Bollettino_Salesiano_201104

Bollettino_Salesiano_201104

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IL
APRILE
2011
L’invitato
Jean Paul Muller
Salesiani nel mondo
Il ritorno dei
bambini soldato
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
I salesiani e
l’unità d’Italia
L’italianità
di don Bosco
I nostri volontari
Diario da Haiti

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
La storia
Il pero martinello
Il vento fresco delle Alpi miei fiori, quando il ragazzino
Racconta don Bosco: «Ai Becchi avvi
un prato, dove allora esistevano diverse
piante, di cui tuttora sussiste un pero
martinello, che in quel tempo mi era di
molto aiuto. A questo albero attaccava
una fune, che andava a rannodarsi ad un
altro... Sulla corda poi camminava co-
me su un sentiero, saltava, danzava...»
(Memorie dell’Oratorio, pp. 245-255).
mi ha aiutato a crescere. si arrampicò di nuovo e si mise
Le mie radici sono profonde e in piedi sulla corda. In piedi! re sulla corda. Danzava leggero,
robuste, come i miei rami che Rimase immobile un attimo e lo sguardo in avanti. Solo io
hanno sopportato le furie dei trasse un respiro profondo.
avvertivo la tensione dei musco-
temporali e mi hanno nutrito Poi spalancò le braccia, come
li. Saltava, si appoggiava con le
in primavera, si sono coperti di fossero due ali, per cercare l’equi- mani gettando i piedi per aria,
fiori e hanno regalato il mira- librio e mosse il primo passo. volava a testa in giù tenendosi
colo dell’autunno: i miei frutti Ondeggiò un attimo e
appeso per i piedi.
tardivi, piccoli e succosi.
cadde al suolo. L’erba del
Gli applausi scoppiarono
Ricordo una primavera ai
prato fece di tutto per attutire il fragorosi.
Becchi, come gli altri peri miei colpo, ma prese una brutta botta! Io che avevo assistito al dolore
colleghi mi stavo vestendo in Si rialzò dolorante, si massaggiò delle sue cadute ebbi l’onore di
ghingheri con un fantastico
la schiena e risalì sulla fune.
essere testimone della sua gloria.
merletto di fiori bianchi e rosa, Cadde dieci, venti volte prima di Le mie foglie frusciavano nel
quando arrivò quel ragazzino. sera. Ma la testa di quel ragazzo vento: «Braô, Giôanin!».
Aveva un bel passo elastico e era molto più dura del dolore.
due occhi furbi sotto un gran Dopo un po’ di settimane era
cespuglio di ricci neri. Osservò in grado di camminare, passeg-
ben bene il mio tronco (non giare e saltare sulla corda come
nascondo di aver avuto un
fosse stato sul prato.
brivido: i monelli a volte fanno Il bello accadde la dome-
cose orribili agli alberi) e mi ac- nica pomeriggio.
carezzò. Studiò il mio ramo più Tutto il villaggio si radunò
robusto. Era piuttosto in alto intorno a me.
per lui, ma si arrampicò svelto C’erano vecchi, adulti, bambini.
come un gatto e gli legò intorno Il ragazzo invitò tutti a pregare,
una robusta fune di canapa.
poi salì su una sedia e fece un
Osservai sbalordito che discorso, poi diede inizio allo
aveva scelto l’inforcatura spettacolo: fece dei salti mortali,
più alta. Scese e andò a legare mangiò monete e le riprese dalla
l’altro capo della corda ad un vec- punta del naso degli spettatori,
chio e saggio olmo con cui avevo uccise un galletto e poi di colpo
condiviso bufere e tramonti.
lo fece risuscitare, poi svelto
Non vi dico il bisbigliare
come un gatto si arrampicò sul
sbalordito delle mie foglie e dei mio tronco e cominciò a danza-
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Aprile 2011

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IL
APRILE 2011
ANNO CXXXV
Numero 4
IL
APRILE
2011
L’invitato
Jean Paul Muller
Salesiani nel mondo
Il ritorno dei
bambini soldato
2 LE COSE DI DON BOSCO
Il pero martinello
4 STRENNA 2011
Attilio Giordani
6 LETTERE
8 SALESIANI NEL MONDO
Il ritorno dei bambini soldato
12 L’INVITATO
Jean Paul Muller
16 NOTE DI SPIRITUALITÀ SALESIANA
C come coraggio
18 FINO AI CONFINI DEL MONDO
20 FMA
Tenersi stretti i sogni
22 GIOVANI
I giovani spagnoli
24 GRANDI SALESIANI
Don Carlo Braga
27 MESSAGGIO A UN GIOVANE
28 I NOSTRI VOLONTARI
Diario da Haiti
30 IL LIBRO
32 COME DON BOSCO
34 VIAGGI
36 NOI & LORO
38 I SALESIANI E L’UNITÀ D’ITALIA
L’italianità di don Bosco
41 I NOSTRI SANTI
42 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
43 LA BUONANOTTE
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
I salesiani e
l’unità d’Italia
L’italianità
di don Bosco
I nostri volontari
Diario da Haiti
8
24
30
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina:
Chiara D’Onofrio
volontaria del VIS
ad Haiti. A pagina
28 racconta che
cosa significhi
donare un pezzo di
vita e tutto il cuore
a chi chiede solo di
risorgere (Foto VIS).
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
Tel./Fax 06.65612643
e-mail: biesse@sdb.org
web: http://biesseonline.sdb.org
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Maria Antonia Chinello,
Chiara D’Onofrio, Ulla Fricke,
Jaime Gonzalez Quintero, Cesare
Lo Monaco, Giancarlo Manieri,
Alessandra Mastrodonato, Francesco
Motto, Marianna Pacucci, José
J. Gomez Palacios, O. Pori Mecoi,
Marco Pozza, Rodendro Soler,
Annegret Spitz, Carlo Terraneo,
Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Luciano Alloisio (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
Via della Pisana 1111 - 00163 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612658
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CF 97210180580
Banca Intesa - Fil. Roma 12
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Impaginazione: Puntografica s.r.l.
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Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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VENITE E VEDRETE
PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA
Servo di Dio
Attilio Giordani
“ ” Un laico “alla don Bosco” (1913-1972)
Nel sorriso di
Attilio Giordani
risplendeva tutta la
capacità comuni-
cativa dell’allegria
salesiana.
Padre di famiglia, catechista e animatore
di oratorio, salesiano cooperatore e mis-
sionario nel Mato Grosso. Membro della
parrocchia S. Agostino, gestita dai salesia-
ni di Milano, Attilio è l’anima dell’oratorio
e della parrocchia, è un mago dell’oratorio,
un fenomeno di inventiva, di allegria e di capacità
educativa con i ragazzi. La sua
vocazione di laico cristiano
impegnato fiorisce e matura
nei solchi dell’oratorio, con il
cuore apostolico e gioioso di
don Bosco. È un attore ecce-
zionale, uno che affascina con
il suo modo di recitare: natu-
ralissimo e sempre fresco. Ha
una carica, qualcosa come un
segreto, come una grazia, che
non è quella dell’attore. Ciò
che attira è qualcosa di bel-
lo che ha dentro di sé. Stare
con i ragazzi è la vocazione
di don Bosco e di ogni salesiano. Don Bosco la
chiamò “assistenza”. Il modo di stare con i ragaz-
zi di Attilio incanta come il suo modo di recita-
re. Non ha paura dei ragazzi, è naturale con loro.
Eppure quanto prepara ogni cosa prima di andare
in mezzo ai giovani: i canti, i bans, i versi, i gridi.
Li sa ascoltare, ascolta attentamente, bada a quello
che dicono e ha sempre una battuta viva, briosa,
a pennello per ciascuno. Allegro e ottimista sem-
pre, anche il suo prendere in giro è dolce e non
ferisce nessuno. In genere parla in dialetto milane-
se. È uno spettacolo Attilio in mezzo ai ragazzi:
così doveva essere don Bosco! Bada al gruppo e
tiene d’occhio il singolo. È attento alla situazione
reale, segue l’istinto dei ragazzi e lo argina con la
sua inventiva. Se i ragazzi fanno baldoria, invece di
imparare il catechismo, gli piace fare un grido, un
salto, buttare fuori un po’ di anidride carbonica e
poi riprendere le redini e quindi il silenzio. La sua
inventiva è di adattarsi alle situazioni.
Le tappe del suo cammino sono state le
tappe del suo tempo: nel tempo del fascismo
cerca la libertà nell’oratorio, nell’Azione Cattolica;
in tempo di guerra e dopoguerra, quando per la
politica e per i partiti ci si guarda in cagnesco, in-
venta la crociata della bontà; in tempo di contesta-
zione, quando i giovani si appropriano del terreno
che i vecchi lasciano vuoto di ideali, egli appoggia
l’Operazione Mato Grosso che i suoi figli gli hanno
portato in casa. Il suo metodo e modo di stare con
i ragazzi manifesta la sua preoccupazione costante
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per l’anima del ragazzo, il
suo rispetto per il giovane.
Ciò che don Bosco chie-
deva ai suoi salesiani, in
Attilio era compito sem-
pre ben fatto. Il messag-
gio che Attilio trasmette
con questo suo metodo,
sempre aggiornato, si può riassumere con la parola
“bontà”. E tutto questo lo condivide con Noemi, la
sua fidanzata e poi la sposa, che si lascia coinvolge-
re fino alla fine dall’entusiasmo travolgente del suo
Attilio: “Cara Noe, il Signore ci aiuti a non essere
dei buoni alla buona, a vivere nel mondo senza es-
sere del mondo, ad andare contro corrente... ».
La vocazione di un
Salesiano Cooperatore
Attilio, don Bosco l’ha incarnato! Nell’alle-
gria, nello stare con i ragazzi; anche nella pietà: una
pietà semplice, quella che prega prima di mangiare:
«Grazie Gesù per il pane che ci hai dato, danne
anche a chi ne è senza». Attilio vive di unione con
Dio, con don Bosco. La sua giornata incomincia
con l’alzata alle 6 e quindi 6.30 in chiesa per parte-
cipare alla Messa e fare la comunione. Se manca il
chierichetto non ha vergogna ad andare lui, anche
a 58/59 anni, a servir messa. Poi la meditazione.
Poi a casa, ascolta alla radiolina le ultime notizie
e via al lavoro. Torna a casa a mezzogiorno. Dopo
pranzo va dai salesiani del S. Ambrogio di Milano.
Li conosce tutti: dall’ispettore all’ultimo caro sa-
lesiano, cieco, che viene da Betlemme. E quando
c’è qualcuno che soffre o è un po’ emarginato lui è
presente. Saluta tutti i salesiani, poi ogni giorno fa
la visita a Gesù Sacramentato.
La sua vita la si capisce dalla morte. All’e-
tà di sessant’anni Attilio Giordani, con la moglie
Noemi, il figlio maggiore
Pier Giorgio e la figlia
più giovane Paola, par-
te per il Brasile – Mato
Grosso. Questo dice ai
genitori: “Se vogliamo e
dobbiamo condividere la
vocazione dei nostri figli,
capire i nostri ragazzi, quando fanno alcune scelte
importanti ed esemplari, dobbiamo essere disposti
a seguire i nostri ragazzi per sostenerli nella prova,
per poter giudicare con coscienza di causa ciò che
fanno”. “Nella vita non serve tanto il dire le cose
che dobbiamo fare. Non serve tanto il predicare,
conta ciò che si fa. Bisogna dimostrare con la vita
ciò in cui crediamo. Non ci sono prediche da fare.
La predica è vivere”. La sua vita è tutta una cor-
sa, con i giovani. E arriva al
traguardo come una volata,
dimostrando che cos’è la
vocazione permanente del
cristiano: dare la vita! Cos’è
essere giovani fino all’ulti-
mo giorno. Più volte Attilio
aveva detto: “La morte ci
deve trovare vivi”. Lui così
vivo nelle cose ordinarie,
nell’allegria, nella pietà, an-
che nell’incontro finale con
il Signore è lì pronto per
continuare a stare in mezzo
ai ragazzi nel giardino sale-
siano del cielo. La morte lo
coglie mentre sta parlando
ad un incontro missionario
a Campo Grande (Brasile),
quando, sentendosi venir
meno, appoggia il capo sulla spalla di don Ugo
De Censi e sussurra al figlio: «Pier Giorgio, con-
tinua tu ». È il messaggio che Attilio lascia anche a
noi: continuare ad essere don Bosco vivo oggi con
gioia e passione fino alla fine.
Attilio Giordani
sapeva coinvolgere
tutti con il suo
entusiasmo: “Biso-
gna dimostrare con
la vita ciò in cui
crediamo”.
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LA POSTA
I NOSTRI ESPERTI RISPONDONO
Scuola pubblica e
scuola paritaria
Caro Bollettino salesiano, sono
contento di vederti luminosa-
mente ringiovanito e desidero
porre un quesito che certo sta
a cuore soprattutto ai salesiani
sull’aspetto economico (il meno
bello) della scuola in Italia.
Non si riesce a “parificare” eco-
nomicamente la scuola paritaria
con quella statale. Di qui tante
decennali controversie... mentre
ci si rimpicciolisce o addirittura
si scompare. Non cantiamo an-
cora “addio sogni di gloria” ma
le innumerovoli benemerenze e
realizzazioni della Chiesa attra-
verso i secoli e non ultime le tanto
benemerite scuole salesiane sa-
ranno un buon ricordo. Se non si
riesce a fare altrimenti, con tanto
dolore diremo pazienza. Ma credo
dovremmo almeno reagire ad una
falsità riportata sul Corriere della
Sera - 19/12 articolo di Melloni
che scrive: «i finanziamenti per
le scuole paritarie cattoliche sono
un business e non una missione
samaritana». Le scuole cattoliche
fanno risparmiare ogni anno allo
Stato circa 6,5 miliardi di euro. È
questo il nostro sfruttamento!
Alessandro Olivieri
L ei dice bene: parlando di
istituzioni scolastiche,
non si può prescindere
dalla storia, dalle bene-
merenze e realizzazioni
che la Chiesa (attraverso
gli Ordini religiosi e le Congre-
gazioni di carità) ha realizzato
lungo i secoli a favore di quella
che oggi chiamiamo cittadinanza,
attraverso la promozione della
cultura e dell’educazione a tutti i
livelli, dall’istruzione elementare
all’università. E tutto ciò, ben pri-
ma che, sotto la spinta dell’uni-
ficazione dei regni della penisola
italica, le nascenti istituzioni di
stato si ponessero il problema di
estendere l’istruzione elementare
alle masse popolari.
In questo lungo processo, si è
andata delineando, specie dal se-
condo dopoguerra, una forte con-
trapposizione tra una concezione
statalistica, per la quale allo stato
spetta istituire le scuole in prima
persona e gestirle direttamente,
e un principio di sussidiarietà
per cui lo stato deve provvedere
che vi siano istituzioni scola-
stiche per tutti (o gestendole in
proprio, oppure aiutando coloro
che, sotto le debite condizioni,
le realizzano). Da un decennio,
il sistema nazionale di istruzione
è formalmente “costituito dalle
scuole statali e dalle scuole pa-
ritarie private e degli enti locali”.
È legge dello stato (lg. 62/2000,
art. 1). Ciò nonostante, perdura
in Italia, caso unico al mondo, un
monopolio scolastico dello stato,
che si contrappone al principio di
sussidiarietà.
Che questa sia un’anomalia da
risolvere assolutamente è con-
fermato pure dai dati economici,
disponibili anche in Internet, che
OGNI MESE
DON BOSCO
A CASA TUA
Il Bollettino Salesiano vie-
ne inviato gratuitamente a
chi ne fa richiesta.
Dal 1877 è un dono di don
Bosco a chi segue con sim-
patia il lavoro salesiano tra
i giovani e le missioni.
Diffondetelo tra i parenti e
gli amici. Comunicate su-
bito il cambio di indirizzo.
riguardano la spesa per l’istruzio-
ne pubblica e i costi delle scuole
di stato, paritarie e non paritarie.
Queste analisi – oggetto sempre
più frequente e puntuale delle
ricerche internazionali (ad es.,
dell’OCSE) – consentono un
giudizio oggettivo sul beneficio
pubblico che può vantare l’azio-
ne educativa delle scuole parita-
rie (la maggior parte delle quali
cattoliche). Ancora una volta il
cosiddetto “privato sociale” si
dimostra più accorto e meno
sprecone nell’uso delle risorse.
Gettare fango sulle scuole parita-
rie è un’operazione mediatica che
nasconde interessi di parte, altro
che bene comune!
Il dato nuovo di questi ultimi
anni è un effettivo calo dramma-
tico delle risorse finanziarie, con
la necessità di tagli a 360° sulla
spesa pubblica. Oggi, di conse-
guenza, la questione dei sistemi
educativi non può fondarsi sulla
tensione tra garantismo di stato e
comportamento virtuoso di inizia-
tiva privata, quanto piuttosto su tre
principi-valori condivisi, impre-
scindibili nelle odierne società de-
mocratiche: quello di una effettiva
libera scelta educativa dei genitori,
l’obiettivo di una maggiore equità
del sistema educativo e il principio
della sussidiarietà orizzontale.
È auspicabile, perciò, che a tutti
i livelli si valorizzino virtuosa-
mente i benefici di un sistema di
istruzione integrato tra iniziativa
privata – spesso più accorta nella
gestione delle risorse economiche
perché più vicina ai bisogni locali
– e iniziativa centrale dello stato il
quale, per essere garante di equità
e qualità del sistema, deve impe-
gnarsi in un triplice ruolo: rendere
conto “pubblicamente”, cioè in
modo trasparente, dei criteri di
valutazione del servizio pubblico
per il quale i cittadini versano le
tasse; sostenere l’iniziativa privata
per quel bene di tutti che è l’edu-
cazione; e, solo in via sussidiaria,
gestire scuole direttamente, per
colmare eventuali carenze locali.
I dati economici sul risparmio
economico che la presenza delle
scuole cattoliche paritarie con-
sente da sempre all’erario pub-
blico, stanno a dimostrare che è
il monopolio scolastico di stato
ad essere controproducente e, in
ultima analisi, anticostituziona-
le; si tratta perciò di una ideolo-
gia non più sostenibile.
Delegato Cnos-Scuola,
Torino – cnos.scuola@
salesianipiemonte.it
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L’immoralità
al potere?
Non condivido lo stile di vita di
Berlusconi, ma trovo ipocrita che
a stracciarsi le vesti siano coloro
che dal ’68 in poi si sono battuti
per la rivoluzione permissiva, lot-
ta ai tabù, libertà sessuale anche
per i minori, pornocrazia, la pro-
stituzione come professione ecc.
Non si può pretendere un premier
virtuoso e volere una società li-
bera di fare ciò che vuole. Dopo
decenni d’istigazione di massa
alla vita libera dalla morale, l’im-
moralità è andata al potere e molti
non ci fanno più caso.
Se potesse pubblicare le sarei
grata. Cordiali saluti
Lucia Estran
L’immoralità non è solo
dare libero sfogo alla li-
bidine sessuale sia pure
d’alto bordo. Se poco
poco scaviamo sotto ai
fatti di cronaca, scopria-
mo che la vera immoralità, quella
che inquina e corrompe le co-
scienze è la convinzione che chi
ha soldi e potere è un invidiabile
fortunato: può permettersi tutto
perché tutto ha un prezzo: la bel-
lezza di un corpo giovane e sedu-
cente e, soprattutto, le coscienze.
Importante per chi si vende è l’u-
tile che ne può ricavare sia esso
economico, politico, televisivo
o professionale. Le cronache ci
hanno informato nelle settima-
ne scorse che dei padri hanno
spinto le loro procaci figliole a
infilarsi tra le lenzuola del satrapo
di turno. Non solo, ma addirittu-
ra c’è chi le ha accompagnate a
battere lungo i marciapiedi della
periferia napoletana e dintorni.
Mi si può rispondere che da che
mondo è mondo si è sempre ru-
bato, fornicato, detto il falso ecc.
Che i dieci Comandamenti non
siano sempre stati rispettati ieri
come oggi è cosa certa. Tuttavia,
c’è una novità altrettanto certa che
è tutta nostra, di oggi: la mancan-
za di indignazione verso compor-
tamenti moralmente inaccettabili
e non solo sessualmente.
Il disagio morale sta tutto qui: nel-
la corruzione delle coscienze. Vero
e falso, giusto e sbagliato, bene e
male sono riferimenti usciti dal
nostro bagaglio culturale e mora-
le. Le esibizioni di machismo ses-
suale sono solo un aspetto di quel
più grande degrado morale di tan-
te coscienze intorpidite. Vibrano
solo quando si tocca il portafoglio
e i propri meschini interessi. Per il
resto c’è una diffusa assuefazione
all’andazzo generale. L’immora-
lità che corrode l’animo di una
società è l’apatia e il disinteresse
verso valori umani autentici: i soli
che sanno progettare una vita in
avanti verso qualcosa di grande
e di bello da realizzare sia perso-
nalmente sia socialmente. Vale la
pena citare un passo della lettera
di san Paolo ai cristiani di Efeso:
«Essi, avendo perduto ogni sen-
timento si sono abbandonati alla
dissolutezza fino a commettere
Perché
non si può
scegliere quando
nascere e quando
morire?
Ascolta Amìnata una bambina
di otto anni, rifugiata, in Africa.
«Marciavamo da ore, a piedi
scalzi sulla sabbia bruciante,
insieme a tutti quelli che fug-
givano dalla guerra. Il villaggio
era stato distrutto. Io pensavo
una cosa sola: perché non
si può scegliere di nascere o
no? Perché io non sarei nata,
no, assolutamente... Oppure
altrove, lontano dalla guerra e
in un’altra epoca, quella in cui
si viveva in pace, sulle sponde
di un fiume... Mio nonno mi ha
sempre detto: “Nessuno può
decidere la propria nascita. La
vita ce la dona Dio, i tuoi ge-
nitori te la trasmettono, e poi
tocca a te scegliere in quale
direzione vuoi andare”.
“Se non ho potuto scegliere
di nascere, posso scegliere
di morire?”.
Mi ha stretta tra le braccia e
mi ha spiegato: “Vivere sen-
za decidere la propria morte
è aver fiducia in Dio. È essere
capaci di credere che con Dio
la vita val la pena di essere
vissuta, nonostante le soffe-
renze e la disperazione”.
Il nonno sa che un giorno mori-
rà. Ma in quale giorno? Quando
Dio vorrà. Perciò si tiene pronto
a incontrare il Signore. Quel
grande incontro per lui sarà
come un incontro di amore con
Dio, e vi si prepara. Non vuole
certamente sprecarlo. Nei mo-
menti tristi della sua vita, come
in quelli felici, egli cammina
confidando in Dio».
Mamma Margherita
ogni specie di impurità con avidità
insaziabile» (Efesini 4,19).
Nonostante il degrado morale che
ci circonda, resta altrettanto vero
che non è certo una minoranza in
estinzione quella che ogni giorno
fa il suo dovere di cittadini, di geni-
tori, di lavoratori, di professionisti,
ecc. Sono queste persone in car-
ne ed ossa, silenziose e operose,
che tengono accesa la virtù della
speranza e libero il cuore dallo
scoraggiamento e dai giudizi som-
mari tipo “è tutto marcio”. Però,
sarebbe bello che queste persone
silenziose facessero sentire anche
pubblicamente il loro sdegno mo-
rale e soprattutto la loro passione
per la verità e la giustizia. È l’unica
risposta sempre valida!
Sabino Frigato
Docente di Teologia Morale
A MESSA
CON UN AMICO
PER CAPIRE SEGUIRE
RICORDARE
www.elledici.org
Aprile 2011
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SALESIANI NEL MONDO
ULLA FRICKE - ANNEGRET SPITZ
Dal campo giochi
al fronte
«Avevo 15 anni quando aspettavo i miei
amici per giocare e improvvisamente una
moto si fermò vicino a me»
Marwin ha 19 anni. Oggi è falegname
e insegnante tecnico-pratico presso
la scuola professionale dei Salesiani
di don Bosco a Negombo, nello Sri
Lanka. Marwin era un bambino sol-
dato. Aveva combattuto per un anno
e mezzo per la “Liberation Tigers of Tamil Ee-
lam” (LTTE), un’organizzazione paramilitare che
rivendicava l’indipendenza della zona settentrio-
nale e di quella occidentale dello Sri Lanka, con-
trollate dai Tamil.
Mentre nella parte meridionale dell’isola, gesti-
ta dai cingalesi, negli anni ’90 si è registrato un
boom del turismo, gli abitanti della zona setten-
trionale subivano gli effetti sempre più nefasti
della guerra, con incursioni aeree, espulsioni e
operazioni militari.
Durante la guerra civile, migliaia di minorenni
hanno combattuto per la LTTE. Alcuni si sono
aggregati volontariamente alla guerra di libe-
razione, molti sono stati costretti a combattere.
L’Unicef ha valutato che solo tra il 2003 e il 2008
sono stati reclutati oltre 6000 bambini. Bambini
come Marwin.
«Avevo 15 anni quando aspettavo i miei amici per
giocare e improvvisamente una moto si fermò vici-
no a me. Erano combattenti della LTTE, lo sape-
vo». Lo trascinarono sulla moto e lo portarono via.
Nel suo piccolo paese occupato dalla LTTE, la spa-
rizione di un minorenne non era un fatto insolito.
«Tutti lo sapevano. Se una persona di sera non tor-
nava a casa, era stata catturata dalla LTTE. Alcuni
miei compagni di scuola non erano mai più torna-
ti». Il campo in cui lo portarono era nella giungla, a
soli cinque chilometri di distanza dal suo villaggio.
«Il giorno più brutto è stato
quello in cui è morto il mio
migliore amico»
Insieme a 35 altri ragazzi, Marwin imparò tutto
ciò che era ritenuto necessario per combattere al
fronte: usare il fucile, correre, nascondersi e tra-
sportare feriti. «Il primo giorno non riuscivo a
dormire e a mangiare. Avevo una paura tremenda
e avrei voluto fuggire, ma i nuovi arrivati erano
sorvegliati a ogni passo». Un tentativo di fuga
che osò compiere fu punito duramente. Gli al-
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Aprile 2011

