Bollettino_Salesiano_202004

Bollettino_Salesiano_202004

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APRILE 2020
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Angel ´ insieme
DON
CON

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LE COSE DI DON BOSCO
José J. Gómez Palacios
La Sacra di San Michele
S ono la porta. Dall’alto
domino la pianura che si
distende a Torino. Sono
fatta di rocce e sono solida come la
roccia. Mi chiamano “La Sacra”.
Sono un’antica abbazia benedettina,
costruita per volere dell’Arcangelo
Michele, dice la leggenda.
Ho un aspetto severo e intimorente,
ma so apprezzare la gioia e la schiet-
tezza. Per questo mi ricordo quel
giorno di cento e settant’anni fa.
Era autunno. Faggi e betulle erano
vestiti di ocra. All’inizio ho sen-
tito solo un vociare indistinto che
veniva dalla valle: chiacchiere, canti
e musica. Erano voci giovani. Risate
mischiate a una musica felice, spen-
sierata, profana e terrena. E temevo
il peggio.
Mi vedevo invasa da turbe di distur-
batori.
Mi sbagliavo. Era un magnifico
corteo di giovani. Mai più ho visto
giovani allegri e felici come quelli.
Il loro capitano era un prete dal volto
paziente e sorridente, che cavalcava
un piccolo asinello testardo, e i gio-
vani gli facevano corona, ora scher-
zando con il somarello, ora ripetendo
a squarciagola una canzone, che
diceva così:
Viva don Bosco, / Che ci conduce /Sem-
pre alla luce / Della virtù, / Che in lui
men lucida / Giammai non fu.
A quell’insolito rumore gli uccelli
atterriti svolazzavano da un albero
all’altro; i contadini uscivano dalle
case per ascoltare; e l’asinello rizza-
va le orecchie, e col suo scomposto
raglio si provava d’accordarsi colla
banda; erano scene di un piacere
indicibile.
Arrivati qui, accaldati ed estenuati,
furono accolti amorevolmente dai
cortesi religiosi Rosminiani, che si
prendono cura di me. Il capitano di
quell’orda di ragazzi era da loro ben
conosciuto. Si chiamava don Bosco e
a lui erano grati perché quando erano
in viaggio, non avendo essi casa in
Torino, venivano ospitati in Valdoc-
co. I giovani visitarono la chiesa, le
memorie del mio magnifico passato,
mentre don Bosco raccontava la mia
storia. Era un narratore formidabile.
Riuscì a conquistare la loro atten-
zione, anche se erano sempre più
distratti dai profumi che venivano
dal refettorio. Quando venne l’ora si
fecero davvero onore.
Come ringraziamento, cantarono e
suonarono per i miei buoni frati.
Quando venne l’ora della partenza
erano dispiaciuti tutti. E anch’io
provai un po’ di nostalgia. Quel prete
e quei ragazzi aveva riscaldato per un
po’ il mio vecchio cuore di pietra.
Ricordo ancora le parole di don
Bosco nel momento dell’addio: «Che
dolce piacere non sarà mai, che gioia
non sarà mai quando potremo fare
tutti insieme le nostre belle passeg-
giate sugli eterni ed amenissimi colli
del Paradiso!».
LA STORIA
Ottobre 1850. Dopo alcuni intensi Esercizi Spirituali vissuti da un centinaio di
giovani dell’Oratorio, don Bosco organizzò per loro un’escursione alla Sacra di
San Michele. Si arrampicano sul sentiero della montagna con la banda musica-
le in testa. La Sacra è un monastero benedettino, costruito intorno al X secolo in
memoria di san Michele, ed è diventato un emblema del Piemonte. Umberto
Eco, ex studente salesiano, si è ispirato ad essa per scrivere il suo romanzo “Il
nome della rosa”. (MB IV, 95-102)
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Aprile 2020

