Bollettino_Salesiano_201101

Bollettino_Salesiano_201101

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IL
GENNAIO
2011
Rivista fondata da
Giovanni Bosco
nel 1877
Venite
e vedrete!
Giovani
La prima
generazione
incredula
L’invitato
Il cardinale
Tarcisio Bertone

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LE COSE DI DON BOSCO
DI JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
L’orologio
La storia
Luglio 1846. Don Bosco cade esausto, prostrato dall’e-
norme cumulo di lavoro. Una violenta malattia lo riduce
in fin di vita. I suoi ragazzi dell’Oratorio pregano e digiu-
nano, a turno, ventiquattr'ore su ventiquattro. Quando
don Bosco torna guarito lo portano in trionfo, immen-
samente felici. Don Bosco dice semplicemente: «Sono
persuaso che Dio mi ha ridato la vita grazie alle vostre
preghiere, perciò la spenderò tutta per voi».
Tic, tac, tic, tac, tac... non
lo saprò mai se ho usato la mia
vita per segnare il tempo con
la precisione di un orologio
svizzero o se i miei ingranaggi
hanno solo scandito il battito
del cuore di questo giovane
prete.
L’ho conosciuto il giorno della
sua ordinazione. Sono stato
il regalo più prezioso. Ero un
magnifico orologio da tasca di
quel tempo: buona cassa d’ac-
ciaio e robusta catena. Quello
stesso giorno, mi ha messo
nella tasca interna della sua
tonaca, appena sopra il cuore.
Così ho vissuto tutte le sue ore
e tutta la sua vita.
Tic, tac, tic, tac, tac... Con
lui, ogni istante era considerato
un dono di Dio.
Il mio ritmo era regolare,
inesorabile. Così lui era sempre
di fretta, per inventare mille
cose nuove per quei ragazzi
che, nonostante la loro giovane
età, già conoscevano il dolore e
l’asprezza della vita.
Tic, tac, tic, tac, tac...
Quando lo sentivo parlare con
gente seria e grave, sapevo che
presto sarei stato pescato dalla
tasca per mostrargli l’ora. Ma
quando era con i giovani si
dimenticava di me. Più di una
volta, nel bel mezzo del gioco,
si metteva a correre. Appro-
fittavo della foga della corsa
per saltellare fuori dalla tasca,
legato alla mia catena, e dare
un’occhiata furtiva a quell’arco-
baleno di gioia che era la vita
dell’Oratorio.
Tic, tac, tic, tac, tac...
Sono stato il testimone di un
giorno terribile della sua vita.
Era estate. Il calore era spos-
sante. Da settimane mi ero ac-
corto che il suo battito cardiaco
era irregolare. Improvvisamente
si accasciò sul pavimento. Lo
misero a letto e chiamarono il
medico. Il suo battito cardiaco
era sempre più irregolare
e flebile.
Tic, tac, tic, tac,
tac... So bene quan-
to sia importante un
ritmo forte e costante
per la vita. Quando vidi
il dottore scuotere
mestamente il capo,
i preti con l’olio
santo e le lacri-
me di sua madre
temetti il peggio.
L’Oratorio fu avvolto da una
spessa nebbia di angoscia. Le
lancette della gioia si erano fer-
mate. I ragazzi cominciarono a
pregare di giorno e di notte.
Tic, tac, tic, tac, tac... Ma
alcune settimane dopo il cuore
di don Bosco riprese il ritmo
giusto. E io con lui. Guarì e
tornò in mezzo ai suoi ragazzi.
Fu allora, che fece una promes-
sa solenne: «Ogni minuto della
mia vita sarà per i giovani».
Io sono un testimone silenzio-
so della promessa mantenuta.
Ho avuto l’onore di segnare
ogni minuto di una vita dedi-
cata ai giovani.
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Gennaio 2011
Disegno di Cesar

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IL
IL
GENNAIO
2011
Rivista fondata da
Giovanni Bosco
nel 1877
Venite
e vedrete!
GENNAIO 2011
ANNO CXXXV
Numero 1
Giovani
La prima
generazione
incredula?
L’invitato
Il Cardinale
Tarcisio Bertone
2 LE COSE DI DON BOSCO
Editoriale
4 STRENNA 2011
6 LETTERE
8 SALESIANI NEL MONDO
Le guerre di Piera
12 L’INVITATO
Il “numero due”
12
16 FINO AI CONFINI DEL MONDO
18 ESPERIENZE
Valdocco Paris
20 LE CHIESE DI DON BOSCO
San Giovanni Evangelista a Torino
24 GIOVANI
La prima generazione incredula
27 MESSAGGIO A UN GIOVANE
28 NOTE DI SPIRITUALITÀ SALESIANA
30 LE CASE DI DON BOSCO
Progetto Emmaus
26
32 FMA
Lem lem... la vita cresce
34 COME DON BOSCO
36 NOI & LORO
38 VIAGGI
Verso la città di Alessandro Magno
40 A TU PER TU
Giovane, tedesco, salesiano
41 I NOSTRI SANTI
42 CI HANNO LASCIATO
40
43 LA BUONANOTTE
Mensile di
informazione e
cultura religiosa
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina:
Un nuovo anno
con l’augurio del
Rettor Maggiore
(fotografia
M. Notario)
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
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Hanno collaborato a questo nu-
mero: Agenzia Ans, Chiara Bertato,
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Marianna Pacucci, José J. Gomez
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Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Luciano Alloisio (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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Impaginazione: Puntografica s.r.l.
- Torino
Stampa: Mediagraf s.p.a. - Padova
Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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VENITE E VEDRETE
DI PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA
La vita è
vocazione
cl’oemsiestaepnpzaelluomeanraiscpoonsctaepita l primo passo che propongo è tornareadon
Bosco! Credo sia importante conoscere la sua
esperienza per scoprire i criteri e gli atteggia-
menti che caratterizzarono la sua azione e,
I così, illuminare il nostro impegno vocazionale.
Don Bosco visse in un ambiente e una cul-
tura poco favorevoli, contrari allo sviluppo delle
vocazioni ecclesiastiche, con un crescente dissenso
verso la Chiesa, come capita oggi. La libertà di
culto e l’attiva propaganda protestante disorien-
tavano il popolo semplice, presentando un’imma-
gine negativa della Chiesa, del Papa e del clero. Si
era creato nel popolo e soprattutto tra i giovani un
clima impregnato dalle idee liberali e anticlericali.
Don Bosco non si scoraggiò. Cercava di scoprire
possibili segni di vocazione nei giovani che in-
contrava; li metteva alla prova tra i compagni e li
accompagnava in un cammino di crescita. Si fa-
ceva, in altre parole, collaboratore del dono e della
grazia di Dio.
Don Bosco creò attorno a sé un ambiente,
o per meglio dire, una cultura vocazionale.
La sua azione puntava su elementi ben precisi.
Si impegnava a creare un ambiente in cui la pro-
posta vocazionale poteva essere favorevolmente
accolta e perciò arrivare a maturazione. Alimen-
tava una vera e propria cultura della vocazione ca-
ratterizzata dalla presenza in mezzo ai giovani e
da una testimonianza gioiosa. Un clima familiare
che favoriva l’apertura dei cuori.
Per nutrire tale cultura don Bosco proponeva una
forte esperienza spirituale, alimentata da una
semplice ma costante pietà sacramentale e maria-
na, e dall’apostolato tra i compagni, vissuto con
entusiasmo e disponibilità.
Un secondo elemento sul quale don Bosco puntava
era l’accompagnamento spirituale. La sua azione
si modulava a seconda che si trattasse di giovani o
adulti, aspiranti alla vita ecclesiastica o alla vita re-
ligiosa o semplicemente alla vita di buon cristiano
e onesto cittadino. Un direttore di spirito attento e
prudente, sostenuto da un intenso amore alla Chiesa.
Una “cultura” richiede mentalità e atteggiamenti
condivisi da una comunità che vive, testimonia e
propone all’unisono i valori cristiani. Non può es-
sere demandata all’azione isolata di qualcuno che
opera a nome degli altri; una cultura vocazionale
richiede l’impiego sistematico e razionale delle
energie di una comunità.
I contenuti che essa sviluppa riguardano tre aree:
l’area antropologica aiuta a comprendere come la
persona umana sia intrinsecamente permeata dalla
prospettiva della vocazione; l’area educativa, apren-
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Gennaio 2011

