Bollettino_Salesiano_202006

Bollettino_Salesiano_202006

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“Avanti sempre.
Noi non ci
fermiamo mai”
Don Bosco
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
GIUGNO 2020
Le case di don Bosco
Torre Annunziata
L’invitato
Don Alphonse
Owoudou
Salesiani
nel mondo
Don Bosco
vs COVID
I nostri eroi
Don Ricaldone

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LE COSE DI DON BOSCO
José J. Gómez Palacios
La carezza
«S egui il tuo cuore» gli aveva
detto don Cafasso, che era
un suo grande amico. Io
che vivevo con lui e la sua mamma a
Valdocco sapevo che il cuore di don
Giovanni Bosco soffriva perché
alcuni dei suoi ragazzi, alla sera non
avevano un posto per dormire. Si
raggomitolavano negli androni dei
palazzi o negli squallidi dormitori
pubblici. Da tempo pensava di
prenderli in casa. Aveva tentato due
volte ma il mattino successivo i
ragazzi si erano volatilizzati portan-
dosi via le coperte e perfino il fieno e
la paglia dei materassi.
Ma una sera di maggio: «Mamma, là
fuori c’è qualcuno».
«Ma va, è la pioggia».
Alla luce dei lampi si stagliò al di là
dei vetri, fradicio e spaurito, l’esile
volto di un ragazzo.
Don Bosco si precipitò fuori. La
madre gridò sorpresa.
«Sono orfano. Vengo dalla Valsesia.
Faccio il muratore, ma non ho ancora
trovato lavoro. Non so dove andare».
II quindicenne giunto sulla soglia di
Casa Pinardi quella piovosa sera di
maggio 1847, tutto inzuppato d’ac-
qua e in cerca di un tozzo di pane,
non ebbe solo spalancato l’uscio, né
ottenne solo ciò che cercava. Scoprì
di essere amato.
Gli sguardi del figlio e della madre si
incrociano. Don Bosco già medita di
tenere con sé il ragazzo ma si preoc-
cupa anche di non forzarne la libertà.
«Dove intendi andare dopo?»
«Non so. Chiedo solo la carità di
passare qui questa notte, in un ango-
lo che non disturbi».
Scendono lacrime a rigare il volto
del muratorino. Egli le asciuga con il
dorso della mano callosa. Don Bosco
gli parla adagio, sommesso. «Se io...
Se io fossi sicuro che tu non sei un
ladruncolo – gli sorride – cercherei
magari di aggiustarti qui come pos-
so. Ma altri mi hanno già portato via
lenzuola e coperte, temo che tu mi
porti via il resto».
Il giovane lo fissa, il pianto improv-
visamente bloccato.
«Oh no, monsù reverendo, no no. Io
sono povero ma... Non ho mai ruba-
to a nessuno».
In casi come questo don Bosco senti-
va un brivido in tutta la persona. Un
groppo segreto lo afferrava alla gola.
Sua madre, che lo conosceva bene,
tagliò corto.
«Lo sistemerò in cucina per stanotte»
disse «e domani Dio provvederà».
In tre raccolsero dei mattoni e quattro
assi calcinate, da sistemare sui matto-
ni. Improvvisarono un letto, ma non
c’era il materasso. Don Bosco portò il
suo e Margherita rimediò un paio di
lenzuola e due coperte.
Mentre il ragazzo si sistemava, la
santa donna gli parlò con amore del
lavoro e della fede, come sogliono
fare le mamme cristiane, e mormorò
una preghiera con lui. Poi raccolse gli
indumenti, che tra macchie, buchi e
pioggia, si raccomandavano molto alle
sue cure, e posò me, la sua più dolce
carezza sulla fronte di quel «figlio».
«Buona notte» gli disse.
Quella «buona notte», allo stesso
modo, o trasformata in «buon gior-
no», viene tuttora ripetuta ai ragazzi
e a chiunque vive nelle case di don
Bosco.
LA STORIA
Proprio a Valdocco durante il Capitolo Generale è stata inaugurata una statua
di Mamma Margherita che è stata collocata nel luogo in cui la mamma di don
Bosco aveva fatto il suo orto. La scena raffigura un ragazzo nell’atto di superare
la soglia della casa di don Bosco e sua madre per chiedere ospitalità, che viene
accolto dallo sguardo amorevole e da una carezza di Mamma Margherita.
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Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
GIUGNO 2020
Le case di don Bosco
Torre Annunziata
L’invitato
Don Alphonse
Owoudou
Salesiani
nel mondo
Don Bosco
vs COVID
I nostri eroi
Don Ricaldone
GIUGNO 2020
ANNO CXLIV
NUMERO 06
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
La copertina: La gioia di correre, di sentire il vento
tra i capelli, di giocare all’aperto. Non è mai sembrato
così bello! (Foto di Anton Kishinskiy, Shutterstock).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 SALESIANI NEL MONDO
Don Bosco vs COVID
10 TEMPO DELLO SPIRITO
7 note per la gioia di esistere
12 STORIE DI GIOVANI
14 LE CASE DI DON BOSCO
Torre Annunziata
18 L’INVITATO
Don Alphonse Owoudou
22 FMA
Mescoliamo i colori
24 SALESIANI
Etiopia
28 CINQUE PER MILLE
30 I NOSTRI EROI
Don Pietro Ricaldone
34 COME DON BOSCO
La serenità
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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24
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 66
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
Tel./Fax 06.65612643
e-mail: biesse@sdb.org
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Antonio Carbone, Roberto
Desiderati, Emilia Di Massimo,
Ángel Fernández Artime, Claudia
Gualtieri, Carmen Laval, Cesare Lo
Monaco, Alberto Lopez, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto, Pino
Pellegrino, Giampietro Pettenon,
O. Pori Mecoi, Luigi Zonta, Fabrizio
Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Tullio Orler (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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livello internazionale che tutelano le foreste, l’ambiente
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Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Ángel Fernández Artime
Cosa faremmo
senza i giovani?
I giovani hanno detto che ci
amano, ci amano davvero come
educatori, come amici, come
fratelli e come genitori, perché
«noi giovani di oggi abbiamo una
grande mancanza di paternità.
E soprattutto vogliamo
camminare verso la crescita
spirituale e personale e vogliamo
farlo con voi salesiani».
Forse trovate strana questa domanda, cari
amici, lettori del Bollettino Salesiano e sim-
patizzanti di don Bosco.
Nella mia vita ho incontrato molti adulti per
i quali i giovani sono una categoria di persone da
trattare con cautela, nei cui confronti è necessario
stare all’erta, essere pronti a tutto, perché «non si sa
mai che cosa possono combinare».
Credetemi se vi dico che questo è comune più di
quanto pensiate: sarà per insicurezza, per paura,
perché la mentalità è molto diversa?
Io mi sono sempre detto, e lo ripeto a me stesso
dopo il recente 28° Capitolo Generale, svoltosi a
Valdocco-Torino negli stessi luoghi dove il Padre
ha vissuto con i suoi ragazzi, che i giovani sono la
ragione della nostra vita e che ci rendono migliori,
allargano il nostro cuore, ci rendono più generosi e
ci portano a guardare la vita con speranza e sorriso,
come è successo a don Bosco con i suoi ‘birichini’.
Ci credo davvero. Se un educatore salesiano, con-
sacrato o laico, non sente questa esperienza, allora
è semplicemente qualcuno che lavora e si guadagna
da vivere con un onesto lavoro educativo, ma che
non vive con vera passione “l’arte di educare”.
Al Capitolo Generale hanno partecipato 16 giovani
provenienti da quattro continenti. Giovani adulti,
tra i 25 e i 30 anni. Si sono subito messi in con-
tatto stupendamente tra di loro e con noi. Vale la
pena ricordare quello che ci hanno detto e quello
che ci hanno chiesto: «Siamo riusciti a regolare il
nostro cuore e i nostri sogni allo stesso ritmo. Ci
avete dato l’opportunità di connetterci con voi, i sa-
lesiani, che vogliamo con noi. Lo avete fatto con il
vostro stile salesiano. Stare con noi, fianco a fianco,
permettendoci di essere protagonisti».
Loro, e noi, abbiamo capito molte cose. Una delle
quali è molto interessante: I giovani ci hanno detto
che trovavano difficile capirsi, non solo per la di-
versità delle lingue (perché non tutti erano in grado
di dialogare in inglese), ma che trovavano un po’
difficile capire concetti, mentalità, costumi, valo-
ri... ed erano tutti giovani con un’età molto vicina!
Non c’era alcun gap generazionale.
Parlando con me di questo, ho detto loro che pote-
vo capirli e ho chiesto loro di sforzarsi di capire an-
che i salesiani che conoscevano, quando nella stessa
comunità c’erano persone di età, nazionalità e men-
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talità diverse. Mi hanno detto che non l’avevano
mai pensata in questo modo, ma che ora avevano
vissuto il problema sulla loro pelle.
Ci siamo così trovati d’accordo sul fatto che la co-
munità e i progetti comuni non si ottengono per af-
finità e simpatia, ma attraverso la scelta dello stesso
ideale e con valori simili. Il resto è il risultato dello
sforzo e della fede.
Quegli stessi giovani (ragazzi e ragazze) ci hanno
espresso sentimenti che ci hanno lasciato senza
parole. Potevamo forse immaginarli, ma quando li
abbiamo sentiti dalle loro labbra in quella grande
assemblea, hanno avuto un effetto impressionante.
I giovani hanno affermato che ci amano, ci amano
come educatori come amici, come fratelli e come
genitori, perché, hanno aggiunto «noi giovani di
oggi soffriamo una grande mancanza di paternità».
E ci hanno chiesto di essere loro compagni di viag-
gio. Ci hanno detto che non hanno bisogno che
siamo noi a dir loro che cosa fare e che cosa non
fare. Che non vogliono che gli rendiamo le cose
facili. Che non hanno bisogno che noi gli diciamo
come pensare e cosa vivere. Ma ci vogliono al loro
fianco anche quando sbagliano. Ci hanno chiesto di
accompagnarli nel cammino della vita. Che siamo
vicini a loro anche nelle fasi delle grandi decisioni.
«Avete i nostri cuori nelle vostre mani. Abbiate
cura di questo prezioso tesoro. Per favore, non di-
menticatevi di noi e continuate ad ascoltarci» han-
no scritto nel loro messaggio.
E mi ha commosso sentirli dire, con le lacrime agli
occhi, che avevano bisogno di noi per dimostrare
loro che Dio li ama, che c’è un Dio che è Amore e
che li ama incondizionatamente. Che qualcuno deve
dirlo più e più volte a tutti i giovani di questo mondo.
Siamo senza parole. I giovani, ancora una volta, ci
hanno evangelizzato.
Fu uno dei miei predecessori, il Rettore Maggio-
re don Juan Edmundo Vecchi che una volta scrisse
che “i giovani ci salvano”. Proprio così. Ci salvano
dalla routine della vita, dalla fatica che non passa
con le ore di sonno. Ci salvano dalla confortevole
sicurezza, dalla vita senza speranza e senza fede. Ci
salvano, insomma, dalla mediocrità.
Cari giovani, noi salesiani del mondo d’oggi vi di-
ciamo che vi amiamo, che la nostra vita è per voi e
che, come è stato per don Bosco, “Io studio per voi,
lavoro per voi, vivo per voi, sono pronto a dare la
mia vita per voi”.
Vi auguro una grande felicità nel Signore.
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SALESIANI NEL MONDO
Giampietro Pettenon
Don Bosco vs COVID
ILY
SOLIDARITY
È meraviglioso sapere che ovunque i
missionari salesiani, come don Bosco,
di fronte ad ogni problema sanno
trovare una soluzione concreta,
semplice, fatta di fatica, di vicinanza,
di affetto, di sacrificio silenzioso ma
tanto efficace.
Tirana:
I volontari
dell’ONG
salesiana
“Volontariato
Internazionale
per lo
Sviluppo” (VIS)
anche in tempo
di pandemia
restano attivi
per aiutare i
più bisognosi.
T ante volte ho scritto dai diversi paesi del
mondo – ne ho visitati una quarantina
in questi ultimi sei anni – raccontandovi
quello che vedevo, le persone che incontra-
vo, le esperienze nuove che vivevo.
Questa volta invece vi scrivo dalla sede di Missoni
Don Bosco perché non possiamo muoverci di casa,
a causa della pandemia in atto. Non solo in Italia e
in Europa esiste una sorta di coprifuoco generale.
Tantissimi paesi del mondo, per tentare di arginare
la diffusione del contagio, hanno chiuso le frontiere
e interrotto le attività produttive, la scuola e i tra-
sporti, invitando la popolazione a stare in casa.
Il nostro governo ha stanziato risorse finanziarie
ingenti per far fronte ai bisogni della sanità pub-
blica e alla crisi economica. In Italia abbiamo una
organizzazione statale, della quale spesso ci lamen-
tiamo per il mal funzionamento, ma che i servizi
essenziali li garantisce.
Non è così nei paesi in via di sviluppo dove la gran
parte della popolazione vive di espedienti quotidiani.
Lavorare “in regola” cioè con tutte le tutele assisten-
ziali e previdenziali molto spesso è un’eccezione, so-
prattutto nelle periferie delle grandi metropoli mon-
diali e nelle campagne. Questo significa che il cibo
per ogni giorno dipende da quello che una mamma è
riuscita a vendere nella piccola bottega ai bordi della
strada. Dipende dalle ore di lavoro manuale che un
padre è riuscito a svolgere quel giorno… e domani?
domani, Dio provvederà!
Capiamo subito che se a questi padri e madri è im-
pedito di uscire di casa a causa del coronavirus, que-
sti sono destinati a morire di fame, loro e i loro figli!
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Nel Tamil Nadu-India, la comunità salesia-
na dell’opera “Retrat”, a Yercaud, ha lanciato un
programma per raggiungere i più poveri in que-
sto tempo di pandemia e di difficoltà per tutto il
mondo. Per l’intera settimana, in diverse giornate,
vengono distribuiti alimenti a 100 anziani soli e a
persone disabili. Inoltre, 200 famiglie bisognose,
sparse nei villaggi tribali delle colline circostan-
ti l’opera. Si tratta di famiglie che erano in grave
difficoltà e famiglie di migranti, tutte persone che
dipendono esclusivamente dalle loro piccole entra-
te giornaliere per il loro sostentamento e che per
Nuova Delhi:
Lo tsunami
della pandemia
di Covid-19
ha toccato
duramente
anche l’India.
In risposta, la
Rete Salesiana
in Asia Sud ha
lanciato una
campagna
di soccorso
denominata
“Solidarity Viral”
(Solidarietà
Virale).
Nei paesi poveri del mondo l’emergenza, prima
ancora di essere sanitaria, è di tipo alimentare. Il
è un virus che nei paesi ricchi provoca la
morte per complicanze respiratorie e nei paesi po-
veri provoca la morte per… fame!
In Perù padre Rolando Ramos Guija, a 92 anni,
sempre giovane e attento ai poveri, anche in tempo
di Covid-19 in mezzo alla quarantena e all’isola-
mento sociale, non può evitare di aiutare le famiglie
povere dei Peruviani e dei Venezuelani che gli chie-
dono aiuto. Fin dall’inizio della quarantena, il suo
sguardo è caduto sui poveri della zona, e ha subito
organizzato una brigata di emergenza per prepara-
re “borse della salvezza” con beni di prima necessi-
tà. I quartieri più remoti sono stati i primi a ricevere
aiuto. Don Ramos è parroco a Chosica a due ore di
macchina da Lima. “Ad oggi – dice Silvia Cordova,
assistente sociale della parrocchia Don Bosco – ab-
biamo distribuito cibo a 800 famiglie. I bambini
sono quelli che soffrono di più. Ci siamo occupati
di tutti, ma abbiamo constatato che più della metà
sono immigrati venezuelani, che patiscono più for-
temente l’impatto del deterioramento economico,
perché hanno solo dei lavoretti informali e vivono
alla giornata”.
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SALESIANI NEL MONDO
questo sono in crisi a causa del blocco negli spo-
stamenti imposto dall’India (lockdown). La neces-
sità di un sostegno specifico e urgente per queste
famiglie è stata individuata dai giovani dell’opera
quando questi volontariamente, nei giorni scorsi,
si sono assunti il compito di spruzzare disinfet-
tante nella maggior parte dei villaggi delle colli-
ne – alcuni raggiungibili solo dopo lunghe ore di
camminata in salita.
A Lubumbashi, nella Repubblica Democrati-
ca del Congo, padre Albert ci riferisce che in città
sono già stati uccisi diversi ragazzi. La tensione è
alle stelle, soprattutto a causa della speculazione
che, iniziata in concomitanza con la diffusione
delle notizie sulle prime vittime del Covid-19 nel
Paese, sta creando non pochi problemi di ordine
sociale: a causa della corsa all’approvvigionamen-
to alimentare, molta gente non ha da mangiare e
i prezzi stanno raddoppiando, con reazioni di pro-
testa da parte della popolazione che vengono pun-
tualmente represse con violenza.
A Quito, in Equador, l’obiettivo dei missiona-
ri salesiani è semplice, ma avrà ricadute positive
sull’intera comunità nel contenimento del conta-
gio, non solo sui beneficiari: vogliono mettere le
famiglie più svantaggiate nelle condizioni di po-
ter realmente rispettare la quarantena e ci hanno
chiesto di aiutarli ad assicurare il cibo alle fami-
glie dei barrios più poveri. Attraverso l’iniziativa
Por el pan de cada dia, Per il pane quotidiano, i
salesiani di Quito assegneranno alle famiglie sele-
zionate dei buoni mensili da utilizzare nei negozi
e supermarket di quartiere: ciascun buono prepa-
gato vale 60 $.
A Freetown, Sierra Leone, padre Crisafulli
missionario, purtroppo conosce bene gli effet-
ti che può avere una pandemia in un contesto di
grande povertà poiché si è ritrovato, nel 2014, a
fronteggiare l’emergenza ebola, che ha riempito le
strade della capitale africana di orfani in condizio-
ni disperate. Per questo ha già avviato un’attività
di sensibilizzazione sulle norme anti-contagio, ri-
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volgendosi ai bambini e ai ragazzi di strada attra-
verso il Bus Don Bosco, l’unità mobile del centro
di tutela all’infanzia che gestisce. Ma ha anche
pianificato meticolosamente altre iniziative: “Nel
caso scoppiasse un’epidemia, ci metteremmo tutti
in quarantena nel Bosco Fambul e accoglieremmo,
oltre ai minori che già ci vivono, anche 400 bam-
bini di strada in più, che sarebbero sistemati nelle
aule scolastiche che in questo periodo non verreb-
bero usate. Stiamo organizzando tutto seguendo
due esigenze molto chiare: avremo bisogno di cibo
durante l’emergenza, e avremo bisogno di cibo
dopo l’emergenza, perché ci sarà una grave crisi
sociale”, ci scrive padre Jorge.
Con i ragazzi di strada di Addis Abe-
ba, in Etiopia. Un lavoro simile lo svolge an-
che padre Angelo Regazzo. I salesiani del Don
Bosco Children rispettando le indicazioni delle
autorità, hanno chiuso la scuola, frequentata
da una moltitudine di bambini vulnerabili, ma
hanno lasciato a casa non gli studenti, bensì
maestri ed istruttori. Perché i ragazzi di strada
che frequentano il Don Bosco Children non
hanno una casa; o meglio, la casa salesiana è la
loro unica casa. “Non usciamo più per le strade
di notte in cerca di ragazzi: troppo rischioso” ha
dichiarato padre Angelo. Ma è stato proprio lui
a compiere diversi viaggi in pullman per portare
dentro il Bosco Children quanti più ragazzi
possibile e per supportarli in questi momenti di
emergenza. “Don Bosco avrebbe fatto lo stesso”
afferma il missionario. “Abbiamo cibo, acqua,
diesel sufficienti per far funzionare i generatori,
le pompe d’acqua e i frigoriferi per diversi mesi.
Abbiamo sapone in abbondanza per lavarci, alcool
per disinfettarci, paracetamolo e medicinali di
pronto soccorso... Nessuno esce dal recinto e quei
pochi che entrano, come guardiani, cuoche e ope-
ratori sociali, devono lavarsi le mani con sapone
all’entrata e disinfettare le scarpe con varechina e
alcool”. “Qui facciamo consistere la santità nello
stare allegri e nel tenerci occupati durante la qua-
rantena del coronavirus”, conclude padre Regazzo.
Sono in casa, a Torino, fisicamente isolato dal mon-
do ma in contatto con tanti, tantissimi salesiani che
lavorano in prima linea per aiutare i più poveri.
È meraviglioso sapere che ovunque i missionari sa-
lesiani, come don Bosco, di fronte ad ogni proble-
ma sanno trovare una soluzione concreta, semplice,
fatta di fatica, di vicinanza, di affetto, di sacrificio
silenzioso ma tanto efficace.
Come don Bosco, uomini maturi, profondamente
uomini di Dio, capaci di lasciare il segno nella vita
di tanti giovani, ancora oggi.
Sudan del
Sud: I salesiani
di Gumbo,
da parte loro,
hanno deciso
di “fornire
un pasto
giornaliero,
distribuito da
volontari”. I
salesiani hanno
anche installato
dei distributori
d’acqua con
cloro per lavarsi
regolarmente
le mani.
Nell’insedia-
mento di
Palabek,
i rifugiati
stessi stanno
facendo delle
mascherine,
nei laboratori
di cucito della
Scuola Tecnica,
ora chiusa.
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TEMPO DELLO SPIRITO
Carmen Laval
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note per la gioia
di
esistere
felici gli altri. Uno dei modi migliori per rendere
felici gli altri è essere felici noi stessi.
Proposito: In questo mese mi farò tre nuovi amici.
Il più eloquente Padre della Chiesa, Giovanni
Crisostomo, ha affermato che Dio ha lasciato
all’essere umano alcune cose del Paradiso: le stel-
le del cielo, i fiori dei campi e gli occhi dei bam-
bini. Tommaso d’Aquino sostiene che Crisostomo
3. Assapora la gratitudine
La gratitudine è importante per la felicità. Gli
studi dimostrano che le persone che provano
costantemente un sentimento di gratitudine sono
ha dimenticato due cose: il vino e il formaggio.
più felici e più soddisfatte della loro vita; si sentono
1. Diventa consapevole
della fortuna di esistere
anche fisicamente più sane e dedicano più tempo
all’attività fisica. La gratitudine libera dall’invidia,
perché quando si è grati per ciò che si ha, non si è
Non lo dobbiamo dimenticare mai: «La vita è uno logorati dal desiderio di qualcosa di diverso o di
splendore». Un tema comune nella religione e nel- qualcosa di più. Questo, a sua volta, rende più facile
la filosofia, oltre che nelle memorie di tragedie, è vivere secondo le proprie possibilità economiche e
l’ammirazione per la capacità di vivere pienamente anche essere generosi con gli altri. La gratitudine
e gioiosamente nel presente. Ci sono momenti nelle favorisce la pazienza e la tolleranza: difficilmente si
vite di quasi tutti noi, in cui saremmo disposti a può essere delusi di qualcuno se si prova gratitudine
dare qualunque cosa pur di essere come eravamo nei suoi confronti. La gratitudine, inoltre, connette
ieri, benché quello ieri ci sia passato sopra senza che al mondo della natura, perché uno dei sentimenti
noi lo apprezzassimo e ne gioissimo.
più facili da provare è proprio la gratitudine per la
Ricorda le parole della scrittrice Colette: «Che vita sua innata bellezza.
meravigliosa ho avuto! Vorrei soltanto essermene Proposito: Oggi, dirò almeno 12 “grazie”.
resa conto prima».
Proposito: Trasformerò in gioia ogni respiro.
4. Perdona
2. Connettiti con gli altri
e il mondo
Un brav’uomo era rimasto affascinato da un rito de-
gli ebrei, lo Yom Kippur, il Giorno del Pentimento
in cui si chiedeva perdono a Dio e le colpe venivano
Un commerciante si presentò al maestro e cercò di perdonate. Decise di celebrarlo anche lui, a modo
sapere da lui qual era il segreto di una vita di suc- suo. Una volta l’anno, scriveva due liste di peccati.
cesso. Il maestro gli rispose: «Fai felice una persona Poi sollevava la prima lista al cielo.
ogni giorno!».
«Signore, ecco qui i miei peccati contro di te» dice-
E poi, dopo una breve pausa, aggiunse: «... puoi es- va, leggendo la lista dei peccati che aveva commes-
sere anche tu questa persona».
so. «Ho frodato il fisco molte volte; in dodici casi
E dopo un po’ aggiunse ancora: «Questo vale so- ho manipolato i contratti; ho tradito mia moglie;
prattutto quando sei tu questa persona».
sono stato ingiusto con i vicini; ho detto il falso e
Uno dei modi migliori per renderci felici è rendere calunniato; non mi sono ricordato di te per mol-
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Foto Shutterstock.com