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APRILE 2020
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
ADON ngel
APRILE 2020
ANNO CXLIV
NUMERO 04
Mensile di informazione e cultura
religiosa edito dalla Congregazione
Salesiana di San Giovanni Bosco
La copertina: Don Ángel Fernández Artime è stato
rieletto Rettor Maggiore. Con grande e autentica
felicità la Famiglia Salesiana lo abbraccia come
Padre e Maestro, come vero “don Bosco” per noi,
oggi (foto di Hilario Seo).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 SALESIANI NEL MONDO
Madagascar
10 TEMPO DELLO SPIRITO
12 STORIE DI GIOVANI
14 LE CASE DI DON BOSCO
Terni
18 L’INVITATO
Virgilio Radici
22 SALESIANI
Robert Ocan
25 INFORMATIVA PRIVACY
26 FMA
28 LA NOSTRA STORIA
Arthur Lenti
30 I NOSTRI EROI
Carlos Crespi
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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14
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Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 66
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Cristina
Bermejo, Pierluigi Cameroni,
Francesco Cereda, Roberto Desiderati,
Emilia Di Massimo, Ángel Fernández
Artime, Claudia Gualtieri, Carmen
Laval, Cesare Lo Monaco, Alberto
Lopez, Alessandra Mastrodonato,
Francesco Motto, Pino Pellegrino,
O. Pori Mecoi, Kirsten Prestin, Luigi
Zonta, Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Tullio Orler (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
Don Ángel Fernández Artime
DoRnetÁtonrgMelargiegleiottroe
«La grazia che
viene dal Signore,
il vostro aiuto, quello
di tutti i salesiani e
l’amore che abbiamo
per i nostri giovani
mi danno la pace e il
coraggio necessari».
C arissimi amici e fratelli della Famiglia Sa-
lesiana, cominciando il mio nuovo sessen-
nio, condivido con voi quello che sente il
mio cuore. Prima di tutto ringrazio Dio
nelle cui mani amorevoli tutti ci troviamo e muovia-
mo. Dio ci ha guidato fino a questo momento. Il
che ho nuovamente pronunciato nasce dalla fiducia
in Dio e in voi tutti, che formate la grande anima e il
grande cuore di questa nostra amata Famiglia.
L’emozione è grande.
Mi sento ancora sopraffatto dall’essere successore di
don Bosco, padre e centro di unità della famiglia sale-
siana. E sono senza parole, ancora una volta, quando
leggo nel testamento spirituale di don Bosco ciò che
il nostro Padre ci ha lasciato scritto al riguardo:
«Prima di partire per la mia eternità io debbo
compiere verso di voi alcuni doveri e così appagare
un vivo desiderio del mio cuore (…) Vi lascio
qui in terra, ma solo per un po’ di tempo (…), il
vostro Rettore è morto, ma ne sarà eletto un altro
che avrà cura di voi e della vostra eterna salvezza.
Ascoltatelo, amatelo, ubbiditelo, pregate per lui,
come avete fatto per me».
Le parole del nostro amato padre don Bosco risuo-
nano nella mia mente e nel mio cuore come balsa-
mo e come fuoco allo stesso tempo. La sua figura è
così grande che inevitabilmente mi sento piccolo e
indegno. Solo la grazia che viene dal Signore, alla
quale mi abbandono, il vostro aiuto, quello di tutti i
salesiani nei luoghi più diversi del mondo, e l’amore
che ho e che abbiamo per i nostri giovani, special-
mente i più poveri, mi danno la pace e il coraggio
necessari.
Molti confratelli mi hanno domandato come mi
sento. La mia risposta è sempre stata questa: molto
in pace e molto libero. Questo è ciò che ho sentito
in tutto il tempo, durante il Capitolo e durante il
discernimento. È quello che ho sentito prima e
dopo le elezioni: con pace e libertà perché non ho
cercato né cerco questo servizio. Ero spiritualmente
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pronto a continuare – perché sento che i sei anni
che abbiamo vissuto in precedenza sono stati anni
di grazia, non senza difficoltà ovviamente – ma non
mi hanno strappato né tolto la speranza e il deside-
rio di fedeltà personale alla Congregazione. Tutta-
via, ero anche pronto a concludere il mio servizio,
se quello fosse stato il sentimento dell’Assemblea
nel nome del Signore.
Ed è con questa pace e libertà che imprimo in me ciò
che è stato detto riguardo alle aspettative sul Rettor
Maggiore: cercherò di essere, per quanto possibile,
un vero uomo di Dio, con forte identità carismatica
e pastorale, lungimirante, capace di uno sguardo di
fede e speranza nel leggere la realtà. È mio profondo
desiderio continuare ad essere, per quanto possibile,
uomo capace di paternità e affetto fraterno, di ac-
compagnamento, vicino ai confratelli.
Penso che metterò molte delle mie energie per esse-
re un uomo capace di costruire unità, di coinvolgere
e accompagnare, di creare una visione comune, di
mettere insieme le differenze, di costruire comunio-
ne intorno a sé, di lavorare in squadra e di delegare.
Infine, rivolgo lo sguardo ai giovani. Loro sono per
noi il “sacramento” del nostro incontro con Dio.
Costituiscono “il roveto ardente” a cui ci avvicinia-
mo in nome di Dio. Sono il luogo sacro della san-
tificazione che Dio ci ha assegnato in don Bosco.
La presenza dei giovani nel Capitolo Generale ha
lasciato i nostri cuori pieni di emozione a motivo
della forza delle loro parole giovanili.
I giovani ci hanno chiesto di stare con loro, di non
abbandonarli, di non lasciarli al loro destino. Ci
hanno chiesto di volere loro bene, di amarli, poi-
ché ci desiderano e ci amano. Ci hanno chiesto di
accompagnarli nel cammino della vita. E ci hanno
chiesto di essere uomini capaci di parlare loro dell’a-
more che Dio ha per loro. Non ci hanno chiesto strut-
ture, o più muri, né programmi di gestione e nean-
che attività.
I giovani sono stati cofondatori con don Bosco, ha
detto papa Francesco nel suo messaggio al CG28.
Ecco perché loro e il rumore delle loro voci – scrive
il Santo Padre – sono e devono essere la nostra mu-
sica migliore. Siamo quindi chiamati a permeare la
vita di tanti giovani abbandonati, in pericolo, pove-
ri, scartati che aspettano uno sguardo di speranza,
che aspettano quel salesiano che sarà fratello, a vol-
te padre e sempre amico.
Non possiamo non essere fedeli avendo davanti ai
nostri occhi i bambini, gli adolescenti, i giovani e
le loro famiglie. Ci si aspetta da noi una duplice
fedeltà: una fedeltà ai giovani e una docilità allo
Spirito Santo.
È stato importante vivere il CG28 a Valdocco. Lo
stesso Santo Padre ci parla di quella che ha defi-
nito “l’opzione Valdocco” e che traduco in sogni
che sono già realtà ma che devono esserlo ancora
di più, perché sogno come don Bosco che il salesia-
no del secolo sia un uomo pieno di speranza,
appassionato di Gesù Cristo. Sogno una Famiglia
Salesiana con lo spirito di Valdocco come la costruì
don Bosco, che viva per e con ragazzi e giovani,
amandoli veramente nel nome del Signore.
Se è così, la Madre Ausiliatrice continuerà a fare
tutto in questa Congregazione e in questa Famiglia
Salesiana. E a tutti voi, con affetto, ripeto le parole
di papa Francesco: Sognate e sognate in grande. So-
gnate e fate Sognare.
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SALESIANI NEL MONDO
Testo: Kirsten Prestin, Foto: Florian Kopp / Don Bosco Mission Bonn
MRadinaagsacscearre
Fianarantsoa, che conta
circa 170 000 abitanti,
è una delle città più
grandi del Madagascar.
Moltissimi bambini e adolescenti vivono nelle strade
della città. Faniry era uno di loro. Una banda di
giovanissimi lo ha picchiato con tanta violenza che ancora
oggi porta le conseguenze fisiche dell’aggressione
subita. Al Centro Don Bosco si sente al sicuro e protetto.
I Salesiani pensano a garantirgli anche le cure mediche
di cui ha bisogno.
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C i è voluto molto tempo perché le ferite di
Faniry guarissero.
Il ragazzo, che ha diciassette anni, è arri-
vato nella casa Don Bosco nella periferia
di Fianarantsoa con varie ossa rotte, una tripla frat-
tura della tibia e una alla spalla. Probabilmente era
stato picchiato da un gruppo di giovani. Faniry non
è ancora in grado di parlare dell’aggressione di cui
è stato vittima. È arrivato qui in gravi condizioni e
aveva la febbre alta. I Salesiani si sono fatti carico
dell’assistenza medica necessaria. Il trattamento cui
è stato sottoposto è durato quasi due mesi.
Il padre di Faniry aveva lasciato presto la famiglia.
Sua madre viveva con lui e i due fratelli nella zona
povera di Fianarantsoa. Dato che la loro situazio-
ne familiare era precaria e versavano in condizioni
economiche difficili, la madre affidò due figli a una
zia affinché se ne prendesse cura. La zia però era
violenta e dunque un giorno Faniry fuggì dalla sua
casa e si aggregò ad altri bambini di strada.
Gli operatori del centro Don Bosco lo trovarono
mentre viveva per le strade di Ankofafa, un quar-
tiere povero alla periferia di Fianarantsoa.
Faniry ha imparato a rispettare
gli altri e a seguire le regole.
Si tratta di regole di solidarietà,
che nella strada non esistono.
Passò molto tempo prima che Faniry si fidasse di
loro. Infine cominciò a partecipare ogni giorno alle
attività del centro giovanile. Nel centro Don Bosco
poteva mangiare e lavarsi. Imparò a rispettare gli
altri e a seguire le regole. Si tratta di regole di so-
lidarietà, che per strada non esistono. Finalmente
decise di andare a scuola e fu alloggiato in una casa
con altri bambini di strada.
Imparare a leggere e scrivere
con don Bosco
Molti bambini che vivono in Madagascar devono
abbandonare presto la scuola perché i loro genitori
non possono pagare le tasse scolastiche, che am-
montano a circa 50 Euro l’anno per ogni allievo. I
Salesiani pagano le tasse scolastiche per circa 262
bambini del quartiere povero di Ankofafa. Settanta
bambini che non sono mai stati a scuola partecipa-
no a corsi di alfabetizzazione presso il Centro Don
Bosco. Conseguiranno la licenza elementare entro
tre anni.
«I bambini di strada non possono andare a scuola
e rimarranno analfabeti per tutta la vita», ha det-
to don Jannot, che si prende cura dei bambini di
strada a Fianarantsoa da molti anni. «I Salesiani
vogliono mostrare loro le vie per uscire dal circolo
vizioso della povertà».
I Salesiani danno a bambini e adolescenti di fami-
glie povere la possibilità di avere accesso all’istru-
zione offrendo loro programmi educativi, scuole e
borse di studio. Ai bambini che decidono di ab-
bandonare definitivamente la vita di strada e che
non possono tornare nelle loro famiglie viene data
la possibilità di vivere in un appartamento affittato
dai Salesiani e sono assistiti là.
Istruzione per un futuro migliore
Fin da quando arrivarono in Madagascar nel 1981,
i Salesiani di Don Bosco hanno istituito quattro
centri di formazione professionale per i giovani in
condizioni svantaggiate. I due centri più grandi si
trovano a Mahajanga e Tulear. Ogni centro propo-
ne percorsi di formazione che possono essere segui-
ti da 250 allievi.
La maggior
parte dei
bambini e dei
ragazzi che
vivono per
strada non
ha accesso
all’istruzione.
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SALESIANI NEL MONDO
La peculiarità del centro di formazione professio-
nale di Tulear è che i suoi corsi sono aperti anche
alle ragazze.
In Madagascar, il 92 per cento della popolazione
vive al di sotto della soglia di povertà. Molti bam-
bini e adolescenti soffrono di malnutrizione. Ogni
anno 55 000 bambini muoiono a causa di queste ca-
renze o subiscono gravi danni fisici e mentali. Per
questo i Salesiani di Don Bosco hanno organizzato
corsi in cui sono esposti principi di igiene e indica-
zioni per un’alimentazione corretta; offrono inoltre
pasti caldi ai bambini di strada.
La ferita di Faniry non è ancora guarita; sono
necessari ulteriori trattamenti. Il diciassettenne è
di nuovo all’ospedale. Spera però di poter essere
presto trasferito nella casa di Don Bosco. Là si
sente al sicuro e sa che i Salesiani non lo abban-
doneranno.
I Salesiani pagano le tasse
scolastiche per 262 bambini.
INTERVISTA
La cosa più importante è
suscitare la fiducia dei bambini
ed essere considerati loro amici
Don Giuseppe Miele ha donato la sua vita all’Afri-
ca. Da quasi quarant’anni il Salesiano settantenne,
che tutti chiamano don Bepi, lavora in Madagascar a
favore dei bambini e degli adolescenti in condizioni
svantaggiate.
Il Madagascar è molto cambiato
negli ultimi anni?
Un cambiamento positivo è che i genitori sono sem-
pre più consapevoli dell’importanza dell’istruzione.
A volte compiono grandi sacrifici per fare in modo
che i loro figli possano andare a scuola. A volte non
hanno quasi nulla da mangiare perché devono pa-
gare le tasse scolastiche mensili per i figli.
Quali sono le sfide
più importanti?
La nostra struttura è situata nella periferia di Fiana-
rantsoa. Qui circa 17 000 famiglie vivono pratica-
mente alla giornata. Queste persone sono fuggite
dai loro villaggi perché speravano di poter vivere
meglio in città. 300-400 bambini vivono per le stra-
de. I bambini di strada nella maggior parte dei casi
sono stati maltrattati o abbandonati e questa condi-
zione familiare li ha portati a vivere per strada.
In che modo don Bosco aiuta i
bambini di strada?
Siamo in contatto con circa trenta bambini di strada
e cerchiamo di avviare un dialogo con loro. È molto
importante non esercitare pressioni su di loro, altri-
menti si allontanano immediatamente. Per strada si
sentono liberi. Per cominciare diciamo loro che pos-
sono venire da noi per mangiare o per lavare gli in-
dumenti. Abbiamo anche posti letto di cui possono
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il diploma, l’azienda in cui si era impegnato nello sta-
ge gli offrì subito un lavoro a tempo indeterminato.
E ancora: Un ragazzo rimase gravemente ferito dopo
essere stato investito da un’auto. I suoi amici venne-
ro a chiederci aiuto. Lo accompagnammo in ospedale
e vigilammo affinché fosse assistito al meglio. Siamo
stati contenti che i suoi amici si siano rivolti a noi. Que-
sto dimostra che siamo riusciti a creare fiducia e che i
bambini di strada ci considerano loro amici!
Informazioni
I Salesiani lavorano nel quartiere povero di Ankofa-
fa da quasi venticinque anni. Circa 15 000 persone
vivono qui in condizioni di estrema povertà. Solo il
due per cento delle famiglie dispone di un reddito
regolare. Molti bambini lavorano per contribuire al
sostentamento della famiglia. Circa 800 bambini
e giovani frequentano però ogni giorno il centro
giovanile Don Bosco per giocare e studiare. Il cen-
tro giovanile offre ai bambini di strada, ai bambini
trascurati e alle giovani madri single programmi di
assistenza e di istruzione della durata di dieci mesi,
che comprendono lezioni di alfabetizzazione, corsi
di reinserimento scolastico, studio assistito ed edu-
cazione alla salute.
Sono anche proposte attività sportive, musicali e
culturali.
I giovani si fidano di don Bepi. Anche Faniry.
servirsi. Tutto è su base volontaria. Se sono interessati,
insegniamo loro a leggere e scrivere e potranno poi
seguire le lezioni scolastiche.
Ci sono storie di successo?
Alcune. Don Jannot è arrivato nel nostro centro rag-
giante di gioia con un ex ragazzo di strada. Il ragazzo
aveva studiato da noi e aveva svolto uno stage come
saldatore grazie alla nostra opera. Quando conseguì
Faniry (a sinistra)
è arrivato alla
casa Don Bosco
con varie ossa
rotte.
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TEMPO DELLO SPIRITO
Carmen Laval
Ldeelolattcootmraupnpicoalezione
Ci capita spesso di sentirci incompresi. C’è spesso una diversità
imprevedibile tra il nostro messaggio e la sua traduzione
da parte dell’altra persona. Questo produce una degradazione
del dialogo, frustrazione, irritazione e scoraggiamento.
I malintesi, spesso insospettati, danneggiano l’esistenza,
provocano ferite e rotture.
Ecco le 8 trappole più frequenti in cui cadono
gli esseri umani e che si verificano silenzio-
samente e a loro insaputa, durante la comu-
nicazione.
1. Credere che
il nostro modo
di parlare
sia chiaro e
comprensibile
Quante volte ripetiamo
invano la stessa cosa alla
stessa persona (“Te l’ho già
detto!”)? Se un genitore
o un insegnante conclude
un lungo discorso con «Sei
d’accordo?», il ragazzo può
solo assentire ed è facile
che il discorso non abbia
alcun effetto. A meno che
con pazienza il genitore
si faccia ripetere i termi-
ni della comunicazione
e possa quindi chiarire i
dubbi e le incomprensioni.
2. Dirlo con un SMS
Se si desidera esprimere un messaggio importante,
e “social” lo rendono più complesso e non più
semplice. Perché mancano informazioni importan-
ti come il tono, il contesto, i chiarimenti. Queste
informazioni mancanti fabbricheranno ipotesi, in-
trodurranno interpretazioni imprevedibili e provo-
cheranno tensioni spesso ingiustificate.
3. Evitare la sincerità
L’assertività è la capacità di esprimere in modo
chiaro ed efficace le proprie emozioni e opinioni
senza offendere né aggredire l’interlocutore. L’as-
sertività prevede un equilibrio fra il rendere noto
agli altri, in momenti appropriati, che cosa si vuole
e quali sono i propri bisogni, e al tempo stesso te-
nere presenti le volontà e i bisogni altrui.
4. Credere che il proprio punto
di vista sia la verità
Due passerotti se ne stavano beatamente a prendere il
fresco sulla stessa pianta, che era un salice.
Uno si era appollaiato sulla cima del salice, l’altro in
basso su una biforcazione dei rami.
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Dopo un po’, il passerotto che stava in alto, tanto per
rompere il ghiaccio, dopo la siesta, disse: «Oh, come sono
belle queste foglie verdi!».
Il passerotto che stava in basso la prese come una provo-
cazione. Gli rispose in modo seccato: «Ma sei orbo? Non
vedi che sono bianche?!».
E quello di sopra, indispettito: «Sei orbo tu! Sono ver-
di!».
E l’altro dal basso con il becco in su: «Ci scommetto le
piume della coda che sono bianche. Tu non capisci nulla.
Sei matto!».
Il passerotto della cima si sentì bollire il sangue e sen-
za pensarci due volte si precipitò sul suo avversario per
dargli una lezione. L’altro non si mosse. Quando furono
vicini, uno di fronte all’altro, con le piume del collo ar-
ruffate per l’ira, prima di cominciare il duello ebbero la
lealtà di guardare nella stessa direzione, verso l’alto. Il
passerotto che veniva dall’alto, emise un «Oh» di mera-
viglia: «Guarda un po’ che sono bianche».
Disse però al suo amico: «Prova un po’ a venire lassù
dove stavo prima».
Volarono sul più alto ramo del salice e questa volta dis-
sero in coro: «Guarda un po’ che sono verdi».
La saggezza dei secoli: «Non giudicare nessuno se
prima non hai camminato un’ora nelle sue scarpe».
5. L’atteggiamento difensivo
L’atteggiamento difensivo può scaturire dalla paura,
dal desiderio di evitare il dolore o dall’attaccamento
a un particolare scopo o desiderio. Quando ci
mettiamo sulla difensiva, smettiamo di comprendere
l’altra persona e ci ritiriamo nell’autoconservazione.
6. Dare consigli quando
non vengono richiesti
Quando ascoltiamo, se non prestiamo un orecchio
attivo, interpretiamo ciò che il nostro interlocuto-
re ci dice. Interpretare significa fare un’analogia,
rimbalzare su una parola che ci porta da qualche
altra parte, mettere insieme uno scenario, imma-
ginare una storia... che non ha nulla a che fare con
ciò che viene detto. Una migliore comunicazione
sarebbe l’ascolto, il silenzio dei pensieri interiori. In
altre parole, quando ascolto, non penso a dare una
risposta, o a cercare un consiglio o una soluzione.
Ascolto nel momento presente in modo che l’altra
persona abbia spazio per esprimersi.
7. Interrompere spesso l’interlocutore
Le interruzioni verbali sono irritanti e bloccano qua-
si sempre la relazione. Ecco un tipico dialogo fami-
liare: Figlio: «Avete sentito quello che è successo in Siria?»
Padre: «Bah!»
Madre: “È abbastanza salata la minestra?»
Figlio: «È un problema, no?»
Padre: «Sì».
Figlio: «Allora che ne pensi?»
Padre: «Hai ragione, manca un po’ di sale».
Madre: «Eccolo, tieni».
Figlio: «È strano come si sia potuti arrivare a tanto».
Madre: «Quanto hai preso di matematica?»
Padre: «Io non ho mai capito niente di matematica».
Madre: «Fa freddo, stasera...»
8. Credere che le informazioni
che si sentono siano la verità
L’abbondanza di canali di
trasmissione e di informa-
zioni continue offusca la
percezione e crea confu-
sione. In particolare con
generalizzazioni (“i giova-
ni non vogliono lavorare”),
imprecisione (“sei sempre
in ritardo!”), pettegolezzi
(“questo manager ha una
cattiva reputazione”), no-
tizie false.
E allora che cosa e a chi
credere? Bisogna trasfor-
mare le informazioni in co-
noscenza: raccogliere dati
e analizzarli per formulare
un giudizio serio.
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STORIE DI GIOVANI
Claudia Gualtieri
Bruciare sempre,
spegnersi mai”
Sara, 19 anni
«A questa età
i tuoi pensieri
non dovrebbero
mutarsi in un
‘Sopravviverò?’.
A 18 anni non
si dovrebbe provare questa
paura. Dopo un anno, sono
ancora in piedi. Ma non è
stato per niente facile».
Gennaio 2019. Un ricovero d’urgenza, una
biopsia ad un linfonodo gonfio ed ecco la
risposta a quei segnali che il mio corpo
mi stava già dando da un po’. Dimagri-
mento, sudorazioni notturne, svenimenti. Tutto ciò
aveva un senso ma soprattutto un nome: Linfoma di
Hodgkin. Si tratta di un tumore maligno del san-
gue, in particolare una riproduzione di globuli bian-
chi tumorali. Scoprire di avere il cancro a 18 anni
non è facile. A questa età i tuoi pensieri dovrebbero
girare intorno ad un esame di guida, ad una facoltà
o un lavoro da scegliere. A questa età i tuoi pensieri
non dovrebbero mutarsi in un ‘Sopravviverò?’. A 18
anni non si dovrebbe provare questa paura. Una vita
davanti, dei sogni da realizzare.
Non so cosa mi passò per la testa, nel momento in
cui ricevetti questa notizia, ma una cosa è certa: la
vita sarebbe incominciata davvero da quel momen-
to. Credo che si impari a vivere solo con determinati
avvenimenti. Credo si impari a vivere davvero quan-
do sulla strada si ritrovano ostacoli inaspettati, dolo-
rosi e complicati da superare. Da quel giorno tutto è
cambiato. Cambia il modo di osservare il mondo. Ci
si accorge della bellezza che ci circonda, forse troppo
sottovalutata quando invece le giornate si svolgono
nei migliori dei modi. Una bellezza che sta nelle pic-
cole cose, come il sorriso di un passante, un abbrac-
cio di un infermiere, il ‘ti voglio bene’ detto da tua
madre. Sono cose che diamo per scontate, ma nel
momento in cui non sai se il giorno dopo potrai ri-
sentirle ancora, allora incominci davvero a dare loro
valore. Perché hanno da sempre valore.
In questo ultimo anno ho saputo rialzarmi ad ogni
caduta, ho raccolto i pezzi ogni volta che le cattive
notizie mi distruggevano. Dopo un anno, sono an-
cora in piedi. Ma non è stato per niente facile.
Possiamo bruciare, possiamo
consumarci ma l’importante è
non spegnersi, non mollare. Possiamo
continuare ad ardere per quanto
doloroso sia ma mai ridurci in cenere.
Chemioresistenza: credo che il momento più do-
loroso si riassuma in questa parola. Il significato?
Tutti i cicli di chemio affrontati per il tuo corpo
risultano inutili. Il tuo cancro aumenta e le cure
non servono. Fortunatamente si ha una speranza
nel trapianto di midollo. Si spera sia il passo che
possa condurmi alla guarigione, il passo conclusivo
per poi riprendermi la mia vita in mano. In una
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Aprile 2020

2.3 Page 13

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giornata in particolare provai molta sofferenza: una
semplice giornata al mare.
Voi vi chiederete il perché dovrebbe far soffrire una
passeggiata su una spiaggia, con il vento che ti spo-
sta via i tuoi capelli finti e ti scombussola i pen-
sieri. Fa soffrire perché si ha paura di non poterlo
rifare. Si ha paura di non poter risentire un giorno
le onde del mare, il loro profumo.
Ma nonostante questi momenti di sconforto bi-
sogna ricordarsi che le giornate che ti riscaldano
il cuore ci sono. Che il sorriso è sempre lì pron-
to a ricomparire quando per esempio la tua classe
è pronta a festeggiare la riuscita del tuo esame di
maturità, oppure quando i tuoi compagni di una
vita ti organizzano una festa a sorpresa per il tuo
compleanno e quindi tra un ballo, palloncini e un
paio di candeline da spegnere, con la fiamma se ne
vanno anche i tristi pensieri.
Da dove prendo il coraggio per affrontare tutto?
Dal sorriso di mia madre, dall’abbraccio di una
sorella, da un pomeriggio trascorso con gli ami-
ci. Sono queste le cose che mi danno coraggio. Sono
loro che mi danno la speranza. Lo devo a loro e a
me stessa. A me che non ho mai mollato, che ho
sempre risposto con felicità, anche a ciò che avreb-
be potuto uccidermi. A me che ho sempre avuto la
forza di rimboccarmi le maniche e continuare così
a crederci, a lottare. Giorno dopo giorno.
La malattia si prende sempre una parte di te. Ma
si prende anche quelle piccolezze come una passeg-
giata d’inverno o una serata al cinema. Uscite dif-
ficili da fare per colpa delle tue difese immunitarie
basse e le tue poche forze. Mi manca camminare,
le mie gambe non mi permettono più di fare deter-
minati sforzi. Mi manca l’oratorio. La mia seconda
casa, famiglia. Purtroppo però un ambiente troppo
rischioso da frequentare perché una semplice in-
fluenza presa potrebbe farmi del male. Mi manca
avere i miei 18, anzi ora 19 anni. La malattia si è
presa uno dei miei anni più preziosi che doveva es-
sere composto di viaggi già programmati e soprat-
tutto di scelte importanti da prendere per capire
che cosa si vorrebbe fare, chi si vuole essere.
Ma rimango positiva e penso che semplicemente
momentaneamente io sia in pausa. Dopo essa mi
riprenderò tutto. Perché la vita è solo una e biso-
gna viverla al meglio. Perché la mia vita mi aspetta.
Quando la guarigione arriverà finalmente potrò
continuare gli studi, realizzarmi nel campo lavora-
tivo e creare così le fondamenta per quello che sarà
il mio futuro.
La prima cosa che farò sarà partire lontano. Visita-
re quei luoghi che ho sempre sognato, ammirare le
bellezze che questa terra ci ha donato. Papa Giovan-
ni Paolo II disse: “Prendete in mano la vostra vita
e fatene un capolavoro”. Così ho fatto. Così dovete
fare. Non importa quanto doloroso sia combattere,
ma bisogna continuare a farlo senza arrendersi mai.
Scegliete! Scegliete di rialzarvi da ogni singola cadu-
ta, di andare avanti, perché in fondo ad ogni tunnel
troverete la luce. Quando pensate che siete circonda-
ti dal buio ricordatevi che prima o poi i colori ritor-
neranno e anche più accesi di prima. Circondatevi di
speranza, di fede, di amore perché solo in presenza
di essi c’è vita. Sorridete! Sorridete anche quando
non riuscite a comprendere, perché nulla può negar-
ci la gioia, la felicità. Siate felici sempre, perché per
quanta sofferenza si possa provare, per quanta paura
si possa avere, la vita è bella e bisogna viverla istante
per istante, bisogna tenersela stretta.
Aprile 2020
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2.4 Page 14

