Bollettino_Salesiano_201102

Bollettino_Salesiano_201102

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IL
FEBBRAIO
2011
L’invitato
Madre Yvonne
Reungoat
Rivista fondata da
Giovanni Bosco
nel 1877
Salesiani nel mondo
L’alfiere e
le pallottole
Le nostre case
Napoli

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LE COSE DI DON BOSCO
DI JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
La veste
La storia
Don Bosco ricevette l’abito talare il 25 ottobre 1835 dal-
le mani di don Antonio Cinzano, professore di teologia
morale al seminario di Chieri e parroco di Castelnuovo
d’Asti. In quell’occasione il ventenne seminarista formulò
sette importanti propositi.
Sono nata in una stanza
piena di rocchetti di filo
nero, aghi, forbici e ditali nella
sartoria del maestro Andrea Fa-
nelli di Chieri, fornitore ufficiale
dei seminaristi.
Capii subito che ero destina-
ta ad una alta dignità e che il
mio colore scuro, così elegante,
significava la rinuncia al mondo
e ai suoi piaceri.
Sarei stata la barriera che
difende e separa il sacerdote dal
resto della gente. Una fortezza
del decoro e dell’onorabilità,
la magica cornice in cui avrei
trascorso tutta la vita.
Sarei stata sempre circondata da
gente seria, ricca di preghiere e
opere buone, ordinata come la
lunga fila dei miei bottoni.
Un’orgogliosa soddisfazio-
ne tendeva le mie cuciture.
Tutto questo pregustavo, quan-
do rivestii quel giovane semina-
rista che si chiamava Giovanni
Bosco. Mi indossò con grande
rispetto e venerazione.
Ma non andò come immagina-
vo. Anzi. Invece dei salotti dei
signori, mi trovai nelle maleodo-
ranti celle di un carcere minorile.
Le prime volte, fui insultata,
presa in giro e sputacchiata.
«Cominciamo bene» pensai.
talare
Quel giovane prete però seppe
guadagnarsi la confidenza dei
giovani carcerati, con la forza
del rispetto e della compren-
sione. Gli addii diventarono
tanti arrivederci. Non godevo
di aristocratica onorabilità, ma
avevo le tasche piene di cara-
melle, cioccolatini, tabacco da
distribuire a piene mani.
Spesso, durante la giornata,
venivo poco dignitosamente
arrotolata alla vita, quando lui si
lanciava a giocare con i ragazzi.
E in quei momenti sembrava
non avesse nient’altro di più
importante al mondo.
Ho dovuto sopportare gli aloni
bianchi del sudore, i sacchi di
calce e di sabbia, gli strattoni.
Conservo, nel mio bel tessuto,
cicatrici di cento mestieri e
rattoppi poco dignitosi.
Mi buscai pure una pallottola
che per fortuna sfiorò solo il
povero don Bosco!
Non dimenticherò mai
le migliaia di mani piccole e
grandi che si sono aggrappate a
me, sfilacciandomi l’orlo. Con-
dividevo un po’ dell’affetto che il
giovane prete dispensava a tutti.
Un giorno, per le insistenze della
mamma, don Bosco acquistò
un’altra veste talare.
Pensavo a un tranquillo pensio-
namento e invece don Bosco,
con un gesto commosso, prese
forbici ed ago e mi trasformò
nel vestito nero di una vecchia
contadina piemontese.
Serviva un costume per un
teatrino che aveva scritto per i
suoi ragazzi.
Ed eccomi qui sul palco-
scenico, a raccogliere le ultime
briciole di rispettabilità, insieme
agli applausi e alle risate.
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Febbraio 2011

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IL
FEBBRAIO 2011
ANNO CXXXV
Numero 2
IL
FEBBRAIO
2011
L’invitato
Madre Yvonne
Reungoat
Rivista fondata da
Giovanni Bosco
nel 1877
Salesiani nel mondo
L’alfiere e
le pallottole
Le nostre case
Napoli
2 LE COSE DI DON BOSCO
La veste talare
4 STRENNA 2011
6 LETTERE
8 SALESIANI NEL MONDO
L’alfiere e le pallottole
12 FINO AI CONFINI DEL MONDO
14 L’INVITATO
Madre Yvonne Reungoat
14
18 ESPERIENZE
Un salesiano all’ONU
20 NOTE DI SPIRITUALITÀ SALESIANA
22 LA FAMIGLIA SALESIANA
24 GIOVANI
Tornino gli adulti!
26 MEDITAZIONE
28 LE CASE DI DON BOSCO
Il Don Bosco di Napoli
30 IL LIBRO
31 MESSAGGIO A UN GIOVANE
34
32 VIAGGI
Nella città di Alessandro
34 COME DON BOSCO
36 NOI & LORO
38 A TU PER TU
Sono il nuovo ispettore
dell’Ungheria e vengo dall’India
40 CONOSCIAMOCI
ADMA
41 I NOSTRI SANTI
42 CI HANNO LASCIATO
43 LA BUONANOTTE
38
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina:
Un ragazzo del
“Don Bosco” di
Napoli. Articolo
a pagina 28
(foto Pierluigi
Lanotte).
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma
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web: http://biesseonline.sdb.org
Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Maria Antonia Chinello,
Cesare Lo Monaco, Giancarlo
Manieri, Armando Matteo,
Alessandra Mastrodonato, Marianna
Pacucci, José J. Gomez Palacios,
Miguel Angel Ruiz, Carlo Terraneo,
Fabrizio Zubani, Arnaldo Scaglioni,
Loredana Dequerquis, O. Pori Mecoi.
Diffusione e Amministrazione:
Luciano Alloisio (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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Progetto grafico: Andrea Morando
Impaginazione: Puntografica s.r.l.
- Torino
Stampa: Mediagraf s.p.a. - Padova
Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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VENITE E VEDRETE
DI PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA
BPeaalotma iEnuosYeebniaesLadbeeiaptiictucdoilnie
Una foto “ufficiale”
della beata Eusebia
Palomino.
ÈMaria Ausiliatrice che fin dal primo
incontro segna la storia vocazionale di
Eusebia, come lei stessa racconta: “Una
domenica che uscivamo dalla chiesa dei
Gesuiti (la famosa chiesa della Clerecia
in Salamanca), donde ci eravamo recate
ad ascoltare una predica con molte altre ragaz-
ze, vidi che passava una processione e chiesi che
processione fosse. Mi dissero che era Maria Ausi-
liatrice che usciva dalla casa dei Salesiani. Allora
attesi per vederla. Quando giunse nel punto dove
io stavo, la collocarono davanti a me e al vedere
Maria Ausiliatrice io mi sentii attratta verso di
lei. Mi inginocchiai e con grande fervore le dis-
si: ‘Tu sai, Madre mia, che ciò che io desidero è
piacerti, essere sempre tua e farmi santa’.
E ciò lo dissi con tale fervore che le lacrime scen-
devano dalle mie guance. ‘Tu sai, Madre mia, che
se io potessi e avessi denaro entrerei in qualche
casa e sarei religiosa, per servirti meglio, però
sono poveretta (pobrecita) e non ho nulla’. Tuttavia
nel mio interiore sentivo una cosa molto grande; la
consolazione e la soddisfazione che provavo mi fa-
cevano spargere lacrime in abbondanza. Non era-
no passati neanche quindici giorni da questo fatto
quando mi trovai dalle Salesiane e nell’entrare la
portinaia, Suor Concepción Asencio, ci accompa-
gnò nella cappella. Appena entrata mi incontrai lì
con Maria Ausiliatrice e sentii al vederla una cosa
grandissima, che non so spiegare, e caddi in gi-
nocchio ai suoi piedi. Allora sentii nel mio interno
che mi diceva: ‘È qui dove ti voglio’”. Le Figlie di
Maria Ausiliatrice decidono di chiedere la sua col-
laborazione in aiuto alla comunità. Eusebia accetta
più che volentieri e si mette subito all’opera: aiuta
in cucina, porta la legna, provvede alle pulizie della
casa, stende il bucato nel grande cortile, va ad ac-
compagnare il gruppo delle studentesse alla scuola
statale e svolge altre commissioni in città.
Il desiderio segreto di Eusebia, di con-
sacrarsi interamente al Signore, accen-
de e sostanzia ora più che mai ogni sua
preghiera, ogni suo atto. Dice: “Se compio
con diligenza i miei doveri farò piacere alla Ver-
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BEATA EUSEBIA
Cantalpino (Salamanca, Spagna), 15 dicembre 1899 -
Valverde del Camino (Uelva - Spagna) 10 febbraio 1933
Spagnola, nacque e visse nell’umiltà. Nella prima gio-
vinezza fu a servizio di diverse famiglie. Entrata nella
Congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice, venne
addetta alla cucina e ad altri lavori casalinghi. Contem-
poraneamente svolse un fruttuoso apostolato tra la gio-
ventù. Nel 1931, prevedendo la guerra civile spagnola,
si offrì vittima al Signore, che la chiamò a sé dopo lunga
malattia. Offrì un insigne esempio di umiltà, senza alcuna
ostentazione, ma con spirito di abnegazione raggiunse
nei lavori più umili i vertici della grazia. Fu beatificata da
Giovanni Paolo II il 25 aprile 2004.
gine Maria e riuscirò ad essere un giorno sua figlia
nell’Istituto”. Non osa chiederlo, per la sua povertà
e mancanza di istruzione; non si ritiene degna di
una tale grazia: è una congregazione tanto gran-
de – pensa. La Superiora visitatrice, alla quale si è
confidata, la accoglie con materna bontà e la rassi-
cura: “Non ti preoccupare di nulla”. E volentieri, a
nome della Madre generale, decide di ammetterla.
La vocazione
di una Figlia
di Maria AusiliatriceViene assegnata alla casa di Valverde del
Camino, una cittadina che all’epoca conta
9000 abitanti, all’estremo sud-ovest della
Spagna, nella zona mineraria dell’Anda-
lusia verso il confine con il Portogallo. Le
giovani della scuola e dell’oratorio, al primo in-
contro, non celano una certa delusione: la nuova
arrivata è figura piuttosto insignificante, piccola e
pallida, non bella, con mani grosse e, per di più, un
brutto nome. Gode di “essere nella casa del Si-
gnore per ogni giorno di vita”. È questa la situa-
zione “regale” di cui si sente onorato il suo spirito,
che abita le sfere più alte dell’amore. Le piccole
ragazze che frequentano la casa delle suore sono
però presto catturate dalle sue narrazioni di fatti
missionari, o vite di santi, o episodi di devozione
mariana, o aneddoti di don Bosco, che ricorda gra-
zie ad una felice memoria e sa rendere attraenti e
incisivi con la forza del suo sentire convinto, della
sua fede semplice. Alle bimbe si uniscono, a poco a
poco, le adolescenti più monelle, le giovani più cri-
tiche e ricercate, che percepiscono accanto a quella
suorina un fascino inspiegabile, una irradiazione di
santità che le trasferisce in una realtà sconosciuta.
E si parla ormai esplicitamente di santità, anche al
di fuori dell’oratorio. Nel cortile arrivano, e si sof-
fermano con interesse, anche i genitori delle orato-
riane, altri adulti, poi i giovani seminaristi in cerca
di consigli. Qualche anno dopo, molte di quelle ra-
gazze saranno tra le postulanti a Barcellona-Sarrià.
E a madre Covi, l’Ispettrice sorpresa per le tante
vocazioni: “Ma che cosa c’è a Valverde?”, rispon-
deranno che c’è una cuciniera con l’asma, che rac-
conta alle ragazze bei racconti.
In seguito saranno pure sacerdoti a ricorrere
a quella umile suora, sprovveduta di dot-
trina teologica, ma con il cuore traboc-
cante della sapienza di Dio.
Ormai era tutto un fiorire di fatti,
aneddoti, che rimbalzano di bocca in bocca.
Seminaristi, suore, sacerdoti, ragazze andavano
a consultare sul loro avvenire suor Eusebia, men-
tre stendeva la biancheria nell’orto o pelava patate
in cucina. E lei tranquilla consigliava, prediceva il
futuro, incoraggiava una vocazione vera, ne scorag-
giava una falsa. E a chi le chiedeva come sapesse
queste cose, rispondeva con una frasetta che don
Bosco aveva detto tante volte: “Ho sognato”.
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LA POSTA
I NOSTRI ESPERTI RISPONDONO
Trasmissione TV
Caro direttore, tempo fa la tra-
smissione TV “Parla con me”
ha saputo raggiungere punte
di pesante sgradevolezza. Mi
riferisco alle rancide sguaiatag-
gini scagliate contro la Chiesa
e il sentire religioso di molti.
Commuove che alcuni condut-
tori/trici si battano eroicamente
per la libertà di pensiero e di
espressione; eroismo che appa-
re alquanto dubbio, alla luce dei
pesanti dileggi riservati a chi…
osa pensare liberamente e libe-
ramente esprimersi.
Ciro@...
A lle“sguaiataggini”sia-
mo abituati da millen-
ni. No, non siamo la
scalcagnata e risibile
armata condotta con
prosopopea ridancia-
na da Vittorio Gassman! Dia
tempo al tempo... Molti “profeti di
sventura”, lungo questi 20 secoli
della sua storia hanno pronosti-
cato la “prossima” ingloriosa fine
della Chiesa e dei suoi seguaci.
Non c’hanno azzeccato! Loro sì
sono tutti scomparsi, la Chiesa
no! “Ride bene chi ride ultimo!”,
recita un abusato proverbio; forse
è utile ricordarlo a qualche profe-
tucolo di mezza tacca che imper-
versa sul piccolo schermo, e ne
approfitta per tranciare giudizi e
propagare opinioni in nome di
una “libertà” che crede sia vera
solo se conforme alle sue idee…
Costui/costei/costoro non sanno
che “libertà è innanzitutto
diritto alla disuguaglianza”,
come scriveva Berdjaev. Sbaglie-
rò, ma sono convinto che occorra
tener presente quanto scriveva il
mio grande corregionale Giaco-
mo Leopardi ne “Lo Zibaldone”:
“Niuna cosa maggiormente di-
mostra la grandezza e la potenza
dell’umano intelletto, né l’altezza
e nobiltà dell’uomo, che il poter
l’uomo conoscere e interamente
comprendere e fortemente sen-
tire la sua piccolezza”. Bisogne-
rebbe scriverlo su un cartello e
appenderlo al collo di certi con-
duttori/trici.
Don Giancarlo Manieri
Correzione fraterna
per una regista
Vorrei mi suggerisse le parole
umane e la Parola di Dio adatte
per fare una correzione fraterna a
una regista (ma che può essere
valida per tutti coloro che hanno
responsabilità) sull’immoralità e
conseguenze negative delle sce-
ne di nudo e di erotismo.
Gentile signore/a,
anzitutto distinguerei
eventuali scene di nudo
dalla pornografia. Nel-
la logica di un film il
nudo, a volte, ha un
suo significato. La settima stan-
za, film dedicato a Edith Stein,
ora santa Benedetta della Croce,
OGNI MESE
DON BOSCO
A CASA TUA
Il Bollettino Salesiano vie-
ne inviato gratuitamente a
chi ne fa richiesta.
Dal 1877 è un dono di don
Bosco a chi segue con
simpatia il lavoro salesia-
no tra i giovani e le mis-
sioni.
Diffondetelo tra i parenti e
gli amici. Comunicate su-
bito il cambio di indirizzo.
si conclude in modo significa-
tivo con la protagonista che,
nuda, entra nella stanza della
morte ad Auschwitz. Altra cosa,
invece, scene di nudo e di sesso
insistite e gratuite ai fini di una
rappresentazione.
Che cosa ci sta dietro a tutto ciò?
Business. La pornografia e din-
torni “usa” corpi, gesti sessuali,
emozioni come puri prodotti da
gettare sul mercato e far cassa.
Che altro sarebbe? Non ci fos-
sero “quei” consumatori non si
produrrebbero “quei” prodotti!
Che cosa dire di sensato alla sua
richiesta? Anzitutto, appellarsi alla
responsabilità individuale – come
spesso dicono registi, produttori e
interessati al business – è metter-
si a posto la coscienza con poca
spesa. In realtà, essi negano che
esista una responsabilità morale
– e talvolta penale – anche delle
conseguenze delle proprie scelte
e dei propri comportamenti.
Che cosa addebitare al porno in
tutte le sue salse? La banalizza-
zione e la mercificazione della
persona e del gesto sessuale.
Non sono più uomini e donne
con una loro rispettabile dignità,
bensì oggetti, prodotti finalizzati
a saziare basse emozioni di un
certo pubblico.
Conseguenze educative, umane
su piccoli e grandi? Lo scadi-
mento della relazione, di ogni
relazione, a prestazione. Vali in
quanto sei “utile”, “usabile” per
me: rapporti segnati dal “do ut
des” e da tante solitudini.
Alla regista si può chiedere se tut-
to questo è ininfluente per la sua
coscienza. Mettendo in commer-
cio determinati prodotti erotici e
porno, posso non interrogarmi
sulle ricadute, in particolare, sui
più piccoli, sui preadolescenti,
che, a motivo della loro innata
curiosità, difficilmente si sottrag-
gono alla “tentazione” di vedere
le cose che fanno i più grandi?
Il brutto è che quelle “cose” le
vedono dal buco della serratura:
una sessualità banale e ridotta a
piacevole gioco genitale. La cro-
naca parla.
Gesù con chi scandalizza dei
piccoli è durissimo: «Sarebbe
meglio per lui che una macina da
mulino gli fosse messa al collo e
fosse gettato nel mare, piuttosto
che scandalizzare uno solo di
questi piccoli». Interessante per il
nostro ragionamento è l’intervento
di Paolo contro quei cristiani che
a Corinto e a Roma mangiavano
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Febbraio 2011