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STORIE DI GIOVANI
Claudia Gualtieri
Perduto è l’uomo
che resta fermo
Si chiama Nicolò Govoni, ha 27
anni e una candidatura a Premio
Nobel per la Pace 2020, da parte
del Consiglio Grande e Generale
della Repubblica di San Marino.
Ma cosa avrà mai potuto fare,
nella sua così breve vita, questo
ragazzo per meritarsi addirittura
un premio Nobel?
Nicolò Govoni è uno scrittore, giornalista, e
attivista per i diritti umani. Nasce a Cre-
mona nel 1993, trascorre la sua infanzia
travolto dall’affetto dei suoi nonni, e vive
la sua adolescenza sentendosi ripetere dagli adulti,
presenti nella sua vita, che è sulla buona strada per
diventare un fallimento. Ma a soli 20 anni, quando
si sente fermo e all’angolo come molti ragazzi della
sua età, decide di partire in missione come volonta-
rio in un piccolo villaggio dell’India, precisamente
nell’orfanotrofio di Dayavu Boys’ Home. Da quel
momento Nicolò non si ferma più: studia, scrive,
raccoglie fondi per l’orfanotrofio, e diventa il fratello
maggiore di molti bambini senza una famiglia. Gra-
zie agli sforzi dei gestori di Dayavu Boys’ Home, ma
grazie anche a Nicolò, che si mobilita per raccogliere
fondi da devolvere a questo orfanotrofio, i bambini
hanno la possibilità di studiare e, con il passare degli
anni, persino di iscriversi all’università.
Quattro anni dopo, nel 2017, dopo una laurea in
giornalismo, due libri pubblicati – “Uno” e “Bian-
co come Dio” – e tante collaborazioni con alcu-
ne delle più grandi testate giornalistiche a livello
mondiale, Nicolò fa un’altra scelta: lasciare l’In-
dia. Decide infatti di andare a offrire il suo lavoro
prima in Palestina e poi a Samos, un’isola della
Grecia, dove coordina un programma educativo
per i bambini profughi. A Samos, ogni giorno, ar-
rivano uomini, donne e bambini dall’Afghanistan,
dalla Siria, dall’Iraq e anche dall’Africa, in cerca
di asilo politico. Ma la vita negli hotspot non è
certo piacevole, in attesa che queste persone pos-
sano ricevere risposta di collocazione in territorio
europeo. Tra loro più di 300 minori non accom-
pagnati sono abbandonati a loro stessi. E Nicolò
non si ferma ancora.
Nel 2018 fonda, insieme ad altre due volontarie Sa-
rah Ruzek e Giulia Cicoli, “Still I Rise”, nome che
prende ispirazione dalla poesia di Maya Angelou.
Still I Rise è un’organizzazione non governativa to-
talmente rivolta ai bambini rifugiati di guerra, e in-
teramente basata su libere donazioni, indipendente
dai governi, dall’Unione Europea, dall’ o da
grandi aziende private.
Tramite la sua organizzazione, Nicolò apre così
la prima scuola per i minori profughi dell’isola,
offrendo loro un’educazione e un luogo in cui di-
strarsi dall’orrore che li accompagna anche in quei
campi, un luogo insomma dove “i bambini possono
tornare bambini”. “Mazì” infatti in greco significa
“insieme”, e il centro si fonda su tre pilastri: ga-
ranzia di istruzione, formazione dell’individuo, e
sicurezza.
12
Giugno 2020

2.3 Page 13

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Qui i bambini hanno la possibili-
tà di imparare inglese, greco, ma-
tematica, arte, storia, geografia,
computer, teatro e musica, e rice-
vono lezioni anche di cultura eu-
ropea, diritti delle donne e intelli-
genza emotiva. Oltre a istruirsi, in
Mazì i bambini ricevono colazione
e pranzo, ma soprattutto possono
fare ciò che per qualsiasi bambino
è imperativo fare, giocare. Mazì è,
insomma, in tutto e per tutto, una
scuola basata su un preciso model-
lo di educazione e istruzione, che
è possibile replicare ovunque. Nel
frattempo, Nicolò trova anche il
tempo di pubblicare altri due libri,
“Objects in the mirror” e “Se fosse
tuo figlio”. Oggi, Nicolò non vuole
più fermarsi.
Ha raggiunto il suo obiettivo di re-
plicare il progetto di una scuola per
bambini rifugiati, come Mazì, an-
che in Turchia, e lavora con il suo
team per realizzare progetti simili
anche in Kenya e Messico.
IL NOSTRO GIORNO
È OGGI
“Questo è il nostro momento, il nostro tempo. Il
nostro giorno è oggi. Domani e ieri, ecco i giorni in
cui si può non far nulla. Oggi è l’unico giorno in cui
si può fare qualcosa. L’unico. Quindi no, non esita-
re, perché la felicità va guadagnata. Non aspettarti
di più dalla felicità che la felicità stessa, perché il
percorso ti ha ormai dato tutto. Attraverso i giorni
scuri hai guadagnato ciò che sei ora, e sei lumino-
so. E se dovessi poi scoprirti inaridito, non temere
di rimetterti in cammino verso un’isola nuova. Per-
duto, il più delle volte, è l’uomo che resta fermo.”
(Nicolò Govoni, “Uno”)
Giugno 2020
13

2.4 Page 14

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LE CASE DI DON BOSCO
Antonio Carbone
Torre Annunziata
Don Bosco “in frontiera”
L a presenza dei Salesiani a Torre Annunziata
risale al 1929. Primo Direttore fu lo stimatis-
simo don Ermidoro Caramaschi. Lo zelante
sacerdote diocesano di Torre don Pasqualino
Dati, che tanto si adoperava per l’educazione cri-
stiana dei ragazzi della sua città, ottenne da don
Paolo Albera, secondo successore di don Bosco,
che si impiantasse a Torre un Oratorio Salesiano e
acquistò lui stesso il terreno e un piccolo fabbricato
in contrada “Pie’ d’ulivo” per far iniziare il lavo-
ro dei Salesiani per i giovani di Torre. I Superiori
Salesiani oltre all’Oratorio pensarono, da subito, di
mettere una scuola per ragazzi aspiranti al sacerdo-
zio. Negli anni Quaranta e Cinquanta è stata anche
studentato filosofico per i giovani salesiani che si
preparavano al sacerdozio. I salesiani di Torre han-
no continuato a formare altri giovani salesiani fino
alla fine degli anni settanta.
Sin dalla loro venuta, divennero subito un punto di
riferimento significativo per tantissimi giovani del-
la città e per tutto l’ambiente cittadino, dal punto
di vista spirituale, ma anche civile e sociale. Diretta
e animata da Salesiani dinamici e convinti, specie
in certi momenti storici delicati e drammatici per
la città, la presenza salesiana in particolare attra-
verso l’oratorio è stata punto di riferimento unico,
ha dato un contributo eccezionale per la solidarietà
sociale e cristiana, riconosciuto dalle più alte auto-
rità civili e religiose.
La Città di Torre Annunziata, dove i salesiani ope-
rano da circa 90 anni oggi è caratterizzata da un
contesto socio-economico multiproblematico. Da
un punto di vista socio-culturale, un’approfondita
lettura del contesto lascia emergere queste critici-
tà: basso tasso di scolarizzazione della popolazione;
elevati livelli di dispersione e abbandono scolasti-
co che determina un livello basso di conoscenze e
di competenze tali da incidere su una “margina-
lizzazione” dell’individuo; disagio diffuso legato
alle condizioni socio-economiche; insufficienti
opportunità per la popolazione giovanile con un
tasso di disoccupazione passato dal 49,9% del 2017
al 54,7% del 2018, e la persistenza di sacche di il-
legalità diffusa tra adulti e minori. La camorra è
fortemente attiva nella zona, soprattutto col racket
ed il traffico di droga nel quale sono sempre più
spesso “utilizzati” gli adolescenti, che iniziano con
14
Giugno 2020

