mano nella mano po-
tremo realizzare grandi cose in Euro-
pa. Io ho già iniziato a sognare…
Qual è il prossimo passo
che deve fare il SYM Europa?
Ci stiamo dando da fare per la Gior-
nata mondiale della Gioventù che
si terrà a Madrid quest’estate. È un
evento importante per la Spa-
gna dove c’è una forte pre-
senza di giovani salesiani.
Il 17 agosto, diecimila
ragazzi provenienti
David con il Rettor Maggiore
e madre Yvonne. Il prossimo
obiettivo è la Giornata
Mondiale della Gioventù
a Madrid.
da tutto il mondo si sono dati ap-
puntamento per incontrare il Rettor
Maggiore, Pascual Chávez, e la Ma-
dre Generale, Yvonne Reungoat.
Qual è stato il tuo primo
pensiero dopo l’elezione
a coordinatore del SYM?
Non mi aspettavo di essere eletto, la
cosa è stata discussa assieme a tutti i
gruppi. Io posso solo ringraziare per
la fiducia che mi è stata data.
Ora che le cose sono avviate, mi sto
godendo questo fantastico gruppo
di lavoro. Questo è il nostro motto:
tutti soli, noi andiamo velo-
ci! Tutti insieme andiamo più
lontano!
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4.6 Page 36

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NOI & LORO
ALESSANDRA MASTRODONATO
LA FIGLIA
Foto Shutterstock
Il tempo
“vuoto” degli
adolescenti
Il tempo libero, per molti ragazzi è un
tempo vissuto all’insegna della frene-
sia in cui dar libero sfogo a passioni e
impulsi momentanei, influenzati dalle
mode del momento, oppure, al contra-
rio, è un tempo “vuoto” e solitario.
Erich Fromm diceva che «spesso noi uomini pen-
siamo di perdere qualcosa del tempo quando non fac-
ciamo le cose in fretta, però poi non sappiamo cosa fare
del tempo che guadagniamo». Un’analisi che sembra
essere tanto più vera se la si applica all’universo
giovanile e, in modo particolare, agli adolescenti.
Nella cosmologia dei ragazzi del terzo millen-
nio il rapporto con il tempo sembra, infatti,
caricarsi di forti ambivalenze: da un lato,
viene vissuto come una corsa a ostacoli,
in cui vince chi riesce a correre più
velocemente, bruciando le tappe e
accumulando il maggior numero
possibile di esperienze e di emo-
zioni; dall’altro lato, si ha spes-
so la sensazione che il tempo
proceda lento e insofferente,
nell’attesa che accada qualcosa
di nuovo e di straordinario che
venga a dare un senso all’esi-
stenza e al monotono sus-
seguirsi delle giornate.
Questa dimensione
ambivalente si rivela
in tutta la sua pienezza soprattutto nel rapporto
con il tempo libero, un tempo slegato da ogni
costrizione e da ogni schema, in cui gli
adolescenti hanno la possibilità di espri-
mere liberamente i propri desideri e in-
teressi e di dar voce al proprio modo di
essere e alla propria identità, sviluppando
capacità, sfogando tensioni, canalizzando energie
e dando senso alla propria quotidianità.
Anche il tempo libero diviene, così, per molti ragaz-
zi un tempo vissuto all’insegna della frenesia e del
consumismo delle esperienze, in cui dar libero sfogo a
passioni e impulsi momentanei, magari influenzati
dalle mode del momento, iniziando e poi lasciando
a metà questa o quella esperienza, senza mai por-
tarne a termine nessuna e senza riuscire a dare un
senso e una coerenza di fondo alle mille cose che si
fanno. Oppure, al contrario, il tempo libero finisce
per essere un tempo “vuoto”: in molti casi, un tempo
solitario trascorso apaticamente davanti alla tv o al
computer, o anche un tempo vissuto con gli ami-
ci, ma ugualmente passato a non far niente di che,
a ciondolare in giro per il quartiere senza trovare
nulla che susciti interesse o entusiasmo, senza alcun
programma o obiettivo, senza condividere alcuna
esperienza significativa che rappresenti un mo-
mento forte di crescita e di maturazione personale.
In entrambi i casi sembra che gli adolescenti di-
mentichino che il valore del tempo aumenta pro-
porzionalmente alla consapevolezza con cui lo
si utilizza, che il tempo che li vede protagonisti
della propria vita è molto più interessante e pieno
di senso di quello vissuto come spettatori o come
fruitori passivi di un’esperienza.
Ma soprattutto dimenticano che anche il tempo
libero, se vissuto con intelligenza, può diventare
un’occasione privilegiata di crescita e di autono-
mizzazione, di espressione di sé e di costruzione
dell’identità; o magari può persino essere messo
al servizio degli altri, facendo qualcosa di buono e
di costruttivo non soltanto per se stessi, ma anche
per il prossimo.
