Bollettino_Salesiano_201105

Bollettino_Salesiano_201105

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IL
MAGGIO
2011
L’invitato
Monsignor
Gaston Ruvezi
Le case
di don Bosco
Cagliari
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
I grandi amici
Giovanni
Paolo II
Beato!
Salesiani
nel mondo
Sud Sudan:
si volta
pagina!

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
La carrozza
Sono una carrozza a
noleggio. Tanto tempo fa,
abitavo in una rimessa di Corso
Casale a Torino. Stavo in mezzo
a tante altre carrozze, in attesa
che qualcuno avesse bisogno
delle mie prestazioni. Un gior-
no, arrivarono due preti dall’Ar-
civescovado.
Contrattarono rapidamente con
il mio padrone e mi affittarono
per la giornata.
I cavalli trottavano lentamente.
Percorremmo le lunghe strade
fiancheggiate dai portici.
Durante il viaggio, i miei due
clienti parlavano con compas-
sione di un giovane prete che era
diventato matto: vagabondava
per le strade con i ragazzacci e i
giovani perditempo della città, li
raccoglieva nelle strade, giocava
con loro… Bisognava assoluta-
mente chiuderlo in manicomio
per il buon nome del clero.
Io ero incaricata di questo
penoso compito.
Arrivammo al lugubre luogo
della forca, dove venivano giu-
stiziati gli assassini e scendem-
mo nello squallido quartiere di
Valdocco. Ci fermammo davanti
ad una casa di periferia senza
pretesa, dalla quale entravano ed
uscivano molti giovani.
I due preti scesero e si diressero
risolutamente verso la porta
principale. Ne uscirono una
mezz’ora dopo, accompagnati da
un giovane prete che sorrideva
e scherzava con i giovani che
incontrava. I miei due clienti
sembravano preoccupati per la
salute del giovane prete.
«Sei stanco. Un po’ d’aria libera
ti farà bene, caro don Bosco», gli
disse uno.
«Vieni con noi, abbiamo preso a
nolo questa bella carrozza» disse
l’altro, indicando me.
«Volentieri. Prendo il cappello
e sono con voi» disse il giovane
prete.
Uno dei due amici aprì lo spor-
tello: «Non è necessario. Sali!»
Don Bosco mi guardò. Non di-
menticherò quello sguardo: era
limpido, divertito e soprattutto
infinitamente furbo.
«Dopo di voi, grazie» disse. Il
tono era cerimonioso, ma io sono
una carrozza di mondo e mi ac-
corsi che aveva in serbo qualcosa.
Dopo qualche insistenza, per
non guastare la faccenda, i due
accettarono di salire per primi.
Ma appena furono dentro,
con mossa rapida, don Bosco
chiuse lo sportello e ordinò al
mio cocchiere:
«Al manicomio, presto! Que-
sti due vi sono aspettati».
La storia
Nell’anno 1846, don Bosco aveva una casetta e viveva
circondato da ragazzi e giovani. Nella curia arcivescovile
pensavano che fosse diventato matto.
“Si mandò pertanto a parlare col Direttore dell’Ospedale
dei matti, e si ottenne un posto pel povero D. Bosco. Al-
lora due ragguardevoli Sacerdoti, di cui uno era il Teol.
Vincenzo Ponzati, Curato di Sant’Agostino e l’altro un pio
e dotto membro del Clero Torinese, furono incaricati di
andarlo a prendere con una carrozza chiusa, e con bel
garbo accompagnarlo alla casa dei pazzerelli”. (Memorie
Biografiche II, pag. 309-315)
Il manicomio, o ospedale psi-
chiatrico, era poco distante. Gli
infermieri, avvisati, aspettavano
un prete. Ne videro arrivare due.
Ero sempre stata una
carrozza seria, ma questa
volta cigolavo dalle risate.
Da quel giorno sono passati
molti anni. Sono solo più una
carrozza antica e sgangherata
che soffre di acuti attacchi di
ruggine in tutti i bulloni. Tra
i tanti e importanti passeggeri
che ho avuto l’onore di traspor-
tare, non sono mai riuscita a
dimenticare quel giovane prete
che… neanche si sedette sui
miei eleganti e morbidi sedili.
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Maggio 2011

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IL
MAGGIO 2011
ANNO CXXXV
Numero 5
IL
MAGGIO
2011
L’invitato
Monsignor
Gaston Ruvezi
Le case
di don Bosco
Cagliari
2 LE COSE DI DON BOSCO
La carrozza
4 STRENNA 2011
Suor Maria Troncatti
6 LETTERE
8 I GRANDI AMICI
Giovanni Paolo II
10 SALESIANI NEL MONDO
14 NOTE DI SPIRITUALITÀ SALESIANA
R come resilienza
16 L’INVITATO
Monsignor Gaston Ruvezi
19 MESSAGGIO A UN GIOVANE
20 LE CHIESE DI DON BOSCO
24 LE CASE DI DON BOSCO
Cagliari
26 FMA
28 FINO AI CONFINI DEL MONDO
30 VIS
Venticinquesimo
32 COME DON BOSCO
Servizio in famiglia
34 GRANDI SALESIANI
Sylvanus Sngi
36 NOI & LORO
38 I SALESIANI E L’UNITÀ D’ITALIA
40 LA FESTA DELLA MAMMA
Mamma Margherita
41 I NOSTRI SANTI
42 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
43 LA BUONANOTTE
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
I grandi amici
Giovanni
Paolo II
Beato!
Salesiani
nel mondo
Sud Sudan:
si volta
pagina!
8
24
30
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina:
Il volto e il sorriso
di papa Giovanni
Paolo II. A pagina
8, Carlo Terraneo
racconta l’emozione
che si sprigiona
dalla sua Beatifi-
cazione, il primo
maggio.
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
Tel./Fax 06.65612643
e-mail: biesse@sdb.org
web: http://biesseonline.sdb.org
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Luca Cristaldi,
Annarita Cristiano, Mackley Gomes,
Cesare Lo Monaco, Natale Maffioli,
Alessandra Mastrodonato,
Francesco Motto, Marianna
Pacucci, José J. Gomez Palacios,
Ferrington Poobalarayen,
O. Pori Mecoi, Carlo Terraneo,
Paul Vadakumpadan, Fabrizio
Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Luciano Alloisio (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
Via della Pisana 1111 - 00163 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612658
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
web: www.donbosconelmondo.org
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Banca Intesa - Fil. Roma 12
IBAN: IT 20 P030 6905 0640 0000 3263199
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Progetto grafico: Andrea Morando
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Stampa: Mediagraf s.p.a. - Padova
Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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VENITE E VEDRETE
PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA
Venerabile (1883-1969)
Maria Troncatti
Missionaria, gigante
dell’amore verso gli ultimi
Il 25 agosto 1969, a Sucúa (Ecuador), il pic-
colo aereo che trasporta in città suor Maria
Troncatti precipita pochi minuti dopo il de-
collo, sul limitare di quella selva, che è stata
per quasi mezzo secolo la sua “patria del cuo-
re”, lo spazio della sua donazione instancabi-
Suor Maria
Troncatti con alcuni
“frutti” della sua
catechesi fatta di
fede e profonda
umanità.
le fra gli “shuar”. Suor Maria vive il suo ultimo
decollo: quello che la porta in Paradiso! Ha 86
anni, tutti spesi in un dono d’amore. Scriveva:
“Sono ogni giorno più felice della mia
vocazione religiosa missionaria!”.
Era nata a Corteno Golgi (Brescia) il 16 febbra-
io 1883 e nella sua numerosa famiglia cresce lie-
ta e operosa fra i campi e la cura dei fratellini, in
un clima caldo dell’affetto di esemplari genitori.
Assidua alla catechesi parrocchiale e ai Sacra-
menti, l’adolescente Maria matura un profondo
senso cristiano che la apre ai valori della voca-
zione religiosa. Per obbedienza al padre e al Par-
roco, però, attende di essere maggiorenne prima
di chiedere l’ammissione all’Istituto delle Figlie
di Maria Ausiliatrice ed emette la prima profes-
sione nel 1908 a Nizza Monferrato, assumendo
fin dalla prima professione quale programma
di vita “la carità, a costo, diceva, di stri-
tolarmi”.
Durante la prima guerra mondiale (1915-18)
suor Maria segue a Varazze corsi di assistenza
sanitaria e lavora come infermiera crocerossina
nell’ospedale militare: una esperienza che le riu-
scirà quanto mai preziosa nel corso della sua
lunga attività missionaria nella foresta amazzo-
nica dell’Oriente equatoriano. Parte infatti per
l’Ecuador nel 1922, senza far mai più ritorno
in patria, è mandata fra gli indigeni shuar, dove
con altre due consorelle inizia un difficile lavoro
di evangelizzazione e di educazione in mezzo
a rischi di ogni genere, non esclusi quelli causati
dagli animali della foresta e dalle insidie dei vor-
ticosi fiumi da attraversare a guado o su fragili
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OPERAZIONE CHIRURGICA CON IL TEMPERINO
La vocazione di una
FMA missionaria
«ponti» di liane, oppure sulle spalle degli indi.
Nella selva equatoriana annuncia e testimo-
nia a tutti l’amore del Padre. È la “madrecita”,
sempre sollecita nell’andare incontro non solo
agli ammalati, ma a tutti quelli che hanno biso-
gno di aiuto e di speranza. Macas, Sevilla Don
Bosco, Sucúa sono alcuni dei «miracoli» tutto-
ra fiorenti dell’azione di suor Maria Troncatti:
infermiera, chirurgo e ortopedico, dentista e
anestesista... Ma soprattutto catechista ed evan-
gelizzatrice, ricca di
meravigliose risorse
di fede, di pazienza
e di amore fraterno.
Per quaranta-
quattro anni,
Maria Troncatti
donò episodi di
bontà e di carità
indimenticabili.
I piccoli si
rifugiavano da
lei gridando:
«Tienimi con
te». Lei li ha
sempre tenuti
tutti.
All’arrivo, ebbero una brutta sorpresa: la missione era occupata da un cen-
tinaio di Shuar armati e minacciosi. In uno scontro tra due tribù, la figlia di
un capo era stata colpita da una pallottola che le aveva trapassato il braccio
e s’era conficcata nel seno. Il capo si avvicinò a padre Corbellini e nel poco
spagnolo che sapeva fu brutalmente esplicito: «Tu curando, noi aiutando.
Tu non salvando, noi a tutti morte dando». Il Vescovo si rivolse a suor
Troncatti: «Lei è l’unica che sa di medicina. Se la sente?». «No». «Operi
lo stesso. Noi pregheremo». Con un po’ di tintura di iodio e un temperino
sterilizzato sulla fiamma, suor Maria affrontò l’ascesso che in quattro gior-
ni s’era formato attorno alla pallottola. Incise a fondo
dicendo: «Maria Aiuto dei Cristiani!». La pallottola
balzò fuori e andò a cadere ai piedi degli Shuar,
che scoppiarono a ridere contenti. L’indigena tre-
dicenne, dopo tre giorni, poté tornare con i suoi
nella selva.
La sua opera per la promozione del-
la donna shuar fiorisce in centi-
naia di nuove famiglie cristiane,
formate per la prima volta su
libera scelta personale dei gio-
vani sposi.
“Uno sguardo al Croci-
fisso mi dà vita e corag-
gio per lavorare”, questa è
la certezza di fede che sostiene
la sua vita e la sua missione. In
ogni attività, sacrificio o peri-
colo si sente sorretta dalla presenza materna di
Maria Ausiliatrice. Uno dei missionari di allora,
padre Giovanni Vigna, ci ha lasciato questa te-
stimonianza su suor Maria Troncatti: «È l’in-
carnazione stessa della semplicità e della fur-
bizia evangeliche. Con quale squisita maternità
conquista i cuori! Trova ad ogni problema una
soluzione che risulta, alla luce dei fatti, sempre
la migliore. Non dimentica mai che deve fare
con esseri deboli e peccatori. L’ho vista trattare
la natura umana sotto tutti gli aspetti, i più mi-
serevoli anche: ebbene li ha trattati con quella
superiorità e gentilezza che in lei era cosa spon-
tanea e naturale. Ciò che mi sorprende è che in
tutto e sempre rimaneva squisitamente donna.
Direi quanto più vergine, tanto più madre».
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LA POSTA
I NOSTRI ESPERTI RISPONDONO
L’aldilà
Gentile redazione del Bollettino
Salesiano, mi chiamo Patty e
leggo da anni il vostro giornale
che trovo davvero interessante.
Da un anno ho un dubbio che
mi frulla nella mente...
C’è gente che, risvegliatasi dal
coma, dice di aver visto l’aldilà, di
ricordare una porta, una grande
luce e altro. Ebbene il mio dub-
bio è presto detto. A gennaio del
2010 sono stata in coma per 3 gg
in seguito a complicazioni duran-
te un taglio cesareo. Mi sono ri-
svegliata (ed è già un miracolo lo
so me ne rendo conto) dopo 2-3
gg ma... visioni dell’aldilà niente.
Praticamente i miei ricordi si fer-
mano alla sala operatoria e al mio
risveglio ero convinta di essermi
appena risvegliata dall’anestesia
(quindi ho 2 gg di buco dei quali
non ricordo niente).
La mia domanda è: come mai io
non ho visto niente? Vuol dire
che già per me è decretato il
non andarci? O meglio lo vede
solo chi potrà poi andarci?
Eppure io sono credente, sono
convinta che ci sia una vita
dopo la morte e il fatto di non
aver visto niente ha lasciato
un bel po’ di dispiacere e mi fa
chiedere continuamente il per-
ché no? Non ne sono degna?
Ma non so a chi chiedere una
risposta (anche perché proba-
bilmente non c’è un perché).
Spero però che sarete tanto gen-
tili da illuminarmi un po’ sulla
questione... Perché io no?
Ringrazio in anticipo per l’at-
tenzione che mi auguro vorrete
dedicarmi e saluto cordialmente.
Patty
Gentile signora Patty, si
tranquillizzi. Tutti co-
loro che ritornano da
un certo periodo vis-
suto in stato di coma
e parlano di tunnel,
luce, dolcissima musica, indici-
bile senso di pace lo fanno non
perché hanno esperimentato il
paradiso. Tutte queste sensazio-
ni sono dovute alle reazioni del
cervello di fronte a traumi gravi
(arresto cardiaco, shock emorra-
gico...). Queste emozioni appar-
tengono alla nostra fisicità e non
hanno nulla a che fare con il Pa-
radiso. Esse possono verificarsi o
meno. È semplice reazione cere-
brale. L’esistenza dell’aldilà è una
questione di fede. Non ci sono
prove scientifiche dell’esistenza
di una vita dopo la morte. La no-
stra certezza si radica solo sulla
verità storica della Resurrezione
di Cristo. Con Lui noi certamente
risorgeremo. Come? Gesù non
l’ha svelato. Il Catechismo della
Chiesa cattolica (375) ci dice che
in Paradiso vivremo in pienezza
“la grazia della santità originale”
che ci abiliterà alla “partecipazio-
ne alla vita divina”. Tutto il resto
è fantasia più o meno teologica.
Ermete Tessore
Docente di Filosofia
e di Religione
OGNI MESE
DON BOSCO
A CASA TUA
Il Bollettino Salesiano vie-
ne inviato gratuitamente a
chi ne fa richiesta.
Dal 1877 è un dono di don
Bosco a chi segue con sim-
patia il lavoro salesiano tra
i giovani e le missioni.
Diffondetelo tra i parenti e
gli amici. Comunicate su-
bito il cambio di indirizzo.
Faccio la cartomante
per vivere
Sono una mamma che lavora in
un centro di cartomanzia: sono
laureata in scienze della formazio-
ne primaria. Ho cercato lavori di
pulizie, di badante, li ho trovati, ma
duravano tutta la notte, per pochi
euro e per un tempo limitato. Ho
tre figli. Non riuscivo a stare con
loro; seguirli nei loro bisogni; non
riuscivo a pagare l’affitto, la luce, il
gas. Adesso ho uno stipendio si-
curo, lavorando sei ore al giorno.
Ho trovato la serenità con i miei
piccoli, il piacere di stare a casa,
perché purtroppo non posso
contare sul padre dei miei figli,
rovinato dall’alcol.
Sono molto cristiana e vivo
cristianamente, insegno ai miei
piccoli l’amore per i deboli, gli
indifesi, i malati e per Gesù.
Voglio sapere se Dio mi condan-
nerà solo perché ho scelto un la-
voro del quale avevo bisogno. E
spero che nella sua infinita bon-
tà perdoni una cartomante.
Lettera firmata
Gent.ma Signora, sul
fatto che Dio sia mise-
ricordioso non ho dub-
bi, come non ho dubbi
sul fatto che chiederà
conto a ciascuno di noi
di come abbiamo vissuto. Non lo
dico io, ma il Vangelo. Detto que-
sto, mi permetta qualche conside-
razione. Fare la cartomante signi-
fica che le carte ‘rivelerebbero’ il
futuro di noi mortali? Certamente
nel nostro cuore c’è questo desi-
derio di conoscere il nostro avve-
nire. Perché allora non sfruttarlo?
Ed ecco allora furbescamente
prosperare i ‘venditori’ di futuro.
Di questo si tratta: ‘vendere’ a in-
genui creduloni improbabili verità
a prezzi non proprio insignificanti.
Del resto i clienti non mancano e
spesso non badano a spese pur di
‘conoscere’, ad esempio, il futuro
del loro amore. Tuttavia, non pochi
di essi si rivolgono ai cartomanti
o ai maghi di turno perché pres-
sati e angustiati da una qualche
sofferenza. La categoria a cui lei,
signora, appartiene non campa
sfruttando simili situazioni?
La cartomanzia, come molte altre
forme di divinazione, rientra nel
vasto mondo della superstizione
secondo la quale esisterebbero
delle forze occulte che solo degli
esperti iniziati possono conoscere
e dominare al fine di risolvere un
qualche problema. Trattandosi di
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Maggio 2011