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LE CASE DI DON BOSCO
La Famiglia Salesiana
Terni
Don Bosco e
san Francesco
in cammino
con i giovani
Grande è l’apprezzamento
e l’affetto per don Bosco
e per l’opera della Famiglia
Salesiana a Terni, riscontrati
in tanta riconoscenza da tutta
la cittadinanza di cui, la maggior
parte, è cresciuta nel nostro
oratorio, punto di riferimento
non solo per la città ma anche
per i dintorni.
L a simpatia dei ternani per don Bosco comin-
cia da lontano. Dieci anni prima della morte
di don Bosco, il vescovo di Terni intendeva
affidare il suo seminario ai salesiani, ma la
richiesta non poté essere esaudita per mancanza di
personale. A Terni non c’erano i salesiani, ma arri-
vava il Bollettino Salesiano. Nel 1887, una lettera
di un certo Francesco Gay, scritta da Terni, comu-
nica l’invio di alcune offerte “raccolte qua e là da
varie buone persone”. Sono attive le prime cellule
di un movimento salesiano nascente.
I salesiani però giunsero ufficialmente a Terni solo
nel 1927 per dirigere il Convitto comunale “Um-
berto I”, che dal 1861 aveva trovato sede nel sop-
presso convento di San Francesco d’Assisi. A Ter-
ni era attiva già da un ventennio un’opera che in
qualche modo si ispirava a don Bosco: il ricreatorio
giovanile cattolico «San Tarcisio».
Durante gli anni della Grande Guerra il ricreatorio
era stato diretto dal chierico salesiano Leone Ma-
ria Liviabella che si trovava in città assegnato come
cappellano militare alla Fabbrica d’Armi. Don Li-
viabella, destinato a diventare uno dei salesiani più
popolari in tutto il mondo, protagonista con Mon-
signor Cimatti e don Antonio Cavoli dell’epica
fondazione della missione salesiana in Giappone,
dedicò le sue energie all’assistenza dei ragazzi del
ricreatorio, che in poco tempo aumentarono note-
volmente di numero. Ad essi si rivolse la sua opera
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Aprile 2020

2.5 Page 15

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pastorale secondo lo spirito di don Bosco: istruzio-
ne religiosa, Schola cantorum, filodrammatica, con-
ferenze con proiezioni, ginnastica e anche gelati
confezionati artigianalmente per essere distribuiti
in premio. E quei pochi denari di cui poteva di-
sporre, li spendeva tutti per i ragazzi del ricreatorio
che era diventato tutto suo, al punto da non lasciar-
lo neppure la notte, dormendo nel freddo salone
superiore su di un misero giaciglio. Alla fine della
guerra, don Liviabella dovette lasciare la città.
L’insediamento
Negli anni Venti, Terni cambiò volto grazie anche
al rilancio industriale nella produzione militare in-
centivato dal governo fascista e più tardi alla istitu-
zione della nuova provincia. Grazie alla creazione
di quest’ultima, Terni diventò a pieno titolo il se-
condo capoluogo della regione e senza dubbio il più
vivo sul piano economico, demografico e urbani-
stico, con il cambiamento del piano regolatore, che
accolse nuove strade, nuove piazze, nuovi palazzi
pubblici e nuovi quartieri residenziali in grado di
ospitare migliaia di lavoratori con le loro famiglie.
Il vescovo della città, dopo molte insistenze, otten-
ne finalmente il sì del Rettor Maggiore, il Beato
Filippo Rinaldi, e un drappello di salesiani, guidati
dal dinamico don Simonetti, giunse a Terni.
I salesiani fecero immediatamente breccia nel cuore
della città.
nell’Opera salesiana: genitori, exallievi, cooperatori,
animatori, allenatori, insegnanti, volontari, ragazzi e
giovani. Ottant’anni portati così bene sono preludio
di buona salute da vivere in pienezza e in continuità
con il passato, al servizio dei giovani.
La storia dell’Opera salesiana attraversa uno spa-
zio privilegiato di vita per i ragazzi e per i giovani.
L’oratorio salesiano di “San Francesco” si configura
oggi come una sorta di polmone sociale, che per-
mette e facilita l’incontro tra pari, tra generazioni e
tra fasce sociali.
Le sue attività sono molteplici e variegate in rispo-
sta ai tanti bisogni dei giovani. In questi 80 anni
la mission dell’Opera si è concretizzata nell’attivi-
tà educativa e didattica del servizio scolastico, at-
traverso il convitto, nell’attività ludico-formativa
dell’oratorio, nel servizio socio-religioso della par-
rocchia di San Francesco d’Assisi, che il mio pre-
decessore, Felice Bonomini, intese affidare ai figli
di don Bosco».
La parrocchia
La chiesa della parrocchia è un gioiello raro e pre-
zioso, dal punto di vista storico e architettonico. Fu
fondata dallo stesso san Francesco e ne mantiene
vivo il ricordo. La chiesa sorge sul terreno dove, se-
condo la tradizione, san Francesco d’Assisi improv-
L’oratorio
di Terni è
un “polmone
sociale”
della città.
Un polmone sociale
Dopo ottant’anni, l’arcivescovo Vincenzo Paglia lo
testimonia così: «Con viva gioia e gratitudine chiu-
do le celebrazioni per l’80° anno di insediamento
dei padri salesiani a Terni (1927-2007), momento
eccezionale di festa per tutta la comunità parroc-
chiale-oratoriana di san Francesco.
Un profondo “grazie” per una presenza che testi-
monia il largo credito che il genio e la carità di don
Bosco riscuotono nella nostra città; basti pensare
alle numerose persone che si sono formate e si for-
mano quotidianamente accanto ai figli di don Bosco
Aprile 2020
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2.6 Page 16

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LE CASE DI DON BOSCO
L’apprezzamento
e l’affetto per don
Bosco e per l’opera
della Famiglia
Salesiana a Terni,
si riscontrano in
tanta riconoscenza
da tutta la
cittadinanza di cui,
la maggior parte,
è cresciuta nel
nostro oratorio.
visò una prima capanna in seguito alla predicazione
che tenne nel 1218 sulla piazza di fronte all’episco-
pio davanti al vescovo Rainerio documentata nella
Vita prima di Tommaso da Celano.
Nel 1943 la parrocchia è stata affidata ai sale-
siani. Nel corso della seconda guerra mondia-
le la chiesa è stata pesantemente danneggiata dai
bombardamenti alleati; in tale occasione alcune
volte crollarono, così come la parete centrale e la
volta della cappella di sant’Antonio. Anche la
cappella della Croce Santa subì notevoli danni alla
parete destra, che fu interessata dallo spostamento
d’aria causato dall’esplosione di un ordigno.
Il 6 aprile 2009, in seguito alla forte scossa di ter-
remoto verificatasi nella città di l’Aquila, la chiesa
ha subito lievi lesioni e alcune crepe sulle mura cir-
costanti risanate da un lungo restauro e consolida-
mento statico che ha coinvolto l’intero edificio e la
torre campanaria conclusosi nel 2015.
La parrocchia è una comunità numerosa che acco-
glie fedeli da diverse zone della città e di diverse
nazionalità, sia per la presenza dell’oratorio salesia-
no che è un laboratorio di convivenza, di comu-
nione, di pace e anche di vita cristiana dove tutti
siamo figli di Dio, strumento di conoscenza e di
integrazione oltre che di formazione cristiana, sia
per la sua collocazione al centro della città, dove è
presente un bel cammino di catechesi per i bambi-
ni, gruppi di preghiera e di catechesi per gli adulti,
di gruppi pastorali.
La carità è vissuta attraverso la San Vincenzo de’
Paoli e non mancano tante proposte di aggregazio-
ne e fraternità per i ragazzi e le loro famiglie. È
guidata dal parroco don Guido Tessa e dagli altri
salesiani, don Vittorio, don Rocco e don Claudio
che si curano della comunità e che animano la pa-
storale dei ragazzi, giovani e degli anziani.
Naturalmente, come in ogni Casa Salesiana del
mondo, il “cuore pulsante” della pastorale rivol-
ta ai giovani è il cortile dell’Oratorio, da sempre
caratterizzato da un’alta frequentazione da parte di
giovani e ragazzi di diverse età e di varie naziona-
lità che, grazie anche alle strutture sportive e ad
altri ambienti (sala giochi, palestra…), entrano in
contatto con l’Oratorio come punto di ritrovo pur
non facendo parte di gruppi associativi. Dal corti-
le si diramano le proposte dei gruppi di interesse
(strumento e gruppo musicale) e della Polisportiva
Salesiana, la “P.G.S. Bosco” che, articolata nei tre
settori di Calcio, Basket e Pallavolo, conta com-
plessivamente alcune centinaia di atleti che parte-
cipano ai campionati delle rispettive federazioni.
L’animazione pastorale dell’Opera è garantita
dall’impegno della Comunità di concerto con
la disponibilità di numerosi laici, molti dei qua-
li appartenenti alla Famiglia Salesiana: oltre agli
exallievi, che costituiscono la “memoria storica”
della realtà salesiana che risale fino al secondo do-
poguerra, particolarmente vivace è il Centro locale
dei Salesiani Cooperatori, i cui membri contribui-
scono alla realizzazione di numerose attività in
diversi ambiti. Essi includono la conduzione dei
gruppi di Catechesi, la gestione di gruppi sportivi,
le proposte di pastorale familiare rivolte ai fidan-
zati che desiderano prepararsi al Matrimonio ed a
gruppi di giovani coppie.
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Aprile 2020

2.7 Page 17

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TRE DOMANDE AL DIRETTORE DON GUIDO TESSA
Quali sono le sue maggiori
soddisfazioni?
L’apprezzamento e l’affetto per don
Bosco e per l’opera della Famiglia Sa-
lesiana a Terni, riscontrati in tanta rico-
noscenza da tutta la cittadinanza di cui,
la maggior parte, è cresciuta nel nostro
oratorio, punto di riferimento non solo
per la città ma anche per i dintorni. Ciò è
ancora oggi attuale grazie al lavoro pre-
zioso e fruttuoso di tanti salesiani che ci
hanno preceduto.
Riconoscenza che constatiamo nel so-
stegno materiale ed affettivo per l’o-
pera e che si realizza poi nelle buone
relazioni con i giovani e con le famiglie
e nella loro disponibilità a condividere il
cammino di fede e le molteplici attività
che tale cammino richiede.
Momenti qualificanti di questa realtà
sono i percorsi sistematici per l’inizia-
zione cristiana proposti dall’oratorio, la
formazione ed il coinvolgimento degli
animatori di varie fasce di età, la cura
pastorale di una importante e frequen-
tata polisportiva oratoriana, le attività
musicali e teatrali offerte dall’orato-
rio ed in generale la presenza
e l’animazione del cortile
come spazio di aggrega-
zione e di crescita umana
e cristiana.
Accanto alla soddisfazio-
ne di mantenere vivo ed
attuale il carisma
di don Bosco con l’oratorio, viviamo e
percepiamo l’impegno del lavoro che
svolgiamo nella Chiesa Parrocchiale,
Santuario dedicato al Poverello di As-
sisi, sorta proprio nel luogo dove san
Francesco ed i suoi frati avevano costrui-
to le capanne che li ospitavano nella
loro permanenza a Terni.
Quali le difficoltà?
Come tante altre città e regioni italiane,
Terni e l’Umbria risentono della crisi de-
mografica nazionale. Nei nostri ambien-
ti è notevole la presenza di tanti extraco-
munitari anche giovani e di varie etnie
che risultano i frequentanti il nostro
oratorio. Ciò è in parte facilitato dalla
vicinanza con Roma. La crisi demografi-
ca va anche legata alla crisi economica
della città che ha causato, anche di re-
cente, tanta disoccupazione e disagi dai
quali, con molta difficoltà, si vede una
via di uscita se non, per alcuni, quella di
abbandonare la città per trovare lavoro
altrove ed anche all’estero.
La crescente complessità dei ritmi e dei
tempi della vita quotidiana costituisce
elemento di difficoltà là dove si
vorrebbero programmare ed
attuare attività consone al
nostro carisma per lavorare
con i ragazzi ed i giovani.
Gli stessi giovani anima-
tori sono costretti ad
abbandonare
Terni per frequentare studi universitari
spesso anche fuori regione.
Non ultima difficoltà risulta essere la li-
mitata capacità di intervento essendo la
comunità SDB esigua nel numero, avan-
ti nell’età e già totalmente assorbita da-
gli attuali molteplici impegni pastorali.
Quali i sogni e le
prospettive future?
Il potenziamento delle risorse umane a
livello sia di salesiani sia di laici e delle
risorse strutturali che consentano una
sempre maggiore accoglienza dei gio-
vani rimanendo al passo con loro.
Lo sviluppo dell’efficacia e dell’esten-
sione delle attività educative per poter
arrivare a raggiungere tutta la gioventù
che gravita all’interno ma anche intorno
all’oratorio: ogni giorno circa quattro-
mila studenti, dalle elementari alle su-
periori, frequentano le scuole intorno
alla nostra presenza e moltissimi di loro
utilizzano per vari motivi i nostri spazi.
Il quartiere in cui sorge l’opera diventa,
soprattutto di sera e nei fine settimana,
luogo di aggregazione e di svago di tan-
ta gioventù cittadina e non, la così detta
“movida”. Questa realtà ci sfida come
salesiani e non dobbiamo ignorarla e
farla rimanere solo un sogno per il no-
stro apostolato.
In considerazione dell’apprezzamento e
della riconoscenza dei ternani per la Fa-
miglia Salesiana non vanno dimenticati
e trascurati il mantenimento e la cresci-
ta della buona qualità delle relazioni
che si sono instaurate, oltre che tra le
varie componenti della comunità, anche
quelle tra la comunità SDB e parrocchia-
le e l’intera cittadinanza.
Aprile 2020
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2.8 Page 18