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liberamente la carne di animali
sacrificati agli idoli acquistata al
mercato. Per alcuni, con una fede
ancora incerta, non solo mangia-
re quella carne, ma anche vederla
mangiare da dei cristiani era per
loro quasi un ritornare agli idoli di
un tempo. La cosa era molto gra-
ve. Paolo rimprovera quei cristia-
ni, non perché mangiano quella
carne, ma perché non si curano
delle conseguenze sugli altri di
quel loro comportamento. A quel-
li di Corinto scrive: «Badate che
questa vostra libertà non divenga
occasione di caduta per i deboli».
E ai Romani fa questo discorset-
to: «tutte le cose sono pure; ma è
male per un uomo mangiare dan-
do scandalo. Perciò è bene non
mangiare carne né bere vino né
altra cosa per la quale tuo fratello
possa scandalizzarsi».
Al di là della cronaca del tempo,
resta sempre vero che la nostra
libertà è vera se è responsabile,
cioè se tiene conto – per quanto
possibile – anche delle conse-
guenze delle proprie scelte e
decisioni. Ce n’è abbastanza!
Don Sabino Frigato
Docente di Teologia morale
Università Pontificia
Salesiana - Torino
Adottare
una staminale?
Continuo a sentir parlare di cel-
lule staminali, prima mi sembra-
va che la Chiesa fosse contro,
poi mi hanno detto che si pos-
sono adottare! Non ci capisco
più niente!
L e cellule staminali sono
una bella frontiera della
scienza, si conoscono
da oltre 30 anni (noi
italiani siamo leader)
e si utilizzano con di-
screto successo nella cura di un
centinaio di malattie. Una cellula
staminale ha due caratteristiche
fondamentali: la capacità di ri-
prodursi a lungo e la capacità
di riprogrammarsi e dare origine
a cellule specifiche (nervose,
muscolari, del sangue, ecc.).
Si possono prelevare da tessuti
regolari (staminali adulte) op-
pure – si sta cercando ma senza
successo – da tessuti embrio-
nali. La Chiesa (nel documento
Dignitas personae) è contraria a
quelle embrionali, perché preve-
dono necessariamente la morte
degli embrioni, cioè di una vita
nella fase più vulnerabile e in-
difesa; la Chiesa vuole rimane-
re testimone del messaggio di
Cristo a difesa dei soggetti più
deboli e dichiarando che nes-
suno può disporre di una vita, a
maggior ragione se fragile. Oggi
è anche possibile «riprogram-
mare» con l’ingegneria genetica
quelle adulte, perché si compor-
tino un po’ come quelle embrio-
nali (staminali iPS), e questo
andrebbe bene per la Chiesa in
quanto tessuti adulti, ma i primi
risultati non sono positivi: dan-
GESÙ
AVREBBE
POTUTO ESSERE
UNA BAMBINA?
Nella grotta di Betlemme
Giuseppe e Maria avrebbe-
ro cullato una bambina. Più
tardi, sarebbe diventata capo
degli apostoli, e l’avrebbero
chiamata Figlia di Dio...
Possibile o no? Gesù avrebbe
potuto essere una ragazza?
Niente è impossibile a Dio.
Mandando il proprio figlio a
nascere e a crescere tra noi,
avrebbe potuto scegliere che
fosse una donna anziché l’uo-
mo Gesù. O anche un cinese,
o un uomo del 32° secolo, o
una giovane disabile.
Ma Dio ha fatto la sua scelta.
Egli è libero! Mandando Gesù
tra noi, ha scelto un’epoca e
un popolo, il popolo ebraico.
E là, per essere riconosciuto
come l’inviato di Dio, Gesù
non poteva essere una don-
na. Perché il popolo ebraico
attendeva proprio un inviato
di Dio, un «Messia». I profeti
avevano annunciato che sa-
rebbe stato un discendente di
Davide, non una discendente!
Gesù è nato maschio. Questo
non vuol dire che le femmine
contino di meno! Gesù è ve-
nuto in terra per tutto il mon-
do, per le donne come per gli
uomini, di tutti i tempi e di
tutti i continenti.
Mamma Margherita
no origine a tumori, come quelle
embrionali.
Circa l’adozione delle stami-
nali, si tratta di iniziative che
mirano lodevolmente a coin-
volgere la società e le singole
persone per contribuire econo-
micamente alla sperimentazio-
ne di queste cellule in malati
con forme degenerative come
ad es. la Sla e il morbo di Tay-
Sachs. I costi per la produzione
delle staminali è alto e i finan-
ziamenti pubblici non saranno
mai sufficienti; occorre una
gara di solidarietà e generosità.
«Adottare» una cellula – per
ciò che poi potrà diventare,
cioè una cellula «guaritrice» di
una grave malattia – significa
sentirsi compartecipi di questo
processo terapeutico, adottan-
do e facendo crescere cellule
che – come il Buon Samarita-
no – tendono a sollevare quanti
sono nella sofferenza. In Italia
leader di questa sperimenta-
zione è proprio un ospedale
cattolico fondato da padre Pio,
la Casa Sollievo della Sofferen-
za; il medico è il prof. Vescovi,
autorità universalmente ricono-
sciuta nel settore. Sì, adottiamo
una staminale.
Prof. D. Giovanni Russo
Direttore della Scuola
Superiore di Bioetica e
Sessuologia – Messina
bioeticalab@itst.it
Per la vostra corrispondenza:
IL BOLLETTINO SALESIANO
Casella post. 18333
00163 ROMA - Bravetta
fax 06.65612643
E-mail: biesse@sdb.org
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SALESIANI NEL MONDO
DI MIGUEL ANGEL RUIZ SDB
L’alfiere
Il coraggio
di testimoniare
Cristo in Pakistan
e le pallottole
«Perché continui ad essere cristiano?»
ho chiesto ad un giovane che se la passava
male proprio per questo nel Campus
dell’Università. Il giovane guardandomi,
Sul mio tavolo tengo due oggetti partico-
lari: un accendino che ha la forma di una
pallottola e un pezzo degli scacchi, un al-
fiere. Tutte e due le cose sono fabbricate
in Pakistan e hanno una relazione con il
mondo musulmano.
un po’ confuso, sommessamente rispose:
I proiettili da fucile perché purtroppo i musulma-
«Padre, e che cosa sono se non sono cristiano?». ni sono presenti nel 90 per cento dei conflitti del
mondo. Non lo dico io. Lo ha detto il generale
Musharraf, ex presidente del Pakistan, all’inizio del
suo mandato nel Parlamento e non gli mancavano
le ragioni. Invitava i politici del Pakistan a riflettere
sul motivo per cui una religione che si dice di pace
e tolleranza fosse percepita dentro e fuori dei paesi
musulmani come una minaccia: Cina, Filippine,
Cecenia, Thailandia, Sudan, America, Indonesia,
Europa, Medio Oriente, India, Egitto…
Un fenomeno globale degno di essere studiato.
Il pezzo degli scacchi invece ci ricorda un mon-
do islamico del tutto differente. Un mondo in
cui brillava la scienza, si coltivava il dialogo e si
incoraggiava la cultura. Nacquero in questo mon-
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Febbraio 2011
Giovani e scacchi nel centro salesiano
di Lahore: incontro di civiltà e di persone.

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do musulmano, già molti secoli fa, tanto il gioco
degli scacchi come gli strumenti di navigazione
che tanto importanti sarebbero stati per l’esaltan-
te epopea del Nuovo Mondo.
Disgraziatamente questa civiltà culturalmente
così vivace, fu distrutta dalla spinta di un Islam
violento ed espansionista, non interessato al dia-
logo ma alla sottomissione di ogni essere vivente.
A poco a poco gli stati islamici si ridussero ad un
gruppo di paesi del Medio Oriente, separati dal
resto del mondo scientificamente e tecnologica-
mente.
Questa situazione cambiò radicalmente con lo
sviluppo economico portato dal petrolio. Il mon-
do musulmano ha pagato un prezzo molto alto
per questo, non in denaro, ma in forti contrasti.
Negli anni Settanta comincia il flusso migrato-
rio verso l’Europa e altri continenti. Comincia
un nuovo espansionismo non sempre pacifico e
rispettoso. L’Arabia Saudita, ricchissima, trovò un
alleato a maggioranza sunnita che aveva bisogno
di tutto, il Pakistan. E l’Arabia cominciò a finan-
ziare un sistema educativo incentrato sulle scuo-
le islamiche in cui viene insegnato soprattutto il
Wahabismo, una forma di interpretazione radi-
cale dell’Islam. In Pakistan esistono decine di mi-
gliaia di queste scuole. Gli studenti sono sempre
pronti a dimostrare per la purezza dell’Islam.
Lo stesso generale Musharraf fu minacciato
da violente dimostrazioni per aver osato toc-
care la tristemente famosa legge sulla
“blasfemia”.
Già a undici anni ci sono ragazzi
che imparano a picchiare e a
uccidere nel nome di una
interpretazione del Co-
rano. A sedici anni sono
pronti a mettersi una cintu-
ra di esplosivi e a diventare martiri.
Parliamo di una cultura comple-
tamente diversa dalla nostra. L’an-
no scorso, a Quetta, durante la festa
dell’Agnello, ho visto giovani correre orgogliosa-
mente per le strade con le mani e i vestiti insangui-
nati, perché chi ha sangue sulle mani e sui vestiti
ha sacrificato l’agnello in modo corretto.
Dobbiamo fare alcune riflessioni importanti.
La Chiesa si avvicina all’Islam con tutto il rispetto
che merita una fede professata da milioni di per-
sone dal cuore buono. Entrambe le religioni hanno
un nucleo umano in cui possiamo ritrovarci.
Un profondo malessere dilania il mondo islamico
per colpa di una minoranza violenta e radicale. Fa
paura perché fosse anche solo l’uno per
cento su un milione, sono almeno die-
cimila persone pronte ad “esplodere”.
Il governatore del Punjab, la pro-
vincia più popolosa e ricca del pae-
se asiatico, Salman Taseer, è stato
ucciso il 4 gennaio da una
delle sue guardie del corpo.
Aveva visitato nel carcere
di Sheikhupura (nei pressi
di Lahore) la donna cristiana
condannata all’impiccagione nel
novembre scorso per presunto
oltraggio al profeta Maomet-
to, Asia Bibi, e si era espresso
pubblicamente a favore della
Don Julio Palmieri
e don Miguel Ruiz
nelle strade per la
messa domenicale
vicino alla scuola
salesiana.
Sotto: un cucitore
di palloni da calcio.
Febbraio 2011
9

1.10 Page 10

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SALESIANI NEL MONDO
I SALESIANI PER IL PAKISTAN
Lahore. Don
Miguel Ruiz mostra
uno dei primi libri
in lingua locale su
don Bosco.
revisione della molto discussa legge pakistana sulla
blasfemia, definendola persino una “norma oscura”.
La deputata musulmana Sherry Rehman ha det-
to: «Se non agiamo ora, questa marea ci inghiot-
tirà tutti». Il ministro per le Minoranze, Shahbaz
Bhatti, ha parlato di un “atto vigliacco”, il quale
«dimostra che gli estremisti religiosi vogliono im-
porre la loro agenda per terrorizzare la società».
In terzo luogo, non possiamo nascondere le colpe
di una politica internazionale egoistica che ha ag-
gravato la situazione: chi comanda oggi in Afgha-
nistan? Chi ha addestrato i mujaheddin per farli
combattere contro i russi (e Osama Bin Laden era
uno dei guerriglieri)? Chi ha dotato il Pakistan
della capacità nucleare che oggi possiede?
Nella morsa di una crescente aggressio-
ne i cristiani continuano a testimoniare
la loro fede. Anche se vivono come
cittadini di terza e quarta categoria…
Si può essere condannati anche solo per aver
bevuto allo stesso pozzo con un musulmano, i
bambini non possono giocare a “guardie e ladri”
perché porterebbe a “toccare” un musulmano in-
quinando la sua purezza.
Ho conosciuto personalmente casi di ragazzi
I salesiani hanno fatto e stanno facendo un magnifico
lavoro: «Quello che fate oggi per il Pakistan è un gran-
de contributo, che non potrà mai essere dimenticato»
ha dichiarato un generale pakistano a don Ruiz, diretto-
re a Lahore, ringraziandolo per l’operato dei salesiani.
«Abbiamo visto tanti bei sorrisi, racconta don Ruiz,
che ci hanno ripagato di una settimana piena di lavo-
ro. Trenta dei nostri giovani sono diventati eroi della
comunità cristiana, ed hanno ricevuto innumerevoli
elogi da parte delle autorità musulmane; ma la cosa più
importante è che hanno costruito ponti importanti di
tolleranza e rispetto tra i popoli di diverse fedi: indù,
musulmani e cristiani».
Nel centro Don Bosco di Quetta, sede di un vasto cam-
po d’accoglienza per le moltissime famiglie fuggite
dalle regioni del Sindh e del Punjab, don Peter Zago
prosegue a dirigere le attività di sostegno ai profughi.
«Il nostro obiettivo iniziale di raggiungere 1500 fami-
glie si è concretizzato. Ora bisogna avviare la seconda
fase: aiutarle a tornare alla loro terra e recuperare casa
e coltivazioni» ha scritto in una lettera inviata al Consi-
gliere per le Missioni, don Václav Klement.
(ANS, settembre 2010)
che non trovano lavoro solo perché hanno nomi
cristiani: Pietro, Giovanni, Alberto, Marco… E
molti altri che ho portato al Centro perché potes-
sero mangiare in pace.
Ed uno si domanda alla fine di ogni giorno: Come
fanno a continuare ad essere fedeli al Vangelo?
«Perché continui ad essere cristiano?» ho chiesto
ad un giovane che se la passava male per questo
nel Campus dell’Università. Il giovane guardan-
domi, un po’ confuso, sommessamente rispose:
«Padre, e che cosa sono se non sono cristiano?»
Compresi che l’essere cristiano è molto più che
una forma di pratica religiosa. L’essere cristiano
è qualcosa che impregna di tale maniera questa
gente che perderebbero la loro identità se venisse
a mancare. Solo così si può capire perché l’Ar-
civescovo di Lahore ha dovuto scrivere una let-
tera pastorale ai cristiani di Lahore affinché non
tormentassero un famoso giocatore di cricket che
era cristiano e idolo dei giovani e si era convertito
all’Islam per ragioni puramente opportunistiche.
Il padre del giocatore è morto di dispiacere e la
moglie lo ha abbandonato e i cristiani sentono
10
Febbraio 2011

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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Il Pakistan ha la sesta maggior popolazione mondiale.
Ciò, unito a un alto tasso demografico, significa che il
Pakistan dovrebbe diventare la terza nazione più popo-
losa del mondo entro il 2050. Le percentuali di appar-
tenenti alle diverse religioni sono: Islam 173000 000
(97%) (dei quali circa 80% sunniti e 20% sciiti); In-
duismo 3200 000 (1,85%); Cristianesimo 2 800 000
(1,6%).
dolorosamente il suo tradimento.
A scuola, i cristiani sono discriminati e riescono a
portare a termine gli studi solo a prezzo di enormi
sacrifici. Un ragazzo di 16
anni è stato assassinato
solo perché si era di-
plomato. Un imam
ha gridato in una
moschea: «Se i cri-
stiani studiano, dove
troverete gli schiavi?».
Profughi pakistani.
I salesiani sono
sempre stati in prima
linea nelle recenti
tragedie che hanno
funestato il Pakistan.
In mezzo a questa situazione difficile,
radicale e di abbandono estremo del-
la gioventù, sorge nell’anno Duemila il
Don Bosco Technical Center, un centro
di Formazione Professionale iniziato
con 10 giovani e che oggi conta su 150
giovani cristiani nell’internato ed altri
100 alunni esterni, compresi dei giovani
musulmani.
Il Vicario Generale della Diocesi ha dichiarato:
«Il Pakistan ha bisogno di iniziative educati-
ve come il Don Bosco Technical Center, perché
sono quelle che danno risposta alle necessità dei
nostri giovani».
Un Centro dove si insegna agli studenti a giocare
a scacchi nel tempo libero ed a fabbricare i pez-
zi del gioco come il mio alfiere, fatto dai nostri
alunni per i benefattori del Centro.
Ai giovani vogliamo insegnare a pensare, a for-
marsi una coscienza critica, a vivere con fermezza
nel rispetto di tutti. Un Centro con un’identità
marcatamente cattolica nella quale i non cattolici
e i musulmani si integrano in maniera perfetta
per una semplice ragione: le regole sono molto
chiare fin dal primo colloquio con i genitori di
qualunque futuro studente.
Stiamo facendo autentici sforzi per arrivare a
quelli che non si sentono Chiesa ma fanno
parte della nostra società e con i quali
condividiamo la stessa eredità cultu-
rale, umana e civile.
Febbraio 2011
11