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Cari amici lettori del Bollettino Salesiano,
sono lieto di salutarvi all’inizio di questo nuovo anno,
che vi auguro sereno, abbondante delle benedizioni che
il Padre ha voluto darci nella incarnazione del Suo Figlio.
Una delle benedizioni più importanti e belle per la nostra
esistenza umana la troviamo nel magnifico inno della
lettera agli Efesini. Ecco la grande e più importante bene-
dizione: nel piano di salvezza prestabilita da Dio siamo
chiamati, anzi siamo stati creati da Lui per riprodurre
l’immagine del suo Figlio attraverso l’unica cosa capace
di renderci simili a Lui, l’amore.
San Paolo ci fa pensare a quello che rende significativa la
vita umana, vale a dire, la vocazione che riempie di senso,
di gioia e dinamismo la nostra vita rendendola feconda.
Se l’anno scorso vi ho raccontato attraverso gli articoli
mensili il “mio Gesù”, questa volta vi voglio parlare della
vita come vocazione, anche perché tra evangelizzazio-
ne e vocazione c’è un'intima unione. Gesù evangelizza e
convoca ed invia.
Così, dopo questo articolo che serve di introduzione, nei
mesi seguenti vi parlerò della vocazione raccontandovi
esperienze concrete di persone
ben riuscite umanamente e
cristianamente, proprio per-
ché hanno scoperto e seguito
la loro vocazione.
do alla relazionalità, favorisce la proposta di valori
congeniali alla vocazione; l’area pastorale fa atten-
zione al rapporto tra vocazione e cultura obiettiva e
offre conclusioni operative per il lavoro vocazionale.
Ogni azione o pensiero si basa su un’immagine
di uomo, spontanea o riflessa, che guida il no-
stro dire e il nostro fare. La vocazione non è un
surplus dato soltanto ad alcuni, ma una visione
dell’esistenza umana caratterizzata dall’appello.
Un primo compito della cultura voca-
zionale è, quindi, quello di elaborare e dif-
fondere una visione dell’esistenza umana
concepita come “appello e risposta”.
Poiché l’essere umano è parte di una rete di rap-
porti, una cultura vocazionale deve aiutare a pre-
venire nel giovane una concezione soggettivisti-
ca dell’esistenza, che concepisce la realizzazione
personale come difesa e promozione di sé e non
come apertura e donazione. La vita è apertura agli
altri, vissuta come relazionalità quotidiana, ed è
apertura alla trascendenza che svela l’essere uma-
no come un mistero che solo Dio può spiegare e
solo Cristo può appagare.
L’unicità dell’esistenza chiede che si scommetta
su valori importanti che vanno incarnati nelle
scelte che si fanno. I giovani man mano che cre-
scono giocano il proprio successo su un progetto
e sulla qualità della vita. Devono decidere il loro
orientamento a lungo termine, avendo di fronte
diverse alternative. E non possono percorrere la
propria vita due volte: devono scommettere. Nei
valori che prediligono e nelle scelte che fanno si
giocano il loro successo o il loro fallimento come
progetto, la qualità e la salvezza della loro vita.
Gesù lo esprime in forma assai chiara: “Chi vorrà
salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la
propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà.
Che giova infatti all’uomo guadagnare il mondo
intero, se poi perde la propria anima?” (Mc 8:35-
36). Compito di una cultura vocazionale è sensi-
bilizzare all’ascolto di tali interrogativi, abilitare ad
approfondirli. Compito di una cultura vocazionale
è pure promuovere la crescita e le scelte di una per-
sona in relazione al Bonum, al Verum, al Pulchrum,
nell’accoglienza dei quali consiste la sua pienezza.
Scoprire e accogliere la vita come dono
e compito è un ulteriore impegno della
cultura vocazionale.
La vocazione è una definizione che la persona dà
alla propria esistenza, percepita come dono e ap-
pello, guidata dalla responsabilità, progettata con
libertà. Leggendo la Scrittura si scopre come il
dono della vita racchiuda un progetto che man
mano si manifesta attraverso il dialogo con se stes-
so, con la storia e con Dio ed esige una risposta
personale.
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LA POSTA
I NOSTRI ESPERTI RISPONDONO
Società in crisi
Caro Bollettino, ogni giorno,
nel mondo del lavoro, noi lai-
ci, dobbiamo fare i conti con
la disonestà di troppa gente.
La gente non ha tempo libero,
costretta a curare tante faccen-
de. […] Ci si sente sgomenti
di fronte ad una realtà fatta di
virtualità internettiana, di gente
che quando ci sono di mezzo i
soldi si vende l’anima a sata-
nasso, di poveri ragazzi “scop-
piati” che girano stravolti per le
strade con il cellulare incollato
al corpo come una protesi, o gli
auricolari infilati negli orecchi
come cavi da robot. […] Gran-
di consumatori di Facebook e
di amori virtuali, e i “vecchi”
indifferenti e rassegnati. […]
Nel nome della libertà le peg-
giori licenze vengono accettate
come dati normali […] nel di-
lagare di una forma di società
sempre più tecnologicamente
sviluppata e sempre più impo-
verita di coscienza.
Raimon@
Non è tempo di
geremiadi o la-
mentazioni che
dir si voglia… Le
fanno troppi. Le
fanno tutti. Credo
invece che sia tempo di rimboc-
carsi le maniche, partire all’at-
tacco e fare il contrario, cioè
praticare noi stessi quei valori
che non vediamo più fiorire nei
nostri giovani. Il guaio vero di
tutta la faccenda è che gli adulti
proprio loro hanno abbando-
nato i valori che un tempo ve-
nivano chiamati perenni. Oggi
OGNI MESE nel vissuto quotidiano di troppe
persone “mature”, genitori com-
presi, questi valori sono “periti”
più che “perenni”. “Se volete
insegnare qualcosa ai vostri
figli praticate voi stessi quello
che pretendete di insegnare”,
DON BOSCO
A CASA TUA
tuonava il vecchio parroco in Il Bollettino Salesiano vie-
cotta e tricorno dal suo pulpito. ne inviato gratuitamente a
Inutile rimproverare il ragazzino
che dice parolacce se i primi a
usarle, ormai come intercalari,
sono papà, mamma, nonno,
nonna, zio, zia, ecc. Senza con-
tare “illustri” personaggi: eroi
dello sport, del piccolo e del
chi ne fa richiesta.
Dal 1877 è un dono di don
Bosco a chi segue con
simpatia il lavoro salesia-
no tra i giovani e le mis-
sioni.
Diffondetelo tra i parenti e
gli amici. Comunicate su-
grande schermo, anziane nobil- bito il cambio di indirizzo.
donne e attricette finte, cantanti
e politici, e via elencando che
“sputano oscenità” complici i
media. Di scurrilità sono zeppe Quella cosa
le TV private, ma anche quelle chiamata coscienza
di Stato. E che dire dei blog e
dei social network?… Caro
signore, gli educatori (genitori,
prof, politici, conduttori, ecc.)
più che insegnanti devono
essere testimoni di buone
maniere. Aveva ragione Michel
de Montaigne quando scriveva
Il mio bambino ha incominciato
il terzo anno di catechismo in
parrocchia, ma mi sono accorto
che nessuno, proprio nessuno,
gli ha parlato di una cosa che
si chiama coscienza, di doveri,
di comandamenti, di precetti...
che “i nostri padri mirano solo È tutto un miscuglio di bei pen-
a riempire di sapere la testa dei
loro figli; di senno e di virtù
manco si parla!”. Prima di lui,
il grande favolista greco Esopo
sentenziava: “Non si possono
biasimare i propri figli perché
sieri, tanto amore, ma nessun
obbligo, nessun punto fermo.
Di che cosa ci lamentiamo poi?
Gian Luigi Carmignani,
Bergamo
sono pigri e indifferenti, quando
G a renderli tali è l’educazione dei
loro genitori”. Ma la cosa più
dura l’ha detta Orazio nelle Odi
oltre duemila anni fa: “I nostri
genitori, peggiori dei loro padri,
hanno generato noi, più scelle-
entile signore,
i catechismi a
cui lei fa riferi-
mento cercano
in primo luogo
di far conoscere
rati di loro; noi a nostra volta la persona di Gesù. Insegnano
genereremo figli più perversi anche come devono comportar-
di noi!”. Preghiamo che questa si gli amici di Gesù. Al di là del
iattura non si verifichi.
catechismo, il suo “lamento” è
Don Giancarlo Manieri un’opportuna provocazione per
avviare una sia pur breve rifles-
sione sulla coscienza morale.
Non so se capita anche a lei, ma
mi accorgo che alcune “cose”
che da sempre provocano la
mia responsabilità e la mia co-
scienza di adulto le ho apprese
da piccolo in famiglia. Che cosa
voglio dire? Che la prima e for-
se più incisiva educazione della
coscienza – vale a dire il senso
delle cose buone e/o cattive –
inizia fin dai primi giorni di vita
di un figlio.
La coscienza è paragonabile a
un seme che ognuno, venendo
al mondo, scopre nel suo in-
timo. Il problema è come farlo
germogliare e crescere fino a
diventare un albero dritto, forte
e resistente ai venti e alle intem-
perie della vita.
La coscienza di un bambino
prende forma e si sviluppa an-
zitutto nelle relazioni familiari.
Poi, crescendo, entreranno in
gioco altre relazioni più o meno
educative: le persone che abi-
tualmente frequentano la fami-
glia; il gruppo dei compagni,
l’ambiente scolastico, ecclesia-
le e, soprattutto, TV e internet.
I primi anni di vita sono impor-
tantissimi perché il figlio respira
dalla vita quotidiana dei genitori,
dei nonni, dei fratellini ciò che è
giusto e bello fare e ciò che non
si deve fare. In altre parole, esi-
ste una lezione continua, silen-
ziosa che trasmette molto di più
di quanto si pensi e si voglia.
Qualche banale esempio. La
mamma chiede al bambino di
aiutarla a preparare la tavola;
il papà invece si sprofonda sul
sofà e guarda la TV. Quale silen-
zioso insegnamento di vita si re-
spira in questa famiglia? Che le
faccende domestiche sono delle
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APPELLI
donne e dei bambini. Un uomo portato in tavola una buona bi-
adulto non fa quelle cose! Oppu- stecca si è rifiutata di mangiarla
re poniamo: nella famiglia Rossi e si è messa a piangere. Mi ha
i nonni vivono un po’ lontani. La chiesto: «Perché uccidiamo e
domenica il bambino va con i mangiamo gli animali?» Non
genitori a divertirsi in montagna ho saputo rispondere...
o al mare. Ogni tanto qualche
Lettera firmata, Cavour
visita frettolosa ai nonni un po’
acciaccati. Quale “valore” assi-
N milerà il pupo? Il divertimento,
cioè le “mie” cose vengono pri-
ma: anche dei nonni! E di esem-
pi simili se ne possono fare tanti
quanti se ne vogliono.
el piano salvifico
di Dio gli animali
hanno un posto.
La Bibbia pone
gli animali nel-
Senza colpevolizzare nessuno,
la grande opera
i genitori devono essere con- della creazione, e l’animale co-
sapevoli che incidono sulla co- stituisce la parte della natura più
scienza “morale” dei loro figli vicina all’uomo, che è il centro
soprattutto con il clima “morale” e il vertice della creazione. No-
che si respira in casa: le scelte nostante la vicinanza e la soli-
quotidiane dei genitori, la coe- darietà con gli animali, l’uomo
renza con determinati valori, le è presentato come colui che im-
rinunce per un parente o amico pone loro il nome, il che indica
in difficoltà, ecc. In altre parole, la nobiltà del ruolo etico dell’uo-
le cose ritenute importanti e vis- mo nella cura e nella custodia
sute nella normalità della vita fa- di queste creature meravigliose,
miliare: queste danno forma alla che sono a lui affidate non per
coscienza di un figlio.
spadroneggiare, ma per render-
Che cosa ne pensano al riguar- ne conto a Dio, che è l’unico e
do i lettori del Bollettino Sale- vero Signore di tutta la creazio-
siano?
ne. Dio estende sugli animali la
Don Sabino Frigato, sua provvidenza, li nutre e pensa
Docente di Teologia a tutte le loro necessità. Anche
morale gli uomini devono essere bene-
Università Pontificia voli verso di loro. Ci si ricorderà
Salesiana - Torino con quale delicatezza i santi,
come san Francesco d’Assisi o
san Filippo Neri, trattassero gli
Perché uccidiamo
e mangiamo
gli animali?
animali. Pur nel rispetto e nella
chiara consapevolezza che essi
sono creature di Dio, gli animali
sono presentati come creati in
vista dell’uomo e per l’uomo.
La mia bambina di sei anni è Dice il papa Benedetto XVI che
stata portata dalla maestra di non si deve assolutizzare la na-
scuola a visitare una fattoria. È tura e gli animali, né ritenerli più
rimasta conquistata dalle muc- importanti della stessa persona.
che e soprattutto dai vitellini. È importante quindi discernere
Oggi, quando la mamma ha l’assoluto dovere di difendere
Mi chiamo Hiltruda e sono
una ragazza di 18 anni. Cer-
co persone di buona volontà
che potranno supportarmi
nella scuola superiore. Voglio
studiare per avere un futuro
migliore e poi aiutare chi ne
ha tanto bisogno, questo è il
mio sogno! Ringrazio chi vor-
rà aiutarmi. Hiltruda Charlesi
c/o Gosbert K. Walwa, P.O.
Box 294 Geita, Tanzania.
Mi chiamo Marina, ho 40
anni, sono italiana, cultura
universitaria, referenziata;
abito a Livorno e mi offro
come badante, accompa-
gnatrice per signora anziana
autosufficiente oppure come
baby-sitter presso famiglia
signorile. Mi piacerebbe an-
che corrispondere con amici
e amiche dai 35 anni in su,
scopo scambio opinioni e
possibile conoscenza. Chi
volesse contattarmi: monta-
narimarina@alice.it o telefo-
nare al 388/6125335.
Collaboro con i missionari
raccogliendo francobolli, car-
toline illustrate scritte o meno,
schede telefoniche, santini,
calendarietti tascabili. Ringra-
zio cortesemente chi rispon-
derà a questo appello. Silvestro
Gagliano, Via Mario Vaccaro
19/N, 95125 Catania CT.
l’ambiente, da una distorta idea
che porta a considerare sullo
stesso piano animali e persone.
Il Catechismo della Chiesa Cat-
tolica (nn. 2415ss.) afferma che
gli animali sono destinati al bene
comune dell’umanità, e che il
coinvolgimento degli animali
non può essere separato dal ri-
spetto delle esigenze morali, dal
momento che gli animali hanno
uno statuto etico. È contrario
alla dignità umana far soffrire
inutilmente gli animali e dispor-
re indiscriminatamente della
loro vita… Si possono amare
gli animali; ma non si devono
far oggetto di quell’affetto che
è dovuto soltanto alle persone
(n. 2418). La signoria accorda-
ta dal Creatore all’uomo non è
assoluta, ma esige un religioso
rispetto dell’integrità della crea-
zione. Dio ha consegnato gli
animali a colui che egli ha crea-
to a sua immagine. È dunque
legittimo servirsi degli animali
per provvedere al nutrimento
o per confezionare indumenti.
Possono essere addomesticati,
perché aiutino l’uomo nei suoi
lavori. Prima del peccato origi-
nale l’uomo non si nutriva degli
animali, ma dopo la caduta (Gn
3) muta il rapporto tra gli uomi-
ni e gli animali manifestandosi
come rivolta della natura e come
lotta per lo spazio vitale e per la
sopravvivenza. Dopo il diluvio,
in una creazione restaurata, ma
evidentemente meno perfetta
dell’originale, gli animali vengo-
no dati in cibo agli uomini (Gn
9,2). Solo nella parusia, alla ve-
nuta del Messia, come profetiz-
zato (Is 11,6-8; 65,25; Os 2,17),
quando il mondo sarà purificato
dai peccati, si restaurerà l’armo-
nia originaria e definitiva tra gli
uomini e gli animali.
Prof. D. Giovanni Russo,
Direttore della Scuola
Superiore di Bioetica e
Sessuologia - Messina
bioeticalab@itst.it
Per la vostra corrispondenza:
IL BOLLETTINO SALESIANO
Casella post. 18333
00163 ROMA - Bravetta
fax 06.65612643
E-mail: biesse@sdb.org
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SALESIANI NEL MONDO
Piera Le guerre
di «Ho avuto tre guerre
e due vite»
Piera Tortore, medico chirurgo,
è volontaria di don Bosco e vive la sua
vocazione salesiana come direttore sanitario
di uno dei più grandi ospedali del Congo e come
“mamma” dei bambini abbandonati.
Kasenga, il villaggio della sabbia, sulle rive del
fiume Luapula al confine con lo Zambia, im-
merso nella foresta, vive nella sabbia e nella
povertà. Oggi è domenica: mi avvio verso la
chiesa per una delle tante stradine che là con-
vergono. I piedi affondano nella sabbia.
Abbasso gli occhi e vedo sulla sabbia un’infinità di
orme lasciate da piedi scalzi che mi hanno preceduta
sul cammino. Mi volto indietro e osservo le impronte
lasciate dai miei passi.
È facile distinguerle: sono diverse dalle altre. I miei
piedi non sono nudi: io ho le scarpe.
Un bimbo si avvicina, mi sorride, mi dice qualcosa in
una lingua che non conosco. Rispondo al sorriso ten-
dendogli la mano. Continuiamo il cammino insieme:
il bimbo a piedi nudi, io con le mie scarpe; entrambi
nella stessa direzione. Il chiacchierio del mio piccolo
compagno non mi distoglie dalla riflessione, stringo
la sua mano: chissà che cosa mi sta raccontando. Forse
la sua gioia di essere al mondo, forse il desiderio di
avere anche lui delle scarpe, forse la sua fame di molti
giorni. Troppe cose ci separano e non solo le scarpe.
Forse per capire il messaggio di questo bimbo dovrei es-
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1.9 Page 9

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sere a piedi nudi, ma soprattutto avere un cuore libero
destinato soltanto ad amare. Lacrime di nostalgia scen-
dono silenziose sul mio viso; il bimbo con sguardo inter-
rogativo indica le mie lacrime: «Dada, perché piangi?».
Chi racconta è Piera Tortore, una signora gen-
tile e serena, l’alloggio, nella periferia aria, luce e
montagne di Cuneo, è grazioso, ma si ha come la
sensazione che serva solo “di passaggio”.
«Ho scoperto i salesiani grazie alla malattia del
Maestro Sola, un salesiano mitico, anima della
banda musicale dell’oratorio che è vicino all’o-
spedale Santa Croce dove lavoravo come medico.
Fino a quel momento sapevo solo che don Bosco
era un grande santo.
Cominciai così a curare un bel po’ di salesiani e
un giorno mi parlarono di questa forma di consa-
crazione laica, le Volontarie di Don Bosco. Andai
a un ritiro vocazionale e giurai a me stessa che
mai e poi mai, neanche in fotografia, sarei diven-
tata vdb e vedete com’è andata a finire... Avevo un
sogno nel cassetto: andare a lavorare in un paese
in via di sviluppo. Ho fatto il medico per questo.
Proprio nel 1988, don Bosco è venuto a prende-
re la mia mamma. In quel periodo, mi stavo pre-
parando a diventare primario, quando è arrivata
una telefonata di don Van Looy : “A Lubumbashi
cercano un ecografista”. Neanche sapevo dov’e-
ra Lubumbashi. Ci incontrammo nel retro della
libreria a Valdocco dove mi fornirono una carta
geografica e decisi di rischiare la mia vita in quel
puntino rosso nel cuore dell’Africa. Pregai tan-
A pagina prece-
dente e qui sotto:
la dottoressa Piera
Tortore con alcuni
dei bambini e dei
ragazzi che ha
accolto e cresciuto
nella sua casa a
Lubumbashi.
Gennaio 2011
9

1.10 Page 10

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SALESIANI NEL MONDO
TOTO, LA MUSICA E LA STRADA
Piera sull’ambu-
lanza della clinica
dei salesiani di
Lubumbashi dov’è
direttore sanitario.
La clinica ha 200
posti letto e 150
dipendenti. È una
delle più stimate
dell’immenso
paese.
to, poi chiesi di andare in pensione perché volevo
mantenermi da sola e non essere di peso a nes-
suno. È importante per noi vdb: siamo laiche se-
colari e viviamo con le nostre forze. Sono passati
vent’anni da allora. Avevo fatto il mio lavoro con
molto amore per vent’anni di ospedale e adesso
vent’anni d’Africa. Ho vissuto due volte!»
L’angoscia è pagare gli stipendi
a fine mese
«L’ospedale dei salesiani era solo all’inizio e ave-
va ricevuto in dono un ecografo, ma nessuno lo
sapeva usare. Non sapevo una parola di francese
e mi aiutavo con il piemontese. I primi momenti
sono stati tanto difficili, ma quando i miei colle-
ghi hanno saputo che non chiedevo lo stipendio
e che ero appassionata del mio lavoro è sbocciato
un rapporto bellissimo con loro. Tre anni fa gra-
zie ai miei colleghi sono diventata l’unico medico
straniero di Lubumbashi che ha l’iscrizione defi-
nitiva all’ordine dei medici del Congo».
Toto è un ragazzo di quattordici anni, gravemente han-
dicappato. All’apparenza dimostra molti anni di meno:
piegato su se stesso, le gambe corte, le braccia lunghe,
la testa che emerge da questo groviglio che è il suo cor-
po, sembra un “brutto bambino” di sei o sette anni. Ha
sguardo vivace e sorriso furbo, ma quello che colpisce è
la musica che sa trarre da una latta di conserva vuota, che
funge da cassa armonica, legata ad alcuni fili di ferro che
fungono da corde. Non so se questo strumento abbia un
nome, ma la prima volta che ho sentito le “melodie” suo-
nate dal ragazzo sono rimasta senza parole.
Toto era stato ricoverato al policlinico dove attendevamo la
visita di un’équipe ortopedica del Belgio: volevo un parere
specialistico prima di concludere che non c’erano possi-
bilità di cura.
Il ragazzo si sottopone senza protestare a diverse indagini
mediche e attende: sembra veramente l’immagine della
pazienza. Durante il ricovero rallegra la degenza dei suoi
compagni di ospedale con la sua musica. Quando mi vede
interrompe il suo repertorio per dedicarmi una sua “com-
posizione”, che, con molto garbo, fa precedere da un buffo
inchino e dalla dedica “alla mia dottoressa”.
Inutile dire la mia grande simpatia per Toto e la mia delu-
sione quando i colleghi ortopedici mi dicono che non è
possibile alcuna correzione alla sua deformazione. Sono
triste e non so come parlare con il ragazzo: anche lui ha
molto sperato in questi giorni. Cerco di non essere troppo
L’ospedale è stato costruito dai salesiani. Vent’anni
fa era solo un grande dispensario, poi sono stati co-
struiti due padiglioni e una clinica, la più stimata del
Paese. Ha 200 posti letto, 150 dipendenti.
Piera è il direttore sanitario. «L’angoscia è pagare gli
stipendi alla fine del mese. Quello che non avevo
preventivato erano le tre guerre congolesi, per cui mi
sono dovuta improvvisare medico di guerra. Sono
stati momenti allucinanti, pericolosi. Durante la
guerra etnica contro la regione del Casai, le donne
partorivano sui marciapiedi, portavano qui uomini
con ferite orribili e crudeli.
Mi occupai per un po’ anche di altre due esperienze
magnifiche, durante i weekend: un reparto mater-
nità e una casa per malati terminali. E ho sempre
potuto lavorare grazie ai miei amici di Cuneo che
da sempre mi appoggiano con aiuti molto concreti».
E la prima bambina?
«La mamma era morta di fame perché non man-
giava da tre giorni. Si era accasciata per la strada ed
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Gennaio 2011