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un mondo occulto, sconosciuto al
popolino è giocoforza ricorrere agli
esperti, ovviamente pagando.
Tutto il mondo della superstizione,
della magia, incluso il grande bu-
siness degli oroscopi, non ha nulla
a che fare con il cristianesimo. Il
cristiano non pretende di domina-
re la potenza di Dio per usarla ai
suoi fini. Anzi, si affida al Signore
chiedendo il suo aiuto nei momen-
ti della prova certo di non essere
deluso. In parole povere, la super-
stizione cammina nella direzione
opposta a quella del Signore Gesù.
Per tirare le fila sulla cartomanzia
e affini, credo si possa dire che
tutto questo mondo sta in piedi
grazie ad una diffusa irrazionalità
e preoccupante superficialità re-
ligiosa miste al bisogno di una
qualche certezza per la vita. Que-
sto e altro viene scaltramente usa-
to per fare soldi. Più una persona
è provata dalla vita e più è facile
manipolarla psicologicamente ed
economicamente. Chi sta bene ed
è sereno non va dai maghi e nep-
pure dalle cartomanti.
Ora vengo direttamente alla que-
stione da lei posta. Certamente
la necessità di un lavoro sicuro e
giustamente remunerato che assi-
curi serenità e futuro alla sua fa-
miglia è cosa da prendere in seria
considerazione. E, tuttavia, il suo
ragionamento, cara signora, non
convince. È vera l’esigenza di un
lavoro sicuro, ma è altrettanto vero
che il fine non giustifica i mezzi.
Detto in altre parole: il buon sti-
pendio che lei percepisce le viene
corrisposto a patto che lei venda
nel modo più convincente possi-
bile ingannevole fumo al maggior
numero di persone possibile.
Venendo al dunque: una persona
che si definisce cristiana può ac-
cettare, in nome del buon stipendio
a favore della sua famiglia, di avere
un’occupazione che è esattamente
l’opposto di ciò che il Signore Gesù
ci ha insegnato nel suo Vangelo?
Il mezzo, vale a dire lo stipendio,
può giustificare una attività contra-
ria alla fede? E, ancora, possiamo
sfruttare i disagi interiori dei clienti
al fine di far guadagnare il centro da
cui dipendiamo?
Prima di mettere in gioco il buon
Dio, dobbiamo mettere in gioco
la nostra coscienza. Credo che la
coerenza con le proprie convinzio-
ni cristiane esiga, con un po’ più di
fiducia nella Provvidenza divina, la
ricerca di un altro lavoro.
Sabino Frigato
Docente di Teologia Morale
Bisogna
proprio
andare a Messa
tutte le domeniche?
«Il primo giorno della settimana
ci eravamo riuniti a spezzare il
pane, e Paolo, dovendo partire
il giorno dopo, prolungò la con-
versazione...». Così racconta
Luca negli Atti degli Apostoli,
al cap. 20. Avvenne a Troade,
un porto dell’Asia minore, nella
Pasqua del 58. L’espressione
«spezzare il pane» indica la
Messa, la cena del Signore.
Quella sera Paolo parlò fino
a mezzanotte, e un ragazzo di
nome Eutico, seduto sul davan-
zale della finestra, si addormentò
e cadde al suolo. Per fortuna
Paolo lo rimise in piedi.
Sono dunque venti secoli che i
cristiani hanno l’abitudine di riu-
nirsi «il primo giorno della set-
timana»: è il giorno in cui Cristo
è risuscitato. Essi ne hanno fatto
«il giorno del Signore», in lati-
no Dies Domini, la nostra do-
menica. Andando a Messa quel
giorno, non solo si incontrano
Solenne inaugurazione, il 14 maggio a Bolzano,
dell’Istituto Salesiano Rainerum, ampliato e rin-
novato.
Gli studenti della scuola media e del liceo possono godere
di un edificio moderno, ben attrezzato, dotato di tutte le aule
e locali annessi necessari. Nei primi quattro piani fuori terra
sono distribuite le 18 aule oltre a laboratori, aula magna,
uffici per i docenti e per la direzione, cappella, mensa, sala
giochi e due ampi cortili dove anche nel periodo estivo ven-
gono organizzate attività ricreative a favore dei giovani di
Bolzano. Al quarto piano fuori terra si trova il convitto con
i suoi 37 posti letto. Su tutta la superficie dell’ultimo piano
è stata realizzata una copertura piana a verde accessibile,
mentre sulla copertura dei vani tecnici è stato realizzato un
impianto fotovoltaico.
altri cristiani, ma soprattutto ci
si nutre della Parola di Dio nelle
letture che vengono fatte, e della
vita di Cristo, mediante la comu-
nione al suo Corpo.
Evidentemente, è una presenza
vitale per un cristiano. Nessuno
si chiede: è proprio necessario
mangiare e lavarsi tutti i gior-
ni? Non basta farlo ogni tanto?
D’altra parte, quando si parte-
cipa meno regolarmente alla
Messa, si finisce per smarrirne
il gusto, come quando si scrive
di rado a una persona cara: si
finisce per dimenticarla.
Qualche volta non si ha voglia
di andare a Messa perché si
ha l’impressione di annoiarsi.
Allora conviene parlarne, per
farsela spiegare: i gesti, le pa-
role... Ci sono Messe preparate
appositamente per i fanciulli. Ci
si può anche offrire per leggere
i testi, le intenzioni di preghie-
ra, portare le offerte, far parte
di una piccola corale... In ogni
caso, è meglio così che addor-
mentarsi e cadere dalla finestra
come Eutico!
Mamma Margherita
Maggio 2011
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I GRANDI AMICI
CARLO TERRANEO
Santo
subito!
«Io c’ero – mi confida
un ragazzone di 27 anni –
mi è bastato sentirlo,
vederlo da vicino: è stata
l’unica occasione della
mia vita.
Avevo poco più di 15 anni.
Te lo confesso: io sono
ancora a Tor Vergata
a distanza di anni.
Farò l’impossibile per
essere a S. Pietro
alla sua beatificazione
che è anche mia.
Da quel giorno mi sono
sentito privilegiato,
fortunato, beato.»
Giovanni Paolo II è un papa di
frontiera e di casa: frontiera,
come novità, sorpresa, tra-
guardi impensabili, viaggi in-
tercontinentali, dove la Chiesa
fa l’esperienza del vento dello
Spirito; casa, come luogo carismatico
di incontro intergenerazionale, come
culla di premure, di calore materno e
paterno, come focolare di emozioni
verginali e di sentimenti sponsali, come
trincea a difesa della vita.
Ha incarnato l’uomo di oggi e la sua
sete del divino nascosta e misteriosa
in tutti gli angoli del mondo. Ha spe-
rimentato la società multietnica, mul-
tirazziale, multiculturale e la Chiesa
carismatica, missionaria, pneumatica.
Per 27 anni – più di un quarto di se-
colo – il mondo mediatico ha puntato
in Giovanni Paolo II il suo occhio e
raccontato sensibilità e speranze. Lo
conoscono tutti, vicini e lontani.
È stato ed è il punto di riferimento di
un mondo in frenetico cambiamento.
È stato ed è lo specchio di una vita,
quella ecclesiale, che si è ritrovata im-
provvisamente nel terzo millennio.
Ha fatto cadere muri e frontiere, ha
tenuto per mano l’occidente e l’orien-
te per un incontro di pace, per uno
scambio di doni. Le mani quando ti
stringono si riempiono di storia, di
cultura, di ricchezza. Non c’è est o
ovest, né nord o sud. Tutti. Tutto.
27 anni in un baleno. Tutto è stato ve-
loce. Il mondo è diventato raggiungi-
bile. I suoi viaggi, messi insieme, sono
pari a 30 volte la circonferenza della
Terra. È come se avesse percorso 3 vol-
te la distanza Terra-Luna. Ha trascorso
l’11% del suo pontificato fuori Roma.
Gli hanno contato 822 giorni dei 9666
vissuti in Vaticano, in giro per il mondo.
Il suo pontificato ha vissuto un’acce-
lerazione continua di fatti ed avveni-
menti. È torrenziale la pubblicistica di
questi anni.
Tanto da raccontare e da raccontare su-
bito.
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Maggio 2011

1.9 Page 9

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Tanto da ricordare e da ricordare subito.
Tanto da venerare e da venerare subito.
Santo subito. È morto in diretta
e in diretta la gente lo proclama santo
subito. Mi chiedo perché subito?
Perché santo?
Non sono punti interrogativi, ma
punti esclamativi!!
Il 28 giugno 2005, solennità di S. Pie-
tro e Paolo, dodici settimane dopo la
sua morte, si apre ufficialmente il suo
processo di beatificazione. La proce-
dura normale richiede almeno 5 anni.
Subito. I bambini dicono subito
quando vogliono qualcosa.
I giovani non aspettano. Subito è il
loro lasciapassare.
La gente tocca con mano, guarda ne-
gli occhi, si accorge subito con chi ha
da fare.
Giovanni Paolo II è a presa diretta.
Ha una forza di coesione straordinaria.
È bambino con i bambini, giovane
con i giovani. È il Papa-boys.
È grande con i grandi: c’è chi lo defi-
nisce Magno. Anziano e nonno con i
nonni. È malato con i malati.
Atleta con gli atleti. Artista con gli
artisti.
È di casa. Viene a trovarci.
È come noi: parla, si confida, sorride, si
commuove, piange, soffre, muore.
Ci rappresenta ovunque: all’altare, all’O-
NU, a Lourdes, a Fatima, in Parlamento.
Si sente polacco, italiano, americano,
africano, filippino, indiano.
Chiede perdono, si inginocchia.
Scia, cammina frettoloso, saltella, si
appoggia al bastone, si lascia portare
in carrozzella.
Subito. Va sottratto al tempo.
Va lasciato ai contemporanei perché
lo sentono loro e lo vogliono vivere
come dono e mistero. Subito. Subito.
È trasfusione. È dentro di noi:
è la voce del nuovo millennio;
è il grido contro l’ingiustizia, la guerra,
la discriminazione razziale, la mafia e
le mafie;
è il lamento di quelli che soffrono;
è la preghiera di chi ama e si sente
inviato da Dio.
Santo subito. Non è da met-
tere tra parentesi. È la metafora, il
passaparola per il viaggio della vita. È
il moto perpetuo da mettere in atto
nella nostra vita frenetica.
Santo, perché ci ha insegnato a mo-
rire. Lo ha potuto fare perché ci ha
indicato, durante tutta un’esistenza,
come vivere.
Santo, perché ha aperto per noi la
porta del terzo millennio. Questa
porta oggi ha due cardini insostitui-
bili: la misericordia e la speranza. La
misericordia è un monito per gli uo-
mini di buona volontà; la speranza è
un compito per i giovani.
1982 – Porta all’onore degli altari san
Massimiliano Kolbe per ricordare a
tutti che i campi di sterminio non de-
vono più esistere.
1982 – Perdona e va a portare il perdo-
no al carcere di Rebibbia ad Alì Agca.
2005 – Muore il 2 aprile, di sabato,
alla vigilia della seconda domenica di
Pasqua, da lui voluta come consacrata
alla Divina Misericordia.
Consegna le chiavi del terzo
millennio ai suoi giovani.
I media li definiscono “Papa-boys”. Il
Papa li fa responsabili del futuro, della
speranza, come “sentinelle del mattino”.
A Tor Vergata – a Roma – a due mi-
lioni di giovani nella grande veglia
della GMG 2000 avviene il passa-
mano quando esclama: “Alla soglia
del terzo millennio, io vedo in voi le
sentinelle del mattino”.
Un giorno indimenticabile. Il 13 aprile 1980, ai gio-
vani in piazza Maria Ausiliatrice: «Che cosa posso
dire della mia Cracovia, della mia Polonia? Vi sono
tanti salesiani! Io sono rimasto in una parrocchia
salesiana per parecchi anni».
Maggio 2011
9

1.10 Page 10

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SALESIANI NEL MONDO
FERRINGTON POOBALARAYEN SDB
Sud Sudan:
si volta pagina!
Trentasei salesiani accanto ad un popolo che
affronta la sfida più ardua della sua storia:
nascere come nazione.
Un popolo in cammino
Libertà è una parola magica in Africa ed è diven-
tata la parola d’ordine tra i cittadini del Sudan
meridionale negli ultimi mesi. Dopo 22 anni di
guerra civile – il conflitto più lungo di tutta l’A-
frica, durante il quale 2 milioni di persone sono
state uccise e 4 milioni sfollate o rifugiate – il
semi-autonomo Sudan del Sud si trova alla vigi-
lia dell’indipendenza piena dal Nord, dominato
dagli arabi. Il Trattato di Pace (Comprehensive
Peace Agreement – CPA) firmato nel 2005 ha
dato ai sudanesi del Sud un’ottima opportuni-
tà di optare per la secessione – una delibera-
zione inclusiva che è stata scelta all’unanimità
il 9 gennaio 2011 con voto collettivo di tutto
il Sudan del Sud. Questo nuovo stato è gran-
de quasi come la Francia, con un’area di 619 745
km2 e con solo 9 milioni di abitanti. L’economia
è prettamente rurale ed è basata principalmen-
te su un’agricoltura di sussistenza. La regione è
stata colpita da due guerre civili dopo l’otteni-
mento dell’indipendenza: il governo sudanese
combatté contro l’esercito ribelle Anyaya dal
1955 al 1972 nella prima guerra civile sudanese
e poi contro lo SPLA/M nella seconda guerra
civile sudanese per quasi 21 anni dalla fondazio-
ne del SPLA/M avvenuta nel 1983. I risultati di
tali guerre furono serie negligenze, mancanza di
sviluppo delle infrastrutture, grandi distruzioni
e movimento forzato di persone. Nonostante ci
sia ancora nell’aria l’euforia della nascita di una
nuova nazione, certe dispute ancora rimangono,
come quella delle entrate che provengono dalla
vendita del petrolio grezzo, siccome circa l’80%
della produzione del Paese proviene dal sud e
questo sarebbe un potenziale economico fan-
10
Maggio 2011

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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tastico per una delle regioni più impoverite del
mondo. La regione di Abiyei è ancora disputata:
si terrà ad Abiyei un referendum speciale che
permetterà alla gente di scegliere se far parte del
Sudan del Nord o del Sud.
Il Sudan del Sud produce dall’80 all’85% del
greggio sudanese ed attualmente il 98% del bi-
lancio del governo semi-autonomo del Sudan
del Sud proviene dalla vendita del petrolio. È
risaputo che in questo Paese si trovano tra i peg-
giori indicatori di sanità di tutto il mondo. La
mortalità infantile sotto i 5 anni è di 112 bimbi
su 1000, mentre la mortalità delle madri al mo-
mento del parto è la più alta del mondo: 2053,9
per ogni 100 000. Nel 2004 vi erano soltanto 3
medici chirurghi in tutto il Sudan del Sud, con
3 ospedali propriamente detti. In alcune aree si
contava un medico ogni 500 000 persone. Lo
sviluppo agricolo sarà cruciale per un Paese dove
solo il 4% della terra arabile viene coltivato e
milioni di persone hanno bisogno di aiuti inter-
nazionali in cibo per sopravvivere. Il Sudan del
Sud, che è press’a poco della stressa grandezza
della Francia, ha 50 km di strade
asfaltate e praticamente non ha
produzione pubblica di elettri-
cità. Inoltre non vi sono né im-
pianti di acqua potabile né servizi
sanitari pubblici.
Abuna e Kanisa
Abuna – che significa “Padre”, indirizza-
to ad un prete – e Kanisa – che significa
“chiesa” – sono le due parole usate più
comunemente dalla popolazione del Su-
dan del Sud. La vita della popolazione del Sudan
meridionale è così incentrata attorno alla Chiesa,
poiché essa è sempre stata il loro punto di rife-
rimento quando erano sfollati ed ha dato loro
un forte senso di identità. La maggioranza dei
bambini e giovani passano attraverso le strutture
educative della Chiesa, che condivide le lotte e le
speranze della gente. Il popolo del Sud si sente
rassicurato e vede un barlume di speranza nella
Chiesa che continua a camminare insieme a loro
in questo tempo d’indipendenza.
A pagina prece-
dente: c’è qualcosa
di epico in questi
bambini che hanno
come penna il loro
dito e come qua-
derno la sabbia.
La nuova nazione
può incominciare
solo dall’educa-
zione a partire da
quella elementare.
Purtroppo il 65%
dei giovani non ha
accesso all’istru-
zione, poiché
mancano le scuole.
Maggio 2011
11

2.2 Page 12

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SALESIANI NEL MONDO
Noi salesiani siamo solo in 36 nella De-
legazione del Sudan, dei quali 7 si tro-
vano fuori sede per ragioni di studio.
L’espressione proverbiale di don Bosco,
“Con 500 dei miei figli conquisterei il
mondo” è molto vera in Sudan: quante
persone potremmo raggiungere se fossi-
mo più numerosi!
Negli occhi e nella
feroce volontà di
imparare di questi
bambini c’è tutto
il futuro del nuovo
Sudan. I salesiani
si sono impegnati
nella costruzione di
almeno 100 scuole.
Abbiamo vissuto per 30 anni con questa gente sia
nel Sud sia nei campi-profughi pieni di gente del
Sud che si trovano al Nord del Paese. La gente
ci è molto vicina, quindi. È questo allora il mo-
mento opportuno di rilanciare la nostra presenza,
ora che si stanno aprendo strade nuove. Il nostro
contributo più importante deve essere di certo
nel campo dell’evangelizzazione e dell’educazio-
ne. Una parte molto significativa della nostra
missione è diretta ai giovani ed ai bambini. La
storia di guerra e di conflitti in Sudan ha distrutto
sistematicamente la mente e lo spirito di questa
categoria della popolazione: è giunta l’ora di ren-
dersene conto e di porre riparo a questi danni del
passato. Ci sono molto entusiasmo e zelo tra la
popolazione del Sud con un rinnovato interesse
ad apprendere. Abbiamo 4 parrocchie nel Sudan
meridionale, con 17 scuole elementari e medie, 2
scuole superiori e 2 scuole tecniche animate da
Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice. L’educa-
zione è il miglior strumento per la trasformazione
e lo sviluppo. Le parrocchie e gli oratori potreb-
bero diventare i nuovi centri di una catechesi ben
fatta e ben preparata.
Guardando al futuro
Con l’afflusso degli sfollati che ritornano al Sud,
i bisogni aumentano sotto tutti i fronti. La sfi-
da del governo è quella di creare infrastrutture
per i servizi pubblici e di stabilire un sistema di
12
Maggio 2011