2.2 Page 12

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FINO AI CONFINI DEL MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
REPUBBLICA
DEMOCRATICA
DEL CONGO
Clarisse,
una storia
di speranza
Nel mese di ottobre 2010 il centro salesiano
di Goma-Ngangi ha accolto una bambina di
circa 8 anni, Clarisse, giunta accompagnata
dalla Croce Rossa insieme al fratello maggio-
re Jean. La piccola era stata rapita mentre, in-
sieme al resto della famiglia, viaggiava su un
pullman per raggiungere il papà, trasferitosi
per lavoro da Kalemie a Kisangani, ad oltre
1000 km di distanza. Liberata dopo poche
ore dall’esercito regolare, Clarisse è rimasta
ferita, per salvarla i medici le hanno dovuto
amputare una gamba. Nel centro salesiano
Clarisse, nonostante l’esperienza vissuta, è
sempre sorridente e ha fatto rapidamente
amicizia con gli altri bambini ammalati. Ha
ripreso a camminare e a breve le sarà impian-
tata una protesi. Jean, intanto, le è sempre
accanto.
SPAGNA
L’editrice
Edebé crea
applicazioni
per iPad
e iPhone
L’editrice salesiana Edebé,
di Barcelona, adatta i suoi
libri per ragazzi all’iPad e
all’iPhone. Le prime ap-
plicazioni sviluppate sono
destinate all’educazione
dei più piccoli e hanno per
protagonisti l’esuberante
Vito e il coniglietto Tupi.
L’applicazione di Vito,
che s’ispira al libro “Mi
sono fatto la pipì” di Anna
Canyelles, trasforma un
vecchio problema che
affligge molti bambini e
genitori in una bella storia
che aiuta a sviluppare
fiducia in se stessi.
L’applicazione di Tupi
consente ai ragazzi di sco-
prire nuove parole e il loro
significato. Ogni scherma-
ta, combinando immagini,
testo e audio, presenta un
oggetto e il suo nome.
Le applicazioni sono
disponibili su www.edebe.
com/apps/ in spagnolo,
inglese e francese.
SLOVACCHIA
Piccolo miracolo
a Luník IX
L’8 novembre, nel
quartiere rom “Luník
IX”, a Košice, monsi-
gnor Bernard Bober, arcivescovo della città,
ha consacrato una chiesa dedicata a Cristo
Risorto. “Avete accettato l’invito a lavorare
anche in questo quartiere ed il Signore vi
benedirà” – ha detto nell’omelia l’arcivesco-
vo. La festa, che si è prolungata per oltre
due ore e mezza, è stata animata dai canti
del coro locale di bambini zingari guidati
da una giovane volontaria. La nuova chiesa
completa la struttura dell’opera salesiana,
che comprende anche l’abitazione per la
comunità e gli spazi per l’oratorio. L’intero
progetto, del valore circa di 700mila euro,
è stato reso possibile anche grazie a contri-
buti venuti dall’estero, soprattutto ai fondi
raccolti in occasione della Giornata Mis-
sionaria Salesiana 2010 dedicata all’azione
pastorale salesiana tra le popolazioni rom.
A Luník IX da oltre 20 anni Salesiani,
Figlie di Maria Ausiliatrice e volontari lavo-
rano nell’insegnamento della religione nelle
scuole e nelle attività oratoriane con circa
1200 giovani Rom.
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Febbraio 2011

2.3 Page 13

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BRASILE
Lo sport
come
trasformazione
sociale
I Salesiani di Don Bosco, le Missioni
Salesiane, la “Fundación Real Madrid” e
la “Fundación Mapfre” hanno avviato il
progetto “Cittadinanza attraverso lo sport”.
Il programma, favorendo l’accesso all’attività
sportiva, offre un percorso di trasformazione
di vita a circa un centinaio di ragazzi e ado-
lescenti tra i 6 e i 15 anni che vivono in una
situazione di vulnerabilità sociale nella zona
nord di Río de Janeiro. Nel Centro giova-
nile saranno proposte 5 discipline sportive:
calcio, calcio a 5, pallamano, pallacanestro e
pallavolo. Alla presentazione del progetto e
all’inaugurazione dei campi, avvenuti il 17
novembre 2010, c’era anche Emilio Butra-
gueño, ex stella del Real Madrid degli anni
’80, che ha commentato: “Vogliamo che
attraverso lo sport i bambini imparino i va-
lori, si conoscano meglio e possano svagarsi,
perché i bambini devono essere felici
e divertirsi”.
FILIPPINE
Al lavoro per
il reintegro
dei giovani
carcerati
Il crescente numero
di casi di delinquenza
giovanile nelle Filippine
ha spinto i salesiani
dell’Ispettoria delle
Filippine Sud a creare una
nuova istituzione che, in
collaborazione con la ONG
tedesca “Konrad Adenauer
Stiftung Foundation”,
accompagnerà i giovani
carcerati nella fase di
reintegro nella società.
La prima sede in cui verrà
sperimentato il progetto
sarà Cebu, città in cui si
verificano circa il 30%
dei crimini commessi da
minori di tutto il paese.
“Il governo implementa
solo i primi 2 passi dei
6 necessari alla riabi-
litazione giovanile. Per
questo, come volontari,
agiamo per la successiva
gestione ed attuazione
delle restanti fasi della
riabilitazione”, ha spiega-
to il salesiano don Fidel
Orendain.
INDIA
Il Nuovo
Testamento
in lingua tiwa
Don U.V. Jose,
salesiano missionario, ha curato una nuova
traduzione del Vangelo in lingua tiwa,
l’idioma parlato dalle tribù che abitano le
colline del distretto di Karbi Anglong e le
spianate dei distretti Morigaon e Kampur,
nello stato di Assam dell’India orientale.
La nuova traduzione, ufficialmente appro-
vata e rilasciata dal vescovo della diocesi di
Diphu, monsignor John Moolachira DD,
segue una precedente edizione curata da un
altro salesiano, don Michael Balawan. “La
lettura del Vangelo da sola non rende una
persona cattolica o cristiana, – ha com-
mentato il vescovo – ma sicuramente rende
una persona buona e pacifica e un cittadino
migliore”. Per il suo operato don U.V. Jose
è stato insignito della più alta onorificenza
della tribù Tiwa.
Febbraio 2011
13

2.4 Page 14

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L’INVITATO
DI MARIA ANTONIA CHINELLO
Madre
Yvonne
Reungoat
Madre Yvonne Reungoat, francese, dal 2008 è Superiora
generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Una svolta storica,
dopo 136 anni di storia dell’Istituto, che si riallaccia alle origini:
la Francia è il primo Paese oltre i confini italiani dove don Bosco
e Maria Domenica Mazzarello hanno inviato rispettivamente i
Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice. Una nuova maternità
spirituale che “la Madre” scandisce con i verbi accogliere, farsi
carico, avere cura, non stancarsi di andare là dove c’è una vita
da accendere, un barlume di speranza da attivare, un briciolo
di amore da seminare. Con gioia, speranza, fiducia.
Con cuore
missionario
Com’è nata la sua vocazione?
In famiglia avevo uno zio salesiano
missionario in Canada e si riceveva il
Bollettino Salesiano. Fu così che i miei
genitori scoprirono l’esistenza di una
scuola delle Figlie di Maria Ausiliatri-
ce vicino alla città di Dinan, in Breta-
gna (Francia), dove potei frequentare
gli studi. Sono stata immediatamen-
te colpita dal clima di famiglia che
vi regnava. Un giorno, la domanda
a bruciapelo della direttrice, mi rese
pensosa: «Hai mai pensato alla vita
religiosa?». Questa domanda diretta
mi fece ricordare il desiderio di far-
mi religiosa che coltivavo in cuore già
prima di conoscere le suore. Lo avevo
lasciato cadere pensando all’impossi-
bilità della risposta. Devo riconoscere
che la direttrice di Dinan è stata una
vera accompagnatrice e che il clima
educativo della comunità ha sostenu-
to il mio cammino. Le FMA aveva-
no l’arte di renderci protagoniste. Ci
affidavano piccole responsabilità ade-
guate alle nostre possibilità, così da
aprirci al servizio verso gli altri. Forse,
senza quella domanda, non sarei mai
stata Figlia di Maria Ausiliatrice.
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Febbraio 2011
Madre Yvonne con i giovani
di Ljubliana, Slovenia.

2.5 Page 15

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Lei è stata sei anni
missionaria in Africa. Come
mai questa scelta?
L’andare in Africa non è stato anzi-
tutto una scelta, ma un’obbedienza
ricevuta. I miei contatti con l’Africa
risalgono al tempo in cui ero Ispet-
trice in Francia (1983-1989). La co-
munità del Gabon era stata avviata
nel 1971 dall’Ispettoria Francese in
risposta alla richiesta dell’Arcivescovo
di Libreville, monsignor Anguilé. Ho
amato fin dal primo momento que-
sta realtà. Mi sono sentita interpel-
lata profondamente a donare la mia
vita fino a perderla: questa è la verità
dell’amore, più forte della vita. La mia
vocazione missionaria è maturata nel
tempo e ha trovato conferma nella ri-
chiesta esplicita di madre Marinella
Castagno, allora Madre generale, di
andare come delegata delle Ispettrici
di Spagna e di Francia per coordinare
le comunità del Progetto Africa.
Questa esperienza è stata molto ric-
ca e mi ha cambiata. Accompagnare
la crescita del carisma in questa parte
dell’Africa ha costituito un’avventura
profonda: accettare con gioia e amore
che Dio disponesse radicalmente della
mia vita; distaccarmi dai miei schemi,
dalla mia esperienza per aprirmi alla
novità e ricchezza di culture diverse;
lasciandomi toccare dai grandi valori
spirituali e umani dei popoli con cui
ero in contatto; andare all’essenziale
in una realtà dove la povertà era mol-
to estesa. L’interpellanza proveniente
dalle grandi differenze, disuguaglian-
ze e dall’ingiustizia strutturale del
mondo ha fatto prendere sempre più
coscienza della priorità dell’educazio-
ne per aiutare a uscire dalla povertà.
L’apertura delle giovani e dei giovani
era uno stimolo permanente per cer-
care di rispondere alle loro attese e
per infondere speranza nel futuro.
Devo riconoscere che l’apertura svi-
luppata negli anni in cui ero missio-
naria in Africa mi aiuta oggi a spalan-
carmi al mondo che mi è stato affidato
nella nuova missione. L’Africa mi ha
fatto sperimentare quanto la persona
umana sia importante e quanto le re-
lazioni siano fattore di umanizzazio-
ne, canale privilegiato attraverso cui
Dio si comunica.
2008-2011: quasi tre anni di
guida e di governo. La gioia
più bella e la fatica più grande.
Una delle gioie più grandi è quella di
constatare che le mie sorelle FMA
crescono nella comunione, hanno un
respiro missionario, sperimentano la
bellezza di sentirsi dentro un progetto
carismatico e irradiano intorno a loro
la luce della Presenza divina che le
abita. Oso a volte modificare la con-
La Madre accolta con entusiasmo a Benguela,
Angola, durante uno dei suoi viaggi per incontrare
la sue suore.
siderazione di don Bosco: “L’Istituto
avrà un grande avvenire se vi man-
terrete semplici, povere, mortificate”.
Io aggiungo mentalmente, “e missio-
narie”. La mia stessa vocazione è il
frutto della semina missionaria delle
FMA in Francia. Sono felice quando
accolgo una vocazione missionaria. La
fatica maggiore è quella di constatare,
in alcune parti del mondo salesiano, la
scarsità di vocazioni e, di conseguenza,
la sofferenza di dover dire dei “no” alla
richiesta di aperture di nuove presenze
delle FMA in alcuni Paesi.
Lei è una donna di ascolto.
Come concilia questa arte e
gli impegni pressanti che la
portano ad avere sempre la
valigia pronta?
L’ascolto è atteggiamento interiore,
non anzitutto questione di tempo.
Credo che l’essere lì, totalmente pre-
Febbraio 2011
15

2.6 Page 16

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L’INVITATO
sente nell’incontro con una persona,
aiuti a liberare spazio da dedicarle per-
ché conta l’intensità della relazione.
In linea di massima non sono le tante
cose da fare a sottrarre del tempo, ma
la dispersione interiore. Essere atten-
ti all’altro è un guadagno prezioso a
tutti i livelli. Vorrei che l’incontro con
le persone fosse sempre un incontro
senza orologio perché centrato sulle
loro esigenze. Non sempre è possibile,
ma è un mio preciso impegno.
Le Figlie di Maria Ausiliatrice
sono presenti in 93 paesi. Se
si disegnasse una mappa, che
disegno risulterebbe?
La mappa più significativa è quella
della solidarietà che ci spinge ad anda-
re verso i Paesi più poveri o a sceglie-
re le periferie, i luoghi dove il bisogno
educativo diventa talvolta emergenza.
Sarebbe il disegno di una grande rete
di solidarietà e di condivisione.
Penso che la convergenza delle risorse
dei diversi gruppi della Famiglia sa-
lesiana sia una preziosa opportunità
per rispondere a questa sfida. Occor-
re però che ciascuno di essi viva con
radicalità la propria vocazione per
essere testimone credibile e visibile
dell’amore preveniente di Dio per le/i
giovani. Come FMA siamo convin-
te di dover puntare sulla formazione
di comunità mistiche e profetiche.
Soltanto da radici vivificate possono
spuntare nuovi germogli di speranza.
Nei suoi viaggi, un
appuntamento particolare è
riservato ai giovani. Che cosa
le regala questo momento?
L’incontro con le giovani e i giovani
è sempre un momento di scambio ar-
ricchente, una possibilità non solo di
donare, ma di ricaricare il proprio en-
tusiasmo. Quando guardo i loro volti
e ascolto le loro domande, comprendo
davvero che essi sono la speranza del-
la Chiesa e del mondo. A patto che
noi adulti non rubiamo i loro sogni,
che sappiamo essere accanto donando
fiducia, regalando amore vero, orien-
tandoli a Gesù. È Lui che i giovani
veramente cercano, talvolta senza sa-
perlo. La loro presenza è un invito a
rendere chiara la nostra proposta, sti-
mola a porre segni chiaramente leggi-
bili di amore preveniente nel solco del
carisma salesiano. Con loro mi sento
più giovane e fiduciosa nel futuro. Si
rafforza in me la chiamata per tut-
to l’Istituto ad accompagnarli verso
Gesù e ad accoglierli in Lui.
I giovani sono spesso definiti
“la generazione del senza”:
senza ideali, valori, lavoro…
per lei, invece…?
Certamente l’emergenza educativa
pone in rilievo alcuni elementi che
fanno pensare alla “generazione del
Secondo lei, quali sono le
sfide più grandi a cui, come
Famiglia salesiana sparsa
nel mondo, siamo chiamati?
E in particolare, per le Figlie
di Maria Ausiliatrice oggi nel
mondo?
La sfida che oggi interpella con par-
ticolare forza la Famiglia salesiana è
l’emergenza educativa. La Famiglia
salesiana è nata dal cuore di don Bo-
sco per essere nella Chiesa risposta di
salvezza per le giovani generazioni.
Madre Yvonne sommersa dall’affetto
dei piccoli di Benguela.
16
Febbraio 2011

2.7 Page 17

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Madre Yvonne con il Rettor Maggiore e il suo
Vicario Adriano Bregolin, alla presentazione della
Strenna 2011.
senza”. Ma si tratta di generalizza-
zioni, senza per questo negare le gravi
problematiche che affliggono il mon-
do giovanile. Occorre recuperare una
rinnovata fiducia reciproca e interge-
nerazionale che porti a scommettere
sulle giovani generazioni. Don Bosco
ci insegna che in ogni giovane c’è un
punto accessibile al bene, vi sono delle
positività su cui far leva. Scoprirle è
l’arte di ogni educatrice. Benedetto
XVI richiama la responsabilità de-
gli adulti nei confronti dei giovani.
Dovremmo puntare su un cambio
di mentalità, a partire da gesti quoti-
diani che promuovano una società del
farsi carico.
Qual è l’obiettivo più
importante per la Famiglia
salesiana?
Siamo una grande famiglia, non solo
come gruppi specifici della Famiglia
salesiana, ma come comunità edu-
cante. Rappresentiamo una risorsa
di senso, di comunione, di speranza.
Condividiamo nella Chiesa lo stesso
carisma, scintilla di vangelo in grado
di illuminare il mondo, di svelare il
vero significato della vita e del futuro
che ci attende.
Don Bosco aveva intuito la for-
za dell’unità e della convergenza e
coinvolse tutti quelli che potevano
collaborare nella sua opera educativa
a favore dei giovani più poveri. Que-
sto coinvolgimento è possibile anche
oggi. A patto che la comunione nel-
la diversità prevalga sulla divisione,
la solidarietà sulla discriminazione,
la condivisione sugli interessi perso-
nali. Se mettiamo da parte l’eccessi-
vo protagonismo e l’autosufficienza
per entrare nel progetto carismatico,
saremo più collaborativi, più effica-
ci nella proposta anche vocazionale.
Offriremo la testimonianza che è
possibile un mondo ricco di qualità
umana e spirituale: un mondo in cui
giovani e adulti si danno la mano per
camminare insieme verso traguardi
umanizzanti, ricchi di fiducia, di qua-
lità relazionale e, soprattutto, della
presenza di Dio amico della persona
umana e del suo futuro. Sento la re-
sponsabilità grande di contagiare il
carisma ai laici.
FMA: “programmi di futuro”,
“sogni nel cassetto”?
Non ho programmi in proprio, ma
quelli che il Capitolo generale XXII
ha tracciato per l’Istituto: essere se-
gno ed espressione dell’amore preve-
niente di Dio per le giovani genera-
zioni. Il mondo giovanile è assetato
di verità e di amore e, nonostante
l’apparente refrattarietà e le situazio-
ni di fragilità, è aperto ai valori fon-
damentali dell’esistenza, dell’amore
autentico, delle relazioni, del senso
ultimo della vita. Privarli di accom-
pagnamento nel loro faticoso per-
corso per raggiungere questi beni è
privarli del futuro.
Il sogno nel cassetto è quello di un
Istituto che continua unito, nono-
stante la sua espansione; diverso nella
ricchezza delle culture in cui si espri-
me; orientato decisamente alla ricer-
ca di una rinnovata fedeltà al vangelo
e al carisma, capace di parlare alle
giovani generazioni e di convertirsi
continuamente all’amore, in grado di
rivivere la spinta missionaria con la
freschezza degli inizi carismatici, così
da irradiare nel mondo gioia, speran-
za, amore.
Febbraio 2011
17