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Giugno 2011

4.7 Page 37

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MARIANNA PACUCCI
l tempo libero dei figli? Un cumulo
di domande senza risposte, di ansie
motivate e immotivate, di paure non
Il tempo sempre fondate ma non per questo
meno drammatiche. Cosa fanno? Con
Ichi stanno? Dove vanno? Quesiti a cui non
delle paure sempre gli adolescenti danno risposta, vuoi per-
ché intendono puntualmente difendere la loro
libertà dal controllo dei genitori, vuoi perché essi ro, sul rapporto con il denaro? L’intrappolamen-
stessi talvolta non sanno come andranno le cose. to nel presente e il consumismo delle esperienze
Uscire di casa non vuol dire avere già in mente un contribuiscono a una perdita di senso che spesso
chiaro programma di impegni ed anche quando spiega i comportamenti sbagliati, stupidi o cattivi
si resta nel proprio recinto domestico spesso le di cui sono piene le cronache; a ciò bisogna an-
tentazioni sono tante ed è difficile dire di no ad che aggiungere il progressivo ribaltamento delle
avventure nuove.
opportunità legate al tempo libero e al tempo oc-
In tutto questo, la famiglia rischia di essere o di cupato. Bambini, adolescenti e giovani appaiono
sentirsi tagliata fuori, anche perché sono netta- sempre meno impegnati nello studio e in attività
mente cambiate da una generazione all’altra le finalizzate alla loro formazione umana e sempre
attese, le relazioni, le realizzazioni. Prima il tem- più abbandonati a se stessi nella disponibilità di
po dello svago era il tempo dell’elaborazione di spazi, tempi e opportunità che eccedono le loro
desideri e di sogni anche importanti; ora accade possibilità di progettazione e di investi-
che sia la noia a decidere a quale esperienza fare mento.
spazio. Prima i ragazzi preferivano condividere Ma la cosa peggiore è che gli
con i coetanei il loro tempo libero per fare cre- adulti si ostinano a pensa-
scere la loro socialità; oggi si tende a privilegiare re che il tempo vuoto sia
la fruizione individuale e privata di occasioni di una colpa giovanile e non
svago o si creano forme ambigue di complicità una responsabilità che ri-
nella trasgressione o di competizione spinta che guarda tutti. Ovviamente
possono mortificare e tradire le persone e il loro il problema non si risolve
rapporto con il prossimo.
tenendo i ragazzi più oc-
Nello stesso tempo gli adulti compren- cupati o aumentando la
dono che il tempo libero dei figli è una vigilanza sul loro tempo
cartina di tornasole dell’efficacia del loro libero, ma avendo cura
lavoro educativo: ciò che è stato proposto e dei loro desideri e dei
testimoniato in termini di valori e di verità sarà loro impegni. La con-
davvero tenuto in debito conto e rispettato quan- divisione e la solidarie-
do i genitori non possono vedere, sapere, inter- tà attraversano anche
venire a modificare le scelte e le situazioni? Cosa la desertificazione del
davvero è stato interiorizzato e cosa invece rischia tempo libero giovanile,
di essere travolto dai confronti con il mondo che oggi può e deve es-
esterno? Che conseguenze avrà un certo uso del sere restituito alla spe-
tempo libero sugli affetti, sui progetti per il futu- ranza.
LA MADRE
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37

4.8 Page 38

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I SALESIANI E L’UNITÀ D’ITALIA
FRANCESCO MOTTO
Salesiani: cattolici
e patrioti durante
la Grande Guerra
Sei giorni prima dell’entrata in
guerra dell’Italia (24 maggio
1915), il prefetto generale sa-
lesiano, don Rinaldi, diede ai
salesiani “un ordine tassativo
di non scrivere nulla di ciò che
si pensa o si fa intorno alla guerra […]”.
Ma 4 mesi dopo il consigliere scola-
stico don Cerruti indicava il preciso
senso della partecipazione dei salesia-
ni all’evento bellico:
Noi non ci rifiutiamo, né ci rifiuteremo
mai ad alcun possibile sacrifizio per la
nostra diletta Italia; no mai. Cattolici
ed Italiani, i figli di Don Bosco uniscono
insieme l’amore alla religione cattolica e
l’amore alla patria, il culto della fede e lo
slancio del patriottismo, il quale però nel
concetto cristiano non precede, ma segue
il Cristianesimo […] cristiani e patrioti,
non già patrioti e cristiani. Ma alla pa-
tria si serve in tanti modi; noi la servia-
mo in modo particolare con l’educazione
della gioventù, specialmente di quella
che nell’ora presente richiede le maggiori
cure ed i maggiori aiuti; ciò che costitu-
isce lo scopo nostro particolare. Chiusi i
nostri istituti, dove andrebbero a finire
le migliaia di figli del popolo che fre-
quentano i nostri oratori o ricreatori fe-
stivi e quotidiani e le nostre scuole serali
e festive? Dove gli orfani e semiorfani
pe’ terremoti, calabro-siculo ed abruzze-
se e per tante altre ignorate miserie che i
Il servo di Dio Salvo d’Acquisto,
exallievo, e Stefano Sandor,
salesiano coadiutore, di cui è
avviata la Causa di Martirio.