2.3 Page 13

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buon governo. Il settore privato sta sperimentan-
do un periodo di boom, grazie ad astute manovre
da parte di profittatori, mentre i poveri ed i più
vulnerabili vengono lasciati a se stessi. Gran parte
del Sudan del Sud fa ancora affidamento su aiuti
umanitari per sopravvivere. Considerando come
stanno le cose, questa situazione di emergenza
continuerà finché sarà formato il nuovo governo
e la sua stabilità e prospettive per il futuro saran-
no garantite. Attraversando in jeep il meridione
del Paese, si trovano villaggi con un’infrastruttura
molto povera, praticamente nell’assenza di strut-
ture mediche ed educative, per non menzionare
le strade di murram sterrate e polverose piene di
buchi di ogni dimensione, che rendono il viaggio
molto penoso. La terra è fertile ed offre opportu-
nità eccellenti per l’agricoltura, anche se una par-
te considerevole del territorio deve ancora essere
ripulita dalle mine. L’agricoltura potrebbe diven-
tare la nuova frontiera di tutte le opere salesiane
del Sud.
Una cultura di riconciliazione
e di pace
Con la nuova libertà di espressione nell’aria, i rac-
conti di incubi e le tristi memorie del conflitto
vengono valutati. Mentre scrivo, il giornale par-
la della morte di più di 100 persone dal giorno
del referendum fino ad oggi ed i tetri tamburi di
guerra e dell’odio si fanno ancora sentire. Questo
dovrebbe essere un momento di riconciliazione
nazionale e bisogna iniziare una campagna per
far partire una cultura di perdono e di amicizia.
Crediamo fermamente che le nostre istituzioni
educative e varie iniziative nella Chiesa possa-
no contribuire a questo cambio sociale positivo.
I bambini ed i giovani si trovano in prima linea
e dobbiamo aiutarli a diventare agenti di questo
cambio su cui il Paese sta riflettendo. La spiri-
tualità salesiana e la pedagogia e la saggezza del
sistema preventivo possono essere uno strumento
eccellente ed un catalizzatore per creare questa
rete di amicizia e di spirito nazionale.
L’intuizione di don Bosco a questo riguardo
si vede chiaramente durante la sua visita più
trionfale in Spagna (Francia) nel 1883: “Se non
vi prendete cura dei giovani ora, presto vi ter-
ranno molto occupati!”. Nel periodo del dopo-
conflitto si possono notare il fallimento e la
mancanza di attrazione e di fiducia nei confron-
ti delle istituzioni tradizionali. La convinzione
di fondo del sistema preventivo di don Bosco
è la qualità della relazione tra adulti e giova-
ni. Questa relazione è un rapporto educativo
di fiducia, speranza ed alleanza. Un’educazione
basata sulla fiducia è radicata in una incrolla-
bile fede nella capacità del giovane di crescere,
nonostante le difficoltà attuali. “Un albero che
cade fa più rumore di una foresta che cresce”,
dice un proverbio africano. È ora di smetterla
di bombardare i giovani con il fracasso di alberi
che cadono: iniziamo a porre di fronte a loro
la bellezza della crescita! E qui non si tratta di
“fare per”, ma piuttosto “con” i giovani: il gio-
vane non è solo un destinatario, ma un partner
nell’interazione educativa.
Questa è davvero la sfida per i salesiani in Sudan,
mentre allo stesso tempo prendiamo il nostro po-
sto nella storia di questa nuova nazione.
(Traduzione di Gianni Rolandi)
Don Johnson
Paulraj, salesiano,
con i ragazzi di
Juba. Il nuovo Sud
Sudan è una nazione
cristiana.
Maggio 2011
13

2.4 Page 14

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NOTE DI SPIRITUALITÀ SALESIANA
B.F.
cormeesilienza Il miglior titolo di una biografia di don Bosco dovrebbe
essere Giovannino sempre in piedi. Nel sogno dei nove anni,
la Madonna lo invita ad essere “robusto”.
Un’altra fondamentale qualità che un tempo era chiamata
anche perseveranza: rimanere saldi, fedeli e pazienti, quando la
situazione si fa dura e saper sempre ricominciare. Oggi è la più
moderna delle capacità che si devono insegnare: la resilienza.
Come reagiva don Bosco alle contrarietà e agli ap-
parenti fallimenti?
La resilienza non è una condizione ma un processo:
si conquista lottando. Non è azzardato definire tutta
Rla vita di don Bosco una lotta: dalla morte del papà
La resilienza è la forza dell’anima
Don Bosco scrisse due frasi “terribili”:
«L’Oratorio di San Francesco di Sales nacque
dalle bastonate, crebbe sotto le bastonate, e in
mezzo alle bastonate continua la sua vita».
alla pioggia di pugni e schiaffi da schivare, dai preti «Tutte le volte che ci frappongono imbarazzi –
della curia che lo credono matto fino al martirio per egli affermava – io rispondo sempre coll’apertura
costruire la chiesa del Sacro Cuore a Roma.
di una casa» (MB, XIV, 229).
La frase decisiva è di Giovanni Cagliero: «Non lo Essere maturi psicologicamente non significa non
vidi mai un solo momento scoraggiato» afferma al avere tensioni, ma saperle gestire positivamente.
processo di canonizzazione. «Non ricordo di averlo
visto un solo momento, nei 35 anni in cui stetti al Resiliente vuol dire solido e affidabile
suo fianco, scoraggiato, infastidito o inquieto per i La lealtà è una merce rara, oggi. Significa fedeltà,
debiti dei quali era sovente carico. Sovente diceva: onestà, sincerità e affidabilità: è l’ingrediente indi-
“La Provvidenza è grande, e come pensa agli uccelli spensabile di ogni amicizia e di ogni relazione uma-
dell’aria, così penserà ai miei giovanetti”».
na. “Puoi contare su di me” è una frase impagabile.
La morte di don Calosso: «Dopo due ore di ago- Per don Bosco era una frase abituale: “Guarda, io
nia, se ne andò con Dio. Con lui moriva ogni sono un povero prete, ma se rimanessi anche solo
mia speranza. Ho sempre pregato, e finché vivrò più con un pezzo di pane, lo farei a metà con te”.
pregherò ogni mattina per quel mio grandissimo Don Bosco non abbandonò mai nessuno. Scri-
benefattore. Quando arrivarono i suoi eredi, con- ve don Michele Rua: «Fu ammirabile anche la
segnai loro la chiave e ogni altra cosa». Così, sem- bontà del Ven. verso il fratello Antonio, egli ben
plicemente. Era già pronto a ricominciare.
conosceva quanto lo avesse contrariato nelle sue
14
Maggio 2011

2.5 Page 15

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aspirazioni alla carriera ecclesiastica, pure lo ebbe
sempre amato, e, morto lui, ne ritirò i figli di lui
nell’Oratorio, facendo imparare al più vecchio il
mestiere di falegname, e conservando verso di
loro in ogni tempo paterno affetto; il più giovane
ritornò presto alla campagna, ma non cessò di go-
dere degli aiuti dello zio nei casi di strettezze. Io li
conobbi entrambi all’Oratorio».
Resilienza è contare su grandi
risorse interiori
La resilienza è come il sistema immunitario della
persona. Ed è formato dalle risorse spirituali.
Le discussioni sulla vita di preghiera di don Bo-
sco possono nascere solo in chi non lo conosce.
La preghiera non è fare comizi a Dio, ma soprat-
tutto ascoltarlo.
La tradizione salesiana ci fa cominciare le pre-
ghiere con «Mettiamoci alla presenza di Dio».
Don Bosco viveva questa presenza. L’insisten-
za sulla “visita” in chiesa, davanti al tabernacolo
lungo la giornata era proprio per sentire, forte e
chiara quella voce: «Io sono qui!». La fede, per
don Bosco, è un totale abbandono in Dio, senza
riserve. Ed è la “molla” della vita.
derno speciale, che consigliò anche a Don Rua
nel mandarlo ad aprire il Collegio di Mirabello: il
quaderno dell’esperienza. In esso aveva cura di re-
gistrare tutti gli inconvenienti, i disordini, gli sba-
gli, a mano a mano che occorrevano nelle scuole,
nelle camerate, nel passeggio, nelle relazioni tra
giovani e giovani, tra Superiori e inferiori, tra i
Superiori stessi, nei rapporti del collegio coi pa-
renti dei giovani, colle persone estranee, colle au-
torità scolastiche o civili o ecclesiastiche. Notava
le disposizioni che si vedevano necessarie per ov-
viare a molti sconcerti accaduti nelle feste straor-
dinarie: e via discorrendo. Teneva pure conto dei
motivi di cambiamento d’orario o di funzioni o di
vacanze o di scuola in certe circostanze; leggeva a
quando a quando e studiava le proprie note».
Don Bosco aveva sempre la visione del futuro,
senza rimpiangere il passato e lamentarsi del
presente, del resto il rimpianto è la forma meno
produttiva tra le reazioni emotive, poiché attra-
verso ad esso si rimedia a nulla: «Celando tuttavia
le mie pene, si mostrava con tutti di buon umore
e tutti li rallegrava raccontando mille maraviglie
intorno al futuro Oratorio, che per allora esisteva
soltanto nella mente mia e nei decreti del Signore».
(MO, 150).
Il terremoto di Haiti
è stato un disastro
terribile per le
opere salesiane.
Ma il lavoro di
ricostruzione
è incominciato
subito.
Resilienza è imparare dal passato
per modellare il futuro
Scrisse don Pietro Ricaldone: «Privatamente Don
Bosco teneva sempre a portata di mano un qua-
Maggio 2011
15

2.6 Page 16

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L’INVITATO
O. PORI MECOI
Mi chiamavano CentoannifaiSalesiani
arrivavano in Congo
baby bishop
Incontro con monsignor
Gaston Ruvezi, vescovo
di Sakania-Kipushi (Congo)
Lei è vescovo dal 2004, ma è
molto giovane!
Avevo 43 anni quando ho ricevuto
l’incarico di vescovo, il 14 aprile ne ho
compiuti 50. Per tre mesi dalla data
della nomina sono stato il vescovo più
giovane del mondo. Qualcuno, scher-
zando, mi chiamava “baby bishop”.
Oggi sembro giovane, come per dire
che l’episcopato ringiovanisce.
Quando ha saputo di
essere stato eletto
vescovo?
È stato un fulmine a ciel se-
reno, quel giorno di aprile.
Dopo un corso di esercizi
spirituali predicati dal Rettore
Maggiore don Chávez in Ca-
merun, in quell’ormai lontano
2004. Ero vicario ispettoriale
dell’Ispettoria salesiana dell’A-
frica Centrale (AFC). Entrando
nel mio ufficio di Lubumbashi, tro-
vai un biglietto dell’arcivescovo di
Lubumbashi, monsignor Floribert
Songasonga: mi voleva incontrare.
Sono caduto in un profondo sgo-
mento quando mi ha comunicato la
notizia che non mi sarei mai aspetta-
ta. Vedendo il mio stato d’animo, mi
diede qualche giorno di riflessione…
Sarà lui stesso assieme all’attuale ar-
civescovo salesiano di Lubumbashi
Jean-Perre Tafunga e monsignor
Gianni D’aniello, Nunzio in Congo,
ad ordinarmi vescovo.
Com’è nata la sua vocazione?
Ho studiato presso i padri benedettini,
dove aveva studiato anche mio padre,
ma frequentavo la parrocchia salesia-
na di un quartiere molto popolare di
Lubumbashi che si chiama Kenya.
Cantavo nel coro della parrocchia. La
mia vocazione è nata proprio in que-
sto ambiente salesiano tra gli studi, il
canto, l’estate ragazzi. Un giorno un
salesiano mi ha chiesto: «Che cosa
pensi di fare dopo l’esame di maturità?
Perché non pensi di farti cooperatore
salesiano?» Io ho risposto: «Coopera-
tore no, ma salesiano sì, come don
Bosco!» perché mi affa-
scinava tanto la figura di
don Bosco.
Quali sono i ricordi
più belli della
sua infanzia?
I ricordi del-
la mia infan-
zia sono tanti.
Sono affezio-
nato ad uno
in particolare:
ad avermi iscritto
16
Maggio 2011

2.7 Page 17

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alla scuola primaria è stata mia sorella
maggiore (siamo in due, io e lei) quasi
per gioco. Mi aveva chiesto se volevo
essere iscritto alla scuola, visto che ave-
vo già l’età, 7 anni, io dissi di sì, allora
lei mi disse: “Ti ci accompagno io”.
Arrivati alla scuola abbiamo incontra-
to il direttore, un uomo affabile, che ci
accolse stupito di vedere mia sorella
e quasi scoppiò a ridere, perché non
avevamo nessun documento. Ci ha
rimandato a casa a cercare un docu-
mento e portammo la carta d’identità
di mia madre. Mio papà non era anco-
ra rientrato dal lavoro. E così che mia
madre seppe che ero iscritto alla scuo-
la e lo disse poi a mio padre. A quel
tempo non si pagava niente, la scuola
primaria era gratuita! Amavo molto
la scuola, solo quando ero ammalato
me ne stavo a letto, altrimenti sem-
pre a scuola. Un altro ricordo è che mi
piaceva molto leggere, specialmente i
fumetti, li spiegavo ai miei amici tra-
ducendo dal francese, che molti di loro
non capivano, allo swahili popolare di
Lubumbashi.
Monsignor Ruvezi
e il Rettor Maggiore.
Sopra: la danza del-
le bambine alla festa
del Centenario.
I muri testimoniano
l’impegno dei confratelli
missionari che hanno
dato la loro vita per farci
conoscere don Bosco e
il suo carisma, alcuni
di loro sono sepolti nel
cimitero di Kafubu, dove si
trova l’episcopio della mia
diocesi.
I salesiani sono in Congo
da cento anni. Che cosa ha
significato questa presenza?
I primi salesiani sono arrivati in Con-
go a Lubumbashi il 10 novembre
1911, un anno dopo l’arrivo dei bene-
dettini. Sono partiti da niente, in quel-
la che era la colonia belga. Da Lubum-
bashi dove sono state costruite molte
scuole a favore dei più poveri, i sale-
siani sono oggi a Goma, Kinshasa (la
capitale), Mbuji-Mayi, Uvira. I muri
testimoniano l’impegno dei confratelli
missionari che hanno dato la loro vita
per farci conoscere don Bosco e il suo
carisma. Alcuni di loro sono sepolti nel
cimitero di Kafubu, dove si trova l’epi-
scopio della mia diocesi. Ma c’è ancora
molto da fare, anche se questo dipende
solo da Dio, per entrare dentro il cuo-
re del carisma di don Bosco, della sua
scuola che è una famiglia di santi. Per
dare un volto nero a don Bosco.
È possibile dare un volto nero
a don Bosco?
Certo! Ma non con il lucido. Qui in-
tendo parlare dei salesiani congolesi-
africani che, incarnando lo spirito
salesiano, la spiritualità salesiana del
sistema educativo salesiano, saranno
dei don Bosco per i numerosi giovani
africani preoccupati della loro santità
e della santità dei ragazzi. Questo è
possibile. Si può iniziare per esempio
a scrivere la vita di certi salesiani anche
africani o di qualche giovane che pur
nella loro quotidianità, con la loro vita,
hanno lasciato un segno indelebile.
Penso alla figura di don Jacques Nta-
mitalizo, il quale con il suo interven-
to in un Capitolo Generale, lanciò un
grido per la presenza salesiana in Afri-
ca. Il suo grido fu ascoltato e sostenuto
Maggio 2011
17

2.8 Page 18

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L’INVITATO
da don Egidio Viganò allora Rettore
Maggiore. Oggi, se non sbaglio, i Sale-
siani sono in 26 nazioni africane.
Nella Conferenza Episcopale
siete in due, due vescovi
salesiani. La vostra voce è
ascoltata?
La conferenza episcopale del Congo è
una delle più numerose dell’Africa. Ab-
biamo 47 diocesi e per ora 48 vescovi.
Conoscendo il nostro DNA, i colleghi
vescovi ci hanno messo nelle commis-
sioni che toccano l’educazione. Avevo
partecipato alle giornate regionali della
gioventù a Bujumbura. Queste giornate
erano organizzate dai vescovi di 3 paesi:
Congo, Rwanda e Burundi per riflette-
re insieme sulla importanza della giu-
stizia e della pace in questi tre paesi, che
da qualche anno sono sempre in guerra.
Quali sono le sfide più rilevanti
della sua diocesi?
La formazione, la lotta contro la pover-
tà e le vocazioni. La formazione riguar-
da soprattutto i catechisti che costitui-
scono per noi il perno centrale della
evangelizzazione. I più anziani muoio-
no e i giovani scarseggiano o non sanno
leggere. Dio si è rivelato nelle Scritture:
come capirlo se uno non sa leggere?
Con questo, non trascuriamo la forma-
zione continua dei sacerdoti. Per la lot-
ta contro la povertà intendiamo prima
di tutto far sì che la gente abbia l’ac-
qua potabile nei pozzi puliti da un lato
e dall’altra parte ci impegniamo nella
lotta contro il flagello dell’AIDS. Per
questo abbiamo il progetto di costruire
un centro per le cure e per l’ascolto a
Kasumbalesa, uno dei punti più colpiti.
Sempre a riguardo dell’AIDS, serve un
centro di maternità per la formazione
delle donne incinte per prevenire la
trasmissione dalla madre al nascituro.
Infine le vocazioni, specie sacerdotali.
Per un totale di 18 parrocchie sparse
su una superficie di 40 mila chilome-
tri abbiamo 28 sacerdoti e 9 semi-
naristi. Dobbiamo ancora fare molto
per quanto riguarda l’animazione vo-
cazionale partendo da una buona pa-
storale giovanile. Cerchiamo prima la
qualità, la quantità seguirà.
Come vede il futuro della
Chiesa in Africa?
Abbiamo celebrato poco fa il secon-
do sinodo speciale per l’Africa. È una
Chiesa giovane piena di freschezza
ma che nello stesso tempo si trova ad
affrontare una grande sfida: affermare
la sua fede con la coerenza di vita.
Che cosa pensa della Chiesa in
Europa?
Non è morta e non morirà! Anche se
le cattedrali non sono più frequentate
dalle folle immense come in Africa. Si
lascia troppo condizionare, secondo
me, dai media che evidenziano solo gli
scandali e li ingigantiscono, come se
la Chiesa in Europa fosse solo quello.
La Chiesa in Europa non sarà più for-
se quella di massa, ma dei “pochi ma
buoni”: la Chiesa della testimonianza
evangelica, la Chiesa dei santi.
E la Congregazione salesiana?
In Europa si sta ristrutturando, in
Africa e in altri paesi del mondo essa
continua ad andare avanti. I confratel-
li salesiani in Europa si danno molto
da fare per essere accanto ai giovani.
Ha qualche progetto che le sta
particolarmente a cuore?
Il progetto di costruire una scuola pro-
fessionale di falegnameria per i ragazzi
e di cucina per le ragazze con l’obiettivo
di toglierli dal far niente e offrire loro
un lavoro che dia loro dignità. Come
don Bosco, dobbiamo farne degli onesti
cittadini e dei buoni cristiani. Sarà l’oc-
casione anche per la diocesi di avere una
mano d’opera “fatta in casa”.
(ruvezigaston@gmail.com)
18
Maggio 2011
Monsignor Ruvezi presiede una celebrazione di rin-
graziamento per i cento anni di presenza in Congo
dei salesiani.