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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drastica e nello stesso tempo di non creargli ancora illusio-
ni. Cerco soprattutto di sottolineare il suo talento e la sua
passione per la musica: «Se studi seriamente puoi anche
diventare un grande musicista». Toto sorride, tenta qualche
accordo sul suo singolare strumento e si prepara a rientrare
alla Maison Magone.
Il ragazzo riprende la frequenza della scuola, ma è svogliato,
non studia, spesso sparisce da scuola, rientra a tarda ora
alla Maison e d’abitudine senza scarpe e senza abiti, che ha
venduti durante la giornata.
Il responsabile della casa, un salesiano dal cuore di mam-
ma, cerca di chiedergli spiegazione del suo comportamento,
ma le risposte del ragazzo sono vaghe e la verità, anche se
intuibile, non viene a galla.
Una sera Toto non rientra: padre Mario lo cerca inutilmente
per tutta la città. L’accaduto non stupisce molto; chi si oc-
cupa dei ragazzi della strada è abituato a queste fughe e
deve saper attendere che i fuggiaschi ritrovino la strada di
casa. Dopo qualche giorno incontro Toto in città: è seduto
all’angolo di una strada, circondato da un gruppo di perso-
ne attratte dalla sua musica. Lo guardo con tanta tristezza
e tenerezza e non oso interrompere la sua esibizione, che
gli frutterà qualche soldo per non morire di fame.
Il ragazzo mi vede (è difficile per me, bianca, passare inos-
servata, soprattutto in certe zone della città) e, come quan-
do era ricoverato in ospedale, mi sorride e comincia la sua
speciale composizione musicale «per la mia dottoressa»,
tra la curiosità della gente.
Voglio parlare con il ragazzo che si avvicina strisciando
sulle gambe malate: «Perché sei scappato? cosa fai qui?
Padre Mario ti cerca, è molto preoccupato per te: perché
sei tornato sulla strada a mendicare?»
Toto ascolta con la pazienza a me ben nota e, con il più
bello dei suoi sorrisi, mi risponde:
«Io non chiedo l’elemosina, io mi guadagno la vita».
E se ne va.
Contatti: piertopi@ic-lubum.cd
oppure Compartir 0171 698173
Sito delle VDB: www.volontariedonbosco.org
era caduta sulla bambina lussandole un braccio. Il
papà era venuto da me e mi aveva dato la bambina
dicendomi: è sua! Marina, la mia prima bambina.
Non pensavo assolutamente a mettere su famiglia,
ma… Il secondo è Gio-gio (il vero nome è Gio-
vannino, perché me l’hanno portato verso la festa
di don Bosco), orfano, malato. Mi hanno detto
solo: se lo tenga. Così sono arrivata a venti».
È riuscita a costruirsi una casa, sempre con i soldi
degli amici di Cuneo e un intervento della Provvi-
denza: una signora di Perugia che aveva sentito par-
lare di lei da un salesiano di Cuneo le mise a dispo-
sizione trenta milioni di lire. Sono nati così i Foyer
Cancan per bambini abbandonati e handicappati.
«Sai com’è: un bambino tira l’altro… Mi chiamano
Dada».
Ora non vede l’ora di tornare a Lubumbashi. In
venti l’aspettano. Qual è la sua preghiera alla fine
di tutto questo?
«Grazie, Signore per aver mandato me!»
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2.2 Page 12

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L’INVITATO
Il “numero Incontrocon
dueilcardinale
Tarcisio Bertone
Segretario di Stato
Per i cinquant’anni di
sacerdozio il Papa gli
ha scritto un messaggio
affettuoso: «Mentre
attraversiamo tempi difficili,
Ti abbiamo voluto vicino come
collaboratore, scegliendoTi
quale Segretario di Stato,
con cui condividere decisioni
e compiti. Senza dubbio Ti
stai prodigando con grande
impegno e perizia ad essere
partecipe dei Nostri progetti
pastorali riguardo alla Chiesa
universale, e delle Nostre
iniziative rivolte al mondo
intero, perché la famiglia di
Dio si rafforzi ed il mondo
diventi più armonioso».
Lei è il salesiano che è
arrivato più in alto…
Con la grazia del Signore, la benevolen-
za dei Papi e dei superiori sono arrivato
ad assumere degli incarichi ecclesiali di
rilievo, che ho cercato di svolgere con
dedizione, con un grande amore alla
Chiesa, con spirito di laboriosità e di
sacrificio,come ci ha insegnato don Bo-
sco. Ringraziando il Signore, sono stato
accompagnato da una buona salute e
quindi ho potuto fare anche degli orari
di lavoro molto intensi.
L’etichetta di “salesiano” le è
rimasta appiccicata.
Ne sono intimamente felice. E anche
fiero.Ho cercato di mantenere lo spirito
salesiano anche nel modo di predicare e
di incontrare giovani e meno giovani e
attualizzare la Parola di Dio, secondo le
necessità concrete del popolo di Dio.
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Gennaio 2011

2.3 Page 13

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Che cosa c’è di salesiano,
di don Bosco, nel suo essere
prete?
Tantissimo. L’umanità che è alla base
di ogni virtù. La famosa trilogia: re-
ligione, ragione, amorevolezza. Don
Bosco affermava: «Anche nel giovane
più delinquente c’è un punto sensibile
al bene». Per questo sono un inguari-
bile ottimista.
La sua vocazione?
La mia vocazione è nata a Valdocco.
Durante il ginnasio e poi al Liceo, ero
deciso a studiare lingue, ma poi c’è
stata la proposta concreta di un sale-
siano, don Alessandro Ghisolfi, a cui
devo tanta riconoscenza, che mi ha
detto: «Non ti piacerebbe impostare
la vita come fanno i salesiani, stare
in mezzo ai giovani, facendo quello
che vedi fare da noi, qui?». Risposi
che non ci avevo mai pensato. «Vieni
a Monte Oliveto per tre giorni». Da
quell’incontro siamo tornati ai primi
di maggio del 1949. Era la sera di
quella tremenda bufera che ha fatto
schiantare l’aereo del Grande Torino
contro la collina di Superga.
A Monte Oliveto ho preso quella de-
cisione di iniziare il Noviziato. L’ho
comunicata ai miei genitori che ve-
nivano puntualmente ogni 24 maggio
da Romano Canavese a passare la fe-
sta di Maria Ausiliatrice in Basilica.
Come ha reagito la sua
famiglia?
Mi hanno detto: «Hai deciso tu. Spe-
riamo che tu sia fedele e che il Signo-
re ti accompagni». E sono andato in
Noviziato.
Qualche “grazie” particolare?
Ero molto giovane e ho chiesto con-
siglio al confessore, don Bertagna:
«Mi hanno fatto questa proposta.
Che cosa ne dice lei?». Nella festa
del mio cinquantesimo ho ricordato
tutti i confessori della mia vita. Devo
molto a tutti. Don Bertagna aveva ot-
tantaquattro anni, era imponente, con
i capelli bianchi. Mi rispose: «È una
vocazione molto impegnativa essere
salesiano, significa stare con i giova-
ni, avere molta pazienza e capacità di
lavoro. Posso dirti che sono salesiano
da quasi sessant’anni e non mi sono
mai pentito di essermi fatto salesia-
no». Adesso lo posso dire anch’io
perché sono esattamente sessant’anni
che sono salesiano e non mi sono mai
pentito. E sono molto contento.
E Maria Ausiliatrice?
La mia devozione personale per la
Madonna parte da molto lontano
perché fin da piccolo il rosario in fa-
miglia era un’abitudine quotidiana.
Soprattutto durante la guerra quan-
do c’era il coprifuoco, ci riunivamo
tutti nella stalla a pregare e sentiva-
mo passare sopra di noi le «fortezze
volanti» che andavano a bombardare
Torino. Al collegio, invece, il nostro
rifugio era sotto il santuario di Ma-
ria Ausiliatrice. Ricordo che dopo
un bombardamento, usciti dal rifu-
gio, abbiamo visto il santuario intat-
to, mentre il teatro poco distante era
distrutto e ancora fumante. Inter-
cessione, confidenza, speranza; que-
sti sentimenti hanno forgiato in me
un grande amore per la Madonna,
alimentato poi dalla formazione sa-
lesiana e dall’esempio di don Bosco,
che insegnava a venerare Maria con
il titolo di Ausiliatrice. Don Bosco
diceva che i tempi corrono così tristi
che abbiamo bisogno che la Vergine
Santa ci aiuti a conservare e difendere
la fede cristiana.
Mai avuto difficoltà?
Ho avuto qualche difficoltà e qualche
sofferenza soprattutto per le famo-
se ubbidienze. Ma poi come sempre
tutto è andato meglio. Ne ricordo
due in particolare. La prima è stata il
passaggio da San Benigno Canavese
a Fossano. A San Benigno avevo la
banda, ero vicino a casa. E poi sono
stato molto contento a Fossano. La
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2.4 Page 14

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L’INVITATO
seconda fu il passaggio dall’Istituto
Teologico Internazionale di Bollengo
all’Ateneo Salesiano a Roma per in-
segnare morale speciale. Ho resistito
finché ho potuto e poi ho detto sì e
anche lì mi sono trovato molto bene.
Perché è così difficile la
vocazione, oggi?
Certamente il clima generale non
è favorevole. Anche le famiglie non
sono così solide nella vita cristiana.
Ma ho incontrato delle belle voca-
zioni tra liceali, universitari e anche
giovani impiegati. A Genova contavo
tra i giovani sacerdoti nove ingegne-
ri che avevano davanti a sé un futuro
molto promettente. Un impiegato di
banca che stava per essere promosso
è venuto il giorno prima, dopo aver
detto ai dirigenti: «Riservate a un al-
tro questa promozione, io ho deciso
di entrare in seminario!» Sono rimasti
sbalorditi. La giovane superiora di un
monastero di contemplative di Geno-
va era una ragazza che aveva parteci-
pato a una delle prime edizioni della
Giornata Mondiale della Gioventù e
aveva fatto il discorso davanti al Papa.
Molte vocazioni vengono oggi dalle
Giornate Mondiali della Gioventù.
In Australia, per esempio, dopo la
GMG sono aumentate le entrate nei
seminari. Speriamo che accada così
anche per la Spagna quest’anno.
Ritornando a Lei. Come l’ha
convinta il Papa ad accettare
di diventare Segretario di
Stato?
Mi ha detto che mi voleva a Roma
come Segretario di Stato. «Ma ci ha
pensato bene?» «Ci ho pensato bene.»
«Ma ci sarebbero altri candidati...» e ho
fatto alcuni nomi. «Sì, ci ho riflettuto
ma ritorno sempre al cardinale Berto-
ne, quindi credo che il Signore voglia
che venga di nuovo a Roma per colla-
borare con il Papa.»
Benedetto XVI le ha scritto:
«Dal momento che vi è tra
Noi una reciproca e assidua
familiarità, che deriva
dal fatto di trovarci quasi
quotidianamente insieme».
Com’è lavorare con il Papa?
Aver lavorato per anni vicino a lui è
stato per me un grande privilegio. Ho
sperimentato che è un uomo di gran-
de passione per la verità, di amore per
la bellezza e di attenzione genuina per
l’umanità. È un uomo del dialogo e
dell’ascolto. Si presenta assai naturale
e a suo agio con chiunque incontra.Da
Il Rettor Maggiore con il cardinal Bertone al Colle
Don Bosco durante il raduno dei cardinali e vescovi
salesiani.
lui traspira una dimensione di gioia
che è contagiosa, fondata sulla fiducia
e sulla speranza. Papa Benedetto è un
lavoratore instancabile. Mantiene un
ritmo ordinato per quanto riguarda
la preghiera, lo studio, gli incontri, gli
scritti, le allocuzioni. È un uomo che
ama Dio in profondità, e che conside-
ra se stesso – proprio come ebbe a dire
dal balcone della Basilica di San Pie-
tro subito dopo l’elezione – un «umile
lavoratore nella vigna del Signore».
Siete buoni musicisti tutti e
due. Non ha mai suonato a
quattro mani con il Papa?
Mi ha chiesto qualche volta di suo-
nare con lui al pianoforte, ma non ho
mai osato. Lui ha una tecnica raffina-
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2.5 Page 15

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ta, classica. Il mio papà mi ha inse-
gnato bene, ma io ho sempre suonato
per feste e teatrini salesiani. La musi-
ca è parte della mia vita salesiana e sa-
cerdotale. Anche all’Ateneo abbiamo
cercato di coltivare la musica, portan-
do anche nell’Aula Magna operette
come Bibinof o La gara in montagna.
Venivano tanti professori e studenti
delle Università romane. E chiedeva-
no pure il bis!
Don Bosco ha ancora le porte
aperte in Vaticano?
Don Bosco lascia un ricordo lu-
minoso e vivo in tutti coloro che lo
accostano. Per esempio, papa Bene-
detto XVI è devoto di don Bosco.
Conosce la storia di don Bosco, di
mamma Margherita, i giochi e i so-
gni del fondatore dei salesiani, il cane
grigio e altro ancora. È stato il suo
papà, militare come il papà di Karol
Wojtyła, che l’ha introdotto in que-
Attualmente la Congregazione Salesiana è
onorata di dare alla Chiesa 6 cardinali:
Amato Angelo, Bertone Tarcisio, Fa-
rina Raffaele, Obando Bravo Miguel,
Rodríguez Maradiaga Oscar, Zen Jo-
seph Zeh Kiun e 113 vescovi.
sta conoscenza meravigliosa. Un altro
grande cardinale africano, Bernardin
Gantin, ormai deceduto, che è stato
per tanti anni Prefetto della Congre-
gazione per i Vescovi in Vaticano, ha
conosciuto don Bosco perché la sua
mamma gli raccontava la vita e co-
nosceva il libretto Don Bosco che ride
e per questo aveva una grande devo-
zione. La devozione per don Bosco è
così viva, che in molte nazioni, di tutti
i continenti, la sua urna è accolta con
enorme entusiasmo.
Il “piccolo concilio salesiano”
del Colle Don Bosco dell’estate
scorsa: 6 cardinali e 113 vescovi.
Com’è la Famiglia Salesiana,
vista “da lassù”?
I salesiani sono considerati persone
solide, forze vive, fedeli. Sono co-
lonne della Chiesa, persone che si
dedicano al bene del popolo di Dio,
al bene comune. Per questo vengono
scelti molti salesiani come vescovi.
Anche le Figlie di Maria Ausiliatrice
sono molto apprezzate dai vescovi.
I cooperatori salesiani e gli ex allie-
vi sono gente di cui ci si può fidare,
nell’organizzazione dell’apostolato dei
laici, nelle varie iniziative a livello
diocesano ed ecclesiale. Quando in-
contro capi di stato di varie nazioni,
anche musulmani, si vantano di ave-
re studiato dai salesiani.
Il Papa e il nostro Rettor
Maggiore sono preoccupati per
l’Europa.
L’impegno è fermare la scristianiz-
zazione dell’Europa e ridare impulso
alla nuova evangelizzazione. Il Papa
denuncia «la debolezza d’udito nei
confronti di Dio». Non riusciamo più
a sentirlo perché sono troppe le fre-
quenze che occupano i nostri orecchi.
«Quello che si dice di Lui» ha aggiun-
to Benedetto XVI «ci sembra pre-
scientifico, non più adatto al nostro
tempo. I nostri sensi interiori corrono
il pericolo di spegnersi. Con il venir
meno di questa percezione viene cir-
coscritto in modo drastico e perico-
loso il raggio del nostro rapporto con
la realtà. L’orizzonte della nostra vita
si riduce in modo preoccupante.» Ma
io resto ottimista. Dio non abbando-
nerà l’Europa e ci aiuterà a ridarle l’a-
nima cristiana.
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2.6 Page 16

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FINO AI CONFINI DEL MONDO
A CURA DELL’ANS – WWW.INFOANS.ORG
MESSICO
Raggi di luce
fra le ombre
della violenza
A fronte dei tragici
episodi di violenza
che hanno causato la morte di molti giova-
ni innocenti, i salesiani del Messico, specie
nell’area maggiormente interessata dai
conflitti a fuoco, lungo il confine con gli Stati
Uniti, rispondono con un rinnovato impe-
gno per i giovani. Il 26 ottobre la parrocchia
“Maria Ausiliatrice” di Puebla ha organizzato
e guidato una marcia dal tema “Contro la
violenza in Messico, a favore della Pace”, a
seguito della tragica uccisione di Daniela
Michelle Hernández, di 11 anni, membro del
gruppo giovanile della parrocchia e assidua
frequentatrice dell’Oratorio. Il 3 novembre,
a Nogales, presso il Centro Giovanile Don
Bosco è stata inaugurata una nuova sala con
funzione di palestra-auditorium. Il locale è
stato intitolato “Gioventù Nuova”, per indi-
care la volontà di costruire un luogo dove gli
adolescenti e i giovani possano diventare una
generazione nuova, promotrice di speranza,
gioia, amore e pace.
BRASILE
Docente di una
scuola salesiana
espone al
Louvre
André Rodrigues Bertoli-
no, artista plastico e diret-
tore del Dipartimento delle
Arti dell’Istituto salesiano
Don Bosco di Piracicaba,
noto con il nome d’arte
“Lino Bertrand”, ha rap-
presentato il Brasile nella
mostra internazionale del
Louvre “Parigi - France
Exhibition”, realizzata
presso il “Carrousel del
Louvre” nei giorni 22-24
ottobre. Nell’esposizione
l’artista ha presentato
tre dipinti a olio su tela:
“Conoscenza”, “Introspe-
zione” e “Silenzio” (visibili
su www.linobertrand.com/
louvre2010).
CUBA
Una Chiesa
in cammino,
viva, davvero
missionaria
A 12 anni dalla storica visita di Giovanni
Paolo II, il Consigliere per le Missioni Sale-
siane, don Václav Klement, ha visitato Cuba,
trovando una Chiesa che, a fronte di diverse
difficoltà, può contare su un profondo entu-
siasmo missionario. Nel panorama generale le
chiese sono poche, ma i centri giovanili e gli
oratori sono molto attivi, con classi informali
di lingue e di computer; l’impegno ecclesia-
stico nelle comunicazioni sociali è intenso,
sebbene Internet non sia di uso comune; ed
importantissime sono le comunità domesti-
che e i gruppi di giovani volontari laici come
“Infanzia missionaria”, che vanno di casa in
casa per evangelizzare. Altri motivi di spe-
ranza vengono poi da due eventi altamente
significativi: la peregrinazione per tutta l’isola
dell’immagine della Signora della Carità di
Cobre, Patrona di Cuba, iniziata lo scorso
8 settembre e in programma per i prossimi
due anni; e l’apertura della nuova sede, la pri-
ma in cinquant’anni, del Seminario Arcidio-
cesano “San Carlos e San Ambrosio”.
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2.7 Page 17