2.5 Page 15

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il guadagnare soldi facili in cambio di “favori”. Tor-
re Annunziata è la città italiana con la percentuale
più alta di abitanti sottoposti a processo penale o
con sentenza definitiva di condanna.
Oggi i salesiani animano a Torre Annunziata: la par-
rocchia, l’oratorio centro giovanile, le case famiglia,
la famiglia salesiana, e attività sociali sul territorio in
collaborazione con l’amministrazione e la chiesa lo-
cale. Dall’anno 1993, a causa del calo sensibile degli
iscritti, non è più attiva la Scuola Media.
Una casa chiamata Valdocco
Alla fine del 1993 i superiori hanno accolto la
richiesta del Vescovo di Nola di animare la Par-
rocchia “Santa Maria del Carmine”, dando un’im-
pronta ancora più attenta alla dimensione evange-
lizzatrice ed ecclesiale della presenza salesiana.
La Comunità famiglia “Mamma Matilde” (vittima
innocente di camorra) nata nel 2004 e la Comu-
nità Famiglia “Peppino Brancati” (primo salesiano
napoletano) nata nel 2017, sono un segno evidente
dell’attenzione ai minori che per motivi diversi de-
vono lasciare la propria casa perché vittime di vio-
lenza o fautori di violenza.
Il 4 novembre del 2019 è stato inaugurato il Centro
diurno Polifunzionale “Casa Valdocco” che acco-
glie circa 30 adolescenti del territorio inviati dai
Servizi Sociali e dal Centro di Giustizia Minorile.
«Abbiamo voluto offrire una risposta diversa ri-
spetto alle case famiglie per minori e all’oratorio» –
ha spiegato don Carbone – «Ci vogliamo prendere
cura dei ragazzi che hanno bisogno di un supporto
scolastico e affettivo».
Il direttore
don Antonio
con i suoi
ragazzi e,
in basso,
la pizzeria
gestita dai
giovani. «Qui
il contesto
socio-
economico è
multiproble-
matico».
Giugno 2020
15

2.6 Page 16

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LE CASE DI DON BOSCO
Il centro è
portato avanti
da educatori
in grado di
fornire non
solo sostegno
scolastico,
ma anche
accompa-
gnamento
umano.
Il centro può ospitare fino a 30 minori, di quelli più
a rischio, inviati dai servizi sociali del luogo e del
comprensorio. Offre attività di carattere ludico e
didattico, ed è portato avanti da educatori in grado
di fornire non solo sostegno scolastico, ma anche
accompagnamento umano.
“Non riuscivamo a dare una svolta al problema del-
la dispersione» prosegue il Salesiano «Ci sono gio-
vani che hanno bisogno di un riscatto».
Il servizio funziona di pomeriggio, e offre anche
la possibilità di poter pranzare. In un territorio di
frontiera, caratterizzato da scarse opportunità per
i giovani e da un alto tasso di disoccupazione, il
centro polifunzionale per minori rappresenta una
chiave di volta per sottrarre i ragazzi alla strada ed
impedire alla malavita di reclutare chi vive in con-
dizioni di disagio.
Nell’ultimo anno per dare risposta ai bisogni di
formazione dei ragazzi è stato attivato il labora-
torio di Pizzeria “mani in pasta” e il laboratorio
di cucito.
Durante l’emergenza Covid-19 sono state devolute
alle famiglie indigenti del territorio circa 200 pizze
e 600 mascherine a settimana.
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Giugno 2020
LA STORIA DI DON LUCA
«Siamo una gran bella
famiglia»
139 anni fa a Napoli uno Scugnizzo
incontra don Bosco. Sarà il primo
salesiano napoletano.
«Avevo 10 anni, ero orfano di padre, spesso accom-
pagnavo mia mamma a Messa in una chiesetta del
centro di Napoli… a volte facevo anche il “chieri-
chetto”. Un giorno al posto del parroco mi ritrovai
un prete torinese di passaggio, un certo don Bosco.
Non sapevo ancora che quell’uomo sorridente e pa-
terno avrebbe cambiato la mia vita. Don Bosco par-
lò subito con mamma dopo la Messa: “Il ragazzo è
sveglio, sa pregare, si vede che è buono… perché
non lo lascia a studiare coi miei salesiani?”
Non andai subito, non volevo lasciare mamma da
sola ma quando anche lei raggiunse il paradiso
andai a Torino, toccai con mano i miracoli che il Si-
gnore faceva in quel luogo, diventai salesiano per
essere come don Bosco, per salvare le vite di tanti
giovani, diventai don Peppino Brancati…» (Dal “dia-
rio” di Peppino Brancati. Napoli 29-31 Marzo 1880).
Il 25 luglio del 2017 i salesiani di Torre Annunzia-
ta hanno inaugurato la Casa Famiglia per minori
“Peppino Brancati”. A guidarla un salesiano dello
stesso quartiere di Peppino Brancati, don Luca De
Muro. La storia continua … per dare di più a chi la
vita ha dato di meno.
Don Luca non è solo il coordinatore della Comunità
“Peppino Brancati” ma è soprattutto il responsabi-
le dei ragazzi che ne fanno parte. Come don Bosco
li accoglie nella loro interezza, cogliendo in ognuno
il lato “buono”, guidandoli nel percorso di crescita,
in un momento particolare della loro vita, aiutando
ognuno a trarre fuori il meglio che è già dentro di
sé. Il suo spirito salesiano emerge soprattutto nel
lato educativo, infatti egli con amore “paterno” se
ne prende cura, ponendo attenzione ad ogni loro
singola necessità e bisogno, compreso quello spi-
rituale poiché, come dice don Bosco, bisogna edu-
care ad essere “buoni cristiani ed onesti cittadini”.
Questa la testimonianza di don Luca.

2.7 Page 17

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Com’è nata la tua vocazione?
La mia vocazione è nata in età adolescenziale, lì dove
sono cresciuto, nei tristemente famosi “Quartieri Spa-
gnoli”.
Come ogni adolescente ero alla ricerca di me stesso,
alla ricerca di quel “qualcosa” che mi avrebbe fatto
sentire bene, che mi avrebbe fatto sentire realizza-
to. Cercavo di colmare quel vuoto in vari modi: nella
politica, negli affetti, nel divertimento… e alla fine ci
riuscii in una parrocchia, quasi per caso (ora direi per
“provvidenza”).
Iniziai a frequentare la parrocchia per stare insieme ad
alcuni amici che si preparavano per ricevere la cresima,
ma a dirla tutta, non ci credevo poi più di tanto. Venni
coinvolto in un progetto che prendeva vita proprio in
quegli anni, un “oratorio” per i ragazzi del quartiere,
guidato da una ragazza, Mary, che molti chiamavano
ancora Suor Mariarosa nonostante avesse abbandona-
to quella strada da qualche anno. Con lei iniziai a cono-
scere don Bosco, il suo sistema educativo, la sua voglia
di salvare i giovani.
I cammini di formazione per gli animatori sfociarono
per due estati consecutive in campi estivi: nel primo
campo si affrontarono dei temi molto forti, tra cui il
progetto di vita. Questo campo mi mise in crisi, ave-
vo pensato altre volte a quale fosse la mia “strada”
ma quel mercoledì mattina, fuori da una chiesetta, gli
animatori del campo (due suore e un sacerdote)
raccontarono delle loro “chiamate” e dei
loro percorsi… tutti percorsi difficili, ric-
chi di rinunce e di sacrifici, un discorso
che prima di allora non mi avrebbe per
niente colpito, ma quella volta invece si,
mi colpì e mi lasciò scosso, si accese qual-
cosa in me, compresi che quella grande passione
e quel grande amore che cercavo da tempo era l’amore
di Dio, che quel “qualcosa” che cercavo era invece un
“Qualcuno”. L’impegno sociale per i ragazzi del mio
quartiere legato al percorso di fede assunse un valore
diverso, iniziavo a comprendere che ero “chiamato” a
fare ciò.
Iniziai l’accompagnamento spirituale per capire tut-
to quello che mi accadeva e cercare il “filo rosso”
che univa tutto il mio passato, tutte le mie espe-
rienze, tutti i miei incontri. Don bosco aveva
bussato al mio cuore, allora presi la decisione di anda-
re concretamente a “bussare” alla porta dei Salesiani
più vicini dicendo “io voglio diventare salesiano!”. Ov-
viamente mi presero per pazzo, ma mi accompagnaro-
no a comprendere cosa il Signore mi chiedeva.
Dopo qualche tempo feci un’esperienza missionaria in
Madagascar dove ricomposi gli ultimi pezzi del puzzle:
i poveri, i giovani, e il Signore sarebbero stati la mia
vita. Ed eccomi qui, sono un salesiano di don Bosco, e
sono felice.
Ti senti un po’ il “papà” dei ragazzi
di cui ti prendi cura?
In casa famiglia devi entrare al 100% nella vita dei
ragazzi, vivono con noi i momenti forse più difficili e
delicati della loro vita. È necessario che trovino nella
comunità una figura che li “guidi”, che faccia loro da
padre o madre in quel momento. È un’esperienza che
non si può vivere “part-time”, in qualsiasi momento del
giorno e della notte potrebbe essere necessario il tuo
intervento, il tuo supporto, o semplicemente un tuo
consiglio. Per fortuna l’equipe di educatori che lavora
in comunità mi è di grande supporto sia professionale
che affettivo, siamo una gran bella famiglia.
I simpati-
cis simi
ragazzi che
frequentano
la comunità.
Il responsa-
bile è don
Luca de
Muro, un
figlio di
questa terra.
Giugno 2020
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2.8 Page 18

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L’INVITATO
O. Pori Mecoi
L’Africa è una profezia
Incontro con don Alphonse
Owoudou, Consigliere Generale
per l’Africa e il Madagascar.
Don
Alphonse
a Valdocco
durante il
Capitolo
che lo ha
eletto nuovo
superiore
regionale
dell’Africa
e del
Madagascar.
Com’è nata la tua vocazione?
Come accade a molte persone consacrate e a molti
sacerdoti, anche la mia vocazione è nata grazie alla
famiglia in cui ho avuto la fortuna di venire al mon-
do. Sono il secondogenito di una giovane coppia cri-
stiana che per quasi dieci anni ha cercato di avere un
figlio senza riuscirci, con l’accusa di sterilità e dun-
que lo stigma di un intero villaggio. Quando nacque
mio fratello, per lui non poteva essere scelto un nome
migliore di “Dieudonné”, che significa “Donato da
Dio”. Inoltre, in seguito sarebbe “dovuto” diventare
sacerdote, perché papà Alphonse e mamma Thérèse
avevano cercato di convincere Dio a dare loro alme-
no un figlio promettendogli che l’avrebbero offerto a
lui in cambio. Io sono nato tre anni dopo Dieudonné
e sono poi venuti al mondo altri cinque figli e due
figlie: Dio sa superare le aspettative umane. Mio
padre era catechista, mia madre era corista e faceva
parte della Legione di Maria. Era dunque scontato
che la preghiera del mattino e quella della sera fos-
sero recitate ogni giorno nel nostro salotto per tutto
il villaggio. All’inizio mia madre e mio padre gui-
davano le preghiere quotidiane per il villaggio e a
poco a poco noi figli abbiamo imparato a diventare
i piccoli catechisti, i “preti” e i coristi del villaggio.
Mio fratello entrò nel Seminario minore San Gio-
vanni XXIII della nostra città (Ebolowa), cui io mi
iscrissi due anni dopo. Non avevo però intenzione di
diventare anch’io sacerdote. Dato il numero di figli a
carico dei miei genitori, la sorte ha voluto che io fossi
il beneficiario di una borsa di studio finanziata dalla
famiglia canadese Gallant. Quando Dieudonné uscì
dal seminario, continuai il mio percorso da solo, sen-
za immaginare che alla fine dei miei studi superiori
si ponesse il tema della vocazione. La formazione
che ho ricevuto in seminario è stata di grande valore
e credo che abbia silenziosamente rafforzato in me
un germe vocazionale, che la mia direttrice spiritua-
le sembrò discernere chiaramente, quando un gior-
no mi disse: «Ti chiedono se sei pronto a entrare al
seminario maggiore. Comprendo la tua esitazione,
Alphonse. Ma per come ti conosco, so che in ogni
caso diventerai sacerdote, diocesano o religioso». Fu
la prima volta in cui sentii spiegare che c’erano sacer-
doti diocesani e religiosi. Eppure il mio confessore
era un salesiano, don Jean Bocchi.
Perché proprio salesiano?
Don Bocchi veniva regolarmente nel seminario in
cui studiavo. Era un padre spirituale e nello stes-
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Giugno 2020

2.9 Page 19

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sistibile don Bocchi che si trattava di un malinteso.
Quel giorno, per convincermi, don Bocchi mi offrì
le Memorie Biografiche di don Bosco e una biografia
di Domenico Savio invitandomi a leggerli nel tempo
libero in seminario e poi a tornare a parlarne con lui.
Quando scoprii la vita di don Bosco e del suo allievo
Domenico Savio compresi la ragione dell’atteggia-
mento che i Salesiani mostravano a noi giovani. Un
atteggiamento che non sempre fu compreso all’i-
nizio della missione a Ebolowa. E la mia presenza
sempre più assidua al Centro Don Bosco, per con-
fessarmi e anche per comprendere meglio il progetto
di Dio per me, non fu certamente apprezzata dai miei
superiori del seminario e meno ancora dal vescovo,
a cui era stato comunicato che un seminarista veniva
“orientato” altrove. Ma a quel punto ero affascinato
da don Bosco ed ero seguito con tatto e bontà pater-
na dal “mio” don Bocchi.
so tempo un confessore e un grande amico di mio
padre, che i missionari spiritani avevano formato
come catechista e primo assistente laico per i sacer-
doti. In seguito arrivò anche Padre Alcide Baggio,
attualmente missionario a Pointe Noire. Posso dire
che tutto è cominciato con una partita di calcio tra
noi seminaristi e i giovani di Don Bosco. Non avevo
mai visto sacerdoti così vicini ai giovani, così soli-
dali, così paterni, così sorridenti, che si lasciavano
avvicinare, toccare e sporcare dai bambini e dai gio-
vani di don Bosco. E i Salesiani trattarono anche
noi seminaristi con lo stesso affetto, con lo stesso
atteggiamento che risultava sorprendente, per un
giovane seminarista abituato alla distanza canonica
dei sacerdoti del seminario. Il mio fratello minore
Luc era uno dei giovani di don Bosco ed espressi
a lui la mia ammirazione per i sacerdoti “di questo
tipo”, che non avevo mai visto. A mio fratello bastò
modificare un po’ le mie parole e andò a dire a don
Bocchi che suo fratello Alphonse voleva diventare
Salesiano. Quando fui invitato per spiegare meglio
le mie intenzioni, ebbi difficoltà a spiegare all’irre-
Qual è il tuo compito attuale?
Bella domanda! (Ride) Quando mi hai proposto
questa intervista, ero superiore della Visitatoria
“Notre Dame d’Afrique” (Africa Tropicale ed
Equatoriale), che comprende cinque nazioni: Ca-
merun, Gabon, Guinea Equatoriale, Repubblica
Centrafricana e Ciad. Ma per alcuni giorni, per
essere precisi dal 13 marzo, in occasione del 28°
Capitolo Generale, sono stato chiamato al Consi-
«Alcuni
vescovi e
diverse
autorità
spesso ci
aiutano e
ci aprono
molte porte
appena viene
menzionata
la password
universale
“don Bosco”».
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2.10 Page 20