Portarono il cuore di don Bosco
anche nei terribili sconvolgi-
menti bellici.
Proprio per la sua natura
profondamente popolare, tutta la
Congregazione salesiana visse
il tempo della guerra accanto
alla gente.
salesiani di Don Bosco tuttora accolgono
e mantengono nelle loro case? Dove i fi-
gli di tante povere famiglie che hanno il
padre, o chi loro fa da padre sotto le armi;
reclamanti anch’essi, non meno de’ pri-
mi, carità materiale, morale, educativa?
Dove tanti nostri giovani, appartenenti
a classi infime e medie, a cui la chiusura
de’ nostri istituti porterebbe un vero di-
sastro intellettuale e morale? […]. La-
vorando dunque perché i nostri istituti
educativo-scolastici continuino ad essere
aperti, non facciamo solo il bene alle fa-
miglie e a’ loro figli, ma rendiamo an-
cora un segnalato servizio al Governo,
alla patria”.
Due fronti
Dunque i salesiani operavano su un
duplice fronte: quello interno, conti-
nuando la loro missione educativa ad
ogni costo, e quello esterno, dove “un
numero stragrande di carissimi salesiani
[…] dovettero lasciare i loro diletti stu-
di, per maneggiare la spada e il fucile;
furono strappati dai pacifici loro collegi
e dalle scuole professionali per recarsi a
vivere nelle caserme e nelle trincee, o,
38
Giugno 2011

4.9 Page 39

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quali infermieri, furono occupati nella
cura degl’infermi e dei feriti. Ne abbia-
mo pure non pochi al fronte, ove alcuni
già lasciarono la vita, e altri ritornarono
orribilmente malconci”.
La preoccupazione di continuare la
normale attività delle opere, anzi, di
incrementarne alcune, come gli ora-
tori e gli orfanotrofi, spinse i superiori
a chiedere enormi sacrifici ai salesia-
ni rimasti, i quali videro alcune opere
trasformate in ospedali militari o in
caserme, altre ridursi, unendo le classi
diverse sotto un solo docente o collegi
diversi in uno solo; dovettero altresì
sostituire il migliaio di salesiani chia-
mati al fronte con il ricorso a chierici
studenti di filosofia.
Ciononostante crebbe la stima dei
governanti specialmente nei confronti
della loro scuola professionale, consi-
derata “non soltanto come una scuola
di lavoro, antidoto della corruzione e
della miseria, ma come mezzo preci-
puo di collegare, coordinare e molti-
plicare le forze vive di un paese per
renderlo più ricco e più forte. È altresì
considerato come uno dei mezzi più
efficaci per rimediare le rovine causa-
te dalla guerra e fare opera di restau-
razione, quando giungerà il periodo
sospirato della pace”.
Dopo il tracollo di Caporetto (24 otto-
bre 1917) i salesiani si impegnarono ad
aiutare i Comitati di sostegno ai pro-
fughi, accettando nelle case “il mag-
gior numero possibile di giovanetti”,
nonostante le eccezionali ristrettezze
economiche in cui si trovavano. Vi si
aggiunse nel 1918 lo scoppio dell’e-
pidemia spagnola che presto si trovò
estesa non solo in tutta l’Italia, ma in
tutti i paesi d’Europa e anche in Asia,
in America, con una mortalità innalza-
ta in modo vertiginoso.
Lo spirito di sacrificio diede però buoni
risultati: in 25 collegi furono ricoverati
423 profughi. Roma si mosse creando
la “Scuola agraria del Mandrione per i
figli di contadini caduti in guerra” che
presto fu additata a modello di ana-
loghe istituzioni governative sia per i
programmi sia per i metodi.
Di lacrime ne asciugarono però an-
che altrove, se nel I Congresso Inter-
nazionale delle Opere di soccorso ai
bambini sofferenti (Ginevra 1920),
sarebbero stati presentati i seguenti
dati: in Austria 131, in Baviera 143,
nel Belgio 179, nell’Egitto 53, in Ju-
goslavia 34, in Polonia 186, in Turchia
110, in Ungheria 22.
Salesiani in trincea
Rimaneva sempre l’ansia per i con-
fratelli italiani sotto le armi, fra cui
268 sacerdoti, dei quali 55 cappella-
ni. Gli ufficiali furono 144, i salesiani
decorati o premiati 44 e una settanti-
na i caduti. Nelle trincee il loro buon
esempio aveva contribuito a tenere
alto il morale dei commilitoni e a far
sì che affrontassero meglio le fatiche
materiali, morali e spirituali, impo-
ste dalla guerra. Avevano aiutato ad
amalgamare gli animi tentati da un
diffuso disincanto, favorendo il senso
di solidale unità di cui la nazione era
faticosamente alla ricerca e di cui c’era
un grande e drammatico bisogno, so-
prattutto dopo Caporetto. Il vivo sen-
so del dovere, compiuto con precisio-
ne e amore, aveva animato la loro vita,
insieme ad un grande spirito di fede e
di sacrificio, docilità e laboriosità, ri-
conosciuti dalle autorità militari.