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L’INVITATO
P. Pori Mecoi
La mia Africa
Il salesiano Virgilio Radici dirige
una grande scuola professionale
ad Iringa in Tanzania.
Alla notizia del mio
prossimo ingresso
in Noviziato, mio papà rimase
in silenzio per un po’. Poi disse:
“Se pensi che questa sia la
volontà di Dio, fai pure”.
Iringa, in
Tanzania.
Si trova a
circa 1600 m
s.l.m. Il clima
è sempre
mite. Non fa
caldo e non
fa freddo.
Puoi autopresentarti?
Il mio nome è Virgilio Radici, sono nato a Baria-
no in provincia di Bergamo. Sono ora uno fuori
dal “comune”... Vivo infatti ad Iringa in Tanzania.
Sono un salesiano laico di don Bosco (nome lungo
che ha quasi sostituito quello di Coadiutore). Ho
fatto la mia prima Professione Religiosa al Colle
Don Bosco (Asti) il 29-11-1969.
Da Bariano sono andato al Colle Don Bosco per le
scuole Medie nel 1964. Non ho scelto io, ma mia
mamma che sapeva dei salesiani perché è stata ex-
allieva delle suore di Maria Ausiliatrice a Legna-
no (Mi). Eccettuato l’anno di Noviziato a Monte
Oliveto nel 1968 tutti gli altri anni li ho passati al
Colle Don Bosco, prima come allievo e poi come
salesiano. Nel 1990 sono partito per l’Africa, prima
9 anni in Kenya e poi dal 1999 ad Iringa.
Come ti è venuta la vocazione
salesiana?
Al mio primo incontro con i Salesiani al Colle ho
notato una cosa che mi ha subito attratto: la cor-
dialità e la gentilezza di tratto. Sono subito rimasto
attratto da questo. Concluse le scuole Medie, ho
scelto di continuare al Colle per la Scuola Profes-
sionale con indirizzo di arte grafica. Dopo il primo
anno di Scuola Grafica il Direttore, don Antonio
Mason, di cara memoria, mi chiese se volevo en-
trare in Noviziato. Mi ricordo come fosse ora che
risposi subito di sì. Quando mi chiese se volevo
essere sacerdote gli risposi che mi piaceva essere
Coadiutore, come ce n’erano tanti al Colle (più o
meno erano una quarantina ed i sacerdoti una ven-
tina). Mi attraeva il loro modo gentile e la capacità
di stare con noi giovani.
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2.9 Page 19

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In Noviziato sono stato tre mesi in più (da agosto
1968 a novembre 1969) per aspettare di aver com-
piuto i 16 anni allora richiesti dal Diritto Cano-
nico. Nel 1972 il Canone innalzò a 18 anni di età
l’anno della prima Professione. Io dico sempre che
dopo aver visto me..., era meglio cambiare l’anno di
ingresso nella vita religiosa.
Come l’ha presa la tua famiglia?
Mio papà si chiamava Giuseppe Radici e mia mam-
ma Nazzarina Belloni. Mi hanno educato bene alla
vita cristiana. Ricordo che mamma ci faceva alzare
al mattino presto per andare alla Santa Messa ed
essere sempre puntuali al Catechismo all’oratorio,
dedicato a don Bosco, la domenica pomeriggio. Io
sono il terzo della famiglia. Due fratelli prima di
me, Angelo, Luigi ed uno dopo di me, Franco. Sia-
mo sempre in ottima relazione.
A comunicare della vocazione ai miei genitori furo-
no gli stessi Salesiani del Colle. Prima di andare in
Noviziato, infatti, un Coadiutore ed un Sacerdote
mi portarono a casa in macchina. C’era a casa solo
mia mamma. Mio papà era in ospedale per un inci-
dente sul lavoro a Milano (era muratore). Il giorno
dopo sono andato con mia mamma a trovare papà a
Milano in ospedale. Alla notizia del mio prossimo
ingresso in Noviziato, mio papà rimase in silenzio
per un po’. Poi disse: “Se pensi che questa sia la
volontà di Dio, fai pure”.
Mia mamma è mancata a 57 anni nel 1969. Mio
papà visse ancora per altri 20 anni, fino al 1999. Mi
hanno sempre voluto bene ed aiutato in tutto.
Perché sei partito per le missioni?
Come ho detto per il Colle non ho scelto io, ma
mia mamma, così anche per le missioni non ho
scelto io, ma il mio Ispettore di allora, don Angelo
Viganò.
Era l’anno 1990. Ero al Colle che insegnavo ai ti-
pografi compositori e venni chiamato al telefono.
Era l’Ispettore che da Roma (era al Capitolo Ge-
nerale) mi chiamava dicendomi se volevo andare in
Kenya per installare una tipografia. Io risposi che
per fare questo era necessario conoscere anche tutti
gli altri settori del mestiere tipografico (litografia,
fotoriproduzione, stamperia e legatoria), che io non
conoscevo praticamente (solo teoricamente). Lui
mi disse di pensarci ed al suo ritorno ne avremmo
parlato.
Venne al Colle il primo di aprile dello stesso anno e
mi disse di andare per due mesi e mezzo a Makuyu
e studiare un po’ di lingua Inglese e conoscere il
«Abbiamo una
parrocchia,
due chiesette
succursali in
villaggi vicini
ed una Scuola
Professionale
con 300
giovani
(ragazzi e
ragazze) che
imparano un
mestiere da
loro scelto».
Aprile 2020
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2.10 Page 20

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L’INVITATO
Il laboratorio
di sartoria.
posto. Il primo aprile è proprio un giorno “specia-
le”. Ma so anche che ricorda la nascita di mamma
Margherita. Quindi l’Obbedienza è quello che ho
cercato di fare. Ora sono contento.
Partii il 4 luglio 1990 per Makuyu e ritornai il 15
settembre dello stesso anno. Parlai nuovamente con
l’Ispettore presentandogli un miniprogetto della
costruzione del capannone tipografico e mi diede
la conferma per il ritorno in missione. Prima andai
a Malta (gennaio-giugno 1991) per approfondire la
lingua Inglese ed il 4 settembre 1991 eccomi nuo-
vamente a Makuyu in Kenya.
Come è stato il tuo
impatto con l’Africa?
Da ragazzo avevo paura del-
la gente di colore. Quando al
paese vedevo un nero, scappavo
nella direzione opposta. Anche
qui ci sono dei bambini piccoli
che quando mi vedono si na-
scondono dietro la mamma.
Penso sia una cosa naturale per
alcuni. Nella maggioranza in-
vece sono contenti di vedermi...
Mi sono trovato, da subito,
bene. Come carattere le perso-
ne sono molto cordiali. Mi si
avvicinavano con gentilezza e
salutavano cordialmente e con
il sorriso bello aperto.
In un primo tempo mi sono adattato a fare un po’
di tutto. Non esisteva la tipografia e quindi ho ini-
ziato con il lavoro nei campi, la raccolta granturco
con gli allievi del corso della Scuola Professionale.
Dal piombo e carta della tipografia al lavoro con
la terra...
Dopo poco iniziano i lavori di costruzione del-
la nuova tipografia con una ditta di Nairobi e nel
1993, le prime stampe con l’aiuto del generoso
Coadiutore Salesiano Bertocchi Alessandro che,
dalla tipografia Vaticana, venne a Makuyu.
Molto fu l’aiuto datomi, all’inizio, anche dal Sale-
siano sacerdote don Gianni Uboldi che attualmen-
te si trova in Uganda. Lui era l’economo della casa
e conosceva bene la lingua Inglese e quella locale
Kikuyu. I contatti con le ditte e con l’estero erano
sempre suoi. Senza il suo aiuto non sarei riuscito
nell’intento.
Pensi che questo continente
si salverà?
Penso che Dio sappia tutto. Lui è amore e l’amo-
re vincerà. La loro tradizione è ancora fortemen-
te religiosa. Quando ti incontrano ti salutano con
“Tumsifu Yesu Cristo” (Sia lodato Gesù Cristo).
Quando manca un loro caro dicono: “Noi gli vole-
vamo bene, ma Dio di più”.
Secondo me devono fare un piccolo passo avanti
riguardo al valore di mantenere la parola data. Mi
sono trovato varie volte ad aspettare una persona
che mi diceva che sarebbe venuta alla tal ora...,
ma... Ancora oggi è così. Dicono che il tempo è a
loro disposizione e non loro per il tempo... Va bene
per loro, ma per te che hai aspettato invano? Mi
ricordo che mio papà mi diceva sempre che se dai
una parola, la devi mantenere.
Qual è il tuo compito attuale?
Come detto sopra, mi trovo attualmente ad Iringa
in Tanzania. Si trova a circa 1600 m s.l.m. Il cli-
ma è sempre mite..., non fa caldo e non fa freddo.
La temperatura si abbassa a 9 gradi Centigradi in
maggio-luglio, ma durante il giorno arriva a 20-22.
Non c’è mai la neve o il ghiaccio.
La comunità salesiana di don Bosco, in cui vivo, è
composta dal Direttore sacerdote dell’India (ora cit-
tadino della Tanzania), due sacerdoti uno dall’India
ed uno dalla Tanzania, un salesaino laico del Kenya
e dal sottoscritto.
Abbiamo una parrocchia, con la chiesa principale
dedicata a Maria Assunta e due chiesette succur-
sali in villaggi vicini ed una Scuola Professionale
con 300 giovani (ragazzi e ragazze) che imparano
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Aprile 2020

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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un mestiere da loro scelto (sartoria, falegnameria,
motomeccanica, tipografia, muratori, elettricisti,
saldatori e computer). Questi fanno un corso che
dura tre anni. Abbiamo poi un altro corso breve,
della durata di sei mesi, con circa 700 giovani. In
questo corso breve insegniamo anche idraulica ed
installazione di pannelli solari. Tutti gli insegnanti
sono locali. Io sono incaricato della tipografia.
Vengono tutti molto volentieri. Don Bosco aiutava il
giovane ad inserirsi nella società in modo da vivere
da onesto cittadino e da buon cristiano. Dando loro
un mestiere in mano, possono aiutare i loro familiari
e se stessi in modo da poter uscire dalla povertà e per
qualcuno anche dalla miseria in cui vivono.
Per il sostentamento della scuola, viviamo con il
nostro lavoro, anche se diventa un’impresa arrivare
al termine del mese. Ci fidiamo della Provvidenza.
bini e giovani venivano per passare il tempo nell’o-
ratorio da noi. Era però un periodo in cui mi trovavo
in difficoltà circa i rapporti con le persone adulte. Da
una settimana, infatti, parlavo poco; non salutavo e
sorridevo più a nessuno. Ecco allora, una notte, che
mi si presenta questo sogno. Stavo aspettando che i
miei operai uscissero tutti dal laboratorio e nel men-
tre mi si avvicina una bambina tutta zoppicante. La
raggiungo e vedendo la sua difficoltà a camminare,
la prendo in braccio. Avrà avuto circa 6-7 anni e non
l’avevo mai vista prima d’ora. La porto nel mio uffi-
cio e la depongo a sedere sul tavolo di lavoro. Men-
tre mi chino, per medicare la ferita sanguinante che
aveva sotto il piedino, lei mi suggerisce all’orecchio
una frase nella sua lingua, in Swahili: «Bradha, usisa-
hau kutabasamu» (Fratello, non dimenticarti di sor-
ridere). Rimasi colpito da questa sua frase e le chiesi:
«Per favore, dimmi qual è il tuo nome». Lei mi ri-
spose: «Mimi ni Bikira Maria» (Io sono la Vergine
Maria). Sentita questa risposta, fui preso da grande
agitazione e mi svegliai. Inutile dire quanto ripresi a
sorridere e salutare nuovamente le persone che in-
contravo. Maria Bambina mi ha fatto comprendere,
o almeno questo è quello che cerco di interpretare,
che si risolvono i problemi più con il sorriso che con
mutismi e facce tristi.
«Dando loro
un mestiere
in mano,
possono
aiutare i loro
famigliari
e se stessi
in modo
da poter
uscire dalla
povertà e
per qualcuno
anche dalla
miseria in cui
vivono».
Che cosa sogni?
Da giovane mi ricordo di aver pregato il Signore,
durante un corso di Esercizi Spirituali di aiutarmi
per la commissione che lui intendeva darmi da fare.
Era per me ancora un “sogno” la vita. Ora sogno
di poter essere sempre pronto per questa commis-
sione. Sogno di essere contento dove mi trovo per
poter far felici gli altri. Nella loro felicità sta anche
la mia. Ma non sono sempre riuscito nell’intento.
Mi permetto di raccontare solo un piccolo episodio.
Oltre alla mia normale routine di lavoro in tipogra-
fia, ero solito aiutare i bambini nel fare loro qualche
medicazione. Questo abitualmente lo facevo dopo il
lavoro e quindi nel tardo pomeriggio quando i bam-
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21

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SALESIANI
Alberto López e Cristina Bermejo
Settemila gli devono
la vita
Robert Ocan ha 33 anni, ha
studiato Informatica in Sud Sudan
ed è stato professore di Chimica
e Matematica nella sua città,
Pajok, a 15 chilometri dal
confine con l’Uganda. Quando è
arrivata la guerra ha guidato
i suoi concittadini per due giorni
attraverso la foresta.
Robert Ocan ha 34 anni e ha sempre cono-
sciuto la guerra: prima quella dell’indipen-
denza del Sudan e, negli ultimi anni, quel-
la del Sud Sudan. È diventato un rifugiato
da bambino quando è rimasto orfano e ha vissuto
in diversi campi profughi. Nel 1999 la sua città
è stata attaccata dai ribelli e i suoi genitori sono
stati uccisi. Rimase orfano e fu affidato a un’amica
di famiglia che perse anche i suoi figli. Entrambi
sono fuggiti in Uganda e si sono
stabiliti nell’insediamento di
rifugiati di Kiryandongo. “È
stata la mia prima esperien-
za come rifugiato e mi han-
In alto:
Robert Ocan.
È stato eletto
tra i leader
del campo di
Palabek.
no insegnato a pescare. Così
ho potuto pagarmi gli studi”,
ricorda Robert.
Un trattato di pace firmato
in Sudan nel 2005 lo ha in-
coraggiato a tornare nella sua città natale per ini-
ziare una nuova vita. Completò gli studi e iniziò
a lavorare come insegnante in una delle scuole di
Pajok. Si è sposato ed è diventato un leader della
comunità cattolica.
Il Sud Sudan ha ottenuto l’indipendenza nel 2013
ed è diventato la nazione più giovane del mondo, ma
la guerra ha cominciato a diffondersi dalle grandi
città alle città più piccole. La violenza è arrivata a
Pajok il 3 aprile 2017: “I ribelli erano accampati
molto vicino alla città da tempo e
quel giorno il governo ha deci-
so di attaccarli, ma lo ha fatto
considerando tutti i cittadini di
Pajok come ribelli e uccidendo
tutti” spiega Robert Ocan.
Quello che è successo dopo lo
ricorda in dettaglio: «Era-
no le 8 del mattino e mi
stavo preparando per
andare a scuola. Ero
con i miei figli, che
allora avevano 2 e 5
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Aprile 2020