2.8 Page 18

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ESPERIENZE
DI O. PORI MECOI
Un salesiaanlol’ONU
Nell’alveare brulicante della sede del-
le Nazioni Unite c’è un salesiano. Lo
si distingue dalla sincerità, la pazien-
za, la sorridente disponibilità.
Si chiama Tom Brennan ed ha un
compito delicato e ignorato.
Come spesso accade, tutto comin-
ciò con un ex allievo peruviano che
lavorava alle Nazioni Unite di New
York. Si accorse che molti ordini reli-
giosi erano affiliati all’organizzazione
mondiale, ma mancavano i salesiani
che hanno opere in 130 degli stati
membri dell’ONU.
Padre Tom Brennan
porta nel più importante
organismo del mondo
la voce dei salesiani
e dei loro giovani.
Dopo una serie di colloqui e un
serrato dialogo con gli organismi
competenti, i salesiani sono ufficial-
mente rappresentati all’ONU dal
2003. Nella persona di padre Tom
Brennan. Questo consente ai salesia-
ni di essere ammessi ai dibattiti che
si tengono nelle assemblee con inter-
venti scritti e orali. È anche il ricono-
scimento ufficiale della nostra società
come ONG (Organismo non gover-
nativo) particolare che sta dando un
contributo esclusivo ed è coinvolta e
presente in tutto il mondo.
«I salesiani sono all’ONU sotto la
bandiera delle Missioni Salesiane
perché vogliamo partecipare alle
discussioni che influenzano la vita
delle persone che serviamo e far
udire la voce dei giovani e delle
popolazioni più vulnerabili. Come
altre ONG, cerchiamo di compren-
dere le voci di coloro che serviamo,
ricordando ai governi e ai leader
che le persone sono direttamen-
te influenzate dalle decisioni che
vengono prese, e che le politiche e
le pratiche devono essere di bene-
ficio al maggior numero di persone
per valorizzare il bene comune. Le
decisioni devono essere prese dopo
un’attenta valutazione dei bisogni
delle persone.
I principi guida che orientano il
nostro lavoro di “avvocati” dei giovani
sono quelli del Vangelo tradotto nella
Dottrina Sociale della Chiesa».
Perché i giovani
possano parlare
Padre Tom Brennan fa parte di una
serie di comitati di ONG ed è stato
eletto nei comitati esecutivi di alcuni
di loro. È Copresidente del Comitato
in materia di AIDS, Tesoriere del
Comitato sulle migrazioni; fa parte
del nucleo decisionale della Com-
missione per lo Sradicamento della
Povertà e membro del Comitato
Esecutivo del Dipartimento per la
Pubblica Informazione, dove ricopre
18
Febbraio 2011

2.9 Page 19

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L’ANNO DEI GIOVANI
il ruolo di presidente della commis-
sione di nomina. Partecipa attiva-
mente a molti altri organismi.
Padre Brennan ha organizzato una
serie di eventi paralleli durante le
Commissioni e le Conferenze delle
Nazioni Unite, talvolta sponsoriz-
zati dagli stessi salesiani che si sono
occupati di HIV/AIDS, migrazione,
povertà, diritti umani, istruzione, in-
clusione sociale e ruolo delle comu-
nità religiose nella società.
Grazie a lui salesiani, collaboratori
laici e giovani provenienti da Sudan,
Sud Africa, Kenya e Australia
nonché da vari stati degli Stati Uniti
sono riusciti a parlare nelle severe e
inaccessibili assemblee delle Nazioni
Unite. Proprio come papa Bene-
detto, Barack Obama e la regina
Elisabetta.
«I salesiani
fanno un incre-
dibile lavoro
con e per conto
dei giovani,
ma non siamo
abbastanza
bravi a presen-
tarlo e a pubbli-
cizzarlo».
Questo è per l’ONU l’anno dei giovani. Il motto è “Il
nostro anno, la nostra voce” mentre il tema è «Dialo-
go e comprensione vicendevole».
Questo anno internazionale mira a promuovere ideali di pace, ri-
spetto dei diritti e solidarietà tra le generazioni, le culture, le re-
ligioni e le società. Tutti devono imparare a investire sui giovani.
I giovani tra i 15 e i 24 anni rappresentano il 18% della
popolazione mondiale, cioè 1,2 miliardi di persone. L’87% dei
giovani vive nei paesi in via di sviluppo e perciò soffre di acces-
so limitato alle risorse, alle cure sanitarie, all’educazione, alla
formazione, al lavoro e alla vita economica.
L’ONU è cosciente che i giovani di tutti i paesi sono la risorsa
umana primaria per lo sviluppo, il progresso sociale e l’innovazione tecnologica. I loro ideali,
la loro energia e la loro concezione del mondo sono essenziali per il raggiungimento dello
sviluppo dei paesi in cui vivono.
La presenza alle Nazioni Unite è uno
dei modi che la Congregazione si è
data per impegnarsi maggiormente
nelle organizzazioni internazionali
in modo da aumentare il bene che
si può fare.
Se nascondiamo la nostra luce
sotto il moggio, o l’informazione
è condivisa solo in una rete mol-
to chiusa e ristretta, anche il bene
che può essere fatto per i giovani è
limitato. Mettendoci in relazione
con gli altri, impariamo da loro e a
loro volta essi possono imparare da
noi. Mi sono sentito quasi imbaraz-
zato quando colleghi che lavorano
nei paesi in via di sviluppo o mem-
bri delle delegazioni di quei paesi,
vedendo il mio cartellino con don
Bosco sopra, hanno incominciato a
descrivermi il meraviglioso lavoro
che i salesiani fanno nel loro paese
soprattutto per i giovani più poveri
e vulnerabili.
Qui parlano tutti di don Bosco e dei
salesiani con grandissima stima.
«È molto importante ricordare che
non esiste un solo problema discus-
so alle Nazioni Unite che non abbia
effetto sui giovani. Ricchezza, po-
vertà, educazione, malattie mortali,
AIDS, tubercolosi, cambiamenti
climatici, migrazione, immigrazio-
ne, traffico di esseri umani, sfrutta-
mento sessuale, diritti umani, svi-
luppo economico, conflitti armati,
bambini soldato, disarmo nucleare,
parità, sviluppo sostenibile, micro-
credito... Di qualsiasi cosa si discu-
ta, bambini, giovani e adolescenti
sono protagonisti. Non importa ciò
che viene discusso o dibattuto, i
giovani sono direttamente influen-
zati dall’azione o dall’inazione dei
leader. Se le cose stanno così, le voci
dei giovani devono essere ascoltate.
I salesiani di don Bosco lavorano
per rendere possibile questo alle
Nazioni Unite».
I salesiani hanno molte informazioni
di prima mano e una grandissima
esperienza “sul campo”. Condi-
viderle con altri, soprattutto con
organizzazioni internazionali che
spesso dimenticano il più importante
settore dell’umanità, può costituire
una forma di sinergia vitale destinata
a dare frutti importanti.
Febbraio 2011
19

2.10 Page 20

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significa un modo attraente di essere e di educa-
re. E un luogo di profondo piacere. Forse è questa
la parola che meglio esprime quello che don Bo-
sco irradiava.
Il gioco non è passatempo e l’oratorio non è un
ritrovo per buontemponi. L’oratorio secondo don
Bosco è un sistema di erogazione di energia vitale
e spirituale per ragazzi e giovani.
Per lui, l’allegria è un ingrediente necessario della
ricetta della santità: “Se vuoi farti buono, pratica tre
sole cose e tutto andrà bene: allegria, studio, pietà”.
Nel suo diario, don Ceria scrive una frase straor-
dinaria, pronunciata da un alto prelato in visita a
Valdocco: «Voi avete una gran fortuna in casa vo-
stra, che nessun altro ha in Torino e che neppure
hanno altre comunità religiose. Avete una came-
ra, nella quale chiunque entri pieno di afflizione,
se ne esce raggiante di gioia».
A matita, don Lemoyne aggiunge: “Mille di noi
han fatto la prova”. Tutte le testimonianze con-
cordano su un aspetto tipico della personalità di
don Bosco: irradiava serenità e sicurezza nei suoi
collaboratori e nei ragazzi.
Del resto il Sistema Preventivo può sprigionare
tutta la sua efficacia solo in un clima di fonda-
mentale ottimismo.
La gioia salesiana è il piacere di stare insieme,
perché sappiamo tutti che la gioia funziona solo
se è condivisa.
È la felicità di imparare, di creare e lavorare, di
«far bene» qualcosa e anche il piacere di pregare
e di celebrare. Per la spiritualità di don Bosco
non si prega, né si celebra l’Eucaristia «per dove-
re», ma perché è un profondo piacere della vita.
E poi, imparare ad amare con tenerezza e con
indulgenza. Perché Dio ci ha dato gli occhi per
vedere e le palpebre per chiuderli.
E ottimismo, un nome più umile per la virtù del-
la speranza.
«Primo: niente ti turbi». Così don Bosco comin-
cia i “Ricordi confidenziali” ai direttori. In questo
primo “ricordo”, don Bosco propone come esem-
pio se stesso: la sua è stata una vita sorretta da un
incrollabile ottimismo radicato nella virtù cristia-
na della speranza.
L’ottimismo va alimentato: occorrono ingredienti
nuovi e un frullatore nella mente per rimescolare
ben bene le cose. Dobbiamo tenere in funzione
delle fonti di energia per ricaricare le batterie
dell’entusiasmo: vedere il bello, saper ammirare,
godere di quanto si ha, ascoltare musica, fare pas-
seggiate, ridere spesso.
Il segreto è raggiungere l’armonia con sé, con gli Margherita entrò per prima nella nuova casa: tre
altri e con l’ambiente.
stanzette nude e squallide, con due letti, due sedie e
qualche casseruola. Sorrise, e disse al figlio:
Nella vita sociale, l’armonia si manifesta come un «Ai Becchi, ogni giorno dovevo darmi da fare per
senso di coerenza, franchezza e piacere nelle rela- mettere in ordine, pulire i mobili, lavare le pentole.
zioni fra persone; dipende da qualità come il calo- Ora potrò riposare molto di più».
re, la serenità e la buona volontà; da atteggiamenti Ripresero fiato poi si misero tranquilli a lavorare.
quali la tolleranza, l’empatia e la compassione; da Mentre Margherita preparava un po’ di cena, don
comportamenti, come parlare con gentilezza, agi- Bosco appese alla parete un crocifisso e un quadretto
re con generosità e dare meno importanza a diffe- della Madonna, poi preparò i letti per la notte.
renze e contrasti non essenziali; da relazioni come E insieme Madre e Figlio si misero a cantare.
la cooperazione, l’aiuto e la definizione di ruoli La canzone diceva: «Guai al mondo – se ci sente /
e confini. Questi aspetti sono come rami di un forestieri – senza niente...»
albero, con diramazioni che si estendono a tutto
il mondo sociale.
Noi veniamo da gente così.
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LA FAMIGLIA SALESIANA
Foto di grupppoer la Unsolofilo,insegnavadonBosco,messointrazione,
si spezza facilmente. Molti fili, ben intrecciati fra loro,
fanno una corda che nessuno potrà spezzare.
Siamo un vasto movi-
mento di persone per la
salvezza della gioventù.
Un movimento dinamico,
perché non solo conti-
nua a crescere il numero
dei membri, ma anche il numero dei
gruppi (in questo momento sono 28
quelli ufficiali, ma almeno trenta sono
in lista di attesa). Un movimento
spirituale e apostolico.
Che cosa dobbiamo fare per
vivere bene questa realtà?
Vorrei invitarvi a fare tre
passi importanti:
– conoscerci di più
– formarci insieme
– lavorare in sinergia
(don Pascual Chávez)
Questa fotografia ha valore simbolico. Non sono
presenti tutti i gruppi, ma serve a ricordarci questa
fantastica realtà.
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25
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famsigalliaesiana
4
29
31
22 15 27
28
19
5
1 Don Pascual Chávez Villanueva, Rettor Maggiore; 2 Don Adriano
Bregolin, Vicario del Rettor Maggiore; 3 P. Jorge Puthenpura, Fondato-
re della Piccola Comunità delle Suore della Resurrezione (HR); 4 Don
José Pastor Ramirez, Delegato Confederale Exallievi; 5 Don Ezhanikatt
Saimy J., Segretario del Vicario del Rettor Maggiore; 6 Don Pier Luigi
Cameroni, Assistente dell’ADMA – Associazione di Maria Ausiliatrice;
7 CDB; 8 Don Luis Roson SdB, Animatore dei Testimoni del Risorto
(TR); 9/23 Comunidade Canção Nova (CN); 10 Congregazione delle
Suore di san Michele Arcangelo (CSSMA); 11 Sr. Maria Luisa Miranda,
FMA; 12/32 Exallievi/e di Don Bosco; 13 Sr. Maritza Ortiz, Confede-
razione Mondiale delle exallieve/i delle FMA; 14 Hijas de los Sagrados
Corazones de Jesús Y Maria (HH SS CC); 15 Salesiane Oblate del Sacro
Cuore di Gesù (SOSC); 16 Caritas Sisters of Jesus (SCG); 17/18 Asso-
ciazione Damas Salesianas (ADS); 19/29 Associazione di Maria Ausi-
liatrice (ADMA); 20/21 Testimoni del Risorto (TR); 22/31 I Discepoli
(DIS); 24 Apostole della Sacra Famiglia (ASF); 25 Suore Ancelle del
Cuore Immacolato di Maria (SIHM); 26 exallieve/i delle FMA;
27/28 Figlie della regalità di Maria Immacolata (DQM); 30 Caritas
Sisters of Jesus (SCG).
Non sono presenti nella foto: L’Associazione Cooperatori Salesiani
(SSCC); Le Suore Missionarie di Maria Aiuto dei Cristiani (MSMHC);
Le Figlie del Divin Salvatore (HDS); Le Suore di Gesù Adolescente (IJA);
Le Suore Catechiste di Maria Immacolata Ausiliatrice (SMI); La Congre-
gazione di San Michele Arcangelo (CSMA); Le Suore Annunciatrici del
Signore (SAL); Le Suore di Maria Auxiliatrix (SMA); La Comunità della
Missione di Don Bosco (CMB).
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GIOVANI
DI ARMANDO MATTEO
Tornino
gli
e meglio raccordata al mondo delle professioni.
Tutti questi elementi problematici nella vita dei
nostri ventenni e trentenni in verità puntano, a
ben vedere, al vero nodo scoperto della nostra
società: la mancata attenzione da parte degli adulti
alla condizione giovanile.
adulti! Ciòcheinfattisorprendealpresentenonèilfat-
to che i giovani incontrino problemi o che il loro
cammino appaia sempre di più in salita (si pensi
solo a quei due milioni di ragazzi che hanno già
finito ogni attività di studio e non riescono a inse-
rirsi in alcun modo nel mondo del lavoro, di cui ha
parlato l’Istat), ma l’assurdo sta nella constatazione
che l’intera società e la politica in modo particolare
siano distanti anni luce da simili questioni.
Eppure i giovani sono la risorsa naturale di un
Di che cosa hanno oggi bisogno i nostri Paese: hanno tanta forza fisica, riproduttiva, in-
giovani? Alla ricerca di che cosa si
tellettiva e sono pure dotati di un istintivo deside-
sentono?
rio di migliorare il mondo. Ma si preferisce tener-
li in bagnomaria, sottoimpiegati, spesso sfruttati,
Le risposte possibili sono ovviamente tante e ancora più di frequente “parcheggiati”.
numerose: basterebbe pensare al problema del
lavoro o della sempre maggiore difficoltà di ren- Che sta succedendo? Sta succedendo che
dersi autonomi dalla propria famiglia di origine; gli adulti, in particolare la generazione
ci sarebbe pure da ricordare l’urgenza di una for- dei cinquantenni e dei sessantenni, non
mazione secondaria e universitaria più funzionale sono più in grado di ascoltare il grido e
i bisogni dei giovani. Hanno interrotto il
dialogo intergenerazionale.
Afferrati dal mito del giovanilismo, sull’onda del
boom economico dei decenni passati, gli adulti
sono tutti intenti a curarsi solo dei loro interessi
e pensano che per i giovani basti procurare qual-
che jeans firmato e il biglietto per un concerto.
È proprio da questo basso indice di ascolto che
deriva poi quella che giustamente è stata definita
l’emergenza educativa.
Quando una società di adulti non mette i giovani
in condizione di essere tali, cioè di aiuto (“giovane”
è parola che deriva dal verbo latino iuvare/aiutare),
favorendo il loro accesso al lavoro, alla casa e quin-
di alla famiglia, all’esperienza della genitorialità,
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all’espressione della propria professionalità, allora li
costringe a vivere tutti immersi nel presente, ad ac-
contentarsi del poco/nulla che si dà e lentamente il
futuro scompare, diventa insicuro, minaccioso, non
affidabile. Ma senza il futuro l’anima di un giova-
ne è condannata a una paralisi davvero profonda,
che non raramente porta a quello strano “corteg-
giamento della morte”, che molti studiosi vedono
all’opera nei comportamenti dei nostri ragazzi.
I Vescovi italiani, nel loro ultimo documento pro-
grammatico, gli orientamenti pastorali del de-
cennio appena iniziato, dal titolo molto evocativo
Educare alla vita buona del Vangelo, hanno al ri-
guardo parole particolarmente dure e significative.
Leggiamo insieme il numero 12 di questo docu-
mento: «L’educazione è strutturalmente legata ai
rapporti tra le generazioni, anzitutto all’interno della
famiglia, quindi nelle relazioni sociali. Molte delle
difficoltà sperimentate oggi nell’ambito educativo
sono riconducibili al fatto che le diverse generazio-
ni vivono spesso in mondi separati ed estranei. Il
dialogo richiede invece una significativa presenza
reciproca e la disponibilità di tempo. All’impove-
rimento e alla frammentazione delle relazioni, si
aggiunge il modo con cui avviene la trasmissione
da una generazione all’altra. I giovani si trovano
spesso a confronto con figure adulte demotivate e
poco autorevoli, incapaci di testimoniare ragioni di
vita che suscitino amore e dedizione».
Parole di fuoco, dunque, per definire
il basso profilo dei cinquantenni e
dei sessantenni di oggi: figure adulte
demotivate, poco autorevoli, incapaci.
D’altro canto non si può non riconoscere che nella
loro esistenza ciò che veramente conta è appunto
solo ciò che si conta, tutto il resto passa in secondo
piano. E per i soldi – si sa – si deve essere disposti a
non guardare nessuno in faccia. I giovani in primis.
Ovviamente i soldi servono per contribuire a quella
assurda gara contro il tempo ingaggiata dagli adulti
per inseguire una giovinezza impossibile. E in que-
sto modo, senza rendersene conto, si allontanano
i giovani. Gli adulti, infatti, si sono avvicinati così
tanto ai giovani, nel modo di pensare e di vestire, di
progettare la vita e di fare i conti con la realtà, che ci
si con-fonde. E la con-fusione è l’anti-dialogo per
eccellenza. Se negli adulti non c’è “altro” e “oltre” il
mito della giovinezza, che li consuma, da vedere,
perché dovrebbero interessare ai giovani che vivo-
no la giovinezza non mitizzata ma reale?
Un adulto che non fa l’adulto non interessa ai
giovani e non entra più in contatto con loro. Mi
pare che questo destino tocchi ora a un’intera so-
cietà: un destino di cecità e di sordità.
Per questo è urgente che tornino adulti autentici,
persone che non maledicono il passare del tempo
e delle stagioni, ma che assumano la verità della
vita e il compito della testimonianza, cioè di pas-
sare il testimone della vita.
Tornino gli adulti, allora. Adulti capaci di
convertirsi dall’amore viscerale per la giovinezza,
ad un amore e cura pieni per i giovani.
Tornino gli adulti, allora. Adulti testimoni
di una vita dura, ma bella, faticosa, ma ricca di
opportunità, fragile, ma segnata da un brivido
di eternità; testimoni di un futuro possibile, che
possa illuminare e orientare il cammino presente;
testimoni di una speranza che possa accompa-
gnare il sacrificio e la rinuncia che ogni progetto
autentico impone.
Di questo, i giovani, hanno oggi bisogno.
L’educazione è
strutturalmente
legata ai rapporti
tra le generazioni,
anzitutto all’interno
della famiglia,
quindi nelle
relazioni sociali
(I Vescovi italiani).
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MEDITAZIONE
DI ARNALDO SCAGLIONI SDB
«Venite e vedrete»
e le 4 operazioni
Un invito a ripensare alle quattro operazioni:
il meno (–), il diviso (:), il più (+) e il per (x).
Le prime due da non eseguire, le seconde da usare
sempre. Mi è venuto spontaneo applicare le cosiddette
4 operazioni alla frase di Gesù: “Venite e vedrete”.
Prima operazione: la divisione
La divisione non va usata nei confronti dei due
verbi “venite e vedrete”. Non vanno separati.
Devono stare insieme. Sono come i tuoi
occhi: uno guarda lontano e uno vicino.
Quante volte ti sei sentito dire: “Non vedi
oltre il tuo naso”.
Se cammini hai una meta da raggiungere.
In montagna vedi la cima dopo aver camminato
a lungo.
Che cosa farai da grande?
Che progetti hai?
Che ti passa per la testa?
Vuoi saperlo? Cammina e vedrai.
Non dividere i due movimenti e ti renderai re-
sponsabile delle tue domande.
Seconda operazione: l’addizione
Venite e vedrete.
Il soggetto è singolare o plurale? Tu o voi? Gesù
si rivolge al voi.
Tu e chi? Non sei solo, con te c’è un
amico, c’è un gruppo, c’è un orato-
rio, c’è una parrocchia, c’è un ca-
techista, c’è un Don…
Quando Gesù chiama, non ti porta
via nessuno. Come le ciliegie: una tira l’altra.
Tu appartieni, sei un più (+). Dimmi con chi vai
e ti dirò chi sei. L’operazione del più ti fa capire
quanto sia importante l’appartenenza.
Terza operazione: la sottrazione
Passando da una stazione ferroviaria ho letto sul
muro questo graffito: “Meno futuro e più presen-
te”. Ho avuto la tentazione di cancellar-
la e correggerla in quest’altro modo:
“Più futuro perché più presente”. Te
ne accorgi pure tu quando vuoi ot-
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3.7 Page 27