Sull’apporto dato dai salesiani alla co-
struzione dell’unità nazionale durante
l’evento bellico non esistono dunque
dubbi, non solo nelle zone di guerra,
dove sono stati chiamati a servire alla
patria in armi, ma anche nelle opere
presenti nelle retrovie, sul territorio
nazionale, dove hanno partecipato al
lungo processo di formazione delle
coscienze, con ruoli e compiti speci-
ficamente pastorali, educativi, sociali.
Anzi, nel vissuto spirituale proprio e
nella proposta formativa fatta ai gio-
vani, non hanno mai separato la sfe-
ra religiosa da quella civile e morale,
offrendo sempre una prospettiva ul-
teriore, anche quando si affiancavano
allo sforzo comune di sostenere l’i-
dentità culturale del popolo italiano e
l’italianità in genere.
Giugno 2011
39

4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A CURA DI PIERLUIGI CAMERONI postulatore generale
Un dono di Dio
Il 21 settembre 2009 è nata Sofia,
la mia bambina tanto desiderata e
attesa da me e da mio marito. Per
questo lieto evento esprimo la mia
viva gratitudine a san Domenico
Savio. A causa di difficoltà legate
alla mia salute, avevo già perso
quattro gravidanze; la speranza di
poter portare a termine una nuova
gravidanza erano ridotte al mini-
mo, e inoltre i medici ci avevano
dato solo il 10% di probabilità
sulle possibilità che il nascituro
potesse nascere sano. Dopo ciò
abbiamo iniziato a recitare la no-
vena a san Domenico Savio, affin-
ché per la sua intercessione, tutto
si risolvesse per il meglio. E così
avvenne: Sofia è sana e bella, ve-
ramente un dono di Dio.
Mangano Raffaella, Grugliasco TO
La carità verso i poveri
e gli abbandonati
Sono una zelatrice dell’ADMA, par-
rocchiana della parrocchia di Maria
SS. del Carmine e di san Giovanni
Bosco in Salerno. Ho letto avida-
mente la vita di Mamma Marghe-
rita e ho ammirato la sua carità non
solo nei confronti dei giovani e de-
gli allievi di don Bosco, ma anche
verso i poveri, gli anziani e gli ab-
bandonati; come quel Cecco ridot-
to in miseria dopo aver sperperato
tutto. Mi sono commossa, leggen-
do questo episodio, e l’ho pregata
tanto per un mio parente, che sta-
va vivendo la stessa esperienza di
abbandono. Miracolosamente si è
presentata un’occasione di lavoro
per questo mio parente. Voglio dar-
ne notizia per incoraggiare la devo-
zione verso la venerabile Mamma
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
Margherita, che dando alla luce il
suo Giovannino, ci ha fatto un dono
così grande, quale è il santo dei
giovani e dei meno giovani.
Maria Rosa, Salerno
Tante grazie
Mio marito ha molto sofferto per
il mal di denti. Io mi sono racco-
mandata alla Vergine Ausiliatrice e
ai santi Salesiani; così è guarito.
Anche mia figlia Luisa è guarita da
carcinoma, pur essendo rimasta
un po’ nervosa e obesa a motivo
dei farmaci assunti. Io continuo a
invocare la Vergine Ausiliatrice e la
beata suor Maria Romero, affinché
mia figlia possa ricuperare com-
pletamente la sua salute. Aspetto
ancora altra grazia dai santi per i
miei famigliari, in particolare per
mio figlio che si trova in situazione
difficile e deve affrontare serie dif-
ficoltà per il suo lavoro. Ho fiducia
nell’intercessione dei santi.
D’Apote Anna, Roma
I miei cari santi
Il 5 novembre 2010 subii l’en-
nesima disavventura lavorativa
nell’arco degli ultimi dieci anni: fui
costretto a lasciare il lavoro, che da
vari mesi non mi veniva pagato.
Sconfortato e apparentemente pri-
vo di ogni speranza, iniziai a prega-
re con fervore, anche oltre lo sfini-
mento, san Giovanni Bosco – sono
exallievo salesiano – e altri santi
a me cari. Ero umanamente senza
speranza, ma nello stesso tempo
nutrivo in fondo al cuore tantissima
fede e la sicurezza di essere esau-
dito dal Cielo. Il 30 novembre 2010
venni chiamato presso uno Studio
di commercialisti, per iniziare un
apprendistato professionale. Era il
sogno che da sempre nutrivo nella
mia vita, senza mai aver potuto rea-
lizzare. Ora non posso dimenticare
tale grazia, né mai più dimenticherò
i miei cari Santi.
D.G. P., Cantarana AT
Dalla depressione
ad un senso di pace
Per una non ben identificata mac-
chia presente nell’orecchio destro
mia figlia doveva essere operata.