2.9 Page 19

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MESSAGGIO A UN GIOVANE
CARLO TERRANEO - carloterraneo@libero.it
Camè atarnetazza
Y ara, una tredicenne, ab-
bandonata senza vita in un
campo senza fiori e senza
verde, a ricordare i suoi anni
da bambina.
Yara mi fa tanto soffrire:
al pari della sua famiglia, della sua
piccola cittadina, delle sue amiche.
Non la conosco, ma è come se
avessero raso al suolo Brembate di
Sopra per il silenzio funereo cala-
to improvvisamente. È come se ci
avessero portato via i colori della vita:
l’innocenza, il pudore, la tenerezza,
la voglia di giocare, di viaggiare, di
raccontare.
Perché? Come ha potuto acca-
dere tra noi? E adesso? Chi, chi,
chi è stato?
Proprio così, tanti punti interrogativi.
Non sono sprecati. Tutto si è ferma-
to: la famiglia, il paese, la parrocchia,
la palestra, le strade. A tragedia
consumata, conta quello che ti passa
per la mente, chiederti come tenere
in vita Yara, come farla vivere in te,
come rimpiazzarla nelle scelte della
tua condotta.
Io personalmente vorrei che nelle
nostre famiglie, nei nostri paesi fosse
affermato senza false ipocrisie, il
permesso di soggiorno a valori come
purezza, verginità, rispetto. Sono
promesse di immortalità, garanzie di
amore perenne, segnali di forze gra-
vitazionali che garantiscono armonia
e gioia di vivere. Hanno diritto di
cittadinanza. Vanno ascoltate, non
soffocate o pugnalate alle spalle.
Ci stiamo abituando al “minuto di
silenzio” nei confronti di queste morti
efferate. Il lutto cittadino seppellisce
una città per giorni interi.
A voi, miei lettori, propongo
uno “spazio bianco”, uno spa-
zio di riflessione. Un esame di
coscienza.
A caldo descrivi ciò che provi.
Se lasci intatta la pagina è perché sei
senza parola, stordita/o, spaventata/o.
Se mi permetto di aggiungere ancora
una parola, è perché in questo mo-
mento “somatizzo” la paura di tanti
adolescenti.
Attraverso idealmente una e più
volte “quel campo”, più simile a una
discarica che a un prato di gioco.
Quel campo” non ha voluto che il
corpo di Yara scomparisse nel nulla o
si coprisse di fango. “Quel campo” in
abbandono custodisce come può per
90 giorni il corpo spento di Yara.
A Yara è rimasto il cielo aperto
davanti a lei.
Quella sera Dio non chiuse occhio.
Vegliò sul corpo innocente e crocifis-
so di Yara.
Rimase sveglio fino a rimboccarle le
coperte in quel suo letto di morte.
Non le fece mancare il bacio della
buona notte.
La prese con sé e pianse con sua ma-
dre, con tutti noi, con la parrocchia,
con gli sportivi della palestra.
Gli Angeli invaderanno tutte le stra-
de che portano a Brembate di Sopra
e grideranno: Yara è viva. Il suo
sepolcro sarà ed è meta di pellegri-
naggi e altare di benedizioni per tanti
bambini indifesi.
Maggio 2011
19

2.10 Page 20

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LE CHIESE DI DON BOSCO
NATALE MAFFIOLI
La Basilica di
Maria Ausiliatrice
a Torino Cento anni fa, il 13 luglio 1911,
la chiesa di Maria Ausiliatrice a
Valdocco riceveva il titolo di Basilica.
È il “luogo del cuore”
di tutti i salesiani del mondo.
Sotto: Il magni-
fico rosone della
facciata. Al centro:
La Basilica come
si presenta oggi. È
come la sognò e la
volle don Bosco.
Un giorno d’estate, un anziano fruttiven-
dolo, che passava con il suo carretto, vide
le imponenti impalcature sorte in mezzo
ai prati di Valdocco e si incuriosì.
«Che cosa succede?» chiese ad uno dei
muratori.
«Facciamo una gran chiesa per la Madonna!»
«E chi mette i soldi?»
«Don Bosco. Ma racimola offerte da tutte le parti».
L’uomo rimase silenzioso un attimo, poi chiamò
il direttore dei lavori e gli regalò tutta la frutta del
suo carretto perché la dividesse fra i muratori; poi,
volendo dare una mano, secondo la sua espressio-
20
Maggio 2011

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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ne, si caricò, con l’aiuto d’altri, una grossa pietra
sulle spalle e s’incamminò su per i ponti. Tremava
tutto, il buon vecchio, sotto il peso, ma sudato e
con il fiatone arrivò in cima. Depose la pietra e
tutto allegro esclamò: «Ora muoio contento, poi-
ché spero di potere, in qualche modo, partecipare
a tutto il bene che si farà in questa chiesa».
Don Bosco non diceva mai: «Farò questo o farò
quello…».
Diceva sempre: «Maria Ausiliatrice farà questo
e farà quello…».
Insieme, la Madonna e don Bosco, hanno fat-
to una bellissima chiesa!
Non aveva il terreno
e neanche i soldi
Fin dagli inizi degli anni sessanta
dell’Ottocento, don Bosco sognava
di costruire una chiesa di ragguarde-
voli dimensioni; il motivo immedia-
tamente palesato era quello dell’an-
gustia della chiesa di San Francesco
di Sales,edificata tra il 1851 e il 1852.
Così si esprimeva con don Pao-
lo Albera una sera del dicembre del
1862: “Io pensavo: la nostra chiesa è
troppo piccola, non può contenere tutti
i giovani, o vi stanno addossati l’uno
all’altro. Quindi ne fabbricheremo un’altra più bella,
più grande, che sia magnifica. Le daremo il titolo di
Maria Ausiliatrice”.
Il primo febbraio 1863, don Bosco dava risoluta-
mente inizio al progetto della nuova chiesa, ben-
ché il terreno, dove aveva sognato di fabbricarla,
non fosse suo e gli mancasse un disegno, ma spedì
un gran numero di circolari per chiedere l’aiuto
dei benefattori.
Gli scavi furono in parte compiuti nell’autunno;
passato l’inverno, furono ripresi nel marzo del 1864.
Sul finir dell’aprile, per invito del capomastro, don
Bosco, accompagnato dai suoi preti e da molti allie-
vi,scese negli scavi a gettarvi la prima pietra.Termi-
nata la funzione, per esternare la sua compiacenza,
rivolto al capomastro Buzzetti disse: «Ti voglio dar
subito un acconto pei grandi lavori!». Così dicen-
do tirò fuori il borsellino, l’aprì e versò nelle mani
del Buzzetti quanto conteneva, cioè 40 centesimi.
«Sta’ tranquillo, aggiunse don Bosco, la Madonna
penserà a provvedere il danaro necessario per la
sua chiesa». «E Maria, scrisse in seguito don Bosco,
volle Essa medesima porvi mano e far conoscere
che, essendo opera sua, Ella stessa voleva edificarla:
aedificavit sibi domum Maria. Oh quanti si racco-
mandarono a Maria Ausiliatrice facendo la nove-
na e promettendo qualche offerta se ottenevano la
Il quadro dell’altare
di San Giuseppe,
dipinto dal Loren-
zone sulle precise
indicazioni di
don Bosco.
L’altare di San
Giuseppe è l’unico
rimasto della prima
costruzione.
Maggio 2011
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3.2 Page 22

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LE CHIESE DI DON BOSCO
Sotto: il quadro
dell’altare di San
Domenico Savio
del Crida. In alto:
Particolare della
cupola maggiore
con la Gloria
dell’Ausiliatrice,
dipinto dal Rollini,
ma progettato da
don Bosco.
grazia implorata! Torino, Genova, Bologna, Napoli,
ma più di ogni altra città, Milano, Firenze, Roma,
furono le città che, avendo in modo speciale pro-
vata la benefica influenza della Madre delle grazie,
invocata sotto il titolo di Aiuto dei Cristiani, dimo-
strarono eziandio la loro gratitudine colle oblazioni.
Anche più remoti paesi come Palermo, Vienna, Pa-
rigi, Londra e Berlino ricorsero colla solita preghie-
ra e colla solita promessa a Maria Ausiliatrice e non
mi consta che alcuno sia ricorso invano».
Una devozione illustrata
Don Bosco non fu un intenditore d’arte, ma aveva
una spiccata sensibilità per le potenzialità di un edi-
ficio religioso nel rafforzare la memoria e delle figu-
razioni artistiche, di carattere sacro, nel trasmettere
un messaggio. Affidò l’incarico
all’architetto Antonio Spezia,
che da tempo era in amichevo-
le relazione con lui.
Per il prospetto della chiesa
di Maria Ausiliatrice lo Spe-
zia trasse ispirazione dalla
facciata della basilica vene-
ziana di San Giorgio Mag-
giore dell’architetto veneto
Andrea Palladio. In cinque
anni, la chiesa fu portata a
compimento e fu consacrata
il 9 giugno del 1868.
Dopo la consacrazione della
chiesa si apriva il momento
della sua decorazione. Certamente don Bosco ave-
va in mente un preciso piano iconografico: voleva,
attraverso i dipinti posti sugli altari e le devozioni
che vi si espletavano, comunicare dei contenuti, pre-
sentare al fedele non solo dei santi cui indirizzare le
proprie preghiere, ma degli esempi da seguire.
Nel giugno del 1868, al momento della consacrazio-
ne, era già al suo posto il quadro maggiore del pittore
Tommaso Lorenzone, con raffigurata Maria Ausi-
liatrice con in braccio il piccolo Gesù e circondata
dagli apostoli ed evangelisti; all’altare dedicato a san
Giuseppe, nel transetto sinistro, fece collocare una
tela con San Giuseppe e la Famiglia di Nazareth dello
stesso Lorenzone. Successivamente, procedendo ver-
so il fondo, si incontrava l’altare dedicato a sant’An-
na, con una tela del pittore Giovanni Battista Fino
che aveva come soggetto L’educazione della Vergine.
Ultimo lavoro, compiuto dopo la morte di don
Bosco, fu la decorazione della cupola con la Glo-
ria dell’Ausiliatrice. Il progetto, realizzato dal pit-
tore Giuseppe Rollini, è comunque da far risalire
a don Bosco stesso.
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Maggio 2011

3.3 Page 23

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LE LACRIME DEL PITTORE
Tra gli anni venti e trenta del Novecento i superiori
salesiani,in vista della beatificazione e canonizzazio-
ne di don Bosco, vollero por mano all’ampliamen-
to e riqualificazione interna della basilica. Il Rettor
Maggiore don Pietro Ricaldone affidò all’architetto
salesiano Giulio Vallotti il compito di una nuova
progettazione. Presentata nel 1934, fu approvata
all’unanimità e fu deliberata l’immediata esecuzio-
ne. Il progetto prevedeva che la chiesa di don Bosco
avesse a subire la minima mutilazione possibile: la
demolizione dell’abside e la creazione di un nuovo
presbiterio, che accoglieva un nuovo e prezioso alta-
re dedicato a Maria Ausiliatrice, affiancato da due
ampie cappelle sormontate da matronei.
L’architetto Ceradini progettò il nuovo altare di
don Bosco dove un tempo c’era quello di san Pie-
tro. Degli apparati originali furono conservati due
soli altari, quello dedicato a san Giuseppe, che
aveva già subito arricchimenti nel 1889, e quel-
lo di san Francesco di Sales che fu poi sostituito
dall’altare dedicato a san Domenico Savio.
L’inaugurazione dell’ampliamento, dell’altare mo-
numentale a San Giovanni Bosco e di parte del
rivestimento marmoreo del santuario, avvenne il 9
giugno del 1938, ricorrendo in quell’anno il cin-
quantesimo anniversario della morte di don Bosco.
Con l’inizio della Seconda Guerra Mondiale i la-
vori rallentarono, creando difficoltà di ogni genere,
specialmente economiche, ma il 19 dicembre 1942
il decoratore comm. Carlo Cussetti scoprì l’ultima
volta della galleria che gira intorno all’altare mag-
giore, decretando la conclusione dei lavori.
Ma il gran pensiero di don Bosco era il quadro
di Maria SS. Ausiliatrice da collocarsi sull’al-
tar maggiore del Santuario in costruzione.
Quando tenne la prima seduta col pittore Tom-
maso Lorenzone che doveva dipingerlo, fece
meravigliare coloro che erano presenti per la
grandiosità delle sue idee. Parlava come d’uno
spettacolo che avesse già visto, precisandone
tutte le particolarità. Lorenzone lo ascoltava
senza trar fiato e come don Bosco ebbe finito:
«E questo quadro dove metterlo?»
«Nella nuova chiesa!»
«E crede lei che ci starà?»
«E perché no?»
«E dove troverà la sala per dipingerlo?»
«Ciò sarà pensiero del pittore.»
«E dove vuole che io trovi uno spazio adattato a questo suo quadro? Ci vor-
rebbe piazza Castello. A meno che non voglia una miniatura da guardarsi col
microscopio.»
Tutti risero. Il pittore colle misure alla mano, colle regole della proporzione,
dimostrò il suo assunto. Don Bosco fu un po’ spiacente, ma dovette convenire
che il pittore aveva ragione. Quindi fu deciso che il dipinto avrebbe compreso
solo la Madonna, gli apostoli, gli evangelisti e qualche angelo. Ai piedi del
quadro, sotto la gloria della Madonna, si porrebbe la casa dell’Oratorio.
Preso in affitto un altissimo salone del Palazzo Madama, il pittore si mise all’o-
pera: il lavoro doveva durare circa tre anni. Il quadro era già quasi finito, quando
si accorse che il magnifico leone posto a fianco di san Marco attraeva così a sé
lo sguardo, da distogliere alquanto l’attenzione dal soggetto principale. Dovette
quindi dargli una posa meno viva. La Madonna gli riuscì veramente stupenda.
“Un giorno, narra un prete dell’Oratorio, io entrava nel suo studio per vedere il
quadro. Era la prima volta che m’incontrava con Lorenzone. Egli stava sulla sca-
letta dando le ultime pennellate al volto della sacra immagine di Maria. Non si
volse al rumore che io feci entrando, continuò il suo lavoro, di lì a un poco scese,
e si mise ad osservare come fossero riusciti quei suoi ultimi tocchi. A un tratto si
accorge della mia presenza, mi prende per un braccio e mi conduce in un punto
della luce del quadro e: – Osservi, mi dice, come è bella! Non è opera mia, no;
non son io che dipingo; c’è un’altra mano che guida la mia. Ella a quel che mi
pare appartiene all’Oratorio. Dica adunque a don Bosco che il quadro riuscirà
come desidera. – Era entusiasmato oltre ogni dire. Quindi si rimise al lavoro.”
E noi aggiungiamo che allorquando il quadro fu portato in chiesa e sollevato
al suo posto, Lorenzone cadde in ginocchio prorompendo in un dirotto pianto.
(Memorie Biografiche, volume VIII, p. 5)
Gli interventi, con l’ampliamento, il rivestimento
marmoreo, le decorazioni pittoriche e i nuovi al-
tari (specialmente quello dedicato a don Bosco e
di santa Maria Domenica Mazzarello) crearono
un ambiente prezioso e dai risultati si ha quasi
l’impressione che l’economo generale don Fedele
Giraudi (il propugnatore dei lavori), abbia volu-
to accostare al santuario mariano un segno della
grandezza della congregazione salesiana.
A sinistra: Pano-
ramica dell’interno
della Basilica.
Don Bosco
aveva una spiccata
sensibilità per la
potenzialità di un
edificio religioso
nel trasmettere un
messaggio.
Maggio 2011
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3.4 Page 24