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FILIPPINE
Due eventi per
l’ADMA
“Uniti dall’amore di
Maria, noi volgiamo
il nostro sguardo a
Gesù” è stato il motto che ha guidato due
eventi dell’Associazione di Maria Ausiliatrice
(ADMA), il 1° Congresso Regionale della
regione Asia-Est-Oceania e il 28° Incontro
Nazionale delle Filippine, celebratisi presso il
Centro studi teologici Don Bosco di Paraña-
que City. Il primo, svoltosi dal 21 al 23 otto-
bre, ha visto la partecipazione di 70 membri
dell’ADMA provenienti da varie parti della
regione Asia-Est-Oceania. I vari momenti
di preghiera, riflessione, proposta tematica,
fraternità hanno favorito tra i partecipanti
il senso di appartenenza all’Associazione e
la gioia di dedicare con gioia e passione la
propria vita a Maria. Tre i nuclei fondamen-
tali dell’appuntamento: la devozione a Maria
Ausiliatrice come strumento di santità; la
vocazione ADMA nel suo contesto naturale,
la famiglia; il lavoro, con l’aiuto di Maria, per
la conversione personale e la crescita nella
fede. Domenica 24 ottobre si è poi celebrato
il 28° Incontro Nazionale dell’ADMA delle
Filippine, con la presenza di don Pierluigi Ca-
meroni, Animatore Spirituale mondiale, e don
Roberto Roxas, responsabile per la Famiglia
Salesiana delle Filippine Nord.
ITALIA
“Mentre”, un
programma
sull’attualità
delle missioni
Da lunedì 18 ottobre l’e-
mittente televisiva cattolica
“TV2000” ha iniziato le
trasmissioni del program-
ma “Mentre” dedicato
all’azione missionaria che
realtà cattoliche e laiche
realizzano quotidianamen-
te, lavorando alacremente e
senza clamori in ogni parte
del mondo. Il programma,
trasmesso dal lunedì al ve-
nerdì dalle 15.00 alle 16.00
e in replica in seconda
serata alle 22.30, racconta
attraverso collegamenti
webcam la vita dei missio-
nari e dei volontari, presen-
tando le loro esperienze,
condividendo le motiva-
zioni e spiegando l’attualità
della vita missionaria. Non
solo, dunque, che cosa
fanno e per conto di chi,
ma soprattutto “perché”
hanno deciso d’impegnarsi
come missionari. Ampio
spazio dedicato all’azione
missionaria salesiana.
AUSTRIA
I 50 anni della
Casa dello
Studente di
Klagenfurt
Venerdì 15 ottobre il
Centro di accoglienza per studenti di Kla-
genfurt ha ricevuto lo stemma cittadino dal
dott. Christian Scheider, sindaco della città,
come atto celebrativo per il 50° anniversario
dell’Istituto. “Da 50 anni – ha affermato il
sindaco – il convitto Don Bosco ha sempre
posto al centro del suo lavoro e delle sue
intenzioni l’assistenza dei giovani. Il lavoro
quotidiano consiste soprattutto nel trasmet-
tere ai giovani valori umani e spirituali per
donare loro preziosi strumenti per la loro
vita”. Ad aprire le celebrazioni era stata una
partita di calcio tra la rappresentanza della
città e la squadra degli allievi del centro vinta
2 a 0 dalla comunità salesiana. Poi, dopo
la cerimonia ufficiale, nella chiesa di San
Ruprecht è stata celebrata l’Eucaristia che ha
concluso la giornata. Attualmente il centro
salesiano di Klagenfurt ospita 102 ragazzi
che frequentano la scuola tecnica e che, a
causa della distanza, non hanno la possibilità
di tornare tutti i giorni alle loro case. Per
questo motivo la gestione del tempo libero è
una questione molto importante e i salesiani
lavorano con grande impegno per offrire
delle iniziative spirituali, formative e ludiche.
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2.8 Page 18

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ESPERIENZE
DI O. PORI MECOI
Argenteuil è una di quelle città satel-
liti di Parigi che a una prima occhiata
sembrano dignitose e modernamente
organizzate. Viste dal di dentro è
come se fossero state invase da tarme
che scavano e rosicchiano sotto la
superficie. Argenteuil è un quartiere
dormitorio. Ospita centomila abitanti,
molti dei quali giovani. Qui esplode la
banlieue, una parola che a volte suona
minacciosa. Qui vivono i casseurs, qui i
poliziotti hanno paura.
Anche qui però c’è chi lavora per i
giovani, in mezzo a loro, con occhi
molto diversi da quelli delle persone
In mezzo al cemento di Argenteuil, un
quartiere dell’immensa periferia parigina a
perenne rischio di esplosioni di violenze
urbane, è fiorito Valdocco. È nato dalla
collaborazione di un collettivo di abitanti,
preoccupati per il futuro dei giovani
del quartiere e i salesiani, desiderosi di
sperimentare il sistema preventivo di don
Bosco nella realtà della periferia di oggi...
che vivono in questi grandi condomini che non sono dimenticati da tutti.
anonimi.
L’associazione si chiama “Le Valdocco”
«Lo scopo è di raggiungere i giovani (che qui naturalmente si pronuncia
che non frequentano la nostra associa- Valdocò).
zione». Virginie Billard, educatrice vo- Jean-Marie Petitclerc, un salesiano
lontaria, passa gran parte della giornata conosciutissimo in Francia, che ne è
a parlare con i giovani. «Chiediamo
stato l’anima per un decennio spiega:
come stanno, perché non sono andati
a scuola ed eventualmente prendia-
«La volontà dei salesiani francesi di
sperimentare nella realtà contempo-
mo un appuntamento per poi vederci ranea dei quartieri urbani il modello
nella nostra sede». Con questi ragazzi, d’intervento di don Bosco, iniziato
Virginie chiacchiera, parla di lavoro e nella periferia di Torino nel XIX seco-
di scuola, ma soprattutto fa capire loro lo, ha portato nel 1995 alla creazione
dell’associazione “Le Valdocco” ad
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Argenteuil».
“Le Valdocco” che opera in tre siti
della città, sviluppa un approccio
contemporaneamente preventivo, che
consiste soprattutto nel creare legami
con ragazzi e adolescenti in difficoltà
per impedire la deriva dell’esclusione,
e globale, per cui il giovane è seguito
in famiglia, a scuola e nel quartiere
in compartecipazione con partner
associativi e istituzionali.
«Credo che
l’originalità del
sistema preven-
tivo applicato
ad Argenteuil
sia proprio nel
cercare la rete
educativa tra
famiglia, scuola
e città»
Padre Jean-Marie: «Si parla molto
della violenza dei giovani in città,
ma questo è il modo naturale di
esprimere la collera e la profonda
insoddisfazione. Quello che non è
naturale, perché frutto dell’educa-
zione, è la convivialità e la pace. La
capacità di stabilire delle relazioni
pacifiche con chi è diverso da noi si
DIECI, CENTO, MILLE VALDOCCO
E CAMBIEREMO IL MONDO
È quello che continuano a pensare i salesiani di don Bosco in tutto il mondo. Valdocco non
è solo un luogo. Valdocco è una dimensione dello spirito, un modo di vivere, di sperare e
di costruire il futuro. Valdocco è uno stile concreto di operare con i piedi per terra, anche
se chi ha iniziato tutto era un sognatore. Valdocco è la realizzazione concreta di un sogno
venuto dall’alto.
deve imparare. Don Bosco dice che
la violenza dei giovani è il segno del
fallimento del nostro accompagna-
mento educativo, dunque tiriamoci
su le maniche, educhiamoli! Biso-
gna lavorare in collaborazione con
tutti gli adulti che camminano con
i giovani».
Sostenere la famiglia, combattere
l’abbandono scolastico e lottare
contro la disoccupazione costitui-
scono i tre assi forti della politica di
prevenzione condotta dal Valdocco.
Per lottare contro il fenomeno della
ghettizzazione, l’équipe del Valdoc-
co sviluppa al massimo l’educazio-
ne alla mobilità e alla conoscenza
sociale, etnica e culturale.
L’efficacia del modello “Valdocco”
ha condotto il suo direttore a essere
nominato consigliere del presiden-
te del Consiglio Generale della
regione e a diventare collaboratore
permanente del Ministro della Coe-
sione Sociale, il quale si è ispirato
largamente al modello del Valdocco
per il suo “programma di riuscita
educativa” che fa parte di una recen-
te legge sulla coesione sociale.
Questo riconoscimento costituisce
un importante stimolo di incorag-
giamento. Così, nel 2005, un altro
Valdocco è nato nella periferia della
Grande Lione.
La dimensione socio-politica del
progetto Valdocco che era al centro
delle discussioni tra don Bosco e il
ministro Rattazzi, continua a interes-
sare il mondo politico di oggi.
In una città fredda, distaccata,
senz’anima, non passano inosservati
i volontari del centro che colorano il
quartiere con gli alberi natalizi. E i
bambini che si uniscono a loro anche
dopo le attività e il gioco sono il
segno di un futuro che può cambiare
anche ad Argenteuil.
David, oltre che un volontario, è un
esperto di informatica. Per guada-
gnarsi da vivere passa le sue giornate
sui computer di un’impresa, poi, ogni
sera, passa in mezz’ora dai fasti degli
Champs Elysées alle ristrettezze
della periferia, ma forse è meglio
così: «Per me vivere ad Argenteuil è
una fortuna. Vivere in un luogo dove
vi sono molte diversità, dove vi sono
così tante culture mescolate tutte
insieme, è una vera fortuna. Ti aiuta
a capire gli altri perché si capiscono
le differenze. Non si ha più paura di
chi è diverso da noi».
E per fortuna sono molti i giovani
che non hanno paura di rischiare, che
non hanno paura di incontrarsi, di
donare il loro tempo e il loro contri-
buto perché si possa crescere, giocare,
sognare anche ad Argenteuil.
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2.10 Page 20

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LE CHIESE DI DON BOSCO
DI NATALE MAFFIOLI
San Gio
Evange
A chi dal corso
Vittorio Emanuele II volge
lo sguardo alla chiesa
si presenta maestosa la
facciata, dal cui mezzo si
slancia in alto il campanile.
Nel timpano della porta uno
squisito mosaico raffigura
il Divin Redentore assiso
in cattedra con la scritta:
Ego sum via, veritas et
vita, tratta dal Vangelo
di San Giovanni, e ai lati
l’alfa e l’omega come
san Giovanni tre volte lo
chiama nell’Apocalisse,
per indicare che Egli è
principio e fine d’ogni
cosa. Più su, nel timpano
della trifora superiore, un
altro stupendo mosaico
rappresenta l’apoteosi
di san Giovanni, sorretto
nella sua trionfale ascesa
dall’aquila, simbolo
attribuitogli dai Padri.
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La chiesa
della fierezza
di don Bosco
Don Bosco voleva una
chiesa esemplare ed
originale. L’architetto
Mella propose un
edificio con alcune
caratteristiche non
comuni in Italia, come
la torre campanaria
sulla facciata.