Ciò mi mise in grande appren-
sione. Pensai all’abitino di san
Domenico Savio, che conservavo
accuratamente come una reliquia
nel mio armadio. Lo estrassi e,
poco prima che mia figlia entras-
se in sala operatoria, le chiesi che
lo tenesse al collo. Io avevo la
certezza che l’intervento avrebbe
avuto buon esito. Dopo meno di
un’ora il chirurgo uscì dalla sala
operatoria appositamente per dir-
mi: “Signora, stia tranquilla: dopo
l’esame della TAC che dava esito
sospetto, la macchia all’orecchio
di sua figlia è solo infiammazione
con una piccola raccolta di pus”.
A quella notizia non potei tratte-
nere le lacrime dalla commozione.
Anche l’esame istologico, suc-
cessivamente eseguito, confermò
la diagnosi del chirurgo e il buon
esito dell’intervento.
N.N., Forlì Cesena
Due nuove creature
L’11 ottobre 2010 nella nostra fa-
miglia sono arrivate due nuove
creature: Benedetta e Sofia, sorelle
gemelle. Una gravidanza travaglia-
ta, con mille difficoltà, ma anche
una grande sorpresa e una gioia
grande, grazie all’intercessione di
san Domenico Savio, perché al
posto di una nuova creatura, Dio
ce ne ha donate due. Quando ab-
biamo saputo che mia zia aspettava
due gemelle, mia mamma ha dona-
to a mia zia l’abitino di Domenico
Savio, che l’avrebbe accompagnata
in questi nove mesi. Domenico ha
accolto le nostre preghiere: anche
se mia zia ha dovuto rimanere a ri-
poso per circa due mesi, per evitare
complicazioni, tutto è andato bene.
Dopo un mio viaggio a Torino, ho
portato con me altri due abitini di
Domenico Savio, non per supersti-
zione, ma per sentire il santo come
compagno di viaggio, attraverso il
segno dell’abitino. Domenico ha
pregato Dio e ha condotto tutto per
bene, fino al momento del parto.
Sofia, la più piccola, è pronta per
esplorare il suo nuovo mondo. Be-
nedetta, la più grande, è invece in
una posizione un po’ scomoda per
un parto naturale. Ma anche se in
posizione podalica è riuscita a na-
scere tranquillamente. Ringraziamo
Domenico, perché grazie alla sua
intercessione, tutte le nostre pre-
occupazioni sono scomparse.
Galota Perpaolo, Modica RG
Dalla deludente attesa
alla gravidanza serena
Appena sposati, mio marito ed
io desiderammo avere un figlio.
Il trascorrere dei mesi faceva
crescere in noi la delusione. Mia
mamma, leggendo nei miei occhi
la tristezza per la deludente at-
tesa, mi procurò l’abitino di san
Domenico Savio, al quale affidai
immediatamente il mio desiderio
di maternità. Dopo poche setti-
mane di fiduciosa attesa, grazie
anche alle preghiere di tante per-
sone, alle quali mia mamma ave-
va riferito della mia grande spe-
ranza, scoprii di essere in dolce
attesa. Trascorsi una gravidanza
serena, al termine di un travaglio
breve e senza pericoli, nel dicem-
bre del 2008 nacque la piccola
Sara, una bimba bellissima e
sana. Ringrazierò sempre Maria
e San Domenico per l’immenso
dono concessomi.
Pettiti Laura, Gassino Torinese TO
40
Giugno 2011

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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Nascita protetta
di due bambine
Dopo nove anni di matrimonio,
trascorsi con controlli speciali-
stici, cure e molta sofferenza il
25/08/2008 con un parto ce-
sareo è nata la nostra splendida
Elaide. La gioia per la nascita si
contrapponeva all’amarezza di
una notizia dataci dai medici:
in futuro ogni altra gravidanza
sarebbe stata ad alto rischio.
Durante un successivo control-
lo il nostro ginecologo con suo
grande stupore ci informò che
era in corso una gravidanza, e
conoscendone i rischi si mostrò
assai perplesso sulla possibili-
tà che potesse essere portata a
termine. Io e mio marito affidam-
mo a san Domenico Savio e alla
Madre di Dio la mia vita e quella
della nascitura.
Durante tutto il periodo della
gravidanza, nonostante tutti i
farmaci assunti e la riduzione del
liquido amniotico, la bambina
sembrava crescere bene. I me-
dici ci prospettavano comunque
un parto prematuro. Tuttavia,
con loro grande stupore, la gra-
vidanza poté giungere fino alla
39° settimana di gestazione. La
nostra seconda bambina, Teresa
Myriam, è nata il 09/06/2010
con un cesareo d’urgenza. Dopo
tre mesi dalla nascita è stata ri-
coverata otto giorni in pediatria
per un ittero persistente. Ancora
una volta, con grande meraviglia
dei pediatri che hanno avuto in
cura la nostra bambina, i valori
epatici, che al momento del rico-
vero erano preoccupanti, sono
lentamente e inspiegabilmente
rientrati nella norma.
Teresa Myriam ora è una bam-
bina vivace, e siamo certi che
abbia avuto la protezione di san
Domenico Savio fin dal suo con-
cepimento. La venuta al mondo
delle nostre due bambine per noi
è stata la prova che nulla è im-
possibile a Dio e che noi genitori
siamo stati suoi strumenti per la
realizzazione del grande miraco-
lo che è la vita.