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anni. Quando ho iniziato a sentire gli spari, ho su-
bito chiamato il preside della scuola per chiedergli
di evacuare tutti i bambini, non lasciarli andare a
casa e di fuggire dalla città».
A Pajok sono rimaste solo 100 persone, “per lo più
vecchie e malate”, che hanno preferito restare a
casa e aspettare di morire piuttosto che scappare di
nuovo. Il resto della popolazione ha camminato per
due giorni attraverso la foresta fino a raggiungere
il confine in sicurezza: «Appena ci siamo riposati,
i gruppi si sono separati. Ci sono state anche donne
incinte che hanno partorito lungo la strada. Ave-
vamo solo i vestiti e molte persone erano affamate,
assetate e ferite».
nel costruire rapporti con la popolazione locale,
nel mediare le controversie o i conflitti che pote-
vano sorgere, nel parlare con le per le esigenze
dell’insediamento e nell’essere l’interlocutore con
l’Ufficio del Primo Ministro e le Nazioni Unite.
Nel giugno di quell’anno, il primo missionario sale-
siano, Lazar Arasu, arrivò a Palabek quasi per caso
e con l’intenzione di conoscere i problemi dei rifu-
L’incontro con i Salesiani
Il 12 aprile 2017 l’intero gruppo è stato trasferito
a Palabek ed è diventato il primo nucleo del nuo-
vo insediamento aperto nel nord dell’Uganda. Ro-
bert Ocan è stato eletto per continuare ad essere
il loro leader. Da allora, il suo lavoro è consistito
Robert è
«ottimista
e fiducioso
che la pace
arriverà nel
Sud Sudan
perché don
Bosco sta
contribuendo
a creare
una nuova
generazione
di giovani».
Aprile 2020
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3.4 Page 24

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SALESIANI
«Spero che
il mio lavoro
contribuisca
a costruire
ponti e sia
d‘ispirazione
per tanti
giovani che,
come me,
sono rimasti
orfani a
causa della
guerra».
giati. Tuttavia, finì per rimanere, per
occuparsi delle necessità pastorali dei
rifugiati e fece amicizia con Robert.
Pochi mesi dopo, nel febbraio 2018,
una comunità salesiana decise di vi-
vere all’interno dell’insediamento.
Robert Ocan iniziò a collaborare
quotidianamente con i salesiani,
che già conosceva dal Sudan e dal
lavoro che stavano svolgendo nel cam-
po profughi di Kakuma (Kenya). Divenne
responsabile delle scuole che i missionari sa-
lesiani iniziarono ad aprire nell’insediamento.
«Ero molto contento della loro venuta a Pala-
bek, sapevo che ci avrebbero aiutato ad offrire
un’istruzione ai giovani».
Da quel momento in poi, le persone che sono
fuggite con lui, e altre che sono arrivate e ora
sono più di 53000, vivono insieme nell’in-
sediamento dei rifugiati di Palabek, divisi
in zone diverse per affinità geografiche o
culturali, con Robert come leader rieletto
all’unanimità.
Robert è solo un altro rifugiato, che vive
come loro e che non riceve alcun salario
per il suo lavoro, e che è “ottimista e fi-
ducioso che la pace arriverà nel Sud
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Aprile 2020
Sudan perché don Bosco sta contribuendo a creare
una nuova generazione di giovani: la generazione
che porta la pace. Don Bosco, attraverso i missionari
salesiani, offre a Palabek un grande servizio umani-
tario e pastorale e, soprattutto, ci dà speranza per il
futuro e fiducia nelle nostre capacità».
Il suo sogno, come quello di tutti i rifugiati, è an-
che quello di tornare in Sud Sudan, ma riconosce
che “ci vorranno alcuni anni”. «Devono finire gli
scontri, si devono indire libere elezioni, chi vince
deve essere riconosciuto vincitore, deve essere for-
mato un governo e tutti noi dobbiamo iniziare a
lavorare insieme per la pace. Per fare tutto questo
devono passare almeno cinque anni».
Intanto, Robert Ocan continua a
guidare la sua moto attraverso
l’insediamento ogni giorno per
assistere i rifugiati ovunque ci
sia bisogno, perché «il mio so-
gno è quello di vivere in un luogo
pacifico e dare alla mia famiglia la
stabilità e l’istruzione di cui non po-
trei godere. Spero che il mio lavoro
contribuisca a costruire ponti e sia
d’ispirazione per tanti giovani che,
come me, sono rimasti orfani a
causa della guerra. Cerco sempre
di insegnare che quando sei so-
pravvissuto è perché puoi di-
ventare un leader per la comu-
nità e un costruttore di pace».
Il prossimo giugno, Robert Ocan
e il missionario salesiano che lavo-
ra a Palabek Ubaldino Andrade si
recheranno in Europa per offrire
la loro testimonianza e chiedere
aiuto e collaborazione in diverse
città, tra cui Roma e Torino,
a tutte le istituzioni e orga-
nizzazioni per raggiun-
gere la pace nel Sudan
meridionale.

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INFORMATIVA sulla PRIVACY
e ABBONAMENTO GRATUITO
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
alla rivista
GENNAIO 2020
RSi.vGisitoavfaonnndiaBtoasdcao
nel 1877
FEBBRAIO 2020
Buoni cristiani
e onesti cittadini
ès“euUnnnzcaoormraptuoosriicoa
nSRe.ilGv1iis8ota7va7fonnndi Baotascdoa
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ATTENZIONE: Chi ha già inviato il modulo in precedenza non tenga conto della nuova richiesta.
Per informazioni siamo a vostra disposizione al numero 06.65612663.

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FMA
Emilia Di Massimo
Guatemala
Che belle parole i gesti!
«Siamo felici di essere insieme
accanto ai bambini e ai giovani
meno protetti. Nonostante le
difficoltà, Qualcuno ci ha aperto
la strada».
Le suore si
sono sentite
chiamate
particolar-
mente ad
essere una
presenza
accogliente
che condivide
la vita della
popolazione
indigena.
“Non c’erano letti, né tavoli, né sedie,
solo alcuni letti in prestito, così
che potessimo dormire, ma anche
due tavoli per un’eventuale riunio-
ne, sedie di plastica e panche vecchie della antica
cappellina del villaggio. La nostra casa è stata for-
mata con queste poche cose, con semplicità e gioia
e, con l’aiuto della comunità indigena, ogni diffi-
coltà è stata risolta”, ci dice suor Vilma Pino.
I giorni seguenti all’arredamento della casa, le Fi-
glie di Maria Ausiliatrice hanno iniziato le visite
ai malati e alle famiglie del villaggio di Chacté,
condividendo con le persone un tratto della loro
esistenza, tra cui il cibo che rafforza i legami in
quanto simbolo di amicizia e di convivialità. Esse-
re viandanti, pellegrine all’interno del villaggio, ha
permesso alle suore di conoscere le persone, le esi-
genze, le risorse, e di prendere visione del territorio,
innamorarsi del luogo, in attesa di poter comprare
uno spazio di terra per costruire i sogni in una bel-
lissima terra di missione.
Viandanti, pellegrine
Siamo nel Guatemala, dove le suore hanno inizia-
to una nuova fondazione. Attualmente sono una
presenza missionaria nel villaggio di Chacté, co-
mune di San Luis, a Petén. La Comunità è com-
posta da quattro Figlie di Maria Ausiliatrice: suor
Patricia Aguilar, suor Vilma Pino, suor Maria del
Carmen Mancía e suor Jennifer Ventura, le quali
collaborano in parrocchia per la formazione degli
animatori, per promuoverne l’impegno che li vede
protagonisti tra i giovani sia nella Chiesa sia nella
società, dando una bella testimonianza di cristia-
ni gioiosi e convinti. Inoltre le suore sostengono
la promozione delle donne e le accompagnano nel
loro compito di essere madri ed educatrici, custodi
della vita, della fede e della cultura. La formazione
26
Aprile 2020

3.7 Page 27

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dei catechisti per avviare i processi di evangeliz-
zazione è condotta mediante gli incontri formativi
e l’accompagnamento. Non manca l’offerta di altri
servizi formativi, quali la catechesi parrocchiale,
le visite alle comunità rurali e ai centri indigeni,
sognando che, in futuro, si possa aprire un centro
di accoglienza per i volontari che desiderano vivere
un’esperienza missionaria.
“Siamo felici di essere insieme accanto ai bambini
e ai giovani meno protetti, nonostante le difficoltà,
Qualcuno ha aperto la strada perché gradatamen-
te diventi realtà il sogno profetico che da tempo si
desidera”, afferma suor Patricia che, con le altre so-
relle, scopre che il territorio che abita è “terra santa”
perché si vive tra fratelli contadini e indigeni, già
entrati nell’esistenza di ogni Figlia di Maria Au-
siliatrice con il loro cuore semplice. A loro le suore
non parlano di Gesù ma lo annunciano con la loro
vita, con i gesti di ogni giorno, e questi sono vera-
mente le parole più belle!
A piedi nudi
Il 24 maggio 2019, solennità di Maria Ausiliatrice,
è stata inaugurata ufficialmente la nuova fondazio-
ne del Santissimo Salvatore: “Qaloq’ laj Na’ Mariiy
Guadaluup”, in lingua Q’eqchi, che in spagnolo si-
gnifica missione Casa Nuestra Señora de Guadalupe.
La festa si è svolta in un’atmosfera piena di gioia e
di speranza, la Chiesa era piena: hanno partecipato
tutti gli abitanti del villaggio e dintorni. Le suore si
sono sentite chiamate particolarmente ad essere una
presenza accogliente che condivide la vita della po-
polazione indigena composta da Q’eqchi, Mopanes,
Mestizos, Quiches e Poconchi, ma a loro volta sono
state accolte con affetto, infatti per loro gli abitanti
hanno preparato i pasti tradizionali della loro terra,
intensificando l’entusiasmo e saldando i reciproci le-
gami che si sono stabiliti sin da subito. Al tramonto
della giornata le suore e le giovani hanno ballato le
loro danze tipiche, recitato poesie nella piccola piaz-
za, ringraziando la Provvidenza per avere un Pick up
in prestito, per visitare i villaggi.
L’Ispettrice suor Roxana Maria Artiga, nel discor-
so di accoglienza, si è così espressa: “In linea con
quanto suggerisce papa Francesco, come Chiesa e
come Ispettoria in uscita, andiamo ad evangeliz-
zare continuando a proclamare Cristo, per essere a
Chacté una comunità dalle porte aperte. Abbiamo
sentito la voce di Dio sfidarci a cercarlo sui volti dei
bambini e dei giovani provenienti da San Luis. Vo-
gliamo aiutarli a trovare Dio in se stessi e a sentirsi
abitati da un Dio che li ama, ciascuno secondo la
propria storia personale”.
La popolazione fa eco alle significative parole di
suor Roxana Maria con quanto asserisce il mistico
Rumi: Io aspetto con silenziosa passione un gesto, uno
sguardo da te, e questo può giungere anche da ogni
parte del mondo, per questo le sorelle lasciano il
loro indirizzo mail: fmapeten@gmail.com
È stata
avviata
l’offerta
di servizi
formativi,
quali la
catechesi
parrocchiale,
le visite alle
comunità
rurali e
ai centri
indigeni.
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LA NOSTRA STORIA
A.B.
«Vi presento
don Bosco»
Arthur Lenti
Don Arthur Lenti è oggi conosciuto
in tutto il mondo salesiano, grazie
al successo dei suoi libri dal titolo
“Don Bosco: storia e spirito”,
tradotti in varie lingue.
Nato, proprio come don Bosco, in Pie-
monte, nel 1939, don Arthur è poi im-
migrato negli Stati Uniti, dove è entrato
nella Famiglia Salesiana. Dopo la gran-
de guerra mondiale, fece ritorno in Italia
per la formazione teologica, in prepa-
razione all’ordinazione sacerdotale e
studiò inoltre presso l’Istituto Bi-
blico di Roma. Dal 1975, vive al
“Don Bosco Hall” di Berkeley,
nello stato della California (Sta-
ti Uniti), casa fondata come resi-
denza per gli studenti salesiani di
teologia.
Per molti anni ha avuto il ruo-
lo di consigliere del
gruppo studente-
sco. Conosciu-
to per il suo
modo di vivere
semplice, l’a-
mabilità e la
disponibilità
di aiuto in qualsiasi servizio, ha goduto e gode an-
cora oggi dell’apprezzamento e affetto di tutta la
comunità salesiana del “Don Bosco Hall” che, per
molti anni è stata il suo focolare.
Forzato dalle necessità del periodo, e su ordine dei
suoi superiori, don Arthur tornò a Roma e qui con-
tinuò gli studi di salesianità in modo formale e con
grande diligenza, con entusiasmo studiò la storia e
la spiritualità di don Bosco nel contesto della Chie-
sa e della società del secolo. È così che nacque
l’Istituto di Studi Salesiani all’interno del “Don
Bosco Hall”, affiliato alla Scuola Domenicana di
Filosofia e Teologia.
Il pregevole lavoro di don Arthur J. Lenti, frutto di
venticinque anni d’insegnamento presso lnstitute
of Salesian Studies di Berkeley, è stato pubblicato
tra il 2007 e il 2010 nell’edizione originale inglese,
presso l’editrice , con il titolo Don Bosco: History
and Spirit (7 volumi). Tale lavoro ha suscitato da
subito grande attenzione e apprezzamento: è il pri-
mo manuale completo per lo studio di don Bosco e
della sua opera.
L’edizione italiana, accurata, rivisitata e adattata in
tre volumi, grazie al lavoro paziente e prezioso di
don Aldo Giraudo e don Rodolfo Bogotto è una
lettura magnifica per chi vuole veramente conosce-
re don Bosco.
Don Lenti, biblista di formazione, ha affrontato
l’impresa a partire dalla propria competenza di sto-
rico, esegeta ed ermeneuta, con grande sensibilità
didattica. L’attenzione critica alle fonti e agli studi,
la cura di citare i documenti originali, la preoccu-
pazione di corredare i capitoli con appendici bio-
grafiche e documentarie, conferiscono alla sua ope-
ra un’importanza particolare e ne fanno, a giudizio
dei nostri storici, uno degli strumenti più moderni
ed efficaci per lo studio di san Giovanni Bosco.
Spesso gli storici e gli studiosi di pedagogia e spi-
ritualità salesiana lamentano la scarsa conoscenza
della produzione scientifica su don Bosco e la sua
opera. Don Lenti ha saputo valorizzare ampiamente
le ricerche storiche, le edizioni scientifiche di fonti,
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Aprile 2020