1.9 Page 9

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I BAMBINI DEI RIBELLI
tri ragazzi che erano stati addestrati nel campo
insieme con lui dovettero picchiarlo e ridurlo in
condizione tale per cui non potesse più correre.
Dopo un addestramento di base della durata di
sei mesi, Marwin fu trasferito in un altro campo,
in cui si sarebbe dovuto specializzare nell’uso dei
mortai. Infine fu considerato idoneo alla mansione
a cui era stato destinato. Fu mandato a combattere
al fronte. «Il giorno più brutto è stato quello in cui
è morto Anthony, il mio migliore amico», ricorda
Marwin. «Erano le nove del mattino e improvvi-
samente ci trovammo completamente impreparati
in mezzo al combattimento. Corremmo a perdifia-
to, nel disperato tentativo di salvare la nostra vita.
Non ho potuto aiutare Anthony, quando è caduto
proprio accanto a me. È morto all’istante. Mi fu
chiaro che dovevo fuggire. Anche in quell’attacco
sarei potuto morire». Marwin pianificò con molta
attenzione la sua fuga. Sapeva che la notte avrebbe
potuto offrirgli un riparo.
Gli si presentò un’occasione una notte in cui dovet-
te compiere un turno di guardia. Tutti dormivano.
C’era a disposizione un abito civile. Marwin abban-
donò il campo silenziosamente, si cambiò l’abito
e corse via. Non aveva alcun riparo e non si fermò
finché non ebbe raggiunto la casa dei suoi genitori.
Venne a sapere che non poteva fermarsi là, e non
poteva rimanerci neppure suo fratello. «Nel campo
ci avevano detto: “Se cercate di fuggire, andremo a
L’organizzazione paramilitare LTTE
addestrava orfani per i combattimenti
«Siamo fatti per lui»: Muralu serra il pugno. «Quando tornerà, sarò pron-
to. Combatterò per lui e vendicherò i miei amici che sono morti negli ultimi
mesi». Questo bambino di cinque anni parla di Velupillai Prabhakaran, il capo
dell’organizzazione “Liberation Tigers of Tamil Eelam” (LTTE). Prabhakaran è
morto nel corso di un’offensiva nel maggio 2009. Muralu, però, attende con
ansia il suo ritorno. Era uno degli “orfani di Prabhakaran”.
Insieme a circa 400 altri bambini e ragazzi, Muralu è cresciuto in un orfanotro-
fio della LTTE. Fin da piccolissimi, lui e gli altri bambini sono stati addestrati
militarmente. Con la fine della guerra, il suo mondo, che negli ultimi mesi era
consistito essenzialmente nel campo di battaglia, si è infranto. Oggi Muralu
vive in una cittadina del nord insieme a 25 altri bambini che hanno subito
la sua stessa sorte. Dopo una lunga trattativa con il governo, i Salesiani di
don Bosco hanno preso sotto la loro protezione 400 orfani speciali. Muralu è
stato considerato come un prigioniero di guerra ed è approdato a un campo
di prigionia.
Anche Kala fa parte del novero degli orfani della LTTE. Dipinge continuamente
scorci della guerra civile. «Qui ho dipinto i miei amici e la mia insegnante. E
queste sono bombe. Per questo la casa e la mia insegnante bruciano».
Kala ha visto morire la sua insegnante durante un bombardamento. Lei e le
altre bambine sono corse in
un rifugio sotterraneo. Venti
bambine sono morte, molte
sono rimaste ferite. «Non è
stata l’ultima volta. Eravamo
sempre in zona di combatti-
mento e dovevamo scappare».
Dopo la fine della guerra, nel
maggio 2009, le ragazze si
sono rifugiate in uno dei tanti
campi profughi. Non erano ac-
compagnate da nessuno e non
avevano assistenza. La più
giovane aveva due anni, la più
grande 19. Quando poterono
visitare il campo, le suore di
don Bosco cercarono di sen-
sibilizzare l’amministrazione affinché le bambine non dovessero più rimanere
rinchiuse senza assistenza. Ora Kala e altre 120 orfane vivono presso le suo-
re. Le Figlie di Maria Ausiliatrice hanno organizzato con grande rapidità un
pensionato improvvisato. Due suore di don Bosco tamil dell’India meridionale
hanno assunto la gestione della casa.
Per Kala e Muralu il sud del Paese è ancora territorio nemico. La violenza di
cui sono stati testimoni si è impressa in profondità nella loro mente. Migliaia
di Tamil si trovano ancora nei campi profughi, aspettando di poter tornare nei
loro paesi. I paesi però sono stati distrutti ed è difficile trovare un lavoro. Per
poter dare una speranza alla pace in questo territorio, deve essere garantita
una nuova prospettiva agli abitanti. Così, la violenza non ha più diritto di cit-
tadinanza nello Sri Lanka.
Un allievo di falegnameria del Don Bosco Technical
Centre di Negombo. Il futuro è nelle sue mani.
Aprile 2011
9

1.10 Page 10

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SALESIANI NEL MONDO
LA GUERRA CIVILE NELLO SRI LANKA
Le origini del conflitto tra Cingalesi e Tamil risalgono all’e-
poca coloniale. I Britannici applicarono il motto “divide et
impera” in particolare ai funzionari governativi tamil. Dopo
l’indipendenza, i Cingalesi tentarono di abolire questa su-
premazia dei Tamil. L’inglese e il tamil scomparvero dal no-
vero delle lingue ufficiali. Nel nuovo stato dello Sri Lanka,
i Tamil si sentirono sempre più emarginati e svantaggiati.
Si formarono numerosi gruppi separatisti e si assistette a
un’escalation del conflitto tra i due gruppi etnici. La LTTE
eliminò i gruppi politici avversari e si pose a capo della
protesta. Il 1983 è l’anno di inizio ufficiale della guerra ci-
vile, che ha attraversato diverse fasi particolarmente san-
guinose. Nel marzo 2007 l’esercito dello Sri Lanka avviò
una grande offensiva che nella primavera del 2009 sancì la
fine della LTTE. Nel paese i cattolici costituiscono il 6,1 per
cento della popolazione di venti milioni di abitanti.
Oltre 50 bambini-soldato hanno potuto
cominciare una nuova vita presso il centro
Don Bosco, preparandosi a diventare
imbianchini, falegnami o elettricisti
I salesiani edificano
la pace alla don
Bosco: concreta-
mente, partendo dai
giovani, donando
loro cultura, ideali,
capacità.
prendere i vostri fratelli più piccoli”. La madre lasciò
andare via i figli piangendo. La fuga di Marwin e di
suo fratello proseguì nel sud del loro Paese.
Alla fine, per vie traverse giunsero a Negombo, dai
Salesiani di don Bosco, dove poterono fermarsi e
ricevere un aiuto psicologico. Il centro Don Bosco
è una fra le poche organizzazioni della zona che
aiutano i bambini-soldato ad acquisire una nuova
identità e una nuova vita. «All’inizio non è stato fa-
cile. Gli altri ragazzi del centro parlavano solo cin-
galese e avevamo difficoltà a comunicare. Inoltre,
il pensiero di ciò che avevo dovuto fare durante la
guerra non mi dava pace». Marwin ha cominciato
a frequentare il corso di falegnameria presso il Don
Bosco Technical Centre, mentre il suo fratello mi-
nore frequenta la scuola Don Bosco. All’inizio,
Marwin ha incontrato alcune difficoltà. Il suo ca-
rattere riflessivo e la sua capacità di comprensione
delle persone hanno colpito i Salesiani del centro.
Adesso è impegnato qui per aiutare giovani che,
come lui, hanno vissuto esperienze orribili. «Solo
nell’orfanotrofio vivono 86 ragazzi. Prima di ar-
rivare qui, molti vivevano per la strada e alcuni
hanno sperimentato gli orrori della guerra, come
me. Settecentocinquanta ragazzi e ragazze rice-
vono una formazione da noi».
Negli ultimi dieci anni, oltre 50 bambini-soldato
hanno potuto cominciare una nuova vita presso
il centro Don Bosco. Oggi sono imbianchini,
elettricisti o meccanici. Molti non sono ancora
potuti tornare nella loro terra. Il rischio di essere
scoperti dai combattenti della LTTE era troppo
grande. I fuggitivi come Marwin sarebbero stati
puniti con la morte.
Ora, dopo la conclusione ufficiale della guerra civi-
le, le prospettive sono migliorate. In occasione delle
prossime vacanze,Marwin andrà a trovare sua madre,
che vive ancora nel suo paese di origine, a nord del
Paese. «Non mi sento ancora del tutto tranquillo, ma
voglio vedere mia madre. È già venuta a trovarmi qui
una volta. E un giorno
vorrei tornare a nord,
aprire una piccola fale-
gnameria e provvedere
alla mia famiglia».
(Traduzione di Marisa
Patarino)
10
Aprile 2011