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LE CASE DI DON BOSCO
O. PORI MECOI
Cagliari
Una casa voluta e costruita dai cooperatori
(grazie anche al Bollettino Salesiano)
Panoramica
dell’Istituto Sale-
siano Don Bosco
di Cagliari. Dopo
i danni della guerra
è stato ricostruito
e ingrandito.
Poco più di cent’anni fa, a Cagliari non c’era
ancora una casa salesiana, ma c’era un bel
gruppo di ex allievi del collegio di Alassio
e c’erano già tanti cooperatori. Il desiderio
di avere in Cagliari un’Opera Salesiana era
nato ancor vivente don Bosco, conosciutissi-
mo attraverso la lettura del Bollettino Salesiano.
Don Bosco, rispondendo ad una pia religiosa, as-
sicurò che i Salesiani sarebbero venuti in Sarde-
gna, ma non subito, per scarsità di personale e che
vi avrebbero fatto un gran bene.
Quando però i Salesiani aprirono il primo Colle-
gio a Lanusei (1898) e le Figlie di Maria Ausilia-
trice il primo Asilo femminile a Sanluri (1902),
il desiderio, l’urgenza anzi, di avere anche a Ca-
gliari un’opera salesiana crebbe a mille.
I buoni Cooperatori Salesiani di Cagliari non
disarmarono e continuarono a pregare il Signore
e la Vergine Ausiliatrice. Erano essi numerosis-
simi, ma non avevano un Assistente ecclesiasti-
co che ne curasse l’organizzazione e lo sviluppo
delle varie attività.
Mancava insomma chi facesse da catalizzatore e
la Provvidenza mandò un giovanissimo prete dal
cuore più salesiano dei salesiani: don Mario Piu.
Il suo racconto degli inizi ha il sapore dei
“fioretti”: «Ero stato ordinato sacerdote da poco
(marzo 1898) e mi trovavo in Seminario per pre-
pararmi alla Laurea in Sacra Teologia, quando un
giorno fui chiamato dal mio venerato e indimen-
ticabile Arcivescovo monsignor don Paolo Maria
Serci, perché mi recassi subito da lui, in Episcopio.
Volai ai suoi piedi ed Egli mi ricevette nel suo stu-
dio alla presenza di due venerandi sacerdoti che mi
volle presentare così: “Questi due sacerdoti sono
due Salesiani di don Bosco, provenienti da Lanu-
sei dove è stato inaugurato il loro primo Collegio
di Sardegna. Uno è don Luigi Rocca, economo ge-
nerale, e l’altro è don Tommaso Pentòre. Essi mi
hanno pregato di indicar loro un sacerdote – pos-
sibilmente giovane – che possa esercitare l’ufficio
di Direttore dei Cooperatori e delle Cooperatrici
salesiane. Io ho pensato a te...”.
«All’inaspettata proposta – continua don Piu – io
mi sono sentito, come realmente ero, incapace e
quindi confuso... E quasi per scuotermi di dos-
so simile incarico, gentilmente risposi che io non
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Aprile 2011

3.5 Page 25

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ero nemmeno Cooperatore e quindi non potevo
avere la conoscenza esatta che altri sacerdoti di
me più anziani e capaci potevano avere dell’Ope-
ra Salesiana e dei suoi Cooperatori...»
«Alla mia difficoltà don Rocca, sorridendo, ri-
spose: “Questa, Reverendo, non è una difficoltà,
perché noi, seduta stante la facciamo e Coope-
ratore e Direttore diocesano dei Cooperatori”.
Confuso... io non seppi che rispondere ed ho pie-
gato il capo, affidandomi alla Divina Provvidenza».
«Ho iniziato l’opera, continua don Piu, col cercare
di radunare i numerosi Cooperatori e Coopera-
trici della città (non meno di cinquecento!) e inizialmente elementare poi trasformata in Ginna-
di propagare qui a Cagliari la devozione a Ma- sio Liceo Classico per interni (collegio) ed esterni.
ria Ausiliatrice, impegnandoli di cercare offerte La struttura ha subito i disastri dei bombarda-
per acquistare una statua di Maria Ausiliatrice da menti aerei del 1943; nel dopoguerra l’istituto fu
esporre alla pubblica venerazione in una chiesa ricostruito e ingrandito.
della città. Le offerte furono subito raccolte». «Oggi l’opera si qualifica come scuola cat-
E di offerte, don Piu ne raccolse molte per poter tolica salesiana» dichiara il direttore don Gio-
realizzare il suo sogno. Si può tranquillamente dire vanni Cossu, già superiore della Visitatoria sarda.
che tutta l’opera di Cagliari è stata concretamente «Abbiamo una scuola media con tre sezioni; un
costruita dai Cooperatori e dai benefattori.
corso di Liceo Classico ed uno di Liceo Scientifi-
È del giugno 1902 la visita di don Rua a Cagliari, co con una presenza di 540 alunni. Dalla struttura
proveniente da Lanusei: grande accoglienza da principale di Viale Sant’Ignazio, dal 1991, ne di-
parte delle autorità religiose e civili e della po- pende un’altra chiamata Infanzia Lieta con “nido”
polazione. Di fronte alle richieste di una presen- scuola materna e scuola elementare. Tra le due
za a Cagliari dei “figli di Don Bosco” don Rua strutture esiste continuità e travaso di alunni.»
promise il suo interessamento.
Il BS riporta i particolari dell’e-
vento cagliaritano: al suo arrivo,
attorniato da una folla giovanile
Qui don Rua
raccontava barzellette
«I nostri giovani sono come tut-
ti: allegri, giocherelloni… ma
anche impegnati nello studio e
nelle “attività formative” (gruppi
«in mezzo ai fanciulli ed ai giovinetti… Dopo aver di interesse, MGS… teatro, sport, musica, orien-
accompagnato l’Arcivescovo nel suo appartamento, tamento per le scelte di vita…). Apprezzano mol-
Don Rua ridiscese e ricevette nel parlatorio le Coo- to l’ambiente sereno ed il clima che si vive nella
peratrici; volle tutte conoscerle, a ciascuna rivolse la scuola. L’opera ha un futuro: le richieste sovrab-
parola, rallegrandole con qualche barzelletta» (BS bondano e la migliore propaganda la fanno gli
ottobre 1902, n. 10, pp. 306-308).
stessi alunni e le loro famiglie.»
Il 29 aprile 1908 fu posta la prima pietra della Quei primi cooperatori avevano visto giusto: l’o-
futura opera salesiana.
pera salesiana di Cagliari continua a sfornare mi-
E alla fine del mese di ottobre del 1913 i primi gliaia di “buoni cristiani e di onesti cittadini” ed è
cinque salesiani aprirono le porte di un magnifico ancora oggi un punto fermo nella vita culturale e
fabbricato ai ragazzi cagliaritani: oratorio, scuola religiosa della città e della diocesi.
Ragazzi del Don
Bosco di Cagliari.
Tra le qualità più
apprezzate dagli
allievi sono messi
in rilievo l’ambiente
sereno e i buoni
rapporti con i
docenti.
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3.6 Page 26

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FMA
ANNARITA CRISTIANO
Nella terra delle
Suor Iwona Skwierawska
è missionaria in Rwanda
da otto anni.
L’abbiamo incontrata e
abbiamo dialogato con lei.
Dal suo racconto emerge
una realtà sociale
complessa, che sfida
il lavoro pastorale delle
Figlie di Maria Ausiliatrice.
Ma anche un grande
desiderio di incarnare
sempre più il carisma
salesiano nel paese
delle “mille colline”.
Che opere ci sono nelle due
comunità in Rwanda?
A Kigali abbiamo scuola materna ed
elementare, mentre a Giseny c’è un
corso di formazione professionale, la
scuola secondaria di secondo livello,
che permette di accedere dopo la
maturità all’università. Qui inse-
gniamo anche religione nelle scuole
protestanti e islamiche. Infatti, la
direzione permette a chi è cattolico
di studiare la propria religione un’ora
alla settimana.
mille colline
Che rapporti intercorrono,
nella vita di ogni giorno, tra
Hutu, Tutsi e Batwa?
Dopo la guerra, c’è stata una politica di
unità e di riconciliazione. Nei docu-
menti di identità non è più scritto a
che etnia appartieni: tutti sono solo
rwandesi e questa è anche la linea
dell’educazione. In pratica, però, i gio-
vani dicono: «A scuola ci dicono siete
rwandesi, non importa se sei Hutu,
Tutsi, o Batwa, ma a casa i genitori ci
dicono: “Ricordati che sei questo, tuo
padre si chiamava così, sei di questa tri-
bù, di questo clan, ti chiami così, porti
questo nome…”». Le nuove generazio-
ni quindi portano il peso di ciò che è
stato compiuto dai loro padri. Si parla
di democrazia perché ci sono state le
elezioni e c’è un Presidente eletto dal
popolo… ma era l’unico candidato.
Come fate a parlare del
vangelo, del perdono,
dell’amore al nemico?
Questa è una sfida e un cammino
per la Chiesa. Subito dopo la guerra
non c’erano né sacerdoti né suore. Gli
stranieri erano andati via e molti erano
scappati o erano stati uccisi. Così, sono
stati i laici che hanno ripreso le attività
nelle parrocchie: loro hanno iniziato a
pregare insieme e a leggere di nuovo la
Bibbia. Si rifletteva sul fatto che in un
Paese con circa il 90% di cattolici era
impensabile che si fosse scatenata tutta
quella violenza. Ci si chiedeva se il cri-
stianesimo si fosse davvero inculturato,
avesse davvero messo radici profonde.
Quali difficoltà incontrate nel
lavoro pastorale ed educativo?
Curare le ferite della guerra, che a
volte sono più grandi e dolorose della
guerra stessa. Anche a livello eco-
nomico la situazione è complicata:
è dura per tanta gente che vive su
un territorio piccolo. Non c’è lavoro,
né terra da coltivare, né industrie:
sembra non ci sia futuro per i giovani
che finiscono le scuole. Andare alla
scuola secondaria è un privilegio
perché costa tantissimo, e quando le
famiglie hanno sei, sette, otto figli, è
impossibile mandare tutti a scuola.
Ci vuole tempo perché il nostro
carisma venga compreso. Soprattutto
all’inizio, quando siamo arrivate, le
donne non capivano come una suora
potesse giocare con i bambini: era
uno spettacolo strano vedere che
correvamo dietro a un pallone…
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3.7 Page 27

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Ora si sono abituati un po’. Hanno
compreso che è il nostro stile, anche
se abbiamo spiegato alle famiglie che
i bambini quando giocano imparano
tante cose, soprattutto per quel che
riguarda le relazioni sociali. Vivere
insieme bene sta alla base di ogni
cammino di riconciliazione.
Avete avviato attività di
promozione per le donne?
Fin dall’inizio abbiamo aperto corsi
di alfabetizzazione: alcune donne do-
vevano completare le scuole elemen-
tari. Altre invece, che volevano impa-
rare un mestiere, hanno frequentato
il corso di taglio e cucito. Quando
sono diventate brave, abbiamo dato
loro la possibilità di acquistare una
macchina per poter continuare il
lavoro a casa loro. Attraverso un’atti-
vità di microcredito, hanno ricevuto
una macchina da cucire e a poco
a poco l’hanno pagata con quanto
guadagnavano. Molte ora riescono
a sostenere la propria famiglia e con
questo è aumentata la loro autostima.
Un episodio bello che vuoi
raccontare?
Ci sono tante cose belle che ho
vissuto, soprattutto nel contatto con
queste donne. Alcune di loro non
erano mai uscite di casa. Ne ricordo
una, che aveva più di 40 anni e che sin
da piccola era sempre stata in casa a
fare i lavori domestici, non sapeva né
leggere né scrivere, aveva paura della
gente. Dopo qualche mese, ho iniziato
a notare alcuni cambiamenti: era ben
vestita, si pettinava bene e ha iniziato
a parlare con le altre. Non so se ha
imparato a leggere e a scrivere, ma
sicuramente è più capace di relazione
ed esce senza paura.
Quando abbiamo aperto i corsi per
le donne avevamo anche un’aula dove
stavamo insieme ai figli, mentre loro
andavano a scuola. Questi piccoli sono
cresciuti in casa nostra e la sentono
come tale. Una volta, mentre eravamo
in cortile, si è avvicinato un bambino
nuovo e ha detto a quelli che erano con
noi, a mo’ di scherno: «Cosa fate voi
con questi stranieri?». Una bambina
ha risposto per tutti: «Loro non sono
straniere: sono nostre sorelle» e non
riusciva a capire come quel bambino
avesse potuto dire “straniere” a noi che
eravamo anche la sua famiglia. I bam-
bini sono la speranza di questo popolo.
Sono festosi, aperti, innocenti: vedo-
no le cose in modo più limpido. Se
educati a crescere nella libertà, possono
cambiare il futuro del Rwanda.
Bambini della scuola delle Figlie di Maria Ausilia-
trice di Kigali. Solo loro possono davvero cambiare
il futuro del Rwanda dopo l’immane tragedia della
guerra civile.
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3.8 Page 28

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FINO AI CONFINI DEL MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
IRLANDA
I 50 anni
della parrocchia
Nostra Signora
di Lourdes
ASIA
La
peregrinazione
delle reliquie
di don Bosco
(ANS – Dublino) –
La parrocchia “Nostra Signora di Lourdes”
di Dublino, affidata ai salesiani, festeg-
gia nel 2011 il 50° anniversario della sua
fondazione.
L’11 febbraio monsignor Diarmuid Martin,
arcivescovo di Dublino, ha presieduto l’Eu-
caristia affiancato da don Marek Chrzan,
Consigliere per l’Europa Nord, da don
John Horan, Ispettore, e da altri 20 sa-
cerdoti. Nell’omelia monsignor Martin ha
ringraziato i diocesani, i Salesiani di don
Bosco e le comunità religiose che hanno
contribuito a far crescere la parrocchia.
“Costruire una comunità non è mai faci-
le – ha detto – ma quando ci si riesce, essa
diventa uno dei maggiori contributi che
arrechiamo alla società. Questa comunità
nel passato ha mostrato le sue straordinarie
risorse di bontà, di attenzione al prossi-
mo e di coraggio. Ha perciò le risorse per
garantirci ancora un futuro di bontà e di
speranza”.
SPAGNA
La Croce della
Gioventù visita
l’opera di San
Antonio Abad
(ANS – Valencia) – La
Croce Pellegrina della
Giornata Mondiale della
Gioventù (GMG), insieme
all’icona della Vergine
Maria che sempre l’ac-
compagna, è giunta anche
nella scuola salesiana “San
Antonio Abad” di Valencia.
Il 14 febbraio la Croce
ha acceso la preghiera di
centinaia di studenti che,
riuniti nel cortile dell’i-
stituto, si sono disposti
a forma di croce attorno
ad essa. La giornata si è
articolata in tre momenti:
l’accoglienza della Croce,
una liturgia della Parola e
un’adorazione. I sentimenti
provati dalle persone che
si lasciano interpellare dal
mistero della Croce, gioia,
forza, impegno, pace e
speranza sono stati espres-
si attraverso dei cartelli
arancioni, rossi, gialli, blu
e verdi, che hanno colorato
l’intero istituto.
(ANS) – Negli ultimi mesi, attraversando
vari paesi dell’Asia e dell’Oceania, è prose-
guito il viaggio delle reliquie di Don Bosco.
A fine gennaio, in Giappone, per la prima
volta le reliquie hanno viaggiato, custodite in
una cassaforte, in una statua in vetroresina
del santo torinese. A Timor Est, dove sono
giunte a metà febbraio, le reliquie hanno ri-
preso, invece, la peregrinazione nella consueta
urna. Ad attenderle all’aeroporto di Dili
erano presenti il Primo Ministro, on. Xana-
na Gusmao, monsignor Alberto Ricardo da
Silva, vescovo di Dili, molte altre autorità del
paese e circa 15 000 giovani. Nelle settimane
successive l’urna, contenente la mano destra
del santo, è passata per la Cina e a Taiwan,
mentre la statua, con all’interno l’avambrac-
cio destro, in Australia e Myanmar.
28
Maggio 2011

3.9 Page 29

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HAITI
Solidarietà
internazionale
(ANS ) – Nei mesi
scorsi il mondo
salesiano si è mobi-
litato con diverse iniziative di solidarietà in
favore della popolazione di Haiti. Tra queste
si segnalano: “Bonjour Haiti!”, promossa
dall’Associazione culturale “Libertà Parmi-
giana” e dall’istituto salesiano S. Benedetto di
Parma, che ha raccolto 100 000 euro – la cifra
più alta mai raccolta nella città per simili
iniziative – in favore del progetto “Ragazzi
di Strada” di don Attilio Strà; la campagna
di solidarietà “Il futuro di Haiti è nell’edu-
cazione”, attivata nelle scuole salesiane della
Repubblica Dominicana, che ha permesso
di raccogliere materiale scolastico per circa
12 500 bambini, adolescenti e giovani di
Haiti, favorendo al tempo stesso lo spirito
di solidarietà tra i giovani dominicani; e il
progetto “una maglietta per Haiti”, con la
quale i salesiani cooperatori della provincia
adriatica, mettendo all’asta le magliette dei
campioni dello sport italiano, hanno raccolto
7000 euro.
MESSICO
I XXXVII Giochi
Intersalesiani
(ANS – Città del Messico)
– I Giochi Intersalesiani
delle scuole elementari
sono giunti alla XXXVII
edizione. Hanno avuto
luogo dal 16 al 19 febbraio:
tre giorni d’incontri e di
sfide a pallacanestro,
calcio, pallavolo e atletica
leggera. Diverse centinaia
di bambini delle scuole
elementari dell’Ispettoria
“Messico-México”, suddi-
visi nelle categorie “pony” e
“infantile”, si sono affrontati
in tutte le competizioni con
lo spirito sportivo proprio
del carisma di don Bosco.
Nella messa conclusiva i
giovani sono stati invitati a
considerare lo sport come
un’occasione per un sano
sviluppo e per la crescita
come cittadini secondo i
valori cristiani e lo spirito
di competizione, nella
ricerca di buone relazioni,
cooperazione, solidarietà,
condivisione di vita e per
interagire e socializzare in
modo corretto.
BURUNDI
Prima pietra
del Santuario
dedicato
a Maria
Ausiliatrice
(ANS – Bujumbura) – Ai primi di marzo
presso la “Cité des Jeunes de Buterere” a
Bujumbura, in Burundi, don Guillermo Ba-
sañes, Regionale per l’Africa-Madagascar, ha
presieduto la cerimonia di posa della prima
pietra del Santuario “Maria Ausiliatrice” che
sorgerà nel cuore del quartiere più povero
della città. Nella prima pietra, oltre ad una
pergamena commemorativa, sono stati inse-
riti diversi oggetti che evidenziano i legami
carismatici e istituzionali di quest’opera, tra
cui un frammento dell’altare voluto da don
Bosco nel 1862 nella Basilica di Maria Au-
siliatrice di Torino Valdocco; una reliquia di
don Bosco e una lettera di partecipazione del
Rettore della Basilica, don Francesco Lotto
che attesta la fratellanza della “chiesa madre”
con la popolazione del Burundi. Il Santuario
è stato progettato dall’architetto Vittorio
Giacomin ispirandosi alla tipologia delle
abitazioni originali burundesi che esprimono
accoglienza e senso di famiglia; potrà ospita-
re più di duemila persone e sarà realizzato da
un’impresa locale.
Maggio 2011
29