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tenere risultati migliori. Ti alleni di più oggi
per vincere domani. Anche quando programmi
un’interrogazione, se vuoi un bel voto impieghi
molto più tempo (presente) e molto più impegno.
Il risultato (futuro) è certo.
Il meno va messo fuori gioco.
Il meno è da cartellino rosso.
Il meno non costruisce futuro, non porta successi,
non muove il motore dell’entusiasmo.
Il meno è lo scaricabarile, lo scansafatiche. È vita
questa?
Non vai da nessuna parte e non vedrai niente di
nuovo se obbedisci alla logica del meno.
La quarta operazione:
la moltiplicazione
Da’ il tuo presente e cresci. Se metti nelle mani
di Gesù i tuoi cinque pani e due pesci delle tue
sicurezze, Gesù farà il resto. Te li moltiplicherà
per tutti quelli che attendono questo pane.
Dire di sì oggi significa dar da mangiare domani a
chi ha fame. Consegnarsi a Gesù oggi, comporta
guarire i malati domani, dare una casa agli esuli,
ai rifugiati fra non molto, portare il perdono e la
salvezza come sacerdote e moltiplicarsi nel tuo
futuro.
Venite e vedrete. Quattro operazioni: due da non
fare – dividere e sottrarre – e due da non trascu-
rare – sommare e moltiplicare. Prova e vedrai.
Venite e vedrete. L’accento è vedrete.
Due verbi e due tempi. Uno è al pre-
sente, l’altro al futuro. Fidati, cammi-
na. Vai verso il futuro. La consegna di un futuro
corrisponde a una moltiplicazione di risorse ed
energie. Se dai speranza, dai vita.
Basta poco per sentirti le ali ai piedi. Il futuro è il
compito da svolgere.
Disegni Shutterstock
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3.8 Page 28

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LE CASE DI DON BOSCO
DI LOREDANA DEQUERQUIS
Il Don Bosco
La mia avventura al Don
Bosco comincia più di una
decina di anni fa, per caso:
frequentavo l’ultimo anno
di Università e ci capitai per
di Napoli svolgereleoredestinateal
tirocinio universitario.
Fu amore a prima vista,
tanto che non me ne sono
più separata.
La banda dei
ragazzi: un biglietto
da visita tutto
simpatia.
Ancora oggi svolgo l’attività di insegnante
presso la scuola media che opera all’in-
terno del Centro.
Prima di allora non conoscevo questa
realtà, o almeno non così da vicino.
Il Don Bosco accoglie ragazzi che pro-
vengono da quartieri in cui domina la sottocul-
tura della strada, che esalta logiche camorristi-
che e clientelari, dove il senso della legalità è
quasi inesistente e si identifica con la legge del
più forte. Si riconoscono un po’ ovunque sac-
che di illegalità che attraggono in modo parti-
colare i più giovani che spesso sono trascurati
dalle famiglie impegnate nel “tirare a campare”
alla meno peggio. Nuclei familiari numerosi ed
appena alfabetizzati, costituiti da disoccupati o
sottoccupati che hanno sviluppato nel tempo
disvalori, devianza ed illegalità. Ragazzi che vi-
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Fotografia P. Lanotte

3.9 Page 29

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IL “DON BOSCO”
vono un mondo a parte con leggi e norme pro-
prie, diverso da quello “normale e civile”, ma
vivo, vitale e combattivo. Si tratta di ragazzi a
rischio segnati dall’abbandono, dalla violenza,
dalla strada, affidati dai Centri di servizio So-
ciale o dal tribunale per i minorenni all’istitu-
to Don Bosco. I così detti scugnizzi, quelli di
cui le “persone perbene” hanno paura, quelli che
se chiedi un’informazione ti mandano altrove,
quelli che quando li conosci per la prima volta
danno il peggio di loro perché rinforzano la loro
etichetta: “scugnizzi doc”. Quelli però che sot-
to un’apparente corazza richiedono solo atten-
zione, affetto e spesso chiedono di poter vivere
un’infanzia negata.
Partendo dalla “pedagogia del cuore” di don Bo-
sco, ho intrapreso una missione che mi porta a
credere che ogni ragazzo debba diventare attore
consapevole e non spettatore della propria vita.
Il metodo principale utilizzato è il “sistema pre-
ventivo” di don Bosco, basato sul trinomio “ragio-
ne, religione, amorevolezza”.
Per rispondere alle emergenze educative e sociali sempre più pressanti, il
vecchio “Istituto” si è riprogettato ed oggi si presenta come:
luogo di educazione sociale e culturale dei ragazzi attraverso le Comuni-
tà Alloggio residenziali, il Centro Polifunzionale “Le Ali”, il Centro Socio
Educativo Semiresidenziale, la Scuola Media Paritaria “Valdocco”;
struttura di avviamento al lavoro attraverso il Centro di Formazione Pro-
fessionale Cnos-Fap Napoli con corsi di Pizzeria e Parrucchiere;
ambiente per l’associazionismo e il tempo libero, con l’Oratorio Centro-
Giovanile;
servizi vari di aiuto ai minori (Laboratori di Educativa Territoriale, Tutorag-
gio, Cam-Telefono Azzurro…).
I vari servizi e strutture del Centro Don Bosco sono finalizzati all’educazione
e alla socializzazione sul territorio di ragazzi e giovani a forte rischio di
devianza. In continuo dialogo con le istituzioni, con i servizi territoriali, si
offre al ragazzo un reale ventaglio di opportunità in un ambiente organico
di risorse educative con un solo obiettivo: dare di più a quelli a cui la vita
ha dato di meno.
Il mio primo approccio con questi ragazzi fu
abbastanza forte, devastante e segnò la mia vita.
Non riuscivo, inizialmente, a capirli, a relazionar-
mi con loro; o ero troppo amica o ero troppo in-
segnante (e quindi lontana da loro) e questo non
funzionava.
Molti mi chiedono il perché di questo
impegno e di questa scelta di vita;
rispondo che l’affetto totalmente
disinteressato e la ricchezza che ricevo
da questi ragazzi riempiono e donano
un senso alla mia vita.
Se si scava nei loro cuori si legge voglia di riscatto
e cambiamento. Il rovescio della medaglia è però
a volte molto doloroso. Spesso si fallisce, poiché
nonostante il grande impegno e il lavoro svolto
ritroviamo i nostri ragazzi in carcere; il nostro an-
tagonista (soldi facili, delinquenza…) spesso ha
ancora la meglio.
Quando vengono arrestati, molti ragazzi chiedo-
no di noi, i loro educatori, che nonostante gli anni
e le strade sbagliate percorse, rimangono nei loro
cuori importanti punti di riferimento.
I problemi della nostra città si risolveranno solo
con un recupero culturale delle nuove generazio-
ni; bisogna smuovere la coscienza di quella “Na-
poli borghese” che ignora o finge di ignorare il
degrado che ancora oggi regna sovrano in una
buona parte della città dove dietro un’etichetta
folcloristica, esistono ancora “bassi” in cui si per-
petua l’odissea della miseria e dell’ignoranza.
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IL LIBRO
Alessandro Pronzato
Davide Cerullo
ALI BRUCIATE
I bambini di Scampia
(Paoline)
Un libro piacevole e avvincente, dalla
agevole lettura, che ti prende, ti coinvolge, ti fa
soffrire e ti appassiona, ti inquieta e ti interroga,
ti pone problemi che, quasi sempre, sfuggono a
coloro che non li vivono direttamente, ma che pe-
sano – e come! – sulle coscienze dei singoli e di
tutti, condizionando e offuscando l’appartenen-
za, l’identità, il sentirsi e dirsi napoletano, perché
nelle analisi delle cronache massmediologiche
spesso non c’è posto per i distinguo, e il particola-
re assume dimensione universale.
E viene fuori un quadro a tinte fosche, triste,
avvilente, mortificante perché, alla fine, molto
frettolosamente si generalizza, si giudica, si con-
danna.
Ma Napoli è ben altro!
(Dalla Presentazione
del cardinal Crescenzio Sepe)
IL RAGAZZINO ANNUNCIA:
«CI PENSO IO!»
Lo chiamiamo Michele. Ha dieci anni e un ciuffo ribelle. Un giorno arriva in casa
accaldato, le ginocchia regolarmente sbucciate, i pantaloncini e la maglietta
con i soliti strappi perché ha giocato a pallone su un minuscolo fazzoletto di
cemento davanti a casa.
Vede la mamma piangere. Lei non ha fatto in tempo a nascondere le lacrime.
È già accaduto altre volte, ma oggi è diverso. Quello è il pianto della dispera-
zione, lo capisce anche un ragazzino di dieci anni. La donna, per quanto frughi
nei cassetti, non dispone dei soldi per comprare il pane per la piccola tribù, e
in negozio non le fanno più credito perché risulta largamente inadempiente. Lo
testimonia il libretto zeppo di cifre non onorate.
Michele in un attimo ha preso la decisione: «Mamma, ci penso io... So io cosa
fare...».
La madre intuisce il significato terribile di quelle parole ci penso io, così come
comprende che cosa intenda fare il figlioletto con il ciuffo ribelle, ma la voce le
si spegne in gola, annegata nelle lacrime. Non ce la fa a trattenerlo.
Michele si è già precipitato giù dalle scale, senza neppure chiudere la porta.
Ci pensa lui. Sa lui che cosa fare. Sa dove andare, sa a chi rivolgersi.
Finora ha dato calci spensierati a un pallone.
Adesso è determinato a dare un calcio alla miseria e alla disperazione.
Un’ora dopo è già «arruolato» e porta in casa, orgoglioso, un anticipo di poche
banconote spiegazzate. Quanto basta e avanza per comprare il pane e pure
qualcos’altro.
Ormai è Michele, il più grandicello, che ci pensa. Non è stupido, e sa che quella
strada, quel lavoro sporco, quelle frequentazioni, lo porteranno a più o meno
breve scadenza dentro una cella munita di inferriate, in compagnia di altri che
sapevano, come lui, che cosa fare.
Intanto, però, sua mamma ha smesso di
piangere. È arrivato il pane e anche le
caramelle per i più piccini. È Miche-
le che, in assenza del padre (ed è
facile indovinare dove si trovi), ci
pensa per tutti. Sì, la mamma ha
smesso di piangere, ma da quel
giorno ha cominciato a sospira-
re e a vivere nell’angoscia. Non
ha il coraggio di porre doman-
de. Anche perché le domande
sono inutili. Tutto è fin troppo
chiaro.
E lei si affaccia con sempre
maggior frequenza e trepidazio-
ne al balcone. Ha motivo di te-
mere che, da un momento all’altro,
invece di veder arrivare Michele con il
ciuffo ribelle e con l’abituale mucchietto di
banconote spiegazzate, venga raggiunta da
una brutta notizia.
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Febbraio 2011