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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SALESIANI NEL MONDO
JAIME GONZÁLEZ QUINTERO
Rinascere in
Colombia Anche in Colombia, don Bosco
lavora con giovani ex soldati,
guerriglieri o paramilitari.
Dal 2001 i salesiani in Colombia hanno in-
cominciato a lavorare con gli adolescenti
smobilitati dai conflitti armati. L’iniziati-
va è partita dalla proposta fatta dal gover-
no colombiano e prontamente accettata
dal Centro de Capacitación Don Bosco
di Cali, di cui era direttore padre Jaime Gonzalez.
I salesiani cominciarono con 30 ragazzi e dopo
dieci anni, la soddisfazione è enorme.
Nel corso di questo interminabile conflitto, i ra-
gazzi, tutti provenienti da situazioni di estrema
povertà, sono stati usati senza scrupoli.
Al Don Bosco, i ragazzi trovarono l’essenziale:
una casa in cui vivere, una scuola per imparare
e magnifici centri sportivi per il tempo libero e
le attività ricreative. E soprattutto educatori che
li facevano sentire amati, riconosciuti, protetti e
incoraggiati.
La loro vita si trasforma: possono sognare, vede-
re gli altri come amici, crescere in modo normale,
progettare il futuro. Quando tornano
nei loro paesi di origine possiedono
gli strumenti per diventare cittadi-
ni responsabili e capaci.
Il momento più dramma-
tico è il ricongiungimen-
to con la famiglia, spesso
dimenticata a causa de-
gli anni di lontananza e
le esigenze dei gruppi
armati che impediscono il contatto con i pro-
pri cari. È un momento con tutta la gamma dei
sentimenti, dal pianto alla gioia: un momento in
ogni caso indimenticabile nel percorso di una fe-
licità nuova.
La soddisfazione più grande dei salesiani è ve-
dere i giovani che hanno preparato con
la formazione tecnica e scolastica,
entrare nel mondo del lavoro e
formarsi una famiglia.
Attualmente lavorano a questa
missione il Centro de Capaci-
tación Don Bosco di Cali; la
Ciudad Don Bosco di Me-
dellin e Juan Bosco Obrero
di Bogotá.
Nel Centro Don
Bosco di Cali, i
giovani possono
sognare, vedere gli
altri come amici,
crescere in modo
normale, progettare
il futuro.
Aprile 2011
11

2.2 Page 12

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L’INVITATO
O. PORI MECOI
Jean Paul
Pony express della carità, ha portato il cuore
di don Bosco in tutto il mondo, dalla procura
missionaria di Bonn, dalla commissione
giustizia ed interni della Comunità Europea,
fino ai più isolati villaggi d’Africa.
Muller
Economo generale
della congregazione
Il Bollettino Salesiano tedesco
asserisce che la porta del
suo ufficio è sempre aperta.
Sarà così anche nella Casa
Generalizia di Roma?
Penso proprio di sì, non soltanto per
dimostrare la mia disponibilità all’a-
scolto, ma anche perché significa che
lavoriamo “in squadra”.
Si aspettava l’incarico di
Economo Generale della
Congregazione?
Veramente no, ero appena stato chia-
mato dalla conferenza episcopale te-
desca a far parte della “Weltkirche”,
l’importante commissione che si oc-
cupa di tutte le emergenze mondiali
della Chiesa e, negli ultimi mesi, ave-
vo accettato anche altri impegni per
sviluppare la procura e le nostre fon-
dazioni di Bonn.
Lei è specializzato in scienze
dell’educazione, come si trova
nel mondo dell’economia?
Ho dovuto inserirmi in questa di-
mensione così importante sia come
direttore del più grande centro di rie-
ducazione e formazione professionale
a Helenenberg, sia come procuratore
a Bonn. Sono realtà veramente di-
verse, ma in tutte le nostre azioni è
presente l’aspetto economico e noi
dobbiamo saper usare gli strumenti
economici nel senso della nostra mis-
sione salesiana.
Che cosa pensa del sistema
economico mondiale?
Concordo con gli esperti dell’ultimo
World Economic Forum di Davos
che parlano delle sfide enormi per l’e-
conomia mondiale. Non esistono più
soluzioni di tipo globale. Ogni spo-
12
Aprile 2011

2.3 Page 13

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JEAN PAUL MULLER
Jean Paul Muller, nato nel 1957 in Lussemburgo, salesiano coadiutore, è specializzato in
Scienze della Salute e in Pedagogia. È salesiano dal 1979. Dal 2003 ha guidato la Procura
Missionaria di Bonn (informazioni in www.donboscomission.de) dove è stato responsabile
e anima di numerose iniziative. Attivo in molti comitati etici, ha avuto importanti incarichi
ispettoriali, è stato Presidente dell’Associazione professionale degli educatori e membro del
Consiglio di Sorveglianza di Pax Bank di Colonia. Dal
2009 presiede il comitato esecutivo di “Don Bosco
jugend Dritte Wel” ed è creatore della Fon-
dazione “Iuventus Mundi”, che
promuove in tutto il mondo i
progetti umanitari dei Sale-
siani.
Alcuni giorni prima
della morte, mia madre
mi confidò: «Non avrei
mai immaginato di poter
avere tanti nipotini…».
stamento di problema provoca subi-
to altre crisi, la stessa cosa se si tratta
di risolvere il fenomeno del debito e
del tasso d’inflazione sul mercato del
cibo, dei carburanti ecc. La soluzione
non si trova nel tagliare, ma nell’equi-
librio tra investire ed economizzare.
Jean Paul e un
piccolo africano:
“Finché nel mondo
ci sarà un bambino
che soffre, noi non
avremo fatto nulla”.
L’economia mondiale è come una
persona che vuol calare di peso. In
conseguenza si impone di mangiare
meno e di fare più sport, ma senza
un po’ di sacrificio non è possibile ri-
trovare il peso giusto, senza sacrificio
non si torna all’ equilibro necessario.
Che cosa dovrebbe cambiare
in questo settore?
Ci vuole un gesto responsabile del-
la politica mondiale. Ma non so se
la politica darà prova del coraggio
necessario. Noi come Chiesa e Con-
gregazione possiamo, nel nostro la-
voro quotidiano, educare persone
più oneste e responsabili, capaci di
combattere la corruzione e l’ingiu-
stizia.
Jean Paul, il cardinal Oscar Rodriguez Maradiaga,
salesiano, e giovani di tutto il mondo: “Come Chie-
sa e Congregazione, dobbiamo educare persone
capaci di cambiare il mondo”.
Aprile 2011
13

2.4 Page 14

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L’INVITATO
Com’è nata la sua vocazione
salesiana?
Attraverso il movimento degli “Scouts
du Luxembourg” ho fatto la conoscen-
za di don Bosco, e grazie al cappellano,
che era prete della Congregazione del
Sacro Cuore, ho conosciuto i salesiani.
Come vede la vocazione di
salesiano laico?
Nell’ambito educativo dell’ispettoria
tedesca il salesiano coadiutore è ben
conosciuto come persona esperta e
vicina soprattutto alla gioventù a ri-
schio. Vedendo il coadiutore, giovani,
genitori, colleghi laici ecc. entrano in
dialogo sulla vita consacrata e sulla
propria relazione con Dio. Una vita
pienamente donata nella missione,
senza segni di separazione totale dal
mondo, come presenta la vocazione
del coadiutore, non è ancora comple-
tamente compresa da tutta la nostra
congregazione. Promuovere la vita
consacrata del salesiano laico è un
compito continuo per noi tutti.
Che cosa sognava il piccolo
Jean Paul?
Durante il mio periodo di studi so-
gnavo di vivere con una mia famiglia,
nel mio piccolo paese. Oggi, mi ac-
corgo di aver cresciuto una mia fa-
miglia, con migliaia di “figli”. Alcuni
giorni prima della morte, mia madre
mi confidò: «Non avrei mai immagi-
nato di poter avere tanti nipotini».
Le dispiace lasciare la Procura
Salesiana di Bonn?
Il momento più difficile è stato pro-
prio lasciare i miei collaboratori, così
buoni. Mi conforta il pensiero che
siamo uniti nella spiritualità salesiana
e che loro continuano la missione così
estesa della procura e delle sue orga-
nizzazioni.
«Oggi, mi accorgo di aver cresciuto una mia
famiglia con migliaia di “figli”».
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Aprile 2011

2.5 Page 15

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Come vede le missioni dei
salesiani nel mondo?
Durante gli ultimi anni ho trova-
to tanti confratelli che hanno dato
tutta la loro vita per i giovani e per
i poveri. Il sacrificio fa parte della
nostra missione. La nostra forza
globale si trova nella pedagogia di
don Bosco, ma purtroppo non si è
ancora abbastanza sviluppata come
pedagogia dei diritti umani. Dob-
biamo anche dare più spazio nelle
missioni ai giovani: la loro parteci-
pazione è la chiave per l’evangeliz-
zazione delle famiglie, dei villaggi e
del mondo intero.
Che cosa ha significato per
lei la campagna “Educazione
senza frontiere”?
La campagna è iniziata a Bonn in
rete con altre sette ONG salesiane.
L’obiettivo principale non è la rac-
colta di fondi, ma la formazione dei
giovani alla mondialità. Il risultato
è stato fantastico, con più di 3300
scuole che hanno partecipato alla
campagna, e il premio conferito del
Presidente della Repubblica tede-
sca a Berlino dimostra l’efficacia di
una scelta che darà certamente i suoi
frutti.
Qual è il ricordo più caro che
si è messo in valigia?
Il volto e il cuore dei nostri Don Bo-
sco Volunteers, i giovani che danno un
anno della loro vita alla missione sale-
siana. La loro capacità di riflessio-
ne, le loro idee e il loro impegno
per migliorare la vita dei poveri,
dei ragazzi abbandonati, degli
uomini colpiti e feriti dalle
sciagure mi fanno felice e
sono un grande stimolo per
la mia vita.
«Il ricordo più caro che ho è il volto
e il cuore dei giovani che ho incon-
trato e dei miei volontari che danno
un anno della loro vita alla missione
salesiana».
Aprile 2011
15

2.6 Page 16

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NOTE DI SPIRITUALITÀ SALESIANA
B.F.
comcoeraggio l coraggio è una virtù apprezzata da tutti. Non
si tratta di un istinto, ma di una qualità della
mente e di una virtù conquistabile, che Tom-
maso d’Aquino chiama “forza della mente”
(fortitudo mentis).
I«Forte» è proprio il secondo consiglio che
Maria Santissima dà a Giovannino Bosco.
Don Lemoyne annota: «Dalla madre egli prese
anche un carattere franco, aperto e coraggioso».
Qualcosa per cui val la pena
combattere
Si racconta la storia di un uomo che muore e
Cva in cielo. Quando incontra l’angelo addetto
Il bollettino medico, alla fine della vita, attesterà
semplicemente che il fisico di don Bosco era let-
teralmente consumato.
Don Bosco agiva sempre a testa alta con tutti.
Anche con la potente marchesa di Barolo, il re,
Cavour e il vescovo. Non vacillò mai, neppure da-
vanti alle molteplici “brutte” sorprese.
Non si preoccupò mai di “che cosa poteva dire la
gente”: «Io vidi un giorno don Bosco lasciare don
Rua e me, che lo accompagnavamo, per aiutare
un giovane muratore a trascinare un carretto so-
vraccarico, davanti a cui si sentiva impotente e lo
dimostrava piangendo, e questo in una delle prin-
cipali vie della città» testimonia don Dalmazzo.
all’accoglienza, gli viene chiesto: «Mostrami le L’audacia proposta ai giovani
tue ferite». Replica: «Ferite? Non ne ho».
Un tempo, la cresima prevedeva ancora uno
E l’angelo gli dice: «Non hai mai pensato che ci fos- schiaffetto in faccia da parte del vescovo. Veniva
se qualcosa per cui valesse la pena di combattere?». presentata come il sacramento del coraggio, che
Il coraggio è soprattutto la virtù del guerriero che prepara a soffrire per la fede. Don Bosco non esi-
osa rischiare di venire ferito in combattimento. Il tò mai a proporre ai suoi giovani esperienze “di
coraggio ci rende decisi: bisogna rischiare. I forti punta” di rara audacia che sorprendono per la loro
conquistano il Regno di Dio, dice Gesù. Come strabiliante modernità.
segno distintivo, il Risorto mostra le sue ferite. L’eccezione, come esperienza del nuovo, del
Quante ferite aveva don Bosco? Non aveva paura sorprendente. Basta con la mediocrità! Don Bo-
di niente quando si trattava del bene dei giovani. sco non aveva paura a chiamare i suoi giovani a
«Sarei disposto per ottener questo a strisciar colla imprese coraggiose. Mandò i migliori dei suoi,
lingua per terra di qui fino a Superga. È uno spro- proprio quelli sui quali contava di più, a curare
posito, ma io sarei disposto a farlo. La mia lingua i malati di colera, nel momento in cui il conta-
andrebbe a pezzi, ma importa niente: io allora avrei gio dilagava e i malati morivano come mosche.
tanti giovani santi». (Memorie Biografiche, VII, 682) Tra essi c’era Giovanni Anfossi. Anfossi aveva 14
Diceva: «Vi assicuro che fino al mio ultimo respi- anni! Propose la vita religiosa ad un gruppo di
ro tutto sarà per voi». Ed è stato così!
adolescenti e la santità a dei ragazzi.
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Aprile 2011

2.7 Page 17

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La regola, come esperienza della perseveranza,
del quotidiano, del limite. L’“Esercizio della Buo-
na Morte” è un capolavoro pedagogico: il modo
più serio di mettere i ragazzi di fronte al senso del
limite. Nell’Oratorio esisteva un “regolamento” e
i ragazzi erano invitati ad autoregolarsi, perché
l’impegno di don Bosco era tutto per aiutarli a
costruirsi una coscienza retta, una spina dorsale
personale. E non solo per il campo spirituale: nel
tempo in cui Marx scrive il Manifesto, don Bosco
scrive il primo contratto di apprendistato.
L’esemplarità, come esperienza di proposte
convincenti, di modelli di riferimento. Don Bo-
sco proponeva continuamente le figure di santi
e di personaggi biblici, ma soprattutto chiedeva
ai suoi ragazzi di trasformarsi in “modello” per i
loro compagni. I soci della Compagnia dell’Im-
macolata curavano particolarmente gli indisci-
plinati, quelli che avevano la parolaccia facile e
menavano le mani, e i nuovi arrivati. Ogni socio
ne prendeva in consegna uno e gli faceva da “an-
gelo custode”.
Un premio dell’altro mondo. Scrisse don
Il sogno, come esperienza di prefigurazione del Alberto Caviglia: “A svolgere le pagine che ripor-
futuro. Don Bosco era una persona molto pratica tano parole e discorsi di don Bosco, si trova che
eppure pilotava di continuo i suoi giovani in un quella del Paradiso fu la parola ch’egli ripeteva
regno fatto di possibilità, di fantasia, di sfrenata in ogni circostanza come argomento animatore
creatività! Lo faceva con il racconto dei suoi so- supremo di ogni attività nel bene e di ogni sop-
gni, ma soprattutto con il dono unico che posse- portazione delle avversità”. Il Paradiso: un premio
deva: la visione, era dotato di “occhi diversi” che ve- dell’altro mondo!
devano chiaramente ciò che ancora non esisteva, Papa Giovanni Paolo II è stato certamente un
intuiva direzioni e mete che si trasformavano in uomo coraggioso, senza paura di niente o di nes-
carica vitale ed entusiasmo.
suno. Ci ha invitato a essere coraggiosi nella Novo
La trasgressione, come coraggio di rom- millennio ineunte. Il ritornello è «prendere il largo».
pere gli schemi, come esperienza del rischio, Don Bosco nel sogno della zattera dice ai giovani:
dell’imprevisto, dell’avventura. Don Bosco non «Saltate su e non abbiate paura!». E quella zattera
esitò mai ad andare controcorrente. Nel diventa come l’Arca di Noè, come la barca dei di-
1849 affidò tutti i soldi della comunità di Valdoc- scepoli di Gesù nella tempesta sul lago.
co a Giuseppe Buzzetti, allora diciassettenne. A «Quando tutti furono sulla barca, continua don
chi gli chiedeva quale divisa avrebbe voluto per Bosco, presi il comando di capitano e dissi ai gio-
i membri della sua Congregazione rispose: «Vo- vani: “Maria è la Stella del mare. Essa non abban-
glio che vadano tutti in maniche di camicia, come dona chi in Lei confida: mettiamoci tutti sotto
i garzoni muratori». Appena poté lanciò i suoi il suo manto; Ella ci scamperà dai pericoli e ci
nell’avventura esaltante delle missioni.
guiderà a porto tranquillo”».
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2.8 Page 18