Finocchiaro Rosaria, Randazzo CT
Grazie, caro Domenico
Nel mese di settembre 2007 sco-
prii di aspettare il mio secondo
bambino. Non ebbi neppure tem-
po di gioire per il test, poiché fui
subito ricoverata per dolori lan-
cinanti ai reni. Diagnosi: colite
renale. Doveva essere la prima di
una lunga serie perdurata per sei
mesi di ospedale. Distrutta dai
dolori, vivevo nell’angoscia totale,
pensando che il mio bambino non
sarebbe mai nato e che il mio pri-
mo figlio Antonio, di quattro anni,
aveva tanto bisogno della sua
mamma. Tutto mi appariva così
atroce da sopportare, compresi i
dottori, le infermiere, che sembra-
va non mi credessero, tacciando-
mi da esagerata. Mi trovavo sola
a combattere contro tutti, finché
scoprii san Domenico Savio. Da
allora lui fu tutto per me: con-
forto, fiducia, la speranza cui mi
aggrappavo nei momenti di an-
goscia e di solitudine. Con il suo
abitino appeso al collo sopporta-
vo i dolori più atroci. Mi sentivo
forte, lo pregavo ed ero certa che
avrebbe salvato il mio bambino;
anche quando mi dicevano che
per il citomegalovirus sarebbe
nato sordo, cieco, malformato.
Trascorsi in ospedale le feste di
Natale, Capodanno ed Epifania,
rimanendo lontana dal mio pic-
colo Antonio. Sempre sentivo ac-
canto a me san Domenico Savio:
quando il 2 aprile mi ricoverarono
per un rialzo di pressione, subii
un taglio cesareo d’urgenza, ri-
manendo poi per tre giorni tra la
vita e la morte. Ma dopo 15 giorni
potei per la prima volta abbraccia-
re il mio bimbo; doveva venire alla
luce il 15 maggio, invece è nato
il 2 aprile, giorno della nascita di
san Domenico Savio. Grazie, o
san Domenico Savio, per questo
tuo grande dono!
Milié Marilena, Crotone CZ
NOTIZIE DALLA POSTULAZIONE
Don Titus Zeman (1915-1969)
Servo di Dio della Famiglia Salesiana
In questo anno dedicato dal-
la strenna del Rettor Maggio-
re all’impegno di promuove-
re e sostenere le vocazioni,
ricordiamo don Titus Zeman,
apostolo e martire delle vo-
cazioni.
La sua storia è un ottimo esem-
pio di fedeltà alla causa di don
Bosco, in particolare attraverso
lo zelo e l’amore per salvare la
vocazione dei giovani salesiani
con l’avvento e sotto il regime
comunista.
Don Titus Zeman, salesiano slovacco, nacque da una famiglia cri-
stiana il 4 gennaio 1915 a Vajnory, presso Bratislava. Desiderava
diventare sacerdote sin dall’età di 10 anni, e compì gli studi ginna-
siali e liceali nelle case salesiane di Šaštín, Hronský Svätý Benedikt
e a Frištak u Holešova; nel 1931 intraprese il noviziato ed il 7 marzo
1938 emise la Professione Perpetua al Sacro Cuore di Roma.
Studente di teologia presso l’Università Gregoriana di Roma, e poi a
Chieri, sfruttava il suo tempo libero per fare apostolato nell’oratorio.
A Torino, il 23 giugno 1940, raggiunse la meta tanto desiderata del-
la consacrazione sacerdotale, grazie all’imposizione delle mani del
cardinale Maurilio Fossati. Il 4 agosto 1940, a Vajnory, suo paese
natale, celebrò la sua prima messa.
Quando il regime comunista cecoslovacco, nell’aprile del 1950,
vietò gli ordini religiosi e iniziò a deportare consacrati e consacrate
nei campi di concentramento, divenne necessario organizzare dei
viaggi clandestini verso Torino per consentire ai religiosi di com-
pletare gli studi. Don Zeman s’incaricò di realizzare questa rischio-
sa attività.
Il Servo di Dio organizzò due spedizioni per oltre 60 giovani sa-
lesiani. Alla terza spedizione don Zeman, insieme con i fuggitivi,
venne arrestato. Subì un duro processo, durante il quale venne
descritto come traditore della patria e spia del Vaticano, e rischiò
addirittura la morte. Il 22 febbraio 1952, in considerazione di alcune
circostanze attenuanti, venne condannato a 25 anni di pena.
Don Zeman uscì di prigione, in prova, solo dopo 12 anni di reclu-
sione, il 10 marzo 1964. Ormai irrimediabilmente segnato dalle sof-
ferenze subite in carcere, morì cinque anni dopo, l’8 gennaio 1969,
circondato da una gloriosa fama di martirio e di santità.
Visse il suo calvario con grande spirito di sacrificio e di offerta:
“Anche se perdessi la vita, non la considererei sprecata, sapendo
che almeno uno di quelli che avevo aiutato è diventato sacerdote al
posto mio”.