4 Pages 31-40

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MESSAGGIO A UN GIOVANE
DI CARLO TERRANEO - carloterraneo@libero.it
È bello volersi bene
C arissimo,
tua figlia cammina dieci passi
– come i suoi anni – davanti
a noi. Va e viene con qualco-
sa di nuovo da farti vedere.
Tutto prende vita nelle sue
mani: una foglia stanca dell’inverno, un
piccolo fiore, un insetto e tanti colori.
Tu mi dicevi: “a primavera c’è ancora
qualche foglia sui rami gemmati
degli alberi”.
È come se la vita non avesse mai fine.
Le foglie non fanno rumore quando
toccano terra e non si fanno male
quando si staccano dal loro ramo.
I sentimenti anche. Vanno e vengo-
no, ma sono sempre vivi, come dieci
anni fa. Compaiono, scompaiono, ma
continuano ad abitare dentro di noi
in stagioni diverse.
Il sole va e viene, ma nello stesso
tempo lascia lo spazio alla luna e alle
stelle.
La luce non viene mai meno. Senza
luce è tenebra. Senza amore non c’è
vita.
Senza amore l’uomo non vede i
colori dell’arcobaleno, non sente la
musica dell’aria, non gusta il profu-
mo di un incontro, non si accorge del
sorriso di una figlia.
I verbi dell’amore sono sempre gli
stessi. Vanno declinati con la saggez-
za del tempo che passa, sono ricchi
come gli anni di tua figlia.
Sono questi i tuoi verbi:
– ascoltare senza stancarsi
– camminare uno accanto all’altro
senza perdersi di vista
– piangere di commozione senza
sapere perché
– dirsi “ti voglio bene” senza farselo
dire
– soffrire in silenzio senza scorag-
giarsi
– pregare mano nella mano senza
accorgersene
– parlarsi a cuore aperto senza truc-
chi e piccole bugie
– dare il meglio di sé senza ostenta-
zione
– guardarsi ancora negli occhi senza
dirsi una parola.
L’amore non è una nuvola dentro cui
nascondere i tuoi pensieri.
È tua figlia che ti chiama: “papà”.
Quand’eri ragazzo portavi sulle spalle
uno zaino pesante, pieno di “sì e di
no”. Volevi scalare la vita. Poi ti sei
sistemato e andavi in ufficio con una
valigetta 24 ore zeppa di “ma”. Volevi
far carriera. Oggi hai tra le braccia
tua figlia. È il tuo sì.
È bello volersi bene.
Più bello è continuare a volersi bene.
È bello essere papà.
Più bello è continuare ad esserlo.
È bello essere innamorati.
Più bello è esserlo sempre.
È bello parlare così.
Più bello è vivere così.
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4.2 Page 32

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VIAGGI
DI GIANCARLO MANIERI
Alessandria è la
seconda città d’Egitto
per importanza e per
Nella città numero di abitanti.
Un grande collegio
salesiano è in attività
di Alessandro daoltrecent’anni.
Vi sono in Alessandria d’Egitto centi-
naia di fanciulli, abbandonati, di ogni
nazionalità e religione, ma specialmente
italiani e maltesi, cattolici, per i quali
imparare un mestiere e il ricevere un po’
di educazione vorrebbe dire la loro salute”.
Così, dopo non pochi carteggi, visite,
prese d’atto, relazioni, colloqui, ispe-
zioni… nacque, oltre cent’anni fa (115
per la precisione) l’istituto salesiano di
Alessandria, invocato con insistenza
da molti. Iniziò, come scrivemmo, in
un vecchio carcere dismesso e ormai
in rovina. “L’Italia Reale – Corriere Na-
zionale” scrisse che don Rua trasformò
nientemeno che un’antica carcere… in
Istituto educativo. Come Don Bosco, che
cominciò così a Torino, la sua missione…
nelle carceri e tanta povera gioventù salvò
dalla prigione”.
L’istituto
Quel giorno arrivammo verso le
10,00 del mattino nel grande cortile
che poco dopo si popolò di alunni,
per l’intervallo di metà mattinata.
Ragazzi in divisa! Non si vedono più
nelle nostre scuole né nei nostri cor-
tili. In Egitto sì. Tra loro anche alcu-
ne ragazze, convenientemente velate
Il cortile dell’istituto di Alessandria,
popolato da ragazzi in divisa.
con l’ihjab, il fazzoletto islamico
che copre i capelli e il collo. “Ci sono
molti musulmani a scuola?”. “Il 75%
degli alunni!”. Ed è proprio questa la
caratteristica dell’istituto salesiano
di Alessandria. Più tardi il cortile
si riempie di ragazzini e ragazzine.
Quello di Alessandria è un istituto
complesso: ospita l’IPA (l’Istituto
Professionale Paritario) frequentato
da circa 300 alunni/e che consegna
diplomi riconosciuti dall’Unione Eu-
ropea; la scuola di base (asilo, elemen-
tari e medie), frequentato da almeno
700 alunni, e il Centro di Formazione
Professionale, 500 allievi, con labo-
ratori di elettrotecnica, meccanica,
automazione, saldatura, refrigerazio-
ne e, naturalmente, elettronica. Con
un certo orgoglio mi hanno mostrato
l’ultimo tipo di macchina program-
matrice.
La tolleranza
Nella scuola la tolleranza è massima,
fuori… è un altro paio di maniche! È
forte il partito dei “Fratelli musulma-
ni”, con fenomeni di grave fanatismo.
Come quello contro uno dei più
grandi scrittori musulmani, Farag
Foda, il quale, tollerante per natura,
scriveva: “Noi facciamo festa quando un
cristiano diventa musulmano, allo stesso
modo dobbiamo far festa anche quando
un musulmano diventa cristiano”. No-
bilissimo sentimento, con un difetto:
non era in consonanza con il sentire
dei “Fratelli musulmani”. E il giorna-
lista/scrittore pagò con la vita le sue
idee, trucidato nel suo ufficio da due
fondamentalisti. Eppure sia nel colle-
gio sia nell’oratorio di Alessandria la
tolleranza è un precetto: musulmani
e cristiani collaborano senza parti-
colari tensioni. La filosofia di don
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Febbraio 2011

4.3 Page 33

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Bashir, il direttore del grande istituto,
è racchiusa in una frase che è il suo
motto e il suo programma, e che usa
ripetere agli ospiti: “Comunicando
valori quasi tutte le barriere cadono”.
E mi ha raccontato un fatto a sup-
porto della tesi: “Qualche mese fa tra
quattro contrabbandieri, tre di religione
cristiana e un musulmano, trafficanti
di droga, è scoppiato un acceso diverbio.
La cosa è finita come in genere finisce
tra uomini di malaffare, ci è scappato il
morto: il musulmano. Tanto è bastato
per scatenare la folla contro i cristiani.
In poco tempo un gran numero di perso-
ne si raduna anche davanti all’istituto
salesiano, pronti ad assalire la scuola,
con conseguenze facilmente immagina-
bili. La situazione è grave e la tensione
sale con il passare delle ore. Allora un
gruppo di giovani oratoriani, tutti di
religione musulmana, si para davanti
alla valanga umana: Fermatevi! Qui
c’è don Bosco. Don Bosco è con noi
non contro di noi; istruisce ed educa
noi e i vostri figli. Non toccate questo
luogo. Il tumulto è stato sedato. Quello
che non erano riusciti a fare i poliziotti
l’hanno saputo fare gli oratoriani”.
Anomalie
Anche ad Alessandria ho trovato le
porte di entrata della bella chiesa del
collegio murate come a Rod el Farag
e per gli stessi motivi: una “tolleranza
intollerante” da parte dei fondamen-
talisti musulmani che considerano un
delitto pregare in luoghi di culto che
non siano le moschee, e un insulto le
chiese cristiane, soprattutto catto-
liche. “Insomma, meglio gli accessi
murati che le porte bruciate o peggio”,
conclude don Bashir. “Quindi è im-
pensabile celebrare in pubblico, fare una
processione, organizzare una qualsiasi
manifestazione religiosa che non sia
musulmana?”. Un sorriso è bastato a
certificare la giustezza dell’osserva-
zione. Così ho capito meglio il con-
cetto: si tollera che si pongano atti di
culto non islamico in privato, anche
in una chiesa, purché non aperta
al pubblico. Un’altra “anomalia”,
rispetto a Rod el Farag del Cairo, è
il vedere, a fine lezione, circolare in
cortile molte mamme, velate, venute
a prelevare i figli per riaccompagnarli
a casa. Disinvolte come fossero a
casa loro: “Sì, sono tranquille e sicure,
non hanno la minima soggezione, ci
apprezzano per quanto facciamo, ci sti-
mano come professori e come educatori”.
Difficile, pensavo tra me, raccontare
ad alcuni miei connazionali che è
possibile convivere, ragionare, andare
d’accordo, anche se idee, cultura, reli-
gione sono diverse. L’esempio l’avevo
sotto gli occhi: una scuola gestita da
salesiani con alunni per il 75% mu-
sulmani e un oratorio dove la quasi
totalità dei ragazzi e giovani profes-
savano la religione di Maometto.
L’ing. Tawfik Guinguis
Ho incontrato nel pomeriggio il vice
preside dell’istituto professionale.
Gli ho chiesto notizie sugli alunni.
Risposta incoraggiante: “In genere i
nostri trecento ragazzi sono disponibili.
È un fatto che arrivano al Don Bosco
con una preparazione molto scarsa e
trovano qualche difficoltà ad abituarsi
al nostro sistema: puntualità, disciplina,
impegno costante, verifiche frequenti per
non dire giornaliere. In breve capiscono
che le loro scuse, ‘mi sono dimenticato’,
‘faccio domani’, ‘non sapevo’, ecc. qui
non funzionano. Attraverso il Sistema
Preventivo lentamente li cambiamo,
tanto che qualche genitore riconosce: ‘qui
al Don Bosco voi fate miracoli’”. Anche
l’ing. Tawfik mi ha ripetuto un ri-
tornello ben conosciuto: “Il problema
vero spesso sono i genitori; se il ragazzo
viene seguito e controllato, dà quello che
gli si chiede. Spesso invece i figli sono
lasciati in balia di se stessi, mai rimpro-
verati, mai incoraggiati, mai aiutati a
capire che la vita sociale ha delle regole,
e le regole vanno rispettate”. E il vice
preside continua ad elencare i punti
problematici con sicurezza e compe-
tenza: “I nostri ragazzi hanno in tasca
il cellulare e l’iPod, a casa la parabolica,
Internet, ecc. strumenti che usano da
maestri; spesso i genitori nemmeno si
rendono conto di ciò che i figli hanno
tra le mani. Qui, a scuola, puntiamo
a educare alle responsabilità non allo
sfruttamento dei mezzi che hanno in
dotazione, perché siamo educatori prima
che insegnanti”.
Donne velate in cortile.
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4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
DI BRUNO FERRERO
Si può ancora
essere
buoni?
«Sii buono!» era un ritornello abituale dei genitori e
dei nonni. Oggi è una frase fuori moda. Ma quali sono
le qualità indispensabili per essere «buoni»?
Un’antica storia degli indiani
d’America racconta che durante un
anno di grande fame e difficoltà per
la tribù, una nonna e il suo nipo-
tino un giorno se ne stanno seduti
assieme a parlare. La nonna penso-
samente dice: «Sento che due lupi
stanno lottando nel mio cuore: uno
è rabbia, odio e violenza; l’altro è
amore, compassione e perdono».
«Quale vincerà la lotta per il tuo cuo-
re, nonna?» chiede il bambino.
E la nonna risponde: «Quello a cui io
do da mangiare».
La società in cui viviamo sta nutren-
do il lupo dell’aggressività e della
prepotenza. Chi pronuncia la parola
“bontà” rischia di suscitare risatine
di compatimento. La gentilezza è
diventata sinonimo di debolezza.
In realtà, la gentilezza è la virtù più
forte che esista ed è una scelta di vita,
che possiamo decidere per noi stessi
e insegnare ai nostri figli.
La gentilezza è una costellazione di
qualità e di atteggiamenti che dob-
biamo imparare a “nutrire” con azioni
quotidiane molto concrete.
Fotografia Shutterstock
Per esempio:
L’empatia: è ascoltare e vedere
con il cuore, lasciar risuonare in se
stessi la sofferenza e la gioia degli
altri, mettersi con l’immaginazione
al posto del prossimo. Sfocia nella
compassione, qualità spirituale
bellissima che fa uscire dall’inferno
dell’egoismo e dell’avidità senza fine,
perché include tutti, anche i meno
capaci, i meno simpatici e i meno
intelligenti, perché ci apre e ci unisce
agli altri, e infine perché attiva il no-
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4.5 Page 35

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IL MANIFESTO DELLA GENTILEZZA
stro cuore. Gesù capiva la lebbra del
lebbroso, la notte del cieco, la feroce
infelicità di chi vive per il piacere, la
strana povertà dei ricchi.
L’umiltà: è l’altro nome dell’au-
tostima. Non significa sentirsi un
verme spregevole, ma possedere il
giusto rispetto per se stessi. Significa
conoscere le proprie forze e i propri
limiti. Chi conosce i propri limiti è
capace di ricominciare sempre da capo.
Chi è umile si prepara di più e lavora
meglio. Impara di più, perché i superbi
pensano di sapere già tutto. Non è
competitivo, lascia spazio agli altri e sa
collaborare. Non ha l’ansia di preva-
lere e non si sente programmato per
trionfare. Sente di avere bisogno degli
altri e sa vedere le gioie disseminate in
una giornata, anche se piccole. Solo chi
è umile può essere gentile perché riesce
a godere della presenza degli altri.
La pazienza: in un tempo in cui
tutto è sempre più veloce e la gente
sempre più impaziente, significa tol-
leranza nei confronti dei difetti, delle
lentezze, delle limitazioni degli altri.
È la capacità di tenere la mente aperta
per accorgerci delle tante piccole cose
che di solito non vediamo perché sia-
mo troppo occupati a correre: la pre-
occupazione di un figlio, per esempio,
l’eccessiva stanchezza di una madre,
un sogno, un’incertezza, una doman-
da, ecc. L’impazienza è il modo di non
essere veramente presenti, mentre gli
uomini pazienti sanno vivere ogni
passo di un lungo cammino soppor-
tando il lavoro, lo sforzo e anche le
difficoltà e gli eventuali fallimenti.
• Noi crediamo che in un mondo che tende alla disumanizzazione, abbiamo più che
mai bisogno di gentilezza. Verso noi stessi, gli altri, il pianeta.
• Noi crediamo che essere gentili voglia dire essere rispettosi nei confronti di tutto
quello che ci circonda: persone, animali ambiente.
• Noi siamo convinti che l’era dell’aggressività e del “ciascuno per sé” sia tramontata.
• Noi crediamo che sia arrivato il momento di affrontare la vita con più dolcezza, più
comprensione, più attenzione.
• Noi crediamo che essere gentili significhi essere parte attiva di un processo di miglio-
ramento dell’esistenza di tutti.
• Noi crediamo che la gentilezza sia una forza interiore e una forma
alta di intelligenza.
• Noi crediamo che la gentilezza sia una capacità e che si possa
apprendere.
• Noi crediamo che la gentilezza sia contagiosa e, di conse-
guenza, trasmissibile.
• Noi siamo convinti che la gentilezza debba con-
cretizzarsi in piccole azioni.
• Noi crediamo che tanti piccoli atti di gentilezza
cambieranno il mondo.
Fotografia Shutterstock
Il rispetto: deriva il nome da una
parola latina che significa “vedere”. È
la qualità che guarisce la ferita dell’a-
nima: quella che i bambini provano
quando sono visti non per quello che
sono, pieni di potenzialità meraviglio-
se, di amore, intelligenza, creatività,
ma solo come un bambino capriccioso
e difficile o un delizioso soprammo-
bile da esibire o un possesso di cui
vantarsi o una enorme scocciatura.
Significa donare agli altri la cosa più
preziosa che possediamo: la nostra
attenzione.
Vedere senza pregiudizi, ascoltare
veramente. Il rispetto è la condizio-
ne necessaria per la risoluzione dei
conflitti.
La generosità: significa dare meno
valore a ciò che si possiede e più alle
persone. È il piacere di donare senza
pensare al ricambio, la disponibilità a
condividere risorse, emozioni, se stessi
perché ci si sente
parte di un tutto. È molto impor-
tante insegnare ai figli che esiste una
generosità che è anche un “dovere
umano”: mettere le proprie capacità a
disposizione degli altri.
La lealtà: è una merce rara, oggi.
Significa fedeltà, onestà, sincerità
e affidabilità, è l’ingrediente indi-
spensabile di ogni amicizia e di ogni
relazione umana. «Puoi contare su di
me!» è una frase impagabile, come
«Qualunque cosa capiti, io non ti
abbandonerò». La lealtà di un amico
ci dà forza e speranza.
Oggi, la continuità e la stabilità
nelle relazioni non sono più stimate.
Eppure sono tante le ricerche che
dimostrano l’importanza dell’amici-
zia per l’adattamento e il rendimento
dei bambini a scuola e altre che
provano l’importanza dell’amicizia
per il benessere e la salute.
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4.6 Page 36