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L’INVITATO
«La disoccu-
pazione e
l‘incertezza
del futuro
spingono
molti nostri
giovani
a tentare
l’avventura
verso
l’Occidente,
mentre molti
altri resistono
a questa
tentazione e
rimangono
nella loro
terra».
glio Generale per la Regione Africa e Madagascar,
che mi chiede di passare il testimone innanzi-
tutto al Vicario, e indirettamente a chi Dio
sceglierà per continuare l’animazione della
nostra cara e giovane Visitatoria per
il prossimo sessennio. Il Rettor Mag-
giore ha in programma di avviare già
all’inizio di maggio la prima sessione
di lavoro del nuovo Consiglio Genera-
le. Prego e mi preparo ogni giorno per
capire meglio cosa Dio si aspetti da me at-
traverso questo nuovo segno di fiducia della
Congregazione nei confronti della mia pic-
cola persona.
La tua Visitatoria è molto varia,
come tenere insieme tutti i “pezzi”?
Come ho detto nel corso di una Buonanotte du-
rante il CG28, le differenti caratteristiche che si
riscontrano nella nostra Visitatoria ci arricchiscono
da un punto di vista antropologico, culturale, ac-
cademico e persino ecclesiale e carismatico. Ogni
nostro confratello studia e poi lavora in almeno tre
Paesi diversi e questo ci rende tutti missionari, an-
che all’interno dell’Ispettoria. Ma poiché ognuno
è anche frutto di una tribù, di una lingua, di una
nazione, con i loro complessi e il loro modo di con-
siderare gli altri, dobbiamo combattere senza sosta
il demone della divisione, dei nazionalismi o di tut-
te le tendenze discriminatorie, sia da parte di coloro
che governano la Provincia, sia dei confratelli, che
lasciano che lo Spirito purifichi la loro vocazione e
la loro missione da ogni pregiudizio. A volte i fe-
deli e i giovani apprezzano questa multiculturalità,
soprattutto perché è profetica, in un’Africa fram-
mentata e in un mondo la cui globalizzazione non
è mai riuscita a rompere le barriere. Un’altra sfida
della complessità della nostra Visitatoria, che corri-
sponde più o meno a un’area di libera circolazione di
persone e merci, è che questo atto, firmato nel 2005,
fa ancora fatica a raggiungere l’unanimità. Dunque,
quando ottenere un visto non richiede uno o due
mesi, è l’opacità dei confini a scoraggiare le riunioni
dei direttori, la mobilità dei confratelli e l’organiz-
zazione di sessioni di formazione, di ritiri spiritua-
li e delle attività del . Ma alcuni vescovi nella
sottoregione, come diverse autorità che riconoscono
e sostengono la nostra Famiglia religiosa, spesso ci
aiutano e ci aprono molte porte appena viene men-
zionata la password universale “Don Bosco”.
Qual è la tua soddisfazione più bella?
Ci sono stati momenti nei miei trent’anni di vita re-
ligiosa in cui ho davvero compreso che vale la pena
vivere quest’avventura seguendo Cristo secondo lo
stile di don Bosco. Su un treno che mi portava al
20
Giugno 2020

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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confine con il Ciad, un giovane che indossava una
lunga veste (la gandoura) mi si avvicinò e mi chiese
se fossi un Salesiano. «Sono un giovane musulma-
no, un funzionario dell’
per il Ciad. Devo ai
suoi confratelli salesiani ciò che sono oggi; mi hanno
accompagnato a Sarh e poi a Ndjamena, la capita-
le. Grazie per quello che fate per i giovani del mio
Paese, con il massimo rispetto per il fatto che sono
in maggior parte musulmani. Le dò il mio biglietto
da visita e spero di vederla di nuovo quando verrà a
casa nostra in Ciad», disse. Quarant’anni dopo l’i-
nizio del Progetto Africa, è felice di vedere i frutti
dell’impegno missionario e del sistema preventivo,
tramite i giovani impegnati nella società e le voca-
zioni indigene, e attraverso i missionari che le nostre
Ispettorie mettono a disposizione della Congrega-
zione. Nonostante le imprecisioni o gli errori che
commettiamo nel nostro essere don Bosco oggi in
Africa, questi giovani adulti conservano un buon ri-
cordo ed esprimono gratitudine a don Bosco per ciò
che hanno ricevuto dai suoi Figli e dalle sue Figlie
spirituali.
Come sono i giovani
delle tue cinque nazioni?
Le nostre cinque nazioni hanno una popolazione
giovane. E i giovani di questa sottoregione condi-
vidono con quelli di altre regioni le stesse gioie e le
stesse sfide. Sono ambiziosi e precoci come gli altri
giovani di oggi, amano la vita, ma sono anche pre-
occupati del destino delle loro nazioni assetate di
autentica indipendenza, in attesa di una leadership
politica disposta a correre il rischio di passare il te-
stimone alle nuove generazioni, di gestire e distri-
buire le risorse dei Paesi in modo trasparente. Sono
giovani alla ricerca di una nuova cittadinanza, divi-
si tra un’Africa spinta sulla via della globalizzazio-
ne e nello stesso tempo frammentata, tra il vincolo
di tradizioni ancora autoritarie e l’ingresso in un
universo digitale, con i suoi confini liquidi e i suoi
rischi di mancanza di realismo e pseudo-nomadi-
smo. In sintesi, abbiamo giovani che si preparano a
prendere il posto degli attuali detentori del potere
decisionale. Ma tante volte molti giovani cercano
di vivere al ritmo della modernità senza vedere i
mezzi e neppure li vedono i loro genitori. Questo
può motivare alcuni a combattere con l’obiettivo di
un’ascesa sociale, che finisce per riguardare tutta la
loro famiglia, il loro clan o il loro villaggio. Molti
altri invece sono in qualche modo abbandonati al
loro destino, quando non si rassegnano a vendersi,
ad affogare i loro problemi nell’alcol o a ricercare
altre tipologie di fuga dalla realtà. Molte istituzio-
ni educative indicano con preoccupazione le nuove
povertà dei giovani nelle nostre città, l’invasione di
droghe e altre sostanze stupefacenti, la violenza e
l’immoralità anche in un’età che in passato era in-
sospettabile. La disoccupazione e l’incertezza del
futuro spingono molti nostri giovani a tentare l’av-
ventura verso l’Occidente, mentre molti altri resi-
stono a questa tentazione e rimangono nella loro
terra, orientandosi verso l’agricoltura o un lavoro
autonomo, quando sono ben indirizzati e riescono
a trovare un capitale per iniziare, da soli o in società
con altri. Si tratta di nuove sfide, che si aggiungo-
no a quelle, ben note, dei bambini di strada, delle
gravidanze precoci o di varie forme di abuso subite
dai giovani. Genitori, educatori e pastori sono alla
costante ricerca di nuove strategie per non perdere i
canali di comunicazione con i figli e di nuovi modi
per contribuire alla loro educazione in senso lato e
all’educazione alla fede.
«I nostri
giovani sono
ambiziosi e
precoci come
gli altri giovani
di oggi, amano
la vita, ma
sono anche
preoccupati
del destino
delle loro
nazioni
assetate di
autentica
indipendenza».
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3.2 Page 22

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FMA
Emilia Di Massimo
Mescoliamo i colori
A Pegolotte, un piccolo Comune
della provincia di Venezia,
appartenente alla Diocesi di
Padova, la missione delle Figlie
di Maria Ausiliatrice è davvero
preziosa e indispensabile.
I bambini del
doposcuola.
La casa
è aperta
anche agli
anziani che
si ritrovano
numerosi,
settimanal-
mente,
per il loro
“Mercoledì
insieme”.
Una casa che fa educazione a 360 gradi: si
comincia dalla scuola dell’infanzia, si pas-
sa ai ragazzi perché sia loro garantito il
doposcuola, ai giovani ai quali sono offer-
ti momenti formativi secondo lo spirito salesiano;
inoltre svariate attività oratoriane, il Grest estivo
frequentato da tutti i bambini e i ragazzi del terri-
torio. Ma ancora: la casa è aperta anche agli anzia-
ni che si ritrovano numerosi, settimanalmente, per
il loro “Mercoledì insieme” e a loro si affianca un
gruppo di ex allieve.
Questo e molto altro, avviene a Pegolotte, un pic-
colo Comune della provincia di Venezia, apparte-
nente alla Diocesi di Padova, nel quale la missione
delle Figlie di Maria Ausiliatrice è davvero prezio-
sa, come ci dicono i validi collaboratori della comu-
nità educante.
Carla, Grazia e Luigina, volontarie, sorridendo
sostengono che la direttrice, suor Carlina, ha una
speciale attenzione per i profughi e per gli immi-
grati, più di 2500 che, dal luglio 2016 al 31 di-
cembre 2018, per ordine del Prefetto di Venezia,
sono stati alloggiati nell’ex base militare del paese,
vicino Cona. Infatti, con il Gruppo Caritas, sono
state numerose le iniziative promosse per favorire
una cultura dell’accoglienza: l’animazione della ce-
lebrazione eucaristica con il Vangelo letto in lin-
gua inglese, gli incontri con le testimonianze dei
ragazzi, di suor Annamaria Zabai, responsabile
dell’associazione
(Volontariato Internazio-
nale Donna Educazione Sviluppo), di famiglie
che si sono adoperate in diverso modo a favore dei
profughi. Ma poiché a Pegolotte si vuole educare a
360 gradi, si animano anche cerimonie religiose per
il comune, quali la Via crucis e la Domenica del-
le Palme, in genere celebrata dal Vescovo Claudio
Cipolla che desidera rendersi partecipe, ci dice suor
Carlina, della bella realtà pastorale che la comunità
educante porta avanti quotidianamente con dedi-
zione e creatività.
La marcia della pace diocesana è stata realizza-
ta unendo le forze. Promossa dalle parrocchie dei
Vicariati di Agna, Conselve e Pontelongo, dalle
22
Giugno 2020

3.3 Page 23

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associazioni e dai Movimenti , , Agesci,
, (nei vari livelli organizzativi: parrocchiale,
vicariale, diocesano), dalla Comunità di San Egi-
dio al Movimento dei focolari, dall’Associazione
Giovanni XXIII alla pastorale dei richiedenti asilo
di Cona e Bagnoli, la marcia si è svolta presso i
locali della Parrocchia e dell’Oratorio di Pegolotte
ed è stata una grande festa. Riconosciuta da tutta
la Diocesi di Padova, si è rivelata un’occasione pre-
ziosa di interculturalità e di dialogo interreligioso
soprattutto per la presenza dell’Imam di Trieste e
Verona. Le attività differenziate per i grandi e per i
piccoli sono state proposte dalle diverse associazio-
ni tra le quali spiccava, per numero di partecipanti,
quella marocchina.
“Aggiungi un posto a tavola”
A seguito di questa fantastica esperienza è nata
“Aggiungi un posto a tavola”: una o più famiglie, la
prima domenica del mese, invitano a pranzo richie-
denti asilo e persone sole. Un’occasione semplice
per condividere un pasto, frammenti di storia e di
vita, per conoscersi, per superare paure e pregiudizi,
per arricchirsi reciprocamente vivendo una singola-
re esperienza di umanità.
Da un anno, presso la scuola stessa, è iniziato an-
che un corso di italiano per le mamme straniere
che desiderano apprendere la nostra lingua e così
poter seguire meglio i propri figli a scuola, comu-
nicare più facilmente con i docenti ed interagire
senza troppe difficoltà con il prossimo. In qualità
di volontarie che gestiscono il corso di italiano per
le mamme marocchine, Grazia e Luigina ci dicono:
“ci siamo rese disponibili due volte alla settimana
per incontrare le mamme marocchine, aiutarle,
sostenerle nell’avventura che stanno vivendo per-
ché sia positiva; per far cogliere loro che essa offre
nuove opportunità. Ricordiamo i volti preoccupati
e tesi di queste giovani donne (alcune di loro non
avevano mai seguito un corso di studi regolare) nei
nostri primi incontri, ma presto timori e paure sono
state vinte dall’accoglienza gioiosa, prima fra tutte
quella delle nostre suore, la quale ha fatto vivere
a ciascuna il tradizionale spirito di famiglia che
caratterizza le case salesiane. Abbiamo imparato a
leggere e a scrivere ancora una volta, tutte insieme,
e così è maturata gradatamente la stima reciproca
ed una vera amicizia. Noi raccontiamo di noi ed
ascoltiamo loro, ci conosciamo meglio, nasce una
relazione semplice, umana, che guarisce tante ferite
e aiuta a riprendere la vita con dignità.
Grande è l’apertura che si è creata con l’esperienza
che viviamo, soprattutto perché la scuola si è riem-
pita di colori africani. Le nostre mamme hanno in-
cominciato a sorridere, a salutare, a creare semplici
relazioni, donando speranza perché, in terra stra-
niera, nessuno si senta forestiero. I colori africani si
perdono sempre più e si mescolano con altri carat-
teri somatici, mentre le Figlie di Maria Ausiliatrice
e i laici, uniti sempre più dallo spirito di don Bosco
e di Maria Mazzarello, sentono ravvivarsi l’audacia
che conduce a far sentire ciascuno finalmente giun-
to a casa, ovviamente tra mille colori!
È nata
“Aggiungi
un posto a
tavola”: una o
più famiglie,
la prima
domenica
del mese,
invitano
a pranzo
richiedenti
asilo e
persone sole.
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3.4 Page 24

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SALESIANI
O. Pori Mecoi
La mia missione in Etiopia
Don Mario Robustellini, nato a Grosio
(Sondrio) in Valtellina nel 1951 è
Salesiano dal 1968, ordinato sacerdote
nel 1978. Ha chiesto di far parte del
Progetto Africa ed è partito per il
Kenya nel Novembre 1981,
lavorando in varie Missioni sino
al 1993, quando è arrivato
in Etiopia, dove si trova ormai
da 27 anni. Ha un’aria giovanile,
di salesiano soddisfatto,
sempre sorridente e cordiale.
Don Mario
con il Rettor
Maggiore.
Come ti è venuta la vocazione
salesiana?
Provengo da una famiglia numerosa (siamo 8 vi-
venti tra fratelli e sorelle) molto praticante. I miei
genitori mi hanno lasciato partire volentieri come
aspirante per fare i miei studi medi e ginnasiali a
Penango, Bagnolo e Ivrea, casa dove ho fatto la
mia domanda per entrare in Noviziato a 16 anni.
Ho ottenuto sempre il consenso dei miei genito-
ri nelle varie tappe della mia vita salesiana. Essi
hanno partecipato ai momenti salienti della mia
professione religiosa fino al momento dell’ordina-
zione sacerdotale il 30 settembre 1978 a Tirano
(Sondrio), giorno in cui ho manifestato pubblica-
mente la mia intenzione di partire per le missio-
ni. L’esempio dei Salesiani che mi hanno seguito
negli anni della formazione è stato determinante,
come pure l’incontro con missionari salesiani che
ci parlavano del loro lavoro in terre lontane. Du-
rante lo studio della Teologia nell’ambiente inter-
nazionale di Torino, Crocetta, ho avuto compagni
missionari alcuni dei quali diventati anche Ve-
scovi come don Luciano Capelli e don Francesco
Panfilo, che mi hanno spronato alla decisione di
partire per le Missioni.
Come l’ha presa la tua famiglia?
La mia famiglia ha sempre vissuto l’ideale salesia-
no. Entrambi i miei genitori erano cooperatori e la
mamma era molto legata alle , essendo stata
con loro nell’immediato dopoguerra. Avere un fi-
glio o una figlia donati a don Bosco è sempre stato
un “orgoglio” della famiglia. I miei fratelli e sorelle
hanno condiviso questo impegno generoso per le
missioni che dura da circa 40 anni, facendomi visita
in Kenya e in Etiopia e portando nella Missione di
Embu, nel 1987 anche i genitori stessi. Tutti in fa-
miglia sono stati a me vicini nei vari momenti della
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Giugno 2020