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3.1 Page 21

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Non era la prima fabbrica importante in
cui si impegnava don Bosco. Aveva già
sostenuto l’onere economico della chie-
sa di Maria Ausiliatrice e di tutti gli
edifici che allora formavano il comples-
so, non ancora imponente ma certa-
mente importante, dell’Oratorio di Valdocco. Ma
è fuor di dubbio che la consacrazione della chiesa
dedicata a san Giovanni Evangelista sul Viale del
Re (l’attuale Corso Vittorio Emanuele II) il 28
ottobre del 1882 fu un avvenimento memorabile.
I disegni della nuova chiesa erano stati preparati
dall’architetto Edoardo Arborio Mella, già famo-
so in Piemonte per aver ‘restaurato’ il duomo di
Casale Monferrato.
Don Bosco non era competente in ambito artisti-
co, ma aveva le idee chiare per quanto riguardava
la rappresentatività dell’edificio. Certamente voleva
una chiesa spaziosa, che si distaccasse dal contesto
torinese in specie e piemontese in genere e il Mella
propose un edificio con alcune caratteristiche non
comuni in Italia (ad esempio la torre campanaria in
Nel catino absidale
il Reffo propose
il momento
culminante della
passione di Gesù.
Tutti i personaggi,
le pie donne che
accompagnano
Maria, Giovanni e
la corona di angeli
esprimono il dolore
del momento.
Nel timpano della
porta uno squisito
mosaico raffigura
Gesù in cattedra
con la scritta:
Ego sum via,
veritas et vita.
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LE CHIESE DI DON BOSCO
Le navate laterali sono
in attesa di essere
finanziate e si spera
nell’aiuto
dei benefattori
che hanno a cuore
le opere salesiane.
Nel timpano della
trifora superiore,
un altro stupendo
mosaico rappre-
senta l’apoteosi
di san Giovanni,
sorretto dall’aquila.
Alla sinistra della
porta principale è
collocata la grande
statua di papa
Pio IX, realizzata
in marmo dallo
scultore Francesco
Gonfalonieri nel
1882. Era un’aperta
sfida agli anticle-
ricali.
facciata). La dedica all’Evangelista aveva più di una
ragione: don Bosco voleva ricordare Pio IX (Gio-
vanni Maria Mastai Ferretti), l’apostolo era pure il
suo santo patrono e, non ultimo, tradizionalmente
l’Evangelista era visto come il più giovane degli
apostoli.
Per la decorazione interna si avvalse di pittori già
collaudati: le opere più importanti furono affidate a
Enrico Reffo (1831-1917) che allo-
ra dirigeva, nel Collegio Artigianel-
li di Torino, una scuola di pittura e
scultura. Interventi importanti sono
di Giuseppe Rollini (1842-1904),
antico ospite dell’Oratorio a cui verrà
affidata dal successore di don Bosco,
don Michele Rua, la decorazione della
cupola di Maria Ausiliatrice.
Essendo dedicata all’Evangelista, i
soggetti dei dipinti dovevano, ne-
cessariamente, ispirarsi a temi de-
sunti dal quarto Vangelo e dall’A-
pocalisse. Nel catino absidale il
Reffo propose il momento cul-
minante della passione di Gesù,
com’è narrata al capitolo 19 del
Vangelo, quando lascia in cu-
stodia a Giovanni sua Madre. La
scena è toccante, tutti i personaggi,
le pie donne che accompagnano
Maria, Giovanni e la corona di angeli esprimono
con le loro movenze tutto il dolore del momento.
Dopo oltre cento anni dalla fondazione, la chiesa
rivelava gli acciacchi dell’età, non tanto nella strut-
tura quanto nella decorazione pittorica interna.
Dal 2007 al 2010 è stata condotta una campagna
di restauri, che ha coinvolto il presbiterio con il
deambulatorio e la navata centrale. Il restauro ha
ridato freschezza ai colori e sono stati ripri-
stinati tanti particolari, sia nelle figure sia
nella decorazione, che, lungo gli anni, anche
a causa di ridipinture, spesso maldestre, si
erano offuscati o persi.
Sulle pareti laterali del presbiterio
il Reffo ha raffigurato due scene
desunte dalla vita dell’apostolo;
nella prima Giovanni presen-
ta al vescovo di Smirne
un ragazzo che ritie-
ne destinato a una
riuscita positiva nella
vita, ma nella scena che sta
di fronte il pittore rappresen-
ta il fallimento del giovane,
che anzi tenta di ucciderlo
e, quando riconosce il bene-
fattore, si ravvede e ottiene il
perdono dell’apostolo.
Gran parte degli arredi della
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IL PAVIMENTO “RACCOMANDATO”
Dalle Memorie Biografiche
I l pavimento marmoreo in mosaico alla pompeiana ha la sua piccola storia. Il preventivo portava una spesa di novemila lire. Un giorno don
Bosco, incontrato a Sampierdarena il signor Repetto, che possedeva in Lavagna Ligure una cava di marmo, lo salutò dandogli del cavaliere.
- Non mi burli, don Bosco, gli rispose quegli, io non sono cavaliere, ma un semplice negoziante che fa i suoi affari come può.
- Eppure una persona come lei avrebbe bisogno di qualche onorificenza che la rendesse, come tanti altri suoi pari, più rispettabile in faccia a
subalterni, a corrispondenti e alla società. Non le sembra?
- Certo, la cosa non mi spiacerebbe.
- Ebbene, senta. Lei ha assunto l’impresa del pavimento per la chiesa di San Giovanni. Non potrebbe farmi gratuitamente questo lavoro, libe-
rando me da un pensiero? Sarebbe un’opera buona agli occhi di Dio. Per parte mia, m’impegno a procurarle una croce da cavaliere.
- Si potrebbe fare anche questo, disse quel signore.
- Dunque è cosa fatta, conchiuse don Bosco.
Tuttavia all’atto pratico il Repetto pensava che fosse troppo gettare novemila lire per un’onorificenza. Manifestò questa sua esitazione a don
Sala, che lo esortò a fare quanto don
Bosco desiderava, dicendogli che la
generosità verso don Bosco aveva
sempre apportato fortuna.
Infatti il signor Repetto fece il pavi-
mento, ebbe la croce da cavaliere, e
poco dopo per mezzo dell’Oratorio
ricevette la commissione di un monu-
mento a monsignor Vera nella catte-
drale di Montevideo, guadagnandovi
una bella somma.
chiesa sono stati eseguiti obbedendo a un preciso
progetto iconografico. I draghi dei lampadari in
bronzo dorato, ad esempio, ricordano il “dragone
rosso” dell’Apocalisse e sono stati eseguiti su di-
segno del pittore Carlo Costa.
Il costo del mosaico pavimentale era esorbitante
e per pagarlo don Bosco dovette ricorrere a uno
dei suoi gesti di santa furbizia (come raccontato nel
riquadro).
Alla sinistra della porta principale è collocata la
grande statua di papa Pio IX, realizzata in marmo
bianco di Carrara dallo scultore Francesco Gon-
falonieri nel 1882. È la seconda delle tre copie
eseguite dallo scultore; la prima si trova nella ba-
silica milanese di Sant’Ambrogio ed è del 1880;
la terza fu eseguita nel 1887 per la basilica ro-
mana del Sacro Cuore. La grande scultura, nelle
intenzioni di don Bosco, doveva essere collocata
su corso Vittorio Emanuele II, davanti alla chie-
sa, ma la situazione politica del momento e l’at-
tentato a un’analoga scultura sulla facciata della
chiesa torinese di San Secondo fecero desistere
don Bosco dal progetto.
Le figure che decorano l’arcone che separa il presbiterio
dalla navata, sono opera di Giuseppe Rollini e qui ripropone
tematiche apocalittiche: raffigura due gruppi di angeli che
sorreggono lunghi cartigli con testi dell’Apocalisse.
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GIOVANI
DI ARMANDO MATTEO
la prima
generazione
incredula
L’attuale generazione di giovani fatica a
sillabare con l’alfabeto cristiano il suo bisogno
di senso e di sacro e a sintonizzarsi alla parola
di Gesù per rispondere a quella domanda
che ogni uomo è a se stesso, che fatica a
riconoscere nella prassi liturgica il luogo
dove si impara a conoscere il Dio dell’amore e
l’amore di Dio.
U na generazione che non si pone contro
Dio o contro la Chiesa di Gesù, ma che
sta imparando a vivere – e a vivere anche
la sua religiosità – senza il Dio e la Chiesa
di Gesù. E questo non perché si sia espli-
citamente collocata contro Dio e contro
la Chiesa, ma molto più elementarmente perché
nessuno ha testimoniato a essa la convenienza della
fede, la forza della parola del Vangelo di illuminare
le soglie e le domande della vita, la bellezza di una
fraternità nella comune sequela.
La domenica senza la Messa
A prima vista un tale rapporto sembra segnato da
alcune paradossali contraddizioni. I nostri ven-
tenni e trentenni, infatti, da una parte si tengono
sempre più a distanza dalle pratiche di preghiera e
di formazione proposte dalla Chiesa, ma dall’altra
esprimono un generale apprezzamento per il va-
lore dell’esperienza religiosa; da una parte si rico-
noscono vicini a molte delle posizioni assunte dal
Santo Padre e dai Vescovi in relazione alla difesa
della tradizione cristiana della cultura occidentale
e dei suoi segni pubblici, dall’altra però manife-
stano un incredibile analfabetismo biblico. Anco-
ra qualche altro paradosso che viene dal mondo di
internet: quasi nessuno ama parlare di fede nella
rete e spesso, nei profili con cui descrivono loro
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stessi, i giovani si dichiarano agnostici (qualcuno
anche ateo), eppure aumentano nella galassia del
web i siti dove “lasciare una preghiera”, “accen-
dere una candela”, “trascorrere momenti di pace”.
Ma il dato più rilevante è forse il fatto che mol-
tissimi giovani, pur essendosi avvalsi dell’inse-
gnamento della religione a scuola e pur pro-
venendo da ambienti vitali di larga ispirazione
cattolica, disertano con grande disinvoltura l’ap-
puntamento settimanale con il Signore Gesù: la
Messa della domenica, e non sembrano per nulla
interessati a cammini di approfondimento della
fede cristiana. Sono sempre più rari i cosiddetti
“gruppi giovani”.
I genitori dei nostri ventenni e trentenni, d’altro
canto, sono proprio coloro che hanno respirato a
pieni polmoni l’aria di cambiamento del ’68 e le
allora imperanti istanze di rifiuto della tradizione
IL QUADRUPLICE SVANTAGGIO
DEI GIOVANI CONTEMPORANEI
• Mancata evangelizzazione primaria in seno alla fa-
miglia. Sono cresciuti a brioche e cartoni animati e
nessuno li ha aiutati a sviluppare alcun senso per
l’importanza della preghiera, della lettura della Bibbia
e una vita nella Chiesa. I loro stessi genitori hanno
preso distanza da tutto ciò.
• Una Chiesa che continua a presupporre un inesistente
lavoro di iniziazione alla fede da parte delle famiglie e
della scuola.
• L’immagine diffusa di Chiesa: l’immagine di una po-
tenza di tipo politico, con ampie riserve economiche,
con malcelati interessi per alleanze strategiche con
questo o quel settore dell’apparato statale.
• La cultura europea attuale, che mostra segni di gran-
de indifferenza nei confronti del cristianesimo.
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GIOVANI
IL LIBRO
culturale e religiosa dell’Occidente. Questi geni-
tori, da parte loro, con il tempo hanno rallentato
la pratica di preghiera e il legame di fede e, pur
non impedendo che i figli andassero a catechi-
smo o scegliessero l’insegnamento della religione
cattolica a scuola, a casa non hanno testimoniato
alcuna fiducia nel Vangelo, nell’esperienza eccle-
siale e nella prassi della carità. Ecco il punto o,
meglio, l’anello mancante: tra i giovani di oggi e
l’esperienza di fede la cinghia di trasmissione si è
interrotta a causa di quella testimonianza che il
mondo degli adulti ha tralasciato di offrire.
ARMANDO MATTEO
LA PRIMA GENERAZIONE
INCREDULA (Rubbettino)
Una catechesi blanda e tiepida
L’attuale cura che la comunità ecclesiale esprime
per i giovani è molto al di sotto di quanto sarebbe
necessario. Se nel passato l’educazione dei giovani
alla fede poteva fare affidamento a tre punti d’ap-
poggio, la chiesa, la famiglia e la società, oggi non
è più così. Per questo, allora, non possiamo più
limitarci alla semplice preparazione, celebrazione
e narrazione delle GMG. Non possiamo più li-
mitare la frequenza della vita parrocchiale a una
catechesi molto blanda e tiepida. Non possiamo
più propriamente ritenere lo spazio ecclesiale
semplice luogo di esercizio della fede.
Dobbiamo pensarlo, strutturarlo e renderlo sem-
pre di più come luogo di generazione della fede, luo-
go in cui non solo si prega ma nel quale si impara
anche a pregare, luogo nel quale non solo si crede
ma nel quale si impara anche a credere.
La nostra è una società
che ama la giovinezza più dei giovani.
E nell’inseguimento del mito della
giovinezza a ogni costo viene
meno al suo ruolo educativo.
Un libro utilissimo che mette a fuoco il rapporto
che oggi intercorre tra giovani e fede, con particolare ri-
ferimento alla fascia d’età 18-29.
L’ipotesi di fondo del volume è che siamo costretti ad
ammettere che per molti giovani del nostro tempo e della
nostra parte del pianeta l’esperienza della fede non rap-
presenti un principio che qualifica la propria prospettiva
sul mondo: ma solo qualcosa legato al mondo dell’in-
fanzia, del catechismo, dell’oratorio, ma che non c’entra
più nulla con le scelte, con le decisioni, con il progetto
di studio e di vita.
Armando Matteo è Assistente nazionale della FUCI e au-
tore di libri e studi.
Una tale società sta infatti riservando ai giovani
solo le briciole dei suoi investimenti e delle sue
attenzioni. Si pensi alle inique distribuzioni della
spesa sociale. Questa nostra società sta lentamen-
te consumando il suo – e a maggior ragione quello
dei giovani – futuro. E quando il futuro appare
più una minaccia che un orizzonte di speranza,
allora sono aperte le porte al nichilismo.
Una Chiesa veramente attenta ai giovani, che
prende in carico la loro incredulità e la loro situa-
zione di disagio, riscopre così non solo il suo volto
missionario ma assume anche una carica profe-
tica in grado di orientare il cammino della città
degli uomini.
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MESSAGGIO A UN GIOVANE
DI CARLO TERRANEO - carloterraneo@libero.it
Come vorresti
essere ricordato?
Come vorresti essere ricordato?
Me lo sono chiesto a seguito
di una battuta fattami da un
amico ricoverato da tempo
in ospedale. “La nostalgia
è il più bel regalo che puoi
lasciare, quando vai lontano da casa o
cambi lavoro, ambiente. Malinconia?
Nostalgia? Appartiene a tutte le età.
Va e viene come un raffreddore a
ogni “cambio” di stagione.
A tutti piace sentirsi dire “mi man-
chi”. Ciascuno vorrebbe ascoltare
qualcosa come: “per me sei impor-
tante, non sei come gli altri”.
In bocca a un innamorato, a una
mamma, a un giovane, a un anzia-
no, non stona. Arriva all’improvviso
dopo un’emozione vissuta, un’espe-
rienza intensa. È un profumo; ti
segue dovunque tu vada.
Non scompare in breve tempo per-
ché la nostalgia non è un’assenza. Al
contrario ti porta dentro una presen-
za, una somma di gesti compiuti. Ti
fa compagnia e ne godi.
La nostalgia – quella buona, costrut-
tiva – arricchisce, trasforma un segno
meno (–) in un segno più (+).
Perché guardi le foglie che cadono
e non fermi nei tuoi occhi i fiori del
tuo giardino? Nella mia giornata io
conto le ore di sole e trascuro le nu-
vole che passano. In un volto apprez-
zo il sorriso e mi lascio interrogare
da una sua lacrima. La malinconia
mette insieme sorriso e lacrime.
Guarda i bambini: piangono e ridono
nello stesso momento. Quando la
malinconia viene ad abitare i nostri
pensieri cominciano sempre così:
Se tu fossi qui… ti direi…
Se ti potessi incontrare, rivedere…
farei…
Se… se… se…
Ti suggerisco di non usare il condi-
zionale, ma l’imperativo. Fai come ci
fossi. Non concentrare mai la mente
su ciò che hai perduto o lasciato,
orientala a quanto ti è rimasto.
Lascia cadere tutti i se… Chiediti
piuttosto: “Come vorresti essere
ricordato?”.
Rispondi a questo interrogativo e
conoscerai la strada della tua vita.
Sta a te e solo a te gestire sentimenti
ed emozioni. Solo tu puoi scegliere
di essere felice. L’ultima parola spetta
a te. Spero solo sia una parola di se-
renità, di bontà. Semina bontà e sarai
ricordato con nostalgia.
È possibile essere buoni?
Io ti dico: Sì.
È verosimile essere ricordati, perché
buoni?
Tu mi rispondì: Sì.
Due sì messi insieme danno senso
alla malinconia. Ciò che sembrava
debolezza diventa forza, motore di
decisioni e di vita.
Ti regalo quattro parole: “Ti ricordo
con nostalgia”.
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NOTE DI SPIRITUALITÀ SALESIANA
DI B.F.
cboenmeedizione l 30 giugno 1887, don Bosco scrive al chie-
rico Giorgio Tomatis: «Carissimo, Tu pensi a
me, t’immagini di parlarmi e di ricevere la be-
nedizione. Mio caro figliuolo, ti dirò anch’io che
penso a te. Vedi, quando io son solo, nella quiete e
Inel silenzio della sera, io vi vedo tutti, miei di-
letti figliuoli, uno ad uno vi passo in rassegna, penso
ai vostri bisogni, al modo di provvedervi il meglio
Bche sia possibile secondo il temperamento e il carattere
Oggi, la sensazione di essere maledetti spesso
colpisce più facilmente che la sensazione di es-
sere benedetti. La benedizione apre uno spazio di
vita e d’amore nella vita. È un gesto fisico, visi-
bile, accompagnato da parole “buone”, un segno
forte che le persone sperimentano attraverso i
sensi.
La benedizione è uno dei temi centrali della Bib-
d’ognuno di voi e poi vi benedico.
bia. Dio benedice Adamo ed Eva: «Dio li benedis-
Oh se poteste conoscere tutto l’affetto che ho per voi se e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi”» (Gen
tutti, miei cari figli, credo che perfino ne soffrire- 1,28). L’intero creato è una benedizione di Dio
ste. Pensa dunque, caro Tomatis, se non prego per da cima a fondo. La benedizione è una promessa
te! Sta pur tranquillo che don Bosco finché avrà di Dio all’essere umano che la sua esistenza è sot-
vita non lascerà passare un sol giorno senza aver to la protezione del Signore e partecipa della sua
pregato fervidamente per voi, senza avervi bene- energia creativa.
detto…»
«Diventerai una benedizione. In te si diranno be-
È poco più di un biglietto, ma l’idea che lo per- nedette tutte le famiglie della terra» (Gen 12,2s.),
corre è “benedizione”.
dice Dio ad Abramo. È la promessa più bella che
Don Bosco in realtà non dava benedizioni. Lui possa essere fatta a una persona: essere una bene-
era una benedizione. Così lo sentivano le persone dizione per gli altri, diventare sorgente di benedi-
che entravano in contatto con lui.
zione per gli altri.
Oggi, abbiamo bisogno di riscoprire il senso e Ogni comunità ha bisogno di persone che siano
la bellezza della benedizione. Il Papa ha voluto una benedizione per essa. Significa sprigionare
chiamarsi Benedetto: un nome che è un’invoca- energie positive, effondere speranza, essere perso-
zione e una promessa.
ne di riconciliazione e non di divisione. Sentirsi
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piano quanto sono importanti e protetti da Dio.
Amare, valorizzare, incoraggiare i giovani: è quel-
lo che vuole don Bosco.
L’ultimo gesto di Gesù e l’ultimo gesto di don Bosco.
Una delle fotografie in cui don Bosco ha
voluto farsi ritrarre nell’atto di benedire.
benedetti da Dio e avere la convinzione che la sua
forza ci accompagna.
È pregare ogni giorno: «Signore non c’è niente
che io e te insieme non possiamo fare».
Senza persone benedette una comunità non può
sussistere. Da loro partono nuove idee. Della loro
inventiva, della loro creatività vivono anche un
po’ gli altri. Senza di loro la comunità si spac-
cherebbe. Una persona benedetta unisce le per-
sone. Trasmette ad altri la benedizione che ha ri-
cevuto. Come Maria: in ogni Ave Maria diciamo
che è benedetta, cioè non solo colmata ma sor-
gente di benedizione.
Gesù è la vera benedizione di Dio all’universo.
C’è nel Vangelo un momento molto salesiano:
«Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma
i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo,
s’indignò e disse loro: “Lasciate che i bambini ven-
gano a me, non glielo impedite: a chi è come loro in-
fatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico:
chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un
bambino, non entrerà in esso”. E, prendendoli tra le
braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro».
Gesù vuole che i piccoli si sentano amati, che sap-
L’ultimo gesto di Gesù: «Poi li condusse fuori verso
Betania e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li bene-
diceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. Ed
essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme
con grande gioia» (Lc 24,50-52 ).
Il sacerdote ripete questo gesto nella benedizio-
ne solenne al termine dell’eucaristia. E i discepoli
tornano alla loro quotidianità con grande gioia.
La benedizione suscita in loro gioia, la certezza
che la loro vita ha un esito positivo e porta frut-
to, e la fiducia che sono nelle mani buone di Dio,
protetti e sostenuti da esse.
L’ultimo gesto di don Bosco è stato una benedi-
zione. «Lungo il giorno aveva detto al segretario:
“Quando non potrò più parlare e qualcuno ver-
rà per chiedere la benedizione, tu alzerai la mia
mano, formerai con essa il segno di croce e pro-
nuncerai la formula. Io metterò l’intenzione”.
Sopraggiunto monsignor Cagliero, don Rua gli
cedette la stola, passò alla destra di don Bosco e
chinatosi all’orecchio del caro Padre: “Don Bosco,
gli disse con voce soffocata dal dolore, siamo qui
noi, i suoi figli. Le domandiamo perdono di tutti i
dispiaceri che per causa nostra ha dovuto soffrire,
e per segno di perdono e di paterna benevolenza
ci dia ancora una volta la sua benedizione. Io le
condurrò la mano e pronuncerò la formula della
benedizione”. Tutte le fronti si curvarono a terra.
Don Rua, facendo forza all’animo, ne alzò la de-
stra paralizzata e disse le parole di benedizione
sui Salesiani presenti e assenti e in particolare sui
più lontani».
Don Bosco non si è ancora fermato: la sua bene-
dizione cammina ancora.
Nell’urna di don Bosco che percorre il mondo c’è il
suo braccio destro: il braccio della benedizione.
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LE CASE DI DON BOSCO
DI CHIARA BERTATO
Emmaus Progetto
Vacanze sulla
spiaggia di Grado.
Udine, via Don Bosco, 2. Semaforo
rosso. Sento gridare il mio nome;
da una strada laterale sbucano Davide
e Luca. Stanno tornando da scuola,
mi salutano veloci perché hanno
fame: “Ho una caverna al posto
dello stomaco! Qui ci vuole una
pastasciutta”. Riprendono a spingere
sui pedali diretti verso quella che è
la loro “strana” casa. Ad aspettarli ci
saranno don Angelo, un educatore e
una decina di coetanei. Don Bosco
l’aveva intuito: “Ero persuaso che per
molti ragazzi ogni aiuto era inutile se
non gli si dava una casa”.
30
Gennaio 2011
In Friuli-Venezia Giulia sono quasi cinquecen-
to i minori, soprattutto maschi, che vivono in
strutture. Sono adolescenti spesso costretti a
“emigrare” perché le comunità operanti nel ter-
ritorio accolgono per lo più ragazzi fino ai 12
anni. L’esigenza si fa urgenza, e i salesiani del
Bearzi di Udine raccolgono la sfida. Nel 2008, gra-
zia ai contributi regionali, viene costruita una nuo-
va casa dedicata ai giovani delle superiori e oltre.
Anche i muri educano, ecco perché don Angelo ci
tiene che tutto sia in ordine: “Dobbiamo insegnare
ai nostri ragazzi il gusto per le cose belle!” Gera-
ni nel portico, tovaglie colorate e un caffè sempre
pronto sono solo alcuni dei dettagli che aiutano a
creare un clima familiare e accogliente. Tutti par-
tecipano alla vita delle comunità, che al momento
sono tre. Ognuno ha dei piccoli servizi a cui pre-
stare attenzione: mandare la carta al macero, l’erba
da tagliare o distribuire la biancheria pulita. Anche
attraverso queste piccole cose si impara a essere
sempre più attenti alle esigenze di tutti e autonomi
nell’affrontare i problemi quotidiani.
La vita quotidiana è ricca di impegni: primo fra
tutti la scuola, vissuta con grinta, poi la comunità,
i momenti assieme per un film o il pensiero della
buonanotte. C’è spazio anche per lo sport: calcio,
rugby, nuoto e palestra. Andare in bici rimane il
passatempo preferito, soprattutto dai più piccoli,
che nelle belle giornate di fine estate hanno co-
struito una pista da cross. C’è anche la curva pa-
rabolica.