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NOI & LORO
DI MARIANNA PACUCCI E ALESSANDRA MASTRODONATO
LA FIGLIA
Simpatici...
Spesso per gli adolescenti conta
molto di più risultare simpatici
agli occhi degli altri che provare
“simpatia” nei confronti
di chi li circonda.
Probabilmente ciò deriva dal desiderio pro-
fondo di sentirsi al centro del mondo, da un
continuo bisogno di conferme che spinge
i ragazzi a fare tutto ciò che è in loro po-
tere per guadagnarsi il rispetto, la stima e
l’affetto degli altri, soprattutto dei coetanei,
anche a costo di mostrarsi diversi da quel che sono
in realtà, accettando un’immagine stereotipata che il
più delle volte fa torto alle loro qualità più intime ed
autentiche.
Molto più difficile, invece, per gli ado-
lescenti, è vivere appieno la simpatia
nei confronti del prossimo,
coltivando valori come la di-
sponibilità, la condivisione
e l’apertura verso tutto
ciò che è diverso e al-
tro da loro, in un’ottica di
sano protagonismo af-
fettivo, che solo può far
sì che l’incontro con gli
altri diventi davvero fe-
condo.
Non bisogna poi dimenti-
care che nella simpatia c’è
sempre una componente di
sofferenza, quella capacità
di “soffrire insieme all’altro”
che rappresenta spesso un
elemento problematico in ogni tipo di relazione,
suscitando non di rado perplessità e resistenze, ma
che è indispensabile per costruire legami sinceri e
profondi, in cui la solidarietà e la “com-passione”
siano vissute in modo pieno e smisurato.
Eppure proprio gli adolescenti si dimostrano a volte
capaci di grandi slanci di affetto,ad esempio nell’am-
bito delle relazioni amicali: per gli amici sono dispo-
sti a fare qualsiasi sacrificio, condividono con loro
sogni e paure, sofferenze e passioni, sperimentando
in molti casi un’empatia di cui difficilmente gli adul-
ti sono capaci. Ma faticano poi a trasferire questa
stessa empatia in altri ambiti della loro vita.
Quant’è complicato, ad esempio, per un adole-
scente mettersi nei panni dei propri genitori, vi-
vendo forme analoghe di simpatia e di compas-
sione all’interno della propria famiglia! E quant’è
ancora più difficile “guardare con simpatia” alla
realtà che lo circonda, sentirsi toccato in modo
profondo da quel che accade nel mondo, tanto da
maturare una scelta consapevole e convinta di im-
pegno sociale, politico, ambientale, ecc.!
Sembra quasi che gli adolescenti di oggi
siano incapaci di sperimentare senti-
menti autentici di empatia al di fuori del
recinto esclusivo e un po’ angusto della
propria ristretta cerchia di amici, di vivere
la simpatia come esperienza contagiosa che per-
mette di uscire da se stessi e di trascendere ogni
confine e diversità e che, dunque, trova la sua rea-
lizzazione più piena quando è capace di aprirsi ad
una pluralità di relazioni differenti.
Forse, però, questo deficit di simpatia, questo
sguardo disincantato sul mondo, gli adolescenti lo
mutuano proprio dagli adulti; lo respirano all’inter-
no delle loro stesse case, ogni volta che in famiglia
li si mette in guardia dal non lasciarsi coinvolgere
troppo, dal non affezionarsi eccessivamente agli al-
tri per evitare sofferenze e delusioni; ogni volta che
li si invita ad essere diffidenti verso il prossimo, di-
menticando che l’amore per essere tale deve essere
incondizionato e “senza misura”.
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4.7 Page 37

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Ovviamente, in questo contesto, il termine
ha un senso, se riportato al suo originale
significato. Antipatico è chi si tiene lon-
tano da qualsiasi forma di pathos, cioè
sentimenti capaci di suscitare passione,
un mix di amore e di sofferenza deri-
vanti dalla capacità e volontà di essere fedeli fino
in fondo a quel che si crede fondamentale per la
propria vita.
Agli occhi degli adulti i ragazzi appaiono proprio
così: incapaci di entusiasmo e curiosità; indiffe-
renti nei confronti di valori che per i grandi sono
fondativi dell’identità personale; superficiali fino
all’insensibilità nel rapporto con il bello, il buono
e il vero. Sono protagonisti di passioni momenta-
nee ed effimere, ma mancando di passione si con-
dannano ad una quotidianità piatta e ad un deficit
di senso che renderà più povero il futuro.
Molti genitori evitano di misurarsi con questa
crisi, limitandosi ad esprimere disappunto di
fronte a questioni più minute: la demotivazione
nello studio; un uso ludico del tempo libero; il
rifiuto di investimenti più esigenti (l’adesione ad
un’associazione, la disponibilità a fare volontaria-
to); il vivere alla giornata rinunciando a progetti
impegnativi.
Per la famiglia le responsabilità della
mancanza di passione dei ragazzi ri-
guardano i docenti che non innova-
no le strategie di insegnamento; i preti
che non sanno accogliere i giovani nelle
parrocchie; la società che non fa spazio
all’intraprendenza giovanile e preferisce
l’anonimato e la mediocrità; la politica,
che non ha più utopie da perseguire.
Si ammette che la colpa è degli adulti: non sanno
costruire relazioni educative efficaci. Ma si tratta,
anche in questo caso, degli altri. Si tace che molte
case non sono più gli ambienti nei quali avviene
una mescolanza fra le generazioni che favorisca la
condivisione di interessi e di esperienze generose
nei confronti della vita.
...e antipatici
Pesa appiccicare agli adolescenti
un termine così problematico,
ma è utile provare a ragionare
su questa caratteristica
delle nuove generazioni.
Si dimentica che spesso mancano in famiglia esem-
pi credibili di un impegno gratuito per una causa
capace di promuovere le energie migliori della per-
sona, rendendola perseverante nel costruire il bene;
ci si accontenta di relazioni in cui sono evidenti
l’anoressia di sentimenti e la difficoltà di
assumere la responsabilità del proprio
compito esistenziale.
È possibile generare un’in-
versione di tendenza?
In primo luogo occorre chiedersi se
le cose stanno veramente così. Quel
che tutti vedono potrebbe essere un
mucchio di cenere sotto il quale
brucia l’ardore di una passione. È
una speranza a cui gli educato-
ri non possono rinunciare.
Il cambiamento dipende an-
che da una rinnovata autore-
volezza delle famiglie, chiama-
te a dare risposte profetiche a
questo mondo inaridito. I figli anti-
patici hanno bisogno di testimoni
coraggiosi che gridino con forza
e senza paura che ogni passio-
ne autentica nei confronti del-
la vita e dei propri simili vale
più del suo prezzo di sudore e
dolore.
LA MADRE
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4.8 Page 38

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A TU PER TU
Sono il nuovo ispettore
dell’Une gvehnegoridaall’India
Mi chiamo Simon
Manjooran, grazie al
Progetto Europa sono in
Ungheria da cinque anni,
qui la società e soprattutto
i giovani hanno un grande
bisogno di Dio
(e dei salesiani).
Un segno dei tempi?
Credo di sì. Quando studiavo a Roma
e andavo in qualche parrocchia per
aiutare, un amico italiano mi diceva:
“Padre Simone, quando ti vedo ce-
lebrare la Messa, comincio a capire
che la chiesa è universale”. Anche la
Congregazione salesiana è universale.
Stiamo vivendo un momento storico:
i paesi “sviluppati” hanno un grande
bisogno di missionari.
Com’è nato questo singolare
progetto?
Il Progetto Europa è stato lanciato
dal nostro caro Rettor Maggiore.
L’Ungheria era un’ispettoria forte e
grande che ha sofferto molto. Il
Rettor Maggiore ha voluto
rafforzarla e, nel 2005, ha mandato
due salesiani dall’India e quattro dal
Vietnam. Così, sono arrivato in Un-
gheria.
Si sente missionario in
Europa?
Assolutamente, sì. In Europa pur-
troppo esiste un grande vuoto al li-
vello della fede. Una bella fetta della
società e dei giovani in particolare
ha un grande bisogno di Dio. Ri-
evangelizzare l’Europa è la nostra
sfida.
Com’è stato accolto?
Benissimo. Forse la cultura indiana
mi ha aiutato ad inserirmi bene nell’i-
spettoria. Ho scoperto pian piano che
la cultura ungherese e indiana sono
molto vicine.
“Padre Simone, quando
ti vedo celebrare la
Messa, comincio a
capire che la Chiesa
è universale”.
Chi le ha parlato di Dio per
primo?
I miei genitori. Tutte le sere, pregava-
mo insieme per mezz’ora. Leggevamo
la Bibbia e cantavamo insieme.
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Febbraio 2011

4.9 Page 39

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Com’è nata la sua vocazione?
Io vengo dal Kerala, uno stato dell’In-
dia. Sono nato in una famiglia cristia-
na, forte di fede e di vocazioni sacerdo-
tali e religiose. La mia mamma aveva
tre fratelli preti. Nella nostra famiglia
allargata siamo più di cento preti, ve-
scovi, cardinali, suore. Il mio cognome
è Manjooran. Significa, più o meno,
“famiglia scappata via dal villaggio”. I
miei antenati, duemila anni fa, hanno
conosciuto san Tommaso, si sono con-
vertiti al cristianesimo, e per salvarsi
dalla persecuzione, sono scappati via
dal re Hindu. Non so se è vero. È vero
che la mia famiglia possiede una ricca
e lunga tradizione cattolica.
Perché salesiano?
Un giorno, con la famiglia e uno zio
prete, siamo andati a fare una gita.
Sulla strada, c’era una scuola salesia-
na. Mio zio voleva entrarci per salu-
tare un prete salesiano. Era nel mese
di Aprile, il periodo dei campi estivi.
Ho visto nel campo tanti ragazzi, tan-
ti salesiani e tutti felici. Avevo solo 11
anni. Ho detto alla mia mamma che
quello era il mio posto e da quel gior-
no sono rimasto là. Dopo, è stata una
cosa naturale farmi salesiano.
Qual era il suo personaggio
preferito?
Michele Magone.
Come vede la Chiesa in
Ungheria?
Il passato è ricco, il presente molto
difficile. Poche famiglie sono prati-
canti. Pochi giovani frequentano la
chiesa.
E la Congregazione Salesiana?
La Chiesa e la Congregazione hanno
sofferto tanto durante il comunismo.
Ci stiamo riprendendo pian piano.
Quale prevede sarà la sua
missione?
Vogliamo far crescere vocazioni loca-
li, riorganizzare la pastorale giovanile
e l’apostolato delle famiglie.
Come sono i giovani
ungheresi?
Sono buoni, semplici, generosi e aperti.
Qual è la difficoltà più difficile
che deve affrontare?
L’ispettoria ha pochi salesiani e tanti
sono anziani.
E la sua gioia più grande?
Ho potuto lavorare per quattro anni
per i giovani Rom in una missione de-
dicata a loro. Ho avuto la gioia di fon-
dare una comunità salesiana in quella
missione e vivere con la gente zingara
per quattro anni. È stata un’esperien-
za forte e incredibilmente bella.
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4.10 Page 40

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CONOSCIAMOCI
DI PIERLUIGI CAMERONI
ADMA
L’associazione di Maria
Ausiliatrice è un itinerario
di santificazione
e di apostolato secondo
il carisma di don Bosco
Don Bosco, fondando l’Associazio-
ne di Maria Ausiliatrice presso il
Santuario di Torino il 18 aprile 1869,
tracciò un cammino di educazione
alla fede per il popolo, valorizzando
i contenuti della religiosità popola-
re e orientandoli verso la saggezza
evangelica, che risponde ai grandi
interrogativi dell’esistenza.
Scopo principale dell’ADMA è
“promuovere la venerazione al SS.
Sacramento e a Maria Aiuto dei
Cristiani”. “Confidate ogni cosa
in Gesù Cristo sacramentato ed in
Maria Ausiliatrice e vedrete che cosa sono i
miracoli” (don Bosco ai primi missionari).
L’adesione personale all’Associazio-
ne comporta i seguenti impegni: valo-
rizzare la partecipazione alla vita litur-
gica; vivere e diffondere la devozione a
Maria Ausiliatrice, secondo lo spirito
di don Bosco; imitare Maria coltivan-
do nella propria famiglia un ambiente
cristiano di accoglienza e solidarietà;
praticare la sollecitudine per i giovani
più poveri e le persone in necessità;
collaborare alla vita parrocchiale e alla
missione salesiana; pregare e sostenere,
in particolare nella Famiglia Salesia-
na, le vocazioni laicali, consacrate e
ministeriali; vivere la spiritualità del
quotidiano con atteggiamenti evange-
lici alla scuola di Maria: l’obbedienza
alla volontà di Dio; il ringraziamento
a Dio per le meraviglie che continua-
mente compie; la fedeltà a Lui anche
nell’ora della prova e della Croce.
L’ADMA è diffusa in tutto il mon-
do, in particolare nelle opere dove
si trova la presenza dei Salesiani e
delle Figlie di Maria Ausiliatrice,
grazie allo zelo apostolico di tanti
missionari.
Il VI Congresso internazionale di Ma-
ria Ausiliatrice si terrà dal 3 al 6 ago-
sto 2011 a Czestochowa in Polonia,
presso il Santuario di Jasna Gora,
ove si venera la Madonna Nera. Un dono
speciale per l’Associazione e per la Famiglia
Salesiana soprattutto nella grande sfida del-
la difesa della vita, del rinnovamento della
famiglia e dell’evangelizzazione dei giovani.
Il motto del Congresso “Totus tuus”,
mentre ci propone la santità e la grande
devozione mariana del venerabile Giovan-
ni Paolo II, figlio della terra polacca, vuole
esprime il nostro filale affidamento a Maria
Ausiliatrice per camminare con Lei sulla via
della fede e della testimonianza evangelica.
L’Associazione di Maria Ausiliatrice
esistente presso il Santuario di Maria
Ausiliatrice di Torino-Valdocco è
erede e continuatrice della prima
fondata da don Bosco: per questo
viene denominata “Primaria”. A
motivo della sua origine e del suo
legame con il Santuario essa svolge
il ruolo di animazione, collegamento
e informazione dell’Associazione a
livello mondiale.
Per informazioni
Cfr. sito www.admadonbosco.org