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FINO AI CONFINI DEL MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
STATI UNITI
Rock Out Youth
Poverty
(ANS – Rosemead)
– Il Movimento
Giovanile Salesiano
degli Stati Uniti Ovest ha organizzato per il
30 gennaio la seconda edizione del “Rock Out
Youth Poverty”, evento musicale e solidale
per sensibilizza-
re i più giovani
all’impegno e a
“scacciare via la
povertà”. I giovani,
durante la giorna-
ta, hanno potuto
divertirsi, ballare
con la musica di alcune rock band cattoliche,
ascoltare testimonianze d’impegno e visitare
gli stand della mostra solidale che accompa-
gnava l’evento. “Non si è mai troppo giovani
per iniziare a fare la differenza nelle vite degli
altri” è stato uno dei temi centrali della gior-
nata. I giovani hanno anche conosciuto vari
programmi di solidarietà e sono stati invitati a
scoprire quanto possono fare individualmente
e all’interno delle proprie comunità per gene-
rare un cambiamento di valori.
SRI LANKA
Un raggio
di speranza
in una terra
sofferente
(ANS – Mannar) – In
una terra che ha molto
sofferto per la guerra
e che ancora porta i
segni dalla violenza, un
raggio di speranza viene
dall’opera salesiana
di Murunkan, dove i
salesiani hanno aperto
un nuovo aspirantato. La
struttura, parte dell’opera
“San Giovanni Bosco”
di Murunkan, Mannar,
ospita già 30 studenti
che verranno formati
dagli educatori salesiani
per diventare le guide
spirituali della gente del
posto. Il nuovo aspiran-
tato si aggiunge ad altri
servizi pastorali che la
comunità salesiana offre
tramite la parrocchia,
una scuola tecnica non
formale, un internato,
un’accademia d’inglese
e un centro di riabilita-
zione per gli ex bambini
soldato.
BRASILE
Il “Sagrado
Coração
de Jesus”
è Basilica
Minore
(ANS – Recife) – Il Santuario “Sagrado
Coração de Jesus” è stato dichiarato Basilica
Minore con decreto della Congregazione per
il Culto Divino. La nuova Basilica, ultimata
nel 1944 dopo ben 32 anni di lavori, è un’im-
ponente chiesa del quartiere di Boa Vista ed
è oggetto della devozione locale. Il Santuario
contiene numerose opere d’arte: le vetrate
con le immagini dei 12 apostoli sono state
realizzate in Francia; il marmo dell’altare
maggiore e di quelli laterali giunse dall’Italia;
le colonne in stile greco rendono la struttura
architettonica inconfondibile. Nella chiesa è
conservata anche una reliquia di don Bosco,
fondatore della Congregazione Salesiana.
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Aprile 2011

2.9 Page 19

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AUSTRIA
31 gennaio:
Giornata
dei bambini
di strada
(ANS – Vienna) – La ONG salesiana
“Jugend Eine Welt” ha festeggiato la
memoria di don Bosco celebrando la
“Giornata dei bambini di strada”. L’ONG
ha elaborato diverse risorse didattiche e
multimediali, testimonianze sulla vita di
alcuni bambini di strada, supporti per il
confronto didattico sul tema, preghiere e
canzoni significative, che sono stati diffusi
nelle scuole e nelle parrocchie per sensibi-
lizzare ad un problema molto diffuso nel
mondo.
Il vescovo ausiliario di Vienna, monsignor
Franz Scharl, e l’Amministratore Delegato
di JEW, dott. Reinhard Heiserer, in segno
di solidarietà con i milioni di bambini che
non possono frequentare le scuole, hanno
trascorso la giornata svolgendo l’attività di
“lustrascarpe”.
VATICANO
Promozione
per Ratisbonne
ISOLE SALOMONE
Al lavoro per
l’educazione
dei giovani
(ANS – Nila) – Una nuova
scuola superiore, la “Saint
John Bosco Senior Secon-
dary School and Training
Centre” di Nila, è stata
inaugurata nel giorno della
festa di don Bosco. Durante
la cerimonia una statua del
santo è stata portata in
processione lungo un ampio
percorso, accompagnata dai
canti e dalle preghiere dei
fedeli. Il nuovo centro edu-
cativo, realizzato dalla “Nila
Mission Station” della dio-
cesi di Gizo, potrà contare su
educatori provenienti per lo
più da scuole salesiane delle
Filippine o del “Don Bosco
Technical Institute Seconda-
ry School and Training Cen-
tre” di Henderson, aperto
nel 2000. Alcuni dei ragazzi
diplomatisi in quest’istituto,
intanto, frequentano i corsi
dell’istituto per insegnanti di
Vanga, diretto dalla diocesi,
e si preparano così ad offrire
un nuovo tipo d’educazione
nel paese.
(ANS – Città del
Vaticano) – Con
decreto del 2 febbraio
2011, la Congregazione per l’Educazione
Cattolica ha eretto il Centro di Studi “Santi
Pietro e Paolo” di Gerusalemme, noto come
Ratisbonne, sezione in lingua inglese della
Facoltà di Teologia dell’Università Pontificia
Salesiana di Roma (UPS). Finora configurato
come “affiliato”, la nuova Sezione dell’UPS
stabilisce un rapporto di più intensa parteci-
pazione e collaborazione con la sede centrale
di Roma e acquista una dignità accademica
di più alto profilo. È un riconoscimento
all’impegno profuso per il passaggio dall’i-
taliano all’inglese: con la selezione e prepa-
razione di docenti dottori in lingua inglese,
con l’impegno a costituire una biblioteca
nella stessa lingua, con l’ampliamento degli
studenti ad altre Congregazioni, soprattutto
i Missionari d’Africa.
Aprile 2011
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2.10 Page 20

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FMA
MARIA ANTONIA CHINELLO
Tenersi stretti i sogni
In Myanmar la bellezza arriva dritta
al cuore. Nel paese delle “mille
pagode”e nella “valle dei fiori”
il clima è dolcissimo e le Figlie
di Maria Ausiliatrice, insieme con
i salesiani, sono missionarie su
strade antiche, in mezzo a nuove
povertà e contrasti sociali.
G li etnologi hanno identifica-
to in Myanmar 111 gruppi
etno-linguistici diversi. In
questo ventaglio di etnie, la
lingua ufficiale è il birmano,
ma la maggior parte della
popolazione parla anche il dialetto
dell’etnia di appartenenza.
L’85% della popolazione birmana
pratica la religione buddista. Ogni
villaggio ha il suo monastero dove i
phongy (i monaci dalle tuniche gialle)
vivono di elemosina e tutti, dai bam-
bini agli anziani, possono scegliere
di dedicare un periodo della vita
nell’austerità e nella preghiera.
Qui, le Figlie di Maria Ausiliatrice,
come i salesiani, hanno resistito con
tenacia e, nonostante il clima sociale
e politico non sempre favorevoli,
sono presenti con opere di avan-
guardia, di alta qualità educativa e di
promozione dei giovani, delle donne,
delle famiglie.
Quello che importa, raccontano, è
stare vicino alla gente. Uno stile di
annuncio e di evangelizzazione che
resiste da oltre 150 anni, da quando
cioè si registrano le prime attività di
missionari cristiani nel paese.
Sono ancora vive nella gente, e forse
negli occhi e nella memoria di tanti,
le terribili immagini del ciclone
Nargis che ha investito le coste del
paese. Quando, nel 2008, la forza
dell’acqua e del vento ha spazzato via
interi paesi, distrutto case e pianta-
gioni, lasciando dietro di sé tristezza,
dolore, incertezza per il futuro: oltre
27mila morti, 41mila dispersi. Una
tragedia che è stata definita “più gra-
ve dello tsunami”. I danni maggiori
nell’area del fiume Irrawaddy. Grazie
alla solidarietà internazionale e
all’intraprendenza locale, qualcosa si
è ricostruito e, anche se permangono
difficoltà e promesse spesso smentite
e dimenticate, si guarda al futuro con
speranza.
«Le nostre comunità in Myanmar
accolgono molte bambine e ragazze
– spiegano le suore –. Abbiamo un
centro per quelle che hanno tra i 15 e
i 25 anni. Provengono dalle parrocchie
e appartengono a gruppi etnici diversi.
A noi, come ai salesiani, stanno a cuo-
re soprattutto i giovani che si trovano
al centro di queste violenze. Molti di
loro sono costretti a lasciare i loro vil-
laggi. Ci rendiamo conto che, ancora
una volta, non si dà priorità all’educa-
zione delle giovani generazioni».
In questa nuova situazione di in-
stabilità politica e sociale, a farne le
spese sono anche le giovani donne.
La maggior parte di loro, che vive so-
20
Aprile 2011

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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prattutto nelle zone più interne, nei
villaggi rurali, subisce abusi e ven-
gono sfruttate. Si fa fatica a pensare
un futuro per loro, ma le suore non
desistono. Con le giovani sognano
in grande: un domani senza paura
e senza violenza. Le giovani sono
molto semplici, contente di ciò che
hanno (e non è molto). La felicità
non risiede nelle cose materiali che
si possiedono, ma nella vita vissuta di
impegno e onestà. Per questo, quando
riescono a riscattarsi e a frequentare la
scuola e i centri di promozione impa-
rano a leggere e a scrivere, apprendo-
no un lavoro più sicuro e dignitoso, si
formano per essere, in un futuro non
lontano, spose e madri.
Il futuro salesiano in Myanmar ha il
volto giovane delle giovani di questa
terra: «Siamo solo 24 fma, troppo
poche per il bene che vogliamo fare,
per poter dare al 100% noi stesse alle
ragazze e alle donne, per sostenere e
incrementare il numero dei cattolici».
Nell’ambito dell’evangelizzazione
della Chiesa da alcuni anni è in
atto un progetto ambizioso. Alcu-
ni giovani cattolici, dai 18 anni in
su, scelgono di essere missionari e
dedicano tre anni della loro vita a
servizio delle diocesi. Sono chiamati
zeteman. Si trasferiscono in luoghi
sperduti, tra le montagne o nelle
foreste, per servire la loro chiesa
locale con il lavoro caritativo nell’e-
ducazione, nell’assistenza sanitaria
e agli anziani. Viaggiano molto per
raggiungere luoghi a volte irraggiun-
gibili e visitano villaggi molto poveri
e spesso senza cibo. Quando vi arri-
vano sostano presso le famiglie che li
accolgono con benevolenza e grande
generosità. Non fanno catechismo,
ma se la gente chiede di Gesù e della
fede, allora ne parlano e condividono
le proprie convinzioni. Si donano, a
volte, a rischio anche della propria
vita. È un servizio molto importante,
che si affianca alla missione pastorale
«Le nostre comunità in Myanmar accolgono molte
bambine e ragazze. Abbiamo un centro per quelle
che hanno tra i 15 e i 25 anni. Provengono dalle
parrocchie e appartengono a gruppi etnici diversi»
di sacerdoti e religiosi che, purtroppo,
non sempre riescono a raggiungere
tutte le zone.
Questi giovani, il loro servizio, la loro
generosità, il loro mettersi accanto ai
sacerdoti, ai religiosi e alle religiose
danno molta speranza per il futuro
della Chiesa cattolica, che è cono-
sciuta per le sue opere di carità, di
vicinanza a tutti, soprattutto ai poveri,
senza alcuna distinzione. Lo si è visto
per le calamità naturali che hanno
colpito il paese. Salesiani e Figlie di
Maria Ausiliatrice vogliono continua-
re a lavorare su questi punti di forza
e su questo mandato: gioia, povertà e
servizio ai poveri. «Siamo collabora-
trici della grazia di Dio, perché cre-
diamo che è Lui che agisce attraverso
la nostra testimonianza e la nostra
donazione ai giovani e alla gente».
Qui, le Figlie di Maria Ausiliatrice, come i sale-
siani, hanno resistito con tenacia e, nonostante
il clima sociale e politico non sempre favorevoli,
sono presenti con opere di avanguardia, di alta
qualità educativa e di promozione dei giovani,
delle donne, delle famiglie.
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3.2 Page 22