3.5 Page 25

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vita missionaria, con l’impegno concreto di aiutar-
mi in vari modi, anche economicamente. La nostra
casa in tutti questi anni è stata aperta a salesiani,
missionari e volontari che vi sono passati e sempre
benvenuti!
Com’è stato il tuo impatto
con l’Africa?
Ero un giovane prete di 30 anni. Al mio arrivo
in Kenya, in una missione davvero povera, in una
parte piuttosto depressa del Paese (Mbeere), in una
parrocchia già iniziata dai Padri della Consola-
ta con circa 9500 cattolici e 13 cappelle, mi sono
sentito coinvolto in questo processo di evangelizza-
zione in piena espansione. Infatti in 5 anni siamo
arrivati a 15 000 cattolici. Il primo impatto è stato
imparare la lingua Kikuyu e un poco di Kiswahili,
poi si è trattato di entrare in una nuova cultura e in
un ambiente missionario, dove il cristianesimo era
agli inizi, con problemi di stregoneria, di poliga-
mia, di vita semi-nomade e di pratiche tradizionali
radicate in costumi atavici, come la circoncisione,
il culto degli spiriti, gli alberi sacri ecc. Abbiamo
fatto riferimento alle famiglie cristiane della Mis-
sione, giovani coppie con figli, ma ancora legate a
parenti e anziani di religione animista, con fami-
glia allargate a motivo della poligamia. Abbiamo
dovuto far i conti anche con l’influsso dei prote-
stanti che avevano una diversa presentazione del
cristianesimo. Un grande aiuto ci è venuto dal clero
locale, dai laici e dai catechisti della Parrocchia, al-
cuni dei quali abbiamo contribuito a formare con
corsi appropriati. In quegli anni ’80 in Kenya, la
gente molto povera dipendeva molto per aiuti dai
missionari bianchi e abbiamo dovuto gradualmente
cambiare questo approccio interessato in un altro
di maggior partecipazione, indirizzandolo all’edu-
cazione dei giovani.
«Nei miei
interessi
missionari
ho sempre
dato un posto
privilegiato
alla pastorale
e alla prima
evangelizza-
zione,
all’educazione
dei giovani
nelle varie
scuole e
all’aiuto dei
più bisognosi
nelle varie
opere sociali
delle missioni».
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3.6 Page 26

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SALESIANI
«I giovani
dell’Africa
sono molto
aperti al
mondo
esterno.
Soprattutto
in campo
educativo
sono
desiderosi
di imparare
e di avere
un futuro
migliore
nella vita».
Qual è il tuo compito attuale?
Sono economo Ispettoriale da 6 anni nella vice-
provincia dell’Etiopia che ha 15 opere, circa 100
salesiani, in un paese grande 5 volte l’Italia, con
una popolazione di 108 milioni di abitanti, la metà
sotto i 20 anni e distanze enormi da una missio-
ne all’altra. Sono stato in varie missioni dove ho
coperto altri compiti come direttore, parroco e
amministratore di opere importanti sia all’inter-
no del Paese sia ad Addis Abeba e Makallé, città
importanti d’Etiopia. Nei miei interessi missionari
ho sempre dato un posto privilegiato alla pastorale
e alla prima evangelizzazione, all’educazione dei
giovani nelle varie scuole e all’aiuto dei più biso-
gnosi nelle varie opere sociali delle missioni.
Come vedi il futuro dei Salesiani
in Etiopia?
I salesiani in Africa (dopo il lancio del progetto Afri-
ca, sono passati 45 anni) sono adesso circa 2500, in
diverse ispettorie e delegazioni. Molto del personale
anche direttivo è africano. Il futuro è un crescendo
continuo per la congregazione. In Etiopia, Makallè,
è stata una delle prime Missioni del progetto Africa,
nel 1975 con missionari davvero pionieri e di valore
come brother Cesare Bullo e brother Joe Reza con
don Patrick Morrin e don Edgardu Espiritu, che
hanno iniziato con una scuola tecnica e la cura delle
vocazioni nel Tigray, con l’appoggio dell’Ispettoria
del Medio Oriente. Un crescendo è venuto con l’a-
desione dell’Ispettoria Lombardo Emiliana al Sud
dell’Etiopia (Dilla e Zway) cominciando dal 1982
con 13 confratelli missionari e con un buon lavo-
ro anche per le vocazioni locali. Nel 1998 vi è stata
l’unione delle due realtà e si è creata la Visitatoria
che comprendeva Etiopia e Eritrea che è sta-
ta affidata alla guida di un missionario-ispettore di
valore, ancora adesso sul campo, don Alfredo Roca,
spagnolo. Nel 2000, quando avevamo già 104 con-
fratelli si è accettata la missione di Gambella e in
seguito ci è stata assegnata la guida del Vicariato
apostolico e inoltre abbiamo iniziato un’opera per
i ragazzi di strada ad Addis Abeba. Momenti non
facili sono stati la divisione dell’Eritrea dall’Etiopia
e la crescita lenta del personale salesiano, pur pro-
seguendo con un grande lavoro apostolico nelle 15
opere tutte molto significative, dell’Etiopia.
26
Giugno 2020

3.7 Page 27

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Come sono i giovani che incontri?
I giovani dell’Africa (e parlo del Kenya e dell’Etiopia
dove sono stato) sono molto aperti al mondo ester-
no. Soprattutto in campo educativo sono desiderosi
di imparare e di avere un futuro migliore nella vita,
con le cognizioni che apprendono e con le capacità
tecniche che assimilano nelle nostre scuole. I ragazzi
d’Africa sono più aperti e spontanei dei nostri, sono
meno sofisticati dei giovani europei, meno condi-
zionati da tanti fattori esterni come i social media,
anche se questi ultimi arrivano anche in Africa. I
nostri giovani salesiani sono desiderosi di apprende-
re lo spirito di don Bosco che vedono molto attuale
per la gioventù etiopica in cerca di nuovi valori. I
giovani cristiani delle nostre missioni si impegnano
generosamente nella chiesa, sono attivi con la vitalità
tipica degli africani e sono capaci di grandi sacrifici.
Come sono le comunità formate
da confratelli di vari continenti?
Le nostre comunità sono di fatto formate da con-
fratelli e volontari di varia provenienza. In mag-
gioranza sono confratelli etiopi di diverse etnie e
lingue. Poi ci sono i confratelli missionari molti
dei quali anziani, che vengono dall’Italia, dalla
Spagna, dalla Polonia, dall’India, dal Vietnam e
dall’America Latina. Siamo comunità internazio-
nali dove si parla inglese e amarico e sempre meno
l’italiano. C’è un graduale adattamento alla cultu-
ra e al cibo locali e anche in chiesa facciamo parte
del rito Cattolico orientale che è vicino alla liturgia
Ortodossa. C’è buona volontà di lavorare insieme,
salesiani e laici e facciamo spesso riunioni di pro-
grammazione e di confronto. La ricerca dei ragazzi
più poveri, secondo lo stile di don Bosco, è il prin-
cipio che ci guida in molte missioni. Si dà sempre
più responsabilità ai giovani confratelli salesiani nei
vari settori delle nostre missioni. Si è attenti alla
cura delle vocazioni che vengono in gran parte dal-
le famiglie cattoliche ma anche dal mondo orto-
dosso, purché abbiano buone fondamenta cristiane.
Le nostre comunità sono pienamente inserite nella
Pastorale della Chiesa locale dove sono presenti e
dove danno il loro apprezzato contributo special-
mente nella pastorale giovanile.
Che cosa sogni?
Sogno la congregazione di don Bosco completa-
mente etiopica ed eritrea, con molte vocazioni del
posto. Sogno un futuro migliore per tanti giovani
che studiano nelle nostre scuole accademiche e tec-
niche. Sogno una maggiore crescita, sia nella consi-
stenza dei salesiani sia nei ragazzi e nei giovani che
accogliamo nelle varie missioni.
Sogno una migliore sostenibilità delle opere che
viene in gran parte da un forte senso di apparte-
nenza dei confratelli e dal duro lavoro per trovare le
risorse necessarie alle missioni, senza abbandona-
re i poveri come destinatari principali delle nostre
opere. Sogno per me un ritorno al lavoro diretto in
qualche missione d’Etiopia, dove c’è più bisogno e
dove possa spendere i prossimi anni della mia vita
missionaria.
Don Mario
con i suoi
piccoli amici.
«La ricerca
dei ragazzi
più poveri,
secondo lo
stile di don
Bosco, è il
principio che
ci guida».
Giugno 2020
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3.8 Page 28

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5
PROGETTI
P5ER MILLE nfiormstUraanaimnsccisihtseiioaTnllUea DevsBoualoivnsrecenrddodeoiidnDiaoelieiptso5ilssexnaomepr1lsrBael0oeatnore0naoFslnd0acloicootfdntooiuapednnrtnileaeelacd’zrilioammmie1orl3ddoeaplne6eegtreoteiimaepsDbSzteaioaazaosediglsmnesiiennoisbdiiinnaidinizniciifiofueinicdeoeltià.
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3.9 Page 29

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La mission della Fondazione è quella di fornire cibo, riparo, cure mediche, istruzione e
formazione professionale ai bambini e ai ragazzi in situazione di disagio e, inoltre, è quella
di contribuire alla riduzione degli effetti delle emergenze umanitarie sulla popolazione.
Con il 5×1000 del 2019-2020 abbiamo scelto di sostenere
cinque progetti in tre paesi dell’America Latina, dove le crisi
economiche e sociali hanno indebolito la popolazione e
hanno spinto un numero crescente di giovani a migrare in
cerca di condizioni di vita migliori.
Con i progetti Noche Digna” in Cile, “Progetto Sociale
Caqueiro” in Uruguay e “Opera Sociale di Don Bosco: Piccoli
Saltimbanquis, Giovani e lavoro, Giovani, adulti e impresa”
in Argentina, partendo da una pastorale in uscita, è stato
possibile per i salesiani arrivare nelle strade delle periferie
di Santiago, Rivera, Rosario e Córdoba per essere al fianco
dei bambini e degli adolescenti esposti a degrado, violenza,
dipendenza da droghe e a forme di sfruttamento da parte
delle organizzazioni criminali.
I giovani beneficiari dei cinque progetti sono costretti
a vivere in stato di abbandono, privi d’istruzione e di reti
familiari e sociali. Tra loro moltissime sono le ragazze con
figli piccoli che versano in condizioni di vita così precarie
da non essere garantiti loro diritti e livelli minimi di
sussistenza.
Con il 5×1000 abbiamo aiutato gli operatori sociali e i sale-
siani a promuovere il dialogo e lo scambio sociale, oltreché
la mobilità all’interno di segmenti differenti della società,
realizzando iniziative produttive sostenibili e a sviluppare
capacità, abitudini e competenze imprenditoriali negli ado-
lescenti e nelle giovani madri attraverso corsi di formazione
professionale e laboratori.
2 4 IndqUiusRriaiurrvategCicercauaroqe,alauglpedyeoeoi,onrrlpoiaoevf”eesunCcrrileeeinccalnuose“toqirPidabceureibeoalgienllglaiiieieosercftvaiiotactaloeti,naràsSiirisoiamcscnhoiaeaindole.ori
3 5 hiIlIsaneprreraviAmgnizgroiodgits,ueta“uenlllPre’tnninionsceaticfllai’aooebnnnlbiaipaziSrpieeraaeriitloltvrlti5aiulvdm’×alofinocb1Ldecr0uamoirnd0amgaqbu0lziiuieegliheoñinlsaina”zeop,earaReadurorrimemisusacraenrhnsiaoisao.o
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3.10 Page 30

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I NOSTRI EROI
B.S.
Don Pietro Ricaldone
Un tornado apostolico
IV Successore di san Giovanni Bosco
A 150 anni dalla nascita.
Un ritratto
di don Pietro
Ricaldone.
Era dotato di
grandissime
qualità e di
un’eccezionale
capacità
realizzativa.
«C om’era Don Pietro da piccolo?».
Invariabile risposta, in dialetto
piemontese: «Dun Pietro a l’era
svicc c’me ’n fuin» (Don Pietro era
sveglio come una faina). Il don Pietro del dialogo
che avveniva di solito tra un superiore salesiano
e un anziano “famiglio” di una casa salesiana del
Monferrato era don Pietro Ricaldone, il Rettor
Maggiore dei Salesiani, che era stato eletto all’una-
nimità il 17 maggio 1932.
Preparato dalla Divina Provvidenza, con una cono-
scenza vasta di tutte le Opere e Missioni salesiane,
da un capo all’altro del mondo, parve a tutti l’uomo
predestinato al governo generale della Società Sale-
siana, alla morte del Rettor Maggiore don Filippo
Rinaldi.
L’elezione plebiscitaria confermò l’aspettazione non
solo dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatri-
ce, ma di tutti i cooperatori, exallievi e amici, delle
autorità ecclesiastiche e civili: tutti apprezzarono in
lui l’uomo degno di essere il IV Successore di don
Bosco.
Dal Santo Padre Pio XI, da sovrani e capi di Stato,
da eminenti personalità d’Europa, di America e di
Asia giunsero felicitazioni che rivelavano l’altissima
stima in cui don Ricaldone era tenuto.
Le difficoltà eccezionali dell’epoca del suo Retto-
rato (1932-1951) non fecero che dar rilievo alle sue
eccezionali qualità.
Don Pietro Ricaldone si mise all’opera con la con-
sueta vigoria. Il primo decennio è distinto da un’in-
tensa attività interna per la formazione religiosa dei
Salesiani e la disciplina del loro apostolato. Volu-
minose circolari impartirono le norme per l’appli-
cazione dello spirito di don Bosco in tutti i settori.
Diede impulso agli Oratori festivi, all’organizza-
zione degli exallievi, lanciò la Crociata Catechisti-
ca intrapresa per aggiornare e diffondere, secondo
le difettive della Santa Sede, l’insegnamento della
Religione. A servizio della Congregazione e delle
Diocesi creò l’Ufficio Centrale Catechistico Sa-
lesiano e la Libreria della Dottrina Cristiana, che
30
Giugno 2020