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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IL BEARZI
Dentro a queste mura arancioni è partita anche
un’esperienza nuova: un appartamento autogestito.
Dal giorno del loro diciottesimo compleanno, i ra-
gazzi non avrebbero più nessun obbligo di rimanere
in casa famiglia, eppure in quattro hanno fatto la
scelta di restare. È nata così la comunità Emmaus,
un alloggio ad alta autonomia all’interno della realtà
delle case famiglia dell’istituto Bearzi.
Paolo ha concluso da qualche mese quest’espe-
rienza: “A 18 anni non tutti hanno un lavoro o
una casa; anche pensare di tornare nella propria
famiglia non è così semplice perché ci sono ten-
sioni o problemi ancora aperti, così tra ragazzi si
facevano delle ipotesi, tra cui quella di condivide-
re un appartamento. Credo che gli educatori ab-
biano intercettato i nostri discorsi…”. C’è il desi-
derio di libertà, di sentirsi grandi e un po’ meno
controllati, ma anche il bisogno di rimanere legati
a un ambiente: “Qui lo stile è quello di una fami-
glia. Io ho scelto di rimanere per crescere ancora
un po’ ” continua Paolo.
Prima regola dell’appartamento è che
tutti si guadagnano la vita, chi con lo stu-
dio e chi con il lavoro. Confrontandosi con nuove
possibilità, ma anche maggiori responsabilità, si
impara che diventare adulti è una cosa seria. Anche
Sorto nel 1939 come orfanotrofio, attualmente raggiunge 800 allievi divisi tra
Scuola Primaria, Secondaria di 1° grado, Istituto Tecnico Industriale e CFP. Ha
un convitto Universitario, la Parrocchia Centro giovanile Comunità Proposta,
tre Case Famiglia: Michele Magone, dai 9 ai 13 anni, Domenico Savio, dai 14
ai 18 anni, Progetto Emmaus, dai 18 in poi.
Un’Unione Sportiva con oltre 200 iscritti, le Associazioni Ex-allievi, Coope-
ratori, A.D.S., Scout, “Ranginsi”(pensionati che si mettono a disposizione
di persone bisognose o in difficoltà), una Casa per Ferie. Opera insieme ai
salesiani la comunità FMA che è presente nella scuola, nell’Oratorio, nella
Parrocchia. bearzi@salesianinordest.it
la vita in comune non sempre è facile, ma di certo è
una palestra di relazioni. Un sabato si litiga duran-
te la cena, quello successivo si va assieme a donare
il sangue all’Avis: anche questo fa parte del gioco.
L’esperienza Emmaus accompagna i ragazzi sul-
le vie del mondo, verso una sempre maggior au-
tonomia anche economica. Per questo durante
le vacanze i ragazzi si danno da fare: camerieri,
tornitori, giardinieri,… fino a ottenere un lavoro
stabile che garantisca dignità e sicurezza.
Entro un anno tutti i ragazzi dell’appartamento
Emmaus sono chiamati a lasciare l’esperienza:
non si tratta di un ultimatum ma del giusto solle-
cito a sfruttare questo momento come trampoli-
no per tuffarsi nella vita in modo maturo.
“Cosa sogni ora?” chiedo a Paolo. Lui sorride, aspet-
ta un secondo e poi “Un lavoro sicuro, avere una fa-
miglia e poter fare una vacanza per dedicarmi alla
mia passione: sette giorni di pesca no stop”.
La gioia di “fare
l’angelo” sulla
neve tutti insieme
in onore di don
Angelo.
Gennaio 2011
31

4.2 Page 32

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FMA
DI MARIA ANTONIA CHINELLO
A Zway (Etiopia),
Candide, Ines, Auxilia,
Elisa, Nieves e Rosaria,
Lem lem... FMA,ciraccontanodel
quotidiano impegno della
loro comunità di vivere il
la vita cresce miracolodellasperanzae
la gioia di veder fiorire il
deserto e crescere la vita.
Lem lem, poco a poco!
P er salutare il nuovo
anno, anche i più
poveri hanno cerca-
to di procurarsi una
gallina per far festa,
danzando attorno al
fuoco... All’inizio di un nuovo anno le
speranze sono tante, ma non man-
cano i timori per un futuro incerto a
causa dell’aumento dei prezzi: «Tre
anni fa con 40 birr si poteva affittare
una stanzetta di 3 metri per 3. Adesso
chiedono 200 birr! Il costo della vita
si sta moltiplicando, ma i salari sono
sempre gli stessi! Questo è il “prezzo”
dello sviluppo: maggiori opportunità
per pochi e moltiplicata povertà per
molti».
Una scuola da 1° premio
Al Mary Help delle FMA le iscri-
zioni alla scuola registrano cifre da
record. Ogni giorno arrivano 2513
tra ragazzi e ragazzi, divisi in scuo-
la materna (550), alfabetizzazione
(124), scuola primaria (780), scuola
media (695), scuola superiore (195)
e College (169).
Educazione per tutti a tempo pieno,
che richiede preparazione e conti-
nuo aggiornamento, qualificazione e
passione educativa e che, nonostante
le fatiche, riserva non poche sorprese.
Come quel giorno in cui… «C’era da
non crederci. Una lettera ci invitava a
partecipare all’incontro nazionale delle
Scuole Tecniche a Bahar Dardove,
alla presenza del Ministro dell’Edu-
cazione e dei maggiori responsabili
a livello regionale, ci sarebbe stato
consegnato il primo premio come
“miglior scuola tecnica del Paese”!».
Una scuola tecnica all’avanguardia,
che va affermandosi per la qualità
della didattica e la professionalità dei
docenti. Da quest’anno, al termine
del corso di studi, gli studenti devono
sostenere un esame di Stato che ne
verifica la preparazione. «Il premio è
frutto della collaborazione di tanti:
dei nostri insegnanti, di tanti volon-
tari e di tutti quelli che credono con
noi che l’educazione è l’unica via per
promuovere la persona e metterla in
grado di uscire dalla povertà». Per le
suore, il premio più bello è constatare
che le giovani donne che hanno ini-
ziato dall’alfabetizzazione, dopo aver
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Gennaio 2011

4.3 Page 33

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completato la Scuola Superiore e il
College, trovano un posto di lavoro
che assicura loro una vita dignitosa.
Il vero premio sono i tanti exallievi
che lavorano nelle aziende del paese
ormai in posti di responsabilità.
Si tratta di sostenere le famiglie perché
“portino” una bambina a scuola: questo
è una caparra per il futuro del paese,
uno tra i più poveri al mondo. Sceglie-
re l’educazione e dare la possibilità di
frequentare tutto l’arco dell’istruzione,
dalla scuola materna al diploma, è
contribuire a cambiare la vita di un ra-
gazzo, di una ragazza e di una famiglia.
E a Zway, come pure ad Addis Abeba,
a Dilla e ad Adwa, le altre comunità
FMA dell’Etiopia, questa è la “nor-
malità” che, piano piano, va facendosi
strada e convinzione tra le famiglie.
Un cuore nuovo
Il dispensario della missione sta
diventando un centro medico dove i
più poveri possono essere curati non
solo con amore ma con competenza
e professionalità. È doloroso assistere
impotenti alla sofferenza di bambini
e adulti… con la percezione di non
poter fare niente. Le cure mediche
sono un diritto per tutti e il sogno è
sempre stato quello di avere medi-
ci specializzati in diversi campi e
strumenti adeguati capaci di aiutare
la gente. Grazie alla generosità di
Tommasa, un cardiochirurgo di
origine spagnola, e all’organizzazione
Infanzia Solidale, Addisu Kasahun, il
medico responsabile del dispensario,
ha potuto svolgere un tirocinio di tre
mesi all’ospedale Ramon y Cajal di
Madrid e imparare a usare l’appa-
recchio eco-cardiografico. Con il suo
ritorno a Zway, si stanno curando i
bambini con problemi cardiaci. La
stessa équipe medica è tornata in
Etiopia per assicurare la possibilità
dell’operazione a cuore aperto.
Sprazzi di vita semplice
«Poco tempo fa – raccontano le suore
– siamo rimaste ferme con l’auto in
mezzo alla strada a circa 30 km da
Zway verso il Sud. Alcuni giovani
uomini e ragazzi si sono avvicinati per
aiutarci a spingerla ai margini della
strada. Nella parte opposta almeno tre
auto si sono fermate per offrirci aiuto e
un autista di un pullmino ha cercato di
capire il guasto. Dopo una mezz’oretta
siamo riuscite a chiedere aiuto grazie
al telefono di un signore, che poi è
ripartito. Un gruppetto di giovani,
invece, è rimasto con noi ed è nato
un dialogo interessante, perché ci ha
dato il riscontro della nostra presenza.
Questi giovani ci conoscevano, sape-
vano delle nostre scuole, dell’aiuto che
stiamo fornendo ai loro villaggi con
l’installazione dei pozzi per l’acqua. A
chi, un po’ stupito, si chiedeva che cosa
ci facessero delle suore ferme sul ciglio
della strada, i giovani spiegavano che
“eravamo le suore di Zway” e li infor-
mavano sulla nostra attività: il dispen-
sario, la scuola, l’alfabetizzazione,
l’oratorio, il centro giovanile… È stato
davvero commovente!».
La stessa commozione che si vive
quando si incontra la vita piena e
traboccante, semplice e profonda, che
si sperimenta quando ci si dona, si
condivide. È l’incontro con un ritmo
diverso della vita, del tempo e dello
spazio. Giorni in cui fatica e bellezza
si prendono a braccetto e ci fanno
camminare su passi non sempre
facili, ma sicuri perché abitati dalla
presenza di Dio. Il Signore spinge
oltre i nostri confini e apre per noi
nuovi, grandi orizzonti. Lem lem.
«Enquan aderesachew, melkan addis
amet! Ringraziamo il Signore per
quello che è passato e invochiamo la
sua protezione per ciò che verrà».
Gennaio 2011
33

4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
DI BRUNO FERRERO
Educare
la responsabilità
La vera sfida
educativa
del secolo
Un sociologo da tutti citato defini-
sce “liquida” la nostra società. Sono
tentato di aggiungere “e anche un po’
paludosa”. Sappiamo tutti che un fiu-
me senza argini diventa una palude.
Parlare di educazione della responsa-
bilità significa parlare di “argini”, cioè
come costruire una vita bella, utile,
orientata e forte.
Ecco alcune semplici considerazioni:
Il punto di partenza è
essere responsabili di
se stessi. Troppi adulti tra
i venti e i quarant’anni non
sono veramente in grado di
prendersi la responsabilità della
propria vita. La maggioranza dei
conflitti tra figli e adulti, come tra
gli adulti stessi, si sviluppa in modo
distruttivo proprio perché le parti non
sono capaci, o non vogliono, prendersi
la responsabilità di se stessi e sprecano
energie incolpandosi l’un l’altro.
È vitale avere un saldo e
chiaro quadro di riferimento.
Nelle nazioni industrializzate lo
standard di vita relativamente elevato
impedisce di riflettere a fondo sulle
dimensioni esistenziali della vita.
Come facciamo a prendere le nostre
decisioni quotidiane, grandi o piccole
che siano, quando non riusciamo a
metterci d’accordo su “che cosa” sia
giusto fare? Dobbiamo cercare delle
autorità nuove o fidarci del nostro
intuito ed esperienza? Dobbia-
mo continuare a credere nei valori
umanitari, che tanto scarseggiano
in questo mondo, o concentrarci sul
nostro benessere materiale?
La scelta è difficile, tanto che molti
genitori preferiscono lasciarsi tra-
sportare dalla corrente. È la scelta
peggiore.
Vogliamo educare i figli in modo che
imparino a confidare su una solida
autorità interna, che li metta in grado
di prendere le loro decisioni sociali
ed esistenziali oppure vogliamo inse-
gnare loro ad affidarsi ad un’autorità
esterna, sia essa politica, religiosa o
filosofica?
Esistono due forme di respon-
sabilità. La responsabilità sociale è
quella che abbiamo l’uno verso l’al-
tro: in famiglia, nelle comunità, nella
società e nel mondo. È una qualità
che permette alla società o a gruppi
costituiti da un certo numero di per-
sone di funzionare correttamente. La
responsabilità sociale si può imparare
solo dai genitori e dagli insegnanti.
La responsabilità personale è quella
che ciascuno di noi ha per la propria
vita, per la propria salute e lo svilup-
po fisico, psicologico e mentale. I figli
devono vivere con adulti che salva-
guardino la loro integrità personale
e intervengano quando i figli dimo-
strano comportamenti autodistrut-
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Gennaio 2011