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GIOVANI
RODENDO SOLER SDB
La Pasqua giovane
con i salesiani spagnoli
«Vogliamo trasmettervi gioia e coraggio per
raccontare con le nostre vite che Gesù è
l’unico Signore e che Lui è la salvezza ed il
senso della nostra storia e del nostro mondo»
L e forme e gli stili delle celebrazioni della Pa-
squa del Signore negli ambienti giovanili
sono molto variegati e ricchi. In alcune
ispettorie salesiane queste celebrazioni ra-
dunano adolescenti e giovani in diversi
luoghi e per fasce di età. Altre celebrazioni
sono locali, vincolate alla comunità salesiana; altre
sono rurali nelle parrocchie di paesi con popola-
zione invecchiata o poco curate pastoralmente.
Ci sono celebrazioni della Pasqua che si realiz-
zano percorrendo alcuni tratti del Cammino di
Santiago. In questo modo, centinaia di giovani
celebrano ogni anno la Pasqua del Signore, il Mi-
stero della sua morte e risurrezione, impegnando-
si nella convocazione, nella preparazione e nell’a-
nimazione di questi incontri.
«Abbiamo celebrato la Pasqua di Gesù e abbiamo
scoperto la forza del suo amore, capace di con-
segnare la propria vita fino alla morte», diceva
Txetxu Villota alla conclusione della celebrazione
pasquale. Sottolineava specialmente il “giorno di
deserto” vissuto il sabato santo; “La solitudine ci
offre un tempo per pensare, per pregare a partire
dalla nostra vita con le sue domande, la sua routi-
ne e i suoi vuoti... Alla sera ritorniamo alla casa di
Somalo, la nostra Emmaus, e condividiamo quel
cammino che c’è stato nella giornata...”.
E concludeva la sua testimonianza con queste
parole: “Da qui, vogliamo trasmettervi gioia e
coraggio per raccontare con le nostre vite che
Gesù è l’unico Signore e che Lui è la salvezza ed
il senso della nostra storia e del nostro mondo”.
Fotografia Shutterstock
Come scriveva Miguel Àngel M. Nuno, in riferi-
mento alla Pasqua celebrata ad Antequera, “quel-
lo che abbiamo vissuto in questi giorni non è
stato semplicemente un ambiente di amicizia, né
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solo il calore dell’empatia giovanile. È soprattutto
la certezza che Gesù è vivo e dona senso alla vita
di ciascuno di questi giovani. Giovani che hanno
scoperto in questi giorni che quello che dà valore
all’esistenza non è quello che ho, ma di chi sono”.
Realmente la celebrazione della Pasqua
con i giovani rappresenta una profonda
esperienza religiosa e pastorale, molto
ricca e feconda.
Ma oltre a queste celebrazioni giovanili della Pa-
squa, ce ne sono altre in mezzo alla città, sono le
“Pasque urbane” o “Pasque aperte”, che vivono e
celebrano la Settimana Santa nelle comunità par-
rocchiali o educative, e offrono dei momenti spe-
cifici di incontro, catechesi e preghiera personale
e comunitaria agli adolescenti e ai giovani. Come
sottolinea Fernando Miranda, “così continuiamo
a tenere collegati alla pastorale salesiana in que-
ste celebrazioni i vecchi animatori, le famiglie e
i giovani adulti educati nei nostri ambienti e sui
quali possiamo contare nelle parrocchie o comu-
nità educative in questo momento centrale della
vita cristiana”.
E non manca neanche la celebrazione della Pa-
squa facendo il cammino di Santiago, come han-
no fatto 35 pellegrini del Centro Giovanile Ci-
sneros di Alcalà de Henares, percorrendo durante
sei giorni i 115 kilometri tra Sarria e Santiago de
Compostela. Il venerdì entrarono a Santiago e, in
una cappella improvvisata nell’ albergo del “Mon-
te del Gozo” celebrarono la Cena del Signore e,
inoltre, i diversi uffici del Triduo Sacro.
Realmente la celebrazione della Pasqua con i gio-
vani rappresenta una profonda esperienza religiosa
e pastorale, molto ricca e feconda. Si può afferma-
re, senza dubbio, come dice Joan Marqués in riferi-
mento alla Pasqua a Castelnou de Bages: “Questa
Pasqua non è stata solo un incontro, è stata per noi
un vivere in (e con) Dio continuamente”.
Riconquistare i
giovani al messag-
gio esplosivo della
Risurrezione è il
grande obiettivo
dei salesiani. La
prima chiesetta
di don Bosco (la
cappella Pinardi)
fu consacrata il
giorno di Pasqua
del 1846.
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GRANDI SALESIANI
PIERLUIGI CAMERONI
DoBn Craarlgo a
portò in Cina
il cuore di don Bosco
Un’amicizia tutta
salesiana
Pochi giorni prima della sua morte
(3 gennaio 1971), parlando ai novizi
di Canlubang (Filippine), il cuore di
don Carlo fa un gran balzo indietro
di nostalgia. Si rivede ragaz-
zetto a Sondrio, nell’Isti-
tuto Salesiano: era stato incaricato di
prendersi cura della cameretta di don
Rua, primo successore di don Bosco,
di passaggio in quella città. Gli si era
presentato felice e don Rua gli aveva
preso le mani e, tenendole strette nelle
sue, gli aveva sussurrato, con un tim-
bro di voce indimenticabile: «Carlo,
Carlo, noi staremo sempre insieme».
Quello sguardo gli aveva perforato
l’anima come un
raggio di luce.
Tre grandi della
Congregazione
salesiana: il Rettor
Maggiore don
Renato Ziggiotti
tra don Braga (a
sinistra nella foto)
e don Cimatti.
Dall’Italia alla Cina
Nato a Tirano, in provincia di Son-
drio, il 23 maggio 1889, rimane orfa-
no di madre fin da fanciullo. Gli piace
il clima di famiglia sperimentato nella
casa salesiana di Sondrio; si affezio-
na a don Bosco e alla sua missione e
decide di stare per sempre con lui. A
diciassette anni fa i voti religiosi e a
Torino compie i suoi studi di filo-
sofia nel Liceo di Valsalice, dove ha
come insegnanti don Cimatti, futuro
apostolo del Giappone, e don Cojazzi,
conosciutissimo apostolo dei giovani.
Sull’Italia intanto si abbatte la guerra;
il giovane Carlo Braga viene raggiun-
to dalla cartolina precetto e inviato al
fronte: tre anni di vita dura e rischiosa
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in trincea. Alla fine della guerra viene
colpito dall’epidemia della spagnola:
fa voto a Maria Ausiliatrice che se si
salva sarebbe partito missionario per
la Cina. Raggiunge a Shiu Chow, nel
sud della Cina, il vescovo salesiano
e primo martire, monsignor Luigi
Versiglia, che intuisce subito le doti
educative di don Braga e gli affida la
direzione della «Don Bosco Middle
School». Don Braga vi esplica tutte
le sue attività pedagogiche, musicali,
educative, ricreative. Ne fa un vivaio
di vocazioni, un terreno di collaudo
per il lancio dei missionari nel fronte
fluido del Regno di Dio, un luogo di
rodaggio per i catechisti cinesi nei
villaggi pagani.
Ispettore salesiano
Don Braga, all’età di 40 anni è chia-
mato a sostituire l’ispettore salesiano
don Canazei, eletto vescovo. Il nuovo
Ispettore letteralmente esplode di
slancio missionario: conosce la lingua
e i costumi cinesi, intreccia una
fitta rete di amicizie e di conoscenze,
utilizza le belle doti che gli ha dato il
Signore, ama i giovani come pochis-
simi altri, è imbevuto fino all’osso di
ottimismo e di spirito salesiano. Le
missioni salesiane della Cina sotto la
sua direzione conoscono un’improvvi-
sa epoca d’oro e una fioritura rigoglio-
sa: l’orfanotrofio e le scuole a Macao, a
Hong Kong sorgono cinque grandi e
modernissime scuole con una popola-
zione scolastica di circa 10.000 allievi.
Si spinge coraggiosamente nel nord
della Cina e impianta l’opera sale-
siana nella capitale Pechino: l’opera
è per gli orfani, per i ragazzi poveri
e abbandonati che in quegli anni
vagano numerosissimi nelle strade o
muoiono di fame. A Pechino si rea-
lizza il sogno profetico di don Bosco
che molti anni prima aveva visto i
Salesiani insediarsi in quella vastissi-
ma capitale.
Una lampada che arde
e che splende
Era ormai ispettore da vent’anni,
quando si abbatte sulla Cina la tre-
menda bufera comunista. Don Braga si
trova nell’occhio del ciclone. Il comuni-
smo spazza via tutto. Su suggerimento
del Rettor Maggiore don Pietro Rical-
done, don Braga dirotta il suo lavoro
verso il sud-est asiatico e in tre anni dà
inizio all’opera salesiana nelle Filippine.
Incoraggia la bontà e l’allegria dovun-
que va. Conserva una santa amicizia
per tutte le famiglie dei confratelli, dei
benefattori e degli alunni. Durante
tutto il suo lungo apostolato in cui
dà vita a così tante istituzioni rimane
sempre povero, ma ha il dono divino
di circondarsi di amici e benefat-
tori sia in Cina sia nelle Filippine,
che condividono volontariamente
e generosamente ciò che Dio aveva
Don Braga in mezzo ai bambini dell’orfanotrofio di
Macao: conosce perfettamente la lingua ed è imbe-
vuto fino all’osso di ottimismo e spirito salesiano.
loro donato. Incanta tutti con la sua
generosità e con la sua gratitudine,
dettate dal suo grande cuore. Alla base
di tutte queste straordinarie qualità
ed imprese da lui compiute c’è un lato
sconosciuto, ma che indubbiamente
costituisce la forza che lo rende il
buon Padre che tutti conoscono: la
sua intima unione con Dio, il suo
amore per Gesù, una volontà segreta
di donarsi al Signore come olocausto.
Don Braga ha 63 anni e sente che
è tempo di tirare i remi in barca. La
sua lampada, rimasta sempre accesa
in mezzo alle tempeste, dà una luce
sempre più spirituale. Come semplice
confratello si dedica a un’opera più
fine: quella di confessore dei giova-
ni e di direttore spirituale di anime
consacrate. Aveva partecipato a sette
Capitoli Generali della Società Sale-
siana, portandovi una nota tutta sua
di entusiasmo, di gioia e di ottimismo;
conosceva la Congregazione come i
vecchi salesiani della scuola di don
Bosco; era stato un pioniere del Regno
di Dio. Poteva quindi dire sorridendo
ai giovani novizi filippini che pensava
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GRANDI SALESIANI
Don Carlo Braga sorridente in mezzo alla sua
banda di ragazzini: dispiegò sempre tutte le sue
doti pedagogiche, musicali, creative.
al Paradiso come se già lo possedesse.
Il Signore volle che la sua morte la-
sciasse la stessa impressione che egli
aveva sempre trasmesso in vita: sem-
pre allegro, pronto a tutto, osservante
nei suoi doveri religiosi e sempre pun-
tuale dovunque lo chiamasse il dove-
re. E così, alle 5,30 del mattino del 3
gennaio 1971, solennità dell’Epifania
in cui si commemora il Missionario
di tutte le nazioni, questo missionario
dinamico rende la sua anima a Dio.
Un testimone d’eccezione
“Noi eravamo lì, in piedi, e lui era
seduto. Mia madre si sedette davan-
ti a lui. Io restai in piedi. Mia madre
iniziò a parlare. Invece di perorare la
sua causa e vendere al meglio la sua
merce, iniziò a mettere in guardia il
suo cliente: «Guardi, padre, questo ra-
gazzino non è più tanto bravo. Forse
non è adatto per essere accettato qui.
Io non vorrei che lei fosse ingannato.
Ah, sapesse quanto mi ha fatto dispe-
rare in quest’ultimo anno! Non sape-
vo proprio cosa fare. E se farà dispera-
re anche voi qui, me lo dica pure, che
io verrò a riprenderlo subito».
Don Braga diceva che di cinese sapeva
tre dialetti: ma li parlava tutti e tre in-
sieme. Certamente il shanghaiese non
era il suo forte. Invece di rispondere mi
guardava negli occhi. Io pure lo guar-
davo, ma a testa bassa.
Mi sentivo un imputato,
anziché difeso dal mio
avvocato. Ma il giudice
era dalla mia parte. Con
lo sguardo mi ha profon-
damente capito subito e
meglio di tutte le spiega-
zioni di mia madre. Egli
stesso, scrivendomi pa-
Un momento storico e commo-
vente: don Braga bacia le mani
appena consacrate del futuro
cardinale Joseph Zen, uno dei
suoi “ragazzini”.
Di lui è avviata la causa
di beatificazione, nella
convinzione che la Famiglia
Salesiana e la Chiesa che
è in Cina e nelle Filippine
riconoscono in don Carlo
Braga un esempio di vita
missionaria da imitare
e da seguire; un modello
di vita evangelica vissuta
per il bene dei fratelli
e di santità, segno della
paterna bontà di Dio.
recchi anni più tardi, si applicava le pa-
role del vangelo: «Intuitus, dilexit eum»
(«Fissatolo, lo amò»). E da quel giorno
non ebbi più dubbi sulla mia vocazio-
ne”. Così il futuro cardinale Joseph Zen,
racconta il suo incontro con don Braga e
l’inizio della sua storia vocazionale.
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MESSAGGIO A UN GIOVANE
CARLO TERRANEO - carloterraneo@libero.it
...tu Tra il e il no
ci sei di mezzo
Premetto: ho una strana
percezione nell’avventu-
rarmi a parlare del sì e del
no come espressione della
nostra identità. Il sì e il no
sono i battiti di uno stesso
cuore: il coraggio di dire no per la
gioia di poter dire sì. Guardandomi
attorno e vedendo quello che succede,
ho la sensazione che il sì e il no siano
stati costretti ad emigrare. Sono stati
esiliati dall’anima nostra, dalla nostra
sensibilità di fronte all’ingiustizia, alla
corruzione. Al loro posto la sfronta-
tezza, l’entrata in campo di ogni altra
realtà che non sia l’educazione, il bon
ton, il pudore, la decenza, il rispetto.
Il sì e il no devono tornare a casa. Sì
all’amore, alla famiglia, ai figli. Sì al
futuro. Sì all’impegno, al dono di sé,
alla vita.
Sìiiiiiiiiiiiiiiii.
Ho tanta voglia di vivereeeeeeeeeee.
No alla violenza, al malaffare, alla
menzogna. No alle carte truccate,
al gossip.
Noooooooooo.
Non voglio vivere
in qualche
modo. Voglio
amareeeeeeeeeee.
Dire no è liberatorio. Dire sì è creativo.
Il sì e il no sono il filo conduttore
della nostra vita e della nostra identi-
tà. Sono la messa a terra per scaricare
l’alta tensione delle nostre emozioni.
Il sì e il no non vanno messi uno
contro l’altro, il voltaggio emotivo è
molto alto e a rischio, se non inter-
viene il no e il sì.
Parliamo del NO
È complicato dirlo, ma va detto. Una
palla di neve diventa una valanga se
la lasci scendere da un alto pendio. A
fine corsa, fermarla è impossibile.
È antipatico dire no? Ci facciamo
aiutare da altre parole che fanno da
contrafforte e ti aiutano per la rin-
corsa: assolutamente, no; nel modo
più assoluto, no. È categorico, no.
Se il sì ti rende felice, il no ti permet-
te di esserlo. Se dici sì all’amore devi
dire no a tutto quello
che viaggia in senso
contrario. Il sì è sempre preceduto da
qualche no.
Per dire sì – mi confidava un giovane
prima di entrare in Seminario – ho
dovuto dire in una sola volta tre no.
No ai soldi. No al sesso. No al suc-
cesso.
Non puoi conquistare una vetta se
non riesci a negarti la pigrizia, l’ozio,
il quieto vivere.
E il SÌ?
Il sì ha confini precisi, articolati,
chiari. Non puoi scantonare. Fa
parte di un lessico ideale, luminoso;
a prima vista indica forza, carattere.
Appartiene ai progetti. Benvenuto
quando bussa alla nostra porta. Ben-
tornato quando ad accoglierti trovi
il no che ti ha permesso di entrare
senza incontrare ostacoli di sorta.
Il sì e il no sono il testa e croce di
una stessa moneta: il primo è succe-
daneo al secondo.
Il no è il sasso nella fionda per abbat-
tere il gigante a te ostile.
Il sì è la freccia per andare a bersaglio
e fare centro.
Ricordati che tra il sì e
il no ci vai di mezzo TU.
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3.8 Page 28

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I NOSTRI VOLONTARI
CHIARA D’ONOFRIO
Diario da Haiti
Macerie, rovine, distruzione, miseria.
Colera, armi, politica instabile, fame. Ecco le prime
parole e immagini che si associano ad Haiti quando
Sin dal mio arrivo in questa terra
straniera ho sentito di essere a lakay
a ritmi alterni e amplificati si decide di parlarne.
mwen, che in creolo significa “a casa
mia”. Grazie al VIS e ai Salesiani lo-
cali ho avuto la possibilità di entrare
È tutto vero, senza esagerazioni.
Milioni di persone vivono
ancora sotto le tende dopo
aver perso in brevissimi istan-
ti parenti, amici, beni e un
tetto. La povertà è dilagante,
alla realtà. Haiti non è solo questo.
Provo allora a raccontarne un’altra:
quella che io porto nel cuore e negli
occhi, tra le mani e sotto i piedi da
otto mesi; e che mi dà la forza e la vo-
glia, ogni mattina, di alzarmi e restare,
a contatto diretto con più di 15.000
sfollati accampati a seguito del
terremoto in prossimità delle strut-
ture salesiane di Thorland-Carrefour
e di Cité Soleil, anch’esse crollate o
danneggiate. Insieme ai sinistrati ab-
palpabile e strutturalmente radicata per vivere e lottare accanto a migliaia
da tempi antecedenti al sisma. Eppure di persone stanche ma sempre colme «Sin dal mio arrivo in questa terra ho sentito di
questa descrizione non rende giustizia di vita, gioia, fede, speranza e amore. essere lakay mwen, che significa a casa mia».
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3.9 Page 29

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biamo lavorato e discusso alla ricerca
di soluzioni differenti e contingenti.
Siamo cresciuti nella gestione dei
campi: distribuzione di cibo e di
acqua, mantenimento dell’igiene,
attività educative e ricreative. A oggi
2095 famiglie sono tornate nei luo-
ghi di origine grazie al programma
che abbiamo offerto in collaborazio-
ne con i Salesiani. I più vulnerabili
continuano tuttora a beneficiare di
attività di accompagnamento diffe-
renti: supporto scolastico attraverso il
pagamento di un anno di tasse sco-
lastiche, supporto sia medico sia in
viveri e beni di prima necessità, come
anche attraverso l’avvio di attività
generatrici di reddito.
Come si svolgono le mie gior-
nate in questa terra?
È difficile descriverle, dato che ognuna
di esse è unica e ricca della sua buona
dose di sorprese, imprevisti, gioie,
difficoltà, soddisfazioni, pugni allo
stomaco, stupori e sorrisi. Ho imparato
a giocare nel preparare il programma
del dì e nel sorprendermi ogni sera
scoprendo quanto l’effettivo svolgersi
dei fatti sia stato diverso da quello.
Ho smesso di innervosirmi per non
riuscire a “produrre” ciò che avevo
ingenuamente previsto di realizzare.
Haiti è maestra di Vita, inse-
gna che l’importante è Vivere,
condividere ed essere insieme
nel bene, nella compassione e
nell’amore.
Gli imprevisti sono continui: mo-
menti di tensione civile e politica per
le strade, piogge che impediscono gli
spostamenti, epidemie improvvise,
cicloni che sconvolgono una tran-
quillità apparentemente riconquistata
a ogni risveglio. È bello però testi-
moniare che la più grande certezza
di questo mio tempo qui è stato
l’impegno di decine di giovani che
quotidianamente lavorano insieme
alla ricerca della soluzione necessaria
per rispondere alle tacite richieste
dei più bisognosi e delle continue
emergenze. È grazie alla loro opera-
tività che i bambini possono recarsi
a scuola sorridenti in uniforme e con
i materiali scolastici necessari, che le
famiglie ricevono ancora viveri e che
i ragazzi possono godere di un’alter-
nativa di vita migliore di quella offer-
ta dalla strada. Ogni pomeriggio nel
campo dell’Athletique di Drouillard,
quartiere di Cité Soleil, il Comune
“plus rouge” di Port au Prince dove
povertà, microcriminalità e banditi-
smo fanno da padroni e impongono
i loro equilibri, centinaia di giovani
usufruiscono dei servizi offerti dai
Salesiani, con il supporto del VIS, di
attività sportive e culturali (tra cui
teatro, danza, arte floreale, musica
e canto). Insieme si canta, si ride, si
vive la nostra quotidianità consa-
pevoli dell’importanza che essa ha.
Insieme si condivide con i bambini e
con gli adulti il fatto che il domani è
un bersaglio fissato per puntare verso
l’alto e per riconoscere che il cambia-
mento impone fatica, perseveranza e
impegno. Che esso non deve essere
mai percepito come una condanna
o una catena, come qualcosa che
trafigge e rende schiavi. Non c’è
tempo da perdere nel soffrire per il
domani quando si deve far fronte al
dolore dell’oggi. C’è tempo invece per
investire oggi tutto di sé per l’affer-
mazione della propria dignità e per il
rispetto dei diritti che a ogni essere
umano devono essere garantiti.
Alla fine di questa giornata ringrazio
ancora una volta Haiti per i suoi colo-
ri (ben più accesi del grigio uniforme
delle macerie), per la sua gente mite,
aperta, disponibile, rivolta verso l’altro
e verso il Cielo. E perché mi permette
di essere ancora sua compagna.
«Sono felice di restare e lottare accanto a migliaia
di persone stanche ma sempre colme di vita, gioia,
fede, speranza, amore».
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IL LIBRO
MARCO POZZA
Gesù
portava un treno del quale s’ignora la provenienza e,forse,
la destinazione ultima.
Oggi non è facile dire Dio in mezzo ad un pan-
theon di idoli dove sembra esserci posto per tutti
e per nessuno. Ma ritrovare ogni primo mattino
il
piercing? unostilenuovodievangelizzazione,rendesenon
altro ragione alla parola “credente”: un participio
presente che richiama il quotidiano allenamen-
to di rimettere in piedi delle ragioni che rendano
credibile la nostra fede, il nostro parlare di Lui, la
nostra testimonianza. La lingua italiana assicura
che “credente” è tutt’altra cosa da “creduto”.
Nessuno è così sconsiderato da cacciare
platealmente i ragazzi, ma nessuno è così
sprovveduto da capire che dove non arriva
l’allontanamento fisico arriva l’allontanamento
causato dal linguaggio. L’incomprensione del
linguaggio è una delle prime firmatarie
dell’epigrafe di un certo tipo di cristianesimo.
T ra cocktail, graffiti e canto
gregoriano ha posto oggi
la sua dimora il popolo
della giovinezza; Dio non
è scomparso dai loro cuo-
ri ma la sua presenza s’è
offuscata, fino a non destare più la
curiosità di mettersi sulle Sue trac-
ce. Non è un’apostasia che metta il
cuore in pace come dopo un tradi-
mento rielaborato, ma una nostal-
gica malinconia che infastidisce la
millenaria sicurezza di chi sta den-
tro le Chiese, correndo il rischio
di vivere su un’ambiguità: quella
di essere cristiani senza diventar-
lo, praticanti senza un cammino di
fede, quasi turisti distratti saliti su
Una specie di litania di sottofondo
In queste moderne cattedrali, le vecchie menti
invocano a squarciagola la tradizione intonando
Chiesa di Dio, popolo in festa. Quelle giovani spin-
gono per l’evoluzione e la rivoluzione innalzando
un alfabeto tutto nuovo e straripante. Non si tratta
di capire cos’è meglio o cos’è peggio, ma di capire
chi comanda l’uomo di fede oggi. E, soprattutto,
se aveva davvero torto lo scrittore francese Berna-
nos quando, nel suo Diario di un curato di campa-
gna, lanciava il suo affondo contro una “forma di
catechismo decomposto”. Mentre chi abita dentro
le chiese discute di Cielo e di Terra usando alfa-
beti e immagini incomprensibili, in chi bivacca sui
gradini s’accende una perplessità: “C’è ancora po-
sto per la nostra scanzonata giovinezza?”.
Nessuno è così querelabile da cacciare plateal-
mente i ragazzi, ma nessuno è così sprovveduto
da capire che dove non arriva l’allontanamento fi-
sico arriva l’allontanamento causato dal linguag-
gio. Soprattutto dalle parole e dalle immagini che
una certa frangia di Chiesa s’ostina a perpetrare
nonostante il buon senso dica che l’incompren-
sione del linguaggio è una delle prime firmatarie
dell’epigrafe di un certo tipo di cristianesimo.
Una certa omiletica porta a trasformare la chiesa
in un caposaldo del tradizionalismo, una specie di
club – come quello degli alpini, dei reduci di Russia
o delle vedove di guerra – appagato di annoverare
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Aprile 2011