Il 26 febbraio 2010 è iniziata a Bratislava (Slovacchia) l’Inchiesta
diocesana per la sua beatificazione.
Per informazioni e segnalazioni di grazie scrivere a:
postulazione@sdb.org
Giugno 2011
41

5.2 Page 42

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
DON ADOLFO L’ARCO
Salesiano sacerdote
Morto il 25 luglio 2010 a Vico Equense (NA), a 94 anni.
Don L’Arco è stato per tutti il “sa-
lesiano del sorriso”! Una descri-
zione dell’uomo e del sacerdote
che potrebbe sembrare riduttiva
e incompleta perché di don L’Arco
si potrebbero scrivere tre biogra-
fie: una biografia intellettuale per
la sua vivacità, una biografia spi-
rituale per il suo cuore amabile e
sensibile e una biografia educati-
va per la sua volontà docile allo
Spirito santo.
Le radici della sua capacità di
sorridere e di aiutare a sorridere
le troviamo nelle sue caratteristi-
che umane e spirituali: un uomo
bonario, studioso, spirituale, sa-
lesiano doc, prete innamorato di
Cristo e di Maria, maestro di vita.
Una personalità coinvolgente:
“Una vita lunga la sua. Un in-
cendio divampato sulla terra. Al
solo suo apparire, il calore di un
ambiente cambiava: un vero ter-
mostato dello Spirito. Era pertan-
to ricco di empatia, come vivere
dentro l’interiorità degli altri. Era
ricco altresì di amorevolezza di
don Bosco, intesa come amare
l’altro, a partire dall’altro, facen-
dogli percepire amore”.
Le colonne portanti della sua
esperienza, che resero il suo sor-
riso come quello di Dio, le ritro-
viamo nelle sue opere: scrisse ol-
tre 60 libri! Ne ricordiamo alcuni
che per molti salesiani e giovani
sono stati un vero e proprio Iti-
nerario alla gioia (1954): Le mani
che sollevano il mondo (1954), Il
Cristo in cui spero (2007), La leva
del mondo: la preghiera (2007)
e Sorgenti di gioia (1983) quasi
un testamento spirituale, redatto
per gli amici che, grazie a Dio,
sono molti ed eccellenti” .
Un beniamino
della Madonna
Adolfo L’arco nacque il 24 mag-
gio 1916 a Fontanelle di Teano, in
provincia di Caserta. Don L’Arco
amava raccontare che era nato
nel giorno della festa di Maria
Ausiliatrice. Si sentiva un pre-
destinato, un “beniamino della
Madonna”, come affettuosamen-
te chiamava i fedeli all’inizio delle
sue prediche.
Aveva già intrapreso gli studi in
seminario, quando avendo co-
nosciuto don Bosco chiese con
insistenza e ottenne di diventare
salesiano.
È stato insegnante di filosofia e
storia nei licei di Caserta e Napoli
Vomero. A Caserta fu anche assi-
stente degli universitari cattolici
della F.U.C.I.
Successivamente si è dedicato
con passione all’insegnamento
di filosofia e teologia ai giovani
chierici salesiani a Torre Annun-
ziata, Castellammare di Stabia,
Salerno.
È stato inoltre a Cisternino e per
molti anni a Pacognano di Vico
Equense (Napoli) dove le sue doti
di predicatore e di scrittore hanno
creato un vasto movimento intor-
no all’opera salesiana.
Si dedicò con entusiasmo per
quasi un ventennio alle missioni
mariane del Santuario della Ma-
donna del Rosario di Pompei.
Era sempre disponibile per la
predicazione, ma soprattutto per
accogliere e sostenere con la
sua parola tutte le persone che
si rivolgevano a lui da ogni parte
d’Italia.
Il contatto umano era fondamen-
tale al punto tale che, invitato a
tenere la rubrica religiosa del sa-
bato sera su RAI 1 “Tempo dello
spirito” (1973), pose come unica
condizione la registrazione con la
presenza del pubblico nello stu-
dio televisivo.
Una presenza sempre gioiosa e
sorridente, serena e vicina a tutti
i confratelli.
Una presenza che diventava irra-
diazione dello spirito di don Bo-
sco attraverso la predicazione e
la scrittura, come recita il titolo di
uno dei suoi scritti: “Don Bosco
sorridendo entra in casa vostra”.
In occasione del suo 60esimo
anniversario di sacerdozio, il 17
marzo 2005, il Rettore Maggiore
e nono successore di don Bosco,
don Pascual Chávez Villanueva,
gli inviò un messaggio persona-
le nel quale diceva tra l’altro: “La
Congregazione salesiana è orgo-
gliosa di avere un figlio come lei e
chiede al Signore altre vocazioni
come la sua”.
“Un tipo di prete così solo a Na-
poli poteva crescere e svilupparsi.
Spesso pensavo che mi sarebbe
piaciuto che don Bosco fosse nato
a Napoli e in tal caso pensavo che
sarebbe stato un tipo alla don L’Ar-
co” afferma un exallievo.