4.5 Page 35

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tivi. L’intervento dei genitori deve
essere fatto in modo da assicurare ai
figli lo sviluppo di una sana autosti-
ma e un alto grado di autonomia.
Uno scambio reciproco di
opinioni è l’unica forma di
comunicazione e ottiene subito
tre risultati: sviluppa la responsabi-
lità personale dei figli, mantiene e
coltiva le relazioni con i genitori e
migliora i sentimenti di unità fami-
liare. Per il raggiungimento di queste
tre condizioni favorevoli, ogni altra
forma di reazione, come prediche di
fatto, morali o sociali, giudizi di ogni
genere o indifferenza, risulta distrut-
tiva.
I genitori devono abbandona-
re il “risponditore automatico”,
lo strumento che, appena i figli sono
a portata di orecchio, attacca con i
soliti commenti educativi, di aiuto o
di consiglio. È evidente che la mag-
gior parte dei figli già all’età di tre
anni smette di ascoltare la macchina
parlante. Il messaggio sottostante è
distruttivo: «Tu non sei in grado di
funzionare come un figlio decente,
responsabile, beneducato e collabo-
rativo se io non ti metto in testa ogni
minuto quello che devi fare!».
E quanto più il nastro lo ripete, tanto
più il messaggio viene registrato.
I genitori devono esprimere
chiaramente “quello che
pensano” e aiutare i figli a fare
altrettanto, ricordandosi sempre
che i bambini hanno il diritto di
essere bambini.
Per esempio, il perenne conflitto
“svegliarsi in tempo al mattino”
dovrebbe essere risolto con un di-
scorso affettuoso ma fermo del tipo:
«Ascoltate, ragazzi. Quando eravate
più piccoli, ci piaceva svegliarvi la
mattina, dato che la responsabilità
che vi preparaste per la scuola era
nostra. Ma ora pensiamo che non
sia più necessario, anche perché con
questa storia finisce che bisticciamo
quasi ogni giorno. Quindi abbia-
mo deciso di lasciare a voi questa
responsabilità. Se poi vi capiterà
troppo spesso di andare a letto
tardi, e avrete paura di non sentire
la sveglia, basta che ce lo diciate e
vedremo di aiutarvi. A parte questo,
d’ora in poi dovrete pensare voi ad
alzarvi ogni mattina».
I bambini sanno quello che
vogliono, ma non sanno quello
che è necessario per loro. I figli
che ricevono tutto quello che voglio-
no non sono amati, ma trascurati.
Se i bambini hanno tutto
quello che chiedono o devono
solo “ubbidire” non saranno
mai responsabili. L’ubbidienza
pura e semplice non è la respon-
sabilità! Responsabilità significa
passare dall’essere controllati dall’e-
sterno a un controllo interiore. Un
bambino semplicemente ubbidiente
si abitua a una forma di controllo
esterno. Questo può danneggiare
la sua autostima e lo sviluppo della
sua responsabilità personale e gene-
ra sensazioni di isolamento, infe-
riorità o vergogna. Con il tempo
si metterà in qualche compagnia
che assumerà potere su di lui come
hanno fatto i suoi genitori: «Se fai
come noi, sei dei nostri, altrimenti
sei fuori!»
I genitori devono dimostrare,
non insegnare. Per gli adulti,
impegnarsi per conseguire una
relazione con i figli basata su uguale
dignità costituisce una sfida quoti-
diana. Ogni giorno i figli cercano di
definire i propri limiti e le proprie
responsabilità personali, e i geni-
tori devono scavare più a fondo
per trovare nuove risposte in luogo
delle reazioni scontate del passato.
A questo scopo devono modificare
e rendere più autentico il loro modo
di essere.
I figli devono avere qualche
“dovere” e qualche compito
pratico in casa. Negli ultimi
dieci o quindici anni è aumentato
il numero di genitori che invece di
chiedere ai figli di fare qualcosa, li
servono docilmente. Sono nati così
quelli che vengono chiamati “i piccoli
tiranni”. I genitori dovrebbero defi-
nire la situazione all’incirca in questi
termini: «Siamo tutti sulla stessa
barca e l’equipaggio è composto da
quattro membri. Su questa barca tutti
sono bene accetti. Ma non abbiamo
nessuna intenzione di tenere a bordo
un clandestino».
I ragazzi che vivono in casa devono
sapere esattamente che cosa ci si
aspetta da loro. E i genitori devono
continuare a tenere saldamente in
mano la guida della famiglia.
Gennaio 2011
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4.6 Page 36

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NOI & LORO
DI MARIANNA PACUCCI E ALESSANDRA MASTRODONATO
LA FIGLIA
Sotto
lo stesso tetto
M i guardo allo specchio e mi accorgo
di essere cresciuta, di essere diven-
tata una giovane donna, che con i
suoi 26 anni sente in maniera sem-
pre più forte il desiderio e l’impa-
zienza di “spiccare il volo”, la voglia
e insieme l’esigenza di sperimentare una mag-
giore autonomia di vita al di fuori del nido cal-
do e accogliente della propria famiglia
di origine.
Eppure anch’io faccio parte di
quel 58,6% di giovani ita-
liani con un’età compre-
sa tra i 18 e i 34 anni
che, secondo il Rap-
porto Istat del 2009,
vive ancora sotto lo
stesso tetto con i propri
genitori, di quell’esercito
di “bamboccioni” – come
molti si sono abituati a
chiamarci – che sempre più
spesso e per i motivi più di-
versi decidono, o più spesso
sono costretti, a restare a casa
con mamma e papà.
È vero, per alcuni di noi questa
può essere una soluzione di como-
do, dettata dalla paura di crescere
e dal timore di compiere scelte
sentite come definitive. Ma per
i più la decisione di rimanda-
re il distacco dalla famiglia
di origine è l’unica opzione
possibile di fronte alla precarietà e all’incertezza
in cui si dibatte la nostra esistenza di giovani del
terzo millennio, non solo in campo lavorativo, ma
anche nell’ambito delle relazioni affettive e della
stabilità di vita in senso lato.
Ciò non significa che il prolungamento della vita
in famiglia debba necessariamente essere vissuto
da noi giovani come un’esperienza frustrante.
È del tutto normale che un giovane, crescendo
e costruendo nuovi legami all’esterno della pro-
pria famiglia, maturi un sano desiderio di di-
stacco e di autonomia, la volontà di imparare a
badare autonomamente a se stesso e di fare da
solo le proprie scelte, con tutte le incomprensio-
ni e le difficoltà che questo può generare all’in-
terno del rapporto genitori-figli. Al punto che
molti giovani finiscono irrimediabilmente con il
sentirsi “fuori posto” persino a casa propria, non
riuscendo più a condividere le proprie attese e
le proprie paure con dei genitori che spesso non
accettano l’idea che i figli stanno crescendo e fa-
ticano a impostare su basi nuove il loro ruolo
genitoriale.
Con la crescita dei figli, insomma, è inevitabile
che le relazioni familiari cambino e si rimodelli-
no. Ma non per questo necessariamente si inde-
boliscono. Anzi. La maggiore maturità acquisita
dai figli può rendere possibile un salto di qualità
nel rapporto con i genitori, consentendo il su-
peramento di molte delle tensioni e dei conflitti
propri dell’adolescenza, in direzione di una rela-
zione più adulta ed equilibrata, in cui la dimen-
sione della corresponsabilità acquisti un signifi-
cato nuovo.
E allora un giovane può riscoprire l’importanza,
e insieme la bellezza del dialogo e della convi-
vialità all’interno della famiglia, può sperimen-
tare il gusto di confrontarsi con i propri genitori
nell’ambito di un rapporto più paritario e com-
prendere che il clima che si respira in famiglia
dipende dall’attenzione e dalla cura di tutti, figli
compresi.
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Gennaio 2011

4.7 Page 37

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4.8 Page 38

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VIAGGI
DI GIANCARLO MANIERI
Verso la città di DopoilCairo,Alessandria.
Il viaggio, la storia
della città, il deserto in
rapida trasformazione,
Alessandro lemoscheesolitarie,
le colombaie…
la Bibbia nella notissima versione dei
Magno Settanta.CeleberrimalasuaBiblioteca,
la più grande e fornita dell’antichità.
La città divenne un centro di primaria
importanza anche per il cristianesimo,
con nomi illustri per santità e cultura,
la cui fama ha ampiamente superato i
confini d’Egitto. Universalmente cono-
sciuti sono sant’Atanasio, san Cirillo,
santa Caterina, san Macario, Clemente
Alessandrino, Origene e una lunga
schiera di martiri. I salesiani vi misero
piede la prima volta nel 1896, sotto il
Evenne il giorno della
partenza per Ales-
sandria, che ospita la
seconda grande opera
salesiana d’Egitto,
anzi, a dire il vero,
la prima come già abbiamo scritto.
Dal Cairo ad Alessandria attraverso il deserto che
gli egiziani stanno lentamente trasformando…
rettorato di don Michele Rua. Don
Bosco aveva sognato le presenze nella
terra dei faraoni, il suo primo successo-
re le ha realizzate.
Fondata da Alessandro Magno verso
il 332 a.C. – si racconta che ne abbia
tracciato lui stesso il perimetro – sulla
costa mediterranea, davanti all’isoletta
di Faro, in questa stessa città il grande
condottiero fu seppellito dopo la sua
morte, nel 323. Alessandria divenne
presto una delle principali metropoli
dell’antichità, seconda solo a Roma, sia
per la grandezza sia per la ricchezza.
Proprio qui venne tradotta in greco
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Gennaio 2011

4.9 Page 39

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LE SORPRESE
Partimmo la mattina di buonora:
avevamo da percorrere oltre 220 km
che ero convinto fossero di deserto e
si rivelarono invece un lungo tragitto
di “lavori in corso”. Decine di trat-
tori: là sbancavano, qua ripianavano,
più in giù costruivano un ponte, a
fianco una strada parallela, altrove
un recinto, un viadotto, un insedia-
mento: insomma un deserto abitato e
operoso. Non ho incontrato straccio-
ni, nomadi o beduini, ma lavoratori.
Ed era un deserto “verde” costellato
di numerosissime aziende annunciate
da un portale a volte sfarzoso e pro-
tette da recinti. Dentro, erba, palmeti,
datteri, eucalipti, cespugli sconosciu-
ti, coltivazioni, e acqua… alla faccia
del deserto!
La nostra macchina sfrecciava (si
fa per dire) sull’autostrada delle
sorprese (c’era perfino chi faceva
l’auto stop!). È stata certamente una
sorpresa notare un gran numero di
macchine, camion, carretti spinti a
mano (sì, carretti in autostrada), bici-
clette (sic) che viaggiavano in senso
contrario, birocci e biroccetti tirati da
buoi o asini.
LE MOSCHEE
Una ennesima sorprendente caratte-
ristica mi ha richiamato alla mente i
nostri paesetti: ogni benché minimo
insediamento umano, ogni villaggio,
ogni borgata aveva la sua moschea
con tanto di minareto e altoparlante.
Non solo: più di una volta ho notato
moschee solitarie perdute in mezzo
alla campagna, un po’ come le nostre
chiesette devozionali dedicate a
Più di una volta ho notato moschee solitarie perdu-
te in mezzo alla campagna.
questo o quel santo, a questa o quel-
la Madonna.
Come sempre, ogni tanto chiede-
vo qualche delucidazione a don
Al Prince, il quale oltre che farci
da autista ci faceva da guida e da
cicerone, narrando storie, aneddoti
e costumi egiziani, da buon egizia-
no qual era! Ho saputo, ad esempio,
dopo aver notato un signore in bici
– eravamo in autostrada e, manco a
dirlo, il tale in questione viaggiava
contromano in una immaginaria
corsia di emergenza (non era se-
gnata!) e si teneva la tipica coppola
musulmana calcata in testa con una
mano, mentre con l’altra reggeva il
manubrio – che chi porta quel co-
pricapo, somigliante allo zucchetto
di un vescovo o alla kippà ebraica,
vuol dire che ha fatto il pellegrinag-
gio rituale alla Mecca.
LE COLOMBAIE
Avevo anche notato che ogni azien-
da esibiva tra le altre cose una o più
costruzioni in muratura, somiglianti
come forma ai vecchi pagliai dei
nostri contadini e dotate di alcune
serie ordinate di fori, somiglianti a
piccoli oblò ai lati dei quali erano
conficcati dei bastoncini e a volte
dei tondini di ferro di una trentina
di centimetri di lunghezza o poco
meno. “Sono colombaie”, ha preci-
sato la mia paziente guida sempre
pronta a soddisfare ogni curiosità,
e ha continuato: “Ma attento, non
pensare che le colombaie vengano co-
struite e mantenute per zoofilia, niente
affatto; le tengono per… fagofilia!”.
Insomma, ai polli qui si preferiscono
i piccioni!”. “Oh, non disdegniamo
nemmeno i polli, sta’ certo!”. “Come
le nostre aziende hanno la porcilaia,
queste hanno la colombaia”. “Dici una
cosa giusta, considerando che la carne
di maiale è tabù per i musulmani”.
L’unica tappa, durante il tragitto
verso Alessandria, l’abbiamo fatta
al “Villaggio del Leone”, una specie
di grande autogrill, munito di ogni
ben di Dio (o di Allah!): una serie di
negozi di chincaglieria tipica, bar con
caffè per niente italiano, forno, fonta-
ne, acquari e perfino un piccolo zoo.
Dopo la sosta – ci voleva! – ripren-
demmo la marcia fino alla splendida
città di Alessandro Magno. Ma
questa è un’altra storia.
(continua)
Ogni azienda aveva una o più costruzioni in
muratura, somiglianti ai vecchi pagliai dei nostri
contadini: erano le colombaie.
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4.10 Page 40

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A TU PER TU
Giovane, tedesco,
salesiano
Johannes Kaufmann ha
33 anni ed è stato ordinato
sacerdote il 27 giugno
scorso a Benediktbeuern
da monsignor Adrian
van Luyn, salesiano,
vescovo di Rotterdam
e presidente della
Conferenza dei vescovi
europei.
Come ti sei accorto di avere la
vocazione?
Già da piccolo volevo diventare prete
e sono cresciuto con questo deside-
rio. Tante piccole esperienze mi han-
no reso semplice questa decisione. E
adesso posso dire che sono felicissimo.
Perché salesiano?
Perché amo Gesù e i giovani!
Come hai conosciuto don Bosco?
Attraverso un film. Poi nel semina-
rio diocesano dove studiavo teologia
sono stato incaricato della Messa del
31 gennaio. Durante quella Messa
sentii qualcosa di speciale, sentii che
don Bosco mi toccava e non mi la-
sciava più.
Come era composta la tua
famiglia d’origine?
Papà e mamma e mio fratello.
Che cosa sognavano i tuoi
genitori per te?
Un futuro felice.
Chi ti ha parlato di Dio per
primo?
La mia mamma.
Come vedi la Chiesa in
Germania?
Vedo che la chiesa in Germania sof-
fre tanto che mancano sacerdoti gio-
vani. La chiesa ufficiale non riesce a
parlare il linguaggio della gente. Ma
è anche una Chiesa traboccante di
carità, organizzata bene per aiutare
i sofferenti, gli anziani, i giovani, le
missioni.
E la Congregazione Salesiana?
Secondo me siamo in un tempo di
cambio, in una crisi, che ci aiuterà a tor-
nare alla radice della nostra spiritualità.
Quale prevedi sarà la tua
missione?
Per ora sono a Chemnitz, una zona in
Germania con soltanto il 5% di catto-
lici. L’80% sono atei.
Come sono i giovani tedeschi?
I giovani tedeschi sono giovani! Han-
no sogni, voglia di vivere. Gli studi più
recenti dicono che i giovani tedeschi
puntano con speranza al futuro, hanno
voglia di lavorare e apprezzano i valori
classici. Purtroppo aumenta il numero
dei giovani che non possono inserirsi
nella società a causa di povertà, diffi-
coltà negli studi e problemi sociali.
La benedizione di un prete
novello è sempre efficace.
Qual è la tua?
Dio ci aiuti a costruire relazioni buo-
ne e solide nel mondo, nelle famiglie,
tra i giovani e gli anziani, tra i poveri
e i ricchi.
40
Gennaio 2011