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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DIRE DIO tra cocktail, graffiti e canto gregoriano
tra gli iscritti coloro che accettano di parlare un
linguaggio in codice, ma rattristato per non veder
esaurita la sua pretesa di universalità. Quando in-
vece ogni perché sta legato al sentire. Ogni perché,
potremmo dire, è estetico. Ma se la parola non
raggiunge il cuore e non inizia a riscaldarlo, la sua
forza non tocca quella zona dell’immaginazione
che, invece, avrebbe proprio lo scopo di accende-
re. Come successe su quella strada che conduceva
ad Emmaus, dove uno Sconosciuto conquistò due
moderni esistenzialisti accendendo il cuore e al-
largando la loro immaginazione per ricolorare la
loro esistenza (Lc 24).
Le parole e le immagini
Che senso ha oggi per un adolescente figlio di Fa-
cebook e di una virtualità da Second life, l’immagine
del Sacro Cuore appesa nelle stalle di montagna?
O il velo nero sul capo delle anziane catechiste in
parrocchia? Adamo ed Eva, la mela, l’arca e Noè.
Il ramo d’ulivo, il fuoco della Pentecoste, l’estrema
unzione? Come parlare oggi di vino e olio a ra-
gazze che già indossano una taglia 40 e si nutrono
solo di cereali ipocalorici per non diventare kellog’s
e passano la giornata a spalmarsi creme anticellu-
lite alla “veneranda” età di vent’anni? Come usare
il termine umiltà, mansuetudine e castità evange-
lica quando le ways of life dettate dalla pubblicità
parlano di femme fatale, sex-appeal, fashion, bad
girl/boy? Per non parlare dell’immagine di Gesù.
Era davvero come lo raccontano oggi a catechi-
smo: tranquillo, pacifico, buono, dolce, remissivo,
con il collo inclinato sulla spalla destra, gli oc-
chi celesti languidamente rivolti verso il cielo? O
quell’immagine andava bene al tempo dell’allegra
famigliola della Mulino Bianco oggi spodestata
dalle puntate di Sex and the City?
Nell’odierno – di cui il web è uno dei quartieri più
densamente popolati – l’universo simbolico cristia-
no ha smarrito la sua capacità di presa e sta perden-
do la sfida d’essere capace di trafiggere l’anima fino
a rendere inquieti e travagliati. Ma se le immagini
di Marco Pozza – isg edizioni
Questo è un libro fatto di tenerezza, ma soprattutto scritto a cuore aper-
to, utilissimo per capire il linguaggio dei giovani, per decodificarlo senza
paura.
I giovani, li ami e poi li capisci, perché –
come amava dire san Giovanni Bosco –
“l’educazione è cosa del cuore” così che
“amando quello che i giovani amano, essi
ameranno quello che noi amiamo”. (dalla
Presentazione di monsignor GianCarlo
M. Bregantini)
Marco Pozza (Calvene, 1979). Sacer-
dote e scrittore creativo, dottorando
alla Pontificia Università Gregoriana.
Appassionato investigatore del mondo
giovanile, ha ideato e cura il sito www.
sullastradadiemmaus.it, laboratorio di
provocazione della fede giovane.
non riescono ad agganciare il bi-
sogno di sorpresa e saziarlo con la loro capacità di
apertura, l’immaginazione rimane appisolata. Fino
a far diventare la fede un discorso folkloristico.
Il lupo del bosco
In principio c’erano i lupi e la scommessa era
quella d’essere agnelli in mezzo loro – «Vi mando
come agnelli in mezzo ai lupi» (Lc 10,3) – per far
risuonare tra gli ululati del bosco la Buona No-
vella del Regno.
La missione, però, non cambia: «andate e predi-
cate» (Mc 9,15).
Perché la sfida dell’evangelizzazione rimane quella
delle origini: toccare, modellare e trasformare la real-
tà alla luce dell’incontro con il Risorto. Quella che
muta è la fisionomia dei destinatari che chiamano
a esplorare zone nuove di missione. Forse un gior-
no ci accorgeremo che i vecchi bans come “Banana
Cocco Baobab” o “Quattro pirati” o “L’anaconda”
hanno insegnato la grammatica ai tempi dei lupi,
avvicinando a Cristo migliaia di anime.
Il campanile divenuto muto (CEI 2004) ricorda
che il cristianesimo è Bontà e Verità. Ma anche e
soprattutto Bellezza: un alfabeto dietro il quale si
nascondono parole giovani, calde e convincenti.
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4.2 Page 32

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COME DON BOSCO
BRUNO FERRERO
Un patrimonio di
competenze interiori
Il rischio di ogni educatore è di
non avere degli obiettivi concreti
e chiaramente definiti. La conse-
guenza è un azzardato ventaglio
di interventi a vanvera.
Un buon corredo per la vita invece
deve essere formato da alcune precise
“competenze” interiori, da promuove-
re e coltivare con opportuni progetti
educativi fin dagli anni zero.
Autoconsapevolezza. Una delle
chiavi del successo è la capacità di
analizzare se stessi. I ragazzi devono
sviluppare modi per capirsi, valutarsi
e accettarsi. Questo senso dell’io è
della massima importanza, essenziale
per ogni altro aspetto del proprio
benessere mentale. Tutti i ragazzi
hanno bisogno di qualcuno che
regga loro lo specchio. Devono essere
aiutati con pazienza, ma concreta
spietatezza, a conoscere se stessi, il
proprio carattere, i propri bisogni
e desideri, i propri punti deboli e i
propri punti forti. È la condizione
indispensabile per una comunicazio-
ne efficace, per instaurare relazioni
interpersonali, per sviluppare empatia
nei confronti degli altri. Il rischio è
quello di «avere un veicolo senza gui-
datore». Più tardi sarà incredibilmen-
te arduo riparare un precario senso di
sé formatosi nell’adolescenza.
Gestione delle emozioni. La
sicurezza di sé permette di conserva-
re la propria stabilità emotiva senza
bisogno dell’appoggio altrui. Le
emozioni hanno un’intensità molto
varia, da lieve a intensissima. Ci ac-
compagnano costantemente: non sia-
mo mai privi di sentimenti! Esistono
quattro emozioni fondamentali: la
rabbia, la paura, la tristezza e la gioia.
Tutte le altre sono combinazioni di
queste. Crescendo, i ragazzi devo-
no imparare ad armonizzare la vita
emotiva e le sue manifestazioni con
il contesto sociale, trovando maniere
costruttive per sfogare le energie che
i sentimenti producono.
Gestione dello stress. Per chi
cresce, l’ansia è sempre dietro l’ango-
lo, accentuata spesso da genitori che
“sognano la perfezione”. I ragazzi de-
vono essere capaci di saper conoscere
e controllare le fonti di tensione. In
questo campo i genitori contano
molto. Niente rende un bambino più
ansioso e depresso che una madre
Da quando l’Organizzazione
Mondiale della Sanità li
ha presentati, i Life Skills
sono diventati celebri.
È un modo concreto per
rispondere alla domanda:
quali sono le qualità
che bisogna educare
per crescere un uomo
realizzato e felice?
che continua a dirgli che potrebbe far
meglio, che deve mettercela tutta. I
bambini possono affrontare qualsiasi
cosa, purché sappiano come compor-
tarsi.
Senso critico. Capacità di ana-
lizzare e valutare le situazioni, saper
analizzare informazioni ed esperien-
ze in modo oggettivo, valutandone
vantaggi e svantaggi, al fine di arri-
vare a una decisione più consapevole,
riconoscendo e valutando i diversi
fattori che influenzano gli atteggia-
menti e il comportamento, quali ad
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Aprile 2011

4.3 Page 33

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esempio le pressioni dei coetanei e
l’influenza dei mass media.
Capacità di prendere decisio-
ni. Nessuno metterà in discussione
il fatto che vorremmo preparare i
nostri ragazzi a diventare bravissimi
nel prendere decisioni. Molti di loro,
tuttavia, e altrettanti adulti, prendono
troppe decisioni in modo impulsivo.
Non esaminano una sfida, né la iden-
tificano come tale per poi rallentare
il pensiero e pensare come meglio
affrontarla. Spesso chi non valuta
i pro e i contro ricorre all’aggres-
sione, talvolta verbale, talaltra fisica,
e in alcuni casi al semplice rancore o
alla resistenza passiva. Per un gio-
vane adulto gli impulsi incontrollati
possono somigliare a mine antiuomo
che polverizzano le fondamenta
della carriera. La tattica del proces-
so decisionale andrebbe discussa e
resa esplicita durante la crescita del
bambino.
Capacità di risolvere proble-
mi. Il problem solving è diventato ad-
dirittura una disciplina universitaria.
Permette di affrontare e risolvere in
modo costruttivo i diversi problemi
che, se lasciati irrisolti, possono cau-
sare stress mentale e tensioni fisiche.
Creatività. È la capacità di affon-
dare in modo flessibile ogni genere di
situazione, saper trovare soluzioni e
idee originali. È importante insegna-
re ai ragazzi a dedicarsi alla libera
associazione di idee, avere una mente
aperta e curiosa, produrre a getto
continuo pensieri e formulare idee
che possono essere criticate, trovare
un mezzo con cui esprimere lo sfor-
zo creativo. Ma perché il pensiero sia
produttivo i ragazzi hanno bisogno
di aiuto.
Comunicazione efficace. Si-
gnifica essere capaci di manifestare
opinioni e desideri, bisogni e paure,
esser capaci, in caso di necessità, di
chiedere consiglio e aiuto. Durante
le discussioni in classe, ci si imbat-
te in moltissimi studenti affetti da
evidente dislalia e imprecisione ver-
bale. Le loro espressioni linguistiche
sembrano grattare come le marce
mal sincronizzate di un’automobile
e il motore della loro mente sembra
sputare neri gas di scarico quando si
sforzano di comunicare su un piano
più alto; il vocabolario e l’appropriata
costruzione delle frasi sono una fati-
ca immane. C’è bisogno che la scuola
dia un forte impulso al perfeziona-
mento del linguaggio verbale e aiuti i
ragazzi a rendersi conto che esprime-
re bene le idee significa migliorarle.
Si potrebbe persino dire: «Come
faccio a sapere che cosa penso se non
provo ad esprimerlo?».
Empatia. È ascoltare e vedere con
il cuore, lasciar risuonare in se stessi
la sofferenza e la gioia degli altri,
mettersi con l’immaginazione al po-
sto del prossimo. Significa accettare
le diversità etniche e culturali. L’em-
patia cambia la regola aurea: invece
di trattare gli altri come vorremmo
essere trattati noi, ci fa trattare gli
altri come loro vorrebbero essere
trattati. L’empatia è cruciale per
migliorare il nostro galateo spirituale
e la capacità di andare d’accordo con
gli altri.
Capacità di relazioni interper-
sonali. Per avere successo non ba-
sta sapere tante cose, lavorare sodo e
sfornare servizi o prodotti di qualità.
Bisogna piacere e dimostrare simpatia
e rispetto per le persone alle quali
si vuole piacere. È una questione di
strategia politica. È vitale per i giova-
ni acquisire la capacità di interagire
e relazionarsi con gli altri in modo
positivo, sapersi mettere in relazione
costruttiva con gli altri, saper creare
e mantenere relazioni significative.
I giovani adulti vanno avvertiti che
le interazioni sociali possono arrecar
loro delle offese. Si renderanno conto
che per prevenire il danno dovranno
imparare a comunicare, a crearsi
alleanze, a formarsi una reputazione
e ad acquisire abilità relazionali. La
creazione dei rapporti interpersonali
è un processo sempre in corso che
si apprende perlopiù dall’esperienza
diretta.
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4.4 Page 34

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VIAGGI
GIANCARLO MANIERI
Giuseppe Ungaretti, poeta
simbolista, è considerato
precursore dell’ermetismo.
Due exallievi Magdi Allam, giornalista,
musulmano convertito alla
religione cattolica. Il primo
exallievo del “Don Bosco” di
Alessandria, il secondo exallievo
DOC del “Don Bosco” del Cairo.
L a scuola di Alessandria fu
inaugurata durante il rettora-
to di don Rua. Tre anni dopo
l’inaugurazione, frequenta-
va la scuola un alunno che
sarebbe diventato famoso:
Giuseppe Ungaretti. Non tutto è
stato esperito sulla durata della sua
frequentazione. I dati certi sono
quelli riferiti dai salesiani in base alle
pagelle scolastiche delle elementari e
quelli desunti dall’indagine storico/
critica. Il poeta, che pure tornò ad
Alessandria nel 1931, come gior-
nalista inviato della “Gazzetta del
Popolo”, alla matura età di 43 anni,
non fa cenno alla sua precedente
permanenza nella città dove visse
fino ai 24 anni: non un ricordo, non
una nostalgia, niente “Qui accadde”,
Qui c’era”, “Qui ho visto”. Nulla sulla
vecchia prigione trasformata in scuo-
la, nulla sul nuovo istituto: descrive
l’Alessandria che vede, non l’Ales-
sandria che visse.
La prigione
Eppure cominciò a studiare proprio
lì, nella ex prigione che aveva muri
spessi in qualche punto fino a sei
metri e finestre con doppia inferriata:
un ambiente un po’ tetro, dunque, ma
dove i professori erano eccellenti ed
esigevano che si studiasse con asso-
luto impegno e serietà. Lì egli ebbe
le prime impostazioni formative, lì
apprese i primi contenuti gramma-
ticali e logici. Dal biografo Leone
Piccioni si sa che “dagli otto-nove
anni, ai quindici-sedici, Ungaretti è in
collegio, credo all’Istituto Don Bosco”,
dove soggiornò certamente due anni,
ma più probabilmente sei o addirittu-
ra otto anni. Secondo Gianni Villani,
che ha scritto “Note sulla scolarizza-
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Aprile 2011
La prima dimora della scuola salesiana,
una vecchia prigione inglese.
Giuseppe Ungaretti soldato sul Carso.