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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sarebbe diventata la Elledici, sul Colle Don Bosco.
In pari tempo curò la preparazione di sacerdoti
bene attrezzati all’apostolato, al ministero e all’in-
segnamento, imprimendo agli studi l’impulso vo-
luto dall’indimenticabile Pio XI fino a ottenere
dalla Santa Sede la più augusta approvazione con
l’erezione del Pontificio Ateneo Salesiano, ora Uni-
versità Pontifica Salesiana. Promosse programmi
di apostolato attraverso la stampa e autorevoli ope-
razioni culturali.
La Canonizzazione di don Bosco e la Beatificazione
di Madre Mazzarello gli ispirarono l’audace impresa
dell’ampliamento della Basilica di Maria Ausiliatri-
ce, alla quale pose mano fidando nella Divina Prov-
videnza, che premiò ampiamente la sua fiducia.
L’incredibile slancio
Monumento della sua attività rimangono le nuove
fondazioni che in meno di vent’anni assommano
a 407 case salesiane e a 646 delle Figlie di Maria
Ausiliatrice. Quando fu eletto Rettor Maggiore i
Salesiani erano 8411 e le Figlie di Maria Ausilia-
trice 5205.
Alla sua morte, i Salesiani, compresi i novizi, erano
16 364; le Figlie di Maria Ausiliatrice 13 580.
Il programma della sua attività suscitatrice e or-
ganizzatrice contemplava un imponente svilup-
po, specialmente nel campo degli Oratori e della
Crociata Catechistica, in occasione del Centenario
dell’inizio dell’Opera salesiana, 1941.
A rovinare questa ondata “gloriosa” arrivò purtrop-
po la guerra. Molto fu stroncato: istituti distrutti o
confiscati; Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice
dispersi, randagi, affamati; rinchiusi in campi di
concentramento, imprigionati, maltrattati e truci-
dati; gioventù sottratta alla loro educazione e varia-
mente vessata e seviziata; cooperatori e cooperatrici
martoriati; missioni e opere paralizzate...
Don Ricaldone sembrava fatto d’acciaio, ma aveva
un cuore sensibilissimo e soffrì enormemente tutto
questo. Di qualche consolazione furono la Beati-
ficazione di Domenico Savio nel 1950 e la cano-
nizzazione di santa Maria Mazzarello nel 1951. In
quelle occasioni, nelle rare fotografie, appare vera-
mente radioso. Come presentisse la felice conclu-
sione di una vita piena.
Durante i bombardamenti, don Ricaldone non vol-
le passare le notti fuori città, nonostante gli inviti.
Con il rosario in mano, visitava i rifugi e passeggia-
va lungo i portici della casa madre. Quando crol-
lavano attorno a lui i muri degli edifici, don Rical-
done alzava l’inseparabile rosario in un gesto che
tutti ricorderanno, ripetendo: «Coraggio, figliuoli,
con questo metro ne costruiremo di più grandi e di
più belli!» E così fu.
Venuto dai colli del Monferrato
Pietro Ricaldone era nato il 27 luglio 1870 a Mi-
rabello Monferrato, grazioso paese ricco di vigneti
Nella famiglia profondamente cristiana trovò l’am-
biente ideale per la sua prima educazione.
La mamma, piissima, traeva forza dalle lunghe
preghiere fatte in casa, mattino e sera, in ginocchio
sul pavimento e dall’assistenza quotidiana alla san-
ta Messa.
Il papà Luigi era un gran lavoratore, profondamente
cattolico, austero. Fu sindaco di Mirabello, e con il
suo buon senso cristiano, con la sua rettitudine e con
la sua attività, seppe rendere preziosi servizi al paese.
«Lo vidi piangere una sola volta, quando tornai
Don Pietro
Ricaldone
(il primo
a sinistra
seduto) in
Argentina,
con
monsignor
Fagnano e
altri salesiani.
a sentiva
il sacro
dovere di
proteggerli:
Giugno 2020
31

4.2 Page 32

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I NOSTRI EROI
A servizio
della
Congrega-
zione e delle
Diocesi, don
Ricaldone
creò l‘Ufficio
Centrale
Catechistico
Salesiano e
la Libreria
della Dottrina
Cristiana,
che sarebbe
diventata
la Elledici,
sul Colle
Don Bosco.
dalla Spagna, dopo che la mamma era morta. En-
trai in casa e papà mi accolse con queste sole paro-
le: – Non c’è più. – E due lacrime gli solcarono le
guance. Ma subito si ricompose».
Proseguiti gli studi a Casale Monferrato e ammes-
so al Seminario Vescovile, il giovane chierico sentì
decisamente la chiamata alla vita salesiana e passò
a compiere il suo aspirantato e noviziato a Torino
nell’Istituto di Valsalice dal 1889 al 1890, prenden-
do contatto con i servi di Dio Principe don Augu-
sto Czartorisky e don Andrea Beltrami.
Nel settembre del 1890 partì, ancora chierico, per
la Spagna, ove l’Ispettore, il Servo di Dio don Fi-
lippo Rinaldi, seppe lanciarlo nell’apostolato sale-
siano e dirigerne saggiamente i passi. E non esitò
ad affidargli una delle opere più provvidenziali
dell’Ispettoria: l’Oratorio festivo di Siviglia.
La gioventù del rione era più che turbolenta. Pro-
spiciente la chiesa si stendeva a perdita d’occhio una
spianata che in certe ore del giorno si trasformava
in un campo di battaglia nel quale si affrontavano,
armati di robuste fionde, due orde di ragazzi per ri-
solvere con le pietre le loro rivalità rionali. Un gior-
no il diacono Ricaldone vide, passando, una fiera
zuffa fra quelle canaglie. Cacciatosi in mezzo, fece
sospendere la mischia. Quindi ne prese in braccio
uno che grondava sangue da una larga ferita e lo
portò in una barbieria e mentre lo medicava, fuori
gli avversari sbraitavano brandendo i coltelli.
Fu allora che a don Ricaldone venne un’idea genia-
le: disarmare quella turba bellicosa.
Approfittò del mese di maggio predisponendo abil-
mente gli animi al sacrificio. Una sera poi propose
a tutti un bellissimo fioretto che sarebbe tornato
graditissimo alla Madonna: offrire a lei le fionde.
Forse neppure don Ricaldone si aspettava l’effetto
miracoloso che ne seguì: ogni giorno ai piedi della
Vergine si ammucchiavano le fionde a centinaia,
sicché alla fine del mese se ne contarono parecchie
migliaia, poiché ciascuno ne possedeva più di una.
Allora quelle armi giovanili furono portate in mez-
zo al cortile e con grande solennità, presente gran
folla, vi si appiccò il fuoco e se ne fece un bel falò,
quasi sacrificio in onore di Maria Ausiliatrice.
In tutta la città si fece un gran parlare del fatto e di
quella figura slanciata di giovane prete dagli occhi
vividi, che esercitava sulle masse giovanili un fasci-
no nuovo.
Con la grazia di Dio e con l’aiuto dei buoni, don
Ricaldone riuscì ad attuare un programma che
all’Oratorio aggiunse dapprima corsi di scuole ele-
mentari per esterni, poi scuole professionali e infine
anche il corso classico, con tale impulso che in bre-
ve si affermarono con uno sviluppo meraviglioso.
Seppe poi assimilare così bene il carattere e la lin-
gua degli Andalusi, che egli passava per uno di loro,
cordialmente amato e stimato da autorità e popolo,
amici e benefattori. Fu eletto ispettore di una delle
prime tre ispettorie spagnole.
Raccontava volentieri che quando tornò a Mirabel-
lo a celebrarvi la prima, Messa, reduce dalla Spa-
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Giugno 2020

4.3 Page 33

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gna, a un certo punto del suo discorso attaccò con
enfasi a parlare spagnolo. Accortosene dopo qual-
che periodo, ripigliò in italiano. «Come parla bene
anche in latino il nostro don Pietro!» commentava-
no commosse le vecchierelle.
«Che bel nasìn c’à l’à ’l furmighìn»
Fu poi inviato a fare una visita straordinaria in Pa-
tagonia, nell’Uruguay e nella Terra del Fuoco. In-
contrò missionari eroici percorrendo in gran parte
regioni prive di strade, a cavallo o sballottato in una
vettura che attraversava la brulla campagna coperta
di rovi e di sterpi. Di lì nacque in lui quel sentimen-
to di affettuosa venerazione che manifestò sempre
per i missionari e quello zelo nel prestar loro aiuto,
che diede origine più tardi alla Crociata Missio-
naria.
Nell’anno 1927, mentre visitava le Missioni della
Cina, seppe che il Direttore della Missione si tro-
LA RICETTA DEL RETTOR MAGGIORE
Un salesiano di salute cagionevole pativa d’insonnia ed era
assai scoraggiato. Don Ricaldone gli mandò un biglietto di suo
pugno così concepito:
Ricetta:
50 grammi di riposo assoluto per 10 giorni, evitando ogni
lavoro mentale.
35 grammi di letto, anche se sembra che non si dorma. 800
grammi di estratto di cucina e di cantina. 183 di serenità e di
allegria. Il tutto per 10 giorni, più 15, più 30.
Il dottore Sac. Pietro Ricaldone che saluta e benedice.
vava in imbarazzo per l’accoglienza ad un grande
personaggio inglese, che era stato annunziato. Don
Ricaldone si accinse subito a togliere dall’imbaraz-
zo il buon Direttore. Chiamò a sé i cinesini e co-
minciò a insegnare a cantare in piemontese: «Che
bel nasìn c’à l’à ’l furmighìn, che bel nasùn c’à l’à
’l furmigùn...». In men che non si dica don Ri-
caldone aveva insegnato parecchi canti in dialetto
piemontese ai ragazzi cinesi. Arrivò il personaggio,
un saluto e poi «musica». L’Ambasciatore restò con-
quistato dal cordialissimo ricevimento e domandò
che lingua fosse quella. «La lingua materna di don
Bosco», rispose prontamente don Ricaldone.
Ritornò a Torino come responsabile delle scuole
professionali e agricole. Diede all’insegnamento
professionale un impulso così poderoso che dura
ancora oggi.
In tutto era un geloso conservatore dello spirito di
don Bosco. Eletto Rettor Maggiore, volle regala-
re una delle sue prime visite all’Istituto Missiona-
rio d’Ivrea. Superiori e giovani gl’improvvisarono
un’accoglienza affettuosissima. Quando cessarono
gli evviva, don Ricaldone fece cenno di voler parla-
re e sorridendo disse: «Io indovino che cosa pensate
in questo momento. Chissà – direte tra di voi – che
cosa ci dirà di bello il nuovo Rettor Maggiore? Io
vi dico che se cambiassi una virgola di quello che
ha fatto e detto Don Bosco, guasterei tutto. Per-
ciò, cari figliuoli, ecco la parola del vostro Rettor
Maggiore: conserviamo gelosamente lo spirito e le
tradizioni di don Bosco».
Giugno 2020
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4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
La serenità
La serenità entra con tutte le carte
in regola nel discorso che da mesi
veniamo proponendo. La ragione
è chiarissima: ha tutte le carte in
regola perché la serenità
è umanizzante, per natura sua!
L a serenità ci umanizza per natura sua in
quanto crea uno stato emotivo che permette
di vivere leggeri, sani, solari: più ‘umani’ di
così! La serenità ci migliora sempre, mentre
la tristezza ci peggiora sempre.
Sono parole pesate quelle che diciamo; così pesate che
Franco Frabboni psicopedagogista dell’Università di
Bologna ci avverte: “Se un bambino non ride, bisogna
preoccuparsi e se, nonostante tutti gli sforzi non riusciamo
a farlo ridere, è bene rivolgersi ad uno specialista”.
A conti fatti, si potrebbe dire che chi non
ride, ha sbagliato a nascere. Si potrebbe dire
che vivere e ridere vanno di pari passo. Uno
dei più originali e acuti pensatori del seco-
lo scorso, Theilhard de Chardin sosteneva che
“La gioia di vivere è la più grande potenza cosmica!”.
Alcuni dicono che il mondo è di chi si alza presto
al mattino. Sbagliato! Il mondo non è di chi si alza
presto, ma di chi è felice di alzarsi!
Chi è felice di alzarsi vive; chi non lo è, si lascia
vivere. Insomma, è dovere passare alla serenità.
Ne va di mezzo la nostra crescita umana! Che fare,
dunque?
Proponiamo alcune mosse concrete.
Evitiamo i trabocchetti
Non complichiamoci la vita. Perché crogiolarsi con
mille ansie? Perché usare la testa come portaspilli?
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EMERGENZA UOMO
Il tempo si è fatto breve: o l’uomo
torna ad essere umano o i dinosauri
torneranno a trotterellare sulla Terra.
Se l’emergenza ecologica è allarmante,
l’emergenza antropologica è drammatica.
Urge fermare lo scardinamento
dell’uomo con proposte concrete
come quelle che, di mese in mese,
offriamo ai lettori.
Liberiamoci
dai trabocchetti in
cui tanti inciam-
pano con pesanti
conseguenze per
la serenità. La men-
te corre immediatamen-
te ai tre trabocchetti più frequenti
nei quali cadono i genitori d’oggi.

4.5 Page 35

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Primo trabocchetto: il trabocchetto del
bambino da manuale’. Sul libro di Psicologia è
scritto che il piccolo a tre mesi deve fare il primo
vero sorriso; al termine dell’anno deve iniziare a
parlare; dopo otto minuti dalla pappa, deve fare
il ruttino… “Ma il nostro non si comporta così! Sarà
anormale?”.
Secondo trabocchetto: il trabocchetto del
bambino del vicino’: “Quello sì che è bravo! Studia,
ubbidisce, aiuta, non come il nostro che…”.
Terzo trabocchetto: il trabocchetto del ‘bam-
bino televisivo’. Il bambino televisivo è sempre
perfetto: intelligente, biondo, non suda mai, non
fa capricci. “Il nostro, invece, è un disastro!”.
Perché abboccare? Il bambino da manuale è un’a-
strazione che si trova solo sulla carta. Il bambino
del vicino potrebbe essere un’illusione: il prato che
confina con il nostro potrebbe essere artificiale. Il
bambino televisivo è, quasi sempre, una truffa in-
teressata.
Insomma, godiamoci il nostro bambino che è un
capolavoro come lo sono tutti (ognuno in modo
unico e irripetibile!) i bambini del mondo!
PASSA PAROLA
Un sorriso fatto ai vivi è meglio di una fontana di lacrime
sparse per i morti.
A tavola una bella risata è la miglior portata.
La gioia non ha bisogno di sbornie!
Se riesci a riderci sopra, vuol dire che tutto andrà a posto.
Il successo è avere ciò che si vuole. La felicità è volere ciò che
si ha.
Vi sono uomini che lavorano anni per appiattire la pancia
e non fanno il minimo sforzo per imparare ad essere felici.
Dov’è finito il buon senso?
La preghiera più urgente, oggi: “Signore, fa che i cattivi
diventino buoni e i buoni diventino simpatici!”.
La simmetria delle stelle marine.
Sentire il canto del cardellino che, dopo il lungo
inverno, annuncia l’arrivo della primavera…
L’elenco potrebbe benissimo continuare.
Grazie a Dio vi sono nel mondo i germi gratuiti di
felicità sparsi ovunque.
Chi è saggio li trova e li assapora per dare ossigeno
alla gioia di vivere, la potenza più forte del mondo, ca-
pace di fare della terra la prova generale del paradiso.
Godiamoci le gioie senza soldi
Vi sono occasioni di felicità sparse ovunque, lungo
tutta la giornata che non richiedono soldi.
Nulla è più facile che esemplificare:
Guardare un bambino che ride.
Accarezzare chi ci ama.
Ritrovare un oggetto che avevamo smarrito.
Sentire lo squillo del telefono quando si è inna-
morati.
Ricevere gli esami fatti all’ospedale, attestanti
che non vi è da preoccuparsi per niente.
Svegliarsi dopo aver dormito bene.
Contemplare il tramonto.
L’onda calma del mare che mi accarezza i piedi.
La trasparenza di un lago alpino.
Il sussurro delle foglie sugli alberi.
La coda dello scoiattolo.
La trota con i puntini rossi.
Spargiamo gioia
Molti lettori, forse, ricorderanno il noto frate fran-
cescano che parlava alla televisione, Padre Mariano.
Ebbene, questo padre che incontrava la simpatia di
tutti, aveva un meraviglioso motto di sole quattro
parole: “Dare gioia, che gioia!”. Verissimo!
La gioia è una merce strana; più ne dai e più ne
hai! Più la dividi e più si moltiplica. La semini nel
giardino del vicino e la vedi fiorire nel tuo!
Lo scrittore e patriota Nicolò Tommaseo riassume-
va tutta la sua filosofia sulla gioia in questa frase:
“Il più felice dei felici è chi fa altri felici”. Gesù era sta-
to ancora più sintetico: “È più bello dare che ricevere”
(At 20, 35).
D’ora in poi, dunque, non è più il caso di chiedere
d’essere felice, basterà chiedere d’essere utile: la gioia
verrà data per giunta… e sarà un passo da gigante
sulla strada del nostro farci uomini umani!
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4.6 Page 36