3.9 Page 29

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gli studi critici e le molteplici pubblicazioni in ma-
teria. Ha assimilato con finezza critica tutto questo
materiale e ne ha restituito la sostanza. Tuttavia, non
si è limitato ad amalgamare, riassumere e divulgare
il lavoro degli specialisti. Vari capitoli sono frutto
originale e sostanzioso della sua personale ricerca e
riflessione. Ecco perché il suo lavoro risulta impor-
tante e utile per tutta la Famiglia Salesiana.
Perché il titolo Storia e spirito?
«Ho voluto intitolare questa serie di volumi Don
Bosco, storia e spirito: “storia” perché la vita e l’opera
di don Bosco si sono svolte in un contesto di eventi
decisivi che hanno aperto la strada ad una nuova
realtà socio-culturale e religiosa, locale e mondiale,
influenzando il suo pensiero e le sue scelte; “spirito”
perché attraverso un processo interiore di docilità
alla grazia, di discernimento, di interpretazione, di
accettazione e di attiva cooperazione egli ha saputo
cogliere la novità emergente e rispondere coraggio-
samente con la propria vocazione, nel dono incon-
dizionato di sé, accettandone le sfide».
Come comprendere la spiritualità
salesiana?
«Parlare di spiritualità non è tanto facile come si
potrebbe pensare. Il termine “spiritualità” è ambi-
guo; non ci sorprende quindi che con il passare del
tempo sia stato compreso in modi molto diversi e,
a volte opposti tra di loro. Un esempio molto chia-
ro è che quando si parla di spiritualità alla gente,
solitamente la si considera solo come un’azione in-
teriore e individuale. Ma al contrario la spiritualità,
per essere autentica, non può esistere se non in re-
lazione con gli altri, come bene l’aveva compresa e
vissuta don Bosco. Come salesiani possiamo vedere
la “spiritualità” come il mezzo con il quale ci muo-
viamo e ci relazioniamo con i fratelli della comu-
nità, con i giovani, con le persone che condivido-
no con noi la missione educativo-evangelizzatrice
della gioventù; dunque, in generale, con la gente.
Fondamentalmente la spiritualità è amore, è carità.
Non dobbiamo esserne però “soddisfatti”. In termi-
ni pratici, se sostituiamo il termine spiritualità con
un altro che a volte ci aiuta a esprimere la nostra
idea di un mondo migliore, potremmo ben usare
termini come amore, carità, amicizia, desiderio di
aiuto, disponibilità di aiuto del prossimo ecc. Presi
tutti nell’insieme, questi termini potrebbero ben
descrivere la spiritualità del quotidiano come la in-
tendeva don Bosco.
È giusto inoltre ricordare che don Bosco ha vissuto
come un mistico, vale a dire con una forte unione
con Dio, con i santi, soprattutto la Vergine, con
cui parlava con autentica familiarità. E non solo,
egli intese la vita mistica (spirituale) come amore
cristiano messo in pratica, vissuto come apostolato.
E questo non solo come espressione di umanità, di
filantropia, ma come una profonda unione interiore
con Dio.
È per questo che è possibile sostituire la parola
spiritualità con termini come amore e carità cri-
stiana. Si comprende meglio quanto detto se ricor-
diamo, per esempio, che alcune persone in visita
all’oratorio di don Bosco restavano sorprese e im-
pressionate dall’“ambiente soprannaturale” che si
respirava. Questo fatto era dovuto non solo all’in-
tensa vita sacramentale, alle pratiche religiose e de-
vote, ma anche e in particolar modo, visto il grande
livello, a dir poco quasi soprannaturale, di amore
cristiano che motivava le vite di questi “semplici”
adolescenti e preadolescenti.
Il centro di tutto quest’ambiente era lo stesso don
Bosco e la sua relazione con Dio che, come un sole,
irradiava tutti coloro che gli erano attorno. È giusto
ricordare, inoltre che, per principio, la spiritualità
non è un qualcosa di elitario. Il Concilio Vatica-
no II lo comprese bene. La spiritualità non è riser-
vata ai vescovi, sacerdoti e religiosi, ma coinvolge
tutti quanti. Questo vuol dire che al giorno d’oggi
i membri della Famiglia Salesiana possono vivere
questo tipo di spiritualità. Don Bosco si aspetta
da ciascuno di noi che siamo pronti e disponibili a
lavorare con carità.
Aprile 2020
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3.10 Page 30

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I NOSTRI EROI
F.B.
Carlo Crespi
Vero genio, vero santo
Eccezionale figura di missionario e scienziato dalla personalità
poliedrica, per quasi 60 anni operò in Ecuador, tenacemente
radicato e inculturato nell’ambiente e nella società
ecuadoriana. È ufficialmente riconosciuto come “il miglior
regalo fatto dall’Italia dei grandi esploratori all’Ecuador”.
E la città di Cuenca lo ha dichiarato “il Cuencano più illustre
del xx secolo”.
Del suo luogo di nascita, Carlo Cre-
spi amava dire: «Sono nato a Legnano,
famosa città Lombarda dove l’imperatore
germanico Federico Barbarossa subì una
storica sconfitta». Terzo di tredici figli, era nato il
29 maggio 1891. Gli anni della fanciullezza, che
passò con i fratelli e le sorelle scorrazzando per i
campi amministrati dal padre, inebriandosi di sole,
di luce, di contatto con la natura, contribuirono ad
influenzare le sue inclinazioni: l’amore e lo studio
della natura. Sia lui che il fratello Delfino (entram-
bi diventeranno missionari salesiani), impararono
da questo habitat familiare ad amare i fiori e le
piante che tanta parte avranno negli anni passati
nelle foreste amazzoniche l’uno, e in quelle tailan-
desi l’altro. Sempre in famiglia venne preparato il
terreno perché attecchisse, poi, il seme della voca-
zione sacerdotale in Carlo e Delfino. Infatti, dopo
cena, la madre Luisa riuniva attorno a sé lo sciame
dei suoi figli per la recita del S. Rosario, abitudine
che contribuirà a permeare a fondo le pratiche reli-
giose di Carlo e non lo abbandonerà sino all’ultimo
giorno di vita; con il rosario in mano chiuderà gli
occhi per aprirli sull’eternità.
A dodici anni incontrò i salesiani presso il Collegio
sant’Ambrogio di Milano, che fu per lui come una
30
Aprile 2020

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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4.2 Page 32

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I NOSTRI EROI
Una
simpatica e
affettuosa
caricatura
di don Carlo
Crespi,
conosciuto
e amato in
tutta la città.
come me, il cuore così traboccante di gioia. Eppure
io aveva lasciata una madre e dei fratelli carissimi;
lasciavo la culla della Congregazione, lasciavo dei
superiori tanto cari, sapevo di non andare ad una
festa, ma nell’ignoto, in una regione ove tanto avrei
sofferto; eppure ricordo che, non potendo più resi-
stere alla gioia, e trattenere un inno di riconoscenza
al Signore, sgorgante da tutte le fibre del mio esse-
re, scesi nella deserta sala dei concerti, mi sedetti al
piano, ed intonai un grandioso pezzo lirico che tutta
interpretasse la infinita gioia del mio cuore”.
La “scoperta” del mondo ecuadoriano, in un primo
tempo incanta l’ospite e capta l’interesse dello
studioso. “Rapito nella sublime contemplazione della
natura – egli dice – mi sono sentito schiacciato dall’onni-
potenza creatrice, umiliato alla vista di un mondo nuo-
vo, quasi completamente inesplorato dalla scienza”.
Con lo stupore di un fanciullo. Crespi si abbandona
a descrivere l’ambiente e il clima tropicale, la flora,
la fauna nei loro aspetti d’insieme e più spettacolari;
poi non si trattiene da un’analisi più particolareggiata
e propria della sua natura di studioso.
Sbarcò a Guayaquil e si diresse a Quito; subito
dopo si trasferì a Cuenca dove rima-
se per tutta la vita. Iniziò il suo
enorme lavoro per i poveri: fece
installare a Macas la luce elet-
trica, aprì una scuola agricola
a Yanuncay, facendo arrivare
dall’Italia macchinari e per-
sonale specializzato. Riuscì ad
aprire numerosi altri laboratori,
creando la prima scuo-
la arti e mestie-
ri, riconosciuta
in seguito come
Università Politec-
nica Salesiana. A Ya-
nuncay diede alloggio
ai novizi e nel 1940 aprì
anche la facoltà di Scienze dell’Edu-
cazione, divenendone il primo rettore.
Istituì anche la scuola elementare “Cornelio Mer-
chàn” per bambini poverissimi. Aprì un collegio di
Studi Orientali per dare la formazione necessaria
ai Salesiani destinati all’Oriente ecuadoriano. Fon-
dò il museo “Carlo Crespi”, ricchissimo di reperti
scientifici e conosciuto anche al di fuori dell’Ame-
rica.
Don Crespi si moltiplica: è un uomo che non riposa
mai! Mentre durante il giorno dirige e finanzia le
sue opere, di notte continua l’opera lasciata incom-
piuta. Giorno e notte la gente senza risorse accorre
a lui in code interminabili: ed egli mette la mano
nella larga tasca della veste nera e il denaro esce
come per incanto. Generazioni di persone si susse-
guono nel tempo beneficiando del cuore generoso
e tenero di questo sacerdote, seminatore di scuole,
campi sportivi, refettori per bambini poveri.
Divulgò con tutte le sue forze la devozione a Maria
Ausiliatrice, trascorrendo parte del tempo nell’o-
monimo santuario. Il suo confessionale, specie ne-
gli ultimi anni di vita, era affollato e la gente co-
minciava a chiamarlo spontaneamente “San Carlo
Crespi”. Era sempre in mezzo ai poveri: la domeni-
ca pomeriggio faceva catechismo ai ragazzi
di strada dando loro, oltre al divertimen-
to, il pane quotidiano. Organizzò
laboratori di taglio e cucito per le
ragazze povere della città. Rice-
vette numerose onorificenze, tra
cui: la medaglia d’oro al merito
dal presidente della Repubbli-
ca dell’Ecuador; il Canonica-
to onorario della cattedrale di
Cuenca; la Medaglia d’oro al
merito educativo dal Ministro
dell’Educazione; la Commen-
da della Repubblica Italiana;
la dichiarazione di “Abitante
più illustre di Cuenca nel XX se-
colo”; il dottorato Honoris Causa
post mortem da parte dell’Uni-
versità Politecnica Salesiana.
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Aprile 2020

4.3 Page 33

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Un abito talare
vecchio e stinto
Don Carlo fu certamente musicista, scienziato, in-
gegnere…, ma egli fu prima di tutto e innanzitutto
un missionario che con le sue ricerche, i suoi studi,
i suoi interventi ambientali e sociali, era interessato
alla salvezza dell’uomo integrale e, solo come co-
rollario a questo obiettivo primario, si serviva dei
suoi talenti scientifici e musicali.
Dietro il suo estenuante lavoro, si cela la volontà
di don Carlo di imitare Cristo, nella scelta prefe-
renziale per i poveri, nell’avvicinamento ai bambi-
ni, nella preoccupazione per i peccatori, nel totale
disinteresse per sé e nella virtù dell’umiltà riflessa
nella semplicità dei suoi gesti. I suoi aneliti acca-
demici e culturali andavano affievolendosi, mentre
vedeva ogni giorno che coloro che più gli si strin-
gevano attorno erano le persone più bisognose del
suo aiuto. Egli si dedicò inizialmente ad acquistare
consapevolmente copie senza valore di reperti ar-
cheologici, pagandoli di tasca propria, vivendo in
umiltà, conservando per sé solo una vecchia tonaca
e un paio di scarpe consunte, e alimentandosi in
maniera frugale. I poveri del quartiere di Maria
Ausiliatrice e di tutta la città erano il suo pensiero
costante giorno e notte; per tutti loro visse e morì.
Con il passare degli anni, ciò che gli stava mag-
giormente a cuore era l’amministrazione dei sacra-
menti. A ciò si aggiungeva la totale dedizione nei
confronti dei bambini, che non abbandonò mai,
nonostante la rigida disciplina comunitaria e i pa-
reri difformi di alcuni confratelli.
Dice uno dei suoi ammiratori: “In età avanzata,
non si preoccupava di se stesso, da tempo i suoi abiti
avevano smesso di essere neri per trasformarsi in un co-
lore verdastro per il degrado e l’usura”. Le sue scarpe
erano consumate, grossolane e rozze. L’abito talare
vecchio e stinto. La camera, disadorna, era arre-
data solamente da un piccolo letto di legno. Per la
stanchezza si coricava spesso vestito. In tarda età
aveva una barba lunga e incolta. Era talmente pres-
sato dalla mancanza di tempo per far fronte alle
numerose richieste pastorali nel Santuario di Maria
Ausiliatrice, che quasi non andava più nel refettorio
della comunità. Vi sono dei testimoni che afferma-
no che don Carlo, in diverse occasioni preferì ven-
dere i tagli di tessuto e le tonache ricevuti in regalo,
e con i pochi soldi racimolati acquistava abiti o ge-
neri alimentari per i bambini poveri.
Le autorità, gli educatori, i giornalisti di Cuenca
mettevano sempre in luce questi aspetti della per-
sonalità di Carlo Crespi. Le onorificenze e i rico-
noscimenti, dapprima gli furono concessi per la sua
opera artistica e intellettuale, successivamente per
la sua totale dedizione ai poveri. E ciò, sebbene ini-
zialmente fosse convinto che fosse più importan-
te per la città lo sviluppo culturale in tutte le sue
sfaccettature e soprattutto il progresso economico,
attraverso l’integrazione della regione orientale nel
contesto nazionale.
Oggi, nell’antica piazza Guayaquil, di fronte alla
chiesa e al convento, sorge un grande gruppo
scultoreo raffigurante Carlo Crespi al centro e un
bambino al suo fianco che lo guarda affettuosa-
mente.
Il suo
confessionale,
specie negli
ultimi anni
di vita, era
affollato
e la gente
cominciava
a chiamarlo
spontanea-
mente “San
Carlo Crespi”.
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4.4 Page 34