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Il palazzo dell’istituto costruito al posto dell’antica
fortezza.
zione di Ungaretti”, “si può… affermare
che Giuseppe Ungaretti fu di sicuro
allievo del Don Bosco in due precisi anni
scolastici: 1899-1900 e 1900-1901”,
nelle classi IV e V elementare. Buoni
i voti finali eccetto un 4 in francese
che dovrà riparare a settembre e un
3 in disegno, condonatogli. Al “Don
Bosco” il poeta studiò come lingue
straniere il francese, l’inglese e l’arabo.
L’italiano era ovviamente considerato
lingua nazionale, perché la scuola sa-
lesiana di Alessandria era riconosciuta
e finanziata dal governo italiano.
Ungaretti fu un allievo un po’ recal-
citrante, poco disposto alla preghiera,
con una “pessima calligrafia” (sic) e
qualche irrequietezza di troppo, tipica
di un ragazzo non comune che più
tardi si sarebbe rivelato il genio che fu.
Il genio
Terminate le elementari, la mam-
ma che gestiva un forno, volle per
Giuseppe un avvenire da studente e
non da panettiere. Gli storici sono
certi che egli continuò a studiare
dai salesiani – che nel 1902 avevano
costruito un nuovo plesso scolastico al
posto dell’ex prigione – frequentando
come privatista esterno il ginnasio
fino a quindici-sedici anni, e con
ottimi risultati. Il sodo insegnamento
elementare aveva portato i suoi frutti.
Del resto anche a Roma era giunta
l’eco della forte competenza del “Don
Bosco” di Alessandria. Una quindicina
di anni più tardi, Ungaretti si lancerà
nella poesia adottando un nuovissimo
linguaggio poetico senza punti né vir-
gole, né rime tradizionali… Influsso
della lingua araba appresa al “Don
Bosco”? C’è chi giura di sì. I salesiani
dunque con le tre lingue che insegna-
vano nella loro scuola, hanno inciso
più di quello che si possa pensare sulla
poetica dell’illustre exallievo.
Il Cairo e Magdi Allam
Anche l’istituto del Cairo può vantare
tra i tanti suoi exalunni, una perso-
nalità forte e per certi versi esaltante,
quel Magdi Allam, già vicedirettore
ad personam del “Corriere della Sera”,
ora parlamentare europeo, che ha
avuto il coraggio raro, anzi rarissimo,
di convertirsi dall’islam alla religione
cattolica, ed è da allora costretto a vi-
vere con la scorta. Ho avuto la fortuna
di scambiarci qualche parola quando,
invitato alla Pisana, ha ricordato i suoi
trascorsi all’istituto salesiano, proprio
nei locali che un anno avrei visitato.
Mi ha detto di essere molto ricono-
scente ad alcuni salesiani in parti-
colare che gli hanno fatto da guida.
Qualche nome?”, azzardai. “Per esempio
don Angelo Tengattini, don Maurizio
Verlezza, e altri”. È lui stesso a scrivere
di aver frequentato presso l’istituto del
Cairo medie e liceo. Ed è ancora lui
ad affermare perentoriamente di aver
appreso “non solo la scienza del sapere
ma soprattutto la coscienza dei valori”.
In collegio ha potuto conoscere “bene e
da vicino la realtà del cattolicesimo” ed è
stato “particolarmente affascinato dalla
figura umana e divina di Gesù”.
Trasferitosi in Italia negli anni Settan-
ta, Magdi Allam ha lentamente ma-
turato la sua conversione fino a quella
domenica del 23 marzo 2008, quando
papa Benedetto XVI “mi ha impartito
i sacramenti dell’iniziazione cristiana,
Battesimo, Cresima ed Eucarestia, nella
Basilica di San Pietro nel corso della so-
lenne celebrazione della Veglia Pasquale”.
Da allora volle aggiungere al suo nome
musulmano anche quello cristiano, e si
chiamò Magdi Cristiano Allam.
Sia al Cairo sia ad Alessandria, tutta-
via, mi hanno parlato di centinaia di
exallievi dei due istituti, ragazzi poi
che diventati affermati professionisti,
politici, funzionari di Stato, consoli,
ambasciatori, generali, avvocati di
grido, docenti universitari ecc. Un
magnifico carnet di marcia per i sale-
siani che ancora oggi operano nelle
due città egiziane.
Magdi Cristiano Allam.
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NOI & LORO
MALAERSISAANNNDARPAAMCUACSCTIREOADLOENSASTAONDRA MASTRODONATO
LAFIGLIA Per un pugno
di euro
Il dato forse più preoccupante è che nella
stragrande maggioranza delle famiglie parlare
di soldi è divenuto un vero e proprio tabù
Nell’immaginario comune – e in partico-
lare in quello dei più giovani – il denaro
continua ad essere sinonimo di lusso e
di agiatezza, simbolo di una vita facile
e spensierata, di desideri esauditi e ric-
chezze ostentate.
Ma che rapporto hanno oggi gli adolescenti con
il denaro? Una domanda tutt’altro che semplice e
scontata, se si considera che l’atteggiamento dei
ragazzi nei confronti dei soldi dipende da una
grande varietà di fattori che hanno a che fare con
l’educazione familiare, con i modelli più o meno
distorti veicolati dai mass media, con
le dinamiche di socializzazione
economica che si definiscono
nel gruppo dei pari, con il
modo stesso di pianificare la
propria vita e di immaginare
il proprio futuro.
Molti ragazzi, infatti, sono abi-
tuati sin da piccoli a disporre di
consistenti quantità di denaro, elar-
gite a larghe mani da genitori spendac-
cioni ed insicuri, che si illudono di compensare
con i soldi le loro assenze e la loro aridità affettiva.
Altri vivono il rapporto con il denaro come una
continua tentazione, spendendo impulsivamente
tutti i soldi che hanno in tasca, la classica paghetta
ricevuta dai genitori, salvo poi rimanere in bolletta
per tutto il resto del mese. Altri ancora hanno un
rapporto meno disinvolto e spregiudicato con i
soldi, ma la consapevolezza di avere comunque le
spalle coperte dai genitori, li porta a non pianificare
più di tanto il proprio percorso economico e non
porsi minimamente il problema di risparmiare
qualcosa per il futuro, tanto in caso di necessità
«ci sono sempre mamma e papà».
In alcuni casi, poi, sono i genitori stessi a
fare del denaro uno strumento di ricatto
e di controllo nei confronti dei figli, per ne-
goziare con loro obbedienza, aiuto nelle faccende
di casa e impegno nello studio: «se non fai come
dico io, se non aiuti la mamma a sparecchiare, se
non prendi buoni voti a scuola… la paghetta te la
scordi!».
Anche nelle famiglie meno abbienti, in cui da
subito si insegna ai figli a stringere la cinghia e a
fare economia, spesso si producono atteggiamenti
distorti nei confronti del denaro: i soldi, proprio
perché mancano, diventano una specie di osses-
sione per i ragazzi, desiderosi di riscatto sociale
per sé e per la propria famiglia, tanto da essere
disposti a scendere a qualsiasi compromesso pur
di potersi permettere un capo firmato o una se-
rata in discoteca e non essere, così, da meno dei
propri amici più ricchi: un consumo a tutti i costi,
favorito e incoraggiato da una pubblicità sempre
più pervasiva e martellante.
Ma il dato forse più preoccupante è che nella
stragrande maggioranza delle famiglie parlare di
soldi è divenuto un vero e proprio tabù: probabil-
mente i genitori pensano che sia meglio tenere i
figli il più a lungo possibile lontani dalle brutture
del mondo, evitando di coinvolgerli nella difficile
gestione del bilancio familiare, ma troppo spesso
dimenticano quanto sia importante educarli sin
da piccoli al giusto valore dei soldi e ad un uso
responsabile, attento e, perché no, anche solidale
del denaro.
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Aprile 2011

4.7 Page 37

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MARIANNA PACUCCI
Maledetta crisi: le famiglie hanno quoti-
dianamente la sensazione che i bisogni
e i desideri dei propri membri, e parti-
colarmente dei figli, siano largamente
sovrabbondanti rispetto alle risorse
disponibili. I soldi sono (o sembrano?)
sempre pochi; diventano quasi una sciagura, per-
ché logorano i rapporti fra le persone, dissolvono
i sogni, minacciano in modo inquietante la stessa
dignità delle persone.
È vero che fra l’essere e l’avere corre una grande dif-
ferenza; ma è altrettanto certo che l’identità indi-
viduale si costruisce anche avendo a disposizione i
mezzi economici necessari per realizzarsi nella pro-
pria umanità. Per questo ai genitori pesa dire no alle
richieste dei propri ragazzi: la posta in gioco non
è soltanto quella di ottenere oggi una porzione ab-
bondante di affetto e di riconoscenza in cambio di
una paghetta generosa; ma poter condividere, anche
attraverso il denaro, le scommesse sul futuro.
Peraltro non è più scontato, sul piano culturale,
che sia dovere degli adulti risparmiare per investi-
re sul domani dei figli (l’università, l’affinamento
delle competenze professionali, la possibilità che
essi possano mettere su famiglia al momento giu-
sto). L’ansia del presente, la mentalità consumisti-
ca, le tentazioni dell’edonismo dominante spesso
erodono il potere d’acquisto dei salari e creano
una frattura incolmabile fra le generazioni.
La verità è che la crisi della società contemporanea
non è soltanto economica, ma etica. Moltiplica gli
egoismi e cancella la responsabilità verso chi deve
ancora prendere posto al banchetto dei beni della
terra. Annebbia le menti e confonde le capacità di
guardare lontano, accettando la sfida di rinunciare a
qualcosa oggi per poter costruire meglio il domani.
Le famiglie hanno bisogno di rianimare atteggia-
menti e valori caduti irrimediabilmente in disuso
e di proporli con chiarezza ai giovani attraverso
azioni educative efficaci e coerenti. La parsimo-
nia, la sobrietà, lo spirito di sacrificio non sono
affatto andati fuori moda.
Perché non LA MADRE
bastano mai?
La parsimonia, la sobrietà, lo spirito di
sacrificio non sono affatto andati fuori moda.
C’è bisogno di parlare all’intelligenza e al
cuore dei ragazzi, perché possano diventare
competenti nel valutare la differenza fra il
superfluo, il necessario e il fondamentale
C’è bisogno di parlare all’intelligenza e
al cuore dei ragazzi, perché possano diven-
tare competenti nel valutare la differenza fra il
superfluo, il necessario e il fondamentale. Ed è
importante che si abituino a pensare al denaro
non in termini quantitativi, ma qualitativi.
Questo apre le famiglie ad un’altra verità importan-
te: i soldi bastano se non sono misurati sulle
proprie esigenze, ma sul sudore del mondo.
Tante, troppe persone non sono rispet-
tate nei loro diritti fondamentali e non
hanno la possibilità di accedere
neppure al minimo delle ri-
sorse necessarie alla sicurezza
e alla dignità della vita. Non
ci può essere vera educazione
all’uso equilibrato del denaro se
mancano comportamenti concre-
ti, quali il rispetto, la compassio-
ne, la generosità, la solidarietà. La
prossimità non è un costo, ma un
valore. Benedetta la crisi, se riusci-
rà a restituire alle famiglie questa
consapevolezza.
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4.8 Page 38

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I SALESIANI E L’UNITÀ D’ITALIA
MFRAARNICAEASNCTOOMNIOATCTHOINELLO
L’italianità Il santo che portò
di don Bosco alla ribalta nazionale
la “questione giovanile”
Pur contrario per motivi reli-
giosi al modo in cui veniva
attuata l’unità d’Italia – senza
e contro la Chiesa – don Bo-
sco non ha mai messo in dub-
bio il carattere positivo dello
Stato nazionale. Nonostante l’acuirsi
del conflitto fra Chiesa e Stato, non si
è mai rassegnato alla rottura delle re-
lazioni fra loro. Nel travaglio del “caso
di coscienza” dei cattolici si adoperò
a rimuovere gli ostacoli perché l’Italia
sorgesse, nel segno della pace religio-
sa, su basi condivise. Prete cattolico,
fedelissimo alla Chiesa e al papa, fu
assertore di una leale e fattiva colla-
borazione con le autorità del Paese e
ha avvertito la funzione essenziale dei
pubblici poteri, tanto che la maggior
parte espressero il loro consenso alla
sua attività, apprezzandone la con-
vergenza del servizio al bene comune.
Resisi conto che la sua “opposizione”
al Risorgimento, così come si stava
realizzando, era semplicemente di
tipo apologetico, religioso, morale e
che egli mirava a formare le coscienze
dei giovani alle virtù cristiane, all’one-
stà umana, alla lealtà civica e politica,
e semmai in questa prospettiva, dal di
dentro, “cambiare” la società, per buo-
ni motivi sorvolarono sul “quadro di
fondo” politico diversissimo dal loro.
Nello specifico problema dell’unità
poi don Bosco sperò e pregò che l’i-
neluttabilità del “moto rivoluzionario”
non travolgesse il secolare istituto del
potere temporale; accolse però con
calma e senza sorpresa, seppur con
dispiacere, la notizia della avvenuta
occupazione di Roma, il 20 settembre
1870.
La “questione giovanile”
Nella seconda metà dell’’800 non
sorsero solo la “questione romana”
e la “questione meridionale”, ma si
pose anche la “questione giovanile”.
Chi con più forza la portò alla ribal-
ta dell’opinione pubblica nazionale
fu don Bosco.
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Aprile 2011

4.9 Page 39

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Sacerdote e non politico, educatore
e non sociologo, padre dei giovani
e non sindacalista, don Bosco sentì
sulla sua pelle la difficile situazione
dell’enorme porzione di gioventù ita-
liana (e non) di cui non ci si occupava
o ci si occupava male. Sul piano teo-
rico ebbe l’intuizione, intellettuale ed
emotiva, della portata universale, teo-
logica e sociale, della “questione gio-
vanile”; sul piano operativo intuì la
necessità di interventi al riguardo su
larga scala, nel mondo ecclesiastico e
nella società civile, come necessità
primordiale per la vita della Chiesa
e per la stessa sopravvivenza dell’or-
dine sociale. A fronte di una società
avviata ad una progressiva secolariz-
zazione, reagì puntando sui giovani
come forza in grado di rigenerare la
società, se educati in ambienti dove
sperimentare in modo concreto la
speranza verso il futuro, dove avere
il coraggio di affrontare le questioni
della vita quotidiana secondo modali-
tà alternative a tante dominanti.
Ha anticipato così, per così dire, quel-
la prospettiva di azione educativa che
oggi definiamo basata sui diritti uma-
ni dei minori; ha evidenziato come
si possano realizzare risultati estre-
mamente positivi nell’ambito della
cooperazione tra pubblico e privato;
ha intuito la validità di un sistema
sociale rispondente ad una logica di
solidarietà e sussidiarietà, i cui prin-
cipi la politica avrebbe acquisito, e
con fatica, solo nel secolo successivo.
Ben a ragione dunque la sua figura è
stata inserita nel 2001 nella collana
“L’identità italiana”, che presenta “la
nostra storia: gli uomini, le donne, i
luoghi, le idee, le cose che ci hanno
fatti quello che siamo”.
Una italianità fatta
di comunità educative
interregionali e di
espansione in tutto
il territorio
Don Bosco non ha lanciato proclami
in favore della causa nazionale, l’ha
però promossa con i fatti, accogliendo
nelle sue prime case di Torino ragazzi
di mezza Italia ed espandendo le sue
opere oltre la città e la provincia. Nel
1863, a soli 4 anni dalla fondazione
della società salesiana, apre un collegio
Una manifestazione
davanti alla Basilica
del Colle Don Bosco.
A pagina precedente:
Valdocco nel 1868
(dipinto di Tommaso
Lorenzone). Don Bosco
non lanciò proclami
per l’unità nazionale,
la realizzò con i fatti
accogliendo ragazzi in
difficoltà di tutte le parti
d’Italia.
a Mirabello di Alessandria, la prima
di molte altre case del Piemonte e nel
1870 è la volta della Liguria. Sei anni
dopo manda salesiani in tre seminari
del Lazio, nel 1878 apre case in Tosca-
na e in Veneto, nel 1879 fonda ope-
re in Lombardia, Puglia e Sicilia. In
Emilia Romagna arriva nel 1881 e nel
Trentino, terra ancora parte dell’impe-
ro austriaco, nel 1887. E altrettanto fa
in favore della gioventù femminile dal
1872 in poi con le FMA.
E non pensò solo all’Italia. Se Mazzini
fondava la Giovine Europa, Giober-
ti scriveva di “europeismo”, Rosmini
parlava di “società universale”, Catta-
neo di “Stati Uniti d’America” pensan-
do all’Italia, don Bosco, da cattolico, fu
Aprile 2011
39