3.10 Page 30

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I NOSTRI VOLONTARI
LUCA CRISTALDI
VENTICINQUESIMO
Il 3 marzo 2011 il VIS ha compiuto venticinque anni.
I volontari laici sono il frutto più significativo dei primi
25 anni. Circa 350 persone hanno dato più anni della
loro vita per condividere la missione salesiana.
Una Storia iniziata
25 anni fa
Era il 1975 e il Rettor Maggiore don
Egidio Viganò proponeva a tutta la
Congregazione la “frontiera Africa”.
Le Ispettorie si mobilitarono ge-
nerosamente nonostante la risposta
debole dei laici. Per questo motivo,
11 anni dopo, nel 1986 don Angelo
Viganò, allora Superiore dell’Ispetto-
ria Centrale, fondò il VIS, Volonta-
riato Internazionale per lo Sviluppo
chiamando a raccolta non solo tutti i
rappresentanti della famiglia salesia-
na ma anche amici e benefattori.
All’inizio, avendo pochi soldi ma
molte idee, abbiamo cominciato con
esperienze educative, coscienti che la
formazione delle persone era premes-
sa necessaria all’impegno di collabora-
re allo sviluppo di altri popoli.
Un primo frutto del lavoro di quegli
anni è stata l’esperienza estiva, un
mese da trascorrere in gruppo in un
Paese povero, che progressivamen-
te ha coinvolto tutte le Ispettorie
Salesiane italiane: in 25 anni circa
6-7000 giovani hanno fatto questo
cammino che li ha portati, in dialo-
go con gli operatori sociali, poli-
tici e pastorali dei Paesi poveri, ad
approfondire le cause della povertà
e del sottosviluppo e a conoscere i
problemi della gente.
Il secondo frutto è stato il coordina-
mento nazionale di tutta l’Anima-
zione Missionaria (AM) che culmina
ancora oggi nell’Harambée attorno al
Rettor Maggiore che consegna i croci-
fissi missionari ai Salesiani, ma anche
ai volontari laici che hanno deciso di
donare anni della loro vita al servizio
dello sviluppo umano e dell’annuncio
del Vangelo nei Paesi poveri.
A sinistra: 1986. Don Angelo Viganò (primo a
sinistra), superiore dell’Ispettoria Centrale, con i
fondatori del Vis. Sotto: Dopo 25 anni, i risultati
sono straordinari.
30
Maggio 2011

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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UN PROGRAMMA LUNGO UN ANNO
Agenzia educativa
E sono proprio i volontari laici il
frutto più significativo dei primi 25
anni. Circa 350 persone hanno dato
più anni della loro vita per condivi-
dere la missione salesiana. Uomini e
donne che abbiamo aiutato a cre-
scere nella loro vocazione di servizio
proponendo un quadro di valori che si
ispira a don Bosco e una metodologia
che sgorga dal Sistema Preventivo.
Abbiamo instaurato con loro un rap-
porto di formazione liberante: mentre
tutte le ONG facevano unicamente
riferimento alla legge 49/87 e quindi
ad una visione fiscalizzata di questo
servizio, noi ci siamo inventati i vo-
lontari fuori-legge. Abbiamo propo-
sto il volontariato come quel “ponte
umano” che permette a chi invia e
a chi lo riceve di scambiarsi
ricchezze materiali, spirituali,
educative, per cui si avvera
quanto si afferma in RM
58: “Promuovere lo svilup-
po educando le coscienze”.
Quarto frutto signifi-
cativo che perdura è
che il VIS ha progres-
sivamente assunto una
sua precisa identità di
agenzia educativa che lo colloca a
pieno diritto nel carisma salesiano.
L’obiettivo principale del VIS oggi è
diventato la formazione dei giovani
e degli adulti nell’intento di favo-
rire la strutturazione di personalità
aperte alla dimensione di un mondo
globalizzato e nello stesso tempo
progettualmente capaci di assumere
il proprio compito per umanizzare
strutture e rapporti sociali.
Per festeggiare e ricordare tutto questo
lungo cammino, abbiamo programma-
to
un percorso a tappe di eventi concatena-
ti
fra loro, aperti il più possibile alla parte-
ci-
pazione di tutta la nostra base associati-
va,
dello staff, dei volontari, delle contropar-
ti
locali.
Gli eventi saranno rafforzati anche da:
– un partenariato con RAI Sociale;
– un riconoscimento formale da parte della Presidenza della Repubblica italiana.
Contemporaneamente, è stata programmata la realizzazione di:
– un DVD su Volontariato Internazionale e Cittadinanza Attiva, in forma di reportage;
– un volume su Volontariato Internazionale e Cittadinanza Attiva (in collaborazione con RAI - ERI);
– un volume con gli atti del convegno di novembre.
Nello sforzo di dar vita ad una celebrazione del Venticinquesimo quanto più efficace in rela-
zione allo scopo predetto, sono state individuate alcune tappe:
– celebrazione commemorativa interna a marzo 2011;
– assemblea nazionale, con vari momenti ad hoc, il 16-17 aprile 2011;
– convegno nazionale su Volontariato Internazionale e Cittadinanza attiva con annessa con-
ferenza stampa, presso la sede RAI, a novembre 2011;
– incontro con il Presidente della Repubblica, a novembre 2011;
– assemblea nazionale dedicata al tema, con il varo anche del nuovo Codice Etico dell’orga-
nismo, il 12-13 novembre 2011.
A fianco di questi eventi ci saranno poi svariati eventi, anche a carattere internazionale, fo-
calizzati su aspetti puntuali della nostra mission di agenzia educativa internazionale, quali il
side event a Ginevra sull’educazione ai e per i diritti umani o il seminario al Master di Roma3
sulle nuove professionalità nel campo della cooperazione.
Naturalmente anche la nostra rivista trimestrale Un mondo possibile non poteva non
programmare un suo percorso di contribuzione sul tema. Così per tutto il corso
del 2011 il nostro magazine dedicherà spazi rilevanti a Volontariato e Cittadi-
nanza attiva, da un lato, e allo stato generale della Cooperazione allo Sviluppo,
dall’altro.
La più grande ricchezza
culturale che il VIS sta
donando alla Congre-
gazione salesiana e
alla Chiesa italiana è
la sintesi tra educati-
vo e valori evangelici, tra analisi dei
problemi mondiali e implementazio-
ne dei diritti umani, tra progettualità
negli interventi di sviluppo umano
e motivazioni etiche profonde negli
operatori. È l’educativo impregnato
dei valori evangelici che trasforma le
attività di cooperazione allo sviluppo
in quella che in campo ecclesiale è
chiamata Animazione Missionaria.
Il VIS come associazione nazionale
ha scelto come suo compito primario
di educare, cioè: informare, formare,
mettere in rete tutti i giovani che può
raggiungere per mezzo dei Comitati
VIS sul territorio delle Ispettorie.
Ma in questo impegno educativo si
ispira alla dottrina sociale della Chiesa
elaborando una nuova sintesi che
affascina larghi strati di giovani.
Maggio 2011
31

4.2 Page 32

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COME DON BOSCO
BRUNO FERRERO
Lo spirito di
servizio
C’è un equivoco pericoloso
che corrode la felicità
delle famiglie. Troppe
persone vivono in famiglia
con una forma di attesa
fuorviante: si aspettano di
essere serviti dagli altri.
Se queste aspettative e questa
mentalità non vengono corret-
te, la famiglia si lascerà sfuggire
uno dei grandi misteri della
vita: la vera realizzazione e la felicità
non derivano dall’essere serviti, ma dal
servire. In termini più comprensibili e
consueti: è meglio dare che ricevere.
Naturalmente il vero servizio non
viene prestato in un contesto di
timore. Se in famiglia qualcuno, co-
niuge o figli, vi serve perché ha paura
della reazione che potreste avere se
non lo facesse, non si pone al vostro
servizio per amore.
Il servizio amorevole è offerto libe-
ramente, con il desiderio di rendere
felice un’altra persona. E questa è
la ragione più importante che lo
motiva.
In una famiglia serena e costruttiva,
il servizio amorevole dovrebbe essere
all’ordine del giorno. Occorre fare il
bucato e preparare la pappa al cane o al
gatto, rifare i letti e lavare i pavimenti,
preparare i pasti e lavare l’auto: vi sono
occasioni più che sufficienti per presta-
re il proprio servizio.
Quello che genitori e figli devono
comprendere è che se anche uno
solo sceglie di non prestare il proprio
servizio, il risultato finale consisterà in
una mole maggiore di lavoro per qual-
che altro componente della famiglia.
Le competenze
necessarie
Il modo per iniziare consiste
nell’insegnare ai figli a impegnarsi
nel lavoro. Non si tratta di fare pre-
diche sul valore del lavoro o raccon-
tare la storia del nonno che lavorava
in una miniera per ventidue ore al
giorno, sette giorni la settimana.
Si tratta di insegnare concretamente
ai figli a svolgere determinate attività
in casa, a permettere loro di lavorare
insieme a voi mentre caricate la lava-
stoviglie, passate l’aspirapolvere, pulite
la vasca da bagno e cambiate l’olio
dell’auto. Ci riferiamo alla disponibilità
da parte vostra a mostrare ai vostri figli
come si fa e a invitarli a provarci a loro
volta. È un insegnamento “sul campo”.
Offrendo ai vostri figli le competen-
ze necessarie per svolgere vari lavori
e la fiducia in se stessi, rimuovete uno
fra gli ostacoli più seri per il servizio
amorevole. Quando sarà necessario
svolgere un dato lavoro, i vostri figli
non potranno più affermare di non
essere in grado di compierlo o di non
averlo mai fatto.
È anche importante insegnare
ai figli il fine che sta alla base
dell’apprendimento dei lavori
domestici, il motivo per cui si
svolge il lavoro.
Un atteggiamento di servizio è molto
più della disponibilità a svolgere un
lavoro. In una famiglia costruttiva,
tutti hanno la consapevolezza che fare
qualcosa di utile a beneficio di altri
(anche se si tratta di lavare i piatti o
piegare gli abiti) è bello e nobile. Tutti
ritengono che compiendo gesti di
servizio banali e spesso ingrati fanno
qualcosa di importante. E ne traggono
un senso emozionale di soddisfazione.
In una famiglia di quattro persone la
cooperazione può essere paragonata
a un carro semovente a quattro ruote:
ognuno dei membri rappresenta una
ruota, mentre la convivenza familia-
re è il carro. Tutte e quattro le ruote
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Maggio 2011

4.3 Page 33

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devono girare insieme, per far proce-
dere il veicolo senza scosse: se infatti
si blocca una ruota, il carro devia, o
addirittura inverte la marcia rispetto
alla direzione desiderata; se una delle
ruote si stacca, il carro non può nean-
che procedere senza previa riaggiusta-
tura. Ogni ruota è importante quanto
un’altra; nessuna è la più importante.
La direzione presa dal veicolo è
determinata dal lavoro contempora-
neo delle quattro ruote: se una di esse
decidesse di andarsene da sola, il carro
si rovinerebbe e diventerebbe inser-
vibile. La dimensione della famiglia
non cambia niente: la carrozzeria del
veicolo familiare può essere sostenuta
da qualunque numero di ruote.
Una delle trovate deleterie di noi
genitori è decidere a che età vogliamo
che i nostri figli diano un aiuto in
casa. Quando una bambina ai primi
passi vuole aiutare ad apparecchiare
la tavola, noi diciamo: «No, sei troppo
piccola» e, poi, quando ha sei anni,
esigiamo che compia quest’opera-
zione: a questo punto la bambina si
chiede perché dovrebbe aiutare dal
momento che ce l’abbiamo fatta fino
adesso senza di lei. Sprechiamo così
delle occasioni innumerevoli, che
consentirebbero ai nostri figli di dare
un apporto volontario. Se, invece, fin
dall’inizio, si consente al bambino
(non si pretende!) di contribuire,
questi ci prova gusto e ha un senso di
orgoglio per il risultato ottenuto.
Esserci e partecipare
Individuate esempi concreti di
servizio che vengono svolti a casa
vostra, cercate di scoprire che genere
di servizio i componenti della vostra
famiglia apprezzano, ma non legate
le espressioni d’amore o di autosti-
ma ai gesti di servizio.
L’ultima cosa che vorrete insegnare
ai vostri figli è che il vostro amore
debba essere meritato compiendo
buone azioni. Non dite: «Potrai
sederti sulle ginocchia della mamma
solo dopo che avrai messo a posto
i cubetti con cui giochi» o: «Il papà
non ti abbraccerà se prima non avrai
messo la bicicletta nel garage». Le
espressioni d’amore non dovrebbero
mai essere oggetto di “contratti” con i
vostri figli.
Quando il lavoro è un piacere, la vita
è una gioia. Quando il lavoro è un
dovere, la vita è una schiavitù.
Allo stesso modo, se legate l’auto-
stima dei vostri figli alla riuscita nei
lavori che compiono («Non riesci
nemmeno a caricare la lavatrice
senza combinare un disastro!»), li
instraderete lungo una vita piena
di sensi di colpa e d’inadeguatezza.
Quando si tratta di gesti di servizio,
gli sforzi dei vostri figli dovrebbero
essere di per sé sufficienti a motivare
lode e sostegno da parte vostra.
Se i figli vivono in famiglia l’espe-
rienza di “esserci” e di “partecipare”
potrete aiutarli ad estendere l’atteg-
giamento di servizio al di fuori del-
la famiglia, incoraggiandoli a cercare
occasioni in cui possano impegnarsi
individualmente, a scuola, tramite
la parrocchia o al lavoro. Aiutateli a
scoprire i loro talenti e i loro punti di
forza, le caratteristiche di cui posso-
no fare buon uso nella loro esperien-
za di servizio.
Maggio 2011
33

4.4 Page 34

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GRANDI SALESIANI
MACKLEY GOMES - PAUL VADAKUMPADAN
Il quarto re “mago”
Sylvanus Sngi Lyngdoh sdb
Don Sngi è probabilmente una fra le personalità più note
delle Khasi Jaintia Hills, nello stato di Meghalaya, situato
nell’India nord-orientale. Tutte le persone che abitano nei
numerosi villaggi delle colline del Khasi lo conoscono o hanno
sentito parlare di lui. Quasi cinquanta corsi di allievi di teologia
lo hanno avuto come docente, a Shillong o a Bangalore,
le due principali facoltà di teologia dell’India settentrionale e
meridionale. Il primo aspetto che colpisce è la sua personalità
versatile. È stato predicatore, scrittore, operatore in ambito
sociale, glottologo, giornalista, redattore, esorcista, profeta
e ha operato guarigioni nelle colline del Khasi.
Don Sylvanus Sngi (si pro-
nuncia Signì) Lyngdoh ha
cominciato a insegnare nel
1961 al Sacred Heart Theo-
logical College di Shillong,
dove insegna tuttora. Quasi
mezzo secolo di attività. Sembra in-
credibile. È una fra le tante realtà in-
credibili di questo grande uomo.
Don Sngi è nato nel 1921 a Nong-
bah Thaiang, nella regione Ri Bhoi
del Meghalaya, India. È entrato a far
parte della Congregazione Salesiana
nel 1948. Dopo essersi laureato in la-
tino con lode e menzione presso l’u-
niversità di Calcutta, ha continuato i
suoi studi nell’ambito della teologia
e della Bibbia in Italia, in Israele e in
Grecia. Oltre a conseguire il dotto-
rato in teologia e la laurea magistra-
le in Sacra Scrittura, ha imparato il
latino, l’italiano, lo spagnolo, il fran-
cese, il greco, l’ebraico, l’aramaico e
diverse altre lingue.
Don Sngi, come inizia la sua
storia religiosa?
Sono stato battezzato dal santo mis-
sionario don Vendrame, l’apostolo
della tribù khasi. Avevo nove anni
allora, insieme con me l’intero villag-
gio ha ricevuto il battesimo nel 1930.
In Don Sngi si uniscono fascino e carisma, una
profonda scienza biblica, un amore smisurato per
la sua gente e un’attività instancabile.
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Maggio 2011