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LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
L’importante è
camminare...
Ma tu, cammina, cammina,
accumula strade,
lasciando che tutto si muova!
Ma tu, respira, respira,
non chiudere gli occhi
se il buio della notte ti trova...
L a costruzione dell’identità adulta è spesso as-
sociata alla metafora del “cammino”. Cammi-
nare implica, infatti, un dinamismo, una ten-
sione muscolare che chiama a raccolta tutte le
nostre energie, una capacità di resistenza in grado
di sfidare il tempo e la stanchezza. Ma camminare
Sarà che un giorno si brucia
come si brucia la vita,
sarà che il tempo lo conti
appoggiando il naso alle dita.
Sarà la legge complessa
di questa immensa natura,
sarà la forza di piangere
a non lasciarti da sola.
Sarà che ogni caduta
è l'inizio di un altro volo,
sarà che il meglio di vivere
lo trovi in un uomo solo.
Sarà che siamo creature
fatte di polvere e inganni,
per correggerci il cuore
significa anche “uscire da sé” per andare alla scoper-
ta di territori inesplorati, avventurarsi lungo sentieri
sconosciuti, percepire il suolo sotto i piedi e il vento
che ci accarezza il viso per sintonizzare il proprio re-
spiro con il ritmo silenzioso della natura.
È in tal senso che Gabriel Marcel ha parlato dell’uo-
mo come “viator”, viandante, “essere-in-cammino”
dalle chiusure del proprio Io verso la vastità del
mondo e i suoi molteplici significati.
Non un viaggiatore qualsiasi, dunque, che procede
frettoloso verso la propria meta per curare i propri
affari e poi fare ritorno a casa. Non un nomade,
che attraversa il territorio consumandone le risor-
se e rigettando qualsiasi ipotesi di radicamento e
di responsabilizzazione. Non
un turista, che, soddisfatta
la curiosità iniziale, girovaga
oziosamente per le strade del
mondo, verso una meta scelta
un po’ a caso o seguendo le
mode del momento. E nep-
pure un pendolare che, nel
percorrere quotidianamente
lo stesso tragitto, è costretto
a barcamenarsi tra una plura-
lità di appartenenze e finisce
per non far più caso nemme-
no al paesaggio che gli scorre
davanti.
Il cammino verso l’adultità
ci chiede, piuttosto, di fare
chiarezza sul rapporto che
lega il percorso al traguardo.
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Giugno 2020

4.7 Page 37

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Ci sollecita a percorrere strade nuove, pur senza
perdere di vista la meta verso cui siamo diretti.
Ci allena a non smarrire la direzione di marcia
del nostro procedere, senza per questo aver paura
degli imprevisti che, rimescolando le carte del no-
stro progetto di vita, ci obbligano talvolta a cercare
percorsi alternativi e ad avventurarci in deviazio-
ni non programmate. Ci educa alla pazienza e alla
perseveranza, incoraggiandoci nel contempo a non
perdere il gusto della scoperta.
È nel cammino, infatti, che facciamo esperienza del
mutare delle stagioni e del tempo che passa e imparia-
mo a misurare la distanza che ogni giorno può essere
percorsa per approssimarci al traguardo desiderato.
Camminando prendiamo coscienza dei nostri limiti
e impariamo a dosare le energie per non rischiare di
rimanere in debito di ossigeno. Esercitiamo la nostra
libertà di scelta di fronte ad ogni bivio che ci trovia-
mo di fronte. Prendiamo confidenza con la strada,
con le sue asperità, col suo terreno sconnesso, con
le sue discese e le sue salite e impariamo ad alzarci
dopo le inevitabili cadute. Ci attrezziamo a ripararci
dalla pioggia e dal vento e coltiviamo la speranza che
presto torni a splendere il sole.
Accumuliamo esperienze ed incontri e ci disponia-
mo a sorprenderci per ogni nuovo paesaggio che ci
si dispiega davanti agli occhi. Impariamo a dialo-
gare con noi stessi per conoscerci più intimamente
e per vincere la solitudine. Ma soprattutto facciamo
nostra l’etica del viandante, che non disdegna di in-
gaggiare discorsi con chi incontra per via e, anzi,
sa bene che il cammino si rivela più lieto e meno
faticoso se lo si affronta in compagnia.
non basteranno questi anni...
Sarà il tuo libero arbitrio
a incasinarti l'umore,
sarà che siamo architetti
del nostro stesso dolore.
Sarà un tuo vecchio nemico
il tuo più intimo amico,
sarà l'assenza di Dio
a portarti verso il tuo io...
Sarà che un fiore resiste
il tempo di una stagione,
sarà che a volte un abbraccio
lo trovi in una canzone.
Sarà la noia degli amici
di qualche sabato sera,
sarà la mamma in cucina
che non è più come allora.
Sarà ogni porta che chiudi
a mescolarti le carte,
sarà che quando vuoi andare
la moto è ferma e non parte.
Sarà che una risposta
la trovi dentro a uno sguardo
e che un incontro perfetto
è frutto di un ritardo...
Balla, da sola oppure in mezzo alla gente,
e canta, perché nessuno ti tolga niente...
Ma tu, cammina, cammina,
accumula strade,
lasciando che tutto si muova!
Ma tu, respira, respira,
non chiudere gli occhi
se il buio della notte ti trova...
(Maldestro, Canzone per Federica, 2016)
Perché se è vero che, come ha scritto qualcuno,
“l’importante è camminare”, il cammino è più
fruttuoso se è vissuto nella relazione: la relazione
scambievole con l’Altro da sé, ma anche la relazione
dialogante con il proprio Io.
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
Una grazia ottenuta,
un ex voto mancato,
un ricordo indelebile
Lo scambio
di lettere tra
don Bosco
e la signora
Chambon.
Ogni documento inedito in linea
di massima contiene qualche novità.
Ebbene i documenti che presentiamo
questo mese non solo ci offrono
un’informazione sconosciuta,
ma anche una gradita sorpresa;
tanto più che supera i confini del
suo secolo per giungere fino a noi.
Don Bosco in Francia
Il nome di don Bosco come educatore e fondatore
di opere per i ragazzi poveri fu conosciuto ed ap-
prezzato in Francia abbastanza presto. Solo le Alpi
separavano Torino dalla Francia; dalla riviera ligu-
re si passava facilmente alla riviera francese con le
famose località turistiche di Monaco, Saint-Tropez,
Hyères, Tolone, Cannes e il capoluogo della regio-
ne, Nizza marittima, passata alla Francia nel 1860.
I giornali francesi, i pellegrinaggi francesi a Roma
con sosta a Valdocco ed anche una biografia edifi-
cante (1881) fecero la loro parte. Ma soprattutto il
viaggio di don Bosco attraverso la Francia (14 feb-
braio-19 maggio nel 1883), dal sud al nord, con una
lunga sosta pure a Parigi, fecero di lui, tanto presso
il popolo quanto presso una certa aristocrazia con-
servatrice, via via un nuovo san Vincenzo de Paoli,
un nuovo curato d’Ars, un nuovo san Francesco di
Sales. Don Bosco invero frequentò particolarmen-
te il sud della Francia, dove fondò varie opere: a
Nizza, a Saint-Cyr, alla Navarra, a Marsiglia. Nel
sud poi, ed esattamente a Toulon, incontrò ed en-
trò in strettissima amicizia e sintonia spirituale con
la famiglia Colle: la più generosa di tutte le nobili
famiglie che lo hanno economicamente aiutato, ivi
comprese quelle ben note dei Fassati, Callori, De
Maistre, Uguccioni ecc.
La richiesta
della signora Chambon
A Toulon viveva la famiglia Chambon, che dopo
sette anni di matrimonio non aveva ancora avuto
la gioia di un figlio. La signora Agostina, venuta a
conoscenza di don Bosco per la sua fama di uomo
di Dio, se non di taumaturgo, non esitò a scriver-
gli, chiedendogli di pregare perché potesse avere il
dono della desiderata maternità.
Don Bosco, nel pieno del ferragosto del 1885 da
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Giugno 2020

4.9 Page 39

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Mathi, dove si trovava per sfuggire un po’ alla calu-
ra di Torino, gli rispose immediatamente. Nel suo
francese approssimativo le scrisse: «Voi chiedete,
o Signora, una cosa grave, straordinaria, ma non
impossibile. Io non mancherò di pregare e di fare
pregare tutti i nostri fanciulli secondo la vostra in-
tenzione. Ma voi da parte vostra farete due cose: 1.
Domanderete senza sosta la grazia purché essa non
sia contraria alla vostra eterna felicità. 2. Voi direte
ogni giorno tre Padre Nostro al Santissimo Sacra-
mento, durante un anno, e durante tale anno farete
tutte le opere di carità che potete fare agli orfani».
Di per sé don Bosco non le chiedeva nulla di nuo-
vo: erano le consuete raccomandazioni a quanti gli
chiedevano di pregare per una loro intenzione par-
ticolare. Anche la conclusione della letterina era la
medesima: «che il Buon Dio sia con voi e che la
Santa Vergine protegga sempre voi, la vostra fami-
glia, e vogliate anche pregare per me e per tutta
la mia famiglia». L’impegno era dunque reciproco:
ciascuno dei due doveva fare la sua parte tanto sul
versante della preghiera, quanto su quello della ca-
rità verso i bisognosi. E don Bosco indicava lo ster-
minato numero dei suoi 160 mila «orfani».
Non si sa se e come la signora abbia accolto le in-
dicazioni di don Bosco, ma resta il fatto che il 24
marzo 1887 diede felicemente alla luce il piccolo
Giuseppe.
La storia non finisce qui
Scoppiata la prima guerra mondiale, Giuseppe,
fatto capitano dell’esercito francese, fu mandato al
fronte e la mamma, preoccupatissima, il 18 settem-
bre 1915 promise di portare – senza però fissare
epoca o data – un ex voto sulla tomba di don Bosco,
cui ovviamente era già riconoscente per il dono del-
la maternità.
Il figlio Giuseppe in effetti tornò indenne dalla
guerra, ma la signora per motivi a noi ignoti non
poté mantenere la promessa. Dovette comunque ac-
cennarne al figlio, se questi, ormai coniugato e di-
ventato Intendente generale dei riservisti, chiese alla
figlia Jeanne, di passaggio a Torino, di compiere lei
stessa la promessa della nonna e portare dunque un
ex voto sulla tomba del santo. Ma non le fu possibile,
perché a Valdocco non accoglievano più gli ex voto.
Probabilmente erano eccessivamente numerosi.
Saputa la cosa, il padre non si diede per vinto e per
posta si mise in contatto con il direttore di Val-
docco. Gli raccontò la piccola vicenda che abbiamo
ricostruito ed a controprova allegò fotocopia della
lettera di don Bosco e del manoscritto della madre
(vedi foto). In sostituzione dell’ex voto mandò una
bella offerta (400 franchi) non senza aggiungere
che non solo la madre era stata fervente ammiratri-
ce di Bosco e delle opere salesiane, ma che tutta la
famiglia ne conservava un vivissimo e grato ricordo.
Ringraziò altresì i salesiani di Valdocco del dono
particolarmente prezio-
so dato alla figlia: una
reliquia di don Bosco
accompagnata dall’at-
testazione di «Causae
postulator». Nel reduce
della guerra e nell’uo-
mo in carriera militare
la memoria di essere un
dono di Dio grazie alla
fede e alla carità della
madre e di don Bosco
non era andata smarrita.
La preghiera di don
Bosco (e di tante futu-
re mamme, come la si-
gnora Agostina), venne
accolta altre volte dal
Signore al suo tempo e
anche dopo di lui attra-
verso l’intercessione di un suo allievo santo: l’abiti-
no di Domenico Savio, portato indosso, unito ne-
cessariamente alla preghiera e ad una vita cristiana,
ha sovente portato il sorriso in molte famiglie, ha
asciugato le lacrime di tante mamme, ha inondato
ed inonda tuttora di gioia molte culle.
Un quadro
del noto
pittore
Mezzana per
un miracolo
di don Bosco.
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni postulatore generale
Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulazione@sdb.org
Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di giugno preghiamo il Venerabile don Andrea Beltrami, salesiano sacerdote,
di cui il 24 giugno ricorre il 150° della nascita.
Nato a Omegna (VB) il 24 giu-
gno 1870, ricevette in famiglia
un’educazione profondamente
cristiana, che fu poi svilup-
pata nel collegio salesiano di
Lanzo, dove entrò nell’ottobre
del 1883. Qui maturò la sua
vocazione. Nel 1886 ricevette
l’abito religioso da don Bosco.
Nei due anni che trascorse a
Torino-Valsalice conobbe ed en-
trò in sintonia spirituale con il
principe polacco Augusto Czar-
toryski, oggi beato, che da poco
era entrato nella congregazione
salesiana. Don Beltrami venne
chiamato ad assistere don Au-
gusto, essendo questi malato di
tubercolosi. Anche don Beltrami
si ammalerà della stessa malat-
tia, allora molto diffusa, viven-
do la sua sofferenza con letizia
interiore. Ordinato sacerdote
da monsignor Cagliero, si die-
de tutto alla contemplazione e
all’apostolato della penna. D’u-
na volontà a tutta prova, con un
desiderio veementissimo della
santità, consumò la sua esisten-
za nel dolore e nel lavoro inces-
sante. “La missione che Dio mi
affida è di pregare e di soffrire”,
diceva. “Né guarire né morire,
ma vivere per soffrire”, fu il suo
motto. Esattissimo nell’osser-
vanza della Regola, ebbe un’a-
pertura filiale con i superiori e
un amore ardentissimo a don
Bosco e alla congregazione. Nei
quattro anni che gli rimasero di
vita dopo il sacerdozio, scrisse
alcuni opuscoli ascetici, ma so-
prattutto si dedicò all’agiogra-
fia scrivendo varie biografie di
santi, e alcuni volumi di letture
amene ed educative. Morì il 30
dicembre 1897: aveva 27 anni.
La sua salma riposa nella chiesa
di Omegna, suo paese natale. È
stato dichiarato venerabile il 15
dicembre 1966.
Preghiera
Dio, nostro Padre,
che hai fatto risplendere un raggio di infinito amore
nel tuo sacerdote Andrea Beltrami, salesiano,
noi ti ringraziamo.
Sostenuto da grande fervore eucaristico,
egli ti ha offerto generosamente
la sua giovane vita nel lavoro apostolico
e nella sofferenza dei suoi ultimi anni,
vissuta con Cristo sulla croce.
Tu gli hai donato di sperimentare gioia
nell’abbandono filiale alla tua volontà.
Concedi a noi di seguire il tuo Figlio Gesù,
nei giorni della gioia e in quelli della prova,
con lo stesso amore che ha caratterizzato
la breve e intensa vita di questo tuo fedele ministro.
Ti supplichiamo di voler glorificare questo tuo servo
e di concederci, per sua intercessione,
la grazia che ti chiediamo...
Per Cristo nostro Signore. Amen.
Ringraziano
L’anno scorso una notte ho ac-
cusato un forte dolore al seno,
al mattino pensai subito di
recarmi dal dottore. Mi sono
spaventata e così ho subito fat-
to una mammografia, che ha
evidenziato un nodulo al seno.
Il dottore davanti a quel riscon-
tro mi ordinò un’ecografia per
approfondire ulteriormente la
natura del nodulo. Effettuata
l’ecografia, il responso venne
sottoposto ad un oncologo che
lavora in Germania, marito di
una mia cara amica. La risposta
che giunse fu drammatica: do-
vevo partire subito e sottopormi
all’operazione. A giugno mori-
va mio nipote e ho rimandato
ancora, anche se continuavo a
stare male, fin quando nel mese
di ottobre la mia amica è venuta
a Gioia Tauro e mi “ha costretta”
a partire con lei in Germania. I
medici tedeschi mi sottoposero
ad una risonanza magnetica che
purtroppo evidenziò un quadro
clinico molto più complesso. Do-
vevo subito essere operata! Non
potete immaginare la mia di-
sperazione. Tornai a casa: Dopo
un mese ripartii per la Germania
per sottopormi all’operazione. Il
giorno prima dell’operazione, la
sera del 4 novembre, ero sola
nel letto dell’ospedale, piange-
vo mentre recitavo il Rosario alla
Madonna. Mentre pregavo mi
sono addormentata. Nel sonno
ho avuto un visione o un sogno,
non so dire. Ho visto un prato
verde, di un verde meraviglioso
e intorno a questo prato c’erano
tante case, non tanto alte. Al
centro di queste case, c’era una
chiesetta di colore beige. Udivo
delle voci di bambini, voci gioio-
se, schiamazzi, stavano giocan-
do. Piano piano mi incamminai
verso la chiesa e mi apparve un
bambino, poteva avere 12 o 15
anni, vestito come san Dome-
nico Savio, proprio come la sta-
tua che c’è nella nostra chiesa.
Questo bambino mi guardava,
io gli chiesi se avesse fame, ma
lui continuava a guardarmi, i
suoi occhi emanavano una luce
celestiale ed io lo guardavo in-
cantata. Ad un certo punto mi
porge la mano e stringendo la
mia mi dice: “Siamo qui con don
Bosco, siamo Salesiani”. Mentre
lui parlava, io avvertivo una pre-
senza dietro di me, ma non mi
sono girata, perché ero rapita
dai suoi occhi. Allora gli dissi:
“Anche nella mia parrocchia ci
sono i Salesiani. Come ti chiami
tu?”. Lui subito mi rispose: “Do-
menico”. Mentre parlavamo, ini-
ziammo a camminare verso la
chiesetta, allora io capii che era
san Domenico Savio e mi sono
svegliata. Al risveglio provavo
una grandissima pace interiore,
la paura era come svanita. Al
mattino affrontai l’operazione
senza un minimo di paura. È
andato tutto bene, non ho avu-
to bisogno né di chemioterapia,
né di radioterapia né di farmaci.
E ora sto benissimo. Un vero mi-
racolo.
Mariella Ravese (testimonianza
raccolta da Caterina Sorbara)
Gioia Tauro
40
Giugno 2020