4.10 Page 40

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I SALESIANI E L’UNITÀ D’ITALIA
europeista e universalista ante litteram:
mandò infatti i suoi “figli”, all’epoca
quasi tutti italiani, in Europa ed anche
in America Latina, là dove vi erano da
assistere i poveri emigrati lasciati soli
dall’Italietta del tempo.
Nelle sue case don Bosco ha educato
alla fede e alla vita migliaia di giovani,
li ha preparati al lavoro, ha insegnato
loro la lingua italiana, la storia ita-
liana, la cultura italiana, l’amore alla
lettura, il sistema metrico decimale…
(addirittura su testi editi, scolastici o
meno, da lui stesso e dai suoi “figli”),
li ha tenuti occupati nel tempo libe-
ro con le piacevoli forme educative,
financo artistiche, della musica, del
canto, del teatro…
Basti per tutte le case una solo ci-
tazione. Il 7 luglio 1880 scriveva al
prefetto di Torino Bartolomeo Ca-
salis “[L’Oratorio di Valdocco] da
piccoli principi poté crescere fino a
ricoverare un migliaio di persone, e
Fotografia Shutterstock
fondare officine, laboratori e scuole,
dove i più utili ritrovati delle scien-
ze e delle arti sono comunicati ai fi-
gliuoli del popolo, e per essi riversati
sulla civile società. In conferma di
tutto ciò viene il fatto che una innu-
merevole quantità di giovani, di cui
sarei pronto a declinare i nomi, usciti
da questo Oratorio, coprono oggidì
nella società uffici più o meno cospi-
cui sia nei Licei che nelle Universi-
tà, sia nell’Esercito e nelle pubbliche
Amministrazioni. E mi è grato po-
ter affermare che nessuno di quelli
che si mostrarono docili allievi di
questo Istituto, ne uscì sfornito dei
mezzi necessari a guadagnarsi ono-
revolmente il pane”. Detto in termi-
ni moderni, ha cercato non tanto di
trasmettere una cittadinanza, soprat-
tutto se intesa nei termini attuali, ma
semplicemente di costruire dei buoni
cittadini del suo tempo, degli onesti
e capaci lavoratori, dei disciplina-
ti interpreti e operatori del comune
senso civico, dei buoni cristiani.
E non accontentandosi di servire i
giovani più in difficoltà, operò pure in
favore della gente umile e semianal-
fabeta, per la quale diffuse in tutto il
paese migliaia di operette di istruzio-
ne religiosa, costruì chiese e santuari,
promosse devozioni di vario genere.
Un sistema educativo
innovativo
È uno dei grandi e ben noti contributi
offerti da don Bosco al Paese Italia (ed
a tutti i Paesi). Basti dire che il Siste-
ma Preventivo fu apprezzato persino,
sia pure entro certi limiti, dagli anticle-
ricali, il ministro Rattazzi fra loro. Nel
1878 don Bosco, dopo aver discusso
con il ministro dell’Interno Crispi dei
metodi di educazione che prevenissero
i reati dei giovani e di conduzione di
carceri minorili, su richiesta dello stes-
so ministro massone, gli inviò un pro-
memoria ispirato ai principi del Siste-
ma Preventivo, ma che poteva anche
essere adottato in istituzioni educative
non confessionali.
Don Bosco: un grande Italiano, ad-
dirittura “il più santo degli italiani”
(come, sarebbe stato solennemente
definito in Campidoglio nel 1934, con
qualche sottinteso fascista di troppo,
in occasione della canonizzazione).
Il suo modello educativo si è inserito
operativamente nella vita dell’Italia
che nasceva. Si sarebbe trattato di un
apporto di collaborazione, di concor-
renza attiva ed onesta, di sforzo ge-
neroso, inteso a creare nel “bel paese”
una società migliore.
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Aprile 2011

5 Pages 41-50

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I NOSTRI SANTI
A CURA DI PIERLUIGI CAMERONI postulatore generale
Una figlia guarita
Sono una giovane mamma di 34
anni. Mia figlia di un anno aveva
una forte tosse che le impediva di
respirare la notte. Dopo un con-
trollo effettuato dalla sua pedia-
tra, la situazione sembrava non
fosse particolarmente grave. Ma
in seguito mia figlia manifestò lo
stesso malessere. Su consiglio
della pediatra fu curata con un
antibiotico a cui però mia figlia
risultò allergica, come si poteva
constatare da un diffuso eritema
sulla pelle. Ero disperata; quindi
rivolsi le mie preghiere a san Do-
menico Savio, promettendo che
dopo la guarigione di mia figlia
avrei scritto una lettera per la vo-
stra rubrica. Dopo aver cambiato
antibiotico ed essersi sottoposta
ad una faticosa cura durata dieci
giorni, mia figlia risultò guarita.
Marisa, Vasto CH
Emozionante esperienza
Io e mio marito ci siamo co-
nosciuti a motivo della nostra
professione: io terapista dell’età
evolutiva e lui educatore. Dopo
sei mesi di conoscenza ci siamo
fidanzati e dopo altri tre abbiamo
pensato di unire il nostro amore a
Gesù con il sacramento del ma-
trimonio. Non avendo ancora la
nostra casa, ci siamo alloggiati
alternativamente ora in quella
dei miei genitori, ora in quella dei
miei suoceri. In tutto il marasma
di viaggi e di sentimenti forti che
ci accompagnavano, il nostro so-
gno era quello di avere un bam-
bino; ma non riusciva proprio a
venire. Ci confidammo con il sa-
cerdote che ci aveva sposato. Egli
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
mi parlò delle grazie ottenute per
intercessione di san Domenico
Savio. Da quel momento, volen-
do saperne di più, lessi su vari
numeri del Bollettino Salesiano
le esperienze di altre persone,
ma non osavo “disturbare” per
realizzare il mio sogno: mi senti-
vo comunque una persona molto
felice per il solo fatto di avere un
marito eccezionale, attento ad
ogni mia esigenza. Poi pensai di
richiedere l’abitino, perché ave-
vamo tanto amore da donare e la
nostra felicità non era completa;
inoltre pensavo che portando san
Domenico Savio con me al lavo-
ro, poteva ottenere tante grazie ai
bambini con cui lavoravo e che
si trovavano in situazioni molto
gravi. Dopo un solo mese di pre-
ghiere, abbiamo trovato una casa
confacente alle nostre possibilità
economiche e due giorni dopo
già una piccola creatura cresce-
va dentro di me e ci riempiva di
gioia. Il mio primo pensiero è
stato questo: “Proprio a noi tanta
grazia!”. I nove mesi della gra-
vidanza non furono semplici: a
periodi alterni dovevo stare com-
pletamente a riposo per permet-
tere alla mia piccolina di crescere
bene; ma san Domenico Savio
è stato con noi. Il 31 dicembre
2009 è nata Nicole Dominique,
una bella bambina grande, forte
e molto serena. Ciò che io e mio
marito vogliamo è rendere la sua
vita, che il Signore le ha donato,
un bel capolavoro. Per questo le
staremo a fianco con tutto l’amo-
re che abbiamo.
Ansuini Chiara e Fabio, Roma
Tutto risolto
Nel 2009 il mio primogenito, spo-
sato e padre di una bellissima bim-
ba, attraversa una seria crisi matri-
moniale. Con la preghiera costante
a san Giovanni Bosco e alla sua
venerabile Mamma Margherita nel
giro di qualche mese tutto si risolve
per il meglio.
E. L., Alessandria
CRONACA DALLA POSTULAZIONE
Anna Maria Lozano Díaz nuova Serva
di Dio della Famiglia Salesiana
Venerdì 29 gennaio la Congregazione delle
Cause dei Santi ha notificato il “nulla osta”
per l’inizio dell’Inchiesta diocesana della
Serva di Dio Anna Maria Lozano Díaz (1883-
1982), seconda Superiora Generale dell’Isti-
tuto delle Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e di
Maria, fondato dal Beato Luigi Variara. Anna
Maria Lozano Diaz, nata il 24 settembre 1883 a
Oicatá, in Colombia, nel 1897 si trasferisce nel laz-
zaretto di Agua de Dios con la sua famiglia in seguito al contagio
di lebbra del papà. Qui la giovane rimane affascinata dal carisma
di don Luigi Variara, e decide di entrare a far parte dell’Istituto di
Suore che egli stava fondando. Madre Anna fu Superiora Genera-
le per lunghissimo tempo, a più riprese (1907-1919; 1922-1925;
1928-1968), e consolidò stabilmente il carisma vittimale nella
spiritualità salesiana. Muore in fama di santità ad Agua de Dios il
5 marzo 1982. L’Istituto delle Figlie dei Sacri Cuori, Istituto Reli-
gioso Femminile di Diritto Pontificio fondato nel 1905 dal beato
salesiano don Luigi Variara per l’assistenza spirituale e la cura dei
malati di lebbra, è l’unico che ammette alla vita consacrata suore
affette dal morbo di Hansen. Il “nulla osta” era stato firmato il
15 dicembre scorso dal Prefetto della Congregazione delle Cause
dei Santi, cardinal Angelo Amato, sdb. Suor Anna Maria Lozano
è la centosessantatreesima “grande” della Famiglia Salesiana e la
ventinovesima Serva di Dio.
Segnalano grazie:
Per intercessione di Maria
Ausiliatrice:
Cusumano Veronica, Licata AG
Sr. Lapo Rosalia e famiglia, Lon-
gare VI
Per intercessione di san Giovanni
Bosco:
A. P., Castiglione Casentino CS
Gremmo Sandra, Biella
A.G., Reggio Emilia
Balbi Benito e Angela Morbegno
(SO)
R. F., Tronzano Vercellese VC
C.E., San Cataldo CL
G.L., Cuneo
Per intercessione di san Domeni-
co Savio:
Greco Erminia Rita, Montesilvano
PS
Sr. M. Caterina, O.S.B. e Comu-
nità, Perugia
De Grandi Pia, Casale M.to AL
Decaria Caterina, Vibo Valentia CZ
Viola Piera Giuseppa, Pedara CT
Salvi Monica, Locatello BG
Thiele Katia, Almese TO
L.C. per la nascita di Federica.
Meloni Marisa di Alghero, per la
nascita di Maria Laura.
Cabodi Piera, Lanzo (TO)
Per intercessione della venerabile
Mamma Margherita:
Maria Ausilia, Catania
Per intercessione del beato Arte-
mide Zatti:
Mantelli Fernanda, Valenza AL
Per intercessione del beato don
Luigi Variara
Don Pierluigi - Roma
Per intercessione del Servo di Dio
monsignor Stefano Ferrando:
Ago Roberto, Torino
Per intercessione del Servo di Dio
sac. Francesco Convertini:
C. A., Asti
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5.2 Page 42

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
siana – salesiani, Figlie di Maria
Ausiliatrice, Cooperatori, exallie-
vi – sotto la guida di don Angelo,
firmano l’atto costitutivo di un
nuovo Organismo Non Governa-
tivo con il programma espresso
nel nome: VIS, impegno per il
Volontariato Internazione e impe-
gno per lo Sviluppo dei popoli. Il
seme germinato dal cuore di don
Angelo è cresciuto, è un vivaio
di solidarietà, offerto alla Con-
gregazione e alla Chiesa, che in
venticinque anni ha inviato oltre
350 giovani, professionalmente
preparati, nei paesi poveri del
mondo, dove hanno vissuto due
anni di volontariato.
Don Angelo ritorna alla Elledici in
un secondo periodo, dal 1991 al
1997. Cerca sempre di essere al
passo con i tempi, tenta nuove
collane editoriali, con particolare
cura alla liturgia, alle devozioni
popolari, alla diffusione di libri
popolari, di poche pagine, che
introducano al Vangelo, alla co-
noscenza della Chiesa, della Pa-
rola, della storia dei Santi.
Da Torino, il 22 settembre 1997,
arriva a Bologna, direttore dell’As-
sociazione Opera Salesiana del
Sacro Cuore e della rivista che
diffonde la devozione al Sacro
Cuore in tutto il mondo.
Don Angelo, riassumendo alcune
indicazioni del fratello don Egidio,
al quale è toccato il delicato com-
pito di traghettare la Congrega-
zione dal prima al dopo Concilio,
così descrive le caratteristiche
dei salesiani, in riferimento co-
stante a don Bosco, «Siate miei
imitatori, come anch’io lo sono di
Cristo»: salesiani animatori, crea-
tivi, controcorrente, temperanti,
prudenti e furbi, laboriosi. Lui lo
è stato.
DON ANGELO
VIGANÒ
salesiano sacerdote
Varese, il 21/11/2010, a 87 anni
Non doveva finire così, a 87 anni,
doveva finire prima, a 57 anni! In
tanti ricordano don Angelo rico-
verato in ospedale, in gravissime
condizioni. Gli viene amministra-
ta l’Unzione degli Infermi. Al ca-
pezzale ci sono i fratelli, il Rettore
Maggiore don Egidio e don Fran-
cesco, con loro altri salesiani. Il
cappellano dell’ospedale, emo-
zionato e commosso, non trova
la pagina, non ricorda le formule,
si ingarbuglia, inventando un rito
sui generis, che lascia tutti un po’
perplessi, con don Angelo che
sussurra, tra il sorriso dei pre-
senti, un «supplet Ecclesia!» e
don Egidio che conclude con: «È
stato un addio allegro ma forse
non è la tua ora!».
Dei tre fratelli, Angelo, nella de-
scrizione della mamma «era di
carattere più calmo: taceva, pre-
vedeva, sapeva evitare i castighi,
faceva un po’ il politico; combina-
va le sue ma si salvava in antici-
po La sua prima comunione gli è
stata ritardata perché anziché fre-
quentare la dottrina se ne andava
a giocare».
Ma Angelo, a 16 anni, entra in
Noviziato e nel 1949 è sacerdote
di don Bosco. È abilissimo con i
ragazzi, ma non potrà fare il prete
da cortile per molti anni, perché è
chiamato presto ad esser superio-
re: nel 1960, a 37 anni, è Direttore
della prestigiosa opera di Milano
Sant’Ambrogio. È nominato diret-
tore della storica editrice salesiana
Elledici, che a Torino gode della
simpatia del cardinal Pellegrino e,
in Italia, della CEI nel 1965 e vi si
ferma fino al 1975. In quell’anno è
nominato Ispettore dell’Ispettoria
Lombardo Emiliana. È fondatore
e direttore di Nave, con i giovani
studenti salesiani e poi Ispettore
della Centrale.
Il 3 marzo del 1986, nell’Istitu-
to Salesiano Internazionale della
Crocetta a Torino, 14 persone rap-
presentanti tutta la Famiglia Sale-
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Aprile 2011

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Il prezzo
L a mattina della Domenica di
Pasqua, il buon parroco di un
paesino si accostò all’ambone
per la predica portando con
sé una gabbia arrugginita che
sistemò ben in vista. I fedeli
erano alquanto sorpresi.
Il parroco spiegò: «Ieri stavo passeg-
giando quando vidi un ragazzo che
reggeva questa gabbia. Nella gabbia
c’erano tre uccellini, che tremavano per
il freddo e lo spavento. Fermai il ragaz-
zo e gli chiesi: “Cos’hai lì, figliolo?”.
“Tre uccelli senza valore”, mi rispose
il ragazzo.
“Cosa ne farai?”, chiesi ancora.
“Li porto a casa e mi divertirò con
loro”, ripose il ragazzo. “Li stuzzi-
cherò, strapperò loro le piume, così
litigheranno. Mi divertirò tantissi-
mo”. “Ma presto o tardi ti stancherai
di loro. Allora cosa farai?”. “Ho dei
gatti,” disse il ragazzo. “A loro piac-
ciono gli uccelli. Li darò a loro”.
Rimasi in silenzio per un momento,
poi domandai al ragazzo: “Quanto
vuoi per questi uccelli, figliolo?”.
“Cosa??!!! Perché li vuole, reverendo?
Sono uccelli di campo, non hanno
niente di speciale. Non cantano bene.
Non sono nemmeno belli!”, rispose
stupito il ragazzo.
“Quanto vuoi?”, domandai ancora.
Pensando che io fossi pazzo, il ragaz-
zo mi disse: “Cinquanta euro?”
Presi cinquanta euro dalla tasca e li
misi in mano al ragazzo,
che subito sparì come un
fulmine.
Sollevai la gabbia e andai
in un campo dove c’erano
alberi ed erba. Aprii la
gabbia e lasciai liberi gli
uccellini».
Così il parroco spiegò per-
ché quella gabbia vuota si
trovasse accanto al pulpito.
Poi iniziò a raccontare
questa storia: «Un giorno
Satana e Gesù stavano
conversando. Satana era
appena ritornato dal Giardino di
Eden, tutto tronfio e si gonfiava di
superbia. “Signore, ho appena cat-
turato l’intera umanità”, disse. “Ho
usato una trappola che sapevo non
avrebbe trovato resistenza, ho usato
un’esca che è risultata ottima. Li ho
presi tutti!”
“Cosa farai con loro?” chiese Gesù
Satana rispose: “Oh, mi divertirò con
loro! Insegnerò loro come sposarsi e
divorziare, come odiare e farsi male
a vicenda, come bere e fumare e be-
stemmiare. Insegnerò loro a fabbrica-
re armi da guerra, fucili e bombe e ad
ammazzarsi fra di loro. Mi divertirò
un mondo!”
“E poi, quanto avrai finito di giocare
con loro, cosa ne farai?”, chiese Gesù.
“Li ucciderò,” esclamò Satana con
superbia.
“Quanto vuoi per loro?” chiese Gesù.
“Vuoi forse questa gente? Non sono
per niente buoni, anzi, sono molto
cattivi. Se ti avvicinerai a loro, ti
odieranno. Ti sputeranno addosso,
bestemmieranno contro di te e ti
uccideranno. No, non puoi volerli!”
“Quanto?” chiese di nuovo Gesù.
Satana guardò Gesù e sogghignando
disse: “Tutto il tuo sangue, tutte le
tue lacrime e la tua vita.”
Gesù pagò».
Il parroco prese la gabbia e lasciò
l’ambone.
«Il mio comandamento è questo: ama-
tevi gli uni gli altri come io ho amato
voi. Nessuno ha un amore più grande di
questo: dare la vita per i propri amici.
Voi siete miei amici» (Vangelo di Gio-
vanni 15, 12-14).
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43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Venite e vedrete
Venerabile
Maria Troncatti
gigante dell’amore
verso gli ultimi
Le chiese di don Bosco
La Basilica di
Maria Ausiliatrice
I grandi amici
Beato Giovanni Paolo II
Salesiani nel mondo
Ucraina: un papà
per tutti i ragazzi
FMA
Nella terra
delle mille colline
Volontari
Venticinque anni di VIS
I salesiani e l’unità d’Italia
Il contributo salesiano
all’educazione
nell’Italia unita
Senza di voi
Dal testamento di don Bosco
per i benefattori
non possiamo
Senza la vostra carità io
avrei potuto fare poco
o nulla; con la vostra
carità abbiamo invece
fare nulla!
cooperato con la grazia di Dio
ad asciugare molte lagrime e
a salvare molte anime.
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612658
e-mail:donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.