4.5 Page 35

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È IL MOSÈ DELLA TRIBÙ KHASI...
«Sono stato un suo studente e ora sono suo collega. Don Sngi, per me, è il Mosè dei khasi.
È stato messaggero, mediatore, leader e guaritore. Le persone malate venivano in massa
da lui perché pregasse per loro. Almeno trecentomila persone sono venute per ottenere la
sua benedizione durante l’ultimo decennio. L’altro ministero che ha svolto con grande im-
pegno negli ultimi vent’anni è un commento contestuale in 80 volumi sulla Sacra Scrittura.
Qualche cinico riderà di fronte a un progetto così ambizioso. Questo piano apparentemente
irrealizzabile, però, si sta lentamente trasformando in realtà. Don Sngi ha già completato 30
volumi, alcuni dei quali contano oltre 1000 pagine. L’Autore vuole commentare l’intera Sacra
Scrittura nel contesto tribale khasi.
Presenta Gesù Cristo come la realizzazione dei desideri del suo popolo e, di fatto, di ogni
popolo. Scrivendo i suoi commenti, don Sngi traduce anche l’intera Bibbia dalle lingue
originali al khasi. Alcuni anni fa aveva già preparato un dizionario greco-khasi e uno
ebraico-khasi. Considerando il fatto che la tribù khasi, sebbene piccola, è a maggio-
ranza cristiana, si comprendono l’idea e il progetto di quest’uomo. Per
quattordici anni don Sngi ha pubblicato un periodico settimanale in
khasi, Ka Sur Shipara. Ha così svolto anche un’opera di critica
socio-politica.
L’Autore non dà alcun segno di rallentamento. Infatti, la sua gior-
nata comincia alle 3 del mattino e si svolge in gran parte davanti
al computer».
Don Pascual Chávez ha detto: “Don Sngi
è un ‘fenomeno eccezionale’ che ha vera-
mente meritato la laurea honoris causa. I
suoi talenti intellettivi sono eccezionali e si
abbinano alla tenacia nel lavoro e alla pas-
sione per le missioni. Don Sngi non è stato
solo uno studioso e un professore, ma an-
che un pastore, un salesiano che è riuscito
ad armonizzare competenza scientifica e
proclamazione della Parola. La sua ampia
conoscenza di varie lingue e il suo monu-
mentale contributo alla letteratura khasi
sono degni di nota”.
Da piccolo, ho voluto essere un al-
tro Vendrame. Sono stato ordinato
sacerdote nel 1958 nella Basilica di
Maria Ausiliatrice a Torino, in Ita-
lia, dal vescovo salesiano Michele
Alberto Arduino, un altro grande
missionario.
Don Sngi abbraccia
il Rettor Maggiore,
durante la consegna
di una laurea honoris
causa.
I suoi studenti dicono che lei è
un genio della Bibbia e della
formazione.
Sì. Ringrazio Dio per questa grazia.
Sono felice dei miei studenti. Fra loro
vi sono molti missionari, pionieri, do-
centi, vescovi e superiori di case reli-
giose.
Quale convinzione ha
sostenuto e motivato la sua
vita?
Sono profondamente convinto che la
Bella Notizia portata da Gesù Cristo
risponda alle aspirazioni più profonde
delle persone, e in primo luogo della
mia tribù khasi.
Lei è profondamente khasi
e profondamente cristiano.
Nessuna discordanza?
Non mi piace considerare questi due
ambiti come altrettanti compartimenti
stagni. Siamo nati in una cultura par-
ticolare, e noi professiamo una fede
particolare, l’una non è contrappo-
sta all’altra. Al contrario, si affinano
e si completano a vicenda. Sono nato
nella tribù e nella cultura khasi e ne
sono fiero, cerco di comprenderne le
peculiarità e di trasmetterla responsa-
bilmente alle generazioni successive.
Analogamente, ho ricevuto la fede cri-
stiana, ne sono fiero ed è mio diritto e
mio dovere condividerla con gli altri.
Lei ha sempre avuto un’attività
sbalorditiva. Che cosa le sta
particolarmente a cuore, ora?
Negli ultimi 15 anni, mi sono de-
dicato a due aspetti dell’evangeliz-
zazione, entrambi di grande im-
portanza nel ministero sacerdotale:
la guarigione e l’interpretazione
della Sacra Scrittura nel contesto
locale.
Qual è il suo desiderio più vivo?
Dio dovrebbe concedermi altri 15
anni per completare l’opera che ho
intrapreso: il commento alla Sacra
Scrittura.
(Traduzione di John Christy)
Maggio 2011
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4.6 Page 36

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NOI & LORO
ALESSANDRA MASTRODONATO
LA FIGLIA
Il corpo
delle donne
L abellezzaèlamigliorletteradiracco-
mandazione per una donna: fu Ari-
stotele a notarlo per la prima volta
più di 2300 anni fa; ma certo il grande
filosofo greco non poteva immaginare fino
a che punto le sue parole si sarebbero rive-
late profetiche a distanza di tanti secoli.
La bellezza, in effetti, è sempre stata un efficace
strumento nelle mani delle donne per ottenere
favori, potere, privilegi sociali. Ma mai come oggi
le donne, a partire da quelle più giovani, sono sta-
te così abili e spregiudicate nell’utilizzare il pro-
prio corpo come merce di scambio per fare carriera
sul lavoro, per ottenere facili guadagni, per avere
successo all’interno della società, arrivando ma-
gari a ricoprire posizioni di rilievo, o anche sola-
mente per poter godere di un’effimera popolarità
fatta di calendari patinati, mute comparsate in tv
e, ogni tanto, qualche intervista o qualche scat-
to sulle riviste di gossip e di costume. Persino
durante un’interrogazione a scuola o un
esame all’università, un abbigliamento
volutamente succinto e provocante può
talvolta divenire garanzia di un voto alto
o di una promozione assicurata molto più di mesi
di impegno e di duro lavoro sui libri.
Certo, e per fortuna, non sempre le cose vanno in
questo modo, ma ciò non toglie che le ragazze e
le donne di oggi sappiano bene come sfruttare i
mezzi a propria disposizione e spesso non si fac-
ciano alcuno scrupolo di strumentalizzare il pro-
prio corpo e la propria bellezza, facendone una
facile scorciatoia per raggiungere i propri obiettivi
e realizzare le proprie aspirazioni. E, soprattut-
to – e questo è forse l’aspetto più preoccupante
dell’intera questione – non sembra che simi-
li scelte e comportamenti siano deplorati dalla
morale comune, quasi che ormai una complice
indifferenza o, peggio ancora, un tacito consenso
avvallino come del tutto «normale» e legittimo
un uso irresponsabile e spregiudicato del corpo e
della sessualità come mezzo di affermazione so-
ciale e di autorealizzazione del sé.
In molti casi, sono le stesse donne e ragazze a ri-
vendicare per sé la libertà di disporre come meglio
credono del proprio corpo e della propria avvenen-
za, quale strumento di emancipazione e riscatto
dall’atavica supremazia di un genere maschile che
le ha sempre ridotte a mero oggetto sessuale o a
inutile figura ornamentale, relegandole ai margi-
ni della società ed escludendole a priori da tutti
i più importanti ruoli di successo e di potere. Ma
spesso, al di là di questa sacrosanta affermazione
dei propri diritti e della propria capacità di auto-
determinarsi, le donne dimenticano che ciascuno
di noi non soltanto ha un corpo, ma prima di tutto
è un corpo; o, meglio ancora, è una meravigliosa
unità di corpo, anima, intelligenza, sentimenti ed
emozioni, ed è solo rispettando appieno l’unicità e
la bellezza di questa unità che possiamo aver cura
di noi stessi, valorizzando e tutelando fino in fondo
la nostra «dignità» di persone.
36
Maggio 2011

4.7 Page 37

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MARIANNA PACUCCI
A ccade da sempre, ma sicuramente
negli ultimi anni si è accentuata
l’idea che si possa giocare con la
bellezza delle donne pensando
che possa rappresentare il tram-
polino di lancio per realizzare una
vita migliore, per assicurarsi un posto di rilievo
nella società, per costruire una carriera prestigiosa.
Se nel passato avveniva che una donna potesse
considerare se stessa come merce di scambio, sce-
gliendo liberamente o assecondando pressioni per
un uso disinvolto della propria femminilità, non era
invece abituale nella famiglia tradizionale una sorta
di tacito o esplicito consenso verso questi compor-
tamenti, diffusamente considerati discutibili.
Oggi è sotto gli occhi di tutti un uso irresponsa-
bile del corpo delle donne e, più in generale, dei
giovani: dalle dinamiche della coppia al mondo del
lavoro, dalla comunicazione multimediale alle rap-
presentazioni culturali della società si indulge all’e-
sibizionismo del corpo e della sessualità, si mostra
un rapporto ambiguo con tutto quanto riguarda la
vita affettiva. Pertanto è necessario guardare con
attenzione agli elementi sommersi che impedisco-
no alla bellezza femminile e maschile di coniugarsi
con un chiaro senso di responsabilità.
Dove sono finiti,nel dialogo educativo fra genitori
e figli, temi come il pudore o l’intimità? Cosa ne
è oggi dell’educazione sessuale, ridotta ad un’aset-
tica informazione del tutto avulsa dall’orizzonte
di una più impegnativa educazione sentimentale?
Perché il corpo, ridotto ad immagine o a prodotto
da manipolare a piacimento, sempre meno viene
proposto e testimoniato come un bene prezioso e
irrinunciabile?
Il silenzio che spesso connotava le fami-
glie ed era foriero di incertezze e confu-
sione nelle nuove generazioni, lasciate
sole di fronte alla possibilità di un uso
trasgressivo della corporeità e della ses-
sualità, oggi si è trasformato in disinte-
resse e apatia, indifferenza e disincanto.
Bellezza LAMADRE
consapevole
Dal disorientamento si sta passando all’accetta-
zione acritica, da parte degli adulti, della supre-
mazia del mercato, che decide il prezzo di ciascu-
no non partendo da quel che vale una persona, ma
da quanto serve all’interno dello scambio sociale.
A mascherare questo cedimento, il malinteso sen-
so della libertà individuale: quando si pensa che
ognuno dispone totalmente di se stesso e non deve
preoccuparsi della ricaduta dei propri comporta-
menti sulla vita degli altri, si perde inevitabilmente
qualsiasi possibilità di discernimento etico.
Vi è, infine, una diffusa distrazione rispetto al nodo
fondamentale nell’educazione delle nuove gene-
razioni: la necessaria integrazione fra le diverse
dimensioni della persona (corpo, affettività, intel-
ligenza) alla base della costruzione di una identità
culturale che sappia coniugare l’autenticità con la
dignità umana. A questo non si può rinunciare, nella
costruzione della biografia individuale e nella storia
di una civiltà, soprattutto quando non è più scontata
nel volto delle persone l’immagine di Dio.
Maggio 2011
37

4.8 Page 38

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I SALESIANI E L’UNITÀ D’ITALIA
FRANCESCO MOTTO
Il contributo salesiano
all’educazione giovanile
nell’Italia unita
I salesiani in Italia dopo la morte di don Bosco
“Gli istituti salesiani
rappresentano uno sforzo
colossale e genialmente
organizzato per prevenire
il delitto, l’unico anzi che
si sia fatto in Italia”
(Cesare
celebre
Lombroso,
criminologo,
1900).
T ra l’ultimo decennio dell’800
e il primo del ’900 ha luogo
un mutamento rilevante nel
clima politico, sociale, eco-
nomico e culturale d’Italia.
In particolare, per quanto
riguarda l’istruzione, la classe diri-
gente è impegnata a promuovere un
sistema educativo più rispondente
alle necessità della modernizzazione
economica e della democratizzazione
del Paese. I cattolici, dopo aver rag-
giunto già nei primi decenni dell’uni-
tà d’Italia un considerevole controllo
sulla istruzione elementare, cercano
di moltiplicare le scuole e i collegi a
livello secondario, in modo da creare
una rete di scuole alternative a quelle
statali. Si assiste anche ad una ripresa
del sentimento patrio che contribui-
sce alla maturazione della coscienza
nazionale degli italiani.
E i salesiani?
I numeri parlano da sé
Alla morte di don Bosco (1888), la so-
cietà salesiana non crolla, come qual-
cuno ha previsto, ma riprende con
slancio la sua crescita sotto il rettorato
di don Rua (1888-1910). E anche se il
suo successore, don Albera (1910-21)
assume come finalità principale quel-
la di fare dei salesiani degli uomini di
pietà e di preghiera, tuttavia il trend
positivo non si ferma, fino allo scoppio
della prima guerra mondiale. I salesiani
in Italia quadruplicano il loro persona-
le passando da 450 a 1770. Quintupli-
cano le loro opere, che da 23 diventano
133, diffuse ormai in tutte le regioni
(tranne Valle d’Aosta e Basilicata).
Uno sviluppo impressionante, che ha
il suo corrispettivo in oltre 30 paesi
all’estero, con altre 220 case gestite da
2600 salesiani. Ovviamente cresco-
no pure gli educandi, che in Italia da
8800 diventano 33 600, sempre accolti
in opere di istruzione e in opere di av-
viamento al lavoro. Vi si aggiungano i
parrocchiani e gli oratoriani. In questa
seconda puntata limitiamoci a sotto-
lineare due dimensioni del contributo
salesiano al paese Italia sorto nel 1861.
38
Maggio 2011

4.9 Page 39

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Nell’interpretazione del pittore Mario Bogani, don
Bosco stimola i giovani allo studio. A pagina pre-
cedente: La copertina del libro di Francesco Motto
sulla parrocchia salesiana di San Francisco (USA).
L’epoca d’oro
degli Oratori
Nell’arco del trentennio qui conside-
rato l’incidenza sociale dell’ambiente
educativo chiamato oratorio salesiano
è confermata indiscutibilmente dal
cospicuo numero di ragazzi e giovani
coinvolti. Se si pensa che dalla quin-
dicina di oratori dell’epoca di don Bo-
sco si passa ad oltre 100 nel periodo
del suo primo successore, ciascuno
mediamente con oltre cento minori
accostati, il successo degli oratori è
fuor di dubbio. In alcuni centri, tanto
del nord che del centro e del sud Italia,
la totalità della popolazione giovanile,
sia pure a diversi livelli di coinvolgi-
mento, ha modo di sperimentare dal
vivo la proposta salesiana di crescere
come “onesto cittadino e buon cristia-
no”. L’azione oratoriana va ad incide-
re sulla mentalità e comportamento
dei giovani, con conseguenze, a volte
palpabili, in grado di modificare note-
volmente i loro stessi ambienti di vita
(famiglia, scuola, luogo di lavoro…).
In alcuni ambienti particolarmente
difficili l’oratorio salesiano assume
una precisa funzione moralizzatrice e
civilizzatrice di un’area cittadina o di
un intero paese.
Alla fondazione degli Oratori e al loro
sviluppo non mancano certo difficoltà,
talora provocate da anticlericali, mas-
soni e altre forze sociali che vi si op-
pongono, creando magari alternative
come ricreatori laici; ma la memoria-
listica salesiana quasi sempre sottoli-
nea la grande accettazione delle po-
polazioni di ogni regione d’Italia. La
gente comune dell’epoca stima l’opera
dei salesiani e dimostra loro affetto e
simpatia, oltre che dare loro vocazioni.
L’epoca della grande
emigrazione
La corrente migratoria italiana, inizia-
ta dopo la metà dell’800 e proseguita
con una parabola ascensionale fino al
secondo decennio del ’900, coinvolge
oltre 14 milioni di connazionali. I sale-
siani tanto in Europa che nelle Ame-
riche non fanno loro mancare anzi-
tutto l’assistenza religiosa; in secondo
luogo si impegnano in ambito sociale,
con l’accoglienza specie notturna degli
emigrati di passaggio nelle città por-
tuali di partenza e arrivo, l’assistenza
ai circoli operai cattolici, la promozio-
ne e gestione delle Società di mutuo
soccorso e dei Segretariati del popolo.
In determinate aree trasformano una
colonia di connazionali frammentati
in mille campanili in un’autentica co-
munità di fede e di cultura; fanno degli
autentici “italiani” di chi non sapeva di
esserlo.
Infine coltivano ancor più decisamente
l’istruzione scolastica. Nel solo 1910 ol-
tre 8400 allievi hanno libri di testo per
l’insegnamento della lingua italiana in
un centinaio di opere salesiane (83 in
America, 11 in Europa, 6 in Asia e 2 in
Africa). Nello stesso anno l’Italica Gens
registra 66 Segretariati del popolo sa-
lesiani, di cui 63 in America. Di fronte
a tutto ciò l’omonima rivista può, in
prospettiva patriottica, affermare “sen-
za timore di esagerazione” che “quel-
la dei salesiani è l’istituzione che più
di ogni altra ha in questi ultimi anni
contribuito a diffondere fra gli Italiani
fuori di patria il sentimento di nazio-
nalità”. Più ampio ancora il riconosci-
mento del governo italiano che ma-
nifesta “l’ammirazione pel bene che i
Salesiani compiono nell’assistenza de-
gli Italiani all’estero e per la diffusione
della lingua italiana”. Ogni commento
ci sembra superfluo.
Maggio 2011
39

4.10 Page 40

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LA FESTA DELLA MAMMA
NATALE MAFFIOLI
Ritratto di
Mamma
Margherita
di Mario Caffaro Rore
Mario Caffaro Rore nacque a To-
rino il 26 febbraio 1910 e vi morì
il 15 giugno 2001 all’età di 91 anni.
Frequentò il Liceo Artistico presso
l’Accademia Albertina di Torino.
Nel 1940 dipinse un ritratto di don
Bosco e Don Alberto Caviglia che
aveva conosciuto personalmente il
Santo, giudicò questo ritratto come
il più rassomigliante. Il pittore si
interessò anche del volto di Mamma
Margherita e propose un volto con
lo sguardo diretto e risoluto ma non
duro, carico di affettuosità e quasi di
tenerezza. Certo questo è un ritratto
inconsueto e, forse, veritiero di un
certo momento della vita di Mamma
Margherita quando, ancor giovane,
allevava i suoi tre figli, Antonio,
Giovanni e Giuseppe con amore e
fermezza.
Auguri a tutte le
mamme!
La seconda domenica di maggio, in moltissimi paesi del mondo si festeggiano le mamme.
Lo facciamo anche noi incominciando dalla magnifica e santa mamma di don Bosco.
40
Maggio 2011