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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I NOSTRI SANTI
A CURA DI PIERLUIGI CAMERONI postulatore generale
Esiti scolastici
preoccupanti
Ero preoccupata per gli esiti sco-
lastici di due mie nipoti, Daniela e
Katia. Daniela, la più grande, fre-
quenta l’ultimo anno delle scuole
superiori. Mi rivolsi con grande
fiducia a san Giovanni Bosco e alla
sua mamma, la venerabile Mar-
gherita Occhiena, pregandoli ogni
sera di intercedere presso Maria
Ausiliatrice per le mie nipoti. Sono
felice e profondamente grata nel
dire che Daniela ha superato bene
gli esami di Maturità e Katia nell’ul-
tima pagella ha presentato un netto
miglioramento.
Borla Putero Franca,
Johannesburg – Sud Africa
Guarita da grave incidente
Il 24 settembre 2009 mi trovavo in
montagna, nella casa dove da 15
anni passo le vacanze estive. Quel
mattino decisi di andare a piedi
in paese con mia sorella e mio
cognato. Mentre camminavo sul
sentiero che portava alla strada
principale, scivolai e caddi sull’a-
sfalto della strada sottostante bat-
tendo forte la testa. L’impatto mi
provocò diverse fratture costali e
della caviglia, una ferita alla nuca e
la perdita di conoscenza. Grazie al
cielo, pochi minuti dopo un uomo
che passava per quella strada mi
vide e chiamò prontamente il 118.
Tramite l’elisoccorso fui traspor-
tata all’ospedale di Torino, dove
giunsi in condizioni disperate. I
medici mi operarono, quindi ri-
masi in stato comatoso. Quando
la notizia giunse in paese tutti
rimasero addolorati, specialmen-
te i parenti e gli amici più stretti.
Si cominciò ad invocare Mamma
Margherita e san Giovanni Bosco
per ottenere la grazia della mia
guarigione. Dopo molti giorni, mi
risvegliai dal coma e cominciai
a pronunciare le prime parole.
Quando i dottori diedero notizia
di questo ai miei cari, tutti furo-
no estremamente felici: eravamo
sicuri del fatto che Mamma Mar-
gherita ci aveva ottenuto la grazia.
Ora sto ricuperando in salute gior-
no dopo giorno e spero di ripren-
dermi del tutto.
Occhiena Adriana, Capriglio AT
Tre giorni tra la vita
e la morte
Ero in lacrime, distrutta dal dolore,
ricoverata in un letto d’ospedale,
per l’ennesima colica renale. Una
ragazza si avvicinò e mi parlò di
san Domenico Savio. Forse aveva
letto nei miei occhi l’angoscia che
provavo di perdere il bambino che
doveva nascere. Tornata a casa,
presi l’abitino di san Domenico
Savio, lo strinsi nella mano sini-
stra e non lo lasciai mai. Le coli-
che renali continuarono: trascorsi
Natale, Capodanno e l’Epifania in
ospedale, ma san Domenico Sa-
vio era sempre con me. Il 2 aprile,
mentre ero in casa, fui colta da
malore. Trasportata in ospedale,
in preeclampsia, subii un cesa-
reo d’urgenza, quindi trascorsi
tre giorni tra la vita e la morte. Il
giorno seguente, quando ripre-
si coscienza, mi accorsi che il 2
aprile era il giorno della nascita di
san Domenico Savio.
Marilena Alice, Crotone CZ
Nato sordo o cieco
Mia nipote nel 2009 aspettava un
bambino. Come tutte le mamme,
ha incominciato a sottoporsi a
visite di controllo, per assicurare
un regolare decorso della gravi-
danza. Al terzo mese i dottori le
riscontrarono un virus, a causa
del quale il nascituro sarebbe
rimasto o sordo o cieco. Non so
dire quale sia stato il nostro sgo-
mento al sentire ciò.
Procurai subito a mia nipote l’abi-
tino di san Domenico Savio e in-
cominciammo a pregarlo. Il 15 di-
cembre 2009 è nato Marco, bello
e pasciuto (kg 3,600), senza alcun
difetto: ci vede, ci sente e gode ot-
tima salute. Dopo tanta trepidazio-
ne, ora siamo tutti contenti.
Sr. Mangiarotti Adalgisa, Paullo MI
Il 27 febbraio ricorre il 50° anniversario della morte della
Serva di Dio Matilde Salem Salesiana Cooperatrice (Aleppo,
Siria, 15 Novembre 1904 - 27 Febbraio 1961).
La condizione agiata della famiglia non impedì a Matilde una spiccata
vita interiore. Il 15 Agosto 1922 sposò Georges Elias Salem. La gioia
di questa unione fu però ben presto appannata dall’impossibilità di
diventare madre e dalla fragile salute dello sposo. Infatti il 26 Otto-
bre 1944 rimase vedova. Avrebbe potuto rifarsi una vita: avvenenza,
ricchezza, tratto signorile, amicizie elette avrebbero potuto sedurla.
Invece fu allora che lei scoprì la sua vera vocazione: dedicarsi total-
mente al prossimo con un amore più vasto. La sua famiglia furono
i giovani poveri della sua città. In collaborazione con l’Arcivescovo
greco cattolico di Aleppo, monsignor Isidoro Fattal, si impegnò a
realizzare il grandioso progetto lasciato per testamento dal suo Ge-
orges, impegnando il cospicuo capitale da lui realizzato con la sua
fortunata attività commerciale. La “Fondazione Georges Salem” affi-
data ai figli di don Bosco chiamati nel 1947, sarà d’ora innanzi la sua
casa e la sua famiglia. Lì deporrà le spoglie dello sposo e lì pure sarà
sepolta lei stessa. Si arricchì di varie esperienze spirituali: salesiana
cooperatrice, figlia di S. Francesco d’Assisi, cofondatrice dell’Opera
dell’Amore Infinito. Quanto poi a carità, non ci fu istituzione benefica
che non la vedesse impegnata come sostenitrice: Società catechi-
stica, conferenze di S. Vincenzo, colonie estive per ragazzi poveri e
abbandonati, Vicepresidenza della Croce rossa, beneficenza islami-
ca, opera in favore dei giovani delinquenti... Il lunedì di Pentecoste
del 1959 si scoprì colpita da un cancro. In risposta alla diagnosi dei
medici, un solo commento: “Grazie, mio Dio”. Fu una via crucis di
20 mesi. Per testamento distribuì tutti i suoi beni a favore delle varie
opere di beneficenza, tanto da poter dire: “Muoio in una casa che non
mi appartiene più”. Morì in fama di santità il 27 Febbraio del 1961 a
56 anni di età, la stessa del suo dilettissimo Georges. È sepolta nella
chiesa dei salesiani ad Aleppo.
Madre coraggiosa
Sono una donna di 40 anni, di-
ventata mamma circa tre mesi
fa. L’inizio della mia gravidanza
è stato difficile, non per malattie
diagnosticate, ma a motivo dell’età.
Secondo la medicina, l’attesa di un
bimbo, da parte di una donna sui
39 anni, comporta il rischio che
nasca un bimbo non sano. Per
questo i medici mi hanno consi-
gliato ulteriori esami, pure rischiosi
per la salute del nascituro, oltre a
quelli cui mi ero già sottoposta. Mi
hanno inoltre prospettato la possi-
bilità, data dalla legge, di interrom-
pere la gravidanza. Sono riusciti a
spaventarmi, ma io non avrei mai
preso una tale decisione, e neppure
avrei messo a rischio l’incolumità
di mio figlio sottoponendomi a
quegli esami. Così mi sono affida-
ta all’intercessione di san Dome-
nico Savio e della Madonna; e da
quel momento ho vissuto il resto
della gravidanza serenamente,
godendomi ogni momento. Il 17
dicembre 2009 è nato il mio bam-
bino Gabriele, sano e pieno di una
gran voglia di vivere.
Mureddu Giovanna, Assemini CA
Tumore maligno
Si è scoperto che avevo un tu-
more maligno allo stomaco. Il
risultato dell’istologia è stato
negativo, per cui non fu neppu-
re necessario sottopormi a che-
mioterapia. Io ho sempre pregato
Mamma Margherita e mi sono
affidata a lei.
V. M. Torino
Febbraio 2011
41

5.2 Page 42

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CI HANNO LASCIATO
LANARO sac. Giuseppe
salesiano
† Garbagnate (MI),
il 18/09/2010, a 90 anni
Ottavo figlio di Giuseppe e Amalia
Valerio, frequentò medie e liceo
presso i salesiani di Schio, dove
maturò la sua vocazione. Fu di-
rettore e ispettore, ma soprattutto
padre, fratello e amico. Mai una
decisione dall’alto o poco ponde-
rata: il dialogo con l’interessato
era primario. La sua giovialità,
l’apertura, la lealtà gli procura-
rono tanti amici e molti doni, ma
tanto riceveva tanto distribuiva.
Fu un appassionato dei giovani:
li seguiva nei loro studi ma più
ancora nei loro problemi di vita:
colloquiava molto singolarmente
e in gruppo, organizzava per i
suoi giovani giornate di ritiro e ri-
flessione, li seguiva per lettera o
li contattava al telefono. I giovani
furono la sua passione, in questo
tanto simile a don Bosco; fu loro
confessore e guida spirituale. Ne
ha incontrati migliaia nella sua
lunga vita. Da moltissimi sarà
ricordato come benefattore della
loro anima.
POLLA MATTIOT
sac. Giovanni Dario
salesiano
† Roma, il 18/05/2010, a 76 anni
Un salesiano apprezzato da tut-
ti per le sue doti intellettuali e
le sue qualità morali. Esercitò
con dedizione il ministero come
cappellano nella comunità della
Gallardi, nella parrocchia Ma-
ria Ausiliatrice di Vallecrosia, e
all’Ospedale Civile di Bordighe-
ra. Capace di sdrammatizzare le
situazioni, veniva contattato da
degenti e familiari. Aveva sem-
pre una parola per tutti. Nella sua
vita salesiana è stato assistente,
consigliere, catechista, direttore.
Tutti ricordano la sua profonda
umanità, l’incoraggiamento, la
battuta solare, ma soprattutto il
grande spirito di servizio che lo
avvicinava alle persone più biso-
gnose e in difficoltà. Molti hanno
trovato conforto e sostegno dal
suo ministero. Sono tanti quelli
che lo ringraziano.
STRAPPAZZON sac. Tarcisio
salesiano
† Arese (MI), il 16/07/2009, a 94 anni
Una famiglia semplice, sobria
e religiosa che ha regalato al
Signore quattro figli, due fem-
mine Suore della Carità e due
maschi uno frate conventuale e
Tarcisio, salesiano. Fu un uomo
di grande cultura classica e di
profonda spiritualità. Fu diret-
tore dei chierici a Nave, dele-
gato ispettoriale dei salesiani
cooperatori e degli exallievi, poi
segretario del CISM di Milano.
Un carattere forte, intransigente
per quanto riguardava la regola,
ma sempre controllato, paziente,
equilibrato. Aveva il culto per
la liturgia che voleva dignitosa,
senza smagliature fantasiose
ma seguendo le rubriche. Era
l’uomo delle regole, della preci-
sione. Ma anche un confessore
ricercato, un uomo che sapeva
donare speranza. Dopo la sua
morte, molti hanno scritto con
devozione e affetto, ricordando
qualche suo tratto caratteristico,
e le molte sue virtù: la paternità,
l’entusiasmo, la laboriosità, la
capacità di dialogo, la sapienza,
la saggezza, la forza d’animo. Un
salesiano da non dimenticare.
DALLA TORRE sac. Silvano
salesiano laico
† Torino, il 14/03/2010, a 78 anni
Silvano s’innamora di don Bo-
sco al Rebaudengo dove era
andato per intraprendere gli
studi professionali. Si diploma
in elettromeccanica e nel 1956
è capo laboratorio. Diventa in
breve tempo un esempio di
competenza e di dedizione al
lavoro. Nel 1970 parte per la
Thailandia a dirigere il settore
dei meccanici ed elettromecca-
nici nel “Don Bosco Technical
Institute” di Bangkok, un’espe-
rienza che non dimenticherà
più. Il signor Silvano sapeva
comunicare l’entusiasmo con il
quale viveva la sua vocazione
salesiana. Tornato al Rebauden-
go dopo 7 anni di lavoro con i
giovani thailandesi, diventerà il
primo presidente del VIS, volu-
to dall’ispettore e approvato dal
Ministero come “Volontariato
Internazionale per lo Sviluppo”,
ma quella “S” voleva anche dire
Salesiano. Divenne poi direttore
del CFP e nel 1990 viene eletto
a membro del Capitolo Generale
23°. Un formatore nato e un sa-
lesiano che non dimenticò mai
di stare in cortile tra i suoi ra-
gazzi: un salesiano doc.
MOSCHETTO sac. Pietro
salesiano
† Esmeraldas (Ecuador),
il 31/12/2009, a 77 anni
Divenuto sacerdote nel 1959 la-
vorò in varie case salesiane poi,
nel 1982, si offrì di partire per il
progetto Africa, lanciato dal ret-
tor maggiore don Egidio Viganò.
Nel 1982 il superiore lo destinò
invece all’Ecuador. Obbedì senza
problemi e là poté mettere a frut-
to la sua preparazione scientifica
come insegnante di scienze na-
turali e biologia. A Esmeraldas,
dove restò fino alla morte, allestì
un bel “Museo de Historia Natu-
ral”, dove si può constatare che
i cambiamenti della natura sono
graduali, progressivi e lenti e
l’uomo può, purtroppo, contri-
buire a squilibrare il sistema.
Pubblicò alcuni libri scientifici
molto validi e apprezzati. Fu un
apostolo instancabile e un gran-
de educatore, convinto che solo
la cultura, l’educazione e la reli-
gione possono salvare i giovani
dalla strada.
PORRO sr. Albina
Figlia di Maria Ausiliatrice
† Nizza Monferrato (AT),
il 30/05/2010, a 86 anni
Suor Albina è stata missionaria
per 25 anni a Bahia Blanca (Ar-
gentina) dove ha lavorato come
infermiera in ospedale accanto
al beato Artemide Zatti. Al rien-
tro in Italia, prestò il suo servizio
di infermiera nella Casa “Chan-
tal” di Bra, dove erano accolte
le mamme anziane e ammalate
dei Confratelli Salesiani. Qui dal
1992 al 1997 fu anche direttrice,
molto apprezzata per il grande
affetto e la sollecitudine di cui
circondava le care ospiti. Ave-
va confidato a una consorella:
“Quando il Signore vorrà chia-
marmi, andrò volentieri. Ormai
sono consumata, la mia vita l’ho
vissuta e sono contenta, perché
ho fatto tutto sempre e solo per il
Signore. La morte non può por-
tarsi via nulla, se l’amore ha già
dato tutto”.
CODISPOTI sr. Mariantonia
Figlia di Maria Ausiliatrice
† Soverato (CZ), il 26/05/2010,
a 94 anni
All’età di 17 anni, rivelò al suo
Padre spirituale il desiderio di
seguire il Signore. Laureata in
Materie Letterarie, per decenni
spese la sua vita di insegnante
in un intenso apostolato tra varie
generazioni di allieve, coniugan-
do meravigliosamente fede e
cultura. Donna particolarmente
attiva ed energica, non si stan-
cava di inculcare nelle giovani
il senso del dovere e di educare
ad una autentica vita cristiana.
Con la sua intelligenza vivace ha
forgiato personalità di spicco,
donne ben riuscite dal punto di
vista professionale e familiare,
come hanno testimoniato le tan-
te exallieve che, dopo vari anni,
tornavano a salutarla affettuosa-
mente.
42
Febbraio 2011

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
DI B.F.
La risposta del pozzo
Un gruppo di ragazzi
e ragazze, una sera
d’estate, dopo aver
cantato e raccon-
tato storie buffe,
improvvisamente si
chiesero: «Qual è il segreto della vita?».
«C’è un pozzo che possiede la risposta»
disse il vecchio custode del campeggio.
Era lontano, ma la brezza della notte
era dolce. I giovani decisero di recarsi
al pozzo. Arrivati, posero la domanda:
«C’è un segreto della vita?».
Dalla profondità del pozzo echeggiò
la risposta: «Andate nella piazza del
villaggio: là troverete ciò che cercate».
Pieni di speranza, obbedirono, ma
nella piazza del villaggio trovarono
soltanto tre botteghe: una bottega ven-
deva fili metallici, un’altra strane forme
di legno e la terza pezzi di metallo.
Nulla e nessuno in quei paraggi sem-
brava avere a che fare con la rivelazio-
ne del segreto della vita.
Delusi, i giovani tornarono al pozzo a
chiedere una spiegazione.
Ma il pozzo rispose: «Capirete in
futuro».
Protestarono, ma l’eco delle loro pro-
teste fu l’unica risposta che ottennero.
Credendo di essere stati raggirati, i
giovani decisero di ritornare al cam-
peggio.
Era notte fonda, quando si unì a loro
un giovane che aveva i capelli lun-
ghi, uno sguardo sereno, vecchi jeans
sbrindellati e uno zaino sformato. Si
fermarono a riposare in una radura e
accesero un falò, alla luce della luna.
Il giovane sconosciuto trasse dallo zai-
no un sitar, il tipico strumento musica-
le dell’oriente, e cominciò a suonare.
Era una musica meravigliosa, vibrante,
ispirata, dolce ed appassionante.
Affascinati, i giovani si voltarono tutti
verso il suonatore; videro le sue mani
che suonavano abilmente; videro il
sitar; e gridarono di gioia, perché
avevano capito.
Il sitar era composto di fili metallici, di
pezzi di metallo e di legno come quelli
che avevano visto nelle tre botteghe
nella piazza del villaggio e che avevano
giudicato senza particolare significato.
La vita è un viaggio. Un passo
dopo l’altro. Ed ogni passo è qualcu-
no, qualcosa, un evento, un incontro,
una delusione, una speranza, una
gioia. Quello che importa è sapere che
tutto conta, tutto servirà, se decidete
di accorgervene.
E se ogni passo è meraviglioso, se ogni
passo è magico, lo sarà anche la vita. E
non sarete mai di quelli che arrivano in
punto di morte senza aver vissuto. Non
lasciatevi sfuggire nulla. Non guardate
al di sopra delle spalle degli altri. Guar-
dateli negli occhi. Non parlate «ai» vo-
stri figli. Prendete i loro visi tra le mani
e parlate «con» loro. Non abbracciate
un corpo, abbracciate una persona. E
fatelo ora. Sensazioni, impulsi, desideri,
emozioni, idee, incontri: non buttate
via niente. Un giorno scoprirete quanto
erano grandi e insostituibili.
Ogni giorno imparate qualcosa di
nuovo su voi stessi e sugli altri.
Ogni giorno cercate di essere consa-
pevoli delle cose bellissime che ci sono
nel nostro mondo. E non lasciate che
vi convincano del contrario.
Hanno inventato una cosa straordina-
ria. Si chiama «raccoglimento».
Si «raccolgono» i momenti della gior-
nata e si mettono insieme. Così si può
sentire la musica suonata dal giovane
trentenne di Nazaret.
Febbraio 2011
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5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Venite e vedrete
Alexandrina
L’invitato
Monsignor
Luc Van Looy
Missioni
L’oratorio di Fambul
Le case di don Bosco
Beit Gemal
Giovani
Il progetto
Teen star
Come don Bosco
Insegnare
a scrivere:
vi sembra poco?
Senza di voi
Dal testamento di don Bosco
per i benefattori
non possiamo
Senza la vostra carità io
avrei potuto fare poco
o nulla; con la vostra
carità abbiamo invece
fare nulla!
cooperato con la grazia di Dio
ad asciugare molte lagrime e
a salvare molte anime.
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612658
e-mail:donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.