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COME DON BOSCO
Pino Pellegrino
La tenerezza
Èimpossibile che esista ‘umanità’, se non esi-
ste la tenerezza. Togli la tenerezza ed hai il
freddo, l’asociale, l’indifferente, il crudele, il
disumano.
Due fatti.
In treno una donna fissa con tristezza la borsa che
tiene sulle ginocchia, quando, parlando con l’ami-
ca, dice, quasi angosciata: «So che mio marito può
essere buono, affettuoso! Con il cane si comporta così...
Con il cane, non con me!».
Una madre sta facendo ragionamenti, raccomanda-
zioni, ‘prediche’ alla figlia (terza liceo). La ragazza
ascolta con espressione dura e tesa. Poi guarda la
madre dritta negli occhi e scandisce: «Mamma, sono
stufa e stanca delle tue prediche! Perché, invece, non mi
prendi tra le tue braccia e mi tieni stretta? Nessun con-
siglio potrà mai farmi tanto bene. Per favore, abbrac-
ciami!».
Ecco che cosa manca oggi: manca la tenerezza!
Manca il gheriglio dell’umano!
Sì, perché la tenerezza non è tenerume, non è me-
lassa. ‘Tenerezza’ è parola di nove lettere, ma di
spessore enorme.
Tenerezza è:
rimanere in silenzio per ascoltare l’altro,
rispondere con un sorriso,
preferire accarezzare la mano del malato che su-
bissarlo di parole,
salutare per primo,
dare una coperta a chi ha freddo,
telefonare per rompere la solitudine di qualcuno,
essere presenti senza essere pesanti.
La tenerezza addolcisce la vita e la tiene in piedi,
più del pane e del companatico, sostengono gli psi-
cologi. La tenerezza è un nostro bisogno assoluto.
Tanto che in America hanno addirittura inventato
la Festa delle coccole (‘Cuddle Party’).
EMERGENZA UOMO
Il tempo si è fatto breve: o l’uomo
torna ad essere umano o i dinosauri
torneranno a trotterellare sulla Terra.
Se l’emergenza ecologica è allarmante,
l’emergenza antropologica è drammatica.
Urge fermare lo scardinamento
dell’uomo con proposte concrete
come quelle che, di mese in mese,
offriamo ai lettori.
Secondo gli ideatori i ‘Cuddle Party’ sono un modo
per guarire dall’alienazione metropolitana. Sono
validissimi per ritrovare l’‘umano’ dopo tanti incon-
tri con sole macchine, con soli oggetti.
Non è il caso di partecipare ad un incontro del
Cuddle Party’ per incontrare la tenerezza. La pos-
siamo gustare a casa nostra se le apriamo al porta e
la facciamo entrare. Le vie per introdurla non man-
cano. Ci limitiamo a due.
L’importanza della sera
La prima è quella di non sprecare la sera. La
sera è il momento che, più
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d’ogni altro, è adatto a seminare tenerezza. La sera
è benigna, è tenera, è discreta.
Prima di andare a letto c’è nell’aria voglia di calore,
di affetto, di stringersi insieme. La notte incombe
e fa paura: si desidera che qualcuno ci tenga per
mano. Il calore della sera fa dimenticare le impa-
zienze e le tensioni della giornata.
Don Bosco, che di educazione si intendeva, ha ca-
pito che le ore della sera sono importanti. Per que-
sto ha voluto la ‘Buona notte’. Cioè quel discorsetto
affettuoso che nelle Case salesiane il Direttore ri-
volge alla sua ‘famiglia’ per chiudere la giornata.
Don Bosco aveva capito che di sera si aggiustano
i cuori!
I genitori che rincalzano le coperte ai loro pic-
coli, non solo mantengono la giusta temperatura
della famiglia, ma fanno sì che la terra continui
ad essere abitata da uomini che ancora conosco-
no la tenerezza e i sentimenti, abitata da uomini
che non sanno solo accumulare, ma anche ardere.
Traguardo saggio come nessun altro. Mettere al
mondo figli e non umanizzarli tanto
vale (scusate!) fabbricare robot o
coltivare funghi!
Il tono della voce
La seconda via alla quale qui vogliamo accennare
per introdurre in casa la tenerezza è il tono della
voce. Il tono non è il volume e neppure il timbro.
Il volume dipende dalla capacità polmonare, il tim-
bro dal patrimonio cromosomico genetico.
Il tono è il calore e il colore che l’anima mette nelle
parole.
Il tono della voce umana ha sfumature amplissime
per comunicare mille sentimenti: amore, passione,
gioia, dolcezza, delusione, speranza, coraggio…
Per questo lo proponiamo come ottima strategia
per innaffiare le radici della tenerezza.
D’altronde lo sanno bene le mamme che, fin dalla
nascita, parlano al bambino con tono dolce, affet-
tuoso, tenero, lieve, accogliente, rassicurante, ac-
cattivante…
Tutti gli psicologi concordano nel dire che i piccoli
sono sensibili al tono delle parole ben più che al loro
contenuto.
La loro sensibilità è così elevata da renderli tutti
ostili all’urlo.
L’urlo crea tensione e irritazione.
L’urlo è la sponda opposta della tenerezza.
Dunque da bandire da chi vuole un mondo di uma-
ni e lasciarlo alle belve della foresta.
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4.6 Page 36

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LA LINEA D’OMBRA
Alessandra Mastrodonato
La realtà in cui siamo
immersi appare, infatti,
L’insostenibile sempre più fluida, incerta,
mutevole: si modifica
così rapidamente da non
“liquidità” darci neppure il tempo di
individuare dei punti fermi
dell’essere a partire dai quali poterci
Una vita liquida. È questa l’esperienza che
i giovani adulti del terzo millennio assai
spesso si ritrovano a fare del proprio vis-
suto quotidiano, segnato da cambiamenti
continui, dalla provvisorietà di legami e situazioni,
orientare nel mondo.
di aver finalmente e faticosamente conquistato un
porto sicuro in cui riprendere fiato, subito ci ribut-
ta tra le onde vorticose di nuovi cambiamenti che
dal liquefarsi di ogni certezza o punto di riferi- sovvertono e stravolgono ogni progetto a lungo ter-
mento duraturo cui aggrapparsi in modo saldo per mine.
non esser trascinati via dalla corrente impetuosa di Succede così che, di fronte alla precarietà del nostro
un’esistenza che scorre troppo in fretta.
vissuto quotidiano, anche noi finiamo con il subire
La realtà in cui siamo immersi appare, infatti, sem- una metamorfosi profonda che coinvolge la nostra
pre più fluida, incerta, mutevole: si modifica così stessa identità. Diventiamo anche noi esseri “liqui-
rapidamente da non darci neppure il tempo di in- di” e privi di forma, che si adattano loro malgrado
dividuare dei punti fermi a partire dai quali poter- ad ogni situazione o contingenza, che si riciclano in
ci orientare nel mondo e, anche quando ci sembra lavori diversi e spesso estemporanei, che diluiscono
emozioni e sentimenti in relazioni superficiali e “di
passaggio”. Ci abituiamo a fluttuare attraverso una
Liquido è il mio corpo
rete di connessioni intermittenti che faticano a tra-
che si piega ad ogni condizione,
dursi in legami duraturi e impariamo a modificare
alcool che si adatta al vetro del contenitore.
così velocemente i nostri schemi mentali e i nostri
Liquidi i principi e il mio concetto di morale,
modi di agire da perdere di vista la rotta della no-
liquido è il miscuglio
che mi aiuta a non pensare
che sono un uomo liquido
e sotto questo sole
potrei evaporare
e diventare nuvola,
magari un temporale...
stra biografia e del nostro progetto di vita.
Persino i valori e gli ideali perdono di consistenza
e divengono sempre più effimeri e negoziabili: ciò
che conta sono la flessibilità e la velocità di adat-
tamento, mentre tutto ciò che, tenendoci ancorati
alle nostre radici e alla nostra identità, ostacola o
rallenta il cambiamento viene percepito come uno
scomodo fardello di cui liberarsi quanto prima per
non rischiare di rimanere indietro.
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Si tratta di una metamorfosi disgregante, che non
avviene mai in maniera indolore, ma di cui porta-
no maggiormente il peso proprio i giovani adulti,
costretti a fare i conti con una precarietà lavorativa,
affettiva ed esistenziale che non di rado comporta
trasformazioni continue e disorientamento e impo-
ne la disponibilità a mutare ad ogni passo la propria
direzione di marcia. E in questo sgretolarsi di ogni
certezza e prospettiva, è forte il rischio di smarrir-
si, di perdere se stessi, di veder dissolta la propria
identità in un miscuglio confuso e inconcludente di
esperienze, relazioni e cambiamenti di cui spesso si
fa fatica a cogliere il senso unitario.
Ma se è vero che nella “modernità liquida” in cui
annaspiamo è sempre più difficile trovare uno sco-
glio sicuro al quale aggrapparsi per trarsi in salvo
dal rischio sempre incombente del naufragio, è pro-
prio in questo che, in fondo, consiste la scommessa
con cui siamo chiamati a confrontarci nel difficile
cammino verso l’adultità: quella di riuscire, nel vor-
ticoso turbinio della corrente, a gettare un’ancora
abbastanza pesante da riuscire a far presa anche nei
Liquido è il lavoro e il sesso
e le mie convinzioni,
liquide le ideologie e le nuove religioni,
liquidi i valori ed il mio senso del dovere.
Liquida è una lacrima
che mi aiuta a non vedere
che sono un uomo liquido
e sotto questo sole
potrei evaporare
e trasformarmi in nuvola,
magari un temporale.
E in mezzo a rocce secolari e letti di fiumare,
attraversando le stagioni,
riconsegnarmi al mare,
al mare...
(Brunori Sas, La vita liquida, 2017)
fondali sabbiosi della complessità e, nel contempo,
allenarci a nuotare controcorrente per riuscire ad
aprirci un varco nell’insostenibile “liquidità” del
mondo.
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4.8 Page 38

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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
Francesco Motto
Una firma di don Bosco su
due circolari di tre Rettori Maggiori
Non è un gioco di parole,
né un rebus, e neppure un puzzle,
ma ciò che veramente è successo
nella storia salesiana con una
lettera manoscritta di don Bosco
che per almeno 25 anni è passata
nelle mani di migliaia di persone.
Il Beato
Michele
Rua primo
successore
di don Bosco.
Una circolare manoscritta
di don Bosco
Si sa che don Bosco fece molto uso della stampa –
aveva avviato una propria tipografia per insegnare
“il mestiere” ai suoi ragazzi e diffondere i propri li-
bri – ma non molti sanno che fece talora anche uso
di quella che costituisce una sorta di antenato della
fotocopia: ossia la litografia (diventata successi-
vamente fotozincotipia), una tecnica di stampa
chimico-fisica con cui si potevano moltiplicare
perfettamente le immagini, i disegni, i manoscritti.
Ora il 1° novembre 1886 don Bosco ringraziava
con una letterina-circolare (che vedete qui accanto)
i moltissimi benefattori che avevano risposto al suo
pressante appello di venirgli in soccorso per finan-
ziare il costosissimo viaggio dei suoi numerosi mis-
sionari e le altrettanto notevoli spese di tutto il ma-
teriale da portare in territori dove non vi era quasi
nulla di ciò che era indispensabile ad una missio-
ne salesiana. Essi – scriveva don Bosco – “vanno
a lavorare per guadagnare al Vangelo i selvaggi di
America e specialmente della Patagonia”.
Don Bosco accompagnava il suo grazie con i “sin-
ceri e ben dovuti ringraziamenti” degli stessi mis-
sionari, che “pregano in modo speciale” per i be-
nefattori e le loro famiglie. “Incoraggiati poi dagli
aiuti materiali e morali che loro porgete, raddop-
pieranno di zelo, e se occorre, daranno volontieri
anche la vita per cooperare alla salvezza delle ani-
me, dilatare il regno di Gesù Cristo portando la
religione e la civiltà tra quei popoli e nazioni che
l’una e l’altra tuttora ignorano”.
Chiudeva la letterina con l’usuale formula che tor-
nava graditissima ai suoi destinatari: “Dio vi be-
nedica tutti, Dio ricompensi largamente la vostra
carità e vi renda felici nel tempo, più felici ancora
nella beata eternità”.
Una volta firmato, don Bosco fece moltiplicare il
manoscritto in migliaia di copie con il suddetto
procedimento litografico e lo fece spedire ai bene-
fattori. Questi al riceverlo erano contentissimi di
avere fra le mani un testo autografo di don Bosco.
Le offerte per le missioni continuarono ad arrivare
anche dopo la data della lettera, per cui don Bo-
sco – settantenne, fisicamente prostrato e ormai
“ombra di se stesso” – utilizzò lo stesso autogra-
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fo, togliendo però prima il giorno (1°), poi il mese
(novembre) e infine, nel 1887 anche l’anno (1886).
In calce vi rimase così unicamente la firma di don
Bosco, senza un qualsiasi riferimento cronologico,
tranne l’indicazione della data topica, Torino.
La solita circolare ma con
la duplice firma di don Bosco
e di don Rua
Ma non solo: morto don Bosco nel 1888, don Miche-
le Rua che gli successe come nuovo rettor Maggiore
dei Salesiani pensò bene di utilizzare per un certo
tempo lo stesso autografo di don Bosco per ringra-
ziare i propri benefattori. Sotto la firma di don Bosco
appose allora la propria firma, con la semplice ag-
giunta “Successore di don Bosco”, sempre senza data.
E così oggi, non solo in Italia, si possono trovare que-
ste circolari con le due firme. Possiamo immaginare
la gioia di chi ricevette e magari conserva tuttora tale
lettera scritta e firmata da don Bosco e sottoscritta
pure da don Rua, ossia da un santo e da un beato.
Ma presto in quello che sarebbe stato il suo lun-
go Rettorato (1888-1910) don Rua maturò un’altra
idea. Fece riprodurre l’autografo di don Bosco sul
secondo foglio di lettera e sul primo foglio, rimasto
libero, vergò una propria lettera di ringraziamen-
to ai benefattori. Vi inserì le seguenti emozionanti
righe: “Non saprei esprimere meglio la mia ricono-
scenza che servendomi delle parole del nostro indi-
menticabile padre D. Bosco. Troverà in 3a pagina
una lettera scritta tutta di sua mano e riprodotta
in fotozincotipia. Spero tornerà di suo gradimento
conservare un ricordo dei sentimenti e dei carat-
teri del santo sacerdote che noi tuttora piangiamo
quaggiù sebbene già lo teniamo come nostro pro-
tettore in Paradiso. La firmò, la fece riprodurre in
tante copie e la spedì. I destinatari ebbero così su
una sola lettera due manoscritti di santi. Don Bo-
sco aveva detto a Michelino Rua: “noi due faremo a
metà”. Ed in effetti fece a metà con don Rua finché
era vivo, ma, come si vede, dopo la sua morte pensò
don Rua a far a metà con don Bosco.
Due circolari, tre firme
dei Rettori Maggiori
su una sola lettera
La storia della circolare di don Bosco non
finisce qui. Deceduto anche con Rua
nel 1910 – un trionfo i suoi fune-
rali, paragonabili a quelli di don
Bosco – toccò a don Paolo Al-
bera succedergli come secondo
successore di don Bosco.
Ebbene che fece don Albera
per ringraziare qualche suo
benefattore alla vigilia del-
la prima guerra mondiale?
Fece come don Rua con don
Bosco. Riprese la circola-
re di don Rua con allegata
la lettera di don Bosco, la
firmò a sua volta come “suc-
cessore di don Rua”, vi pose
la data, la fece moltiplicare e
la spedì (vedi lettera qui ac-
canto). Dunque tre firme di
Rettori Maggiori poste su
una sola lettera: quale gioia
per chi la ricevette!
A questo punto non era stato solo don Rua a fare
a metà con don Bosco, ma era anche don Albe-
ra a fare a metà con don Rua (e don Bosco). Non
per nulla quando era in Francia veniva chiamato
“le petit Don Bosco”; non per nulla da sempli-
ce studentello nel 1860, si era unito a don Bosco
ed ai “salesianetti” della primissima ora (i chierici
Rua, Bonetti, Francesia, Cerruti, Ghivarello…) per
chiedere all’arcivescovo di Torino mons. Fransoni,
in esilio a Lione, l’approvazione alla nascente con-
gregazione salesiana.
La storia salesiana è una catena composta da una
serie di anelli l’uno innestato nell’altro, da don Bo-
sco fino all’attuale Rettor Maggiore, senza soluzio-
ne di continuità.
Don Paolo
Albera
secondo
successore
di don Bosco.
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4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A cura di Pierluigi Cameroni postulatore generale
Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione
dei nostri beati, venerabili e servi di Dio, sono pregati
di segnalarlo a postulazione@sdb.org
Per la pubblicazione non si tiene conto delle lettere
non firmate e senza recapito. Su richiesta si potrà
omettere l’indicazione del nome.
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di aprile preghiamo per la beatificazione
del venerabile Rodolfo Komorek, salesiano missionario,
di cui ricorre il 25° di riconoscimento della venerabilità.
Il Venerabile don Rodolfo Ko-
morek nacque l’11 agosto 1890
a Bielsko (Polonia). Fu sacerdote
nella diocesi di Breslavia. Du-
rante la guerra 1914-18 fu cap-
pellano militare in ospedale e al
fronte. Fatto prigioniero a Trento
dagli Italiani, poté maturare la
sua vocazione alla vita religiosa
nella Congregazione salesiana
dove entrò per il noviziato nel
1922. Aspirava a essere missio-
nario; nell’ottobre del 1924 ven-
ne destinato al Brasile, non però
tra gli indigeni come avrebbe
desiderato, ma per la cura pa-
storale dei polacchi emigrati. Si
distinse come evangelizzatore
e confessore d’eccezione. Lo
chiamavano “Il padre santo”. Di-
cevano di lui: “Non fu mai visto
un uomo pregare tanto”. Passò
per varie parrocchie e comunità
salesiane. San José dos Campos
fu l’ultima tappa dei suoi 25
anni di missione, senza ritorni
in patria. Fu lieto di dare a Dio,
con generosità, fino all’ultimo,
i respiri dei suoi polmoni am-
malati. Passò gli ultimi giorni in
continua preghiera. Morì a 59
anni. È stato dichiarato Venera-
bile il 6 aprile 1995.
Preghiera
Glorifica, Signore, il tuo servo,
il Venerabile padre Rodolfo Komorek,
che durante la vita, per tuo amore,
s’immolò per il bene del prossimo,
soprattutto per i poveri e per i sofferenti,
lasciandoci ammirabili esempi di povertà,
penitenza e umiltà.
Concedimi, per sua intercessione,
la grazia che ti chiedo.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
CRONACA DELLA POSTULAZIONE
Il 31 gennaio 2020 a Meruri (Mato Grosso), monsignor
Protógenes José Luft, vescovo di Barra do Garças, ha chiuso
ufficialmente l’Inchiesta diocesana sulla vita, sul martirio,
nonché sulla fama di martirio e di segni dei Servi di Dio Ro-
dolfo Lunkenbein, Sacerdote Professo della Società di San
Francesco di Sales e dell’indigeno Simone Cristiano Koge
Kudugodu, detto Simão Bororo, Laico, uccisi in odio alla
fede il 15 luglio 1976.
LIBRI
ANS - Roma
Don Bosco
La storia infinita, Elledici
Il nuovo libro di don Bruno Ferrero, Direttore
del Bollettino Salesiano italiano, si compone di
sette capitoli che scorrono velocemente sotto gli
occhi del lettore, ognuno concluso da una sto-
ria vera dei nostri giorni, a testimoniare il valore
della presenza salesiana in ogni angolo del mondo.
Pagine che narrano
la passione di don
Bosco nel realizza-
re i suoi sogni, fino al 31 gennaio 1888, alle 4:20,
quando il santo dei giovani concluse la sua missione
terrena.
40
Aprile 2020