Don L’Arco diceva: “La felicità non
è fuori di noi, come un mucchio
d’oro, ma è in noi come armonia.
L’armonia delle forme genera la
bellezza, l’armonia delle funzio-
ni genera la salute; l’armonia dei
sentimenti genera la saggezza,
l’armonia della bontà genera la
santità”.
Non so se qualcuno di voi pos-
sa riferire che don L’Arco abbia
compiuto qualche miracolo, ma
io posso affermare che ha fat-
to un grande miracolo: ha fatto
sorridere le persone! Nel volto e
nell’animo! (Don Antonio Marti-
nelli )
42
Giugno 2011

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Il muro
C’era una volta, ma forse
c’è ancora, un paese
diviso in due da un
muro. Era un muro alto,
massiccio, grigio e mi-
naccioso. Mai, proprio
mai, nessuno aveva osato scavalcarlo.
Nel muro non c’erano passaggi, porte
o cose simili. Neanche un buchetto
piccolo piccolo. Quelli che erano
nati da questa parte del muro non
avevano mai visto quelli che erano
nati dall’altra parte e viceversa.
Gigi abitava da questa parte del
muro. Era un bambino gentile, con
gli occhi castani e i capelli biondi.
Ma era stufo di giocare sempre da
solo nel cortiletto della sua casa, che
era stata costruita proprio contro il
famoso e tetro muro.
«Perché non posso andare a giocare
dall’altra parte del muro?», chiese
Gigi, un giorno, alla mamma.
«Perché di là ci abita della gente
molto cattiva» rispose la mamma. «E
se non mi credi chiedilo a tuo padre».
Gigi andò a trovare il padre nel suo
laboratorio.
«Perché non posso andare a giocare
dall’altra parte del muro?».
«Perché di là ci abita della gente
molto cattiva», rispose il padre.
Gigi ritornò a giocare da questa
parte del muro. Ma ormai la tenta-
zione di dare almeno una sbirciatina
al di là del muro era troppo forte.
Vide che il cemento del cortile era
scheggiato proprio contro il muro e,
quasi con indifferenza, infilò la sua
paletta sotto un grosso frammento. Il
pezzo di cemento si alzò con estrema
facilità. Gigi cominciò a scavare con
decisione.
Dall’altra parte del muro, c’era un
altro cortile, una casetta, un bambino
di otto anni con i capelli biondi e gli
occhi castani. Il Gigi dell’altra parte
del muro portò il Gigi di questa par-
te del muro a visitare il suo nascon-
diglio segreto.
«Io ho un fratello, una sorella e un
cane», gli disse Gigi.
«Proprio come me», gli rispose Gigi.
Gigi passeggiò con Gigi in lungo e
in largo per la città dall’altra parte
del muro.
«Ti comprerei un gelato, ma i miei
si sono dimenticati come al solito
di darmi la paga della settimana»,
gli disse Gigi. «Anche i miei», disse
Gigi.
« Io non me la cavo troppo
bene in aritmetica ed ho un
po’ paura del buio», disse
Gigi.
«Proprio come me», gli
rispose Gigi.
I due ragazzi si presero a
braccetto e ritornarono
presso il muro.
«Bisogna sempre stare
attenti, perché ci sono delle
persone spaventosamen-
te cattive», disse il Gigi
dell’altra parte del muro.
«Dove sono tutte quelle
persone spaventosamente
cattive?», chiese il Gigi
di questa parte del muro. «Stanno
dall’altra parte del muro», gli rispose
Gigi.
Finalmente Gigi si infilò di nuovo
nel buco e ritornò a casa sua da que-
sta parte del muro.
Entrò in casa facendo finta di niente,
ma la sua fuga era stata notata. Papà
e mamma erano là che lo aspet-
tavano con le mani sui fianchi e il
cipiglio delle grandi sgridate.
«Gigi!», gridarono, «Tu sei stato
dall’altra parte del muro!»
«Sì», rispose Gigi.
«Dalla parte dei cattivi!».
«Sì», rispose Gigi.
«E allora», gridarono, «come sono?».
«Proprio come noi», rispose Gigi.
L’empatia è la rara virtù che
ci aiuta ad abbattere il muro.
Per scoprire che ogni “altro” è
proprio come noi.
Giugno 2011
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Venite e vedrete
Beato Augusto
Czartoryski
Il giovane ricco che dice sì.
La vocazione di un Principe
diventato salesiano
Salesiani nel mondo
Don Bosco a Istanbul
Presenza salesiana
in Turchia
L’invitato
Suor Enrica Rosanna
La prima donna
Sottosegretario di una
Congregazione romana
Le case di don Bosco
L’Astori
di Mogliano Veneto
Note di spiritualità
salesiana
A come Ascolto
Senza di voi
Dal testamento di don Bosco
per i benefattori
non possiamo
Senza la vostra carità io
avrei potuto fare poco
o nulla; con la vostra
carità abbiamo invece
fare nulla!
cooperato con la grazia di Dio
ad asciugare molte lagrime e
a salvare molte anime.
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612658
e-mail:donbosconelmondo@sdb.org
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