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO E` BENEDIZIONE
Giovanni Conti
Don Agostino Sosio
Morto a Sesto San Giovanni (Mi),
il 25 marzo 2020 a 66 anni
Tutta l’Ispettoria Lombardo
Emiliana piange don Agostino
Sosio, nato a Semogo di Valdi-
dentro (So) il 27 gennaio 1954
(46 anni di professione religio-
sa e 38 di ordinazione sacerdo-
tale) da giorni ricoverato nell’o-
spedale di Sesto San Giovanni
in terapia intensiva.
Don Agostino è stato per diver-
si anni incaricato dell’oratorio
“San Rocco” di Sondrio e, dal
1995 al 2001, direttore dell’O-
pera salesiana di Sondrio.
Successivamente è stato Diret-
tore e Parroco delle tre parroc-
chie affidate ai salesiani di Are-
se (2001-2005) contribuendo a
formare la Comunità pastorale
della città, quando è stato no-
minato Ispettore dell’Ispettoria
di Lombardia, Emilia Romagna,
Svizzera e san Marino (2005-
2011).
Al termine del mandato, nell’ot-
tobre 2011, è tornato nella Dio-
cesi di Milano come Direttore e
Parroco della comunità pasto-
rale “Santa Maria Ausiliatrice
e San Giovanni Bosco” a Sesto
San Giovanni.
In tanti lo ricordano con affetto.
L’Arcivescovo di Milano, Mons.
Mario Delpini, nel messaggio
inviato alla comunità lo ha così
voluto ricordare: “Don Agostino
ha vissuto il suo ministero come
salesiano zelante e intelligente.
Nel suo ministero di parroco è
stato autorevole, generoso, pre-
senza significativa per la parroc-
chia e per il decanato”.
Don Mario Robustellini, missio-
nario in Etiopia lo ricorda così:
«Don Agostino, valtellinese co-
me me, grande amico sin dai
tempi degli studi fatti insieme
a Torino, era stato Ispettore
di Milano per il sessennio dal
2005 al 2011 ed è stato in que-
sto periodo di fecondo lavoro
per i salesiani della Lombardo-
Emiliana-Svizzera, che è venuto
ogni anno a trovarci in Etiopia.
Stava volentieri nelle missio-
ni che visitava con un sorriso
aperto e un cuore grande. Ci
ha sempre aiutato. È grazie a
lui se la missione di Dilla ha
una residenza molto bella per
missionari, volontari e ospiti,
anche qui in un posto difficile,
di frontiera. Abbiamo seguito
con tristezza e trepidazione il
suo calvario di 10 giorni all’o-
spedale e sappiamo che molti,
soprattutto alla Rondinella (Se-
sto S. Giovanni) dov’era parro-
co, e a Sondrio, lo ricordano con
affetto e rimpianto. “Don Ago”
proteggi dal cielo tutta la fami-
glia salesiana che amavi tanto,
e porta pace ai tuoi famigliari,
col tuo ricordo».
Don Giorgio Pontiggia: «Don
Agostino. Sono stato suo ’assi-
stente’ a Chiari e poi, a distanza
di 30 anni, ci siamo incontrati
quando è venuto a trovarmi a
Pugnido, in Africa: lui era Supe-
riore dell’Ispettoria Lombarda.
Poi, graditissima sorpresa, don
Agostino è diventato Parroco
alla Rondinella di Sesto San
Giovanni, dove anch’io avevo
lavorato per 11 anni prima di
andare in Etiopia. È stato da
allora che mi sono riavvicinato
all’Italia anche per motivi di
salute e trovavo in don Ago-
stino e nei confratelli di Sesto
accoglienza e aiuto fraterno.
Ero contento di vedere come la
’mia’ Parrocchia e il ’mio’ Orato-
rio erano in buone mani».
Il quotidiano Avvenire: «Tutte le
comunità che l’hanno conosciu-
to, società sportive, volontari,
animatori culturali, studenti,
politici, anche la comunità isla-
mica di Sesto, hanno inviato
messaggi di profonda com-
mozione, ringraziandolo per
l’esempio e la testimonianza
che ha dato nella sua vita. «Un
salesiano – ha detto di lui una
persona seguita in un momen-
to difficile – con una grande
capacità di ascoltare e di farti
capire che avevi vicino un pa-
dre, la paternità di don Bosco».
Ogni confratello lascia in eredi-
tà tanti ricordi… momenti lieti
e tristi condivisi insieme secon-
do lo spirito salesiano.
Tante volte rimangono vive
alcune espressioni tipiche del
confratello che, proprio perché
ripetute spesso, sono rimaste
scolpite nella memoria di chi
l’ha conosciuto e restano una
sorta di testamento tascabi-
le! Anche don Agostino aveva
alcune forme tipiche di comu-
nicazione, veri e propri slogan
che sintetizzavano bene il suo
pensiero.
Ne vogliamo ricordare tre in par-
ticolare: “Comunità d’amore”;
Venire alla luce” e “un trionfo!”.
Comunità d’amore” era il suo
sogno per la Comunità: lo ripe-
teva sempre come manifesto
programmatico, ma soprattut-
to ci credeva in prima persona
e cercava, con il suo esempio di
incarnarlo nei rapporti di tutti i
giorni con uno stile di ascolto,
dialogo e misericordia.
Quella misericordia in cui ha
creduto quotidianamente. È
significativo il titolo della sua
prima lettera da Ispettore: “La
misericordia di Dio ci plasmi
(12/9/2005). Forte e chiaro il
suo appello a conclusione di
quella lettera: “Le nostre divi-
sioni scandalizzano, l’unità nel-
la carità edifica”.
Altra espressione tipica era
venire alla luce”: un modo
concreto per ricordare sempre
la prospettiva di ogni nostro
sforzo umano e cristiano! Veni-
re alla luce ben rappresentava
anche la sintesi del suo credo
di “educatore salesiano”: in lui
davvero tanti hanno sperimen-
tato la paternità di don Bosco!
Ma la frase più ricorrente, udita
soprattutto da chi ha condiviso
con lui la responsabilità dell’a-
nimazione, era senz’altro: “un
trionfo!”.
In quell’espressione c’era tutta
la sua gioia e la sua partecipa-
zione che, a volte, per via del suo
carattere schivo e riservato, non
sempre si riusciva a cogliere.
Dicendo “un trionfo!” con gli
occhi che gli brillavano don
Agostino trasmetteva la sua
soddisfazione, a tratti il suo en-
tusiasmo, per la riuscita di una
celebrazione o per il successo
di un’iniziativa pastorale.
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IL CRUCIVERBA
Roberto Desiderati
Scoprendo don Bosco
DEFINIZIONI
La soluzione nel prossimo numero.
ORIZZONTALI. 1. Compone versi o
musica senza preparazione - 14. Il ver-
so della cornacchia - 15. Luigi XIV co-
struì il Grand a Versailles - 16. Il nome
di Goldoni - 18. Si protendono dal tron-
co - 21. Confina con l’Iraq - 22. Un gas
per le insegne luminose - 24. Lo anno-
ta sul diario lo studente - 29. Al centro
dei paradigmi! - 30. XXX - 33. La città
della Mole (sigla) - 34. Sono dispari nei
gesti - 35. La ragazza in Veneto - 37.
Lo stato degli USA con capoluogo Au-
? gusta - 40. È opposto a sempre - 41.
Edipo ne diventò re dopo aver risolto
l’enigma della Sfinge - 43. Loro senza
uguali - 44. Eccetera in breve - 45. Cre-
sta di rilievo montuoso - 48. Precede lo
?
pseudonimo - 50. Arcata di ponte - 51.
Gravoso, pesante.
TERRA DI SANTI E DI VINI
Il nostro Giovannino (futuro don Bosco e ancora più futu-
ro San Giovanni Bosco) nacque in una modesta cascina
in una borgata di collina denominata Becchi, nel comu-
ne piemontese di XXX. Questo era chiamato così prima
che gli venisse attribuito il cognome del suo più illustre concittadino. È un comune di poco più di
tremila abitanti nella provincia di Asti ed è noto soprattutto per aver dato i natali oltre che a don
Bosco anche a Giuseppe Cafasso e Giuseppe Allamano. L’origine del nome del paese è da ricol-
legare alla presenza di un castello intorno al quale sorge un borgo, fin da un’epoca posteriore
all’anno 1000. Un’imponente basilica fu costruita su quella altura, il Colle don Bosco, dov’è anche
la frazione di Morialdo, un altro dei luoghi legati alla vita del Santo. Alla fine degli anni trenta
del XX secolo, la Congregazione Salesiana acquisì dai proprietari gli edifici e i terreni della cascina
Biglione - Damevino (dove nacque Giovanni Bosco) e del Canton Cavallo (dove il santo trascorse la
sua infanzia e fanciullezza e dove vi tornava da adulto). A quel tempo queste località facevano parte
della borgata Becchi, mentre ora questa denominazione è riservata alla parte che si trova ai piedi
del Colle, dove si trovano il Ristoro Mamma Margherita e alcune abitazioni private. Anticamente il
comune appartenne per metà ai signori di Riva e per l’altra ai conti di Biandrate, poi l’imperatore lo
diede in sovranità ai marchesi del Monferrato. Prima sot-
Soluzione del numero precedente tomesso al comune di Asti, fu poi reso feudo nel 1288 e
successivamente entrò nei possessi Sabaudi. Don Bosco
vi rimase (escludendo alcuni periodi a Moncucco Torine-
se, ospite della famiglia Moglia, e a Chieri, dove frequen-
tò il seminario) fino al 1835, anno in cui prese i voti e a
partire dal quale risiedette più o meno stabilmente nella
città di Torino.
VERTICALI. 1. Ira senza fine - 2. La
cittadina in cui si svolge una partita a
scacchi “viventi” - 3. Sono pari nell’e-
ritema - 4. Carte pregiate a scopa - 5.
Vicenza in auto (sigla) - 6. È solcata
dal corso del Brenta - 7. La quarta pre-
posizione - 8. Orlando attore (iniz.)
- 9. È grande in mezzo! - 10. Antica
lingua provenzale - 11. Trasmette su
reti nazionali - 12. Sbagliato - 13.
Gradazioni di colore - 14. Fertilizzante
- 17. La forma italiana del nome slavo
Vladislav - 19. Il nome di Cecov - 20.
Credeva di averle raggiunte Colombo
- 23. In fondo al capolinea - 24. È ca-
noro senza coro - 25. Persona identica
a un’altra - 26. Epoche storiche - 27.
Il vai! degli inglesi - 28. Ai lati d’O-
landa - 31. Articolo per scolaro - 32.
Gambo del fiore - 36. Arte latina - 38.
Accidenti in breve - 39. Le ha pari chi
percepì! - 40. Celebre università di
ricerca americana (sigla) - 41. Coman-
da un plotone (abbr.) - 42. Vi si pren-
de il caffé in piedi - 46. L’Arbore dello
spettacolo (iniz.) - 47. Fine del molo
- 49. Al centro di Pisa.
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LA BUONANOTTE
B.F. Disegno di Fabrizio Zubani
Il sostegno
A l fragile tronco di un
alberello, il giardiniere legò
un robusto palo di frassino
che gli facesse da tutore e lo aiutasse
a crescere diritto.
Quando il vento invitava alla danza,
l’albero adolescente agitava la chioma
sempre più folta e incominciava a
dondolare, e gridava: «Lasciami, per
favore, perché mi tieni così? Guarda
tutti gli altri si lasciano cullare dal
vento. Perché solo io devo stare così
?
rigido?».
«Ti spezzeresti» ripeteva inflessibile
il palo. «Oppure prenderesti delle
brutte posizioni, diventeresti brutto e
stortignaccolo».
«Sei solo vecchio e invidioso, lascia-
mi, ti dico!».
Il giovane albero si divincolava con
tutta la sua forza, ma il vecchio palo
resisteva tenacemente, più saldo e
ostinato che mai.
ga, estenuante. Ma alla fine l’albe- Un tempo, in una selvaggia regione, gli
Una sera d’estate, annunciato da tuo- rello era salvo. Il vecchio palo invece anziani malati venivano abbandonati
ni e lampi, accompagnato da violente era morto, spezzato in due miserabili a morire su una impervia montagna.
sferzate di grandine, un uragano si monconi.
Un giorno, un giovane contadino portò
abbatté sulla zona. Ghermito dai
L’albero giovane capì e cominciò a
il vecchio padre sulla montagna. Stava
furiosi tentacoli del vento, l’alberello piangere. «Non mi lasciare! Ho anco- per lasciarlo appoggiato ad una roccia,
scricchiolava in tutte le giunture,
ra bisogno di te!». Non ebbe risposta. quando il padre gli disse: «Portami più
con la chioma che a tratti sfiorava la Un pezzo di palo era ancora stretto in su».
terra. Le folate più forti quasi strap- al giovane tronco dal laccio. Come in «Perché?» chiese il figlio.
pavano le radici dal terreno.
un ultimo abbraccio.
«Perché proprio qui ho lasciato mio
«È finita» pensava l’alberello.
Oggi, i passanti guardano meravi- padre. Vorrei morire in un altro posto».
«Resisti, figliolo!» gridò invece il
gliati quel robusto alberello che, nei Il giovane capì che cosa sarebbe capitato
vecchio palo, che raccolse le forze giorni di vento, sembra quasi che stia a lui a distanza di una trentina d’anni.
ancora presenti nelle annose fibre e cullando teneramente un vecchio
Si caricò il padre sulle spalle e lo riportò
sfidò la bufera. Una lotta dura, lun- pezzo di legno secco.
a casa.
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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
Senza la vostra carità io
avrei potuto fare poco
o nulla; con la vostra
carità abbiamo invece
cooperato con la grazia di Dio
ad asciugare molte lagrime e
salvare molte anime.
Nel prossimo numero
Il Messaggio
del Rettor Maggiore
L’invitato
Don Giordano
Piccinotti
Motto: «Continuate a fare
il bene e a farlo bene!»
Le case di don Bosco
L’oratorio di Cuneo
Quando tutta una città ama
don Bosco
Salesiani nel mondo
Le lacrime
del Venezuela
Incontro con l’Ispettore
don Rafael Montenegro
I nostri eroi
Monsignor
Giuseppe Cognata
Il calvario di un santo vescovo
Il tempo dello Spirito
Silvoterapia
Gli alberi che fanno bene
all’anima
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente personalità
giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta
con D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di € ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via Marsala, 42
00185 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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