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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I NOSTRI SANTI
A CURA DI PIERLUIGI CAMERONI postulatore generale
Affidamento fiducioso
A tre anni circa, Nicola manife-
stava dolori alla cervicale. Ri-
coverato all’ospedale di Udine
e sottoposto ad accertamenti
medici, gli fu diagnosticato un
possibile tumore o altra malattia
grave. Per ulteriori verifiche e ap-
profondimenti il bambino venne
mandato a Bologna. Tutti i paren-
ti furono informati della delicata
situazione; tra di essi la zia, suor
Gisella De Boni, sollecitò tutti alla
preghiera, chiedendo l’intervento
di san Domenico Savio. Al ter-
mine della novena di preghiere
il bambino migliorò. Oggi Nicola
ha 5 anni e cresce sano, allegro
e vivace.
Sr. De Boni Gisella, Padova
Come l’emorroissa
del Vangelo
Scrivo a nome di mia madre la
sig.ra Russo Geltrude, che agli
inizi degli anni ottanta ha esperi-
mentato la potente intercessione
di san Giovanni Bosco e del suo
discepolo san Domenico Savio.
Mia madre da diversi anni sof-
friva di emorragie. Si era rivolta
a molti medici, che le suggeri-
vano terapie discordanti. Non
sapendo quali di queste terapie
dovesse seguire, nell’incertezza
pensò d’invocare l’intercessione
di san Giovanni Bosco e di san
Domenico Savio, facendo voto
di inviare un’offerta alla Congre-
gazione Salesiana e di far pub-
blicare la sua esperienza. Poco
tempo dopo si trovò guarita sen-
za aver seguito nessuna terapia.
Secondo il voto fatto provvide
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
ad inviare la sua offerta, impe-
gnandosi a far pubblicare la gra-
zia ricevuta. Ora, dopo trent’an-
ni, mia madre si è ricordata di
dover sciogliere ancora parte
di quel voto; per questo mi ha
incaricato di scrivere questa let-
tera, dopo aver esperimentato,
come l’emorroissa del Vangelo,
la potenza di Dio, allora operante
attraverso Gesù, ora attraverso i
suoi santi testimoni.
Sac. Patrone Alfonso, Lago CS
Morta… dieci volte!
Circa due anni fa la mamma di
una mia carissima amica ha
subìto un improvviso infarto.
Portata subito all’ospedale, i
medici si resero conto che le
condizioni della signora erano
gravissime. Infatti una dottores-
sa, di fronte ai ripetuti massaggi
al cuore praticati da un medico
per ripristinarne i battiti regolari,
dichiarava inutili tali tentativi.
Nel frattempo casualmente io
avevo telefonato alla mia amica
che mi mise a conoscenza della
gravissima situazione in cui si
trovava sua madre. Immediata-
mente inviai una serie di sms ai
nostri amici comuni, chiedendo
di recitare insieme le tre “Ave
Maria” suggerite da don Bosco,
sicura che saremmo stati esau-
diti. In quel momento la signora
subiva ben dieci arresti cardiaci,
finché superato l’ultimo, rimase
viva. Fu portata subito in riani-
mazione, dove rimase circa tre
settimane. Noi continuammo a
pregare Maria Ausiliatrice, don
Bosco e il beato don Filippo
Rinaldi. La signora poi si ripre-
se e si sentì dire dai medici che
quanto era successo non poteva
essere spiegato scientificamen-
te, essendo lei morta… dieci
volte! Attualmente la signora sta
discretamente; cammina e va a
fare la spesa. Deve tenersi sotto
controllo, ma è ancora tra noi!
Lombardo Rossana
NOTIZIE DALLA POSTULAZIONE
Centenario della nascita del Beato
Giuseppe Kowalski
Quest’anno ricorre il centenario della nascita
del beato Giuseppe Kowalski, salesiano sacer-
dote, martire nel campo di sterminio nazista di
Auschwitz. Nato a Siedliska, in Polonia, il 13
marzo 1911, entra tra i salesiani nel 1927 e
diventa prete nel 1938. Segretario ispettoriale,
apprezzato conferenziere ed educatore attra-
verso la musica, vede interrompersi drammaticamente il suo aposto-
lato presso la parrocchia di Maria Aiuto dei Cristiani di Cracovia, il
23 maggio del 1941, quando i nazisti lo prelevano con 11 confratelli.
Diventa la matricola 17.350 di Auschwitz. Nel 1942, per il suo rifiuto
di calpestare un rosario, viene sottoposto a lavori massacranti, tor-
turato e infine annegato dalle guardie nella fogna del campo. Il 13
giugno del 1999 papa Giovanni Paolo II lo beatifica a Varsavia con
altri 107 martiri del nazismo.
India - Chiusa l’Inchiesta Diocesana del Servo di Dio
Costantino Vendrame
Sabato 19 febbraio 2011 a Shillong si è con-
clusa l’Inchiesta diocesana per la Beatificazio-
ne del Servo di Dio don Costantino Vendrame
(1893-1957). A presiedere l’atto conclusivo del
processo diocesano è stato l’arcivescovo mon-
signor Dominic Jala, sdb. Costantino Vendrame
nacque a San Martino di Colle Umberto, in pro-
vincia di Treviso, il 27 agosto 1893. Nel 1913
entrò nel noviziato salesiano di Ivrea. Dopo
una prima esperienza nell’oratorio di Chioggia, fece il servizio militare
obbligatorio, che temprò ulteriormente il suo carattere. Nel marzo del
1929 fu ordinato sacerdote e, nell’ottobre, ricevette il crocifisso mis-
sionario nella Basilica di Maria Ausiliatrice. A 31 anni partì per l’India.
Nel giro di cinque anni le parrocchie affidate al suo ministero crebbero
a dismisura, incrementando il numero dei battezzati da 400 a 1449.
Lavorò specialmente nel Nord-Est indiano. Visitava continuamente i
villaggi, incontrando la gente e i bambini: si faceva uno di loro, cerca-
va il contatto umano. Entrava nelle case dei poveri e degli ammalati,
li aiutava e parlava con loro, ascoltava i loro racconti e, dopo essere
diventato loro amico, raccontava la vita di Gesù. Intuì l’importanza del-
la donna nella cultura dei Khasi. Sempre all’avanguardia come don
Bosco, usava i mass-media per evangelizzare i villaggi, e proiettava la
vita di Gesù. Don Vendrame puntò sulla formazione di catechisti laici
che evangelizzavano le comunità e lo accompagnavano nei suoi viag-
gi. Da buon salesiano avviò e seguì gli oratori festivi, educò centinaia
di bambini. Portò il cristianesimo anche tra gli indù, i musulmani e i
metodisti, tanto che veniva paragonato a san Francesco Saverio o a
san Paolo. Era umilissimo e di grande preghiera: sembrava sempre in
comunione con Dio. Devotissimo del Sacro Cuore di Gesù, fece erige-
re due santuari, uno a Malawai e l’altro a Wahiajer. Morì il 30 gennaio
1957 nell’ospedale di Dibrugarh.
Per informazioni e segnalazioni di grazie scrivere a:
postulazione@sdb.org
Maggio 2011
41

5.2 Page 42

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
DON MAREK MARIUSZ RYBINSKI
Ucciso a Manouba, Tunisia, il 18/02/2011, a 33 anni
I giovani tunisini venuti alla Cattedrale con dei fiori,
le lacrime agli occhi, dicevano: «Non l’abbiamo ucciso,
dicevano, questa non è la Tunisia... Perdonateci!».
Lettera di monsignor Maroun
Lahham, arcivescovo di Tunisi.
Il Ministero degli Interni ha diffuso
un comunicato secondo il quale
l’assassino è il falegname della
scuola. I padri salesiani affermano
che l’assassino aveva chiesto in
prestito, nello scorso Eid (tre mesi
fa) 2000 dinari tunisini per acqui-
stare del materiale per il proprio
lavoro. Sembra che abbia speso
il denaro per altre cose, il forni-
tore si rifiutava di consegnargli il
materiale non pagato e don Marek
insisteva per avere indietro il de-
naro della scuola. Preso dal pani-
co, e temendo di essere scoperto,
asserisce il comunicato del Mini-
stero degli Interni, “l’assassino ha
sorpreso il sacerdote colpendolo
ripetutamente con violenza con un
oggetto contundente sulla nuca e
sul collo, provocandone il deces-
so. L’assassinio è stato commes-
so per paura di essere scoperto”.
Non appena le formalità giuridi-
che saranno state espletate, cele-
breremo una grande messa nella
Cattedrale, prima di rimpatriarlo in
Polonia.
Che dire? Orrore, tristezza, indi-
gnazione, rivolta, preoccupazione,
paura, dubbio… tutto è mescola-
to. Perché don Marek è stato ucci-
so? Per duemila dinari! Si osa ap-
pena crederlo. Vi sono certamente
dei dettagli che non conosco.
Al contrario, ci sono delle cose
che so:
– So che don Marek aveva scritto,
due settimane prima del suo as-
sassinio, a proposito del popolo
tunisino: “è una nazione giovane,
intelligente, incapace di violenza
(sic!), profondamente buona che
non è capace di odiare”.
– So che aveva appena scritto il
suo primo libro sulla Tunisia, nel
quale dice tra l’altro: “Durante il
soggiorno in Tunisia, il mio atteg-
giamento verso i miei fratelli mu-
sulmani è molto cambiato. Questa
paura del terrorismo e dell’estre-
mismo è completamente scom-
parsa. I Tunisini sono così acco-
glienti, amichevoli e cordiali. Mi
insegnano questo atteggiamento”.
– So che si era proposto volon-
tario per venire in Tunisia quattro
anni fa, quando era stato da poco
ordinato sacerdote.
– So che aveva chiesto del dena-
ro ovunque per creare dei nuovi
locali per la scuola che amava
molto e di cui era economo.
Immagino di stare di fronte al
suo assassino per porgli alcune
domande: perché hai ucciso, ve-
ramente, don Marek? E perché in
questo modo barbaro?
La sua giovane età e la sua inno-
cenza non ti hanno ispirato nessun
sentimento di pietà? Né il suo fisi-
co gracile? L’hai ucciso a colpi di
martello, non era sufficiente? Era
veramente necessario sgozzarlo e
lasciarlo giacere nel suo sangue?
Come hai potuto dormire dopo
averlo fatto? Di che pasta sei fatto?
Che religione professi? Sei di quelli
che credono nel Dio compassione-
vole e misericordioso (Al Rahman
Al Rahim)? Come fai convivere il
tuo crimine con la tua fede?
Rispondi a queste domande, tran-
quillizzaci, tranquillizza il nostro
cuore di padre e di fratelli... Poi, ti
prometto il perdono. Dovrai prima
chiederlo a Dio, e poi avrai quello
della Chiesa cattolica di Tunisia.
“Se il seme caduto a terra non
muore...”. È caduto, è morto, e se-
guendo l’esempio di Cristo, a cui
don Marek si era consacrato, ha
portato frutto. Tutti i messaggi di
solidarietà, tutte le scene di par-
tecipazione, i fiori deposti sulla
porta della Cattedrale, i tunisini e
le tunisine che hanno manife-
stato davanti alla Cattedrale con
gli slogan “Marek, perdono!”, i
giovani tunisini venuti alla Catte-
drale domenica 20 con dei fiori,
le lacrime agli occhi... “Non l’ab-
biamo ucciso, dicevano, questa
non è la Tunisia... Perdonateci!”;
e sono andati via abbracciando le
suore.
Le reazioni ufficiali sono dello
stesso tenore, il Primo Ministro,
il Ministero degli Interni, degli
Esteri, del Lavoro, dell’Istruzione,
degli Affari religiosi, del Turismo;
gli ambasciatori arabi e stranieri,
anche il partito islamico Al Nah-
da... C’era bisogno dell’assassinio
di un sacerdote per renderci conto
di tutta questa partecipazione e di
questo affetto? Il prezzo è molto
alto. Apprezziamo enormemente
tutti questi gesti di amicizia, ma
essi non valgono una goccia del
sangue del nostro Marek.
E adesso? Ebbene, andiamo avan-
ti. Non è il momento del panico, è
quello della fede, della pazienza,
della precauzione. Andarsene?
Non se ne parla, i tempi difficili
non sono tempi di fuga. Lo dico
innanzi tutto a mio nome, e penso
di poterlo dire a nome di tutto il
personale religioso della Chiesa
di Tunisia e in nome dei cristiani
presenti nel Paese. Lo dico anche
per i nostri fratelli musulmani
ed ebrei. Noi restiamo in questo
Paese che ci accoglie, che ci
ama e che noi amiamo. Restiamo
anche per voi, perché vogliamo
arricchirci con la vostra presenza
e la vostra differenza, e vi pro-
poniamo anche i valori nei quali
crediamo e che cerchiamo di
vivere malgrado le nostre debo-
lezze, dei valori che vi possono
offrire un supplemento di fede, di
speranza e di fiducia.
La vita è più forte della morte,
l’AMORE anche.
+ Maroun Lahham, Arcivescovo
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Maggio 2011

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Il soldato Pietro
Un uomo rude e coraggioso,
di nome Pietro, aveva scelto
come mestiere quello del
soldato. Sapeva combattere
con l’archibugio e la spada e
si era distinto nelle battaglie
più celebri, ma un giorno, fu colpito
a morte.
Quello stesso giorno arrivò alle porte
del Paradiso. Bussò con energia. San
Pietro si affrettò ad aprire.
«Voglio entrare in Paradiso! Guar-
date quante medaglie ho meritato!
Modestia a parte, sono il miglio-
re. Sono persino morto per la mia
patria. Credo proprio di essermelo
guadagnato il Paradiso!».
«Vedo, vedo», borbottò san Pietro, «il
vostro nome è il più bello che ci sia,
non c’è dubbio. Ma devo prima dare
un’occhiata ai miei registri». Estrasse
un librone da uno scaffale e cominciò
a leggere lentamente. Tutto quello
che il soldato aveva fatto era scritto in
quel librone. Man mano che san Pie-
tro leggeva, però, scuoteva la testa e
bofonchiava: «Uhm... Uhm». Secondo
quello che c’era scritto e secondo le
leggi che regolavano l’accesso al Para-
diso, san Pietro non poteva assoluta-
mente lasciar entrare il soldato.
Ma che cosa poteva fare?
San Pietro chiamò san Michele, l’ar-
cangelo che portava la spada e l’ar-
matura, e che quindi avrebbe dovuto
provare comprensione nei riguardi di
un suo collega umano.
«Ma no, ma no! », gridava san
Michele. «Non puoi infrangere i
regolamenti. Questo soldato non può
assolutamente entrare in Paradiso.
Devi cacciarlo via!».
Allora san Pietro convocò un’adu-
nanza di tutti i santi più buoni che
riuscì a trovare. Ma non ci fu niente
da fare. Senza esitare si recò da Gesù
e cominciò a raccontargli tutto quel-
lo che si riferiva al soldato.
Ma proprio in quel momento, ci
fu un baccano indescrivibile. Venti
diavoli, trafelati e rabbiosi, stavano
correndo su per i gradini che porta-
vano al Paradiso.
«Ferma, ferma! », gridavano i diavoli,
agitando i forconi aguzzi. «Questo
soldato non appartiene al Paradiso.
Questo soldato appartiene a noi!».
Le cose si mettevano decisamente
male per il povero soldato Pietro.
Un diavolaccio rosso lo punzecchiò
con la forca sghignazzando: «Eccolo
qui, quello che diceva sempre “porco
diavolo”! ».
Ma proprio allora, al fianco di Gesù,
apparve una bella Signora. Era Ma-
ria. Aveva in mano un grosso libro
d’oro, che consegnò a Gesù. Gesù
prese il libro. Aveva centinaia di
pagine, ed era tutto scritto, su tutte le
pagine. Gesù incominciò a leggere.
Gesù leggeva e leggeva e leggeva.
Alla fine si voltò verso Maria e le
fece un bell’inchino. Quello era il
segnale. Il soldato Pietro poteva
entrare in Paradiso. Fu Maria stessa a
prenderlo per mano e farlo entrare.
I diavoli si avviarono furibondi verso
l’Inferno, protestando: «Maria è la
nostra rovina! Continua a rubare le
anime che ci appartengono! Di que-
sto passo finiremo disoccupati».
A san Pietro, però, era rimasta una
gran curiosità. Che cosa c’era scritto
sul gran libro d’oro che Maria aveva
fatto leggere a Gesù?
Così, mentre tutti erano distratti, san
Pietro si avvicinò quatto quatto al
libro d’oro e lo aprì. C’erano scritte
tante Ave Maria su ogni pagina.
Migliaia e migliaia di Ave Maria.
Era l’unica preghiera che quel rude
soldato conosceva e ogni volta che la
mormorava, la Madonna la scriveva
sul suo grande libro d’oro.
Erano state proprio quelle Ave Ma-
ria ad aprire le porte del Paradiso al
soldato Pietro.
Maggio 2011
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Venite e vedrete
Beato Artemide Zatti
La vocazione di un
Salesiano Coadiutore
Le chiese di don Bosco
La Basilica del
Sacro Cuore a Roma
Salesiani nel mondo
Ucraina: un papà
per tutti i ragazzi
L’invitato
Monsignor
Menamparampil
Un vescovo da Nobel
I salesiani e l’unità d’Italia
Salesiani: cattolici e
patrioti durante
la grande guerra
Come don Bosco
Riscoprire la capacità
di meravigliarsi
Senza di voi
Dal testamento di don Bosco
per i benefattori
non possiamo
Senza la vostra carità io
avrei potuto fare poco
o nulla; con la vostra
carità abbiamo invece
fare nulla!
cooperato con la grazia di Dio
ad asciugare molte lagrime e
a salvare molte anime.
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
Fondazione Don Bosco nel mondo
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e-mail:donbosconelmondo@sdb.org
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