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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I NOSTRI SANTI
A CURA DI PIERLUIGI CAMERONI postulatore generale
Il cammino della santità
La santità. È il cammino più esi-
gente che vogliamo realizzare in-
sieme nelle nostre comunità edu-
cative; è il dono più prezioso che
possiamo offrire; è il traguardo
più alto che dobbiamo proporre
con coraggio a tutti, specialmen-
te ai giovani. Solo in un clima di
santità vissuta e sperimentata i
giovani avranno la possibilità di
operare scelte coraggiose di vita,
di scoprire il disegno di Dio sul
loro futuro, di apprezzare e di ac-
cogliere il dono delle vocazioni di
speciale consacrazione.
Don Pascual Chávez
I medici stentano a
credere
Sono una mamma di 44 anni.
Ho tre splendidi bambini da me
affidati al piccolo grande santo,
san Domenico Savio, che ho
conosciuto all’età di 12 anni. Ho
sempre invocato questo san-
to nelle varie necessità e sono
sempre stata esaudita. Mio
suocero, all’età di 77 anni, do-
vette essere operato d’urgenza
per insufficienza cardiaca. Nel
corso dell’intervento il chirurgo
uscì dalla sala operatoria per
comunicare a noi familiari la
gravità delle condizioni. In quel
momento molto triste, io e mia
suocera siamo andate nella cap-
pella dell’ospedale, per invocare
la protezione della Madonna e
in particolare di san Domenico
Savio. Dopo sei ore, che ci par-
vero interminabili, il chirurgo ci
comunicò che l’intervento era
riuscito oltre le sue aspettative
e il paziente stava rispondendo
bene alle terapie e dimostrò una
capacità di ricupero, che ancora
oggi i medici stentano a credere.
Io sono convinta che è stato san
Domenico Savio a proteggerlo.
Patalano Ersilia, Ischia NA
Tutto sparito
La mia seconda gravidanza è
cominciata nella normalità, ma
Venerdì 24 settembre, presso
la casa salesiana di Ljubljana
Rakovnik (SLO), alla presenza
dell’arcivescovo della diocesi,
monsignor Anton Stres, è sta-
ta ufficialmente avviata l’in-
chiesta diocesana per la bea-
tificazione del Servo di Dio
don Andrej Majcen (1904-
1999), salesiano sacerdote
e missionario, “patriarca dei
salesiani” nel Vietnam.
il dottore riscontrò che il bimbo
avrebbe potuto avere problemi
seri. Da tempo sono devota di
san Domenico Savio e sia per la
gravidanza di mia figlia primo-
genita Martina, sia per quella del
secondo bimbo, mi sono racco-
mandata alla sua intercessione
oltre naturalmente a quella della
Mamma per eccellenza, Maria
Santissima. Una mia cara amica,
ignara del mio problema mi regalò
l’abitino azzurro di san Domenico
Savio. Al controllo successivo
ogni problema era praticamente
scomparso. Mentre mi alzavo dal
lettino notai una piccola statuetta
di Maria Santissima nella libreria
dell’ospedale. La mia ginecologa
definì la cosa letteralmente “Al di
là delle sue più rosee aspettative”.
Il 21 gennaio 2008 è nato il nostro
piccolo Lorenzo Domenico, che
insieme alla mamma, al papà e alla
sorella Martina, dà lode a Dio per
la grazia ricevuta e per la potente
intercessione di Maria Santissima
e san Domenico.
C.T., Ponzano Veneto TV
Per la pubblicazione
non si tiene conto delle
lettere non firmate e
senza recapito. Su
richiesta si potrà
omettere l’indicazione
del nome.
Molteplici grazie
a Maria Ausiliatrice
e ai santi salesiani
Per ottenere la pace del cuore e
un po’ di serenità a una persona
anziana della mia famiglia, nel
settembre 2008 mi sono recata
al santuario dei Becchi presso
Castelnuovo Don Bosco, dove ho
fatto celebrare delle SS. Messe. Il
giorno stesso in cui veniva cele-
brata la S. Messa, questa persona
anziana e sola si sentì male, per un
improvviso e fortissimo sbalzo di
pressione. Tuttavia prima di per-
dere i sensi, riuscì a porsi seduta
e a spalancare la porta, per essere
più facilmente soccorsa da qual-
cuno. Dopo un po’ si riprese e poté
chiamare il dottore. In tutto ciò ho
visto l’aiuto e la protezione di don
Bosco e di Maria Ausiliatrice. Alla
fine di gennaio 2009 io stessa, già
sofferente di artrosi e osteoporosi,
in seguito ad una brutta caduta
sulla strada ghiacciata, che po-
teva avere conseguenze ben più
gravi, dovetti passare ben cinque
mesi di dolori intensi, causati da
un piccolo distacco osseo. Mi ri-
volsi a Maria Ausiliatrice e ai santi
salesiani, affinché intercedessero
per me. Fui esaudita, perché len-
tamente il dolore scomparve e io
potei sempre badare a me stessa,
anche se con difficoltà. Ancora:
quest’estate ho avuto gravi pro-
blemi burocratici che temevo di
non poter risolvere da sola. Quan-
do ormai mi sentivo abbandonata
e ritenevo impossibile uscire da
queste difficoltà, tutto si è risolto
in modo molto semplice nel giro
di pochi giorni. Anche per questa
vicenda sento di dover rendere
grazie a Dio, che attraverso l’in-
tercessione della Madonna e dei
santi salesiani ha esaudito le mie
invocazioni.
R.P.G., Cortandone AT
Pieno ricupero grazie alla
beata Alessandrina
Mio marito di 74 anni di età
nell’estate scorsa si ammalò
Mercoledì 20 ottobre 2010 è
stata ufficialmente consegnata
presso la Congregazione delle
Cause dei Santi la documen-
tazione relativa alla eroicità
delle virtù (Positio) del Servo
di Dio Giuseppe Augusto Ar-
ribat (1879-1963), salesiano
francese che visse gran parte
della sua vita nella prima casa
fondata da don Bosco in Fran-
cia a La Navarre.
di enterocolite acuta. Aveva
smesso di mangiare. Un po-
meriggio la febbre salì improv-
visamente a 41°, mentre lui
perse la lucidità di mente. Io
non mi preoccupai di questo,
attribuendo tale perdita al forte
rialzo della febbre. Egli dor-
miva tutto il giorno, non man-
giava e si esprimeva in modo
sconnesso. La febbre perdurò
per quindici giorni; tuttavia
non l’abbiamo ricoverato in
ospedale, perché mio figlio lo
curava in casa anche mediante
fleboclisi. Una sera, vedendolo
farneticare, con la febbre a 38°,
e in continua amnesia, mi sen-
tivo veramente disperata. Pre-
si un’immaginetta della beata
Alessandrina da Costa e la posi
sul petto di mio marito, che di
nulla si accorse. Da quella sera
la febbre lo lasciò ed egli iniziò
una lenta ripresa. Gli esami ef-
fettuati presso l’ospedale alcuni
giorni dopo non hanno rivelato
fatti nuovi. Oggi mio marito è
tornato quello che era prima
di ammalarsi: fisicamente sta
bene e mentalmente ha ricupe-
rato in pieno. Quando gli rac-
conto quello che gli è accaduto
dice di non ricordarsi molto
di quel periodo; ma io ringra-
zio Dio di avermi concesso di
averlo ancora con me. Spero di
ottenere per intercessione della
beata Alessandrina anche gra-
zie spirituali per mio marito.
Boncompagni Giovanna, Arezzo
Gennaio 2011
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5.2 Page 42

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CI HANNO LASCIATO
ALFONSO MORCELLI
SDB
† Karthoum (Sudan), il 23/10/2010,
a 61 anni
Alfonso Morcelli nasce a Val-
didentro (Sondrio) il 2 agosto
1949, in una numerosa famiglia
solidamente cristiana: sono 11, 5
fratelli e 6 sorelle.
Conosce i Salesiani e va a scuola
all’Istituto Missionario Rebau-
dengo di Torino, dove si innamo-
ra della vita salesiana. È là che
decide di restare con don Bosco.
Si qualifica nel campo della mec-
canica e si fa una grande espe-
rienza professionale e pratica.
Intanto è impegnato all’Oratorio
della Parrocchia della Snia, non
lontana all’Istituto.
Nel marzo 1984 parte per l’Africa,
in Kenya, nella nuova comunità di
Embu dove comincia una scuola
superiore a indirizzo tecnico.
Seguono anni di grande lavoro
di fondazione sia della comunità,
come della scuola e dei labora-
tori. In questi anni, a più riprese,
la mamma di Alfonso, conosciu-
ta e amata da tutti come Nonna
Albina, viene a fare da Mamma
Margherita – in modo speciale
per i confratelli – e si adopera per
insegnare in cucina, in lavande-
ria, in sartoria, le cose essenziali
per il buon mantenimento di una
casa… È davvero come “un an-
gelo mandato da Dio”: sempre
sorridente e pronta a dare il ben-
venuto a tutti…
Nel 1995 dopo l’unione delle
presenze salesiane in Africa
Orientale, Alfonso viene trasferi-
to ad Oysterbay, Dar es Salaam,
in Tanzania. La scuola tecnica
là si trova in una certa difficol-
tà… Con pazienza, Alfonso la fa
rifiorire e ne fa stimare il lavoro
da tutti, specialmente dal per-
sonale delle varie Ambasciate,
che viene a farsi fare lavori e
lavoretti di precisione, e grandi
lavori specialmente nel settore
dell’ebanisteria. La sua presenza
è fondamentale anche per la co-
struzione della nuova casa della
Procura.
Nel 2004-2005 viene chiesto
ad Alfonso di andare ad aiutare
come economo nella casa di
formazione del Post Noviziato
di Moshi. Come già aveva fatto
a Embu e Oysterbay, alcuni dei
suoi fratelli – esperti in vari cam-
pi tecnici – vengono ad aiutarlo
per qualche mese all’anno.
Nel 2008-2009, creatasi un’al-
tra crisi nella casa di Dodoma
in Tanzania, viene chiesto ad
Alfonso di trasferirsi là. Durante
questi anni gli viene chiesto (per
la seconda volta) il servizio di
Consigliere Ispettoriale, ufficio
che svolge con competenza e
con senso critico costruttivo.
Nell’agosto 2010, gli viene fatta
la proposta di andare ad aiutare
in Sudan. Sarà l’economo della
Delegazione. Ma una malaria tra-
scurata abbatte il suo fisico. Il 23
ottobre, il signor Morcelli muore
all’ospedale di Khartoum. Ave-
va compiuto 61 anni all’inizio di
agosto ed era nel pieno del vigore
apostolico.
DAL MASO sig. Luigi
exallievo e cooperatore
† Schio (VI), il 05/09/2010, a 88
anni
Una famiglia, la sua, in cui si re-
spirava la spiritualità salesiana
e si viveva il sistema preventivo.
È cresciuto nutrendosi di fede e
coltivando la lettura della Sacra
Scrittura. Papà Luigi, ultimo di
cinque fratelli, di cui tre, Eligio,
Giovanni e Antonio sacerdoti
missionari salesiani, ha frequen-
tato da ragazzo e ha collaborato
da adulto con l’Oratorio di Schio
insieme alla moglie Maddalena,
premiata con la Medaglia d’oro
di Mamma Margherita. Il cortile,
il cinema, il bar sono stati il suo
campo di lavoro educativo e col-
laborativo. Fu stimato e ammirato
da tutti per la sua cultura (parlava
quattro lingue), la sua onestà, il
suo impegno cristiano. È stato tra
l’altro un diffusore del Bollettino
Salesiano e della rivista dell’Ora-
torio “Concordia”.
BRESSAN sr. Bruna
Figlia di Maria Ausiliatrice
† Lorena (Brasile), il 09/06/2010, a
81 anni
Accoglie la chiamata di Gesù a
19 anni e nel 1953 parte per il
Brasile. È animata dal “Da mihi
animas” di don Bosco e si dona
totalmente ai piccoli e ai poveri.
Svolge il compito di catechi-
sta, infermiera, responsabile
della cucina in parecchie Case
dell’Ispettoria. Dalle note bio-
grafiche le sorelle scrivono che
si distingueva per la delicatezza
e l’accoglienza delle persone e
accompagnava tutti con la pre-
ghiera, in particolare davanti
all’Eucaristia e nell’amore a Ma-
ria che chiamava: “la mia buona
Mamma del cielo”. Nel 1990,
dopo quasi 57 anni di missione,
il Signore la chiama sulla via
della sofferenza e subito accetta
di immolarsi con Gesù su tutti
gli altari del mondo e ringra-
ziandolo per il dono privilegiato
della chiamata missionaria.
BIANCARDI sr. Jolanda
Figlia di Maria Ausiliatrice
† Asti (AT), il 15/05/2010, a 78 anni
Da sempre, suor Jolanda si è
sentita educatrice delle giovani.
Chi l’ha conosciuta, ricorda la
sua passione per l’attività spor-
tiva: una vera istituzione per la
Polisportiva Giovanile Salesiana
di Nizza Monferrato. Si impe-
gnava per la promozione dello
sport a scopo educativo. Sem-
pre, ma specialmente negli ulti-
mi tempi, venuta meno la salute,
diventò donna di tanta preghiera
e di lunghe soste davanti all’Eu-
caristia.
BOVINO sr. Nicolina
Figlia di Maria Ausiliatrice
† Taranto (TA) il 25/04/2010, a 88
anni
Nel suo paese, Carosino (Lecce),
non c’erano ancora le FMA, ma lei
sognò di trovarsi in un cortile in
cui alcune suore giocavano con le
ragazze, mentre un’amica le dice-
va che erano salesiane. Quando si
aprì la casa, riconobbe le FMA e
decise di far parte dell’Istituto. Fu
una suora appassionata dell’ora-
torio, dove seguiva con amore le
ragazze, formandole attraverso la
catechesi ad un grande amore per
Gesù Eucarestia. Per alcuni anni
prestò servizio in alcune case dei
Salesiani, come sorella buona, ac-
cogliente, serena.
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Gennaio 2011

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
DI B.F.
La pecora
settantadue
Sono la pecora numero
settantadue. Lo so con
certezza perché questo è
il numero dipinto con la
vernice sul mio posteriore.
Per facilitarsi il compito
di contare le pecore, il pastore ha
scritto un numero sul dorso di ogni
pecora. Così so anche che siamo in
cento. La numero cento è una pecora
che stilla boria da ogni ricciolo di
lana. Credo abbia il numero cento
solo perché è quella con il di dietro
più grosso.
Ma io sono la settantadue. Significa
che non sono tra le prime quando
il gregge si muove, né sono tra le
ultime. Sto in mezzo, affogata nella
mediocrità assoluta.
In realtà non sono nessuno. Sono
sfruttata, come le altre: mi portano
via la lana, il latte e anche gli agnelli-
ni. Sono un animale. Servo a produr-
re e basta. Ho lo stesso valore dello
steccato dell’ovile.
Nessuno si accorge davvero di me.
Per questo ho deciso di sparire. Me
ne sono andata di notte. Prima che
il pastore se ne rendesse conto, ero
lontana.
In quei primi momenti ero ubriaca
di felicità. Saltellavo tra le rocce,
mangiavo solo l’erba più tenera, dove
volevo e quando volevo, bevevo ai
ruscelli quando mi pareva, riposavo
all’ombra quando ne avevo voglia.
Lana, latte, agnellini tutto sarebbe
stato mio. Io esistevo, finalmente!
Per due notti solo le stelle hanno
vegliato il mio sonno. Che bisogno
c’è di un pastore?
Ma questa sera l’ho sentito. Ho
sentito la sua presenza, il suo odore,
il tonfo felpato dei suoi passi. Il lupo
è qui vicino.
Mi sono rannicchiata tra questi due
massi. Non riuscirei a scappare. Non
so correre. Gli occhi del lupo brillano
più delle stelle e la sua lingua fiam-
meggia tra le zanne scintillanti. Tra
poco sarà finita.
Ma… Due mani callose mi strap-
pano al mio miserabile rifugio, due
grosse mani d’uomo che conosco
bene.
Il pastore è venuto! È venuto proprio
per me!
«Torniamo a casa. Mi sei mancata,
Settantadue!»
La pecora della storia mi ricorda
una giovane che parlava del suo
sentimento di non essere stata mai
amata. Diceva che nell’infanzia
aveva sempre avuto l’impressione di
essere stata concepita per sbaglio,
Disegno di Fabrizio Zubani
di non essere stata mai veramente
desiderata. I genitori non parlavano
che del fratello o della sorella, mai di
lei, come non ci fosse; aveva come il
sentimento di essere stata sempre di
fastidio e di non essere la benvenu-
ta da nessuna parte; sentiva perciò
come una sorta di permanente ferita.
Diceva: «Quando andavo a scuola,
tutti avevano degli amici, eccetto io.
Avevo l’impressione che mai nessun
uomo avrebbe potuto amarmi».
Ma continuava: «Un giorno (mi tro-
vavo in un bosco) mi sedetti ai piedi
di un albero e all’istante fui piena
della certezza che mi amava Dio».
Ci specchiamo negli occhi degli altri
e siamo sempre tentati di dire: «Non
sono capace, non sono degno, non
sono buono».
Ma Dio ci risponde: «Io ti amo come
sei, e sei proprio tu che io chiamo
oggi, proprio tu con le tue ferite, le
tue fragilità, le tue infedeltà».
Oggi, prendiamoci allora il tempo
di ascoltare Dio, sediamoci sotto un
albero, come quella giovane donna,
dove possiamo sentirci dire: «Tu sei
il mio figlio diletto e io non ti lascerò
mai».
Gennaio 2011
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5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Venite e vedrete
Eusebia Palomino
L’invitato
Madre Yvonne
Missioni
L’alfiere
e le pallottole
Testimoniare Cristo
in Pakistan
A tu per tu
Sono il nuovo
ispettore
dell’Ungheria
e vengo dall’India
Esperienze
Un salesiano
all’ONU
Senza di voi
Dal testamento di don Bosco
per i benefattori
non possiamo
Senza la vostra carità io
avrei potuto fare poco
o nulla; con la vostra
carità abbiamo invece
fare nulla!
cooperato con la grazia di Dio
ad asciugare molte lagrime e a
salvare molte anime.
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di …………….., o
titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8 - Fax 011.5224760
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via della Pisana, 1111
00163 Roma - Bravetta
Tel. 06.656121 - 06.65612658
e-mail:donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.