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO E` BENEDIZIONE
Francesco Cereda
Don Francesco Maraccani
Morto a Roma, il 24 gennaio 2020 a 83 anni
Dio ha chiamato a sé il nostro
caro confratello don Francesco
Maraccani all’età di 83 anni,
dopo una vita vissuta in dedi-
zione intelligente e generosa a
servizio dei giovani, dei confra-
telli e della congregazione. Egli
è sempre stato cagionevole di
salute con numerosi mali che
egli conosceva perfettamente
e dei quali spesso parlava con
compiacimento. In due mesi
una breve malattia lo ha con-
dotto rapidamente alla morte.
Egli nasce il 30 ottobre 1936
a Pavone del Mella (Brescia).
Durante il tempo della scuola
elementare cresce all’Oratorio
salesiano, dove è direttore del-
la comunità e incaricato dell’O-
ratorio don Michele Benedetti,
il padre come lo chiamavano,
che tanto influsso spirituale e
apostolico ha avuto su di lui e
su altri giovani che divennero
poi salesiani.
Emette la prima professione il
16 agosto 1954, la professione
perpetua il 14 agosto 1960. Nel
1963 consegue la Laurea in In-
gegneria elettronica al Politec-
nico di Milano. Viene ordinato
sacerdote il 18 marzo 1967. Nel
mese di giugno dello stesso
anno, consegue la Licenza in
Teologia presso la Pontificia
Università Gregoriana.
Dopo l’ordinazione presbite-
rale, per 12 anni, dal 1967 al
1979 è Preside dell’Istituto Tec-
nico Industriale “Don Bosco”
di Brescia. Nel 1974 diviene
anche Direttore della comunità
salesiana, ufficio che ricopre
per cinque anni, fino al 1979,
senza tralasciare le 25 ore di
scuola settimanali e l’insegna-
mento nel centro di formazione
professionale serale. All’Ispet-
tore che gli chiedeva di ridurre
le ore di scuola, rispondeva che
non gli pesava l’insegnamento
e che era il modo di stare vici-
no ai giovani. Sono gli anni più
belli della sua vita vissuta con i
giovani; gli piaceva insegnare;
lo faceva con passione e con
una chiarezza che i ragazzi gli
riconoscevano e per le quali lo
apprezzavano e gli arrecavano
simpatia. Si ricorda quell’anno
in cui all’esame di maturità
scopre tra lo stupore di tutti
che il compito di elettronica è
errato e non è risolvibile; sarà
informato il ministero che cor-
reggerà la prova.
Dal 1970 al 1979 è Consigliere
ispettoriale nell’Ispettoria lom-
bardo emiliana. Con dispiacere,
ma disponibile all’obbedienza,
lasciò l’insegnamento, quan-
do fu nominato ispettore. Dal
29 giugno 1979 al 23 ottobre
1984 ricopre l’ufficio di Ispetto-
re della Ispettoria “San Zeno”,
con sede a Verona. Don Fran-
cesco ha vissuto l’obbedienza
come un sentirsi guidato e ac-
compagnato. Nell’obbedienza
ha trovato pace, serenità, felici-
tà, gioia. La sua vita è stata un
susseguirsi di incarichi sempre
più impegnativi, vissuti con ob-
bedienza
Nel mese di ottobre 1984,
viene chiamato a Roma dal
Rettor Maggiore, don Egidio
Viganò, che gli affida l’ufficio
di Segretario del Consiglio
generale, incarico che ricopre
ininterrottamente per 18 anni
fino al 2002. Dal luglio 2002
al novembre 2015, per 13 anni,
ricopre l’ufficio di Procuratore
generale della Congregazione
presso la Santa Sede e portavo-
ce del Rettor Maggiore. Ha par-
tecipato a 8 Capitoli generali,
dal 1971 al 2014. Nel 1990 è
stato il Regolatore del Capitolo
generale 23°. Dal 2015 fino nel
novembre 2019, nonostante
l’età avanzata ed i problemi di
salute, ha continuato a lavorare
senza sosta nell’Ufficio giuridi-
co della Congregazione salesia-
na. Ha condotto, fino alla fine
del suo pellegrinaggio terreno,
una vita religiosa e sacerdotale
esemplare.
Don Francesco è una figura
bella, trasparente, gioiosa, in-
telligente. È difficile illustrarne
il profilo, viste le numerose
sfacettature della sua perso-
na. È una figura poliedrica dai
molti interessi, dalla liturgia
alla storia della Chiesa e della
Congregazione, agli avveni-
menti ecclesiali, alla scienza
e all’attualità. Amava il Sacro
Cuore, Maria Ausiliatrice e don
Bosco, i santi e i beati della
Famiglia salesiana. Era stato
formato al lavoro instancabile;
in questo si sentiva lombardo
e bresciano. Il lavoro è il segno
visibile e concreto della passio-
ne apostolica. Nella Ispettoria
lombardo emiliana lo riteneva-
mo una figura significativa; di
lui si diceva: “lavorare da cani
è impegnativo, ma lavorare da
Maraccani è ineguagliabile”.
Tra le numerose attestazioni di
Vescovi salesiani, di Ispettori
e di Confratelli della congre-
gazione, riporto questo pen-
siero di un confratello della
comunità: «In questi anni mi
sono sentito molto unito a
don Francesco. Ho visto in lui
una persona saggia, inteligen-
te, enciclopedico, lavoratore,
servizievole, sereno, gioioso,
comunitario, uomo di fede pro-
fonda e di pietà, con un grande
senso ecclesiale e di fedeltà a
don Bosco».
Aprile 2020
41

5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
Roberto Desiderati
Scoprendo don Bosco
DEFINIZIONI
ORIZZONTALI. 1. Vissuti negli stes-
si anni, coevi - 14. Asti (sigla) - 16.
Dell’epoca di Mazzini e Garibaldi - 17.
Una sigla degli anni di piombo - 18. Ce
ne sono quattro nel mazzo di carte - 19.
Le iniziali di Pozzetto - 20. Si addensano
prima del temporale - 23. XXX - 27. Il
Sorrenti della canzone - 28. Un po’ as-
surdo - 29. Il metallo più ricercato di
sempre - 30. La nota che si dà - 32. An-
data per il poeta - 33. XXX - 35. XXX
- 37. Rendono stanco il sano - 38. La
? direzione antimafia istituita d’urgenza
nel ’91 - 40. Le vocali del papa - 41.
Chi parla chiaro non ne ha sulla lingua
- 42. Una collana editoriale della Rizzoli
?
La soluzione nel prossimo numero.
(sigla) - 43. Colombo era convinto di
averle raggiunte - 45. È gustosa cotta al
UNA SANTA VITA INCISA SUI MURI
cartoccio - 46. Gli schiavi spartani - 47.
Rinvigorenti - 48. Galleggiante per or-
La storia, di qualcosa o di qualcuno, in questo caso di un uomo
meggi o segnalazioni.
straordinario e santo, la si può leggere in molti modi. A Val-
docco, la storia è sui muri. Qui e lì (ma bisogna conoscerne
l’ubicazione) alcune lastre di marmo, (dieci lapidi per la preci-
sione, ma non quelle mortuarie) tracciano il cosiddetto XXX. Seguendolo si ricordano quei piccoli
avvenimenti che, messi insieme, danno l’idea dell’affetto che c’era intorno a don Bosco. Si parte dal
Cortiletto Pinardi, la tettoia-cappella, dove si passava il tempo libero, lì c’è la prima lastra di marmo.
La seconda lapide rievoca il giorno in cui don Bosco e Mamma Margherita vennero a stabilirsi defi-
nitivamente nella casa Pinardi accanto alla povera tettoia. La terza ci ricorda un fedele amico di don
Bosco: il teologo Giovan Battista Borel. Alla quarta l’immaginazione ci riporta al momento della
buonanotte in cui don Bosco ascoltava i pensieri e le confidenze dei giovani prima che andassero a
coricarsi per la notte. La quinta lastra di marmo è posta dov’era l’orto curato da Mamma Margherita,
provvidenziale risorsa per la mensa dei ragazzi. La sesta ricorda il grave attentato subito da don
Bosco, la fucilata a tradimento che per un soffio lo mancò, e la settima, invece, ricorda il Grigio, il
cane randagio che mise in fuga due malfattori prima che si avventassero contro il Santo. Un’altra
lastra incisa, l’ottava del nostro percorso, è collocata lì dove si costruiva il palco per festeggiare
Soluzione del numero precedente
l’onomastico di Giovanni Bosco. La nona ci ricorda che in
quegli anni i ragazzi erano così numerosi che la tettoia
Pinardi non bastava più e che perciò, accanto, nel 1852,
fu costruita la Chiesa di San Francesco di Sales. Infine, l’ul-
tima, serve per non farci dimenticare che Giovanni Bosco
era un uomo Santo capace di fare cose eccezionali e mira-
coli, come appunto quello narrato nella decima lastra: la
moltiplicazione dei pani.
VERTICALI. 1. Central Intelligence
Agency - 2. Li rosicchiano i cani - 3.
Sia mie che tue - 4. Orchestre… mi-
nime - 5. Il comico Greggio (iniz.) - 6.
Povere, grame - 7. Pubblico Ministe-
ro in breve - 8. Le ha pari la modestia!
- 9. Rana senza uguali! - 10. Scuri, te-
tri - 11. La metropoli campana - 12.
Articolo spagnolo - 13. L’animale ri-
dens - 14. Buttato giù, depresso - 15.
Antico nome della Sicilia - 21. Giuliva
al centro - 22. È meglio che mai - 24.
Diede i natali a Giordano Bruno - 25.
Mezza Roma - 26. Si contrappone
alla fantasia - 31. Saluti definitivi -
33. Ha sei facce numerate - 34. Pie-
ter van… pittore detto il Bamboccio
- 35. Il re di una celebre tragedia di
Shakespeare - 36. Da quello del Re
scende il Po - 39. La S.p.A. statuniten-
se - 41. A favore di - 42. Il nome di
Dylan - 44. Simbolo dell’iridio - 45.
Fiume siberiano.
42
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LA BUONANOTTE
B.F. Disegno di Fabrizio Zubani
Il fratellino
U na giovane madre attendeva
il suo secondo figlio.
Quando seppe che era una
bambina, insegnò al suo bambino
primogenito, che si chiamava
Michele, ad appoggiare la testolina
sulla sua pancia tonda e cantare
insieme a lei una “ninna nanna”
alla sorellina che doveva nascere.
La canzoncina che faceva «Stella
stellina, la notte si avvicina…»
piaceva tantissimo al bambino,
?
che la cantava più volte.
Il parto però fu prematuro e com-
plicato. La neonata fu messa in una
incubatrice per cure intensive.
I genitori trepidanti furono preparati
al peggio: la loro bambina aveva po-
chissime probabilità di sopravvivere.
Il piccolo Michele li supplicava:
«Voglio vederla! Devo assolutamente La neonata reagì immediatamente. I medici della clinica, imbarazzati,
vederla!»
Cominciò a respirare serenamente, lo definirono con parole difficili. La
Dopo una settimana, la neonata si senz’affanno.
mamma e il papà sapevano che era
aggravò ancor di più. La mamma
Con le lacrime agli occhi, la mamma stato semplicemente un miracolo. Il
allora decise di portare Michele nel disse: «Continua, Michele, conti- miracolo dell’amore di un fratello per
reparto di terapia intensiva della
nua!»
una sorellina tanto attesa.
maternità.
Il bambino continuò.
Un’infermiera cercò di impedirlo, ma
la donna era decisa e accompagnò il
bambino vicino al lettino ingombro
di fili e tubicini dove la piccola lotta-
va per la vita.
La bambina cominciò a muovere le
minuscole braccine.
La mamma e il papà piangevano e
ridevano nello stesso tempo, mentre
l’infermiera incredula fissava la scena
Possiamo vivere soltanto
se siamo sicuri che c’è
qualcuno che ci attende.
È una delle più belle frasi di
Vicino al lettino della sorellina,
Michele istintivamente avvicinò il
suo volto a quello della neonata e co-
minciò a cantare sottovoce: «Stella,
Stellina…»
a bocca aperta.
Qualche giorno dopo, la piccola
entrò in casa in braccio alla mamma,
mentre Michele manifestava rumo-
rosamente la sua gioia.
Gesù: «Io vado a prepararvi
un posto. Così anche
voi sarete dove io sono»
(Giovanni 14, 2-3).
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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
Senza la vostra carità io
avrei potuto fare poco
o nulla; con la vostra
carità abbiamo invece
cooperato con la grazia di Dio
ad asciugare molte lagrime e
salvare molte anime.
Nel prossimo numero
Il Messaggio
del Rettor Maggiore
L’invitato
Don Gigi Zoppi
Una vita per i giovani in difficoltà
Le case di don Bosco
Sesto San Giovanni
Il dono dell’eccellenza
e della qualità
Salesiani nel mondo
Haiti
Dieci anni di emergenza
I nostri eroi
Don Luigi Cocco
«Per i miei Iyewei-teri
ho dato tutto»
Figlie di Maria Ausiliatrice
Da 125 anni,
ininterrottamente
A Samarate (Varese),
la Scuola Materna Macchi Ricci
Come Don Bosco
Emergenza uomo
La gratitudine
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente personalità
giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta
con D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di € ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via Marsala, 42
00185 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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